TUTTOSCIENZE 23 febbraio 94


COM'E' DIFFICILE FARE RICERCA E INTERVENTI SOCIALI IN ITALIA Montalcini, bilancio amaro
Autore: LEVI MONTALCINI RITA

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 029

ESSENDO stata nei giorni scorsi oggetto di un'attenzione parzialmente o del tutto disinformata da parte di quotidiani, riviste, radio e televisione, forse non è inutile riassumere alcune tappe del mio percorso dal 1962, quando decisi di rientrare per qualche mese dell'anno in Italia, per dirigere un Centro di ricerca a Roma. Da queste vicende personali, infatti, emerge anche un quadro più generale delle difficoltà della ricerca scientifica in Italia. Nel 1947, due anni dopo la mia reintegrazione nei ranghi accademici dai quali nel 1939 ero stata espulsa in seguito alle leggi razziali, fui invitata da Viktor Hamburger, direttore del Department of Zoology della Washington University in St. Louis, Missouri (Usa) a recarmi nell'Istituto da lui diretto, per continuare insieme le ricerche che avevo condotto nel mio laboratorio privato a Torino dal 1939 al 1943, quando l'invasione del Paese delle orde naziste mi costrinse a lasciare ogni attività scientifica ufficiale. Le ricerche condotte dall'autunno 1947 alla Washington University sui fattori che controllano la differenziazione delle cellule nervose portarono alla mia scoperta, nel 1952, di una molecola proteica dotata della proprietà di stimolare la crescita e la differenziazione di cellule nervose: simpatiche e sensitive. La molecola divenne nota come il Nerve Growth Factor (Ngf) o fattore di crescita delle cellule nervose. Per questa scoperta mi fu conferito a Stoccolma nel 1986 il Premio Nobel per la medicina. Dal 1962 l'importanza della scoperta del Ngf e del ruolo svolto da questa molecola proteica nella differenziazione e funzione di queste due linee di cellule nervose fu riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale e nazionale. Le autorità preposte alla ricerca nel nostro Paese, dal 1986 (quando mi fu conferito il Premio Nobel), furono con me larghe di elogi, ma non di aiuti finanziari, nè di posti di lavoro per i giovani e valenti ricercatori che desideravano collaborare a queste ricerche. Il nostro Istituto dispone oggi di soli 5 posti di ricercatore. Gli altri collaboratori (una ventina) sono retribuiti con borse di studio, contratti di ricerca o in base a erogazioni che ci pervengono saltuariamente da associazioni italiane o straniere. Nel 1969 l'Accademia nazionale dei Lincei mi aveva conferito il Premio internazionale Antonio Feltrinelli, che gode di un prestigio vicino a quello del Nobel. Destinai una parte consistente del premio alla creazione di una fondazione in onore del mio maestro, l'illustre biologo Giuseppe Levi. La finalità della fondazione, sponsorizzata dall'Accademia nazionale dei Lincei, fu inizialmente quella di assegnare premi a studenti calabresi delle scuole medie che si erano particolarmente distinti, ai fini di incoraggiarli a proseguire gli studi. La difficoltà nella selezione dei candidati suggerì in seguito di modificare lo statuto e conferire borse di studio a giovani neolaureati provenienti da tutte le Università italiane che si erano specializzati nelle neuroscienze e avevano dimostrato spiccate attitudini per la ricerca. Dal '75 a oggi decine di giovani neolaureati hanno goduto in Italia e all'estero di queste borse di studio assegnate in base alla rigorosa scelta dei più validi candidati. Un cenno, infine, alle principali attività da me svolte in questo ultimo decennio. La prima fu quella di continuare a prendere direttamente parte alle ricerche per chiarire il ruolo svolto dall'Ngf. Studi perseguiti inizialmente nel nostro Istituto misero in evidenza altre attività della molecola Ngf non su cellule nervose, ma su quelle dei sistemi endocrino e immunitario. Nel 1990 prospettai l'ipotesi, convalidata negli anni seguenti, che l'Ngf non sia soltanto un fattore specifico di crescita e differenziazione di diverse linee cellulari, nervose, immunitarie ed endocrine, ma esplichi un ruolo di primaria importanza nella omeostasi. Una deficienza o una abnorme espressione dell'Ngf può essere alla base di gravi malattie degenerative del sistema nervoso o di natura autoimmunitaria. Dal 1983 ad oggi ho ricoperto la posizione di presidente dell'Associazione italiana sclerosi multipla (Aism), carica in cui dal 1989 mi affianca il professor Mario Battaglia. In questo ruolo dirigo le ricerche nel nostro laboratorio sull'origine e sulla possibile terapia di questa malattia così gravemente invalidante. Partecipo inoltre a iniziative dirette alla raccolta di fondi, così disperatamente necessari sia per promuovere le ricerche sia per aiutare le vittime della sclerosi multipla e le loro famiglie. Questa attività mi costringe a vincere una naturale riluttanza per la pubblicità e ad apparire sugli schermi televisivi. Non si tratta, come si è insinuato, di «presenzialismo» ma della necessità di rendere il pubblico consapevole della gravità dei problemi ai quali devono far fronte gli ammalati di sclerosi multipla. La raccolta di donazioni per il fondo nazionale ricerca è aumentata da poche decine di milioni qual era prima del 1980, a oltre un miliardo di lire all'anno, consentendo il finanziamento dal 1988 ad oggi di oltre 60 ricercatori e borsisti. Un'altra attività che mi impegna in modo rilevante, perseguita con mia sorella Paola, è la fondazione «Il futuro ai giovani», creata nel ricordo di nostro padre, Adamo Levi. Questa fondazione realizzata nel 1992 in seguito a una eredità della quale mia sorella ed io siamo venute in possesso, ha come scopo di incoraggiare i giovani a proseguire gli studi e scegliere una carriera consona alle loro attitudini. A quelli più meritevoli e indigenti la fondazione offre, oltre all'assistenza di professori preposti a questo compito, borse di studio. Nel breve arco di un anno circa 500 studenti delle scuole medie hanno usufruito della consulenza di centri in Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Calabria. Altri se ne apriranno nei prossimi mesi in tutta la Penisola. Per motivi anagrafici, sono ormai prossima alla fine del mio lungo e non facile percorso. Quale il bilancio di più di tre decenni trascorsi dal rientro nella mia patria di origine? Negativo, da un punto di vista personale, per la difficoltà di condurre le ricerche in condizioni così ostili (penuria di fondi e di collaboratori) se paragonate a quelle delle quali godevo negli Usa, e per gli attacchi dei quali sono stata oggetto. Positivo se, ignorando la mia persona, considero l'impulso dato alla ricerca scientifica nel settore delle neuroscienze nel nostro Paese, gli aiuti offerti sia alle vittime della sclerosi multipla sia agli adolescenti che si preparano ad affrontare la vita. Ad altri di tirare le somme. Ai giovani del nostro Paese, ai quali tante volte ho espresso la mia simpatia e stima, l'augurio di saper superare con coraggio questo periodo così denso di nubi e la speranza che possano realizzare in patria le alte potenzialità delle quali sono nella maggioranza dotati. Rita Levi Montalcini Premio Nobel per la Medicina


ETOLOGIA Gatti teneri e feroci Neppure in casa perdono l'istinto di caccia
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ANIMALI
NOMI: ROBINSON GORDON, CHURCHER PETER
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 029

NEGLI spot pubblicitari siamo ormai abituati a vedere gatti golosi che si leccano i baffi con evidente soddisfazione dopo aver gustato i bocconcini di questa o quella casa produttrice. Sappiamo di gatti domestici a cui non mancano ogni giorno il pesce fresco o la carne comprata appositamente per loro dal macellaio. Certo, i patiti dei gatti non fanno mancare nulla ai loro beniamini. Ci stupisce perciò il risultato di una ricerca recentemente svolta in Inghilterra dalla quale risulta che anche a pancia piena il gatto non smentisce la sua natura di predatore e non rinuncia al piacere della caccia, facendo strage di uccelli e di piccoli mammiferi. Sappiamo tutti che il gatto è un animale straordinariamente indipendente. Il giogo della sottomissione all'uomo non fa per lui. Fa le fusa quando si accoccola sulle ginocchia del padrone. Ma non si comporta affatto da schiavo. Quando gli pare e piace, abbandona le mura domestiche per concedersi brevi o lunghe divagazioni in libertà. Lo fa quando ha voglia di far l'amore o per assaporare il gusto della vita all'aria aperta, ma lo fa soprattutto per cacciare, mostrando così la sua vera indole. Originale non è soltanto l'oggetto della ricerca, ma anche il metodo con cui è stata attuata. Di solito quando si vuole stabilire la dieta di un animale selvatico, si fa l'autopsia degli individui uccisi e si analizza il contenuto del loro stomaco. In questo caso non si poteva perché sotto studio non erano gatti randagi ma gatti con tanto di fissa dimora e affezionato proprietario. E allora proprio i padroni sono stati dotati di sacchetti di plastica contrassegnati con il numero di codice del rispettivo gatto e pregati di introdurvi i resti dei pasti dei loro felini dopo le scorribande esterne. Ogni settimana i sacchetti venivano raccolti e il loro contenuto analizzato. Ed ecco i risultati di un anno di indagini. Le prede dei gatti sono soprattutto piccoli mammiferi, come topi, arvicole e toporagni che costituiscono il 64 per cento del totale. Ma i felini sono predatori opportunisti. Mangiano quello che trovano. E d'inverno, quando la maggior parte dei piccoli mammiferi sono in ibernazione, ripiegano sugli uccelli. Occasionalmente possono mangiare anche pipistrelli, donnole, rane e persino farfalle. I cacciatori più accaniti risultano i gatti giovani. Quelli vecchi diventano pigri e hanno meno voglia di cacciare. Le battute di caccia sono anche legate alle condizioni atmosferiche. Quando c'è cattivo tempo i gatti saggiamente preferiscono il tepore delle case alle intemperie esterne. Limitandosi agli uccelli, l'autore della ricerca calcola che i gatti domestici in Gran Bretagna ne uccidano almeno venti milioni di esemplari l'anno. Senza parlare delle varie specie di mammiferi predate. Ed è un risultato veramente sorprendente. I gatti domestici dunque, per quanto ben nutriti dai loro padroni, si rivelano i più formidabili killer dell'ecosistema urbano e suburbano. C'è un altro aspetto inedito del gatto domestico, oggetto di un particolare studio da parte del biologo Peter Churcher. Si tratta della resistenza alle cadute. Noi ci rompiamo l'osso del collo se cadiamo dal quarto piano di un edificio, ma la maggior parte dei gatti, cadendo dalla stessa altezza, rimangono illesi o tutt'al più riportano leggere ferite da cui presto si ristabiliscono. I primi dati ce li fornisce nel 1976 Gordon Robinson, veterinario di un ospedale per animali di New York, a cui arrivano ogni anno in media 150 gatti vittime di cadute. Nel 1985 altri dati provengono dai veterinari del Centro Medico Animale di Manhattan, dove nel periodo primavera-estate, quando le finestre sono aperte, giungono all'incirca 130 gatti vittime di cadute dai piani alti degli edifici. Dai loro dati risulta che il 90 per cento degli infortunati sopravvive. La cosa più strana che emerge dalla ricerca è che le probabilità di sopravvivenza dei gatti che cadono dalle case, al di sopra del quinto piano, aumentano con l'altezza. Sembra incredibile, ma muore soltanto il 5 per cento del gatti che cadono dal settimo al trentaduesimo piano di un grattacielo. Per contro muore il 10 per cento di quelli che cadono dal secondo al sesto piano. La fisica ci insegna che le conseguenze di una caduta dipendono da vari fattori, tra cui il peso dell'animale, la velocità dell'impatto, la natura della superficie su cui si cade (meglio cadere su un telone o una rete che sull'asfalto della strada). Un elefante, che pesa tonnellate, si sfracella anche se cade in un burrone da poca altezza. E' cioè più a rischio di un uomo adulto. Questi è più a rischio di un bambino, a cui fanno da ammortizzatori i cuscinetti di grasso. E un bambino è più a rischio di un gatto. Bisogna dire che il nostro micio possiede uno straordinario giroscopio nell'orecchio interno, impareggiabile strumento di equilibrio e orientamento che regola la posizione dell'animale nello spazio. Ragion per cui se il gatto incomincia la sua traiettoria nell'aria capovolto, è capace di voltarsi e raddrizzarsi a mezz'aria, in modo da toccare il suolo con le quattro zampe. Cade cioè sempre in piedi, come si dice metaforicamente anche di certe persone. Un altro vantaggio dei gatti è quello di atterrare a zampe flesse, il che consente di distribuire lo choc dell'impatto su una superficie più ampia. Inoltre, un po' prima di raggiungere la velocità terminale, i gatti tendono le quattro zampe orizzontalmente all'infuori. In questo modo aumentano la resistenza dell'aria e diminuiscono la velocità. Come fanno gli scoiattoli volanti. E' la tecnica del perfetto paracadutista. Non per nulla si dice che il gatto ha nove vite. Isabella Lattes Coifmann


ORDINE & DISORDINE Semplice è bello I fisici in lotta con il caos
Autore: DE ALFARO VITTORIO

ARGOMENTI: FISICA, CONGRESSO
NOMI: FUBINI SERGIO
LUOGHI: ITALIA, TORINO (TO)
NOTE: 030

IL mondo si presenta a prima vista come un insieme complicato e disordinato. Ma a ben vedere, l'ordine appare. Sistemi viventi stabili esistono, come insegna la biologia; il sistema solare è, per lunghi periodi di tempo, abbastanza stabile; i corpi intorno a noi, costituiti magari da molecole complesse, sono stabili, almeno per una certa fascia di temperature e pressioni. Un'auto conterrà circa 1030 tra protoni e neutroni, ma questi mantengono le loro relazioni di posizione almeno per qualche anno, fino a che la vettura non andrà alla rottamazione. La stabilità permette la vita (almeno temporanea), l'esistenza delle strutture (almeno per un certo tempo): ci sono dunque nel mondo fisico isole di stabilità nel tempo e nello spazio. La stabilità delle strutture è la chiave per la semplicità della loro descrizione formale (matematica o comunque codificata). Data la mia (temporanea) stabilità, per la mia identificazione bastano pochi dati anagrafici o il codice fiscale; così nella natura la stabilità implica che si possano rappresentare in modo semplice i sistemi fisici. Ciò avviene a diversi livelli: per esempio per l'identificazione anagrafica non importano i processi biochimici che avvengono nel mio corpo (finché vivo) nè la struttura e lo stato dei miei atomi e nuclei. La descrizione formale delle diverse strutture stabili avviene senza che si debba tener conto contemporaneamente dei diversi livelli di struttura stabili, i quali sono indipendenti. In altre parole la dinamica dei diversi livelli di strutture avviene senza che i diversi livelli interferiscano nè che si debba fare sempre la scienza del tutto. E questa è semplicità. Così la giurisprudenza non ha (quasi) bisogno della medicina e questa non si riduce alla biochimica nè questa alla chimica, la quale a sua volta è (quasi) indipendente dalla fisica nucleare; e infine la fisica delle particelle alle alte energie è ancora un livello diverso di conoscenza. Vale la pena di notare che la semplicità e l'indipendenza ai diversi livelli sono dovute in definitiva alla struttura quantistica della materia, che ci spiega perché la sperimentazione a certi livelli di energia non agisce su altri livelli: insomma, perché cuocendo un uovo non si altera la struttura dei suoi nuclei atomici. Dunque la ricerca della semplicità è lo studio della stabilità: di quei comportamenti nell'universo che permettono di rilevare ordine (e quindi simmetria). La simmetria è il modo matematico di definire l'ordine. Potremmo parlare di simmetria quando un sistema può esistere in più stati indistinguibili. Considerate per esempio un cristallo perfetto infinitamente esteso: esso è identico a se stesso se ruotato o spostato opportunamente. Ma i cristalli fisici hanno dei bordi che ne interrompono la simmetria e durata limitata: ecco perché si parla di isole di stabilità e di simmetria nello spazio e nel tempo. Nello stesso modo per un fisico un sistema non soggetto a forze esterne dipendenti dal tempo è simile a un cristallo: il suo orologio può venire spostato nel tempo in avanti o indietro in modo da cominciare a muoversi in qualsiasi istante e il moto, se le condizioni iniziali sono le stesse, sarà sempre lo stesso, almeno finché le condizioni al contorno, l'effetto dell'universo circostante rimarranno uguali. Non è, beninteso, che non esistano fenomeni complessi, disordinati, instabili, imprevedibili, caotici; anzi, oggi la fisica e la matematica si stanno appassionando proprio a questi fenomeni, come la turbolenza, la previsione del tempo e così via, e questi studi aumentano la qualità della conoscenza e iniettano al tempo stesso una buona dose di modestia nell'idea della scienza di Laplace. Ricordate il suo detto? Più o meno era così: un calcolatore di potenza illimitata, se conoscesse con opportuna precisione le condizioni di tutto l'universo ad un certo istante, potrebbe prevedere il suo stato con la precisione desiderata ad ogni istante futuro. Bene, non è così: l'instabilità e il caos sono in agguato quasi dovunque, e per la maggior parte dei sistemi fisici una differenza anche piccolissima nelle condizioni in cui due sistemi identici si trovano ad un certo istante conduce a due storie del tutto diverse dopo un po' di tempo. Poiché non si possono specificare con infinita precisione le condizioni che definiscono il sistema ad un dato tempo, ne consegue che non si può prevedere il futuro di questi sistemi. Non è dunque nè sempre possibile nè facile strappare alla natura le isole di semplicità e di ordine che vi si trovano; ma questa fatica ha permesso l'immenso sviluppo scientifico. Così la ricerca di semplicità e di simmetria nella natura è stata una sorgente costante di ispirazione per la fisica. A questo tema è dedicato il convegno internazionale che si apre domani a Torino all'Accademia delle Scienze e prosegue fino a sabato all'Università e a Villa Gualino. Parteciperanno fisici illustri, che per tre giorni si riuniranno a discutere questi temi intorno a Sergio Fubini in occasione dei suoi 65 anni. E bene è stato scelto il tema, perché i 40 e più anni di impegno di Fubini nella ricerca hanno avuto questa continua caratteristica: cercare una traccia di semplicità nella fisica, sviluppi matematici semplici che permettano di cogliere i tratti fondamentali dei fenomeni, e naturalmente la simmetria, grande principio ispiratore e ordinatore. Saranno molti i fisici a convegno: gli amici e allievi italiani da Torino a Padova, a Napoli, a Firenze, a Cagliari, a Pavia, a Trieste; e poi gli amici e colleghi dai molti luoghi dove Fubini ha svolto ricerca: dagli Usa (dove è stato professore al Mit), dal Cern (dove è stato per parecchi anni membro del direttorato scientifico contribuendo in modo determinante alle scelte degli acceleratori); e ancora, dall'Inghilterra, dalla Francia, dal Giappone, dalla Germania (è dottore honoris causa di Heidelberg), da Israele e da tanti altri istituti e laboratori. I partecipanti rispecchiano le due componenti della sua vita: la grande attività internazionale e il legame profondo sempre avuto con l'Italia e con l'Università di Torino in particolare, dove è professore da molti anni. Caro Sergio, buona simmetria e semplicità per la tua ricerca futura. Vittorio de Alfaro Università di Torino


LABORATORIO Alla Sorbona in cattedra l'astrologia?
Autore: PRESTINENZA LUIGI

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: TEISSIER ELIZABETH
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 030

LA Sorbona, la più antica e prestigiosa università parigina, riaprirebbe dopo più di trecento anni una cattedra di astrologia. Secondo fonti accademiche, l'astrologa francese Elizabeth Teissier, fra le più note e celebrate, sarebbe sul punto di convincere le autorità dell'ateneo ad assegnarle questa cattedra, dopo avere già spiegato il suo progetto al presidente Mitterrand e chiesto appoggio a eminenti storici e sociologi francesi. La Sorbona ebbe una cattedra di astrologia fino al 1666, quando il grande ministro Colbert, braccio destro di Luigi XIV, l'abolì nel clima creato dalle idee razionaliste di Descartes. Viceversa, secondo l'attuale rettore, che è la signora Michele Gendreau Massaloux, «l'approccio storico dell'insegnamento dell'astrologia, in particolare durante il Rinascimento, e la possibile influenza degli astri, sono elementi che meritano il confronto con gli ambienti universitari». Può darsi che la notizia sia il solito «ballon d'essai» lanciato per saggiare le reazioni che provoca: ma, a parte tutte le riserve che si possono avanzare sugli epigoni dell'astrologia e sui suoi contenuti, più volte radicalmente confutati, non si vede facilmente la possibilità, anche soltanto tecnica, di trasformare queste credenze in un insegnamento universitario. Anzitutto, in base a quali titoli si accederebbe all'insegnamento? Posto che si possa arrivare alla chiamata in cattedra per «chiara fama» di uno spe cialista, da quali vie attendere e come selezionare gli studenti, dato che i diversi astrologi hanno ciascuno la propria «ricetta» e largamente divergono nelle loro interpretazioni? Tutto ciò entrerebbe fra gli insegnamenti scientifici o dovrebbe finire fra quelli di sociologia? E che valore avrebbe una laurea così ottenuta? Non è pensabile che lo studio millenario degli «influssi» attribuiti agli astri possa trovare ancora posto nel campo della scienza. Anche se i divinatori più aggiornati compulsano gli annuari astronomici e utilizzano il computer per i loro calcoli, ciò che se ne trae è sempre un risultato irrazionale, privo di qualsiasi fondamento nel metodo scientifico. Tra l'altro, anche senza ripetere qui gli innumerevoli argomenti che demoliscono l'astrologia, basta ricordare che quello degli astrologi è un cielo «congelato» ai tempi tolemaici, in cui la precessione degli equinozi non ha spostato il polo e i famosi dodici «segni» dello Zodiaco, che corrispondono poi a tredici delle attuali costellazioni, sono raggiunti dal Sole nelle date tradizionali. In realtà oggi il «punto d'Ariete» che segna l'equinozio di primavera è scivoltato di un bel po' nella vicina costellazione dei Pesci, e di conseguenza il Sole si trova in questa e non in Ariete fra marzo e aprile. Nei calcoli astrologici, quindi, tutti gli «arieti» dovrebbero diventare «pesci», questi ultimi riferirsi all'acquario, i «leoni» contentarsi del cancro. Su ciò i banditori dell'astrologia - che oggi ha una diffusione impressionante nei «mass media» come spunto di intrattenimento - completamente sorvolano. Per loro i dodici «segni» son sempre lì: e si indica un'entrata fittizia in essi anziché nelle costellazioni (che poi, come si sa, sono aggruppamenti puramente casuali di stelle che si collocano a distanze diverse). Ma se un pianeta o il Sole non si trovano più in quella certa «casa» del cielo, dove vanno a finire le «influenze» che si ricavano da quella presenza? Gli astrologi si rifugiano in confusi discorsi di storia, di tradizione, quasi di mistica: ma anche recentemente autorevoli teologi cattolici hanno mosso guerra ai loro oroscopi, dichiarando peccato il credervi, perché ne esce vulnerato il libero arbitrio dell'uomo, se il suo destino è già scritto nelle stelle. L'altra parte non demorde: la credulità del pubblico porta buoni affari, si tratti di consulenze private, di pubblicazioni dedicate a oroscopi, di rubriche su giornali, di apparizioni televisive. Che non diventerebbero meno futili se, per avventura, conquistassero il pulpito della Sorbona. Luigi Prestinenza


LA LEGGE DI ROULT Sale sulle strade e addio ghiaccio
Autore: BO GIAN CARLO

ARGOMENTI: CHIMICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 030

E' un fenomeno curioso quello che permette di fronteggiare l'inconveniente delle strade gelate con un elemento abbondante, il sale, poco costoso e di facile impiego, dato che basta spanderlo sulla strada e attendere. Se raffreddiamo una soluzione acquosa di cloruro di sodio all'1 per cento vediamo che solidifica a -0,6 gradi C. Se la soluzione è al 10 per cento solidifica a -6. Raffreddandola gradatamente, via via che si deposita il ghiaccio, la soluzione diventa più concentrata e solidifica a temperatura sempre più bassa. Soltanto fino a un certo punto, però. A -23 gradi C soluto e solvente gelano insieme e la temperatura di solidificazione non scende più. Questa miscela, corrispondente al 33 per cento di sale, si chiama crioidrato e la temperatura a cui ciò avviene è la temperatura eutettica. Se invece raffreddiamo gradatamente una soluzione superiore al punto eutettico, cioè molto concentrata, si deposita esclusivamente il soluto, finché la soluzione raggiunge la concentrazione dell'eutettico. Da quel momento soluto e solvente si solidificano insieme in una sola miscela eutettica. Dunque in una soluzione di un soluto (nel nostro caso il sale) in un solvente (come l'acqua) la temperatura di solidificazione (e anche quella di fusione) è più bassa di quella del solvente puro. Tale differenza di temperatura si chiama abbassamento crioscopico. Roult scoprì la legge nel 1882. «Per un dato solvente l'abbassamento crioscopico è direttamente proporzionale alla concentrazione del soluto e inversamente proporzionale alla sua massa molecolare». In molti casi, come per l'acqua e il cloruro di sodio, lo stesso sciogliersi del sale produce raffreddamento, che però non può mai raggiungere la temperatura eutettica. Questo fenomeno è applicato nei frigoriferi. Se aggiungiamo sale a ghiaccio tritato possiamo raggiungere circa 20 gradi sotto zero mescolando una parte di sale e due di ghiaccio; se provassimo a mescolare 7 parti di ghiaccio pesto con 10 di cloruro di calcio arriveremmo a 51 gradi sotto zero. Per freddo che faccia, c'è un certo movimento. Quando un solido viene sciolto in un liquido, il cosiddetto calore latente di soluzione è assorbito e «immagazzinato». E, dato che la temperatura di solidificazione è più bassa di quella del liquido puro, succede che appena parte del ghiaccio fonde, si forma una soluzione che gela a temperatura inferiore a zero gradi e che permette la fusione di altro ghiaccio. Così si assorbe sia il calore di fusione sia il calore di soluzione che fa inesorabilmente raffreddare la massa del miscuglio. E' come se dovessimo rimuovere dalla soluzione di acqua e sale una maggiore quantità di calore per raggiungere il punto di congelamento, cosa che avverrà a temperatura più bassa. Perché il ghiaccio incominci a cristallizzare non basta infatti rallentare le molecole dell'acqua ma occorre superare l'adesione di quelle del sale. Ciò comporta anche un aumento della temperatura di ebollizione dell'acqua. Il calore stimola il divorzio. Dato che tra le molecole d'acqua e quelle di sale c'è del tenero, nell'ebollizione esse saranno obbligate a essere più veloci del normale per poter essere scacciate col vapore. Giancarlo Bo


FUSIONE Ecco come l'energia gioca a nascondersi
Autore: G_C_B

ARGOMENTI: CHIMICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 030. Ghiaccio e sale

SCALDANDO un blocco di ghiaccio, a un certo punto esso comincia a fondere e la sua temperatura resta ferma su 0 gradi, finché tutto il ghiaccio non è trasformato in acqua. Se si continua a fornire dell'energia termica, la temperatura incomincerà a salire esclusivamente dopo che tutto il ghiaccio si sarà fuso. La quantità di calore da somministrare ad una sostanza solida durante la fusione si chiama calore di fusione. E' il calore che serve per fare il lavoro di disgregamento delle molecole del solido contro le forze di coesione, e viene immagazzinato nel liquido sotto forma di energia interna. Solidificandosi, il liquido restituisce integralmente quest'energia sotto forma di calore di solidificazione. E' appunto il calore che si «nasconde» nel liquido durante la fusione e che viene restituito durante la solidificazione: il calore latente. Nel caso dell'acqua, il calore latente di fusione o di solidificazione è pari a circa ottanta calorie per ogni chilogrammo, ed è minore per le altre sostanze. (g. c. b.)


ENERGIA Ignitor a Saluggia Assegnati i fondi
Autore: PANARESE ROSSELLA

ARGOMENTI: ENERGIA, FINANZIAMENTO
NOMI: COPPI BRUNO
ORGANIZZAZIONI: ENEA
LUOGHI: ITALIA, SALUGGIA (VC)
NOTE: 030

SARA' il centro Enea di Saluggia (Vercelli) a ospitare Ignitor, una macchina per esperimenti di fusione nucleare progettata già nel 1978 dal fisico Bruno Coppi. Grazie a un emendamento della finanziaria 1994 Ignitor riceverà in tre anni 10 miliardi di lire. Inoltre un ordine del giorno, votato al Senato alla fine di dicembre, impegna il governo ad aggiungere altri 150 miliardi, sempre in tre anni. Bruno Coppi, da 20 anni professore al Mit di Boston e dalla fine degli Anni 40 impegnato nella lotta finanziaria per Ignitor, ha dunque vinto la sua battaglia e con lui le industrie torinesi e genovesi coinvolte nel progetto. Ignitor è una macchina più piccola e meno costosa delle sorelle della linea Tokamak costruite in Europa e negli Stati Uniti. Ma la scelta di una macchina «piccola» non è solo una questione di soldi. Il punto è la base scientifica e tecnologica. Ignitor può produrre campi magnetici molto elevati (100 KiloGauss), capaci di ottenere un'altissima densità di particelle e quindi reazioni di fusione a temperature più basse di altre esperienze finora realizzate. Lo scopo è di realizzare l'anello mancante nella ricerca sulla produzione di energia da fusione: l'ignizione. In parole più semplici, si tratta di accendere la miscela di deuterio e trizio affinché la reazione si sostenga da sola e si produca più energia di quanta ne venga immessa. «Siamo stati i primi a studiare questo obiettivo, già dal 1975 - sostiene Bruno Coppi -. Successivamente esperimenti al Mit e altri svolti in parallelo a Frascati hanno dato le basi scientifiche e tecnologiche. Oggi Ignitor è l'unico esperimento che può accendere il plasma». Resta il fatto che la ricerca sulla fusione continua oggi a soffrire di un curioso problema temporale. Quarant'anni di lavoro e una stessa previsione: tra quarant'anni avremo il primo reattore che permetterà di avere abbondante e poco costosa energia da fusione. Calcolo sbagliato dei tempi, strategia per forzare la mano ai finanziatori, perdita di competitività della fusione o errata politica organizzativa? Bruno Coppi propende per quest'ultima ipotesi. «Ci si lamenta che la fusione proceda con ritardi; il fatto è che non sono stati dati nè i fondi, nè le possibilità. Soprattutto non è stata capita l'urgenza di provare la fattibilità scientifica del reattore a fusione. Guardiamo il progetto Ignitor: noi siamo pronti da anni e nel frattempo abbiamo costruito i prototipi dei componenti principali della macchina e svolto tutto il lavoro di fisica. Ma il progetto non decollava tra pigrizia politica e impedimenti burocratici». Oggi, dopo varie vicissitudini, l'Italia accetta di finanziare Ignitor. L'Enea mette a disposizione il centro qualificato di Saluggia (dotato di tecnologie e potenza elettrica adeguata, vicino a Torino e alla sua Università). Le aziende sono pronte a terminare i pezzi della macchina. A quando dunque l'inizio del primo esperimento? «Questa è una buona domanda - risponde polemico Coppi - ma la risposta dipende dal sistema Italia. Se tutto sarà fatto con i tempi dovuti, la macchina Ignitor si può costruire in quattro anni». Rossella Panarese


DIAGNOSI PRECOCE No alla paura Nessun esame può prevedere un tumore con certezza Sapersi a rischio consente però di curarsi prima e meglio
Autore: FOA' ROBIN

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, DONNE
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: G. Tumori del seno in Usa
NOTE: 031

LEGGENDO i titoli, «Cancro al seno, diagnosi in culla», «Questa vittoria della medicina sarà il dramma di molte donne», con lettere e commenti relativi, viene da pensare che le informazioni sulla possibilità di fare una diagnosi genetica per alcuni tumori dell'uomo abbiano originato confusione e un allarmismo in buona parte infondato. Se è giusto dire che recenti studi di genetica molecolare dei tumori hanno alzato un velo sugli eventi che a livello del Dna portano alla trasformazione neoplastica, è altrettanto vero che al momento non disponiamo di alcun esame che alla nascita possa predire con certezza se un individuo svilupperà un tumore alla mammella o altrove. Se così fosse diventerebbero attuali alcuni dei problemi etici sollevati. La realtà è però diversa. E' conoscenza comune che l'incidenza di alcuni tumori è più elevata in alcune famiglie. La probabilità di sviluppare un carcinoma della mammella o del colon-retto aumenta se un individuo ha un consanguineo che ha sofferto della stessa patologia; questa probabilità aumenta ulteriormente se diversi sono i famigliari colpiti. Negli ambienti dove maggiore è l'informazione sanitaria e dove il problema cancro non è visto solo come una condanna irrimediabile, la predisposizione a sviluppare un determinato tumore è una problematica ben nota anche al di fuori degli addetti ai lavori. Gli studi di biologia molecolare condotti in questi ultimi anni hanno permesso di evidenziare alterazioni a carico del nostro corredo genomico che fanno ritenere assai probabile, almeno per alcune importanti neoplasie, una predisposizione genetica. Questo è il caso del carcinoma della mammella, e probabilmente dell'ovaio, ove sul cromosoma 17 è stato individuato un gene associato alla suscettibilità per questo tumore, chiamato Brca1 (BReast CAncer 1). E' stato calcolato (non dimostrato) che donne portatrici di mutazioni ereditarie di questo gene potrebbero avere fino al 60% di possibilità di sviluppare un tumore della mammella o dell'ovaio entro i 50 anni, mentre nella popolazione a rischio normale questa probabilità è nell'ordine del 2%. Più recentemente è stato riconosciuto un nuovo gene sul cromosoma 2, chimato provvisoriamente «Fcc» (per Familial Colon Cancer), che potrebbe essere associato alla suscettibilità a sviluppare un carcinoma del colon- retto. L'importanza di questa scoperta è dimostrata dalla stima che nei Paesi occidentali questo gene della predisposizione al cancro del colon-retto potrebbe essere presente in un soggetto su 200. La genetica molecolare sta quindi aiutando a comprendere in modo assai più raffinato quanto già si sospettava sulla base delle osservazioni cliniche, e cioè che i tumori possono riconoscere una predisposizione ereditaria. Da qui ad affermare che con un semplice esame del sangue «in culla» (e perché non in gravidanza?) si potrà sapere se una persona svilupperà un determinato tumore, il passo rimane ancora lungo. Prima dovranno essere isolati e clonati questi geni, poi si dovrà valutare se le stime calcolate di trasformazione neoplastica si riveleranno esatte. In ogni modo, non potremo predire con assoluta certezza se la persona in cui sarà evidenziato un gene di suscettibilità svilupperà realmente il tumore. Si potrà quindi parlare, nella migliore delle ipotesi, di predisposizione genetica individuale e non già di definitiva «condan na». L'accertamento di una possibile predisposizione genetica potrà, inoltre, essere proposto a una donna (o a un uomo) alla maggiore età, e non effettuato «in culla»: saranno loro stessi a decidere e non altri] Attualmente, nel nostro Paese il problema va forse visto in un'ottica differente: la popolazione generale è preparata a recepire e a convivere con un rischio più elevato di sviluppare un tumore? O preferisce, invece, non sapere fintanto che il tumore non si sia manifestato clinicamente? A quest'ultima più «serena» ipotesi di vita si contrappongono le evidenze di altri Paesi dove il problema cancro viene vissuto con maggiore coinvolgimento personale e l'inoppugnabile dimostrazione che tumori diagnosticati precocemente, di solito prima che si manifestino sintomi clinici, sono molto spesso guaribili. Tutte queste osservazioni trovano conferma dai programmi di prevenzione. La maggior parte dei carcinomi della mammella diagnosticati nei programmi di screening mammografico sono in stadio precoce e quindi curabili. Una singola retto-sigmoidoscopia effettuata all'età di 55- 60 anni può ridurre l'incidenza di carcinomi del colon-retto. Poiché la diagnosi precoce rimane il mezzo più efficace per ridurre la mortalità da tumore e poiché i programmi di screening non sono sempre applicabili a tutta la popolazione, diventa di primaria importanza individuare i soggetti a maggior rischio di sviluppare un tumore. Grosse speranze, sono, quindi, riposte nella possibilità di identificare, con un semplice esame del sangue non invasivo ed a costo bassissimo, soggetti a rischio per una determinata neoplasia. Queste persone non dovrebbero sentirsi predestinate, ma andrebbero seguite periodicamente presso centri specializzati e sottoposte ad accurati programmi di screening (mammografia, retto-sigmoidoscopia, ecc), al fine di riconoscere precocemente una eventuale trasformazione neoplastica. Poiché sensibilizzate, esse potrebbero, paradossalmente, avere una prognosi da tumore migliore rispetto alla popolazione a rischio normale. Verso programmi di screening strumentale e genetica, resi possibili da una accurata informazione sanitaria, si stanno indirizzando i più moderni centri oncologici. Robin Foà Università di Torino


IMPOTENZA Tante cure per ritrovare lo slancio
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, SESSO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 031

L'IMPOTENZA è un antico problema maschile già affrontato agli albori della medicina. Ma soltanto in questi ultimi tempi, con lo sviluppo di tecniche che permettono di stabilire le cause del disturbo, si è arrivati a una fondata terapia farmacologica. La sequenza dei meccanismi fisiologici in questo campo coinvolge tutta una serie di neuromediatori e di ormoni. Ne deriva una molteplicità di cause organiche dell'impotenza, sinteticamente riconducibili a quattro: di natura arteriosa, venosa, neurologica e ormonale. Naturalmente esistono anche fattori psicologici, specialmente la preoccupazione per il successo e la conseguente ansia del fallimento, però responsabili, da soli, di appena un quarto dei casi. D'altronde una distinzione netta fra impotenza organica e psichica non è ammissibile, poiché anche quest'ultima si esprime con alterazioni biochimiche: eccessiva liberazione di adrenalina, diminuzione di neurotrasmettitori come il Vip (Vasoactive Intestinal Polype ptide) e la prostaciclina, diminuzione del potassio e aumento del calcio intracellulare. Dunque la ricerca di un'eziologia organica deve essere effettuata in ogni caso. L'impotenza, insomma, è quasi sempre plurifattoriale. Dopo i quarant'anni, essa evolve di solito su un terreno predisposto che si accompagna, sul piano neuropsichico, con una fragilità agli stress, un'iperemotività, una tendenza depressiva. Sul piano organico, invece, intervengono uno o più fattori che agiscono sulla circolazione quali l'ipertensione, l'ipercolesterolemia, il diabete, il consumo di tabacco. Lo studio della situazione è indispensabile mediante prove specifiche: doppler, elettromiogramma, dosaggi ormonici, test psicologici e così via. La terapia farmacologica viene stabilita in funzione di tutti questi dati. Un primo gruppo di rimedi comprende gli alfa-bloccanti (bloccano i recettori alfa-1 dei corpi cavernosi, influenti sulla circolazione), gli agonisti dopaminergici (agiscono sul sistema adrenergico, ossia sul simpatico, esso pure influente sulla circolazione), infine i neurolettici contro l'ansietà e le manifestazioni emotive. Per quanto riguarda le alterazioni ormonali, si distinguono due eventualità. La prima è il deficit degli ormoni androgeni (come il testosterone), che si può correggere con preparati sintetici. La seconda è l'iperprolattinemia, cioè l'aumento del tasso di prolattina nel sangue. La prolattina, un ormone prodotto dall'ipofisi che nella femmina contribuisce allo sviluppo delle ghiandole mammarie in gravidanza e alla montata lattea dopo il parto, nel maschio stimola la sintesi degli ormoni androgeni, ma un eccesso riduce la libido (anche nella donna) e tale eccesso può essere frenato con farmaci come la bromocriptina. Abbiamo infine le iniezioni nei corpi cavernosi (nei quali si accumula il sangue durante l'erezione) di farmaci che agiscono sui neurotrasmettitori implicati nel rilasciamento dei muscoli lisci intracavernosi, indispensabile per l'erezione. Le iniezioni intracavernose sono indicate nell'impotenza psicologica e nella maggior parte delle impotenze da difetti circolatori. Con un apprendimento rigoroso, lo stesso soggetto può effettuare su di sè l'iniezione. Esistono comunque anche iniettori automatici. Secondo i dati del Centro di ricerca e terapia dell'impotenza, diretto a Parigi da Virag, l'ideatore dell'iniezione intracavernosa, oggi il complesso delle terapie farmacologiche, applicate con una scelta individuale, dà al 90 per cento dei soggetti trattati la possibilità di ritrovare un'attività sessuale soddisfacente. Questa è soltanto una tappa, ci sono ancora molte cose da chiarire: a livello endocrino, per comprendere meglio le pulsioni sessuali e l'interferenza con l'erezione; a livello farmacologico, per migliorare le terapie; a livello biologico, per rimediare al progressivo deterioramento del tessuto erettile, legato all'età e ai fattori di rischio circolatori. Ulrico di Aichelburg


DUE ANNI DI LEGGE La guerra per il controllo dei parchi Un libro sugli aspetti controversi della normativa
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, LIBRI, LEGGI
PERSONE: CERUTI GIANLUIGI
NOMI: MONTACCHINI FRANCO, CERUTI GIANLUIGI
ORGANIZZAZIONI: EDITORIALE DOMUS
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 031. «Aree naturali protette»

«QUESTA legge quadro era necessaria; non è perfetta, è frutto di un compromesso, ma è importante che esista; ora si può pensare a migliorarla». La legge è quella sui parchi e le riserve naturali approvata il 6 dicembre del '91 e il giudizio è di Franco Montacchini, presidente del più antico parco nazionale italiano, quello del Gran Paradiso. L'Italia è arrivata tardi a darsi una legislazione organica per la conservazione della natura. Il primo parco nazionale del mondo, quello di Yellowstone, è del 1872 ma da noi la conservazione della natura, sotto la forma impropria di tutela del «bello paesaggistico», comparve nella legislazione solo all'inizio del secolo. Importanza decisiva per l'approvazione della legge del '91 hanno avuto da un lato il travaglio che ha segnato il passaggio di molte competenze dallo Stato alle Regioni, e l'ingresso in Parlamento, nell'87, di un nutrito gruppo di parlamentari «verdi», ambientalisti o comunque sensibili alle problematiche relative. Su questa legge e sui problemi di applicazione Gianluigi Ceruti, senatore in quella legislatura, presidente della Consulta tecnica per le aree naturali, ha pubblicato un denso volume (Aree naturali protette, Editoriale Domus) che viene presentato a Torino venerdì alle 18 all'Istituto San Giuseppe (via San Francesco da Paola 23) con la partecipazione di Roberto Saini, responsabile parchi della regione Piemonte, del pretore Cinzia Miniotti, del segretario Pro Natura del Piemonte Emilio Delmastro, del presidente Piemonte-Valle d'Aosta di Italia Nostra Marco Piacentino e appunto di Franco Montacchini. La legge è a una svolta perché ha come riferimento non più elementi estetici, storici, artistici ma in primo luogo i valori scientifici ed ecologici. «Le leggi precedenti, come quelle che nel '22 avevano istituito il parco del Gran Paradiso, nel '23 quello d'Abruzzo, nel '35 quello dello Stelvio, avevano di mira la tutela di ambienti specifici - sottolinea Montacchini - senza costituire una disciplina normativa generale; la legge Galasso tutelava il territorio in modo generico; quella del '91 è invece una legge organica sui parchi e le riserve "al fine di garantire e di promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del Paese"». Quali appaiono, fin d'ora, i punti da rivedere? Montacchini ne indica subito uno: le norme repressive. «In alcuni casi fin troppo rigorose; strappare un fiore in un'area protetta può costare una multa fino a 5 milioni di lire, due milioni e mezzo se si paga subito, oltre a sei mesi di reclusione. Questo fa sì che in concreto, di fronte a sanzioni così pesanti, nasca la tentazione di non applicarle affatto». Poi ci sono problemi particolari per i vecchi parchi. Il passaggio alla nuova normativa deve avvenire in base a un decreto legge previsto dall'articolo 35, decreto che è già stato emanato per il parco d'Abruzzo ma non ancora per gli altri. «Il Gran Paradiso - dice Montacchini - sta attraversando un momento critico di adeguamento. E ha il problema particolare della sorveglianza. Ora è svolta da personale che è l'erede diretto delle guardie regie, uomini nati in montagna, con una specializzazione molto spinta, con un'esperienza insostituibile dei luoghi, dell'ambiente naturale e di quello umano; con la nuova legge questi uomini, che si tramandano il mestiere da quattro- cinque generazioni, dovrebbero cedere il passo al Corpo forestale dello Stato. Sarebbe una grave perdita». Vittorio Ravizza


STRIZZACERVELLO La gara internazionale
Autore: PETROZZI ALAN

ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 032

Al gran premio di tiro al piattello sono iscritti trenta concorrenti in rappresentanza di cinque nazioni, ciascuna delle quali ne schiera sei. La premiazione con splendide coppe d'argento è prevista per i primi cinque classificati, mentre l'enorme trofeo della manifestazione, un sontuoso premio in oro massiccio, verrà assegnato nel solo caso in cui una nazione riesca a piazzare almeno tre concorrenti nella rosa dei premiati. Un solerte giudice di gara si è messo in testa di calcolare quante sono le diverse «cinquine» di vincitori individuali che garantirebbero l'assegnazione del magnifico trofeo. Sapreste dargli una mano? La soluzione domani, accanto alle previsioni del tempo. (A cura di Alan Petrozzi)


LA PAROLA AI LETTORI Piove sul tram? Nessuna scossa, ci sono le rotaie
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 032

Se l'acqua è un buon condut tore di elettricità, perché qando piove non si verifica una scarica tra la linea aerea e le rotaie di un tram, attra verso il tram stesso, che è ba gnato? E perché i passeggeri, salendo e toccando il tram, con i piedi ancora a terra, non prendono la scossa? L'acqua pura a temperatura ambiente non è un buon conduttore dell'elettricità, tuttavia gli isolanti bagnati o anche solo umidi presentano una certa conducibilità, specie superficiale, e permettono il passaggio di correnti verso terra, con diverse conseguenze: in ambienti umidi, le cariche elettrostatiche si disperdono senza essere avvertibili condutture e apparecchi elettrici investiti dalla pioggia danno luogo a correnti di dispersione che possono far intervenire gli interruttori differenziali («salvavita») posti all'interno dell'impianto elettrico se l'impianto elettrico non è protetto da differenziali, le correnti di dispersione possono crescere fino a dar luogo a scariche di potenza. Nel caso del tram, le correnti di dispersione che possono prodursi in caso di maltempo si scaricano direttamente a terra attraverso le rotaie, e non sono avvertibili dai passeggeri neppure all'atto di salire sul tram. Paolo Andrietti Milano Quali combustibili, oltre alla benzina, producono il letale ossido di carbonio? Forse la forma della domanda, per dare meglio l'idea in termini di tossicità, andrebbe corretta in «possono produrre il letale ossido di carbonio». In questo caso, la risposta immediata sarebbe: tutti. Almeno, tutti quelli usati come combustibili. Tutti i combustibili sono infatti a base di carbonio, oppure sono dei composti del carbonio, come gli idrocarburi (nessuno brucerebbe altre sostanze combustibili, come lo zolfo o il fosforo, per ovvie ragioni ecologiche). Se bruciano completamente, daranno un'ossidazione totale del carbonio, producendo anidride carbonica, che non è tossica. Bruciando parzialmente, daranno invece un'ossidazione parziale e quindi produrranno anche dell'ossido di carbonio, che va a legarsi con il ferro contenuto nei globuli rossi del sangue, rendendoli inattivi perché non si possono ossigenare. Di qui la possibilità di intossicazione fino alla morte per asfissia, in quanto il corpo rimane privato dell'ossigeno. Giorgio Bracco Torino Qual è l'etimologia del nome scientifico «Unionidi» con il quale vengono indicate le cozze di fiume? Unio è il principale genere appartenente alla famiglia Unionidi. Ed è anche il termine usato dallo scrittore latino Lucio Columella (I secolo d. C.) nel suo trattato di agricoltura «De re rustica» per descrivere la cipolla. L'aspetto madreperlaceo della superficie interna delle valve, nella conchiglia degli Unionidi, ricorda infatti le «bucce» della cipolla, così come il loro «sfogliarsi» quando, morto l'animale, subiscono l'azione degli agenti atmosferici sul greto del fiume. Giovanni Repetto Alba (Cn) E' vero che le cascate più alte del mondo non sono quelle del Niagara? E' verissimo. La più alta cascata del mondo è il Salto Angel, in Venezuela, su un braccio del fiume Carrao, affluente superiore del Caroni. Il salto totale è di 979 metri e il singolo salto più alto di 807. Già nota agli indios come Cherun-Meru, la cascata fu scoperta nel 1910 da Ernesto Sanchez LaCruz e riscoperta dal pilota americano James Angel, che fece un atterraggio di fortuna nelle sue vicinanze il 14 novembre 1933, legando ad essa il suo nome. Alberto Puliafito Borgone di Susa, (To) Le cascate del Niagara precipitano per soli cinquantanove metri, ma traggono la loro caratteristica dall'immensa portata d'acqua (circa quattrocentocinquantasei milioni di litri al minuto) e dall'ampiezza del fronte (1097 metri). Emanuela Ciappina Torino


ENERGIA DAL MARE Domare le onde Impianto sperimentale
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.
NOTE: 032

Si può ricavare energia dalle onde del mare? Gli inglesi ci provano, con l'impianto sperimentale che hanno costruito sulle rive dell'isola di Islay, nell'arcipelago delle Ebridi. Del tutto nuovi la turbina e il generatore: la turbina (detta Wells dal suo inventore) ha due ruote, ciascuna con quattro pale. La sua caratteristica è di continuare a girare nella stessa direzione anche se il flusso dell'acqua cambia in continuazione.


CHI SA RISPONDERE?
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 032

- Perché la falce di luna a volte è orizzontale (coricata), altre verticale (in piedi)? E che cosa significa il proverbio marinaro «Luna coricata, marinaio in piedi. Luna in piedi, marinaio coricato? Paolo Roccato. - Perché, nella credenza popolare italiana, è il 17 a portare sfortuna, mentre all'estero è il 13 il numero menagramo? Cristiano Cosmovici. - Chi ha inventato l'azoto liquido? E a che cosa serve? - Che cosa dà la schiuma alla birra?


PRIMO RAPPORTO UNESCO Scienza, trionfi a metà L'Asia spinge, i Paesi arabi frenano
Autore: M_VER

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, STATISTICHE
ORGANIZZAZIONI: UNESCO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. Numero persone che lavorano nella ricerca e sviluppo. Investimenti. Per Paese
NOTE: 031

L'UNESCO ha presentato nei giorni scorsi il suo primo Rapporto sulla scienza nel mondo: tabelle, cifre, ragionamenti che sfatano alcuni luoghi comuni e lasciano intravedere scelte politiche molto disuguali. Primo dato, prevedibile: un piccolissimo numero di Paesi industrializzati porta avanti l'80 per cento della ricerca e dello sviluppo mondiali, investendo mediamente il 2,9 per cento del prodotto interno lordo. Ma non è solo una questione di ricchezza: i Paesi arabi, ad esempio, pur ricchissimi sono assolutamente refrattari alla scienza. Poco incoraggiante anche la situazione dell'America Latina, dove si spendono in ricerca e sviluppo 10 dollari per abitante: quasi tutti i Paesi Cee ne spendono 300, i Paesi scandinavi oltre 400, gli Stati Uniti 600 e il Giappone oltre 700. Lanciatissimi, invece, i Paesi asiatici, che investono più di alcuni Paesi europei e sono un modello di politica tecnologica anche per Australia e Nuova Zelanda. Il modestissimo investimento dell'Africa sub-sahariana (meno dello 0,5% della ricchezza lorda) dimostra come la scienza non rientri tra le priorità di quei Paesi. A differenza di quanto accade in Cina che, con un prodotto interno lordo inferiore a quello del Canada, ha la bomba atomica, i satelliti nello spazio e un supercollider. Quanto al numero di scienziati, tecnici e ingegneri rispetto alla popolazione attiva, in testa alla classifica c'è il Giappone, seguito da Israele, Australia e Nuova Zelanda. Gli investimenti non hanno tutti uguale orientamento. I giapponesi, ad esempio, considerano un lusso la ricerca di base. Infatti pubblicano pochissimo (appena l'8% di articoli sono loro, contro il 36% degli americani e il 28% degli europei), ma brevettano molto: in Europa, tanto quanto gli americani (24%). E questi più degli europei. (m. ver.)


LE DATE DELLA SCIENZA Novant'anni fa dalla lampadina nasceva la prima valvola: il diodo
Autore: GABICI FRANCO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
PERSONE: FLEMING JOHN AMBROSE
NOMI: FLEMING JOHN AMBROSE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 032

NOVANTA anni fa, nel 1904, l'ingegnere John Ambrose Fleming realizzava la prima valvola elettronica, il "diodo". L'invenzione del diodo fu una conseguenza degli studi volti a migliorare la lampadina elettrica. Edison, infatti, nel 1883, dopo aver sistemato un filamento metallico all'interno del bulbo di una lampadina, si accorse che fra il filamento incandescente e filo applicato passava corrente (effetto Edison). Nel 1904 Fleming sostituì al filo di Edison una "placca" che avvolgeva il filamento della lampada e il dispositivo così realizzato si comportava diversamente a seconda del tipo di elettricità della "placca". Se questa era caricata positivamente attirava gli elettroni che fuoriuscivano dal filamento e passava corrente, se invece era caricata negativamente gli elettroni del filamento venivano respinti e la corrente non passava. Inviando alla "placca" una corrente alternata, il dispositivo la convertiva in corrente continua. I diodi trovarono una prima applicazione negli apparecchi radio. Oggi i diodi sono a stato solido, come i transistor. Nel 1907 Leo de Forest modificò la struttura del diodo inserendo fra il filamento (catodo) e la placca (anodo) un terzo elettrodo. Nacque così il triodo, usato soprattutto come amplificatore di segnali. Franco Gabici


INFORMATICA Evitare le ripetizioni SEDICESIMA PUNTATA
Autore: MEO ANGELO RAFFAELE, PEIRETTI FEDERICO

ARGOMENTI: INFORMATICA, DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 032

Nella scheda della scorsa settimana (che sarà opportuno rileggere prima di proseguire) abbiamo visto il seguente programma di interrogazione: 10 REM PRIMA DOMANDA 20 PRINT "Qual è la capitale della Francia?" 30 INPUT R$ 40 IF R$ = "PARIGI" THEN GO TO 130 50 REM SEGNALAZIONE DI ERRORE 60 PRINT CHR$(7); CHR$(7) 70 PRINT "La risposta è errata]" 80 FOR N = 1 TO 1000 90 NEXT N 100 PRINT CHR$(7); CHR$(7) 110 PRINT "Studia di più]" 120 GOTO 200 130 REM MESSAGGIO DI CONGRATULAZIONI 140 PRINT "Bravo, la risposta è esatta]" 150 FOR N = 1 TO 1000 160 NEXT N 200 REM SECONDA DOMANDA 210... ecc. se il programma di interrogazione prevede 10 domande, la sezione di errore (dalla linea 50 alla linea 120) comparirebbe 10 volte, nella stessa identica forma. Anche la sezione di congratulazioni (da 130 a 160) comparirebbe 10 volte, con le stesse istruzioni ripetute praticamente nella stessa forma e nello stesso ordine. E' evidente la convenienza di scrivere una sola volta la sezione di errore e la sezione di congratulazioni, di isolare queste due sezioni alla fine del programma e di far saltare ad esse tutte le volte che è necessario. Questo è il concetto di "sottoprogramma" . Il BASIC, come ogni altro linguaggio di programmazione, fornisce una coppia di istruzioni che rendono facile l'attuazione di un sottoprogramma. Sono le istruzioni GOSUB ("GO", ossia "vai", alla " SU-Broutine", ossia al "sottoprogramma") e RETURN (ossia " ritorna"). La prima istruzione, scritta come GOSUB seguito dal numero (o dal nome) della prima linea del sottoprogramma, serve per "saltare" dal programma "chiamante" al sottoprogramma "chiamato". La seconda istruzione, scritta semplicemente come RETURN, serve per ritornare dal sottoprogramma chiamato al programma chiamante, esattamente alla linea successiva a quella contenente la GOSUB di partenza. Lo schema seguente illustra i meccanismi di "chiamata" di un sottoprogramma e di ritorno al programma chiamante, nell'ipotesi che dal programma chiamante si eseguano due successive "chiamate" al sottoprogramma: Quando l'esecuzione del programma chiamante arriva all'istruzione 100, il calcolatore salta all'istruzione 10000 ed esegue il sottoprogramma. Al termine del sottoprogramma, in corrispondenza alla linea 10500, il calcolatore ritorna al programma chiamante, ed esattamente all'istruzione 110 immediatamente successiva all'istruzione GOSUB dove era stato effettuato il salto al sottoprogramma. Successivamente, in corrispondenza all'istruzione 200, si esegue una nuova chiamata dello stesso sottoprogramma allocato alla linea 10000. Dopo l'esecuzione di questo, il calcolatore ritornerà alla linea successiva all'ultima istruzione di chiamata, ossia alla linea 210. Si osservi che la chiamata al sottoprogramma avrebbe potuto anche essere eseguita con una GOTO 10000, ma il ritorno al programma chiamante non potrebbe avvenire semplicemente con una GOTO. Infatti dopo la prima esecuzione del sottoprogramma si deve ritornare alla linea 110, mentre dopo la seconda, il ritorno dev'essere fatto alla linea 210. Quindi al posto dell'istruzione RETURN si dovrebbe scrivere un'istruzione molto più complessa che in termini informali sarebbe equivalente a un ordine del tipo: "se arrivi dall'istruzione 100, salta alla 110; se arrivi dalla 200, salta alla 210". Si provi per una sola volta a risolvere il problema con questa tecnica, al fine di apprezzare l'efficacia del meccanismo delle due istruzioni GOSUB e RETURN. Ad esempio, si usi una variabile, ossia una scatola nera, CHIAMATA, da porre uguale a 1, subito prima dell'istruzione 100 e uguale a 2, subito prima della linea 200. Al posto della RETURN si scriverebbe allora: 10500 IF CHIAMATA = 1 THEN GOTO 110 ELSE GOTO 210. Si provi poi a riscrivere il programma proposto all'inizio di questa scheda isolando le due sezioni di errore e congratulazioni, usando le istruzioni GOSUB e RETURN. Nella scheda della prossima settimana riporteremo la soluzione in modo da consentire un controllo del lavoro svolto.(continua)




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