TUTTOSCIENZE 4 maggio 94


Che strana ala, cavaliere Specie rare all'Oasi di Sant'Alessio
Autore: M_VER

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI
NOMI: SALOMON HARRY, SALOMON ANTONIA
LUOGHI: ITALIA, SANT'ALESSIO (PV)
NOTE: 061

QUANDO sarà un po' più grande gli smagriranno l'ala, al cavaliere d'Italia, e lo costringeranno a non allontanarsi troppo dallo stagno dov'è nato, poco lontano da Pavia, al Castello di Sant'Alessio. Non è per cattiveria: solo così lui, nato nelle dolcezze della cattività, imparerà gradualmente la difficile arte di cavarsela in campo aperto. Da un paio di settimane, questa bellissima oasi privata dove le voliere dei falchi pellegrini e degli ibis sono magline di rete pressoché invisibili sotto le cime degli alberi, le cicogne passeggiano dietro il portone insieme agli aironi cinerini e i fenicotteri rosa beccano sott'acqua dietro uno schermo di bambù, è aperta al pubblico ogni fine settimana (tel. 0382.94.139). L'oasi non è una collezione di animali rari, anche se sono loro i protagonisti. Da una ventina d'anni, Antonia e Harry Salomon, che di professione fanno i galleristi, allevano specie protette per reintrodurle in natura. E il successo li ha premiati, il che non è così scontato: il difficile non è tanto allevare pulcini, quanto prepararli all'indipendenza in un territorio ostile. La vita artificiale è infatti un ombrello che li protegge dalle insidie del mondo e sviluppa competizioni e preferenze diverse. Lasciati liberi, questi animali non sono in grado di cavarsela e soccombono molto rapidamente. A Sant'Alessio sono state messe a punto tecniche di riproduzione molto particolari, che educano gradualmente alla libertà. Così oggi le cicogne fanno il nido sui tetti del paese e le avocette vanno a colonizzare il resto della regione.(m. ver.)


UN CASO ESEMPLARE Le rane simbolo dell'Ecuador
Autore: TIBALDI ALESSANDRO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, ZOOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 061

NEGLI ultimi anni si parla molto di biodiversità, generalmente intesa come varietà di specie viventi. Si è portati così subito a pensare alle migliaia di specie animali ancora esistenti e alla necessità di salvaguardarle per le generazioni future. Ma perché fare questo sforzo immane? In fondo, anche se si estingue qualche specie, che riflesso può avere per l'uomo? Un contributo per spiegare questo problema è stato dato recentemente da padre Giovanni Onore, uno scienziato missionario di fama internazionale che vive da undici anni in Ecuador, dove insegna zoologia all'Università Cattolica. Onore ha tenuto tempo fa una conferenza al collegio S. Maria di Verbania annunciando che una specie particolare di rana, grossa e nera, conosciuta in Ecuador con il nome di «jambato», è stata la protagonista di un fenomeno scientifico misterioso e inquietante. Fino alla fine degli Anni 80 queste rane erano diffusissime, soprattutto in una regione come le Ande, che rappresentano uno dei pochi posti al mondo ancora considerabili a livello minimo di inquinamento. Oggi invece esiste appena una dozzina di queste rane, conservate a Quito, Parigi e New York. La loro pelle estremamente delicata è sensibile ai più piccoli cambiamenti dell'ambiente e ciò ha condotto in pochi anni questi animali alla soglia dell'estinzione perché direttamente colpiti da qualcosa che sta cambiando, o perché è rapidamente venuto a mancare qualche fondamentale fattore della loro catena di alimentazione. Si è quindi scoperto che le rane jambato erano - e bisogna sottolineare il tempo passato - dei bioindicatori ultrasensibili, in grado di «annunciare» mutamenti ambientali che avvengono a velocità molto elevate. Una importante iniziativa di padre Onore è inoltre tesa a preservare la biodiversità integrale di un microcosmo quale la foresta pluviale ecuadoriana: si sta battendo per salvare un pezzo di giungla della regione di Otonga e gli indigeni che ci vivono, in lizza con gli interessi economici e politici locali e osteggiato dal traffico internazionale di legni pregiati. La salvaguardia della biodiversità, intesa come preservazione di minoranze etniche in coesistenza con tutte le specie vegetali ed animali esistenti nella regione, verrà assicurata tramite l'acquisto, ettaro per ettaro, con i contributi della gente comune, di questo frammento di foresta equatoriale e la sua intestazione agli indios Tapia con vincolo a riserva naturale. I Tapia hanno già legato per testamento questa terra ai figli ad uso riserva. Il costo dell'operazione, a cui chiunque può aderire, è stimato in circa cento milioni di lire, e prevede, oltre all'acquisto di 300 ettari di foresta, la costruzione di una piccola base logistica per i visitatori della riserva, di una scuola per gli indigeni e, soprattutto, il proseguimento di donazioni di borse di studio ad alcuni giovani Tapia per prepararsi come futuri guardaparco e guide per turisti. Lo scopo principale è di salvare un pezzetto di mondo intatto, dove convivono in equilibrio esseri umani, centinaia di specie di uccelli e mammiferi, migliaia di invertebrati, piante di ogni genere, e dove l'indigeno conosce più specie di quante gli scienziati siano ancora riusciti a catalogare. Questa è la biodiversità e questo è lo scopo della lotta per l'ambiente: salvare quello che conosciamo in tutta la sua varietà di forme viventi, e anche quello che c'è ancora di nascosto. Prima che si estingua. Alessandro Tibaldi Università di Milano


NEUROSCIENZE Addio a Sperry, esploratore dei due cervelli Scoperse la specializzazione degli emisferi cerebrali ed ebbe il Nobel
AUTORE: BERLUCCHI GIOVANNI, STRATA PIERGIORGIO
ARGOMENTI: BIOLOGIA, PSICOLOGIA, MORTE
PERSONE: SPERRY ROGER WOLCOTT
NOMI: SPERRY ROGER WOLCOTT
LUOGHI: ESTERO, USA, CALIFORNIA, PASADENA
NOTE: 061

POCHI giorni fa è scomparso Roger Wolcott Sperry, professore emerito di psicobiologia al California Institute of Technology di Pasadena, una delle figure più significative fra gli studiosi del sistema nervoso di tutti i tempi. Nato a Hartford nel Connecticut nel 1913, aveva ricevuto il Premio Nobel nel 1981 per i suoi fondamentali studi sulla specializzazione funzionale degli emisferi del cervello umano. Sperry ha fornito un contributo decisivo al cambiamento delle concezioni sull'asimmetria funzionale degli emisferi cerebrali. Fin dalle scoperte anatomo-cliniche di Dax, Broca e Wernicke nel secolo scorso, queste concezioni erano improntate alla dottrina della dominanza assoluta dell'emisfero sinistro, riconosciuto come il substrato fondamentale delle funzioni cerebrali per il linguaggio e per i processi cognitivi. Le ricerche di Sperry hanno invece dimostrato che entrambi gli emisferi cerebrali partecipano all'attività mentale, pur con specializzazioni funzionali diverse e complementari. Anche l'emisfero destro possiede un'ampia gamma di capacità cognitive che pur non esprimendosi attraverso il linguaggio sottendono tuttavia forme elaborate di ideazione e di ragionamento, qualitativamente diverse, ma non inferiori a quelle dell'emisfero sinistro. Gli esperimenti che hanno portato a queste nuove concezioni sono stati eseguiti su pazienti con cervello «diviso», cioè con sezione del corpo calloso formato da fibre che collegano i due emisferi cerebrali. Precedenti esperimenti su gatti e scimmie avevano provato che il corpo calloso è necessario per trasferire a ciascun emisfero informazioni di senso inviate selettivamente all'altro emisfero, permettendo così l'unificazione cognitiva dei due emisferi. Con tecniche analoghe a quelle applicate sugli animali, egli dimostrò che nei pazienti con cervello diviso le informazioni sensoriali limitate ad un solo emisfero davano origine ad esperienze coscienti inaccessibili all'altro emisfero, tanto da suggerire l'esistenza di due menti separate sotto la stessa volta cranica. A Sperry va anche riconosciuto il merito di aver rivelato nei suoi studi giovanili, degni anch'essi del Nobel, alcuni principi fondamentali che regolano lo sviluppo del sistema nervoso. Le complesse connessioni selettive fra le miriadi di neuroni del cervello adulto si organizzano già prima della nascita sulla base di complessi codici chimici sotto il controllo di istruzioni genetiche. Su questo primo livello di organizzazione l'ambiente esercita poi le sue importanti azioni di raffinamento e di mantenimento dell'organizzazione cerebrale. In accordo con le idee di Sperry, David Hubel e Tornsten Wiesel, con lui vincitori del premio Nobel, hanno dimostrato che l'organizzazione della parte visiva del cervello è almeno in parte predisposta alle funzioni della vista già durante la vita intrauterina, quando nessun segnale luminoso raggiunge gli occhi. La grandezza di Roger Sperry non si limita alle sue fondamentali scoperte scientifiche. Già dagli Anni 60 era divenuto famoso come neurofilosofo per aver sostenuto un'ipotesi di monismo emergentista che aveva perfezionato successivamente fino alla sua scomparsa. Si tratta di «una nuova forma di monismo in cui le entità mentali hanno un ruolo emergente e causale, in cui non è data esperienza cosciente al di fuori del cervello, nè vi è posto per un'entità disincarnata, la si voglia chiamare coscienza, mente o spirito». Per citare un suo esempio: la geometria di una ruota emerge da una particolare disposizione delle molecole che compongono la ruota stessa, ma a sua volta condiziona la traiettoria che le molecole percorrono durante il movimento della ruota: «Rispetto agli eventi interni alla ruota, le molecole sono guidate dalle consuete leggi fisico-chimiche. Rispetto al resto del mondo, il comportamento delle molecole è dettato, per lo più, dalle macroproprietà della ruota presa nel suo insieme». Già nel 1965 egli scriveva: «La potenza causale di un'idea o di un ideale diventa non meno causale di quella di una molecola, di una cellula o di un impulso nervoso... L'errore ormai secolare del materialismo scientifico consiste precisamente nell'avere ignorato questa seconda forma di causazione». Il paradigma «macromentale» di Sperry sostiene dunque che tutte le differenti e ricche qualità dell'esperienza e tutte le forze vitali e mentali dell'individuo e della società, legate a multiformi interessi, propositi ed impegni personali e collettivi, devono acquistare agli occhi della scienza una dignità ontologica ed un potere causale paragonabili a quelli degli atomi e delle particelle subatomiche e delle loro interazioni. Se accettiamo questa impostazione, il mondo in cui viviamo e il nostro stesso essere ci appariranno governati non solo «dal basso», cioè dalle leggi della fisica e della chimica, ma anche governabili, e in modo assai più influente e denso di significati trascendenti, «dall'alto», cioè dalla forza dei valori umani. Giovanni Berlucchi Università di Verona Piergiorgio Strata Università di Torino


BIODIVERSITA' Foresta della vita Una ricerca in Amazzonia
Autore: BOZZI MARIA LUISA

ARGOMENTI: ECOLOGIA, ZOOLOGIA
NOMI: WILSON EDWARD
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 061

QUANTO deve essere grande una foresta per conservare intatta almeno per cento anni la varietà di specie di piante e di animali che ospita? A questa domanda essenziale per l'ecologia si prefigge di rispondere un interessante esperimento che doppierà il secolo e che sarà il più grande mai tentato in tutta la storia delle scienze biologiche. Stiamo parlando del «Forest Fragments Project», che viene attuato nella zona del bacino amazzonico brasiliano a Nord di Manaus, dove le seghe elettriche e gli incendi aprono varchi sempre più grandi nella foresta pluviale tropicale per far posto a magri terreni destinati alla coltivazione. Dal momento che la legge brasiliana impone a ogni proprietario terriero di risparmiare il 50 per cento della foresta in suo possesso, Thomas E. Lovejoy della Smithsonian Institution ha ottenuto di istituire una sorta di gigantesco laboratorio per lo studio della diversità biologica, frammentando la foresta residua in lotti di area variabile da uno a mille ettari. Dal 1979 alcuni biologi sono al lavoro armati di taccuini e di lenti di ingrandimento, sospesi con imbragature da alpinisti a trenta metri da terra in mezzo alle cime degli alberi più alti, appollaiati sui rami di quelli a mezza altezza o immersi dentro il fango del piano terreno. Registrano le varie specie di insetti, ragni, scorpioni, anfibi, rettili, molluschi, uccelli e mammiferi; nonché di alghe, muschi, felci, epatiche e funghi, fino ai giganteschi alberi di alto fusto. Iniziato nel 1979, l'esperimento nel primo decennio di svolgimento ha messo in evidenza che un lotto di foresta può sostenere solo un ben determinato numero di animali e piante, in quanto la quantità di specie è correlata con la sua area («effetto isola»: le specie raddoppiano se l'area aumenta di dieci volte) e che estinzione e sopravvivenza si intrecciano in una rete di complicati rapporti. I dati sono riportati da Edward O. Wilson ne «La diversità della vita» (Rizzoli, 1993), il libro in cui questo famoso zoologo ha riversato tutta l'esperienza che gli deriva da anni di impegno in difesa della biodiversità. Con la straordinaria capacità di sintesi che lo caratterizza e con una conoscenza naturalistica fuori del comune, Wilson dà uno spaccato dei dati finora acquisiti con gli strumenti di una nuova scienza, la biologia della conservazione, e lancia un grido di allarme sulla sesta estinzione di massa della storia della vita, preannunciata per i prossimi decenni e determinata non già dalla caduta di un meteorite, bensì dall'esplosione demografica di un'unica specie, la nostra. Secondo Wilson, nelle isole di foresta più piccole (meno di 10 ettari) in dieci anni si è avuta una caduta drammatica della biodiversità, con una serie di eventi in successione a cascata. Alla base di tutto, un fenomeno non previsto: esposta ai venti diurni, la vegetazione a più piani del folto della foresta morì disseccandosi, dalla zona di confine fino a una profondità di cento metri, e venne sostituita da piante più resistenti al vento. La distruzione di questo habitat portò come conseguenza la fine delle farfalle amanti delle zone d'ombra, nonché delle api deputate alla fecondazione delle orchidee, queste ultime per la riduzione degli alberi di alto fusto, sui quali appunto le orchidee crescono. Le formiche legionarie (Eci ton), che hanno bisogno di appezzamenti di almeno 10 ettari per le loro scorrerie, scomparvero trascinandosi dietro gli uccelli (Formicaridi) che le seguono nutrendosi degli insetti in fuga di fronte all'avanzare dell'armata. Le scimmie che si nutrono di frutta abbandonarono queste piccole sacche di foresta in seguito alla riduzione della loro fonte di cibo, mentre rimasero le urlatrici rosse, che invece amano le foglie. I mammiferi di grandi dimensioni come il margay, il giaguaro, il puma e il pecari - bisognosi di grandi quantità di cibo - scomparvero del tutto. Alla fine degli Anni 80 fu evidente che la diminuzione dei mammiferi e degli uccelli aveva portato una drastica riduzione di carogne e di sterco, alla quale seguì il calo del numero di specie e di individui degli scarabei, nonché la riduzione della dimensione corporea di quelli sopravvissuti. L'influenza di questo fenomeno sulla diffusione dei parassiti presenti nello sterco e nelle carogne sarà evidente nei prossimi anni. «All'umanità, che l'ha trattata così male, ogni specie dà il suo addio in un modo particolare» dice Wilson. Così ci saluta un pappagallo brasiliano, l'ara di Spih (Cyanopsitta spi hi): l'ultimo individuo è un maschio che esplora ogni cavità di albero alla ricerca di una femmina della sua specie, lanciando tutti i segnali del corteggiamento nel disperato tentativo di accoppiarsi. Maria Luisa Bozzi


IL FUTURO DEL CERN I fisici vogliono restare al Top Dopo la scoperta negli Usa del sesto e ultimo quark l'Europa deve decidere la costruzione dell' acceleratore Lbc
Autore: FERRARA SERGIO

ARGOMENTI: FISICA, RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: CERN
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 062

C'E' un nuovo momento di grande euforia per la fisica fondamentale che studia la struttura della materia nel campo dell'infinitamente piccolo. La settimana scorsa, simultaneamente negli Stati Uniti, in Italia e in Giappone è stata data la notizia della scoperta del quark Top, l'ultimo mattone di materia mancante per la completa conferma del «modello standard» delle interazioni nucleari e elettrodeboli la cui formulazione teorica procurò il premio Nobel a Glashow, Salam e Weinberg nel 1979. La verifica sperimentale di questa teoria, ottenuta al Cern con la scoperta della «luce pesante» , cioè delle particelle portatrici assieme al fotone, delle forze elettrodeboli, valse il premio Nobel a Carlo Rubbia (con Van der Meer) nel 1984. La scoperta del quark Top è avvenuta al Fermilab, in Illinois, vicino a Chicago, dove funziona un acceleratore (chiamato Tevatron, vedi «Tuttoscienze» di mercoledì scorso) capace di ottenere un'energia totale di 1800 Gev nelle collisioni protone-antiprotone. La massa misurata di questa particella è di circa 174 Gev: ci troviamo dunque di fronte alla particella di gran lunga più pesante tra i costituenti fondamentali della materia (un GeV equivale a un miliardo di elettronvolt). Il rivelatore che ha permesso di osservare il quark Top viene indicato dai fisici con la sigla «Cdf» ed è stato costruito con fondi americani, giapponesi e italiani (tramite l'Infn, l'Istituto nazionale di fisica nucleare, il cui attuale presidente Luciano Maiani predisse, insieme con Glashow e Iliopoulos, uno degli altri cinque tipi di quark, il «Charm quark», scoperto venti anni fa in America). Sempre nell'ambito della fisica delle alte energie, è importante ricordare che la settimana scorsa in una sessione straordinaria del consiglio del Cern, l'organo che finanzia, coordina e decide i programmi scientifici dell'organizzazione europea per la ricerca subnucleare con sede a Ginevra, è stata adottata all'unanimità una importante risoluzione che prevede l'approvazione finale del progetto Lhc (Large Hadrom Collider) entro giugno di quest'anno. Questa sarà, per almeno venti anni, la più potente macchina acceleratrice mai costruita dall'uomo. La scoperta del Top e l'approvazione del Lhc aprono nuove prospettive per la ricerca fondamentale, alle soglie del ventunesimo secolo, con affascinanti potenziali scoperte, come la fantomatica «particella di Higgs» (responsabile di tutte le masse delle particelle) e la Supersimmetria, che prevede un nuovo mondo subnucleare vicino all'energia del Tev (1000 Gev). Le masse delle nuove particelle subnucleari, predette dalla Supersimmetria, sono intimamente connesse alla massa del Top e della «particella di Higgs». La fisica sperimentale in questo campo avrà probabilmente una programmazione, nei prossimi anni, non più su scala continentale ma mondiale: lo indica anche la recente risoluzione del Consiglio del Cern per Lhc dove vengono auspicate forme di partecipazione al progetto non solo scientifiche ma anche finanziarie, di Paesi extraeuropei come Stati Uniti, Canada e Giappone. Per concludere, un commento generale sulla relazione tra fisica teorica e sperimentale, un tema già dibattuto di recente su questo giornale. Molte delle teorie fisiche formulate in questo secolo hanno preceduto di gran lunga l'esperimento che le ha poi verificate. Questo non vale solo per il «modello standard», ma anche precedentemente per teorie che implicarono vere rivoluzioni concettuali, come la relatività generale formulata da Einstein e l'esistenza dell'antimateria predetta da Dirac. Le teorie più recenti, sviluppate in questi ultimi venti anni, come la Supersimmetria, la Supergravità e le Corde, cercano di estrapolare le teorie attuali basandosi su principi di simmetria e consistenza matematica interna, che dovrebbero permettere di spiegare alcune proprietà «misteriose» del modello standard e la relazione di tale teoria con quella della gravitazione. E' probabile che la Supersimmetria verrà scoperta nei prossimi dieci anni e questa eventuale impresa potrebbe, per importanza, paragonarsi alla scoperta dell'antimateria e avrebbe conseguenze e applicazioni oggi forse inimmaginabili. Per ricordare una famosa frase di Einstein, «la fondazione assiomatica di una teoria fisica non può estrarsi dall'esperimento ma deve essere liberamente inventata». Ciò ovviamente non significa che la fisica sperimentale non sia altrettanto fondamentale, perché è l'osservazione che permette alla fisica teorica di progredire e svilupparsi in una direzione piuttosto che in un'altra, in modo tale da comprendere i fenomeni già osservati. Tuttavia il significato della frase di Einstein è che la formulazione di una teoria fisica fondamentale viene per lo più da una richiesta di bellezza estetica, semplicità e consistenza matematica, prescindendo da un'osservazione sperimentale di facile verifica o da un fenomeno naturale di facile interpretazione. Sergio Ferrara Cern, Ginevra


OTTICA Il miraggio di quei canali su Marte
Autore: PRESTINENZA LUIGI

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, OTTICA E FOTOGRAFIA
NOMI: SHEEHAN WILLIAM, SCHIAPARELLI GIOVANNI, CERULLI VINCENZO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 062

IN piena civiltà dell'immagine, può sembrare strano dubitare dei nostri occhi. Eppure a livello scientifico è ben dimostrato che la vista non sempre si può considerare affidabile in condizioni di illuminazione particolari («visione povera») o quando due oggetti sono così lontani da superare il potere risolutivo dell'occhio, che è di circa 60 secondi d'arco, nelle migliori condizioni. Un caso di eccessiva fiducia nella visione, questa volta attraverso un telescopio, è quello ben noto dei pretesi «canali» di Marte. Ce lo ricorda un ottimo libro in arrivo dall'America: «Planets and perception» di William Sheehan, pubblicato dall'Arizona University Press e che varrebbe sicuramente la pena di tradurre nella nostra lingua: anche perché fra i personaggi dell'interessante rievocazione ci sono due nostri illustri studiosi del cielo, Giovanni Schiaparelli e Vincenzo Cerulli. Schiaparelli, l'astronomo di Savigliano divenuto direttore del glorioso Osservatorio milanese di Brera, fu tra i primi a cimentarsi seriamente con gli aspetti che il pianeta Marte va offrendo nel ciclo dei suoi periodici avvicinamenti alla Terra, non tutti ugualmente favorevoli per le caratteristiche dell'orbita del pianeta, sufficientemente eccentrica perché la distanza minima fra Marte e la Terra vari da 56 a un centinaio di milioni di chilometri: il che significa vederlo quattro volte più piccolo in una opposizione afelica anziché perielica. Nel settembre del 1877 Marte era pressoché alla minima distanza e Schiaparelli, che da due anni disponeva di un telescopio Merz di 22 centimetri degno delle sue capacità di osservatore, si accorse, scrutando il pianeta, che molto c'era da fare per migliorare la conoscenza del suo aspetto fisico, contrassegnato da regioni brillanti color ocra e da macchie oscure, fra il bruno e il grigio verdastro: «terre» e «mari» in un mondo che presenta bianche calotte polari e stagioni simili a quelle della Terra. L'assidua opera dell'osservatore di Brera produsse una delle prime mappe del pianeta, iniziata con una nuova determinazione dell'inclinazione del suo asse di rotazione e con la misura micrometrica di 62 punti di riferimento cui appoggiare la costruzione di un planisfero. Pubblicato nel giugno 1878, il lavoro di Schiaparelli fu molto apprezzato, tanto che qualche anno dopo il governo accettava la sollecitazione dei Lincei per dotare Brera di un rifrattore più potente, di 49 centimetri d'apertura: entrò in funzione nel 1886. Ma, allontanandosi il pianeta, nello sforzo di percepire ombre e semitoni sempre più deboli, Schiaparelli finì per sintetizzare molti dettagli minori e sfumature al limite della percezione in linee rette sempre più rigide: già il padre Secchi le aveva chiamate «canali». Fu l'inizio di una lunga e dura polemica con molti altri provetti osservatori, inglesi e di altre nazionalità, decisi nel negare che Marte offrisse aspetti così geometrici. La polemica si arroventò quando l'americano Percival Lowell definì i «canali» come corsi d'acqua costruiti artificialmente per salvare dalla siccità un mondo assetato, il che implicava la presenza di marziani intelligenti e organizzati. Ma i «canali» c'erano realmente? Toccò all'inglese Maunder e al nostro Cerulli, fondatore dell'Osservatorio di Collurania (Teramo) dimostrare irrefutabilmente che le linee rette e altre forme geometriche su Marte erano una «costruzione» dell'occhio su particolari al limite della percezione: non dunque la visione era errata ma l'interpretazione di ciò che si vedeva. E le osservazioni del grande planetologo Antoniadi nel 1909 e poi nel 1924 (avvicinamenti fra i più favorevoli) diedero pienamente ragione ai negatori dei «canali», che restano comunque un capitolo appassionante di psicologia della visione: come appunto ci ricorda nel suo ottimo saggio William Sheehan, pur ignorando (per difetto di riferimenti nella letteratura scientifica anglosassone) che negli ultimi suoi anni pure il vecchio Schiaparelli aveva accettato, in una lettera del 1907 a Cerulli, la giusta interpretazione di ciò che per primo aveva «visto», collocandolo come tappa della visione verso la realtà. Luigi Prestinenza


DATI CEE Dal Sole energia e 500 mila posti di lavoro Un grande futuro per le celle fotovoltaiche
Autore: VICO ANDREA

ARGOMENTI: ENERGIA, PROGETTO, LAVORO
NOMI: PAPAZOI ELIZABETH, CLIMI CORRADO
ORGANIZZAZIONI: CEE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 062

CON lo sviluppo dell'energia fotovoltaica, in 10 anni in Europa si potrebbero creare 500 mila nuovi posti di lavoro. Il tedesco Hermann Scheer non ha dubbi: «Nella Cee si impiantano ogni anno impianti fotovoltaici per 15 megawatt. Raddoppiando gli sforzi, e incentivando la costruzione di celle fotovoltaiche come sta avvenendo in Giappone, entro il 2005 si potrebbero avere 15 mila megawatt (l'equivalente di 15 centrali nucleari di media taglia), riducendo di conseguenza anche il costo dell'energia elettrica». L'Italia ha il parco fotovoltaico (5100 Kw) più consistente della Cee, ha spiegato Elizabeth Papazoi, presidente del Consiglio per l'Ambiente dell'Unione europea (intervenuta, con Hermann Scheer, alla dodicesima conferenza europea sull'energia fotovoltaica che si è tenuta nella prima metà di aprile ad Amsterdam), la Grecia è la prima nel solare termico e la Danimarca è all'avanguardia per i suoi generatori eolici (744 gigawattora complessivi). Ma queste potenzialità sono ancora tutte da sfruttare e con investimenti minimi si potrebbero incrementare addirittura del 200-300 per cento: è questo il primo obiettivo di un nuovo piano quadriennale di ricerca (1995-1998) che dedicherà due terzi delle risorse allo sviluppo delle fonti rinnovabili. Negli stessi giorni a Cogne, un altro convegno organizzato dalla Regione Valle d'Aosta e dalla direzione generale XIII della Cee, ha fatto il punto sui collettori solari, i piccoli impianti termici per la produzione privata di energia utilizzabili in montagna, dove è costoso far arrivare i tralicci dell'Enel, ma dove l'insolazione è più intensa che in pianura. Non si parla di impianti per la produzione massiccia di energia termica, ma di piccoli impianti per le economie locali o per attività specifiche: i rifugi, che lavorano quasi esclusivamente d'estate e le baite dei margari. Tutto ciò in sintonia con il Protocollo energia che è in fase di definizione in margine alla Convenzione internazionale per la protezione delle Alpi. Nell'ultimo decennio nella Comunità sono stati installati collettori per 3 milioni di metri quadri, che hanno prodotto l'energia di circa mezzo milione di tep ad un costo medio di 165 lire per Kw/h. In Italia esistono collettori per 350 mila metri quadrati (circa la superficie di quattromila appartamenti di medie dimensioni), in buona parte installati durante la campagna dell'Enel «Acqua calda dal sole». Ogni impianto «familiare» costa 5-6 milioni di lire ed eroga 300 litri d'acqua calda al giorno. Si tratta di impianti che non inquinano in nessun modo; che, con il risparmio sulla bolletta, si ammortizzano in meno di 5 anni; che non richiedono manutenzione e sono completamente automatici. Tra il 1984 e il 1986 l'investimento era finanziato per i due terzi da un mutuo pubblico, ma, nel momento in cui si è conclusa la campagna Enel, il mercato dei collettori solari è crollato. «Assolutamente non pretendiamo dal nuovo Parlamento nuovi e cospicui finanziamenti» spiega Corrado Climi, direttore generale del ministero dell'Ambiente. «Per rilanciare l'impiego dei collettori solari da parte dei privati (e per incrementare lo sviluppo delle energie alternative in genere) bastano gli sgravi fiscali, basta una normativa che affermi: coloro che si impegnano a investire di tasca propria montando un collettore sul tetto di casa avranno uno sconto sulla dichiarazione dei redditi e sulla bolletta della luce. A quel punto chiunque si accorge che tra le agevolazioni fiscali e il risparmio dovuto al rendimento energetico del collettore (che è notevole), in pochi anni si ripaga ampiamente l'investimento iniziale». Non serve nemmeno una nuova legge: in parecchi punti la variegata disciplina in fatto ambientale parla di incentivi di tipo fiscale. «Ma le stesse normative sono poi così intricate che pretenderne l'applicazione, da parte del cittadino diventa scoraggiante», prosegue Climi. «Alcune leggi italiane in fatto di ambiente sono ottime, ma inapplicate: occorre disinquinare la legislazione ambientale, semplificare le procedure. La burocrazia ci danneggia non poco a livello comunitario perché i cittadini e le aziende non riescono a ottenere quei finanziamenti Cee di cui in altri Paesi, con regolamenti più agili, tutti si avvantaggiano. E ci rimettiamo: se l'Italia finanzia con 100 lire le casse della Comunità, ciò che torna agli italiani è meno di 35 lire». Andrea Vico


ARCHITETTURA BIOCLIMATICA Vorrei vivere in una casa così In mostra sogni e disegni di bambini e architetti
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: URBANISTICA, ECOLOGIA, DIDATTICA, EDILIZIA, BAMBINI, MOSTRE
ORGANIZZAZIONI: ARCHITETTURA E NATURA
LUOGHI: ITALIA, TORINO (TO)
NOTE: 063

UNA mostra di architettura dedicata ai bambini? «Dedicata ai bambini, a tutti i nostri figli di ogni razza e colore, che già stanno pagando un tributo pesante agli errori passati, e che erediteranno il mondo che noi sapremo lasciargli». Ecco dunque perché. Ed ecco, anche, il manifesto programmatico di «Architettura & Natura», alla Mole Antonelliana di Torino fino al 3 luglio, esposizione di oggetti, idee, provocazioni per un progetto del futuro sostenibile «nella considerazione dei problemi ambientali». E' promossa dall'associazione culturale «Architettura e Natura» di Milano, ideata da Letizia e Serena Omodeo Salè con il contributo di Aem, Italgas, Valcucine, La Stampa, Toro Assicurazioni. Il punto di partenza è fortemente critico: è in discussione il modello stesso della crescita delle società avanzate con il suo strascico di diseguaglianze, spreco di risorse, violenza all'ambiente. Alla base dell'esposizione (anche in senso fisico, perché costituisce il punto di partenza del percorso di visita) ci sono le esigenze delle generazioni future. Ci sono, in concreto le interpretazioni che i bambini danno, attraverso disegni e riflessioni (elaborati nell'ambito della Scuola Montessori) del mondo in cui vivono o desiderano vivere: un mondo dove la natura ha un posto di primo piano, piante e animali sono in simbiosi con l'uomo, i cieli sono azzurri, l'acqua pulita, le case piene di sole, le città ricche di giardini. Come possono l'architetto e il designer interpretare questa aspirazione? Assumendo, per esempio, la natura come maestra di architettura. Ed ecco, allora, gli archi intrecciati della moschea di Roma di Paolo Portoghesi, le ramificazioni di pilastri del salone delle terme di Montecatini accostati all'intreccio dei rami di un viale e alle radici di una conifera; un imballaggio per prodotti ortofrutticoli che si ispira alla struttura di un melograno. Sole, vento, luce, acqua, alberi sono materiali per un'architettura vicina alla natura. La rassegna presenta una molteplicità di soluzioni sul tema della casa solare in cui il progettista affronta insieme il problema del risparmio energetico, quello dell'inquinamento e quello del legame tra casa e ambiente naturale; alberi, specchi d'acqua, morfologia del suolo sono usati per modificare il microclima; gallerie vetrate, spazi coperti, idee per portare anche nelle parti più interne degli edifici la ventilazione e l'illuminazione naturale usando pannelli riflettenti e condotti di luce sottolineano come l'architettura bioclimatica sia, oltre tutto, un formidabile spunto di invenzione. E' curioso notare come nell'architettura bioclimatica le soluzioni vengano trovate sia nelle tecnologie più sofisticate della «casa intelligente» sia in quelle più tradizionali; quelle, per esempio, dei pueblos indiani scavati nelle pareti del canyon, delle costruzioni di mattoni crudi dello Yemen o dell'Iran, delle capanne polinesiane, dei trulli pugliesi e delle baite delle Alpi. Certo è lecito avere qualche dubbio sulla possibilità di costruire su larga scala edifici con le pareti in terriccio compresso insieme con elementi vegetali, ma le norme che alcune grandi città stanno adottando per nuovi quartieri ispirati al concetto della bioedilizia avranno effetti concreti. L'autocostruzione della casa interamente con i rifiuti sa di utopia; ma le soluzioni praticabili per il riuso delle materie prime e per il risparmio di energia sono moltissime e spesso sorprendenti: un televisore Saba costruito con sfridi di legno e colle senza formalina, la macchina da scrivere della Triumph Adler in plastica riciclata, il tessuto Synchilla prodotto per l'80 per cento con una fibra ricavata dalle bottiglie di plastica, le scarpe con la suola ricavata da vecchi copertoni d'auto, lo scooter elettrico in plastica riciclabile, il veicolo da città della Fiat con i motori elettrici (autonomia di 300 chilometri, 50 chilometri l'ora) situati all'interno delle ruote. Il design per un futuro sostenibile offre spesso soluzioni geniali per vecchi problemi: la Valcucine ha studiato una cappa in cui una barriera d'aria (air wall) impedisce che gli odori escano dalla zona di cottura; un distributore ecologico di carburante elimina la dispersione di benzene e di altri composti cancerogeni grazie ad un tubo aspirante affiancato a quello erogante (sarà obbligatorio in Germania entro tre anni). La Nolan ha progettato un casco per motociclisti in funzione della facilità di riciclaggio dei suoi componenti, lo stesso ha fatto la Pininfarina con i suoi prototipi di auto Ethos in cui quasi tutti gli elementi sono riutilizzabili; concetto valido anche sul piano della grandissima serie, come mostra il Progetto F.A.RE. (Fiat Auto Recycling) per il riciclaggio delle auto mandate alla demolizione. Vittorio Ravizza


MENOPAUSA Effetto ormone anche sul cuore
Autore: TRIPODINA ANTONIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: NABULSI AZIM
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 063

L'AUMENTATO rischio cardio-vascolare è la conseguenza più minacciosa della menopausa. Mentre le donne in età fertile hanno una frequenza di infarti cardiaci sei volte inferiore a quella degli uomini, le donne in post- menopausa perdono progressivamente questa prerogativa fino a raggiungere, dopo dieci anni, la parità di rischio con gli uomini. Per di più, questi attacchi tendono a presentarsi in forma più aggressiva, come dimostra la più alta percentuale delle donne che soccombono a un infarto rispetto agli uomini. Numerosi studi hanno già dimostrato che un adeguato trattamento ormonale sostitutivo con estrogeni e progestinici è in grado di ridurre molto (fino al 45-50 per cento) tale rischio. Eppure, nonostante le molte evidenze statistiche, la terapia sostitutiva ormonale della menopausa stenta a decollare (solo il 15-20 per cento delle donne in postmenopausa sono in trattamento), pur essendo da lungo tempo acclarati altri importanti benefici effetti su ossa, pelle, psiche e molte altre funzioni biologiche. Una maggiore tranquillità per chi volesse accingersi a percorrere questa via dovrebbe derivare dalla recente pubblicazione sul «New England Journal of Medicine» dei dati preliminari di un'indagine che ha interessato circa cinquemila donne. E' una ricerca condotta da alcuni ricercatori dell'Università del Minnesota (Stati Uniti), coordinati da Azmi Nabulsi, i quali hanno valutato i parametri ematologici (profilo lipidico, fattori della coagulazione, glicemia, insulinemia e altri ancora) di quattro gruppi di donne in menopausa in diverse situazioni di trattamento: un gruppo trattato con estrogeni e progestinici, uno con soli estrogeni, uno al momento non trattato, ma che aveva precedentemente assunto ormoni, e uno mai trattato. Dal confronto risulta che il livello del colesterolo-Hdl (il colesterolo che ha azione protettiva nei confronti dell'arteriosclerosi) era più alto nei due gruppi di donne in trattamento (con valori fra loro sovrapponibili) rispetto ai due gruppi di donne non trattate; il livello della lipoproteina-a era più basso nei due gruppi di donne trattate rispetto ai due gruppi di donne non trattate (alti livelli di lipoproteina-a sono correlati con un aumentato rischio di trombosi) i livelli di fibrinogeno e glicemia erano più bassi nelle donne trattate rispetto alle non trattate. Infine, elemento nuovo e inatteso, i livelli di trigliceridi (una sottoclasse di grassi circolanti nel sangue) erano più bassi nelgruppo trattato con entrambi gli ormoni, estrogeni e progestinici, rispetto al gruppo trattato con i soli estrogeni. Questi dati spiegano le basi metaboliche su cui si fonda l'effetto cardio-protettivo del trattamento ormonale sostitutivo della menopausa e suggeriscono che tale effetto è ancora maggiore se agli estrogeni vengono associati i progestinici, come peraltro deve essere fatto per ridurre il rischio di iperplasia (aumento dello spessore) della mucosa uterina e di neoplasie uterine. Antonio Tripodina


COLESTEROLO Proteggi le arterie con un piatto di noci Preziosi grassi polinsaturi aiutano a ripulire i vasi sanguigni
Autore: CALABRESE GIORGIO

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE, MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 063

ORMAI in tutto il mondo è guerra dichiarata contro il colesterolo e alcuni studiosi americani hanno scoperto che la «dieta delle noci» ottiene effetti positivi quasi insperati. Non è una nuova moda per dimagrire ma uno strumento per difendere il cuore. Nelle noci il contenuto in acidi grassi polinsaturi (quelli che si trovano nel pesce e negli olii di semi) e monoinsaturi (quelli dell'olio di oliva) combatte i cosiddetti grassi «cattivi», formando una barriera a difesa delle arterie. Lo sostiene Ryan, autore del libro «La dieta con le noci. Come mantenersi in forma» (The walnut diet & fitness plan). E Sabaté, della Loma Linda University in California, ha studiato una dieta bilanciata, che dura un mese, nella quale tre porzioni di cibo, una per ogni pasto, sono state sostituite con 28 grammi di noci. I grassi totali della dieta sono rimasti nella misura del trenta per cento, cioè quella consigliata da tutti i dietologi. Di questi grassi, il 55 per cento è fornito dai grassi delle noci, che hanno anche fornito il 14 per cento della proteine totali e il 10 per cento delle fibre totali. I 19 volontari hanno eseguito questo programma dietetico per 61 giorni consecutivi, sotto forma di snack o in aggiunta ai cereali della prima colazione. Sono stati divisi in due gruppi. Il primo ha seguito una dieta fornita dal National Cholesterol Education Program, l'altro quella della noci. Questi ultimi hanno avuto una diminuizione nel sangue del tasso di colesterolo totale e Ldl (quello «cattivo», per intenderci) molto più evidente. Attilio Giacosa, direttore dell'istituto di Nutrizione dell'Università di Genova, ricorda che le noci hanno un rapporto tra acidi grassi polinsaturi e saturi di circa 7 a 1. Ciò comporta, grazie anche all'elevata presenza di fibra vegetale, una rivalutazione delle noci nella dieta mediterranea. Il prof. Sabaté aveva già studiato questi grassi per proteggere il cuore, ma non aveva mai valutato il loro effetto sul colesterolo. Ne ha quindi dedotto che, se mangiamo, da una a quattro volte a settimana, una merenda o un piatto a base di noci, grazie al loro contenuto di grassi polinsaturi, il rischio di infarto cardiaco è pari al 78 per cento, mentre se la stessa quantità la si suddivide in cinque volte o più alla settimana, il rischio di infarto si abbassa al 49 per cento. La dose di 28 grammi giornaliera può essere trasformata, allora, in 84 grammi totali, inseriti in una dieta giornaliera di circa 2500 calorie. Questa azione molto positiva di difesa si estende anche a tutti i vasi sanguigni che, venendo puliti bene, ne ricevono un grande beneficio. Superare di molto la quantità consigliata significa però introdurre molte più calorie, e quindi ingrassare. La noce contiene inoltre anche molte vitamine, soprattutto quelle del gruppo B, (B1, B2 e PP) che, assieme ai molti minerali - ferro, calcio, potassio, fosforo e magnesio - proteggono non solo il cuore e i vasi, ma anche il sangue divenuto anemico. Ciò grazie all'accoppiamento del rame al ferro, che permette una maggiore produzione di globuli rossi. I minerali proteggono inoltre il tessuto nervoso, le ossa e la pelle. L'ulteriore presenza dello zinco migliora la funzione e l'assorbimento delle vitamine. Giorgio Calabrese Università Cattolica di Piacenza


RICERCHE ORNITOLOGICHE Addio terra natia, lontano si sta meglio Inanellate 250 quaglie a Baldissero: nessuna è tornata a casa
Autore: OSELLA LEONARDO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI
NOMI: FERRO MIMMO, RUELLA COSTANZO
LUOGHI: ITALIA, BALDISSERO D'ALBA (CN)
NOTE: 063

BENCHE' tutti la conoscano, magari come piatto squisito, la quaglia nasconde ancora molti segreti. E' quanto si ricava da una ricerca che su questo uccello stanno conducendo gli ornitologi alla Cascina Serralunga di Baldissero d'Alba, nel Roero piemontese. Qui è in funzione da 17 anni un osservatorio, con una stazione per l'inanellamento che fa capo al Museo di scienze naturali Craveri di Bra. Gli uccelli sono censiti e inanellati, e quindi rimessi in libertà. I dati vengono poi inviati all'Istituto nazionale per la Fauna selvatica di Ozzano Emilia (Bologna), e di qui al Centro europeo Euring, in Olanda, che studia le migrazioni. Raccontano Mimmo Ferro e Costanzo Ruella, che seguono le catture facendo tesoro dei risultati già ottenuti dall'inanellatore marchigiano Umberto Giusini: «Nel punto più panoramico di un campo di erba medica e perenne, abbiamo sistemato uno sbarramento di quattro reti lunghe sei metri l'una, piazzate a croce, e un altoparlante dotato di timer che dava il via al suono dall'imbrunire al mattino dopo l'alba. Il richiamo acustico della femmina si spandeva nella vallata e nei boschi, facendosi sentire sicuramente in un raggio superiore al chilometro quadrato. Ebbene, già al primo controllo sette quaglie erano finite nelle reti a sacche: tutti maschi, venuti da chissà dove. Nei giorni seguenti il successo dell'operazione si è ripetuto e a fine stagione, tra postazione fissa alla Cascina Serralunga e punti mobili di raccolta in paesi vicini, sono risultate più di 400 le quaglie catturate e inanellate». La cattura si ha soprattutto con tempo sereno e nelle notti di luna, mentre con le piogge e i temporali questi uccelli preferirebbero non spostarsi. Si è osservato che la massima incidenza delle catture nelle reti basse è determinata da esemplari adulti, mentre si ha una crescita delle catture nelle reti alte con l'arrivo dei giovani dell'anno. Proprio dai giovani vengono osservazioni significative e anche sorprendenti. Intanto si è visto che i maschi raggiungono la maturità sessuale molto presto, forse già entro i primi tre mesi. Dal ritrovamento quasi esclusivo di maschi sempre diversi e a ritmi costanti, gli ornitologi piemontesi hanno dedotto che essi tendono ad accoppiarsi con il massimo di femmine possibile: nulla di strano, se si pensa che appartengono all'ordine proverbialmente «libertino» dei gallinacei. «Ma la cosa più curiosa - dicono all'osservatorio piemontese - è che alcuni di questi uccelli, nati certamente da poco, sono stati catturati quando ancora nessuna femmina nidificante nella zona aveva portato a termine la riproduzione. Ciò avvalora la tesi, già avanzata da alcuni ornitologi, che qualche quaglia riesca a nidificare molto presto in Africa, prima di arrivare in Europa. Sarebbe molto interessante catturare e marcare alcune di queste femmine per stabilirne l'età e per comprendere se sono in grado di nidificare ancora una volta in Europa». Ma è stata rilevata un'altra stranezza. Su 250 quaglie inanellate a Baldissero d'Alba e quasi altrettante nelle zone circostanti, non si è registrata neppure una ricattura nella zona: una volta rimessi in libertà, questi uccelli sono definitivamente scomparsi. I ricercatori pongono anche sotto osservazione la colorazione del piumaggio e dell'iride: pare comunque che non esista connessione fra l'età e la composizione dei colori e neppure tra il colore dell'iride e quello del piumaggio. Va infine sottolineata l'influenza che hanno avuto sulle quaglie alcuni mutamenti della pratica agricola. Questi volatili non si posano sugli alberi e perciò nidificano a terra, fra l'erba medica, il frumento e il mais. Ma recentemente hanno trovato un habitat ideale nei campi di soia, che li ospitano soprattutto quando avvengono lo sfalcio dei prati e la mietitura delle graminacee. In mezzo alle coltivazioni, protette dalla caccia, le famiglie possono completare tranquillamente il loro sviluppo. Leonardo Osella


LE DATE DELLA SCIENZA Due secoli fa con Lavoisier si ghigliottinava la chimica
Autore: GABICI FRANCO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
PERSONE: LAVOISIER ANTOIN LAURENT
NOMI: LAVOISIER ANTOIN LAURENT
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 064

DUE secoli fa, l'8 maggio 1794, alle 5 del mattino, veniva ghigliottinato Antoin-Laurent Lavoisier, il fondatore della chimica moderna. Aveva 51 anni: era nato a Parigi il 26 agosto 1743. Dopo studi di legge, si era orientato verso le scienze. Con lui la chimica abbandona i vecchi presupposti alchemici e diventa una vera scienza. Grazie a esperimenti condotti con l'uso rigoroso e sistematico della bilancia, Lavoisier demolì definitivamente la teoria del flogisto, secondo la quale la combustione avveniva liberando questa mitica sostanza. Se così fosse stato, i prodotti della combustione avrebbero dovuto avere un peso minore di quello del corpo bruciato. Lavoisier, invece, provò il contrario spiegando che l'aumento di peso era dovuto al fatto che nel processo di combustione veniva acquistato ossigeno: suo anche il celebre motto «Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma» che esprime il fondamentale principio di conservazione della massa. La scienza, però, non costituì la vera professione di Lavoisier. Il grande chimico lavorò sempre come impiegato governativo, e dal 1768 alla riscossione dei tributi. La sua impopolarità aumentò notevolmente quando propose di recintare Parigi per combattere il contrabbando. Sposò una giovinetta di appena 13 anni. Si chiamava Marie- Anne Paulze ed era figlia del direttore generale dell'esattoria. La giovane moglie fu una abile disegnatrice: fu lei a illustrare il trattato di chimica del marito. La biografia di Lavoisier ricorda due famose frasi a commento della sua esecuzione. Il presidente del tribunale rivoluzionario che lo aveva condannato, in risposta a una richiesta del chimico di rinviare l'esecuzione per consentirgli di portare a termine alcuni esperimenti, avrebbe detto: «La rivoluzione non ha bisogno di scienziati, la giustizia deve compiere il suo corso». Invece il grande matematico torinese Lagrange, che abitava a Parigi, criticò severamente la condanna: «E' bastato un momento per far cadere questa testa, e cento anni forse non basteranno per crearne un'altra simile». Franco Gabici


INFORMATICA Pesciolino e i cartoni animati VETITREESIMA PUNTATA
Autore: MEO ANGELO RAFFAELE, PEIRETTI FEDERICO

ARGOMENTI: INFORMATICA, DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 064

PROVIAMO a disegnare una sequenza di segmenti, lasciando un intervallo di 10 pixel fra un segmento e l'altro: 10SCREEN 1 20CLS 30FOR I=10 TO 300 STEP 10 40LINE (10piùI, 50) - (20piùI, 100) 50FOR N=1 TO 500: NEXT N 60NEXT I 70END Abbiamo inserito un ciclo, alla linea 50, per rallentare la successione dei segmenti. Se vogliamo creare l'effetto del movimento, è sufficiente cancellare i segmenti che vengono via via disegnati, lasciando soltanto l'ultimo. Si provi, per «animare» il segmento, ad aggiungere al programma precedente l'istruzione: 35 CLS Vediamo ancora un esempio di «cartoni animati», con un pesciolino che si muove sullo schermo: 10SCREEN 1 20CLS 30FOR I=1 TO 350 STEP 10 40PSET (I, 70) 50GOSUB 100 60CLS 70NEXT I 80END 100DRAW "F10G10M-60,- 20Mpiù12,più8M-12, più8Mpiù60,- 16BF10L6" 110CIRCLE (I, 75), 2 120FOR N=1 TO 200: NEXT N 130RETURN Si noti che l'esecuzione di un particolare disegno è effettuata da un sottoprogramma. In generale, per ripetere più volte lo stesso disegno, in posizioni diverse, sarà sufficiente scrivere un'opportuna PSET e richiamare il sottoprogramma corrispondente. Dobbiamo ancora presentare alcuni comandi che completano questa breve introduzione alla grafica in BASIC: Per ottenere la rotazione di una figura si usa il comando An, dove n può variare da 0 a 3 e indica in corrispondenza una rotazione di 0, 90, 180 oppure 270 gradi, in senso antiorario. La rotazione avviene attorno al punto di partenza del disegno. Ad esempio, disegniamo una freccia: 10SCREEN 1 20 CLS 30PSET (100, 90) 40FRECCIA$="Mpiù20,-10Mpiù80, più10M-80, più10M-20, -10" 50DRAW FRECCIA$ 60END Per far ruotare questa freccia di 90, in senso antiorario, possiamo aggiungere al programma precedente l'istruzione: 55 DRAW "A1"piùFRECCIA$ oppure scrivere in un'unica stringa: 55 DRAW "A1Mpiù20,-10Mpiù80, più10M-80, più10M-20, -10" Per ruotare una figura di un angolo qualsiasi, dobbiamo invece usare il comando TAn, dove n indica un numero compreso tra -360 e più360 e i numeri negativi corrispondono a una rotazione in senso orario, mentre quelli positivi corrispondono a una rotazione in senso antiorario, da 0 a 360. Scriviamo, ad esempio, il programma che ruota una freccia di 120, prima in senso orario e poi in senso antiorario: 10SCREEN 1 20CLS 30PSET (100, 90) 40FRECCIA$="Mpiù20, - 10Mpiù80,più10M-80, più 10M-20, -10" 50DEAW FRECCIA$ 60FOR N=1 TO 3000: NEXT N 70DRAW "TA-120" più FRECCIA$ 80FOR N=1 TO 3000: NEXT N 90DRAW "TApiù120" più FREC CIA$ 100END Per ingrandire o ridurre una figura si usa il comando Sn, dove n indica un numero che può variare da 1 a 255. Questo numero n, diviso per 4, corrisponde al rapporto di similitudine tra una data figura e quella simile. Ad esempio, se n è uguale a 8, poiché 8 diviso 4 è uguale a 2, la figura ottenuta con S8 sarà il doppio di quella data. Il rapporto di similitudine diventa 4 con S16, diventa 1/2 con S2, 1/4 con S1 e così via. Disegniamo, ad esempio, alcuni pesci. Il disegno del primo pesce parte dal punto di coordinate (140, 80) e, di seguito, tracciamo i pesci grossi rispettivamente la metà, la quarta parte e il doppio del primo. 10SCREEN 1 20CLS 30PSET (140, 80) 40PESCE$ " Mpiù70,più20M-20,-15Mpiù20,-15 M- 70,più20Mpiù5,-5M-5, -5BU3BR52F1E1H1G1" 50DRAW PESCE$ 60PSET (205,80) 70DRAW "S2" piùPESCE$ 80PSET (240,80) 90DRAW "S1"piùPESCE$ 100PSET (20,80) 110DRAW "S8"piùPESCE$ 120END A questo punto provi il lettore a mettere in movimento i pesci, in modo che il pesce più grande «mangi» quello più piccolo. Provi anche a colorare la scena, passando nel modo grafico SCREEN 13. Aspettiamo i programmi dei vostri disegni, con una raccomandazione: per ogni disegno di vostra invenzione, dev'essere usato soltanto il sottoinsieme di istruzioni presentato in queste schede. Enrico Bombieri, il matematico italiano vincitore della prestigiosa medaglia Fields, con poche istruzioni BASIC ha creato una bella marina, con voli di gabbiani, onde in movimento e sole al tramonto. (continua)


STRIZZACERVELLO Una pesata non semplice
Autore: PETROZZI ALAN

ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 064

Il muratore che avete per casa vi ha chiesto di prelevare più in fretta che potete 32 chili e mezzo di cemento da un sacco che ne contiene esattamente 120 usando la bilancia a piatti che sta accanto al sacco. Quando arrivate al piccolo magazzino che ha allestito sul suo camion, riuscite a trovare sia il sacco sia la bilancia ma vi fermate di fronte alla scoperta di un solo peso da cinque chili. Se ci pensate bene però, potete riuscire nel vostro compito eseguendo solo quattro pesate: qual è il procedimento da seguire? La soluzione domani, accanto alle previsioni del tempo. (A cura di Alan Petrozzi) Errata corrige: l'unità di misura di massa è il kilogrammo e non il newton come, per un salto di righe, risulta dall'articolo «Gli inganni del peso» su Tutto scienze della scorsa settimana.


LA PAROLA AI LETTORI Acqua, molecole troppo piccole per dare gusto
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 064

Come fa l'acqua a essere inodore, incolore, insapore? La capacità di alcuni composti di stimolare sensazioni particolari sulle mucose olfattive, le papille gustative e i recettori visivi è dovuta principalmente alla struttura che queste assumono nell'ambiente in cui sono contenute. Le percezioni olfattive e gustative sono direttamente a carico di specifici recettori che, per interazioni steriche, riconoscono le molecole responsabili o parti di esse. Per quanto riguarda l'acqua, se essa non contiene molecole in grado di influire in tal senso sui recettori sensoriali sarà effettivamente inodore, incolore e insapore. Infatti la singola molecola H2O è troppo piccola per stimolare percezioni particolari. Se invece conterrà, ad esempio, anidride solforosa, puzzerà di zolfo o uova marce. Se conterrà metalli pesanti, avrà sapore amaro o metallico. Se conterrà sostanze organi- che, sarà probabilmente colorata come lo è una pozzanghera che contenga macchie d'olio o di carburanti. Sarà infine torbida quando conterrà sostanze sospese (che con il tempo tendono a depositarsi). Michele Perinotti Lignana (Vc) La mucosa della lingua consta di alcune specifiche regioni che selettivamente rispondono alle sensazioni di dolce, amaro, aspro, salato. Tali sensazioni sono eccitate da alcune sostanze che vengono portate alla lingua in soluzione acquosa. Non è quindi l'acqua in sè a determinare i gusti inclusi nei registri della memoria gustativa. Per la stessa ragione l'acqua è anche inodore. La mucosa olfattiva risponde infatti a particelle volatili emanate dagli oggetti, cosa che non fa l'acqua. Infine, è incolore perché nell'acqua la luce si rifratte ma non si riflette e quindi la retina non viene stimolata. I giochi luminosi che si possono osservare in un rivo sono dovuti ai movimenti dell'acqua e gli unici colori sono quelli derivati da eventuali sostanze o oggetti presenti nell'acqua medesima. Fabio Paiola Fabrizio Truccano Cuorgnè (To) Esiste veramente una sostanza che si chiama centrilium? Che cos'è? In chimica, non si è mai sentito parlare di centrilium, che quindi non è un composto inorganico nè un elemento chimico. Potrebbe invece essere il nome commerciale di un composto organico, una classe sterminata che ne annovera circa 180 mila, più i loro derivati. Negli elenchi classici, comunque, questo nome non appare. Luca Ognibene, Milano Come fanno gli organismi ma rini a vivere a grandi profon- dità senza ricevere la luce del Sole? Perché sono essenzialmente batteri chemiosintetici, i quali non possono utilizzare la fotosintesi clorofilliana per la produzione dell'energia necessaria alla vita ma devono ricorrere alla glicolisi e successivamente alla fermentazione lattica. Maurizio Minella Palazzolo (Vc) Gli organismi marini che vivono alle grandi profondità hanno alcune caratteristiche che permettono loro di sopravvivere anche in totale assenza di luce. In particolare, sono in grado di produrre luce attraverso la secrezione ghiandolare della pelle o per mezzo di determinati organi luminosi detti «fotofori»: tale luminescenza serve da esca per la cattura di prede. Altri pesci dispongono di grandi occhi che, oltre a racco- gliere la debole luce, posseggono una recettività accordata per le radiazioni di piccola lunghezza d'onda. Vi sono poi particolari specie completamente cieche, che hanno sviluppato enormemente la sensibilità tattile per mezzo di lunghi e sottili tentacoli. Riccardo Cannavina Patrizia Bura, To Quale può essere l'origine dell'espressione «battere la fiacca»? Con il termine «fiacca» si indica uno stato di spossatezza e assenza di energia. Di qui l'espressione popolare che significa appunto «comportarsi svogliatamente sul lavoro». Mario Gambrini, Asti


CHI SA RISPONDERE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 064

QPerché gli uomini hanno la barba e le donne no? Riccardo Comollo QPerché i gatti che mangiano lucertole dimagriscono paurosamente e perdono la lucidità del pelo? Giovanni Massa QChe differenza c'è fra batteri e virus? QCome si producono i colori? _______ Risposte a: «La Stampa-Tuttoscienze», via Marenco 32, 10126 Torino. Oppure al fax numero 011-65.68.688


GLI INSETTI Signori della Terra Una forza che sfida l'uomo
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.
NOTE: 064

Nessun altro altro gruppo di animali ha la capacità di adattamento degli insetti, che permette loro di vivere la dove altri soccombono e mangiare quello che altri rifiutano. Se poi le condizioni di vita sono ottimali la loro prolificità è terrificante. Sotto un aspetto fragile, nascondono una forza straordinaria, capace di resistere ai peggiori assalti dell'uomo. Quando si parla di capo, di zampe, di occhi di un insetto si indicano strutture che hanno la stessa funzione degli organi analoghi dei vertebrati, ma arrivano al loro scopo in modi completamente diversi. Prendiamo lo scheletro. Nei vertebrati, esso è interno e ha la duplice funzione di sostegno del corpo e attacco per i muscoli. Negli insetti, invece, è esterno e ha funzione protettiva.


CHIMICA & COSMESI Una molecola bifronte amica per la pelle Con un'estremità idrofila e una lipofila aiuta la rigenerazione cutanea
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: CHIMICA, BIOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: VICHY
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 062

DENTRO di noi si nasconde una specie di orologio biologico che inesorabilmente scandisce le età della nostra vita: ormai si stanno scoprendo i geni che regolano l'esistenza delle cellule, i tempi e i modi della loro riproduzione, della loro organizzazione e - prima o poi - della loro disorganizzazione. Ma senza spingerci fino a un livello di conoscenza così fondamentale, rimanendo per così dire in superficie, due sono - grossolanamente - le cause dell'invecchiamento esteriore: la perdita di elasticità della pelle e la forza di gravità. Alla deprecabile collaborazione di questi due fattori possiamo far risalire le rughe, le borse sotto gli occhi, le guance cascanti e altri indizi di invecchiamento. Com'è ovvio, non si può fare nulla contro la forza di gravità. Ma qualcosa si può fare a tutela delle caratteristiche giovanili della pelle. E non solo con interventi difensivi, come finora si è fatto, ma anche con interventi attivi, diretti a favorire il naturale processo di autorinnovamento della pelle. In questa direzione si colloca una nuova molecola di interesse cosmetico derivata dall'acido salicilico, opportunatamente modificata in laboratorio. L'acido salicilico - alfa - idrossi acido - era già noto per la sua capacità di sciogliere la cheratina, producendo la microesfoliazione dell'epidermide. Ma non tutte le proprietà della molecola originaria erano desiderabili. La molecola in questione dimostrava infatti un'alta idrofilia, ciò che la rendeva facilmente solubile: un fattore in sè positivo. Doveva però essere usata in concentrazione elevata e, con un uso prolungato, produceva spiacevoli fenomeni di intolleranza da parte della pelle. I ricercatori della Vichy, divenuti con gli anni esperti "architetti molecolari" al servizio della cosmesi (qualcuno ricorderà il Mexoryl, contro i raggi ultravioletti di media lunghezza d'onda), hanno dunque modificato l'acido salicilico costruendo una nuova molecola: il lipo-idrossi acido. Ciò che caratterizza la nuova molecola è una catena lipofila che è stata agganciata alla molecola vecchia. Grazie ad essa si viene a creare una doppia polarità, una idrofila - che aggancia le molecole d'acqua - e una lipofila - che aggancia quelle di grasso. Risultato: oltre a una migliore tollerabilità, questa molecola è particolarmente adatta a inserirsi nello straterello idrolipidico di superficie e nel cemento intercellulare, dove svolge la sua azione micro-esfoliante rimuovendo le cellule morte e stimolando quindi il processo di rinnovamento delle cellule dell'epidermide. I test di laboratorio indicano che l'azione di questa molecola bifronte, idrofila e lipofila, incomincia ad essere utile verso i trent'anni e porta a una riduzione media del 20 per cento dello spessore dello strato corneo della pelle dopo quattro settimane di trattamento. Frammenti di pelle trattata osservati al microscopio mostrano - secondo gli autori della ricerca - un chiaro aumento del numero delle cellule in fase riproduttiva e una migliorata organizzazione dei corpi mucosi di Malpighi. Insomma, con questa molecola non ci si limiterebbe a ringiovanire una pelle vecchia ma, per quanto possibile, si creerebbe una vera e propria pelle nuova. Piero Bianucci




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