ARGOMENTI: PSICOLOGIA, MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 017
E' una delle «cattive compagnie» della depressione, insieme agli attacchi di panico, la fobia sociale, l'ipocondria e i disturbi dell'alimentazione. E soltanto i recenti progressi nella diagnosi aiutano a non fare confusioni, sbagliando quindi le cure. I trattati psichiatrici ottocenteschi definivano l'ansia (e quella che viene considerata un suo sinonimo, l'angoscia) come una disperazione intellettuale, un sentimento atroce di morte imminente, accompagnati dalla sensazione fisica di oppressione al torace e soffocamento. Poteva iniziare sotto la pressione di eventi negativi, ma una volta installata poteva continuare anche indipendentemente dalle cause che l'avevano provocata. Freud in un primo tempo la descriveva come reazione alla percezione di un pericolo esterno. Associata al riflesso della fuga, doveva essere considerata come una manifestazione, positiva, dell'istinto di conservazione. Partendo dal principio che ogni volta che c'è angoscia, ci dev'essere qualcosa che la provoca, Freud si chiedeva se esistesse un legame tra l'angoscia reale, legata a un pericolo concreto, e quella nevrotica, nella quale il pericolo ha un'importanza minima o nulla. Una prima risposta fu che l'angoscia d'attesa, o una condizione di angoscia generale, era legata alla libido (le pulsioni sessuali e di autoconservazione) frustrata. In questo contesto, contava molto il carattere: le persone intrepide e coraggiose erano meno esposte alle frustrazioni - e quindi all'ansia - rispetto a quelle indecise, inclini al dubbio e all'angoscia. Nell'ansia nevrotica, l'Io cercava di sottrarsi con la fuga non a un pericolo reale, ma alle esigenze della libido e quindi si comportava di fronte al pericolo interno come di fronte a quello esterno. Sviluppando, in anni successivi, il suo pensiero, Freud arrivò a pensare che l'angoscia fosse connessa con l'attesa, e fosse dunque angoscia davanti a qualcosa di vago e indeterminato, priva quindi di un oggetto specifico. Quando l'oggetto si materializza, infatti, l'ansia diventa paura. Perfettamente legittima, addirittura salutare. L'angoscia normale e quella nevrotica sarebbero quindi legate entrambe a una situazione di pericolo, rispetto al quale consideriamo insufficienti le nostre forze. Per usare le parole di Freud, sarebbero l'«ammissione della nostra impotenza: impotenza materiale e impotenza psichica». Di tutto questo dibattito - e di quello dei filosofi esistenzialisti, da Heidegger a Sartre - non c'è traccia nel pensiero riduzionistico, per il quale l'ansia, insieme ai disturbi dell'umore, è un problema di neurotrasmettitori, i messaggeri chimici usati dai neuroni per comunicare tra di loro. Per una certa parte della neuropsichiatria, la depressione è una malattia a base biologica, per la quale l'unica cura possibile è quella farmacologica. Ci sono molti pregiudizi contro gli psicofarmaci? Sono infondati: il fronte dei sostenitori è compatto e va dal professor Giovanni Cassano, dell'Università di Pisa, ai tanti psichiatri e volontari che nei giorni scorsi hanno presentato «Idea», un nuovo Istituto per la cura e la prevenzione della Depressione e dell'Ansia. Non un ambulatorio, ma un punto di informazione sulla malattia e le possibili vie di uscita. L'iniziativa ha avuto un successo immediato - d'altra parte, si stima che una donna su quattro e un uomo su dieci conoscano la depressione almeno una volta nel corso della loro vita. Lascia però perplessi l'estrema rigidezza ideologica che caratterizza la diagnosi e la terapia della malattia. Nessuno contesta che gli psicofarmaci abbiano una funzione utilissima - ed effetti in qualche caso straordinari. Più discutibile è l'assolutismo con il quale si escludono, tra i rimedi, le psicoterapie, che cercano di andare alla radice delle angosce per risolverle in maniera più radicale. Se anche gli antidepressivi non danno dipendenza, è infatti esplicitamente detto che in un modo o nell'altro vanno presi tutta la vita: come cura nelle ricadute cicliche o come prevenzione per evitarle. Perché allora escludere a priori, quando la crisi più violenta è passata, magari proprio grazie al litio, un'analisi serena e profonda delle ragioni esistenziali che l'hanno provocata? Marina Verna
ARGOMENTI: PSICOLOGIA, MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 017
PIU' dell'8 per cento della popolazione mondiale soffre di disturbi d'ansia, una percentuale analoga a quella della depressione. L'ansia è un aspetto dell'esistenza, è nata con l'uomo ed è indispensabile alla sopravvivenza. A livelli normali, infatti, è uno stato di giusta tensione emotiva e di all'erta che permette all'uomo di superare nel modo migliore situazioni negative e a rischio. Può però anche diventare uno stato di disagio psicologico, in rapporto alla precarietà di determinate situazioni sociali, come quella attuale italiana nella quale non vi sono più certezze e i mutamenti sono tali da produrre in molti individui insicurezza e stati di ansia. Nell'ambito della campagna «Salute e Psiche 1993» si è svolta un'indagine su un campione di 1600 persone. Da questi dati viene fuori che effettivamente nel nostro paese c'è un aumento dei livelli di ansia come conseguenza dell'incerta congiuntura politico-economica. La psichiatria si interessa prevalentemente dei disturbi d'ansia, cioè dell'ansia patologica, che è tale quando interferisce negativamente sulle prestazioni e sull'attività dell'individuo nella vita quotidiana e lavorativa. I disturbi d'ansia sono molteplici nelle loro manifestazioni cliniche e ormai quasi tutti hanno una configurazione sufficientemente precisa per quanto riguarda le cause, i sintomi, il decorso e la risposta ai farmaci. Questo vale soprattutto per il disturbo ossessivo-compulsivo, il disturbo da attacchi di panico e il disturbo d'ansia generalizzata, per i quali sono note ormai anche le correlazioni biologiche. L'ansia nasce nel cervello, nel sistema limbico, una vera centralina che regola tutte le emozioni. La modulazione dell'ansia avviene attraverso tre sistemi di neurotrasmettitori, il sistema gabaergico, quello serotoninergico e quello noradrenergico. Una cattiva regolazione di uno o più di questi sistemi determina le caratteristiche del disturbo, cioè i sintomi, il decorso e la terapia. Anche i disturbi d'ansia, come la depressione, sono vere e proprie malattie psichiatriche, che tuttavia, se curate adeguatamente, possono guarire in un'alta percentuale dei casi. Date le premesse biologiche che caratterizzano i disturbi d'ansia, la terapia si basa prevalentemente sul ricorso a psicofarmaci: ma può essere utile un collaterale intervento psicologico a indirizzo cognitivo- comportamentale. I disturbi d'ansia che si giovano della terapia psicofarmacologica sono il disturbo ossessivo-compulsivo, l'attacco di panico, l'agorafobia, la fobia sociale e l'ansia generalizzata. Oggi per ognuna di queste forme cliniche esistono terapie mirate e specifiche, che non utilizzano esclusivamente gli ansiolitici, ma anche altre molecole, come ormai è dimostrato non solo dalla ricerca clinica ma anche da quella biologica. Luigi Ravizza Università di Torino
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 017
L'ASMA bronchiale è stata finora una malattia sottovalutata sia nella sua reale diffusione sia nella sua rilevanza clinica: i sintomi discontinui, con fasi anche lunghe di apparente remissione, hanno spesso suggerito a medici e pazienti terapie e comportamenti poco incisivi. Per lanciare un segnale correttivo a medici, pazienti e politici, sono scesi in campo i presidenti delle cinque società italiane dell'«area respiratoria» (Società di fisiopatologia respiratoria, Federazione per la lotta contro le malattie sociali respiratorie, Associazione pneumologi ospedalieri, Società di pneumologia, Società di broncologia). L'asma è in forte crescita in tutto il mondo occidentale (dallo 0,5-1 per cento al 5-7 negli ultimi 30 anni), con nuove interpretazioni sulla sua origine e conseguenti nuove strategie terapeutiche. L'evoluzione naturale di un'asma mal curata è verso un danno polmonare irreversibile, sia strutturale che funzionale, tale da creare un'invalidità permanente e da mettere a rischio la vita stessa del paziente. Il messaggio più importante è che una terapia precoce e adeguata può prevenire questa evoluzione e permettere una vita normale, anche ad altissimo livello (valga per tutti l'esempio del nuotatore Mark Spitz, vincitore di sei titoli olimpici, affetto da «asma da sforzo»). L'iniziativa era anche diretta a sollecitare da parte del governo il riconoscimento dell'asma come «malattia sociale», per la sua diffusione, per la sua correlazione con particolari condizioni lavorative e ambientali e per la sua cronicità, che richiede da parte dei pazienti un forte impegno economico. Da uno studio fatto in un'area prevalentemente rurale del Delta Padano, l'incidenza dell'asma è risultata del 5 per cento, mentre da un analogo studio nella città di Pisa l'incidenza è risultata del 7. Di qui si è risaliti a una probabile cifra di circa tre milioni di italiani affetti da tale patologia. Diversa è risultata la distribuzione dell'asma nei due sessi nel corso della vita: nei maschi si ha un andamento ad U, con una maggiore incidenza fra gli 8 e i 14 anni, un declino nelle tre decadi successive e una ripresa fra i 45 e i 54 anni; nelle femmine si ha una diminuzione fra i 25 e i 34 anni ed un andamento costante negli anni successivi. L'asma è l'unica patologia curabile in cui la mortalità è in ascesa; statistiche statunitensi danno un incremento del 31 per cento nel periodo 1980-1987, in accordo con i dati italiani dal 1979 in poi. Sono 1900 i morti in Italia nel 1992 per asma e patologie correlate. Alcune di queste morti sono la conseguenza, per lo più in persone anziane, del progressivo e irreversibile danno strutturale e funzionale del polmone. A certi livelli di compromissione la morte è inevitabile; ma moltissimo si può fare per evitare di giungere a un simile logoramento. Altre morti sono la conseguenza di attacchi acuti, in pazienti ancora giovani (sotto i 35 anni), che per una particolare reattività bronchiale vanno in crisi di asfissia progressiva (di solito sono soggetti caratterizzati da una particolare instabilità emotiva): una simile fine pare abbia fatto Marcel Proust. La grande maggioranza di queste morti (90 per cento) sono potenzialmente evitabili con i mezzi attualmente a disposizione e con una corretta gestione della terapia, che sia preventiva e non soltanto d'emergenza durante le fasi acute. Secondo l'attuale interpretazione «l'asma è una malattia infiammatoria persistente, caratterizzata da sintomi di broncospasmo riversibili spontaneamente o a seguito di terapia e da aumento della reattività bronchiale». L'aggettivo «persistente» riferito alla componente infiammatoria (che è il dato patogenetico più importante messo in evidenza dalle ultime ricerche), suggerisce una terapia continuativa e modulata secondo il grado dei sintomi, attentamente valutati anche con indagini strumentali, che possono rivelare pure in pazienti asintomatici alterazioni della funzione respiratoria. Un programma terapeutico deve quindi prevedere, in caso di episodi periodici, la regolare quotidiana assunzione di farmaci (da soli o in associazione) dotati di attività sufficiente al controllo stabile della bronco- ostruzione e dell'infiammazione. Un progresso in questo senso è stato conseguito con l'introduzione recente in terapia (accanto ai beta-2-adrenergici short-acting, ad azione immediata, ai corticosteroidi, ai teofillinici, ai cromini, agli antistaminici, al chetotifene) del salmeterolo, un beta-2-adrenergico che per via inalatoria può controllare il broncospasmo per molte ore (almeno 12), associato eventualmente ai corticosteroidi, anch'essi per via inalatoria, che agiscono sull'infiammazione. La tendenza futura è che il paziente controlli personalmente - se può ogni giorno - la funzione respiratoria con semplici apparecchi per misurare il picco di flusso espiratorio, in modo da ottenere un auto-controllo della malattia, sotto la regia di centri appositamente istituiti, dove fare eventuali indagini più sofisticate. Antonio Tripodina
ARGOMENTI: CHIMICA, STORIA DELLA SCIENZA
ORGANIZZAZIONI: GENERAL ELECTRIC
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 018
FU la General Electric, nel 1940, a mettere a punto nel suo centro di ricerca di Shenectady, nello Stato di New York, il primo processo economicamente valido per la produzione del silicone. Ma la data di nascita di questo versatile materiale destinato a diventare rapidamente uno dei protagonisti della nostra vita viene comunemente fissata al 1944, l'anno in cui entrò in attività il primo stabilimento per la produzione su scala industriale. Dunque il silicone compie ora cinquant'anni. Materiale-paradosso, il silicone (o meglio, i siliconi). Un mutamento anche minimo della composizione o della struttura molecolare è sufficiente a cambiarne radicalmente le proprietà, addirittura a invertirle; così può essere adesivo ma anche antiaderente, buon conduttore elettrico o isolante, capace di restare morbido e flessibile nelle più diverse condizioni ma anche di indurire quasi istantaneamente in altre; un materiale povero, buono per gli impieghi più umili (tutti lo hanno usato almeno una volta in casa per chiudere una fessura o sigillare un tubo che perde) come per quelli più sofisticati, per esempio negli scudi termici dei veicoli spaziali. Il caso ha voluto che fosse travolto da improvvisa popolarità in questi ultimi tempi come imbarazzante e discusso ingrediente del florido seno di alcune dive dello spettacolo (un uso quanto meno improprio, al quale certamente non pensavano i ricercatori che lo hanno inventato) e che intorno a questa forma specifica del materiale (trasparente, molliccio, dall'apparenza gelatinosa) nascesse un'aspra controversia scientifica a causa del suo supposto potere cancerogeno. E' certo, in ogni modo, che nessuno dei tanti materiali «costruiti» in laboratorio da quando, nel 1922, il chimico tedesco Staudinger scoprì i meccanismi della polimerizzazione e aprì l'era dei materiali sintetici, è tanto polivalente, adattabile, onnidisponibile. I siliconi sono dei polimeri, sono cioè materiali la cui grande molecola si forma, in determinate condizioni chimico-fisiche, dalla combinazione atomica di molecole più piccole; appartengono quindi alla grande famiglia di cui fanno parte anche, ad esempio, polietilene, polivinile, poliuretano, poliestere. La loro struttura, però, a differenza di quella dei suoi cugini che è caratterizzata da atomi di carbonio, è costituita da atomi di silicio, un elemento chimico (classificato come «metalloide») che è dopo l'ossigeno il più abbondante nella crosta terrestre (circa il 25 per cento), estraibile molto facilmente, per esempio, dalla sabbia quarzifera. La struttura dei siliconi è costituita da atomi di silicio, cui sono legati vari gruppi organici e atomi di ossigeno. Ma, appunto, basta una variazione in questa struttuta molecolare per provocare fortissime differenziazioni; i siliconi, in realtà, sono una famiglia numerosissima in cui convivono individui che non si assomigliano affatto. Tre sono i «rami» primari, i fluidi, le resine, gli elastomeri; da essi derivano altri gruppi come le emulsioni, i grassi, gli adesivi, le dispersioni. Questa estrema versatilità dei siliconi consente di progettare e costruire direttamente in laboratorio materiali con specifiche caratteristiche, tagliati su misura per uno specifico impiego. La sola General Electric Silicones, oggi leader mondiale del settore, ha ben 1800 brevetti Usa e qualcosa come quattromila prodotti diversi per l'industria dell'auto, l'edilizia, l'industria elettrica ed elettronica, l'aviazione, lo spazio, i cosmetici, gli elettrodomestici. Vittorio Ravizza
ARGOMENTI: TECNOLOGIA, INDUSTRIA, MERCATO
NOMI: COSTA SILVIA, TRIPI ALBERTO, BONELLI FRANCO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 018
QUALCHE dato sullo stato dell'economia italiana. Il 1993 si è chiuso con 550 mila posti di lavoro in meno. Su 1807 aziende, nel periodo 1988-92 il ritorno degli investimenti è sceso dal 12,8 per cento al 6,4, mentre l'indebitamento cresce al ritmo del 22 per cento all'anno. C'è una crisi che è planetaria. Ma c'è una crisi che è specifica del nostro Paese. Perdiamo competitività - nonostante l'aiuto dato dalla svalutazione agli esportatori - non soltanto perché il costo del lavoro e quello del denaro rimangono alti, ma anche e forse soprattutto perché i prodotti italiani non si avvalgono abbastanza delle nuove tecnologie e dei frutti della ricerca. Una situazione che ha radici varie e profonde: tra le principali, lo scarso dialogo che esiste tra l'industria da una parte e l'università e la ricerca dall'altra. I dati esposti nelle prime righe li ha forniti Giovanni Bisogni giovedì scorso durante una tavola rotonda organizzata a Roma dalla Formit, Fondazione per la ricerca sulla migrazione e sulla integrazione delle tecnologie, creata dallo stesso Bisogni con Daniel Bovet, professore di informatica all'Università di Roma. L'occasione la forniva la presentazione del primo volume curato dalla Formit, «Innovazione tecnologica e industria in Italia», editore Bulzoni. Altri dati sono venuti da Alberto Tripi (Confindustria) e Alessandro Ovi (Iri). La grande industria, si è ricordato, è in crisi. D'altra parte, meno di mille aziende in Italia hanno più di mille dipendenti. E centomila ne hanno meno di 100. E' chiaro che media e piccola industria nell'economia del nostro Paese hanno un peso decisivo. Ma mentre le grandi imprese nonostante tutto hanno investito e investono molto in ricerca, e quindi ci si può attendere prima o poi una ripresa, piccole e medie industrie incontrano più difficoltà a investire nell'innovazione tecnologica. La quale, per di più, raramente porta il marchio italiano: l'anno scorso i giapponesi hanno depositato 317 mila brevetti, l'Europa 97 mila, l'Italia soltanto tremila. Silvia Costa, sottosegretario al ministero dell'Università e della ricerca scientifica, ha insistito sulla necessità di far dialogare meglio tra loro industria, ricerca e università, pur riconoscendo che è anche una questione di numeri: l'Italia investe in ricerca soltanto l'1,4 del prodotto interno lordo e ha solo 76 mila ricercatori contro i 123 mila della Francia, per non parlare dei 310 mila della Germania. Ma non è soltanto un problema di quantità. E' anche un problema di qualità. E la tendenza del governo Ciampi, che dovrebbe essere rilevata dal governo destinato a succedergli dopo le elezioni di marzo, è stata appunto quella di introdurre sistemi di valutazione dei risultati, in modo che i fondi per la ricerca non siano distribuiti a pioggia prescindendo dai frutti che portano, ma vadano a premiare chi effettivamente produce conoscenze e tecnologie utili al Paese. Franco Bonelli, professore di storia economica alla Terza Università di Roma, ha portato nel dibattito la prospettiva storica, rifacendosi al libro con cui la Formit ha inaugurato la propria collana di saggi. Curato da Daniela Brignone, questo volume affronta cinque storie emblematiche di innovazione tecnologica nel nostro Paese. L'industria laniera, le acciaierie Terni, la prima fabbrica di ghiaccio (sorta a Roma a cavallo del secolo), le tecniche di molitura e pastificazione alla «Pantanella» tra il 1865 e il 1914 e la crisi dell'industria della seta in Italia sono i casi trattati. «La storia - dice Bonelli - non ci può insegnare nulla, ma può aiutarci a interpretare i problemi di oggi. Le vicende ricostruite nel libro della Formit indicano come oggi il processo di innovazione tecnologica sia particolarmente importante nelle piccole e medie industrie». E anche l'informazione - ha ricordato Ugo Apollonio, vicepresidente dell'Unione giornalisti scientifici - può contribuire a questo processo: un'inchiesta Doxa pochi giorni fa ha accertato che il 58 per cento dei lettori chiede più spazio per la scienza sui giornali. Piero Bianucci
ARGOMENTI: CHIMICA, STORIA DELLA SCIENZA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 018. Silicone
UN elenco delle applicazioni dei siliconi occuperebbe molte pagine; vediamo solo gli usi principali o i più curiosi. Nell'auto il silicone compare in una forma o nell'altra dovunque serva una protezione che unisca elasticità e resistenza agli aggressivi chimici e alle alte temperature: quindi dalle calotte delle candele a contatto diretto con il motore alle guarnizioni delle porte e del bagagliaio per facilitare lo scorrimento dell'acqua e impedire che ghiacci. I tessuti dell'air- bag impregnati di silicone offrono vantaggi notevoli rispetto ad altri materiali consentendo spessori e pesi ridotti del 50-60 per cento. I siliconi corrono a 350 chilometri l'ora sui Tgv francesi (sedili e fissaggi dei vetri alla carrozzeria) e volano sugli aerei sotto forma di schiume siliconiche anti-fiamma. Nelle attività spaziali hanno addirittura un ruolo chiave: erano un componente importante delle scarpe degli astronauti approdati sulla Luna, sono presenti negli scudi termici che proteggono i veicoli al rientro nell'atmosfera, sono usati come adesivi nella struttura esterna degli shuttle; grazie alla capacità di mantenere la viscosità anche a temperature molto elevate e molto basse sono i lubrificanti ideali dei «cordoni ombelicali» che collegano gli astronauti alle navicelle durante le passeggiate nel vuoto. In casa i siliconi sono ingredienti indispensabili del fai-da- te, sono nei detersivi per la lavatrice come antischiuma, negli shampoo per dare corposità ai capelli, nelle creme per la pelle alle quali conferiscono una piacevole sensazione di fresco, nei tessuti per renderli impermeabili e idrorepellenti, negli autoadesivi che grazie ad essi possono essere applicati e staccati un'infinità di volte. Anche l'architettura moderna deve molto ai siliconi, usati per collegare tra loro il vetro, il metallo, il granito, il cemento che compongono le facciate dei lucenti grattacieli che danno un aspetto avveniristico a città come Houston o Singapore, consentendo di ottenere grandi superfici perfettamente lisce ma sufficientemente resistenti da assorbire le aggressioni degli elementi chimici presenti nell'atmosfera, le vibrazioni, le dilatazioni provocate dagli sbalzi di temperatura. Poi ci sono gli impieghi curiosi. La General Electric Silicones ha messo a punto delle gomme siliconiche dotate di una serie di caratteristiche (chimicamente inerti, resistenti al calore e agli agenti aggressivi) particolarmente studiate per fare stampi. Stampi per gli oggetti più diversi, per esempio per realizzare le copie dei dinosauri da esporre nei musei mentre gli originali sono conservati in ambienti controllati a disposizione degli studiosi; o copie di diamanti: c'è un progetto denominato «Diamanti nel mondo» che ha lo scopo di realizzare copie delle più famose gemme, praticamente irraggiungibili perché chiuse in cassaforte; sono già state fatte repliche in resine epossidiche assolutamente fedeli agli originali dei diamanti Hope, Portuguese, Incomparable, Guinea Star e altri altrettanto famosi; molti gioiellieri fanno eseguire copie dei diamanti prima di venderli in modo da avere sempre sotto mano una documentazione che potrebbe diventare preziosa, per esempio in caso di furto dell'originale. Il silicone, infine, è una delle materie prime per i maghi degli effetti speciali che hanno reso possibili film come «E.T.» e «Jurassic Park». Ispirandosi al film del tenero extraterrestre creato da Steven Spielberg e alla bicicletta volante che ne costituisce uno dei pezzi più spettacolari, nel parco di divertimenti della Universal Studios in Florida è stata ricreata «L'avventura di E.T.», nella quale i visitatori viaggiano su una bicicletta volante attraverso una foresta di sequoie. Ci volevano 130 alberi perfetti in ogni particolare per dare ai visitatori librati fra i loro tronchi centenari e sopra le loro cime una perfetta illusione di realtà. Così, da una serie di stampi, tutti diversi l'uno dall'altro, riproducenti tronchi, rami, foglie, è spuntata una foresta.(v. rav.)
ARGOMENTI: CHIMICA, ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 018
QUANDO facevo le elementari e cadeva la neve, la mia maestra con aria ispirata, guardando fuori dall'aula, diceva «E' arrivata la bianca visitatrice!». Seguiva subito il corollario pragmatico: «Sotto la neve pane!». In qualità di cristallografo, oggi so che i fiocchi di neve sono le dendriti del ghiaccio, che è il solido dell'acqua. A miliardi si ammucchiano in ammassi leggerissimi. Neve e ghiaccio da un punto di vista cristallografico sono quindi la stessa cosa: hanno una simmetria di ordine sei, che significa che i cristalli, quando crescono bene, hanno forma esagonale. Il legame idrogeno è il responsabile di questa simmetria. Neve e ghiaccio nascono e crescono secondo un processo un po' diverso e con una diversa morfologia. La neve si forma sempre dal vapore, il ghiaccio molto spesso dal liquido. Com'è noto, l'acqua solidificando (contrariamente alla maggior parte delle sostanze) aumenta di volume. La «stravaganza» della densità (così la chiama Peter W. Atkins) è ancora dovuta al legame idrogeno. Nell'acqua le molecole di H2O sono tenute insieme e vicine da una rete disordinata di questi legami. Quando l'acqua gela, per le sue molecole è «obbligatorio» per colpa (o per merito) del legame idrogeno, ordinarsi e distanziarsi per disporsi secondo un reticolo cristallino. Distanziandosi le molecole, il ghiaccio aumenta di volume più o meno del 10 per cento e di conseguenza il peso specifico cala della stessa percentuale. Quindi gli iceberg galleggiano e i laghi gelano a partire dalla superficie, continuando poi verso il basso, proprio come fanno i cubetti di ghiaccio, del frigorifero. Nei laghi questo processo preserva la vita degli organismi. Non solo, in primavera al disgelo, l'acqua della superficie, che a 4 C ha un massimo di densità, cala verso il basso a portare nuovo ossigeno ai pesci, per un lungo periodo costretti a vivere nell'ambiente chiuso del fondo. Ma spesso oggi, invece di acqua fresca, calano sostanze inquinanti. Qualche sperimentatore «folle» ha voluto provare ad aumentare la pressione fino a duemila atmosfere e ha così costretto l'acqua a solidificare comportandosi come la maggior parte delle altre sostanze, cioè con una diminuzione di volume. Ci sono sei tipi di ghiacci così, e gettati nell'acqua vanno a fondo. Per fortuna la natura si è ben guardata dal fare una cosa simile. Tra il ghiaccio che si forma nell'acqua-liquida e la neve che si forma nell'acqua-vapore c'è dunque una diversità morfologica. Quando i cristalli di neve si formano, crescono come dendriti esagonali, piastrine esagonali o cilindretti esagonali che partono sempre da un nucleo esagonale. Il modo di crescita dipende dalle condizioni atmosferiche: temperatura, pressione, turbolenza... A proposito dei cristalli di neve, Nenov, dell'Accademia bulgara delle scienze, ha fatto un esperimento molto bello: un palloncino di carta è stato fatto scoppiare in un recipiente contenente vapor d'acqua a temperature variabili da -2 a -12. L'onda d'urto di questo piccolo scoppio ha favorito la nucleazione della neve. Variando la temperatura e la pressione, Nenov ha ottenuto piastrine e cilindretti esagonali per le crescite lente e dendriti per le crescite veloci. Proprio come succede in natura. La neve che batte sul parabrezza come una pioggia di granellini è fatta di una mescolanza di piastrine, cilindretti e dendriti. Con il tempo le dendriti, a causa del vapor d'acqua che circola nei loro vuoti, si completano e diventano piastrine esagonali. Roger Davey e David Stanley sul New Scientist hanno scritto: «Sulle piste di neve, i miliardi di dendriti si uniscono a formare un tappeto reticolato molto stabile. Le piastrine esagonali invece possono slittare le une sulle altre e favorire la formazione di valanghe. Per essere sicuri nelle vostre vacanze invernali di quest'anno, portatevi un microscopio». Ma se davvero avete un microscopio, lasciatelo a casa. Piastrine, cilindretti e dendriti guardateli per un momento, magari con una piccola lente, mentre scendono e si posano sulla manica della vostra giacca a vento. Non serve per evitare le valanghe, ma può diventare un gioco piacevole. Federico Bedarida Università di Genova
ARGOMENTI: ETOLOGIA, ANIMALI
NOMI: HEINRICH BERND
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 019
LO zoologo Bernd Heinrich dell'Università del Vermont a Burlington è un grande appassionato di corvi imperiali (il cui nome scientifico è Corvus corax) e ha dedicato moltissimi anni della sua vita all'osservazione in natura e in cattività di questi uccelli, che considera di gran lunga i più intelligenti tra tutti i volatili. Il corvo imperiale si è conquistato una posizione di privilegio nella mitologia dei popoli. Gli antichi Vichinghi lo consideravano come il messaggero degli dei. Plinio il Vecchio racconta che i marinai di Tabropane (Ceylon) si portavano i corvi sulle navi e stabilivano la rotta in base ai loro voli. Varie tribù indigene della costa pacifica nordamericana attribuivano al «dio corvo» la creazione della Terra, della Luna, del Sole, delle stelle e degli uomini. E ancora oggi in Irlanda di una persona saggia si dice che ha l'intelligenza del corvo. Qualche tempo fa Otto Koeh ler aveva scoperto che i corvi sanno contare fino a otto, una prestazione davvero straordinaria per creature a cui si attribuisce generalmente «un cervello da gallina». Il corvo imperiale, che è la specie più grossa della famiglia, ha davvero un cervello di tutto rispetto. Tanto per fare un confronto, pesa sette volte più di quello del piccione. E anche se il peso della materia cerebrale è solamente uno dei parametri per valutare l'intelligenza, è fuori dubbio che il suo psichismo sia più elevato rispetto a quello degli altri uccelli. Certo è che i corvi aiutano i lupi a scovare i caribù con lo scopo evidente di partecipare anche loro al banchetto. E si comportano in molte circostanze della vita come se fossero consapevoli di quello che fanno. Per poter meglio studiare i corvi imperiali, Heinrich ne alleva un certo numero in una grande voliera attigua alla sua casa. E li sottopone a una serie di test per valutare la loro intelligenza. Nel test più significativo, lo studioso appende un gustoso pezzo di carne a una cordicella lunga una sessantina di centimetri, legata al posatoio degli uccelli. I corvi non hanno mai visto una corda. Il loro compito non è facile. Il corvo deve sollevare con il becco un pezzetto di corda, fissarlo con la zampa, poi tirar su pezzo per pezzo tutta la cordicella, ancorandola man mano sotto il piede. Una ventina di mosse, per raggiungere il ghiotto boccone. I corvi in gabbia dapprima osservano attentamente il pezzo di carne che penzola dalla corda, come se studiassero la situazione. Poi, dopo circa sei ore, uno di loro vola sul posatoio e incomincia a tirar su la corda pezzo per pezzo fino a raggiungere la carne. Tutto questo al primo tentativo. Un'autentica prova di bravura, d'intuito, di intelligenza. In seguito altri tre corvi ripetono felicemente l'impresa. Heinrich ha studiato i corvi imperiali anche in natura e l'ha fatto d'inverno, in condizioni proibitive, fotografandoli da una baracca di carta catramata dove il termometro segna spesso venti gradi sotto zero. Per arrivarci bisogna attraversare un chilometro di foresta con la neve alta più di un metro. Quando il terreno è coperto di neve, le prede vive scarseggiano e il corvo imperiale fa buon viso a cattivo gioco, accontentandosi di mangiare carogne. Quando ne ha trovata una, un uccello scaltro come lui dovrebbe tenersela tutta per sè e non spartirla con i compagni. E invece il corvo propende per questa seconda soluzione. Come mai? Innanzitutto, da quel dritto che è, il corvo vuole assicurarsi che in quella carogna non si nasconda nessun trabocchetto. Potrebbe trattarsi di un animale che sembra morto ma è solo addormentato, pronto a scattare all'improvviso e a passare al contrattacco. La prudenza quindi gli consiglia di aspettare. Ed è quello che il corvo fa, restando in osservazione da una certa distanza. Quando si è finalmente rassicurato, lancia il grido di richiamo ai compagni e in men che non si dica giungono corvi da tutte le parti. Per quale motivo il corvo fa partecipi i compagni della sua scoperta? Si potrebbe pensare che gli uccelli radunati intorno alla preda siano tutti consanguinei ed è noto che esiste una forma di altruismo tra consanguinei. Ma l'ipotesi va scartata, perché il corvo imperiale non forma affatto consorterie di consanguinei. Anzi, di solito conduce vita solitaria. Gli aggruppamenti che si formano intorno al cibo e sugli alberi per dormire non sono gruppi familiari, bensì aggregazioni eterogenee. Per stabilire esattamente di quali individui si tratti, Heinrich intrappola con le reti i corvi in arrivo e li munisce di contrassegni colorati. A qualcuno applica anche una minuscola radio trasmittente. In questo modo riesce ad appurare che i corvi radunati intorno al cibo sono giovani di ambo i sessi di uno o due anni di età. Ma vi è tra loro anche un certo numero di coppie sposate che hanno la residenza, cioè il nido, nelle vicinanze. Con loro gli ultimi arrivati debbono fare i conti. I corvi residenti sono gli individui dominanti, mentre i giovani vagabondi rappresentano i subordinati. Naturalmente i dominanti si accaparrano i bocconcini migliori, ma generalmente anche i giovani riescono ad arraffare qualche pezzetto della preda. E comunque, anche se il cibo non è abbondante per loro, hanno tutto l'interesse a partecipare al raduno. Quella è un'occasione da non perdere. Perché? Perché ci sono le giovani femmine. I maschietti sono precoci. Già a un anno di età incominciano a corteggiarle. E il corteggiamento consiste in una esibizione della loro valentia sia nel compiere eleganti evoluzioni aeree sia nello scovare il cibo. La selezione sessuale avviene proprio in questi incontri sociali, paragonabili, con un po' di fantasia, alle nostre discoteche. Le giovani femmine valutano le doti dei pretendenti e scelgono quelli più abili, più audaci, più intraprendenti. Una scelta oculata, dato che la coppia rimarrà unita per tutta la vita, che dura trenta o più anni. Per trovar moglie, insomma, il corvo da individuo solitario diventa individuo sociale. Isabella Latte Coifmann
GLI italiani hanno scoperto un pasto in più, la prima colazione. C'è chi la fa abbondante e chi mangia poco, ma - come è emerso dal recente convegno scientifico della Fosan a Milano - tutti hanno, all'inizio della giornata lavorativa, quest'esigenza energetica. Lo afferma il presidente dell'Adi, cioè l'Associazione Italiana di Dietetica, il professor Del Toma, che ha condotto uno studio approfondito su 3.050 adulti e mille studenti liceali, grazie alla collaborazione delle Cliniche Pediatriche di Roma, Verona e Bologna. Negli ultimi due anni le persone che mangiano e bevono qualcosa al mattino sono passate dal 52 al 66 per cento della popolazione nazionale e il numero è destinato ad aumentare - dice il sociologo Giampaolo Fabris. Da questo lavoro è risultato che: I ragazzi e gli anziani consumano la prima colazione più frequentemente di quanto non facciano gli adulti. In media, sono più obesi coloro che non fanno la prima colazione regolarmente. I ragazzi si sono convinti che è necessario fare la prima colazione al mattino, per rendere di più a scuola. La colazione più diffusa è quella a base di latte accompagnato da biscotti o fette biscottate, pane, merendine. Questo determina una quantità di carboidrati, sia semplici che complessi, maggiore rispetto alle proteine e ai grassi. La prima colazione dei ragazzi raggiunge però solo il 50 per cento dell'apporto energetico totale consigliato. Interessante è anche il paragone che fa uno scienziato americano, il professor Louis Evan Grivetti, dell'Università di Davis, in California, tra la prima colazione italiana e quella americana. Da esso si deduce che se il momento del consumo è abbastanza simile (tra le 5 e le 7 del mattino in America, tra le 6 e le 8 in Italia), le differenze caloriche sono molto marcate. Infatti, gli americani al mattino introducono nell'organismo da 700 a 1500 calorie, con abbondanza di proteine e grassi e pochi carboidrati. Questo grazie alle uova, al latte, ai formaggi, alla carne, al prosciutto, al pesce, alle verdure e al pane. Gli italiani, invece, non superano mai le 500 calorie, fornite da caffellatte, fette biscottate, biscotti, pane tostato, marmellate e frutta, con una presenza più alta di carboidrati e più bassa di grassi. Grivetti conclude, in modo categorico, che la prima colazione italiana risulta, dal punto di vista nutrizionale, superiore rispetto a quella americana e inglese. Gli orari della cena e del risveglio influenzano negativamente il comportamento dei ragazzi nella prima colazione. Ciò è ancora più importante se si pensa che il numero degli obesi è più alto tra i ragazzi che non consumano la prima colazione. Inoltre, pochi, fra quelli che fanno la colazione al mattino, raggiungono il numero di calorie adeguate al fabbisogno giornaliero. Infatti, fra i mille studenti liceali di Bologna, solo il 32 per cento resta al di sotto delle 200 calorie, mentre il 56 per cento va dalle 200 alle 400 Kcal e solo l'11 per cento supera le 400 Kcal. Da un punto di vista fisiologico, è corretto che la prima colazione apporti in prevalenza carboidrati semplici e complessi. I pediatri sono molto critici con i bambini che non soddisfano quelle 400-500 Kcal al mattino, che corrispondono al 20-25 per cento di quelle di tutta la giornata. Giorgio Calabrese Università Cattolica, Piacenza
Si svolgerà a Firenze dal 7 al 12 agosto 1995 il Congresso mondiale di Relatività. Dal punto di vista scientifico è un po' come se, nello sport, l'Italia avesse ottenuto di ospitare le Olimpiadi. E' prevista la partecipazione di un migliaio di ricercatori provenienti da tutto il mondo. Faranno il punto sugli ultimi sviluppi teorici e sperimentali della rivoluzione avviata da Einstein nel 1905 con la Relatività ristretta e completata nel 1916 con la Relatività generale. Sarà soprattutto quest'ultima al centro dell'interesse del congresso. Particolare attenzione avranno le ricerche sulle onde gravitazionali, per le quali è stato assegnato l'ultimo Nobel della fisica a Hulse e Taylor dell'Università di Princeton. In questo campo l'Italia occupa posizioni di primo piano con antenne gravitazionali del gruppo di ricerca di Guido Pizzella (Università di Roma) e di Massimo Cerdonio (esperimento «Auriga», Istituto nazionale di fisica, Legnano) nonché con il gruppo di Pisa diretto da Giazotto, che sviluppa un esperimento di interferometria laser.
Una spedizione del Cai di Roma, costituita da medici e ricercatori, è partita il 19 gennaio per il Monte Kenya e il Kilimanjaro. L'intento è di studiare gli effetti delle radiazioni solari sulla pelle umana. Saranno eseguiti esperimenti sulla comparsa di eritemi (a vari dosaggi di esposizione) e il grado di protezione delle creme solari. Sarà anche misurata l'intensità ad alta quota dei raggi ultravioletti (che provocano il melanoma) per compararla con quella al livello del mare.
L'Alenia progetterà e costruirà l'«occhio» infrarosso di una nuova telecamera sensibile alle onde elettromagnetiche termiche alla quale collaborano industrie di otto Paesi europei. Il sensore infrarosso avrà caratteristiche particolarmente avanzate: sarà a matrice, con circa 65 mila pixel (singoli punti sensibili) posti in un quadrato di 256 pixel di lato.
Si è costituito a Roma il Gruppo nazionale di ricerca per la diffusione e divulgazione scientifica e la comunicazione della scienza. Vi aderiscono numerose Università (Roma, Firenze, Pisa, Napoli, Milano, Padova e altre), l'Istituto per ricerca scientifica e tecnologica di Trento e il Centro internazionale di fisica teorica di Trieste. Il Gruppo si riunirà a Roma l'11 febbraio. Per informazioni ci si può rivolgere al segretario del gruppo, Paolo Manzelli, dell'Università di Firenze, tel. 055- 332.549.
In occasione dell'eclisse totale di Sole del prossimo 3 novembre l'Associazione astronomica feltrina Rheticus organizza un viaggio in Perù dal 28 ottobre al 12 novembre. L'eclisse verrà osservata da un luogo particolarmente favorevole, sull'altopiano andino a Sud di Arequipa. Per informazioni, Grizzly Viaggi, numero verde 1678-61.364.
Una delegazione di scienziati e politici bielorussi sarà in Italia dal 6 al 16 febbraio, ospite di Legambiente (tel. 0564.22.130), che ha promosso una campagna di aiuti. In particolare, saranno illustrati gli ultimi dati sul dopo-Cernobil e verrà ripetuto l'appello a ospitare i bambini. Fra i tanti appuntamenti, un seminario a Firenze l'11 febbraio e un incontro con i politici il 12 a Milano.
Si chiama «Terra Boschi Gente Memorie» l'associazione appena costituita in difesa di una piccola zona del Piemonte (Castelnuovo, Pino d'Asti, Passerano, Albugnano), ancora intatta e molto interessante da tutti i punti di vista: flora e fauna, ma anche paleontologia, storia e arte. Nel programma, un museo all'aperto, grande quanto il territorio stesso.
SI chiama Tem (transanal endoscopic microsurgery) il trattamento più moderno per la cura dei tumori del retto. Il termine, coniato dal chirurgo tedesco Buess, si riferisce a una chirurgia «mini-invasiva» che, attuata per via endoscopica, consente di curare lesioni tumorali poste fino a 20 centimetri dall'ano evitando l'apertura dell'addome del paziente. Il chirurgo opera grazie a un particolare rettoscopio di lunghezza tra 10 e 20 centimetri e ad un'ottica stereoscopica, che dà una visione tridimensionale del campo operatorio e può essere collegata a un sistema video. Insufflata anidride carbonica, che ha lo scopo di distendere le pareti rettali, l'intervento si compie con strumenti chirurgici che vengono fatti passare all'interno del rettoscopio. Si possono così operare tumori rettali benigni non asportabili con la comune endoscopia (adenomi sessili o non peduncolati). Per le neoformazioni maligne (adenocarcinomi) la Tem ha scopo curativo solo per i tumori limitati alla mucosa e alla sottomucosa del retto; in quelli che hanno invaso in profondità la parete rettale, la nuova tecnica ha limitate probabilità di essere curativa e può essere presa in considerazione solo per i pazienti ad alto rischio chirurgico per i quali non è proponibile l'esecuzione dell'intervento tradizionale. I buoni risultati ottenuti, le limitate complicanze, la degenza ridotta (il ricovero ospedaliero varia tra 2 e 5 giorni), la minore invasività per il paziente che, secondo alcuni, si tradurrebbe anche in una minore depressione immunitaria, sono caratteristiche che garantiranno alla Tem un sicuro successo. Tommaso G. Lubrano
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 019
SU Tuttoscienze è uscito un articolo di Ezio Giacobini intitolato «L'olio di Lorenzo. Inefficace dicono i test». Questo pessimismo sulle proprietà terapeutiche dell'olio di Lorenzo nasce da uno studio di appena due anni condotto dal dottor Patrick Aubourg su 12 individui affetti da adrenomieloneuropatia (Amn), la forma adulta e meno severa dell'adrenoleucodistrofia (Ald). Secondo tale studio, l'olio di Lorenzo non sarebbe di giovamento in questa forma della malattia. Estendendo i risultati di Aubourg, che si riferiva solo ai pazienti Amn, Giacobini arriva a concludere che l'olio di Lorenzo è inefficace nella lotta contro la Ald «tout-court». Ma di avviso diverso è il dottor Hugo Moser, direttore della ricerca presso l'istituto specializzato della John Hopkins ricordato nell'articolo di Giacobini e massima autorità mondiale in materia di Ald, l'unico che segue un numero di pazienti tale da condurre studi attendibili sulla malattia. E' di questi giorni una sua pubblicazione che indica come vi siano segni incoraggianti che l'olio di Lorenzo abbia la proprietà di prevenire l'insorgere della malattia nei bambini presintomatici, i bambini cioè che sono nati con il difetto biochimico dell'Ald ma in cui la malattia non si è ancora manifestata. Le osservazioni del dottor Moser sono basate su uno studio condotto lungo l'arco di quattro anni su 86 bambini Ald presintomatici trattati con l'olio di Lorenzo, di cui 50 avevano seguito la terapia per più di 12 mesi. Di questo ultimo gruppo di 50 bambini, solo 2 si sono ammalati. Inoltre 33 bambini dello stesso gruppo hanno ormai superato i 10 anni, l'età critica passata la quale il rischio di sviluppare la forma infantile e più severa della malattia scompare quasi del tutto. Vi sono oggi in Italia più di 20 bambini presintomatici che vengono trattati con l'olio di Lorenzo. E' possibile che, dopo aver letto le affermazioni di Giacobini, i genitori siano indotti a por fine al trattamento, con il rischio che la malattia scoppi - un evento più tragico in quanto questi stessi bambini avrebbero potuto, con la protezione dell'olio, godere di una vita piena. Infine, tre note in margine all'articolo di Giacobini. 1) Nel 1984, l'anno in cui a Lorenzo fu diagnosticata l'Ald, i medici che si occupavano di questa malattia dirigevano i loro sforzi a identificare una terapia capace di normalizzare gli acidi grassi saturi a lunghissima catena, acidi che costituiscono il «marker» della malattia e che sono la probabile causa dell'erosione della guaina mielinica e dei sintomi neurologici che ad essa si accompagnano. Tali sforzi fino ad allora non avevano avuto successo. 2) L'olio di Lorenzo, scoperto da me e da mia moglie, è la prima terapia che si sia dimostrata capace di compensare il difetto dell'Ald. Dopo alcune settimane di terapia, chi ha il difetto biochimico dell'Ald vede il livello degli acidi grassi a lunghissima catena scendere a valori normali. Su questo dato, facilmente controllabile, tutti i medici sono d'accordo. 3) Il fatto che l'olio di Lorenzo prevenga la malattia, ma dia risultati incerti in coloro (bambini e adulti) in cui la malattia si è già manifestata, non deve fare meraviglia. Gli aspetti immunitari giocano probabilmente un ruolo importante nella patogenesi della Ald. Ravvisando negli acidi grassi a lunghissima catena un elemento estraneo, le cellule del sistema autoimmunitario partono all'attacco contro di essi; sennonché non distinguono tra nemico e amico e finiscono per rivolgersi contro lo stesso organismo cui appartengono. Augusto Odone
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
NOMI: VERNE JULES
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 020
QUARANT'anni fa, alla fine del gennaio 1954, veniva varato dai cantieri navali della Electric Boat Co. di Groton (New York), il «Nautilus», primo sottomarino atomico della storia della marina. Si tenne subito a precisare che si trattava di un sottomari no e non di un sommergibile, perché il «Nautilus» avrebbe operato esclusivamente in immersione. La sua realizzazione richiese poco più di un anno e mezzo, essendo stato messo in cantiere il 14 giugno 1952. Il varo del «Nautilus», il cui equipaggio era composto da un centinaio di uomini, fu salutato con grande entusiasmo perché rappresentava la prima applicazione pacifica dell'energia nucleare. Il reattore di bordo, a barre di uranio 235 e grafite, fu infatti il primo reattore nucleare a produrre energia motrice. Al primo sottomarino atomico fu imposto il nome del sommergibile di uno dei più noti romanzi di Jules Verne, «Ventimila leghe sotto i mari». Il «Nautilus», all'inizio del 1957, oltrepassò il limite delle 20 mila leghe stabilito da capitan Nemo (circa 60 mila miglia marine) utilizzando solamente 1500 grammi di uranio. Per coprire la stessa distanza, un sommergibile con motore Diesel avrebbe richiesto quasi 4 milioni di litri di nafta. L'anno dopo, il 4 agosto 1958, «Nautilus» compiva un'altra impresa storica passando sotto il Polo Nord e percorrendo quasi 3 mila chilometri sotto la banchisa polare. Durante la missione vennero rilevati dati scientifici sulla banchisa e sulla profondità dell'oceano, che risultò di 600 metri più profondo rispetto alle stime del tempo. Franco Gabici
ARGOMENTI: INFORMATICA, DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 020
IL calcolatore può imparare facilmente a contare. E' sufficiente prendere una scatola nera, battezzarla ad esempio NUMERI, inserire all'inizio il numero zero nella scatola, creare un ciclo con l'istruzione GOTO e aggiungere un'unità ad ogni passaggio. Se, all'interno del ciclo, diamo al calcolatore l'ordine di stampare il contenuto della scatola, verrà visualizzata la successione dei numeri interi, 1, 1più1=2, 2più1=3, 3più1=4 e così via. Ecco il semplice programma: 10 NUMERI=0 20 NUMERI=NUMERIpiù1 30 PRINT NUMERI; 40 GOTO 20 50 END Proviamo ora, nello stesso programma, a togliere l'istruzione di salto incondizionato e inseriamo invece una scelta condizionata. Diamo ad esempio l'ordine al calcolatore di ritornare all'istruzione 20 soltanto se il contenuto della scatola NUMERI è inferiore a 7. 10 NUMERI=0 20 NUMERI=NUMERIpiù1 30 PRINT NUMERI; 40 IF NUMERI 7 THEN 20 50 END In questo modo il programma non va più avanti all'infinito, ma si ferma dopo aver contato i numeri indicati ossia, in questo caso, i primi sette. Abbiamo quindi a disposizione un utile contatore che può permetterci di ripetere un'istruzione tante volte quante vogliamo. Ad esempio, ordiniamo al calcolatore di scrivere dieci volte la frase ANDAR LONTANO SIGNIFICA RITORNO: 10 CLS 20 N=0 30 N=Npiù1 40 PRINT "ANDAR LONTANO SIGNIFICA RITORNO"; 50 IF N 10 THEN 30 60 END Stampiamo ancora la tabellina del 5 fino a 50; 10 REM TABELLINA DEL 5 FINO A 50 20 A=0 30 A=Apiù5 40 PRINT A; " "; 60 IF A 50 THEN 30 70 END Vediamo infine un programma generale per le tabelline: stampiamo i primi dieci multipli dei numeri da uno a dieci. E' un programma da analizzare con attenzione per capire a quali risultati si può già arrivare con le poche nozioni di BASIC apprese finora. 10 REM TABELLINE 20 R=1 ' PRIMO CONTATORE PER LE RIGHE 30 C=1 ' SECONDO CONTATORE PER LE COLONNE 35 IF R*C 10 THEN PRINT " ";ELSE IF R*C 100 THEN PRINT " "; 40 PRINT R * C; 50 IF C=10 THEN PRINT 60 C=Cpiù1 70 IF C = 10 THEN 40 80 R=Rpiù1 90 IF R = 10 THEN 30 100 END Per stampare tutte le tabelline dobbiamo tenere due contatori, uno per le righe e uno per le colonne. Inoltre per avere l'incolonnamento dei numeri di una, due o tre cifre è stato necessario inserire l'istruzione della linea 35. Proseguiamo ora con una funzione che si rivelerà molto utile in tanti programmi, la funzione parte intera INT che riduce semplicemente un numero alla sua parte intera, trascurando le eventuali cifre decimali (ricordiamo che nei numeri decimali il punto sostituisce la virgola). Proviamo a scrivere PRINT INT (8.45) oppure PRINT INT (875.342), il calcolatore visualizzerà rispettivamente 8 e 875. Sembra un'operazione banale eppure può avere molte, importanti applicazioni. Ad esempio, in aritmetica, per controllare la divisibilità di un numero per un altro. Vediamo, ad esempio, come il calcolatore riesce a controllare la divisibilità di un numero per 3. In generale possiamo dire che il numero è divisibile se il risultato della divisione per 3 non è un numero decimale, ma un numero intero e quindi, se battezziamo con NUMERO la scatola nera in cui inseriamo il numero da controllare, la condizione per verificare la divisibilità del contenuto di NUMERO per 3 sarà: NUMERO/3=INT (NUMERO/3). Vediamo il programma: 10 REM ** CONTROLLO DELLA DIVISIBILITA' DI UN NUMERO PER TRE ** 20 PRINT " INTRODUCI UN NUMERO INTERO" 30 INPUT NUMERO 40 IF INT(NUMERO/3) = NUMERO/3 THEN PRINT NUMERO;" E' DIVISIBILE PER 3" ELSE PRINT NUMERO; " NON E' DIVISIBILE PER 3" 50 END Chiudiamo il lavoro di questa settimana con un programma che farà felici molti giovani studenti perché li aiuterà a risolvere un problema di aritmetica abbastanza noioso: la trasformazione di una frazione impropria in un numero misto (ad esempio: 7/5=1 più 2/5). 10 REM ** FRAZIONI IMPROPRIE E NUMERI MISTI ** 20 CLS 30 PRINT "INTRODUCI IL NUMERATORE DELLA FRAZIONE" 40 INPUT NUM 50 PRINT "INTRODUCI IL DENOMINATORE DELLA FRAZIONE" 60 INPUT DEN 70 PRINT 80 IF NUM = DEN OR NUM/DEN=INT(NUM/DEN) THEN PRINT "LA FRAZIONE CHE HAI SCRITTO NON E' UNA FRAZIONE IMPROPRIA": GOTO 30 90 PRINT 100 PRINT "IL NUMERO MISTO CORRISPONDENTE ALLA FRAZIONE "NUM";"/";DEN;" E' "; 110 PRINT INT (NUM/DEN); " piu"'; NUM -DEN * INT (NUM/DEN);
ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 020
Le nove cifre e il quadrato perfetto «Incredibile!» esclamò il papà incredulo: «Dal pallottoliere di Paoletto si sono sfilati i nove tasselli numerati da 1 a 9 e si sono ritrovati disposti sul tavolo in modo da formare un numero di nove cifre che è anche un quadrato perfetto!». E dopo qualche istante, con l'ausilio di una calcolatrice, una nuova esclamazione: «E' veramente incredibile! Si trattava del più piccolo quadrato perfetto che contiene tutte le nove cifre una volta ciascuna». Le tavolette colorate lo incuriosirono al punto che cominciò a manipolarle per ottenere questa volta il quadrato perfetto più grande che risultasse composto dalle stesse 9 cifre. Il vostro compito a questo punto è chiaro: dovete trovare entrambi i quadrati che prevedono l'uso di tutti e neve i tasselli. La soluzione domani, accanto alle previsioni del tempo. (A cura di Alan Petrozzi)
ECCO un lettore che contesta le nostre risposte sulla forma più aerodinamica: «Non è per niente vero che la forma aerodinamica per eccellenza sia quella della goccia d'acqua. Se lasciamo cadere nello stesso istante una pallina di glicerina e un corpo a forma di goccia d'acqua, con esattamente lo stesso peso netto, si vede che la pallina arriva a terra per prima. La goccia d'acqua offre più resistenza, in quanto i fenomeni aerodinamici sono influenzati dal numero di Reynolds (direttamente proporzionale alla densità, velocità e lunghezza del corpo e inversamente proporzionale alla viscosità del fluido). Alessandro Robino Pozzolo Pormigaro (AL) Perché dopo il lampo viene sempre il tuono? Il lampo è l'effetto luminoso determinato dalla scarica elettrica che, durante i temporali, avviene tra due masse d'aria umida con carica opposta (nube/suolo o nube/nube). Durante questa scarica si determina il brusco riscaldamento delle masse d'aria che si trovano nella zona circostante il lampo. Queste, per effetto dell'aumento di temperatura, subiscono un repentino aumento di pressione che determina l'emissione di onde acustiche, dando luogo al caratteristico rumore del tuono. Luigi Omodei Zorini, Vercelli Il fatto che il tuono venga sempre dopo il lampo (e non contemporaneamente) dipende dalla differenza di velocità. Il lampo, che è la luminosità prodotta dalla carica, si propaga nello spazio alla velocità della luce, cioè 300 milioni di metri al secondo. Il tuono, originato dalle variazioni di pressione dell'aria, si propaga invece come onda sonora con una velocità di circa 340 metri al secondo. E' dunque un milione di volte più lento del lampo. Quando il temporale è molto lontano, i tuoni non si sentono e i fulmini appaiono come bagliori all'orizzonte. Calcolando il tempo intercorso tra il bagliore del lampo e l'arrivo del tuono è possibile sapere a che distanza è il temporale. Mariano Rechimel, Padova Perché, in una stessa regio ne, alcuni animali vanno in letargo e altri no? Quando le condizioni ambientali diventano difficili, molti animali vanno incontro a un rallentamento o una sospensione delle attività vitali che, a seconda dell'ambiente e del clima, prende il nome di ibernazione (clima freddo) o estivazione (clima caldo secco). Una particolare forma di ibernazione è il letargo dei mammiferi, che è caratterizzato dalla riduzione del metabolismo e soprattutto dal passaggio dalle condizioni di omeotermia (sangue caldo) a quelle di eterotermia (sangue freddo) in seguito alla sospensione del sistema di termoregolazione. Quanto al fatto che in una stessa regione non tutti i mammiferi cadano in letargo e che il fenomeno si verifichi anche in animali allevati in condizioni ideali di luce, temperatura e nutrimento, si può pensare che la causa sia una insufficiente capacità di termoregolare e che tale carattere adattativo sia di origine genetica e si sia fissato in alcune specie come ricordo dei progenitori eterotermi. Classe II IGEA B Verbania Che cosa sono i «fronti» in meteorologia? I fronti sono linee di superficie o di discontinuità che segnano il contatto di due masse d'aria convergenti con temperature diverse. La formazione di un fronte richiede non solo un contrasto di temperatura fra due masse d'aria, ma anche la loro convergenza. Non appena viene meno una di queste condizioni, il fronte scompare. Si possono avere fronti mobili e fronti più o meno stabili. Il fronti mobili si suddividono a loro volta in fronti freddi e caldi, a seconda della provenienza della massa d'aria (artica o tropicale). Quando un fronte freddo raggiunge un fronte caldo, si forma una zona di ascendenza dell'aria calda detta «fronte occluso». I fronti mobili si estendono solo per qualche centinaio di chilometri e danno origine ai cicloni. I fronti più stabili caratterizzano quasi costantemente il contatto delle grandi masse d'aria e sono molto più estesi: alcune volte attraversano addirittura un intero oceano. Paolo Zanone, Torino
QE' vero che il cane si accorge della presenza di adrenalina nell'uomo che davanti a lui si agita e allora lo assale? E se è vero, come fa ad accorgersene? QPerché sia lo stoppino sia il restante cilindretto di cera non producono separatamente nessuna fiamma, mentre riuniti insieme in una candela costituiscono una fonte di calore e di luce? QSe, trovandoci in mare, un fulmine cade a pochi metri da noi, potremmo rischiare di morire fulminati? QChe cosa significa in linguaggio politico «Repubblica delle banane»? _______ Risposte a: «La Stampa-Tuttoscienze», via Marenco 32, 10126 Torino. Oppure al fax numero 011-65.68.688
La dinamo della bicicletta funziona in base al principio dell'induzione elettromagnetica, scoperto da Faraday. L'energia per far girare il magnete viene fornita dalla ruota della bicicletta in movimento: quanto più rapida gira, tanta più corrente genera e quindi tanto più forte sarà la luce del fanale. Il problema principale, con questo genere di illuminazione, è l'assenza di luce quando la biclicletta è ferma e quindi la dinamo non gira.