TUTTOSCIENZE 11 maggio 94


STUDIO DEL CNR Come varia la gravità L'insostenibile volubilità del peso
Autore: CALCATELLI ANITA, CERUTTI GIUSEPPE

ARGOMENTI: METROLOGIA, FISICA
ORGANIZZAZIONI: CNR
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C. Cartina delle linee isoanomale di Bouguer dell'Italia
NOTE: 065

CHE l'accelerazione di gravità vari da luogo a luogo è noto da tempo, ma oggi è necessario conoscerne bene le variazioni anche per la loro influenza diretta sul peso dei corpi. Infatti un corpo conserva la sua massa da luogo a luogo ma varia il suo peso: una certa quantità in kilogrammi di una certa merce ha un peso diverso a Trieste e a Messina. Le attuali bilance elettroniche commerciali sono sensibili al peso dei corpi e quindi alle variazioni di gravità. Le loro scale vengono costruite in genere in luoghi diversi da quelli di impiego e perciò, per avere la stessa indicazione, sarà necessario variare la quantità della merce da luogo a luogo. Gli estremi della variazione di g (l'accelerazione di gravità) in Italia sono 9,806 m/s2 (metri al secondo al quadrato) e 9,706 m/s2: quindi una bilancia elettronica in grado di apprezzare un grammo su un kilogrammo può essere utilizzata su tutto il territorio nazionale senza apportare correzioni. Se invece apprezza il decimo di grammo l'influenza della gravità non è trascurabile. Per questi e altri motivi si sono fatte misurazioni accurate di g in varie stazioni in modo da poter stabilire gli estremi di utilizzabilità di questi strumenti a seconda della loro classe di precisione e arrivare quindi alla suddivisione del territorio nazionale in zone d'uso. Una prima ragione di variabilità dell'accelerazione di gravità si rileva dalla formula stessa del campo gravitazionale, che indica una dipendenza dal quadrato della distanza r, per cui, in uno stesso luogo, g varietà con l'altitudine. Allontandoci ad esempio, di 1000 metri dalla superficie terrestre si ha teoricamente una diminuzione di gravità pari a circa 0,003m/s2. Ciò è anche legato al fatto che la Terra non è una sfera ma può essere assimilata a un ellissoide di rotazione, per cui la distanza dal baricentro non è costante ma aumenta dai poli all'equatore e conseguentemente varia il valore di g. Inoltre l'accelerazione di gravità è influenzata dalla rotazione della Terra che imprime a ogni corpo un'accelerazione centrifuga contraria a quella gravitazionale; essa è nulla ai poli, per i quali passa l'asse di rotazione, e massima all'equatore dove ha il valore 0,034 m/s2. All'equatore g sarà pari a (9,814-0,034) m/s2, in buon accordo con i dati sperimentali. Sia la distanza dal baricentro, dovuta alla forma ellissoide, sia l'entità dell'accelerazione centrifuga sono legate alla latitudine del punto della superficie terrestre che si considera. Note la latitudine e l'altitudine, ci sono formule che consentono il calcolo del valore di g nel luogo considerato sotto l'ulteriore ipotesi che la densità della Terra sia costante in ogni suo punto. Di fatto ciò non si verifica per due ragioni: la densità della Terra varia dal centro alla superficie, e, sulla superficie, le masse più vicine sono maggiormente sentite, per cui la presenza di minerali pesanti nel sottosuolo locale determina un aumento di g, e viceversa la presenza di liquidi. I valori calcolati di g possono differire sensibilmente da quelli misurati sperimentalmente negli stessi punti a causa delle «anomalie» della gravità, che sono importanti per lo studio della densità locale della Terra. Se il valore misurato di g è diverso da quello calcolato teoricamente in un dato punto, nell'ipotesi della Terra omogenea, se ne deduce che la densità della Terra in quel punto è diversa dalla media, il che può far presupporre la presenza di giacimenti minerari o petroliferi. Questo dà un'idea della grande importanza delle misure gravimetriche in geodesia, in geofisica per lo studio delle caratteristiche della Terra. Misure accurate di g consentono di stabilire punti di riferimento in varie parti del nostro pianeta; misurazioni relative consentono di valutare le variazioni di g e le sue perturbazioni. Il confronto del dato sperimentale con quello calcolato consente di tracciare mappe di variazione da punto a punto, oppure delle linee isogravimetriche al livello del mare. Esistono mappe della nostra penisola, di gran parte degli altri Paesi e dell'intero pianeta, che mettono in risalto le variazioni di g rispetto al valore calcolato, cioè le anomalie gravimetriche. La cartina, ricavata da una più complessa tracciata sotto l'egida dal Cnr, mostra le linee isoanomale (di Bouguer). Si noti ad esempio l'anomalia del Tirreno, dove c'è una vasta area con variazione di g positiva rispetto al valore atteso, come anche nel Gargano e nelle Alpi; ma vi sono pure zone dove le variazioni sono negative. E' famosa l'anomalia di Ivrea (più50) perché in corrispondenza del valore più elevato dell'accelerazione di gravità si è riscontrata una variazione delle traiettorie dei satelliti quando passano sulla zona. I dati riportati nella cartina sono espressi in centomillesimi di metro al secondo quadrato. La conoscenza delle linee isoanomale è fondamentale per il calcolo del valore nei vari punti del territorio nazionale in base a formule accettate internazionalmente. Un cenno, infine, alla Legge di gravità. Tra due masse M1 ed M2 si esercita una forza attrattiva grazie alla quale, per esempio, la Terra e gli altri pianeti sono trattenuti nelle loro orbite intorno al Sole anziché fuggire nello spazio. Questa forza gravitazionale è proporzionale al prodotto delle due masse, diminuisce rapidamente al crescere della distanza r tra due corpi ed è proporzionale ad una costante G chiamata costante di gravitazione il cui valore è molto piccolo. La forza gravitazionale è descritta dalla formula F=GxM1xM2r2. Anche il nostro pianeta crea intorno a sè un campo gravitazionale direttamente proporzionale alla sua massa e inversamente proporzionale al quadrato della distanza di un punto dello spazio dal centro della Terra: infatti l'azione di un corpo sferico omogeneo esteso è assimilabile all'effetto della sua massa totale concentrata nel suo centro. Il campo gravitazionale ha le dimensioni di un'accelerazione e si esprime: H = GxM/r2. Per un oggetto posto sulla Terra (massa M e raggio r), H, che è chiamato accelerazione di gravità terrestre ed è indicato con la lettera g, esprime l'intensità del campo di attrazione gravitazionale al suolo e determina la forza che «tira» verso il basso gli oggetti. Essendo la massa della Terra pari a 5970 Yg (il multiplo yotta, simbolo Y, equivale a 1 milione di miliardi di miliardi) e il suo raggio medio di 6.370 km, si ricava un valore medio di g di 9,814 metri al secondo al quadrato. Anita Calcatelli Giuseppe Cerutti Cnr, Istituto di Metrologia «Colonnetti»


GRAVIMETRI Lo strumento realizzato al «Colonnetti»
Autore: A_C

ARGOMENTI: METROLOGIA, FISICA
ORGANIZZAZIONI: CNR, ISTITUTO COLONNETTI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 065. Accelerazioni di gravità

SI possono eseguire misure sia del valore dell'accelerazione di gravità locale sia della sua differenza rispetto a un altro luogo. Le misure assolute dell'accelerazione di gravità sono basate o sul moto di un pendolo (pendolo reversibile) o sulla caduta libera di un corpo. Entrambi i metodi fanno riferimento alle misure delle due grandezze fondamentali del Sistema Internazionale di unità di misura, lunghezza e tempo, che sono misurabili in modo diretto con riferimento ai campioni primari. In Italia un gravimetro assoluto è stato realizzato presso l'Istituto di Metrologia Colonnetti del Consiglio Nazionale delle Ricerche ed è basato sul principio del moto libero simmetrico; in esso le misure di spostamento di un grave di forma particolare, triedro avente per superficie degli specchi speciali, vengono eseguite in varie posizioni lungo la traiettoria mediante interferometria laser ed il tempo impiegato per passare attraverso varie stazioni viene misurato con un orologio atomico. Con questo sistema, che è trasportabile, si raggiungono incertezze di 40 nm/s2 (nm indica nanometro ossia un miliardesimo di metro) su un valore di g di 9,80534317 m/s2. Il gravimetro assoluto del «Colonnetti», che viene costantemente migliorato sia per quanto riguarda la sensibilità sia per quanto riguarda la sua precisione, è stato utilizzato per la determinazione dell'accelerazione di gravità in 25 stazioni in Italia, in 11 stazioni negli Stati Uniti, in 30 stazioni in Europa, in 11 stazioni in Cina e infine per misure assolute di g nella base italiana in Antartide, apportando così un notevole contributo ad una migliore conoscenza del pianeta Terra. (a. c.)


ANNUNCIO SU «SCIENCE» Scoperto l'interruttore che spegne i tumori In molti tipi di cancro esiste un gene dalle funzioni alterate
Autore: MARCHISIO PIER CARLO

ARGOMENTI: GENETICA, BIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: SCIENCE, MTS
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 065

L'anno scorso una giuria di biologi cellulari e molecolari elesse p53, il prodotto di un gene dotato della capacità di sopprimere la crescita tumorale, «Molecola dell'anno». Una scelta giustificata dall'interesse che suscita la possibilità di interagire sperimentalmente con lo sviluppo dei tumori maligni. Che il cancro sia un problema di alterata funzione dei geni è ormai noto a tutti. Sta diventando sempre più chiaro il concetto che tra i geni alterati esistono i regolatori positivi della trasformazione neoplastica detti anche oncogeni e i regolatori negativi detti geni soppressori dei tumori o anti-oncogeni che a essa si oppongono. Lo sviluppo di un tumore maligno è quindi il risultato di una prevalenza degli oncogeni sugli anti- oncogeni con il risultato di indurre crescita incontrollata di un certo numero di cellule. Tutto ciò è molto semplicistico ma serve a introdurre l'idea che la battaglia contro il cancro può essere combattuta sia opponendosi agli oncogeni sia favorendo gli anti-oncogeni. Il momento di gloria della molecola p53 sta proprio nel fatto che essa è il tipico prodotto di un anti-oncogene e lavora regolando il ritmo della proliferazione cellulare interagendo con gli eventi complessi che inducono una cellula a replicare il proprio Dna e, successivamente, a dividersi. Inoltre, in molti tumori si è trovato che p53 non funziona o funziona male e lascia quindi via libera allo stimolo proliferativo degli oncogeni. La battaglia è molto difficile perché gli oncogeni sono più di cento, ognuno partecipa allo sviluppo di un numero limitato di tumori e nessuno risulta attivo in tutti i tumori. Difficilissima è quindi la ricerca del «farmaco magico» capace di fermare la crescita di tutti i tumori maligni. Un po' più promettente sembra puntare sugli anti- oncogeni in quanto sono in numero molto minore e, soprattutto, sono molto meno legati al comportamento specifico dei singoli tumori. Sul numero di «Science» del 15 aprile è comparsa una notizia che fa pensare come la scommessa sugli anti-oncogeni possa essere vincente. Un gruppo di ricercatori americani ha riportato la scoperta di un nuovo gene che è stato chiamato Mts 1 (Multiple Tumor Suppressor 1) che porta l'informazione per la sintesi della proteina p16 che funziona come inibitore di una delle molecole implicate nel controllo della divisione cellulare. Anche p53 funziona così. Ma - a differenza del gene di p53, modificato solo in un numero limitato di tumori - Mts 1 è alterato da mutazioni di diverso tipo nella grande maggioranza dei tumori. Questa scoperta alimenta la speranza di trovare qualcosa che controlli l'alterata crescita cellulare in molti se non tutti i tipi di tumore. Induce anche a sognare che il farmaco attivo su tutti i tumori maligni possa diventare realtà in un momento non disperatamente lontano. Il messaggio dei ricercatori (e il mio personale) vuole essere un segno di ottimismo. Tuttavia, per carità, non creda il lettore che la vittoria sul cancro sia dietro l'angolo. Anni di duro lavoro ci separano ancora dall'applicazione pratica della ricerca di base; miliardi di dollari di investimenti nella ricerca vera e non in mezzucci atti a vendere farmaci inutili. Tutti devono sentirsi impegnati in questa guerra fatta di battaglie su molti fronti. Non è casuale che l'articolo di «Science» sia firmato da ricercatori appartenenti a un'industria privata. Negli Stati Uniti la collaborazione tra la ricerca accademica e quella privata è ormai un fatto reale. Esiste scambio di cervelli, spesso bidirezionale, tra Università e industria. Anche in Italia si dovrebbe aumentare la fertilità delle rispettive competenze e migliorare il livello culturale e imprenditoriale dell'una e dell'altra. Questo non significa affatto, come alcuni sostengono, la morte della ricerca non applicativa, che qualcuno, con perfido appellativo, chiama ricerca inutile. Le menti più illuminate della ricerca biologica sanno perfettamente che grandi scoperte, gravide di applicazioni pratiche, si possono fare su un vermetto o su una mosca. Le nostre conoscenze di genetica, le stesse che stanno alla base della genetica molecolare del cancro, sono figlie dirette di ricerche fatte per anni su mosche e vermetti. Pier Carlo Marchisio Università di Torino


TECNOLOGIA Un laser a colore programmato L'invenzione si deve all'italiano Federico Capasso
Autore: T_S

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, ENERGIA
NOMI: CAPASSO FEDERICO, FAIST JEROME
ORGANIZZAZIONI: LABORATORI BELL AT&T
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 066

CINQUE ricercatori dei Laboratori Bell dell'AT&T guidati dall'italiano Federico Capasso hanno realizzato un laser a semiconduttore concettualmente nuovo, chiamato «laser a cascata quantica». E' il primo laser la cui lunghezza d'onda di emissione può essere fissata a piacere durante il processo di fabbricazione, in un intervallo assai largo dello spettro dal medio al lontano infrarosso: basta cambiare lo spessore degli strati costitutivi del laser, usando la stessa combinazione di materiali. Il premio Nobel Charles Townes che, con Arthur Schawlow, scrisse nel 1958 il lavoro che lanciò l'industria del laser, afferma che «questo sviluppo apre la porta a nuove straordinarie possibilità». Laser che emettono luce di lunghezza d'onda dal medio al lontano infrarosso possono avere un'ampia gamma di applicazioni: da quelle ecologico- ambientali come la misura dell'inquinamento e della qualità dell'aria, al controllo dei processi industriali, dalle comunicazioni alla spettroscopia. I laser a semiconduttore di tipo convenzionale, oggi ampiamente usati nelle comunicazioni su fibra ottica e nei lettori di compact disc, operano invece a lunghezze d'onda dal vicino infrarosso al visibile. Quando una corrente elettrica fluisce attraverso il laser a cascata quantica, gli elettroni corrono giù - per così dire - lungo una scalinata di energia, emettendo un impulso di luce (o fotone) tutte le volte che scendono uno «scalino». A ogni scalino gli elettroni fanno un salto quantico tra due livelli di energia ben definiti. I fotoni emessi vengono riflessi avanti e indietro da due specchi integrati nel materiale, stimolando così altri salti quantici e l'emissione di altri fotoni, fino a quando l'impulso amplificato di luce esce dalla cavità ottica. Il gruppo che ha inventato il laser a cascata quantica è composto da Federico Capasso, Jerome Faist, Debbie Sivco, Carlo Sirtori, Al Hutchinson e Al Cho. «Il nostro laser è il punto di arrivo di uno sforzo di trent'anni», dice Capasso. «Su quest'argomento sono stati scritti un mucchio di articoli teorici, ma sono state l'ingegneria delle bande e l'epitassia a fasci molecolari (in inglese «molecular beam epitaxy» o Mbe) a permettere questo grande passo avanti». Con l'ingegneria delle bande, cioè dei livelli di energia dei semiconduttori tramite strutture artificiali, un campo di ricerche aperto dagli studi pionieristici di Capasso, che dirige il Dipartimento di ricerca su fenomeni e dispositivi quantici, le proprietà ottiche ed elettroniche dei semiconduttori possono essere variate a seconda dell'applicazione desiderata. L'inventore della tecnica Mbe, Al Cho, descrive questo processo di crescita dei materiali come uno spruzzare atomi uno strato alla volta, permettendo così un controllo atomico degli spessori dei materiali. La lunghezza d'onda di emissione del laser a cascata quantica è interamente determinato dal confinamento quantico degli elettroni in strati di materiali semiconduttori dello spessore di qualche miliardesimo di metro (nanometro). In queste condizioni le proprietà quantiche degli elettroni vengono profondamente modificate. Di conseguenza la lunghezza d'onda può essere enormemente variata cambiando gli spessori degli strati. Il laser a cascata quantica è stato descritto nel mumero del 22 aprile della rivista «Science». Per esso, come per il primo laser, si può forse dire che è «una soluzione in cerca di un problema», ma non c'è dubbio che le applicazioni pratiche non tarderanno. Federico Capasso si è laureato in fisica presso l'Università di Roma nel 1973. Entrato nei Laboratori Bell come ricercatore nel 1977, è autore di 190 lavori scientifici e ha ottenuto 20 brevetti Usa. Capasso ha aperto nuovi importanti campi di ricerca in elettronica e optoelettronica, ha inventato una nuova classe di rivelatori a valanga a basso rumore e il fotomoltiplicatore a stato solido. Di recente ha realizzato il transistore a effetto tunnel risonante e il transistore multistato. Con quest'ultimo ha dimostrato che la complessità di molti circuiti può essere molto ridotta, aprendo così nuove strade all'elettronica. (t. s.)


Scaffale «Storia dell'industria elettrica in Italia», Laterza
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 066

NEL 1882 a Milano una piccola dinamo accese 92 lampadine nel ridotto del Teatro alla Scala. Il 20 gennaio di quest'anno alle dieci di mattina all'Enel veniva richiesta una «punta» di 35,5 gigawatt (un gigawatt = un miliardo di watt). Tra i due dati si snodano 112 anni di produzione di elettricità in Italia. Una buona parte di questa vicenda dagli innumerevoli risvolti economici, tecnologici, politici, sociali e ambientali è ora raccontata e scrupolosamente documentata in quattro imponenti volumi pubblicati dall'editore Laterza con la sponsorizzazione dell'Enel: «Storia dell'industria elettrica in Italia», qualcosa come 3400 pagine. E non è finita, perché ci si ferma per ora al 1945. Un quinto volume si spingerà fino al 1990, e c'è da scommettere che sarà per molti aspetti il più interessante, comprendendo la controversa nazionalizzazione, il dibattito sul nucleare, le crisi energetiche legate alle vicende politico-militari del Medio Oriente. Il primo volume, curato da Giorgio Mori, va dalle origini - situabili appunto in quella luce che per prima nel 1882 rischiarò gli amanti dell'opera lirica - al 1914. Sono pagine ricche di curiosità storico-scientifiche e di prospettiva, perché gli autori, una ventina, non hanno tralasciato nessun aspetto della società italiana nella quale l'innovazione della tecnologia elettrica si trovò a muovere i primi passi. Luigi De Rosa cura il secondo volume, che va dal 1914 al 1925, affronta la mobilitazione bellica e gli sviluppi della tecnologia idroelettrica e geotermoelettrica (che era nata, in prima mondiale, nel 1904 a Larderello); è anche, questo, un periodo di crescenti impegni finanziari, in parallelo alla crescita dell'importanza industriale e strategica dell'elettricità. Infine, i due tomi in cui si divide il terzo volume sono curati da Giuseppe Galasso e abbracciano il periodo 1926-1945, caratterizzato da una forte espansione e dall'affermarsi di un oligopolio governato da poche grandi società. Da segnalare il capitolo sulle tecnologie di Mario Silvestri dell'Università di Milano. Il 1945 è un anno di confine per tanti aspetti; anche energetico. Il dominio della fonte idroelettrica ha raggiunto il culmine del suo splendore. Il «carbone bianco» presto dovrà cedere il passo all'«oro nero». Ma questa è una vicenda che molti di noi hanno vissuto.


ATTUALITA' DI LUCA PACIOLI Quel ragioniere del '400 Mezzo millennio di partita doppia
AUTORE: SCAPOLLA TERENZIO
ARGOMENTI: MATEMATICA, STORIA DELLA SCIENZA
PERSONE: PACIOLI LUCA
NOMI: GIUSTI ENRICO, PACIOLI LUCA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 066

NEI processi per tangenti sentiamo spesso imputati che si dichiarano non colpevoli addebitando alla poca chiarezza dei bilanci delle società che hanno gestito la ragione di mancati interventi per prevenire azioni delittuose. Insomma, loro non c'entrano: la vera causa sono le holding, i conti all'estero, le consociate, che hanno reso i conti così complessi da impedire ogni forma di vigilanza. Ma è proprio vero? Sarebbe curioso conoscere l'opinione di Luca Pacioli. Il suo nome non dice molto alla maggior parte di noi, ma se parliamo di «partita doppia» tutti sanno collocare il termine nell'ambito della ragioneria e della contabilità. Pacioli, vissuto dal 1445 al 1514, fu il primo a riportare a stampa le regole della partita doppia. Nato a Borgo Sansepolcro, in provincia di Arezzo, paese che diede i natali anche a Piero della Francesca, studiò a Venezia e viaggiò a lungo per conto di un commerciante veneziano, dal quale apprese e sviluppo' tecniche di contabilità basate su applicazioni della matematica. Vestì l'abito francescano e insegnò poi in diverse città, tra cui Roma, dove morì. L'occasione per parlare di lui è fornita dal fatto che proprio 500 anni fa, nel 1494, diede alle stampe, a Venezia, la Summa de Arithmetica, Geometria, Propor tioni et Proportionalità, la prima opera nella quale si dà conto, è proprio il caso di dire, delle regole per fare di conto. Il testo coordina diverse nozioni e materiali precedenti, da Euclide a Severino Boezio, a Leonardo Fibonacci. La sua importanza, più che nell'originalità dei contenuti, risiede nella quantità di nozioni teoriche e pratiche messe insieme in modo organico e date per la prima volta alla stampa, una tecnica nata da poco (1454) e della quale Pacioli intuì la strordinaria potenza. La partita doppia è una tecnica nata e sviluppata in Italia. Le sue origini sono incerte: si praticava nella Venezia del secolo XV ma di essa si trovano tracce in registri del secolo precedente. La procedura ha come principio fondamentale la caratteristica propria a ogni metodo di scrittura doppia: la costante uguaglianza fra il totale degli addebitamenti e il totale degli accreditamenti, ottenuta con due serie distinte e parallele di calcoli. Come sempre vi sono polemiche per quel che riguarda l'attribuzione della paternità di una idea nuova. Fra Pacioli non sfugge a questo tipo di critica, anche perché due anni dopo la prima edizione della Summa compose, nel 1496, la Divina proportione sotto l'influenza di Piero della Francesca, Leon Battista Alberti e Leonardo da Vinci. Questa opera, pubblicata qualche anno dopo con disegni di Leonardo, gli fruttò anche accuse di plagio. Gli esperti avranno occasione, durante questo anno di celebrazioni, di affrontare questo e altri temi. Ma un punto sul quale tutti sono concordi sta nell'assegnazione a Pacioli del calcolo di un numero molto utile, rivelatosi in seguito un logaritmo neperiano. La parola non spaventi, si tratta solo di un numero che consente di calcolare in quanti anni raddoppia un capitale investito a un tasso di interesse fissato. Nel testo originale della Sum ma troviamo questa proporzione: «A voler sapere ogni quantità a tanto per cento l'anno, in quant'anni sarà tornata dopia fra prodotto e capitale, tien per regola 72 a mente, quale sempre partirai per lo interesse e quello che ne ven, in tanti anni seranno radopiati el capitale a far capo l'anno». La regola di Pacioli, in apparenza un poco misteriosa, è nella sostanza molto semplice: se r è il tasso percentuale di interesse annuo, si divide il numero fisso 72 per il tasso r e si ottiene il numero di anni necessario per il raddoppio del capitale iniziale. Per lungo tempo nessuno comprese bene da dove provenisse questo numero. Nicolò Tartaglia affermò che la conclusione di Luca era falsa con un semplice argomento: se il tasso di interesse è del 36% il tempo di raddoppio del capitale secondo Pacioli è di 2 anni, ma dopo questo tempo un capitale pari a 100 ducati si ritrova essere poco meno di 185 ducati. Fu Giovanni Vacca, nel 1914, a proporre una giustificazione della cifra 72, trovando una correlazione tra quel numero e i logaritmi. Nella sua nota, pubblicata negli Atti dell'Accademia delle Scienze di Torino, Vacca afferma che 72 è una mediocre approssimazione di 100 volte il logaritmo neperiano (naturale) di 2, quantità che risponde analiticamente al problema del raddoppio del capitale. Accuratezza davvero mediocre o buona? In termini assoluti il numero di Pacioli è affetto da un errore di poco inferiore al 4% e in questa direzione si tratta di una stima certamente non accurata. Ma il numero 72 era usato per calcolare esplicitamente il tempo di raddoppio del capitale e, in questo ambito, l'errore commesso dipende dal tasso di interesse. Ora accade che quando il tasso è pari all'8 tale errore è pressoché nullo e si mantiene inferiore all'1% per valori del tasso tra 6 e 10%. Si può dedurre che alla fine del Quattrocento gli interessi correnti nell'Italia del Nord si aggiravano in media attorno al valore 8%. Il numero di Pacioli è quindi una stima concreta, basata su un uso efficace della matematica e su una dimestichezza non comune con tavole di interesse e trattati di aritmetica pratica. A Sansepolcro si è tenuto nelle settimane scorse il convegno «Luca Pacioli e la matematica del Rinascimento», organizzato da Enrico Giusti dell'Università di Firenze. A partire da Luca Pacioli diversi sono stati gli argomenti trattati: dall'aritmetica medievale ai trattati d'abaco, dalla geometria empirica all'editoria scientifica tra '400 e '500. Su un fatto gli esperti si sono ritrovati d'accordo: l'opera di Pacioli costituisce il coronamento e la sintesi della matematica del Medioevo da parte di una personalità che si inserisce a pieno titolo tra le più insigni del periodo rinascimentale. Terenzio Scapolla Università di Torino


GEMMOLOGIA Un arcobaleno al dito L'origine dei riflessi del brillante
Autore: F. DE CRESCENZO CARAFOLI

ARGOMENTI: FISICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 066

QUAL è il significato della parola «brillante», sostantivo, non aggettivo, come lo intendiamo oggi con il significato di diamante tagliato per essere utilizzato come gioiello? Il Nuovo Zingarelli riporta questo significato: «Brillante: diamante tagliato a forma di due piramidi di cui la superiore tronca, unite per la base. Es. anello con brillante». Non è una buona definizione. Il Devoto Oli riporta invece questo significato: «Brillante: il diamante che risulta da un taglio fatto in modo che i fasci di luce incidenti sulla pietra escano all'esterno dalla stessa parte dell'incidenza». E' già una definizione migliore, illustrata bene dall'Enciclopedia Treccani, che fornisce in più l'informazione sulla scomposizione della luce nei colori dell'arcobaleno, fenomeno fondamentale nel brillante. I fasci di luce bianca incidenti vengono divisi dalla rifrazione nel colori componenti. Il fuoco del brillante è il gioco dei colori dell'iride che tutte le donne apprezzano, anche quando non conoscono la definizione di «brillante». Ma com'è nata questa parola? Una data precisa non esiste. Cominciamo a chiederci in che epoca il diamante è comparso come gemma: il diamante grezzo, non ancora tagliato. Si può dar credito agli esperti di Anversa (da secoli Anversa è nel mondo il centro classico e più qualificato per lo studio e il commercio dei brillanti) che dicono che la prima prova reale del diamante grezzo usato come gemma d'ornamento è un anello con «pietra bipiramidale» (un ottaedro) incastonata. Quest'anello è in mostra nel museo dei diamanti di Anversa. Ma già nel 1300, negli archivi della corte dei Burgundi, si segnalava un diamante piatto, probabilmente ottenuto dalla molatura di un ottaedro. Di quelli successivi si ha notizia dai ritratti dei personaggi importanti che li indossavano: i cavalieri e le dame, i re e le regine e nel 500 e 600 le paffute signore della buona borghesia dei Paesi Bassi. Gli atti della corte dei Burgundi riportano che si erano spesi soldi «pour avoir fait equarrir un diamant», per aver fatto squadrare un diamante. E viene citata la forma a scudo «forme d'ecusson» dei geminati del diamante. Viene ricordato il taglio a specchio «de facon de miroir», anche questo chiamato «forme d'ecusson» dove i tre vertici della faccia triangolare dell'ottaedro sono molati via. E più tardi altri tagli ancora, finché compare il diamante «de facon de coeur» con gli angoli arrotondati: la forma di cuore ancora in uso oggi. Dagli inventari del 1500 si conosce che in quell'epoca scompaiono dal mercato i diamanti piramidali per essere sostituiti dalle pietre «sfaccettate» con una base piatta e una corona circolare. Ci siamo: il brillante è nato, ma non usa ancora chiamarlo così. Nella seconda metà del 1600 il taglio a brillante viene gradatamente definito, senza che il nome brillante fosse ancora entrato nell'uso. Chiediamoci intanto chi inventò questo taglio definito e preciso: van Beckem, il cardinal Mazarino (o qualcuno della sua corte), Vincenzo Peruzzi? Non lo sa nessuno. La statistica propenderebbe per il fiammingo van Berkem dal momento che nei Paesi Bassi circolava il più gran numero di pietre. Il fatto che nel linguaggio commerciale delle pietre si parlasse francese, farebbe pensare al cardinal Mazarino. E Peruzzi? Qualcuno ha scritto che non è neanche esistito, però, stranamente, al taglio che per primo fu definito perfetto e di cui nel 1750 David Jeffreis diede le misure, fu dato nel 1800 il nome di Peruzzi, proprio Vincenzo Peruzzi con nome e cognome. Certamente non è un nome di fantasia se gli esperti lo hanno ricordato per dare il nome al taglio. Ma documenti affidabili non ne sono saltati fuori. Il taglio a brillante fu dunque una successione di perfezionamenti apportati per esaltare le proprietà che la pietra ha nei riguardi della luce. E non c'è dubbio che un parallelo esiste tra il progresso nel taglio dei diamanti e gli studi di ottica intrapresi nel 1500 da alcuni precursori meno noti e nel 1600 da Huygens (1629-1695), da Hooke (1635-1703) e dal grande Newton (1642-1727). E finalmente ecco la parola «brillante» comparire nell'inventario di Amalia di Orange: «un grande diamante " brillante" rotondo e un diamante "brillante" quadrato». Il nome era diventato ufficiale. Dal momento che compariva negli inventari, poteva entrare nei dizionari con un significato preciso. Con grande eleganza, come si conviene a queste nobili pietre, nessun tagliatore o commerciante o ricco signore uscì mai fuori a vantare una primogenitura sul nome. F. de Crescenzo Carafoli


SCINCO A nuoto nella sabbia Sembra un pesce, invece è un rettile
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI
NOMI: SHINE RICHARD
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

ANCHE tra i rettili ci sono le cenerentole, le specie di cui si parla poco o niente. Hanno grande spazio le tartarughe, i coccodrilli, i serpenti, i camaleonti, le iguane, le lucertole. E' invece raro che qualcuno parli degli scinchi. Al punto che la gente comune non sa nemmeno cosa siano. Eppure si tratta di almeno ottocento specie di rettili, distribuite nelle regioni temperate e tropicali di tutto il mondo. E non si tratta nemmeno di animali di piccole dimensioni che possono sfuggire all'osservazione. Figurano tra loro forme di mole notevole, come lo scinco gigante delle Salomone (Corucia zebrata), lungo 65 centimetri che, a differenza dei suoi simili, conduce vita arboricola e possiede per questo - caso più unico che raro tra gli scinchi - una coda prensile con la quale si aggancia ai rami. Altro campione di grandezza è lo scinco gigante del Capo Verde (Macroscincus costeaui), lungo mezzo metro. Abbastanza grandi anche gli Eumeces algeriensis, che misurano più di quaranta centimetri di lunghezza, o alcuni scinchi australiani, come la Tiliqua rugosa che ne misura 36, oppure la Tiliqua di Gerrard, lunga circa altrettanto. Hanno una singolare caratteristica, queste due specie del Continente Nuovissimo: una grossa lingua di colore azzurro cobalto che spicca nettamente contro il rosso della mucosa orale e viene messa in evidenza quando l'animale spalanca la bocca per intimorire il nemico. Forse un solo scinco gode di una certa notorietà. E' lo Scincus scincus, che si è adattato a vivere nei deserti. I francesi lo chiamano «pesce di sabbia» perché sembra che nuoti, quando scivola veloce sulla rena. Gli arabi se li mangiano, questi pesci di sabbia, arrostiti o ridotti in polvere e mescolati ai datteri. Per gli studiosi, comunque, gli scinchi hanno un interesse particolare in quanto rappresentano la testimonianza del graduale processo evolutivo che dai sauri tetrapodi, provvisti cioè di quattro zampe ben sviluppate, porta alle forme serpentiformi prive o quasi di zampe. Troviamo tra questi rettili forme robuste che camminano su solide zampe e forme in cui progressivamente il corpo assume un aspetto più affusolato e allungato; la locomozione si fa strisciante e sinuosa, mentre gli arti si riducono. Gli scinchi serpentiformi si distinguono dai serpenti perché sono ricoperti da scaglie uniformi di straordinaria lucentezza, come se fossero stati verniciati con uno smalto brillante. Di alcuni di questi curiosi rettili si può dire che ci vedono anche a occhi chiusi. Presentano infatti la particolarità di avere la palpebra inferiore trasparente, sicché, quando chiudono gli occhi, ci vedono quasi come se li tenessero aperti. In altre specie entrambe le palpebre sono trasparenti e per di più saldate tra loro a formare una sorta di lente, proprio come avviene nei serpenti. In altre specie ancora la palpebra inferiore, ricoperta com'è di squame, è tutt'altro che trasparente. Diversa è anche la forma della coda che in alcune specie è lunga e sottile, in altre è ricoperta da formazioni spinose, in altre ancora ridotta a un semplice moncone. Gli scincidi non hanno la facoltà di cambiar colore, come i camaleonti o le iguane. Tuttavia i maschi indossano spesso una livrea di nozze durante la stagione degli amori. La fecondazione è interna. Ma la femmina non utilizza immediatamente lo sperma maschile: lo immagazzina per una o due settimane, nelle specie che si riproducono in primavera, e addirittura per tutto l'inverno in quelle che si riproducono nell'autunno. La cosa che più sorprende in questi strani rettili è il fatto che non tutti mettono al mondo i figli nello stesso modo. Vi sono specie ovipare, che li depongono allo stadio di uova e badano a deporle in luoghi sufficientemente umidi perché i loro morbidi gusci sono permeabili all'acqua. E specie ovovivipare nelle quali la madre trattiene le uova nell'interno dell'ovidotto e i piccoli vedono la luce solo quando il loro sviluppo è terminato. Perché questa differenza di comportamento? Il fenomeno ha particolarmente incuriosito Richard Shine, un erpetologo australiano dell'Università di Sydney, che si è messo a studiare in laboratorio e sul campo le modalità di riproduzione di varie specie di scinchi. E' chiaro che l'ovoviviparità ha un prezzo molto alto. La femmina ovipara, una volta deposte le uova, torna subito a essere un individuo normale. Quella ovovivipara, invece, appesantita dal fardello degli embrioni che le si sviluppano negli ovidotti, è meno agile nel difendersi dai predatori e nel catturare le prede. E la sua scorta di grasso diminuisce al punto da pregiudicare la sua possibilità riproduttiva nell'anno seguente. Ma se l'ovoviviparità, come ritiene Shine, si è sostituita in tempi recenti - forse dopo l'ultima era glaciale - alla condizione di oviparità, che è quella primitiva, ancestrale, significa che presenta dei vantaggi. Quali? I vantaggi sono innegabili nei climi freddi, dove l'embrione che si sviluppa nel tepore del corpo materno ha maggior probabilità di sopravvivere alle basse temperature esterne. E in queste condizioni lo sviluppo è anche più rapido rispetto a quello delle uova esposte al freddo. Come Shine ha constatato, in Australia le femmine ovovivipare mettono al mondo i loro piccoli almeno un mese prima delle specie ovipare. Con il risultato che i loro figli si trovano avvantaggiati, in quanto hanno più tempo per crescere prima che giunga la cattiva stagione e più tempo per cercarsi un rifugio idoneo dove trascorrere il periodo di ibernazione. Innegabilmente l'aver compiuto lo sviluppo entro il corpo materno, a una temperatura che si aggira sui trenta gradi centigradi, mentre la temperatura ambientale sfiora lo zero, rende i neonati «migliori» in tutti i sensi, più forti, più svelti, più intelligenti, più adatti a sopravvivere. Questa almeno è l'opinione dell'erpetologo australiano. Isabella Lattes Coifmann


IN BREVE Seni al silicone Risarcimento danni
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

I produttori Usa di protesi al silicone hanno concordato con la Corte di Birmingham, Alabama, un programma di rimborsi alle donne di ogni parte del mondo che hanno messo una protesi al seno prima del 1 giugno 1993. La cifra stanziata è di 4,25 miliardi di dollari e copre eventuali patologie indotte dall'intervento, come la sclerosi sistemica, il lupus, la sindrome di Sjogren e altri disturbi neurologici e del sistema immunitario. Il termine ultimo per chiedere informazioni è il prossimo 17 giugno, quello per presentare domanda di indennizzo è il 16 settembre. Chi pensa di essere nelle condizioni di chiedere i danni può scrivere a MDL 926, Post Office Box 11683, Birmingham, Alabama, 35202-1683, Usa, oppure al corrispondente italiano GCI Chiappe Bellodi, via Carducci 16, 20123 Milano, tel. 02/809.946.


IN BREVE Italia spaziale piccolo è bello
ARGOMENTI: TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: CNR
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

Satelliti per studiare la magnetosfera, la fisica atmosferica e oceanica, i raggi cosmici, l'astronomia in raggi X e gamma: sono alcune delle idee avanzate al convegno «Piccole missioni scientifiche e proposte per un piano spaziale» organizzato la settimana scorsa a Roma dal Cnr e dal Comitato di parlamentari per l'innovazione tecnologica. I progetti individuati sono 23, da realizzarsi nell'arco di sei anni per una spesa di 60 miliardi all'anno.


IN BREVE Il progetto Cnr per le biotecnologie
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: CNR
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

I primi positivi risultati del progetto finalizzato «Biotecnologie e biostrumentazione» del Cnr sono stati presentati in un convegno il 5 maggio a Roma. Il progetto ha erogato dal 1989 oltre 75 miliardi a 200 gruppi di ricercatori. I risultati più interessanti riguardano i tumori e l'Aids; 40 i brevetti depositati, oltre duemila le pubblicazioni su riviste internazionali.


OROLOGIO BIOLOGICO Ho sonno ma non so perché La risposta forse nel cromosoma 5 dei topolini
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: BIOLOGIA
NOMI: TAKAHASI JOSEPH
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

IMMAGINIAMO una città nella quale metà degli abitanti vada a dormire verso le 11 di sera e l'altra metà alle 8 del mattino. La metà che va a dormire la sera è ovviamente quella che lavora di giorno, l'altra metà fa il turno di notte. Questa città esiste ed è Las Vegas. Qui ci sono scuole notturne, in modo che i figli possano incontrare i genitori per qualche ora durante il giorno. Come hanno fatto gli abitanti di Las Vegas a cambiare il proprio ritmo di sonno-veglia? Sono riusciti a modificare l'orologio biologico interno, che ognuno di noi possiede e che ci avvisa automaticamente sulla necessità di dormire o di stare svegli. L'adattamento temporaneo più comune di questo che è chiamato «ritmo circadiano» lo facciamo quando ci capita di saltare diversi fusi orari in occasione dei viaggi in aereo. Immaginiamo ora di poter collegare un migliaio di individui (coetanei) di Las Vegas che facciano il medesimo lavoro e il medesimo turno a una centrale che mediante un sistema di tele-encefalogramma a distanza registri i ritmi cerebrali caratteristici del sonno e quindi possa darci l'istante preciso in cui l'individuo comincia a dormire. Le registrazioni eseguite per diversi giorni ci rivelerebbero che la maggior parte si addormenta e si sveglia automaticamente sempre più o meno alla stessa ora. Alcuni però devierebbero da questa regola di parecchi minuti o anche di ore. Risalire a una causa di tale variazione è difficile in una popolazione umana. Per questo, come scrive «Science», un gruppo di scienziati della Northwestern University di Chicago capeggiato da Joseph Takahasi non si è spostato a Las Vegas ma è ricorso a 300 topolini di ceppo ed età omogenea. I topolini, come l'uomo e tutti i mammiferi, hanno un ritmo notturno e uno diurno. Quando sono svegli amano fare un po' di esercizio fisico, in particolare far girare una ruota correndo. Sfruttando questa abilità naturale si collegò la ruota di ogni gabbia a un computer. Si notò che tutti i topolini, se mantenuti in un ciclo costante di luce e di oscurità, cominciavano l'esercizio esattamente alla stessa ora ogni giorno (anzi ogni notte, poiché sono animali notturni). La differenza era di pochi minuti eccetto per un singolo topo che iniziava l'esercizio un'oretta dopo gli altri. Una parte dei figli di questo topo erano anch'essi dei ritardatari di circa un'ora. Usando tecniche di genetica molecolare, Takahashi e i suoi colleghi stabilivano che la differenza tra questo animale e gli altri era localizzata in un gene situato nel cromosoma 5. In seguito a una sua mutazione, l'animale perdeva il controllo del proprio ritmo circadiano normale, che si spostava da 24- 25 ore a 25-26 ore. Nell'uomo molte funzioni del cromosoma 5 sono presenti invece nel cromosoma 4: in futuro anche questo gene potrebbe essere trovato su tale cromosoma. Accoppiando due topolini con la stessa mutazione, si ottiene quello che in gergo biologico si chiama «una doppia dose di geni» e dei topolini con un ritmo circadiano spostato di quattro ore. Quali sono le implicazioni pratiche di questa scoperta? Benché la scoperta dell'orologio biologico sia vecchia, molto rimane da spiegare circa la sua funzione (essenzialmente: perché dormiamo?). La farmacologia del sonno, pur con molti sonniferi in commercio, è appena all'inizio. Un'applicazione importante sarebbe la terapia di quelle forme estreme di disturbi del sonno, come la narcolessia che affligge certi individui con attacchi improvvisi e violenti di sonno di 10-15 minuti accompagnati talvolta da comportamenti automatici bizzarri e anche da allucinazioni. Se la funzione del gene è quella di regolare la produzione di una proteina, si potrebbe contrastarne l'effetto per via farmacologica. Ezio Giacobini Università del Sud Illinois


SINESTESIA Credetemi, per me i colori sono musica Un disturbo del cervello che abolisce i confini tra odori, sapori e suoni
Autore: PREDAZZI FRANCESCA

ARGOMENTI: BIOLOGIA
NOMI: CYTOWIC RICHARD
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

CHE sapore ha il numero 8? Dolce o salato? E la lettera C è azzurra o piuttosto verdolina? Per la maggioranza degli esseri umani, queste domande sembrano senza senso. Ma per una persona su 25 mila la fusione dei sensi, ovvero «sinestesia», fa parte della vita quotidiana. Il primo studio di vasta portata sui sinestesici è stato pubblicato dal neurologo americano Richard Cytowic, che ha raccolto sessanta casi di persone sinestesiche in un libro dal titolo esplicito: «L'uomo che assaggiava le forme» (ed. G.P. Putnam's Sons, New York). La passione di Cytowic per i sinestesici iniziò per caso di fronte ad un pollastrello fumante. Il suo commensale e futuro paziente, Michael Watson si lamentava che il pollo non gli piaceva, perché non «aveva abbastanza punte». Per Michael Wat-son infatti i sapori sono sempre collegati alle forme, se mangia un pezzo di cioccolata, non è solo un sapore che sente con la lingua, ma ha «l'impressione di tenere in mano sfere immaginarie, mentre cilindri, quadrati e triangoli mi sfiorano il viso e le braccia». La caratteristica dei sinestesici è proprio questa: non ci sono i confini tra i diversi sensi, e il numero 8 diventa una cosa «innocente, di colore azzurro latteo», mentre il 2 è «qualcosa di piatto, quadrato, bianchiccio, a volte con un po' di grigio». Un famoso caso di sinestesia (la prima descrizione medica risale al Settecento) è quello del mago della memoria Schereschevski, descritto dallo psicologo russo Alexander Lurija, l'inventore della neuropsicologia. Schereschevski, dopo avere guardato per 35-40 secondi una tabella di sessanta cifre, era in grado di riprodurla esattamente anche dieci o quindici anni dopo. I numeri per lui avevano infatti sapori, colori, forme e suoni, che ricordava con estrema facilità. Colori, odori, suoni o sapori, sono direttamente collegati fra di loro e si mescolano in una maniera difficile da immaginare per chi non possieda questa particolare dote. Tra i sinestesici più illustri c'è il pittore Wassily Kandinsky, che vedeva i suoni e sentiva i colori; scrisse persino una composizione musicale intitolata «Il suono giallo». Le donne, ha scoperto Cytowic, possiedono questa dote in misura tre volte superiore agli uomini. I risultati del neurologo americano (che contraddicono le teorie precedenti) dimostrano che la sinestesia è una capacità innata. Queste persone infatti non registrano gli stimoli sensoriali a livello della corteccia cerebrale, come di solito avviene, ma nelle zone più interne del cervello. Studi effettuati con la Pet-Scan hanno dimostrato che nei sinestetici il metabolismo nella corteccia è ridotto del 18 per cento. La sinestesia quindi è «fisiologicamente radicata nel cervello di queste persone e non un prodotto della loro fantasia». Infatti i pazienti di Cytowic raccontano di avere «assaggiato le forme o ascoltato i colori» fin da quando riescono a ricordare, solo in seguito hanno scoperto con stupore che gli altri non condividevano le loro sensazioni. Lo psicologo inglese Baron-Cohen ha addirittura formulato l'ipotesi che alla nascita siamo tutti sinestesici. Solo in seguito i sensi si dividono. Anche Lurija nell'esaminare la prodigiosa memoria del suo paziente, era giunto a una simile conclusione. Schereschewski infatti si ricordava episodi della primissima infanzia. Nella maggior parte delle persone la fusione dei sensi si perde, ma non in tutte. Francesca Predazzi


INFORMATICA Messaggi in scatola rossa Vetiquattresima puntata
Autore: MEO ANGELO RAFFAELE, PEIRETTI FEDERICO

ARGOMENTI: INFORMATICA, DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 068

ANCHE i contenuti delle scatole rosse, ossia le parole e più in generale i messaggi, possono essere sottoposti a elaborazione, come i numeri contenuti nelle scatole nere. Le operazioni che possiamo eseguire su parole e messaggi sono tuttavia molto diverse dalle operazioni aritmetiche che utilizziamo per elaborare numeri. Ad esempio, l'operazione di somma applicata a due o più messaggi o " stringhe" ha il significato di "concatenazione", in quanto consiste nello scrivere le parole che devono essere sommate una dopo l'altra, nell'ordine indicato. Il seguente programma produce la visualizzazione sullo schermo del messaggio "NON SIAMO ANGELI": 10 SCAT1$ = "NON " 20 SCAT2$ = "SIAMO " 30 SCAT3$ = "ANGELI" 40 SCAT$ = "SCAT1$ più SCAT2$ più SCAT3$ 50 PRINT SCAT$ 60 END Si noti che in SCAT1$, dopo la parola NON, abbiamo inserito anche il carattere " spazio" (in inglese "blank") e in SCAT2$ abbiamo messo uno spazio dopo la parola SIAMO. Se non lo avessimo fatto, il programma avrebbe visualizzato il messaggio "NONSIAMOANGELI", senza separazione fra le tre parole. Tre funzioni speciali possono essere utilizzate dal programmatore per isolare i caratteri desiderati entro una stringa. La prima di queste funzioni, LEFT$ (SCATOLA$, n) produce i primi n caratteri della stringa contenuta in SCATOLA$. Ad esempio il programma: 10 SCATOL$ = "VIA REGGIO" 20 PRINT LEFT$ (SCATOL$, 6) visualizza i primi 6 caratteri (procedendo da sinistra e comprendendo lo spazio fra le due parole) del contenuto di SCA TOL$ e quindi produce il messaggio: VIA RE Allo stesso modo, RIGHT$ (SCA TOLA$, n) produce gli ultimi n caratteri della stringa contenuta in SCATOLA$. Ad esempio: PRINT RIGHT$ ("COMMEDIA", 5) visualizza la stringa MEDIA, composta dagli ultimi 5 caratteri della parola COMMEDIA. Infine la funzione MID$ (SCA TOLA$, m, n) produce n caratteri della stringa contenuta in SCATOLA$ a partire dalla posizione m. Ad esempio l'istruzione PRINT MID$ ("STRAPIOMBO", 5, 3) visualizza 3 caratteri a partire dalla posizione 5 (ossia il quinto, il sesto e il settimo carattere) della stringa indicata e quindi produce sul video il messaggio PIO Le tre funzioni che abbiamo descritto LEFT$, RIGHT$ e MID$ possono essere scritte a sinistra del segno =. In questo caso esse indicano una posizione della stringa data e l'istruzione produrrà la sostituzione di quel segmento di stringa con un altro segmento, quello descritto a destra del segno =. Esaminiamo ad esempio il programma 10 SCA$ = "PENNA" 20 MID$ (SCA$, 2, 1) = "A" 30 PRINT SCA$ Il messaggio che viene visualizzato è PANNA. Infatti l'istruzione 20 ordina la sostituzione di un carattere, il secondo, del contenuto di SCA$ con la stringa "A" e quindi scrive PANNA al posto di PENNA in SCA$. Se utilizziamo una quarta funzione del BASIC, LEN (SCA$) che fornisce il numero dei caratteri contenuti nella scatola rossa SCA$, possiamo scrivere un programma che si fa consegnare un messaggio dall'utente e sostituisce in quel messaggio la lettera A, ogni volta che essa compare, con la lettera E. 10 PRINT "INTRODUCI IL MES SAGGIO" 20 INPUT MESS$ 30 FOR M = 1 TO LEN (MESS$) 40 IF MID$ (MESS$,M,1) = "A" THEN MID$ (MESS$,M,1) = "E" 50 NEXT M 60 PRINT MESS$ 70 END Il ciclo delle istruzioni 30, 40 e 50 viene eseguito tante volte quanti sono i caratteri di MESS$. La prima volta è M = 1 e quindi viene esaminato il primo carattere di MESS$; la seconda volta, quando M = 2, si esamina il secondo carattere e poi il terzo e così via. L'istruzione 40 dice in sostanza: se il carattere che occupa la posizione M e"'A" allora nella posizione M di MESS$ poni "E". Si osservi che nell'istruzione 40 il segno = compare due volte con significati molto diversi. La prima volta il simbolo = indica proprio la relazione di uguaglianza; la seconda volta richiede una assegnazione, ossia l'attribuzione del valore a destra del segno = alla variabile indicata a sinistra. Questa utilizzazione dello stesso simbolo per indicare due cose così diverse è un difetto del BASIC che accettiamo volentieri in nome della semplicità. (continua) SUPPONIAMO di volerci fare interrogare dal calcolatore, per vedere se ricordiamo le capitali dei più importanti paesi del mondo. Scriviamo per questo un programma del tipo seguente: 10 REM PRIMA DOMANDA 20 PRINT "Qual è la capitaledella Francia?" 30 INPUT R$ 40 IF R$ = "PARIGI" THEN GOTO 130 50 REM SEGNALAZIONE DI ERRORE 60 PRINT CHR$(7); CHR$(7) 70 PRINT "La risposta è errata!" 80 FOR N = 1 TO 1000 90 NEXT N 100 PRINT "Studia di più!" 110 GOTO 200 120 REM MESSAGGIO DICONGRATULAZIONI 130 PRINT "Bravo, la risposta èesatta!" 140 FOR N = 1 TO 1000 150 NEXT N 200 REM SECONDA DOMANDA 210... ecc. Il programma contiene alcune novità che non sono di grande importanza. La prima è la PRINT CHR$(7), che compare nell'istruzione 60. CHR$(7) è il carattere che ha codice uguale a 7 nella tabellina standard dei cosiddetti "codici ASCII". Questo codice non corrisponde a un carattere alfabetico, ma a un ordine elementare per il calcolatore, ossia all'ordine di emettere un "beep" , un breve fischio. L'istruzione 60 serve quindi a produrre due fischi consecutivi, che saranno emessi per dare maggior risalto alla segnalazione di errore. Le istruzioni 80 e 90 costituiscono un ciclo "senza corpo", ossia un ciclo che viene descritto 1000 volte senza fare alcuna attività oltre all'aggiornamento del contatore N. Lo scopo di queste due istruzioni è semplicemente quello di perdere tempo, per intervallare la visualizzazione del messaggio di errore e la formulazione della domanda successiva. Il tempo necessario per l'esecuzione completa del ciclo delle istruzioni 80 e 90 è molto variabile e dipende dalla velocità del calcolatore su cui gira il programma. Un 486 a 66 MHz è almeno cento volte più veloce degli elaboratori personali della prima generazione. Chi ha la fortuna di possedere un gioiello dell'ultima generazione dovrò quindi sostituire il numero 1000 dell'istruzione 80 con un numero più grande, mentre chi è rimasto alle prime macchine lo sostituirà con un numero più piccolo. Il gioco della regolazione dell'istruzione 80 sarà molto utile anche al fine di comprendere meglio quale sia la velocità di lavoro del calcolatore che si sta usando. Il programna di interrogazione che stiamo discutendo sarà probabilmente molto lungo e sarà costituito da tanti blocchi, uno per ciascuna domanda, e ogni blocco sarà composto da sezioni, come abbiamo visto nell'unico blocco che abbiamo trascritto: la sezione di interrogazione (istruzioni da 10 a 40), la sezione di errore (da 50 a 110) e la sezione di congratulazioni (da 120 a 150). Capitale della Francia? I blocco Errore Congratulazioni Capitale della Spagna? II blocco Errore Congratulazioni ecc. Nel programma la sezione di errore comparirà, sempre uguale, in tutti i blocchi. Analogamente, la sezione di congratulazioni comparirà sempre nella stessa identica forma, tante volte quante sono le domande che si intendono porre. Appare così evidente la convenienza di organizzare il programma nel modo indicato nella figura seguente. La sezione di errore e quella di congratulazioni compaiono una volta sola, con notevole riduzione della lunghezza del programma. Interrogazione sulla capitale della Francia. Se errore GOTO 1000. Se non errore GOTO 1200 Interrogazione sulla capitale della Spagna. Se errore GOTO 1000. Se non errore GOTO 1200........ 1000: ERRORE ...... 1200: CONGRATULAZIONI......... Le sezioni "errore" e "congratulazioni" sono due primi esempi di "sottoprogrammi". Provi il lettore a riscrivere il programma nella nuova forma, usando le istruzioni di salto condizionato: IF...GOTO... L'esercizio è difficile perché occorre inventare un meccanismo per ricordare, quando si salta all'istruzione 1000 oppure 1200, dove ritornare dopo aver eseguito il sottoprogramma. L'esercizio sarà comunque molto utile perché ci aiuterà a comprendere il concetto di sottoprogramma, uno dei più importanti dell'informatica. Nella prossima scheda torneremo sull'argomento e vedremo una coppia di istruzioni che il BASIC, come tutti gli altri linguaggi di programmazione, mette a disposizione del programmatore per risolvere in modo facile il problema di saltare a un sottoprogramma e di ritornare, dopo la sua esecuzione, nella posizione corretta. (continua) di Angelo Raffaele Meo e Federico Peiretti


STRIZZA CERVELLO Furfanti e cavalieri
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 068

Un giornalista deve fare un articolo su una classica isola di furfanti e cavalieri, in cui tutti gli abitanti o mentono sempre (e sono i furfanti) o dicono sempre la verità (e sono i cavalieri). Supponiamo che il giornalista intervisti una e una sola volta tutti gli abitanti e ottenga nell'ordine le seguenti risposte: A1: «Sull'isola c'è almeno 1 furfante» A2: «Sull'isola ci sono almeno 2 furfanti»... An-1: «Sull'isola ci sono almeno n-1 furfanti» An: «Sull'isola sono tutti furfanti» Può il giornalista stabilire se sull'isola ci sono più furfanti o più cavalieri? La soluzione domani, accanto alle previsioni del tempo (Il gioco è stato presentato alle recenti Olimpiadi della Mate matica organizzate a Cesenati co dalla Scuola Normale di Pi sa)


LA PAROLA AI LETTORI CHI SA RISPONDERE? Battere la fiacca, uno scherzo tra soldati
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 068

UNA risposta più completa alla domanda sul bat tere la fiacca: Si tratta di un'espressione piemontese usata durante la Prima Guerra Mondiale dalla truppa e poi passata nella lingua corrente. Un tempo, per impartire ordini militari, si batteva il tamburo. Di qui le espressioni: battere in ritirata (retrocedere); battere la diana (svegliarsi: diana è la stella che appare a Est prima dell'alba); battere la generale (adunata). Battere la fiacca è uno scherzoso allargamento di questa serie di ordini militari. Aldo Bertolotto, Savona Perché gli uomini hanno la barba e le donne no? Il testosterone, il più importante degli ormoni maschili, regola la crescita dei peli facciali, lo sviluppo della muscolatura, la linea d'impianto dei capelli, l'abbassamento del tono di voce e ogni altro carattere sessuale secondario. La donna secerne ormoni maschili soltanto in piccolissime quantità, perché produce estrogeni. E quindi non ha la barba. Barbara Braito, Alessandria Come nascono i colori? I colori non sono altro che associazioni di molecole in grado di assorbire alcune lunghezze d'onda. La clorofilla, ad esempio, assorbe la luce violetta e quella rossa: in questo modo la luce riflessa, cioè quella che si vede, è verde. Il carotene, assorbendo la luce blu, è responsabile della luce arancione. Dal licopene dipende il rosso dei pomodori: quando un pomodoro verde matura, la clorofilla del frutto acerbo si decompone, il licopene aumenta e il frutto diventa rosso. Licopene e carotene insieme danno il colore alle albicocche. La crocetina, derivata dal licopene, è responsabile del colore dello zafferano. La zexatina contribuisce alla colorazione del granoturco, del tuorlo d'uovo e del succo d'arancia. Molti dei marroni e dei neri della natura possono essere attribuiti a una sola molecola, la melanina, nota per dare l'abbronzatura all'epidermide umana e contribuire alla pigmentazione dei capelli. Massimiliano Giacone Savigliano (CN) Il colore è una percezione sensoriale dovuta a radiazioni elettromagnetiche in grado di stimolare la retina dell'occhio. Ciascuna radiazione monocromatica, cioè di lunghezza d'onda specifica, comporta la visione di un determinato colore. La cosiddetta luce «bianca» contiene tutte le radiazioni monocromatiche disposte con la stessa proporzione. Per quanto siano infinite, si considerano generalmente sette zone dello spettro luminoso corrispondenti a bande di radiazione, cioè i colori dell'iride: rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, indaco, violetto. Graziella Covacci Moncalieri (TO) Che differenza c'è fra batteri e virus? I batteri sono organismi unicellulari e vivono in ambienti ossigenati e non. Sono formati da una parete cellulare che racchiude al suo interno un nucleo con un solo cromosoma. Sono responsabili di parecchie patologie per l'uomo, gli animali e le piante, tra le quali la Tbc, il tifo e il colera. Hanno anche una certa utilità, in quanto producono vitamine e antibiotici e sono una concimazione naturale del terreno. I virus sono invece microrganismi parassiti. Si riproducono invadendo la cellula ospite e determinano gravissime malattie infettive sia nell'uomo (poliomielite, vaiolo, encefalite) sia in piante come pomodori, viti, pesche. Di dimensioni piccolissime, possono attraversare barriere anatomiche insuperabili, raggiungendo centri importantissimi con effetti devastanti. Ignazio Conti, Cuneo Il problema Una pesata non semplice può, a mio parere, essere risolto in modo più semplice e rapido. Con la prima pesata si dividono i 120 kg in due parti uguali di 60 kg Con la seconda pesata, dopo aver posto il peso da 5 kg su un piatto della bilancia, si dividono i 60 kg di cemento in modo da ottenere due pesi uguali da 32,5 Kg di cemento, uno interamente in cemento, l'altro composto dal peso da 5 Kg più 27,5 kg di cemento. Giacinto Buscaglia, Savona QE' vero che i raggi solari filtrati dal vetro (una finestra o un finestrino di macchina) non abbronzano? Gianni Genua QPerché, infilando un cucchiaino nel collo di una bottiglia contenente una sostanza gasata (ad es., spumante), questa non si sgasa? QPerché, se si fissa un colore per qualche minuto e poi si trasferisce lo sguardo altrove, appare il suo complementare? Onorato Rava QPerché gli uccelli hanno becchi diversi? Risposte a: «La Stampa-Tuttoscienze», via Marenco 32, 10126 Torino. Oppure al fax numero 011-65.68.688


Scaffale Boncinelli Edoardo: «Biologia dello sviluppo», NIS
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: BIOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 066

Edoardo Boncinelli dirige il laboratorio di biologia molecolare al Dibit del San Raffaele di Milano ed è un ricercatore di punta. E' però anche un professionista della divulgazione «alta». Lo dimostra bene questo libro, che riassume con chiarezza ed estremo aggiornamento quanto oggi si sa della cellula, della sua riproduzione, del suo differenziamento e dei suoi linguaggi chimici per comunicare con le altre cellule. Nella stessa collana, «Determinismo e caos» di Angelo Vulpiani.


Scaffale Landò Luca: «Ne ho ammazzati novecento», Baldini & Castoldi
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 066

«Ne ho ammazzati novecento. Confessioni di un tagliatore di teste» è un'opera di narrativa autobiografica, scritta con humour e felina agilità. Non ci si stupisca però di vederla segnalata in queste pagine: a parte la prefazione di Carlo Rubbia, l'autore, Luca Landò, oggi uno dei migliori giornalisti scientifici ma ieri giovane ricercatore all'Università di Berkeley, ci descrive infatti l'avventura di un neurobiologo che, giunto dall'Italia nella mitica California, cerca di inserirsi in un mondo scientifico dominato dalla competizione più ancora che dalla competenza, e dalla nevrosi più ancora che dalla competizione. Ne viene fuori, quindi, uno spaccato di sociologia della scienza americana. Il lettore impressionabile si rassicuri: le teste tagliate del sottotitolo sono quelle di gamberetti e calamari dai quali venivano ricavati i neuroni da studiare. Piero Bianucci


IN BREVE Archeologia a Piacenza
ARGOMENTI: ARCHEOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

In agosto si svolgerà una campagna di scavi a Veleia, sull'Appennino in provincia di Piacenza. Veleia fu fondata dai Romani nel primo secolo avanti Cristo. La scoperta dei primi resti archeologici risale alla seconda metà del Settecento.


IN BREVE Insetti di laguna in mostra a Venezia
ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

Il Museo di storia naturale di Venezia ospita fino al 29 maggio la mostra «Insetti ovunque», di cui ci siamo già occupati. L'edizione veneziana è arricchita da una sezione dedicata alle 5000 specie di insetti specifici della laguna veneta.


IN BREVE Un parco europeo nel Carso?
ARGOMENTI: ECOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: TEKNOS
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

La rivista «Teknos», da questo mese in edicola, ha promosso un convegno per la creazione di un Parco europeo del Carso tra Italia, Croazia e Slovenia. Gli aspetti interessanti della zona sono di vario tipo: ambientale, geologico, botanico, zoologico e paleontologico.


IN BREVE Convegno su città e laghi alpini
ARGOMENTI: ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

Il 19 e 20 maggio si svolgerà in Francia, a Aix-les-Bains, un convegno sul tema «Laghi alpini e ambiente urbano».


IN BREVE Forlì capitale della preistoria
ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

Si terrà in Italia, a Forlì, dall'8 al 14 settembre 1996 il 13 congresso mondiale dell'Unione internazionale delle scienze preistoriche e protostoriche.


EMICRANIA Attacco frontale E le tempie pulsano senza ragione
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 068

Un minuto o poco più, ed ecco la fotografia bell'e stampata. Com'è possibile? La macchina Polaroid non usa un rullino, ma un pacchetto di dieci fotogrammi 8x10. Ognuno contiene uno strato positivo (sul quale si formerà l'immagine finale) e un negativo sottostante fatto di una ventina di strati che contengono tutte le sostanze chimiche sensibili ai colori e tutte le tinte che occorrono per produrre una foto a colori. Il negativo e il positivo sono sigillati insieme. Lungo il bordo, in una piccola scanalatura sono stivati i reagenti. Una volta presa la foto, il fotogramma viene espulso dalla macchina passando attraverso due rullini che aprono la scanalatura e spruzzano i reagenti tra lo strato positivo e quello negativo. I reagenti colano fra gli strati sciogliendo le sostanze chimiche e dando l'avvio al processo di sviluppo dell'immagine.


CHI SA RISPONDERE?
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 068

- E' vero che i raggi solari filtrati dal vetro (una finestra o un finestrino di macchina) non abbronzano? Gianni Geuna. - Perché, infilando un cucchiaino nel collo di una bottiglia contenete una sostanza gasata (ad es. spumante), qusta non si sgasa? - Perché, se si fissa un colore per qualche minuto e poi si trasferisce lo sguardo altrove, appare il suo complementare? Onorato Rava. - Perché gli uccelli hanno becchi diversi?




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