ARGOMENTI: ZOOLOGIA, GENETICA, TECNOLOGIA, ZOOTECNIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 021. «allevamento animali tecnologici»
UNA enorme mammella con sopra attaccata una bovina: così sono state definite le vacche frisone, campionesse assolute della produzione di latte. Sono la impressionante testimonianza della capacità dell'uomo di manipolare la genetica, esaltare le qualità fisiologiche, forzare l'alimentazione: una miscela esplosiva che ha rivoluzionato in pochi decenni l'allevamento di interi Paesi. E con risultati produttivi da capogiro: il primato mondiale di mungitura appartiene a Cora, una pezzata nera acquistata in Canada da un allevatore statunitense, che ha prodotto in un anno addirittura 26 mila chilogrammi di latte, con punte massime giornaliere di oltre 100 litri. La insidia da vicino, in questa corsa al record che vede gli animali protagonisti del tutto inconsapevoli, Royalty Maxima, altra frisona americana, già arrivata a 23.632 litri in soli 305 giorni di lattazione. Ma non si tratta di eccezioni. E' tutto il settore bovino che ha compiuto progressi rilevanti e non solo sotto il profilo della quantità. Attraverso un'accurata (e costosa) selezione si è riusciti a cambiare anche la composizione del latte che è meno grasso e più ricco di proteine, specie delle frazioni di caseina più adatte a produrre un miglior formaggio. Le regine del latte sono ovviamente trattate con tutti i riguardi che competono al loro rango: vivono in stalle moderne e razionali, seguono diete strettamente personalizzate e sono seguite da squadre di veterinari specializzati. La mungitura avviene con sofisticate macchine che svuotano in pochi minuti le turgide e gigantesche mammelle mentre le vacche mangiano tranquillamente una razione di mangime. Ed è proprio l'alimentazione a richiedere una speciale attenzione: produrre ogni giorno una cascata di latte è assai gravoso e i fabbisogni fisiologici devono essere accuratamente determinati e soddisfatti. I ricercatori hanno calcolato che una bovina che produce diecimila chili di latte all'anno (e sono moltissime anche in Italia) «elimina», con il latte, oltre all'acqua, circa 12 quintali di sostanza solida (grassi, zuccheri, proteine e sali minerali). Poiché il peso medio di una lattifera è di circa sette quintali, togliendo l'acqua ed il contenuto alimentare si ha un totale netto di circa 150 chili. Ne consegue che, nel corso di un anno di lattazione, una vacca da latte deve interamente ricostituirsi circa 8 volte. Un impegno organico rilevante, un equilibrio difficile da mantenere. Ed infatti questi fenomeni di produttività sono costantemente alle prese con problemi sanitari, che i veterinari chiamano tecnopatie. Si va dalle infiammazioni alle ipertrofiche ghiandole mammarie (mastiti) ai disturbi della fertilità, dalle malattie dei piedi alle disfunzioni metaboliche, come le temute chetosi. Un insieme di patologie rilevanti cui vanno aggiunte le conseguenze degli stress, come la perdita del vitello, sottratto alla madre pochi giorni dopo il parto e mai più rivisto. E ancora l'inseminazione strumentale, con sperma di tori rigidamente selezionati tra decine di aspiranti, o addirittura, per le femmine meno illustri, l'utero in affitto, cioè l'impianto di un embrione già sessato, figlio di altri genitori dai primati più prestigiosi. Ovviamente in questi allevamenti dove il futuro è già da tempo cominciato non sono cambiati solo gli animali ma anche il personale addetto, tutto ad alta qualificazione professionale. Oggi i migliori allevatori sono laureati in agraria, veterinaria, scienze delle produzioni animali. Discutono con competenza di indici genetici, profili metabolici, biotecnologie e frequentano corsi di management aziendale. Farebbero certamente strabuzzare gli occhi a un margaro di cinquant'anni fa più della vista di un marziano.
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LUOGHI: ITALIA
NOTE: 021. «allevamento animali tecnologici»
LI hanno battezzati «animali tecnologici» e costituiscono ormai la maggioranza degli animali da reddito allevati, in terra e in acqua, nei paesi industriali. Sono il risultato di una ricerca scientifica avanzata, trasferita nella pratica zootecnica con una velocità impensabile pochi decenni fa. Totalmente dipendenti dall'uomo, gli «animali tecnologici» non somigliano che vagamente ai loro progenitori, vivono in ambienti sempre più artificiali ma producono fiumi di latte e montagne di carne e uova. Su di essi i pareri sono discordi: chi li considera un prodotto utile e vantaggioso del progresso, chi un'aberrazione di una civiltà che inseguendo il mito del profitto ad ogni costo sta smarrendo il senso del corretto rapporto con l'ambiente. Il dibattito è aperto. Con questa pagina «Tuttoscienze» si propone di trattare alcuni casi esemplari di tecnologia applicata all'allevamento degli animali domestici e alla produzione di alimenti e beni di consumo che da essi derivano.
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LUOGHI: ITALIA
NOTE: 021. «allevamento animali tecnologici»
SONO grossi come vitelli e per la loro mole sproporzionata non riescono più a far l'amore. Ai tacchini riproduttori, bestioni pesanti fino a mezzo quintale e con gravi difficoltà di movimento, viene unicamente prelevato il seme per la fecondazione artificiale, diventata strumento di elezione per assicurare la continuità delle super-razze da carne. Problemi opposti invece per i galletti, che nei grandi capannoni climatizzati regnano su di un harem di una decina di ovaiole, un rapporto numerico individuato come ideale per la produzione di uova da cova. Sono due aspetti curiosi dell'organizzazione produttiva del settore avicolo, uno dei pochi a garantire al Paese l'autosufficienza. Espressione tipica dell'allevamento «senza terra», l'avicoltura è oggi un sistema industriale integrato, tecnologicamente avanzatissimo con regole ferree. Le uova da cova giungono da centri selezionati e sono fatte schiudere in enormi incubatoi, capaci di contenere fino a mezzo milione di uova. I pulcini appena nati sono immediatamente divisi per sesso e poi spediti con speciali imballaggi, spesso in aereo, ai grandi allevamenti, dove sono nutriti con diete bilanciate, secondo la specializzazione. E i risultati hanno dell'incredibile: in soli 36 giorni i galletti raggiungono il peso di un chilo e mezzo, la taglia più richiesta dal mercato, mentre per raggiungere i tre kg (pollo pesante) non si superano i 57 giorni. Per produttività non scherzano neanche le ovaiole che, in media, scodellano più di 300 uova a testa all'anno. Ma sono rendimenti quasi obbligati: la concorrenza è feroce ed i margini di profitto modesti per gli alti costi dei pulcini e dell'alimento. Basta un innalzamento minimo della mortalità o una riduzione di 60 grammi del peso di macellazione per andare in perdita. Per questo gli allevatori sono attentissimi ai problemi ambientali e sanitari. Ad esempio i contenitori per trasferire i pulcini di un giorno di età devono essere perfettamente climatizzati: il troppo caldo disidrata i neonati e, accelerando il metabolismo, li costringe a bruciare le scarse riserve energetiche di cui dispongono, prostrandoli fino alla morte; al contrario con il freddo i pulcini si stringono insieme rischiando soffocazioni collettive. Ma i drammi ambientali coinvolgono anche i polli da ingrasso a fine ciclo, soprattutto d'estate. I volatili non hanno ghiandole sudorifere ed il loro organismo elimina il calore in eccesso per evaporazione di acqua attraverso la ventilazione polmonare, con respirazione accelerata a becco aperto. Se questa eliminazione è insufficiente si verificano ipertermie mortali che colpiscono i soggetti di taglia più grande, che producono maggior calore endogeno. La straordinaria velocità di accrescimento è anche responsabile, sempre nel pollo da carne, di numerose patologie condizionate, anche inusuali, come l'ascite, provocata dall'azione combinata del freddo e dell'ipopotassemia dovuta alla sproporzione tra il rapido aumento della massa muscolare e la più lenta crescita dell'apparato cardiocircolatorio. Ci sono, infine, le complicazioni del sovraffollamento responsabile di turbe di comportamento caratterizzate da irrequietezza permanente e crisi di isteria collettiva che può giungere fino al cannibalismo. Questi fenomeni sono oggi controllati con diete ricche di aminoacidi ma anche grazie agli studi di etologia: si è visto che anche tra i polli di allevamento esistono le gerarchie sociali, con tanto di posizioni dominanti conquistate a suon di beccate. Per giungere alla formazione delle gerarchie è indispensabile che i volatili si riconoscano ed un pollo può riconoscere fino a un massimo di 100 soggetti con cui ha contatti quotidiani. Tuttavia la capacità di memoria non oltrepassa le tre settimane per cui, facendo convivere migliaia di soggetti, si ha un continuo rimescolamento che fa crescere l'aggressività. Nessun problema di convivenza invece per le ovaiole che, in quattro per gabbia, si adattano tranquillamente alla forzata coabitazione.
ARGOMENTI: ZOOLOGIA, GENETICA, TECNOLOGIA, ZOOTECNIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 021. «allevamento animali tecnologici»
SE non ci si metterà di mezzo un eccessivo inquinamento dell'ambiente, l'acquacoltura mondiale potrebbe, entro il 2000, toccare il ragguardevole traguardo dei cinquanta milioni di tonnellate di prodotto alimentare per anno. E' un importante contributo alla perenne fame proteica che angustia la popolazione del globo ma anche un passaggio obbligato perché con l'attuale pressione di pesca (65 milioni di tonnellate/anno di pescato) le risorse naturali delle acque libere sono, almeno per le specie commercialmente più importanti, vicine alle massime possibilità di sfruttamento. Tuttavia il processo di sviluppo dell'acquacoltura, tumultuoso e rapido a partire dagli Anni Sessanta, deve ora fare il conto con alcuni problemi che la fanno definire dagli esperti «zootecnia imperfetta». Primo: si trova ad applicare tecnologie di allevamento sempre più raffinate a sistemi biologici non ancora soggetti, per carenza di conoscenze, ad un completo controllo da parte dell'uomo. In altre parole, con la sola, parziale eccezione della trota, le specie allevate sfuggono alla domesticazione; cioè a quel processo di adattamento a condizioni artificiali che consentono la massima estrinsecazione del potenziale produttivo. Si tratta quindi di allevare animali selvatici, sottratti al loro habitat naturale e letteralmente segregati in spazi angusti, con un controllo del ciclo produttivo che inizia con la deposizione e la fecondazione delle uova e diventa, per necessità economiche, sempre più stretto ed artificioso. Oggi con la tecnica del fotoperiodo, messa a punto dai ricercatori francesi, si riescono a «destagionalizzare» i ritmi biologici. Così il periodo di produzione delle specie ittiche maggiori non si limita ai soli 4-5 mesi della fase naturale ma comprende tutto l'anno. Si effettuano anche, allo stadio di zigote, interventi di manipolazione cromosomica, bloccando la divisione cellulare. Il blocco meiotico, applicato dopo una normale fecondazione, produce individui triploidi che, nel sesso femminile, sono sterili per mancanza di sviluppo ovarico. Questa triploidia tecnologica fa aumentare la resa in carne in quanto evita lo spreco energetico connesso alla maturità sessuale che si raggiunge durante l'ingrasso. Ma il secondo e più grave inconveniente della moderna acquacoltura rimane la difficile lotta alle malattie infettive e parassitarie, cronica difficoltà che tutti gli allevamenti intensivi devono affrontare. Ad esempio nella troticoltura si arriva a produrre oltre 12 chilogrammi di pesce per metro quadrato, una densità di popolazione che facilita la diffusione dei fattori patogeni. Uno dei morbi più pericolosi è la setticemia emorragica virale, infezione che si tenta con scarso successo di contrastare con vaccini specifici. Dannosa e diffusa è anche una malattia batterica, provocata da Yersinia ruckeri e denominata «bocca rossa», perché i pesci infetti presentano un caratteristico arrossamento della cavità orale. Altre malattie di rilievo la necrosi ematopoietica infettiva, la vibriosi e le numerose malattie micotiche e parassitarie. Ma se nelle vasche di allevamento si può intervenire contro i fattori patogeni somministrando mangimi medicati o sciogliendo direttamente nell'acqua sostanze terapeutiche, per le specie marine si è sviluppato l'allevamento in acque libere, utilizzando gabbie sommerse, ancorate a sei metri di profondità. Con questo sistema si evitano anche le aggressioni dei predatori: infatti per i malcapitati pesci coltivati l'insidia arriva anche dall'alto. Gli uccelli predatori banchettano lautamente nei ricchi bacini ittici ed in Francia i piscicoltori denunciano perdite rilevantissime. Principale accusato è il cormorano, specie protetta, che effettua prelievi che interessano fino all'80 per cento della produzione. Un autentico flagello che sta innescando infuocate polemiche tra i furibondi piscicoltori danneggiati, che chiedono drastici interventi contro gli insaziabili uccelli, e gli ambientalisti.
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, SANITA'
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.
NOTE: 022
NEGLI ultimi anni la mortalità per infarto cardiaco in Italia è diminuita del trenta per cento, soprattutto grazie a nuovi farmaci particolarmente efficaci. Le famigerate coronarie meritano dunque maggiore benevolenza. La loro triste fama deriva dall'essere associate all'infarto: dovrebbero invece godere di stima quando si ricordasse che, sane, rappresentano per così dire il carburatore del cuore. Esse forniscono alle fibre muscolari cardiache (il miocardio) appunto il carburante, ovvero il sangue. Il cuore è pieno di sangue, ma questo si limita a scorrere nelle sue cavità entrando e uscendo. Sono le arterie coronarie, provenienti dall'aorta, a irrorare di sangue le strutture del cuore. Le due coronarie, destra e sinistra, formano una specie di corona che si espande con una infinità di diramazioni comunicanti fra loro. Ogni qualvolta aumenta la frequenza o il vigore delle contrazioni cardiache aumenta di pari passo l'afflusso del sangue coronarico. Fattori meccanici, chimici, nervosi contribuiscono in varia misura a regolare il flusso coronarico in modo che l'apporto di ossigeno sia adeguato alle necessità. Il flusso coronarico è squisitamente sensibile alle variazioni delle esigenze energetiche ossidative del muscolo cardiaco. Il quale è differente dai muscoli propriamente detti. Le fibre di questi ultimi sono cellule plurinucleate, invece il miocardio è costituito da cellule mononucleate, congiunte in una sorta di sincizio (massa originata dalla fusione di più cellule) e formanti fibre ramificate unite in fasci variamente orientati, i quali si intersecano, si intrecciano e danno al cuore una straordinaria forza. Si calcola che il lavoro del cuore in 24 ore equivalga a 20 mila chilogrammetri, corrispondente a sollevare venti tonnellate all'altezza di un metro. C'è ancora un'altra fondamentale differenza fra muscoli e miocardio. L'azione dei muscoli è sottoposta alla nostra volontà, i cuore è invece il prototipo degli organi ad attività automatica. In esso si generano spontaneamente e ritmicamente gli eccitamenti, che si propagano a tutto il miocardio provocandone la contrazione, la cosiddetta sistole che spinge fuori il sangue, dopo di che il miocardio si rilancia (diastole) per accogliere il sangue di ritorno. Il cuore passa continuamente e alternativamente, in media 70-75 volte al minuto, quasi 38 milioni in un anno, più di due miliardi e mezzo in 70 anni di vita, da uno stato di eccitabilità ad uno di riposo. Per un atleta allenato a competizioni di fondo quali il ciclismo su strada, lo sci di fondo, il canottaggio, la frequenza dei battiti a riposo può essere 40 al minuto mentre nello sforzo intenso raggiunge 180- 220. Questo adattamento del ritmo del cuore alla richiesta di ossigeno dei muscoli è reso possibile in massima parte dai nervi cardioregolatori: il simpatico attivatore, e il parasimpatico, inibitore, due sistemi antagonisti. Le aritmie, ovvero le anormalità del ritmo cardiaco (tachicardie, extrasistole, ecc.), molto frequenti, hanno un significato clinico variabile. Lo stimolo cardiaco nasce in un gruppo di cellule situate nell'atrio sinistro il nodo sinusale centro di comando del cuore, detto anche pacemaker, battistrada, segnapassi (e «pacemaker» è anche la denominazione dell'apparecchio ritmatore del cuore applicabile in particolari situazioni patologiche). L'impulso si propaga come un moto ondoso dagli atri ai ventricoli, con una velocità che può raggiungere 3 metri al secondo percorrendo un sistema specifico di fibre cellulari. Anche staccato dal corpo il cuore, come aveva già notato addirittura Galeno, seguita a pulsare con regolarità cronometrica purché si provveda a nutrirlo. L'esperimento più importante in proposito fu fatto nel 1940 con un apparecchio ideato da Alexis Carrel (premiato con il Nobel per la medicina nel 1912) e Charles Lindbergh, il celebre trasvolatore dell'Atlantico. Ma qual è il meccanismo dell'automazione? Si tratta d'un processo elettrochimico, e il miocardio è una struttura altamente specializzata per trasformare l'energia chimica in energia meccanica. Attraverso la membrana delle cellule pacemaker avvengono continuamente scambi di ioni, in particolare di potassio e sodio, e fra l'esterno e l'interno della membrana nasce una differenza di potenziale che si modifica secondo le fasi del ciclo cardiaco. Scatta così un impulso elettrico. L'elettrocardiogramma, esame del cuore ormai di routine, registra appunto le variazioni di potenziale collegate con l'attività cardiaca. Ulrico di Aichelburg
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, SANITA'
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 022. Cuore
IL cuore non è soltanto una pompa che spinge il sangue nei polmoni perché esso possa arricchirsi nuovamente di ossigeno, e nelle arterie perché possa rifornire di ossigeno e sostanze nutritive tutte le cellule dell'organismo. Da qualche tempo si è scoperto che il cuore funziona anche come una ghiandola endocrina. Si cominciò con il notare che negli atri del cuore di tutti i mammiferi le cellule contenevano granuli simili a quelli che si osservano nelle cellule endocrine, ossia produttrici di ormoni. Le indagini proseguirono fino a quando fu isolato appunto un ormone del quale si conosce ormai la struttura chimica (è formato da peptidi, corte catene di aminoacidi). E' stato anche clonato il gene che ne codifica la composizione, sì che l'ormone può essere sintetizzato. Come era presumibile abbastanza facilmente, l'ormone, avendo origine nel cuore, ha a che fare con la circolazione del sangue. I ricercatori lo hanno battezzato «Fattore natriuretico striale» (ANF, Atrial Natriu retic Factor) o anche «atriopeptina». Questo singolare e imprevedibile ormone svolge molteplici funzioni: regola la pressione del sangue e il volume del sangue circolante, aumenta l'eliminazione di acqua (diuresi), di sodio (natriuresi, da cui il suo nome) e di potassio. Agisce inoltre su svariati organi: vasi sanguigni, reni, ghiandole surrenali, zone del cervello che a loro volta controllano la pressione del sangue e la regolazione dell'acqua e del sodio. Di particolare importanza si è dimostrata l'influenza del Fattore natriuretico striale sul sistema renina-angiotensina, un complicato circuito che contribuisce a disciplinare la pressione ed il volume del sangue e la ritenzione del sodio. La sostanza chiave del sistema è la renina, un enzima prodotto dai reni e che agisce sull'angiotensina presente nel sangue. L'ANF controlla appunto la renina. (u. d. a.)
ARGOMENTI: PSICOLOGIA, MEDICINA E FISIOLOGIA, SANITA'
NOMI: ANGELA PIERO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 022
SI è già parlato molto della serata televisiva curata da Piero Angela sulla depressione. Come rappresentante della Associazione unitaria degli psicologi italiani, vorrei ricordare che i sintomi depressivi hanno anche un senso psicologico, e negarlo o reprimerlo è poco scientifico ed è... deprimente, perché toglie ogni speranza di contatto tra il depresso e chi gli sta intorno. Certo, tutti i sintomi, sebbene nascondano una verità, se continuano a nasconderla è sempre per solide ragioni, perché quel che significano non è accettabile. In particolare ciò che significano i sintomi depressivi è più spiacevole di quel che significano gli altri sintomi: il depresso parla senza ritegno di aggressività, cattiveria, morte. Non è come l'isterica ottocentesca che voleva parlare di amore e non osava. E' stato più facile per noi tutti vincere l'incomprensibilità dei sintomi isterici. Ma va ricordata l'enorme resistenza che dovette affrontare inizialmente la psicologia per lanciare un ponte fra quella società e le isteriche che non lasciavano capire le loro fantasie erotiche. Serve per capire le difficoltà che deve affrontare ora la psicologia per indurci ad accettare di capire i sintomi dei depressi che, come già notava Freud, rispetto alle isteriche sono molto più realistici nel descrivere, invece dell'amore, l'aggressività più ripugnante, provocatoria, oscena. La serata Tv sulla depressione dimostra che questo secondo sforzo degli psicologi ha avuto molto meno successo. Ma proprio per questo il lavoro dello psicologo, ormai quasi banale nel render comprensibili i sintomi erotici, e quindi poco utile nell'alleviarli, è invece utilissimo per rendere sopportabili i sintomi aggressivi. L'ostracismo che quella trasmissione ha inflitto agli psicologi forse non si ripeterà nella prossima, che affronterà la timidezza. I rossori, le sudorazioni, le palpitazioni del cuore, le accelerazioni nel respiro, insomma quel poco che è rimasto dei sintomi isterici nella società moderna ha ben poco bisogno dello psicologo, perché la psicologia ha già vinto quasi tutte le battaglie su questo fronte, e forse Angela convocherà qualche nostro collega a vantare le vittorie della psicologia che hanno trasformato la terribile epidemia isterica riducendola in forme così benigne. Sarebbe più scabroso, ma anche più utile, che ci si convocasse invece in qualche futura trasmissione che toccasse altre vicissitudini dell'istinto aggressivo. Piero Angela ha dimostrato un ammirevole coraggio nell'attaccare a fondo tante illusioni antiscientifiche. Perché non chiedergli ora di affrontare scientificamente anche una delle più pericolose illusioni del nostro tempo, l'illusione di abbattere alla radice tutta la distruttività umana? In questo caso si farebbe un lavoro psicologico difficile, ma autenticamente costruttivo. Pierangelo Sardi Segretario generale dell'Aupi
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, DIDATTICA, SCIENZA, CULTURA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 022
UN fumetto di tipo scientifico sulle scatole dei cornflakes, notizie di scienza stampate sui tovagliolini di carta degli hamburger e figurine con geni e cromosomi nelle confezioni di formaggini e cioccolata. Proposte del marketing della Nestlè? No, seri suggerimenti di Leon Lederman, professore di fisica all'Università di Chicago, premio Nobel per la fisica nel 1988. Iniziative del genere costituirebbero un rimedio parziale al fenomeno sottolineato da Pier Carlo Marchisio in un recente articolo su Tuttoscienze. Come stanno le cose negli Stati Uniti per quanto riguarda la cultura scientifica? Benissimo, se Time dedica tutta la copertina e un numero speciale di gennaio interamente alla genetica spiegando a mezzo milione di lettori che questa rivoluzione avrà un impatto maggiore sulla vita di milioni di individui che qualsiasi guerra o rivoluzione sociale. Il numero di Natale dello stesso Time aveva invece riferito che una quantità notevole di americani crede nella presenza degli angeli come agenti sulla Terra e il 49 per cento crede nel diavolo ma non nell'evoluzione delle specie. Uno studio eseguito di recente su un campione di 19 mila studenti delle scuole medie dal Ministero dell'educazione rivela che solo la metà è in grado di analizzare dei dati scientifici (esempio: disegnare la posizione della Luna rispetto al Sole e alla Terra durante un'eclisse solare), il 48 per cento delle classi non ha mai eseguito esperimenti, il 40 per cento non ha mai lavorato su un tema di cultura scientifica assegnato a casa e il 30 per cento non sa usare un computer. Uno studio internazionale pone la cultura scientifica degli studenti americani al di sotto di quella dei giapponesi e di molte nazioni europee, specialmente nel campo della biologia. Allarmato da queste notizie, il presidente Bush lanciò un programma di cultura scientifica indirizzato alle scuole medie per «rendere i giovani americani i meglio informati del mondo in matematica e scienze nell'anno duemila». Secondo le previsioni di Lederman tra non meno di 10 anni tutti i college americani avranno corsi obbligatori di materie scientifiche in ognuno dei quattro anni, con particolare accento sull'impatto della scienza nella storia, economia e umanesimo. Come vadano le cose nell'ambito del grosso pubblico lo dice un'altra inchiesta della Dana Foundation del famoso laboratorio di Cold Spring Harbor a proposito del cervello. L'86 per cento degli interrogati sapeva qualcosa a proposito di malattie del sistema nervoso, incluse quelle mentali, ma solo il 21 per cento collegava tali malattie a un cambiamento di funzione cerebrale. La fondazione ha deciso di stanziare 25 milioni di dollari per programmi televisivi ed articoli di neurobiologia a riunioni aperte al pubblico: la prima sarà a New York al Central Park a giugno, tema: la malattia d'Alzheimer. Per «vendere meglio il prodotto cultura scientifica» i cinquantamila membri dell'Associazione degli insegnanti di materie scientifiche nelle scuole secondarie americane godranno nel '94 di un aumento del loro bilancio del 17 per cento pari a 569 milioni di dollari. Il nuovo programma coordinerà l'insegnamento delle varie materie scientifiche tra di loro. Molte associazioni scientifiche americane, tra le quali è molto attiva quella delle neuroscienze, si sono rivolte agli scienziati affinché mettano più tempo a disposizione nella comunicazione dei loro risultati al grosso pubblico. Una piccola armata di neuroscienziati si è messa a disposizione delle scuole medie per parlare degli effetti della droga, delle depressioni, delle malattie ereditarie del sistema nervoso, dell'Aids e così via. Inoltre, come viene scelto il film o l'uomo dell'anno, da due anni la Società americana per il progresso delle scienze sceglie la «molecola dell'anno»: nel '93, come Tuttoscienze ha prontamente riferito, ha vinto la p53, una proteina identificata recentemente nelle cellule tumorali umane come prodotto di una mutazione cellulare. Ezio Giacobini Università del Sud Illinois
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, SANITA', TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 022
L'EFFETTO della luce su alcuni processi chimici, primo fra tutti la fotosintesi clorofilliana, è noto da tempo. Non sorprende, quindi, il forte interesse per la terapia fotodinamica di varie forme di cancro, basata sull'interazione tra farmaci e luce, generalmente prodotta da un laser. Questo metodo, sperimentato a partire dai primi Anni 80, sfrutta alcune porfirine fotosensibili che, iniettate in vena, si concentrano fortemente nei tumori maligni rispetto ai tessuti circostanti. L'unico principio attivo utilizzato finora deriva dall'ematoporfirina, simile alla protoporfirina IX che costituisce una parte della complessa struttura dell'emoglobina presente nei globuli rossi. L'ematoporfirina, pur essendo fotosensibile, non è direttamente utilizzabile in quanto non si accumula nei tumori. Per acquistare tale proprietà deve essere trasformata in acetato e poi sottoposta ad idrolisi alcalina, in modo che si formi una miscela di prodotti, chiamati ematoporfirine-derivati. Dalla miscela vengono separati alcuni oligomeri, cioè unità formate da due o più molecole di ematoporfirina legate insieme, che costituiscono le specie attive del farmaco, noto nell'uso clinico come Fotoprin. Il processo di distruzione delle cellule richiede la presenza di ossigeno e inizia con l'assorbimento di luce di particolare lunghezza d'onda da parte delle porfirine oligomere: grazie alla luce queste diventano reattive e portano le molecole di ossigeno in uno stato attivato, detto ossigeno singoletto, che a sua volta reagisce con le cellule tumorali in un processo di ossidazione provocandone la distruzione. Questa terapia è un trattamento locale che evita gli effetti collaterali della chemioterapia e offre vantaggi rispetto alla radioterapia, in quanto la tossicità verso le cellule è indotta da energie molto più basse, tipiche delle radiazioni luminose. Il Fotoprin presenta la maggior efficacia con radiazioni di lunghezza d'onda intorno ai 630 nanometri, ma non assorbe radiazioni a lunghezza d'onda maggiore. Negli ultimi anni il metodo è stato sviluppato in seguito ad avanzamenti nella tecnologia del laser e a progressi nel trasporto della luce attraverso i tessuti mediante fibre ottiche. E' stato usato con successo in centri di ricerca per la cura di circa diecimila pazienti affetti da cancro ai polmoni, alla vescica e all'esofago, mentre sono ai primi stadi i tentativi di applicazione della terapia ai tumori al cervello, all'intestino, al seno e all'utero. Un interessante risultato nella cura dei tumori della pelle è stato ottenuto con l'uso di derivati dell'acido 5-amminolevulinico, precursori biosintetici della protoporfirina. Molti tumori, infatti, sono in grado di metabolizzare la porfirina più rapidamente dei normali tessuti. Quando una crema contenente questi composti è applicata ad un tumore della pelle, dopo poche ore si è sviluppato nel tumore un livello di porfirina molto più alto rispetto ai tessuti circostanti. A questo punto l'irradiazione con una sorgente laser provoca la distruzione selettiva del tumore. Presso il Dipartimento di Biochimica dell'Università di Leeds l'80 per cento di pazienti curati con il metodo descritto sono guariti. L'ulteriore sviluppo riguarda lo studio di principi attivi tipo clorine, strutturalmente simili alle porfirine, e ftalocianine, per ottenere specie fotosensibili a radiazioni di lunghezza d'onda maggiori di quelle che attivano il Fotoprin, poiché la penetrazione della luce nei tessuti aumenta con la lunghezza d'onda. D'altronde esiste una soglia limite minima di energia per innescare il processo fotochimico di distruzione delle cellule tumorali e, di conseguenza, essendo energia e lunghezza d'onda inversamente proporzionali, c'è un limite superiore, intorno a 800 nanometri, alla lunghezza d'onda della luce utilizzabile con successo. Ai ricercatori del settore è evidente la potenzialità clinica della terapia fotodinamica. Ma i tempi per una sua applicazione su larga scala non sembrano brevi almeno fino alla disponibilità di nuovi farmaci attivi a lunghezza d'onda compresa tra 750 e 800 nanometri, capaci di rendere i trattamenti decisamente più efficaci. Gian Angelo Vaglio Università di Torino
DEL telefono si è parlato molto male nelle ultime settimane a proposito della vicenda del numero 144. Ma si è fatta anche molta confusione. Il 144, in sè, non è il diavolo. Può diventarlo se seguito da 11 e da altre cifre che mettono in contatto con signorine un po' speciali (ma dev'essere speciale anche chi le chiama, per provarci gusto). Altrimenti è un servizio. Che si paga, come tutti gli altri, a prezzi più o meno ragionevoli e sui quali occorre fare la massima trasparenza. Un contributo alla trasparenza ci viene da Emanuele e Manfredi Vinassa de Regny. Il loro manuale non solo spiega tecnicamente come funziona questo strumento indispensabile della nostra vita lavorativa e privata, ma ci insegna anche a usarlo nel modo più economico e a trarne tutti i nuovi servizi derivanti dal fatto che il telefono oggi è essenzialmente un terminale e quindi può fare molte altre cose oltre a farci parlare con amici e colleghi. Basti pensare al fax, alla telemedicina, alla trasmissione di dati. Degli stessi autori, un manuale sulla radio. Siamo a un secolo dai primi esperimenti di Marconi e vale la pena di riscoprirla. Oltre alla Rai e al bla-bla di tante emittenti private, questo apparecchio può portare in casa nostra le voci, i problemi, la cultura di tutto il mondo. E questo libro ci spiega come.
Nel 1991 una legge (la numero 394) tracciava le direttive per la protezione delle aree naturali. I primi parchi, quelli del Gran Paradiso e d'Abruzzo, risalgono a una settantina di anni fa. Da allora molte regioni di interesse naturalistico sono state compromesse e ben poche protette. Oggi però esistono strumenti legislativi e sensibilità civica per salvare il salvabile. Questo volume a più mani curato da Gianluigi Ceruti è uno strumento prezioso per interpretare e applicare la legge quadro. Tre le sezioni. La prima è storica. La seconda esamina punto per punto la legge quadro. La terza riporta numerosi documenti che allargano l'orizzonte italiano alle conclusioni cui sono giunte le quattro Conferenze mondiali sui parchi degli ultimi vent'anni.
Enrico Fermi, uno dei più grandi fisici del nostro secolo e forse l'unico che sia riuscito a brillare sia come teorico sia come sperimentatore, raccontato da uno dei suoi allievi più famosi, Bruno Pontecorvo, recentemente scomparso, con il contributo di altre numerose testimonianze. Il volume, oltre alla presentazione di Ettore Fiorini, riporta alcuni scritti di Fermi e una accurata cronologia della vita dello scienziato.
Il mondo in tasca, con i suoi popoli, le sue risorse, i suoi eventi: il «Calendario De Agostini» è un appuntamento inevitabile per chi vuol essere informato e aggiornato. Tanto più oggi, che storia e geografia subiscono svolte in tempi strettissimi.
Deve essersi molto divertito, Massimo Baldini, a raccogliere questi aforismi su medici, pazienti e farmaci. Una sola citazione: «Il medico abile è un uomo che sa divertire con successo i suoi pazienti mentre la Natura li sta curando» (Voltaire).
Una ottima sintesi della biologia moderna, quella nata dopo la scoperta della struttura del Dna e quando si è incominciato a studiare la vita a livello molecolare. Testo rigoroso ma molto accessibile perché scritto da un'esperta divulgatrice che collabora alla rivista «Nature».
ARGOMENTI: BOTANICA, MARE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 023
LA battaglia contro l'alga assassina è perduta? Difficile sfuggire a questa domanda dopo aver assistito all'Università di Nizza al vertice degli scienziati italiani, francesi e spagnoli che partecipano al programma Cee «XI Life» per la lotta alla Caulerpa taxifolia. L'alga, probabilmente sfuggita dieci anni fa dall'acquario del Museo oceanografico di Monaco, negli ultimi mesi sembra aver fatto passi da gigante, installandosi in luoghi molto lontani, pronta a colonizzare nuove aree. In Italia, dove fino alla scorsa estate la Caulerpa era nota a Imperia, Livorno e (forse) in un altro punto a Ponente di Imperia, ora è stata scoperta all'Elba e addirittura nello stretto di Messina, una piccola ma pericolosa macchia pronta a dilagare nello Ionio. Il programma Cee contro la Caulerpa impegna 28 istituti scientifici (15 in Francia, 7 in Spagna, 6 in Italia) e 120 ricercatori; coordinatore per l'Italia è Giuseppe Tripaldi, della Castalia di Roma, società dell'Iri che si occupa di ambiente, affiancato dai professori Francesco Cinelli dell'Università di Pisa e Francesco Pietra dell'Università di Trento. Mentre le ricerche procedono tra mille difficoltà, l'alga allunga il passo: tre ettari colonizzati nel '90, 30 nel '91, da 100 a 400 nel '92, da 1000 a 2000 alla fine del '93. «Ma a questo punto non ha più molta importanza misurare l'area invasa», dice Charles-Francois Boudouresque dell'Università di Marsiglia, coordinatore del programma; e Cinelli completa il quadro: «Ormai la Caulerpa può essere dappertutto». E' certo che l'alga, usata per ricreare l'ambiente tropicale in una delle vasche dell'acquario monegasco e gettata inavvertitamente in mare di fronte al palazzo di Ranieri, ha viaggiato a lunghi balzi attaccata alle ancore delle imbarcazioni e alle reti dei pescatori; una volta insediatasi sui fondali di Cap Martin e della rada di Villefranche (dove in estate gettano l'ancora anche mille barche al giorno), ha trovato abbondanza di mezzi di trasporto, come dimostra la perfetta coincidenza dei suoi spostamenti con le principali rotte delle barche da diporto; così è dilagata a Ponente lungo le coste francesi e quelle spagnole della Catalogna, verso Levante lungo la riviera ligure e la costa toscana, e ha raggiunto l'arcipelago delle Baleari e l'Elba. Nello Stretto di Messina potrebbe essere arrivata con le reti dei pescherecci che in l'estate battono il Mar Ligure a caccia di tonni. La Caulerpa taxifolia, lo si sapeva già, è inattaccabile dai predatori erbivori perché contiene una tossina, la caulerpenina, che la rende immangiabile; tuttavia fino a questo momento, come è stato sottolineato a Nizza, non vi sono segni che attraverso pesci, molluschi e crostacei possa danneggiare l'uomo. La minaccia vera dell'alga, invece, è di carattere ecologico: la sua vitalità apparentemente incontenibile, la resistenza a temperature molto basse e molto elevate (da 5 a 45 gradi centigradi), la capacità di prosperare in modo ottimale a profondità modeste (fino a una ventina di metri) ma di vegetare anche a meno 80 metri, di insediarsi indifferentemente su sabbia, fango, scogli e soprattutto la tendenza ad aggredire e distruggere le praterie di Posidonia, che sono la «culla» di innumerevoli specie animali, ne fanno un'autentica minaccia. Il risultato sarebbe la distruzione della diversità biologica, la scomparsa della meravigliosa varietà di forme di flora e di fauna dei nostri mari, ridotti a una distesa monotona e sterile costituita dalle verdi foglie di questa ospite giunta dai mari caldi. Dalla riunione di Nizza è emersa un'altra constatazione niente affatto incoraggiante: di tutti i metodi di lotta escogitati, nessuno si è dimostrato risolutivo. E' possibile che esista da qualche parte un predatore in grado di mangiare l'alga, un pesce, una lumaca? «Bisogna sapere se esiste in natura una lumaca marina così, se la si può allevare, se moltiplicandola in mare non produce effetti negativi», si domanda la biologa protagonista di «La guerra del basilico», l'ultimo romanzo appena uscito di Nico Orengo, di cui la Caulerpa è l'inquietante comprimaria. Da Nizza la risposta è no, al momento non si conosce nessun antagonista del genere. Svanita l'ipotesi di una lumaca di mare, l'Aplysia, resta il riccio di mare, che tavolta se ne ciba d'inverno, quando è meno tossica. Pare però che la caulerpenina causi anche a lui non pochi guai. Si è provato ad aggredire l'alga con l'acqua calda, il ghiaccio sintetico, gli ultrasuoni, i composti a base di rame, ma con risultati discutibili. Unica risorsa, l'eradicazione manuale; gli spagnoli hanno detto di essere «quasi» riusciti a farne sparire una chiazza a Maiorca, ma devono continuamente estirpare i nuovi polloni; e togliere un metro quadrato di alga non costa meno di 130-140 mila lire. Inoltre occorrerebbe un esercito di sommozzatori. A questo punto, salvo soluzioni miracolose, si può sperare al massimo di bloccarne l'ulteriore diffusione. Ma anche per questo non si sa bene come fare. Vittorio Ravizza
ARGOMENTI: BOTANICA, MARE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 023. Caulerpa Taxifolia
POICHE' la Caulerpa viaggia attaccata alle ancore delle barche da diporto, è su di esse che si potrebbe agire per limitarne l'espansione a coste ancora non aggredite. Proibire l'ancoraggio in tutto il Mediterraneo non è possibile. Si potrebbe proibirlo nelle zone infestate dall'alga; ma poiché questa potrebbe ormai essere dappertutto, ciò non darebbe garanzie. E' pensabile allora l'inverso, cioè consentire l'ancoraggio solo nelle zone sicuramente immuni dall'alga; in Costa Azzurra, come ha detto al seminario di Nizza un ufficiale dell'autorità marittima francese, si è fatto un tentativo la scorsa estate, ma i Comuni che dovevano predisporre le zone di ancoraggio non lo hanno fatto (salvo uno). Pur in assenza di disposizioni delle autorità, i singoli proprietari di barche potrebbero fare molto. E' accertato che in un ambiente umido, buio e con una temperatura piuttosto elevata, la Caulerpa è in grado di sopravvivere fino a dieci giorni; queste sono esattamente le condizioni esistenti nel ripostiglio in cui sulla barca viene riposta l'ancora dopo che è stata salpata. Quindi ancora e catena dovrebbero essere ripulite di ogni minimo frammento di Caulerpa prima prima di essere calate in un altro punto. Lavarle in barca non serve perché i frammenti di alga finirebbero in mare; d'altra parte sarebbe irrealistico suggerire di portare in banchina ogni volta ancora e catena (pesanti decine di chilogrammi) e lavarle a terra. Si potrebbe invece pulirle a bordo con uno straccio prima di riporle, facendo attenzione a far cadere gli eventuali frammenti sulla barca per raccoglierli e scaricarli in un bidone dell'immondizia. Più semplice è però scegliere accortamente l'ancoraggio; sotto costa, il navigatore esperto riesce a distinguere facilmente il fondo sabbioso, chiaro, da quello ricoperto di Posidonia o di Caulerpa, più scuro: ancorando sulla sabbia pulita, oltre a non danneggiare le praterie di Posidonia, le probabilità di incappare nelle fronde e negli stoloni di una Caulerpa isolata sono molto ridotte.(v. rav.)
ARGOMENTI: PALEONTOLOGIA, ARCHEOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA, SIRACUSA
NOTE: 023
IN una saletta del Museo di Archeologia di Siracusa sono esposti due elefanti nani fossili. Si tratta di esempari di Elephas Falconieri Busk, provenienti dalla grotta di Spinagallo, in provincia di Siracusa. Il maschio è fornito di zanne; la femmina ne è sprovvista. Probabilmente ad essi risale la leggenda dei ciclopi: il loro scheletro presenta infatti un foro frontale in corrispondenza delle vie respiratorie e questo potrebbe essere stato scambiato per un occhio. In Sicilia e a Malta vi sono diversi resti di elefanti che furono soggetti a fenomeni di nanismo. Si ritiene che essi derivino da un elefante del Quaternario diffuso in tutta Italia, l'Elephas antiquus Falconeri et Cautlet, vissuto fra un milione e 700 mila anni fa. Le due specie presenti sia in Sicilia che a Malta hanno forme diverse: l'Elephas Falconieri, che ha una riduzione del 70% rispetto all'originale, è la forma più recente, mentre l'Elephas mnaidriensis è quella più antica. Quest'ultima presenta una riduzione del 55 per cento ed è quindi più grande. Le due forme sono state trovate anche a Creta. I proboscidati, i cui ultimi successori sono gli elefanti africani (Loxodonta africana), il più grosso mammifero terrestre vivente, e indiani (Elephas maximus), vivono ancora oggi in Africa e in Asia. Si ritiene che i loro progenitori dall'Africa meridionale e centrale si siano portati in Europa, Asia, e America Settentrionale, dividendosi in tre grandi gruppi, ampiamente ramificati. I primi proboscidati avevano le dimensioni di un grosso suino e vivevano in zone paludose. Non possedevano una vera proboscide, nè zanne ma, come Moeriterium, avevano quattro denti incisivi prolungati. Acquistarono via via dimensioni sempre maggiori e i loro denti si trasformarono in potenti mezzi per la lotta, le zanne in utensili e, il naso, insieme al labbro superiore, si allungò sviluppandosi nella proboscide, che funziona anche come via respiratoria, come organo tattile e prensile e come pompa per l'aspirazione dell'acqua che viene poi immessa in bocca. Il lanoso mammuth, il gigantesco elefante del periodo glaciale, fu oggetto di caccia da parte dell'uomo dei periodi freddi. Il mammuth del tardo Pleistocene è ben noto per le raffigurazioni degli artisti preistorici, conservate sulle pareti di alcune grotte, come in Dordogna. I mammuth non riuscirono a superare i periodi glaciali, ma perirono a migliaia nella Siberia, dove sono stati trovati intatti, sepolti nelle alluvioni gelate. Fra il 1860 e il 1900 furono rinvenute in questa zona quantità enormi di zanne di avorio che, nonostante le migliaia di anni, non si sono minimamente alterate. Franca Fabris
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 023
NEI suoi laboratori la Nasa sta mettendo a punto nuovi veicoli spaziali per future esplorazioni planetarie. Il compito affidato a queste astronavi con equipaggio è quello di raggiungere il pianeta Marte e di scendere sulla sua superficie. Gli astronauti dovranno affrontare un lungo viaggio isolati sull'astronave e poi vivere su Marte per compiervi ricerche biologiche e astrofisiche che richiederanno tempi abbastanza lunghi. Ovviamente sarà di alcuni mesi anche il viaggio di ritorno. Per verificare le situazioni che gli astronauti dovranno affrontare è sorto in Arizona un curioso laboratorio chiamato «Biosfera 2», con l'appoggio di un ricco finanziatore. La base sperimentale si trova a 45 minuti di automobile a Nord di Tucson in una bellissima valle. Agli inizi degli Anni 90 ebbi occasione di visitare il laboratorio, progettato appositamente per evitare gli scambi gassosi con l'atmosfera. Si stava preparando una missione con otto persone che dovevano vivere alcuni anni all'interno della struttura stessa. Il 23 settembre 1991 l'esperimento iniziò con la chiusura ermetica della porta del laboratorio, che ospitava quattro donne, quattro uomini e risorse naturali come piante, animali, pesci, acqua: insomma, un microcosmo il più possibile autosufficiente. L'edificio di «Biosfera 2» è in acciaio e vetro, a forma di piramide, e copre una superficie di 1,28 ettari, con un volume complessivo di 204.045 metri cubi. La superficie interna comprende: un terreno agricolo di 2232 metri quadrati, un'abitazione con laboratorio di 1077 metri quadrati, una mini-foresta tropicale, oceano e savana di 1553 metri quadrati e un deserto di 1360 metri quadrati. Ai lati della piramide vi sono due sfere che servono a riciclare l'aria dei laboratori. L'esperimento doveva dimostrare che un uomo per la sua vita quotidiana necessita di circa 0,6 kg di alimenti, 0,9 kg di ossigeno, 1,8 kg di acqua potabile e 22 kg di acqua per usi igienici e domestici. Il personale della missione aveva il compito di coltivare i terreni per produrre alimenti e di seguire tutti gli esperimenti dei 60 progetti affidatigli. Esattamente due anni dopo, il 23 settembre dell'anno scorso, la missione si è conclusa. I risultati delle ricerche non sono ancora noti, ma ci sono dati preliminari sull'attività agricola degli «astronauti», che hanno prodotto l'80 per cento degli alimenti necessari alla loro vita. La rimanente quantità fu fornita da riserve di semi e di prodotti agricoli depositati prima della chiusura dei laboratori. Le piante coltivate nella prima missione hanno confermato che la produzione agricola può essere ottenuta senza concimi chimici e senza prodotti antiparassitari. Un secondo risultato riguarda le diete del personale della missione. Queste hanno portato a una forte riduzione del tenore di colesterolo. Un ulteriore risultato è il riciclaggio del 100 per cento dell'aria, dell'acqua e dei rifiuti prodotti dall'uomo e dagli animali ospitati nella biosfera. Non ancora chiarito è un problema verificatosi in seguito alla diminuzione dell'ossigeno nell'atmosfera del laboratorio: si è dovuto, infatti, aggiungere questo gas nonostante la presenza di piante verdi. Sembra che la diminuzione dell'ossigeno sia stata prodotta soprattutto dalla microflora del terreno, particolarmente sviluppatasi durante il biennio dell'esperimento. La missione compiuta e le altre - una è imminente - che si effettueranno nei laboratori presso Tucson possono fornire dati per la sopravvivenza dell'uomo nello spazio. Tutto ciò consentirà all'uomo di viaggiare con più sicurezza nel sistema solare. Ma anche di tutelare meglio la cara vecchia Terra. Augusto Marchesini Istituto per la nutrizione delle piante, Torino
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
NOMI: CONTE' JACQUES NICOLAS
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 024
UNO strumento di uso quotidiano è la matita: la sua invenzione può essere fatta risalire a due secoli fa, nel 1794. Fin dall'invenzione dei primi ideogrammi l'uomo ha sempre cercato di procurarsi strumenti per scrivere ma il problema venne preso maggiormente in considerazione quando si passò all'uso della carta. Le prime tracce lasciate su carta da qualcosa che poteva assomigliare a una matita sono state rinvenute nel Codice di Teofilo, contemporaneo di Giustiniano, mentre la prima descrizione di una matita è del 1565. In un trattato sui fossili di Corrado Gesner, in effetti, viene descritto un pezzo di legno che fa da supporto a uno stilo in grado di lasciare una traccia sulla carta. Lo stilo era di piombo o di una mistura chiamata «antimonio anglicano». Successivamente, verso la fine del XVI secolo, vengono scoperti in Inghilterra giacimenti di grafite, e stili di grafite verranno utilizzati per la scrittura. L'esaurimento delle miniere, però, fece lievitare il prezzo della grafite e dal momento che diversi tentativi di trovare un surrogato non portarono a nessun esito, la matita andò in crisi e la sua avventura si sarebbe sicuramente conclusa se non fosse sopraggiunta una situazione favorevole. Nel 1794, durante la rivoluzione francese, il chimico Jacques Nicolas Conté ebbe l'incarico dal Comitato di salute pubblica di trovare il modo di sostiture le troppo costose matite inglesi. Conté, dopo aver affettuato alcuni esperimenti, raggiunse lo scopo mescolando polvere di grafite o nerofumo con argilla e scaldando il tutto. Quasi contemporaneamente Josef Hardtmuth iniziava in Austria l'industria della matita che avrebbe raggiunto il suo apice con la mitica famiglia dei Faber. Curiosità: la matita sembra non aver dimenticato le sue origini, quando per scrivere si utilizzavano stivaletti di piombo o gessetti. In tedesco il termine «matita» si traduce Bleistift, che significa «punta di piombo», mentre il francese crayon richiama il gessetto. L'inglese pencil deriva invece da penicil lum, mentre il nostro lapis è la parola latina che significa pietra. Lo scrittore Marino Moretti, infine, ha voluto immortalare la matita nella sua raccolta di versi dal titolo «Poesie scritte col lapis» (1910). Franco Gabici
ARGOMENTI: INFORMATICA, DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 024
NELLA scheda della settimana scorsa abbiamo visto come stampare una frase un certo numero di volte. Ad esempio, il programma seguente stampa dieci volte una frase di Leonardo da Vinci: 10 CLS 20 N=1 30 PRINT "CHI VUOL ESSERE RICCO IN UN GIORNO" 40 PRINT "E' IMPICCATO IN UN ANNO" 50 PRINT 60 N=Npiù1 70 IF N 80 END Il Basic, come altri linguaggi di programmazione, mette a disposizione una coppia di istruzioni per semplificare l'impostazione di un ciclo come quello realizzato dal programma precedente. Lo stesso risultato può infatti essere ottenuto scrivendo: 10 CLS 20 FOR N=1 TO 10 30 PRINT " CHI VUOL ESSERE RICCO IN UN GIORNO" 40 PRINT "E' IMPICCATO IN UN ANNO" 50 PRINT 60 NEXT N 70 END Questo programma contiene due nuove istruzioni. La prima 20 FOR N=1 TO 10 significa: "fai tutto il lavoro delle istruzioni che seguono, sino all'istruzione NEXT, più volte, e ogni volta aumenta il contenuto del contatore di un'unità, partendo dal valore 1 sino (to) al valore 10, ossia fai quel che segue per (for) N=1, 2,..., 10" La seconda istruzione nuova 60 NEXT N serve per delimitare il blocco di istruzioni che devono essere ripetute. Più in generale lo schema di lavoro di questa coppia di istruzioni è il seguente: FOR I = A TO B ISTRUZIONI CENTRALI NEXT I Il calcolatore, per prima cosa, mette a disposizione una scatola nera I che avrà la funzione di contatore, assegnando a questa scatola il valore iniziale A e registrando il valore finale B del contatore. Il calcolatore esegue poi le istruzioni centrali. Quando trova l'istruzione NEXT I (che significa "prossimo" o "successivo" valore di I) il calcolatore incrementa di un'unità il contenuto della scatola I e verifica se è stato superato il valore finale B. Se questo valore non è stato superato, il calcolatore ritorna all'inizio del ciclo e ripete le istruzioni centrali. Altrimenti passa all'istruzione della linea successiva alla NEXT. Ad esempio, quando il calcolatore riceve l'ordine FOR I = 1 TO 10, che significa "PER I uguale a 1 FINO A 10", mette nella scatola I il valore 1 e registra il valore finale. Esegue poi le istruzioni indicate e passa al valore successivo. Solo quando avrà superato il valore massimo del contatore passerà alle istruzioni successive del programma. Vediamo un secondo esempio. Ordiniamo al calcolatore di stampare una fila di 20 asterischi: 10 CLS 20 FOR I=1 TO 20 30 PRINT "*" 40 NEXT I 50 END Le applicazioni dell'istruzione di ciclo sono infinite e molto importanti. E' un'istruzione particolarmente significativa per capire quanto possiamo aspettarci dal nostro calcolatore: un grande aiuto nell'esecuzione di noiosi programmi ripetitivi. Vediamone ancora alcune applicazioni nel campo della matematica elementare, lasciando poi al lettore il compito di provare a costruire altri programmi. Troviamo i divisori di un numero: 10 CLS 20 PRINT "SCRIVI IL NUMERO DEL QUALE VUOI TROVARE I DIVISORI" 30 INPUT N 40 PRINT N; "E DIVISIBILE PER " 50 FOR D=1 TO N 60 IF INT(N/D) = N/D THEN PRINT D; 70 NEXT D 80 END Proviamo ora a scrivere un programma che stampi la tavola pitagorica. Dovremo impostare il programma nel modo seguente: 10 FOR RIGA = 1 TO 10 Stampa la riga numero RIGA 100 NEXT RIGA Il rettangolo delimita una opportuna sequenza di istruzioni. Vediamo ora come stampare la riga RIGA che sarà costituita da 10 numeri, multipli del valore contenuto nella scatola RIGA. Scriviamo allora un altro ciclo interno a quello sopra indicato e delimitato dalle istruzioni 10 e 100. 20 FOR COLONNA = 1 TO 10 30 PRINT RIGA * COLONNA 40 NEXT COLONNA Il programma, con l'intestazione e le righe riordinate, è il seguente: 10 CLS 20 PRINT "* TAVOLA PITAGORICA *" 30 PRINT 40 PRINT 50 FOR RIGA = 1 TO 10 60 FOR COLONNA = 1 TO 10 70 PRINT RIGA * COLONNA 80 NEXT COLONNA 90 PRINT 100 PRINT 110 NEXT RIGA Per avere i numeri incolonnati, possiamo aggiungere la seguente istruzione: 55 IF RIGA * COLONNA Se inseriamo la seguente istruzione: 65 FOR I = 1 TO 2000: NEXT I verrà rallentata l'esecuzione del programma. Ad ogni numero il calcolatore si fermerà per contare fino a duemila, permettendoci in tal modo di seguire meglio lo sviluppo della successione costruita dal calcolatore. (Continua)
ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 024
Un problema di età Questo tipo di problemi rappresenta un classico nel campo della matematica ricreativa; vediamone l'ennesima formulazione. Alla solita domanda del professore di matematica «Quanti anni hai?», un allievo malizioso risponde: «Quando mia madre aveva 34 anni, io avevo un'età che se fosse stata inferiore di 6 anni a quella reale, avrebbe rappresentato un numero il cui quadrato sarebbe stato un ulteriore numero superiore di 6 unità alla mia vera età di quel momento!». Dopo qualche attimo il professore ribatte: «Questi dati non mi sono sufficienti per rispondere!» «Ha ragione» ammette lo studente: «Va aggiunto che ora l'età di mia madre vale il triplo della mia!». Qual è questa benedetta età? La soluzione domani, accanto alle previsioni del tempo (A cura di Alan Petrozzi)
Il paracadute serve per frenare la caduta di un corpo nell'aria ed è costituito da una velatura di stoffa a forma di calotta. I cinesi, in tempi remoti, l'avevano ideato come un grande ombrello in canna e bambù. Leonardo da Vinci lo disegnò invece come una piramide a base quadrata. Il primo lancio avvenne nel 1797: un volo molto pericoloso, perché l'aria si ingolfava sotto la calotta senza poter uscire. Lalande propose allora di aprire un foro al centro della calotta, un sistema ancora in uso oggi. Il paracadute riduce la velocità di caduta libera nell'aria del corpo umano, che può raggiungere i 50 metri al secondo, a 6-8 m/s che corrispondono a un salto da un'altezza di due tre metri.
E' vero che il cane si accorge della presenza di adrenalina nell'uomo che davanti a lui si agita e allora lo assale? E se è vero, come fa ad accorgersene? Con il termine «paura» si fa riferimento a un'emozione generata in conseguenza di situazioni che l'individuo percepisce come pericolose. Nei vertebrati, in questi casi, si riscontra un aumento di attività del sistema nervoso autonomo, che controlla le funzioni somatico-viscerali e regola anche l'attività delle ghiandole surrenali, costituite da due porzioni: midollare e corticale. La stimolazione della parte midollare delle ghiandole induce la secrezione di adrenalina nel sangue. La presenza di questo ormone provoca delle modificazioni, tra le quali la secrezione delle ghiandole sudorifere, le quali contribuiscono a diffondere particolari odori, che tradiscono il particolare stato fisiologico dell'individuo. Il cane, che ha un olfatto molto sviluppato, potrebbe «fiutare» in questo senso la paura di un'individuo e di conseguenza aggredirlo, attuando una reazione innata nei confronti di particolari segnali odorosi emessi dalla «preda». Anche la rabbia si manifesta con queste reazioni viscerali che coinvolgono il sistema nervoso simpatico. In definitiva, l'uomo viene messo in condizione di fuggire oppure di ingaggiare la lotta. Pier Giovanni Bracchi Parma In condizioni di riposo, nel sangue è presente pochissima adrenalina, ma durante l'eccitazione ne viene prodotta e immessa in circolo una forte scarica. Tra i suoi effetti, l'aumento di pressione sanguigna, che provoca la secrezione sudoriparia. Il sudore è così esposto all'aria e giunge a stimolare le cellule olfattive del cane. Roberto Pessione Castelletto Stura (CN) Che cosa significa, nel linguaggio popolare, «Repubblica delle banane»? Questa curiosa definizione è stata coniata una quarantina di anni fa, con riferimento a quelle repubbliche dell'America centrale che non avevano nè un'economia nè un governo stabili e sopravvivevano grazie all'esportazione delle banane, unica fonte di sostentamento, assunta ironicamente come simbolo dello Stato stesso. Oggi questa definizione viene utilizzata per indicare un qualsiasi Paese debole o comunque governato da una classe dirigente fiacca e debole. Monica Raja, Asti Se, trovandoci in mare, un ful mine cade a pochi metri da noi, potremmo rischiare di morire fulminati? Sì. Se una scarica di elettricità, ad esempio un fulmine, cadesse a poca distanza da noi mentre siamo immersi in una sostanza liquida, ad esempio l'acqua di mare, rischieremmo di morire fulminati. Una prima spiegazione sta nel fatto che l'acqua, in particolare quella marina che contiene un'alta percentuale di cloruro di sodio, è un ottimo conduttore di calore ed energia. Ma c'è dell'altro: è la struttura stessa dell'acqua che moltiplica l'intensità dell'energia (e quindi i danni da essa causati). Daniele Zorzi, Villanova d'Asti E' vero che l'acqua è un buon conduttore elettrico, che potrebbe propagare a lunga distanza l'elettricità scaturita da un fulmine. Però il mare è talmente grande che a una certa distanza l'elettricità del fulmine si disperderebbe completamente. Carlo Conteri Scuola Media «Astesano» Perché sia lo stoppino sia il ci lindretto di cera separati non producono nessuna fiamma, mentre riuniti in una candela diventano fonte di calore e di luce? Lo stoppino di per sè ha la tendenza a spegnersi perché non ha la massa e quindi non raggiunge la temperatura necessaria per restare acceso. Basta un lieve colpo d'aria a spegnerlo... La cera invece fonde al calore e non produce fiamma. Nella candela, lo stoppino appena acceso fonde la cera circostante, che, assorbita dallo stoppino stesso, alimenta in modo robusto la fiamma, fino all'esaurimento. Aldo Bertolotto, Savona
QCome mai gli uomini sono più soggetti alla calvizie delle donne? E le donne hanno molti meno peli degli uomini? QPerché i cani ululano quando sentono il suono delle campane o altri suoni particolarmente acuti? Davide Nuccio QCome funziona la macchina " casalinga" per il caffè espresso? E' diversa da quella dei bar? Giorgio Giambuzzi QPerché New York è detta «La grande mela»? Vittoria Dieni _______ Risposte a: «La Stampa-Tuttoscienze», via Marenco 32, 10126 Torino. Oppure al fax numero 011-65.68.688