TUTTOSCIENZE 12 gennaio 94


GENI TUMORALI Assalto al cancro Il punto sulla ricerca
Autore: DULBECCO RENATO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA, SANITA', GENETICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. Percentuali di malattia per i due sessi
NOTE: 005. Tumori, cancro

SOSTENUTO da modificazioni genetiche, l'evento cruciale della trasformazione neoplastica che conduce allo sviluppo di un tumore è l'alterazione del meccanismo che controlla la proliferazione e la differenziazione cellulare. Al di fuori di ogni finalità, la cellula neoplastica continua a duplicarsi per un difetto che può consistere nell'incapacità di arrestarsi per la perdita di un controllo negativo o per l'alterazione di un controllo positivo. Nello stesso tempo inizia una differenziazione anomala. Queste alterazioni sono causate dalla presenza di sequenze geniche a carattere dominante (oncogeni), e dalla perdita di sequenze a carattere recessivo (geni soppressori). Un terzo gruppo di geni direttamente influenza il «fenotipo» cellulare: essi non partecipano allo stabilirsi della trasformazione neoplastica, ma ne determinano caratteristiche come l'aggressività, l'invasività, e il grado di metastalizzazione. Molti oncogeni e un buon numero di geni soppressori sono noti. Ma il loro rispettivo ruolo nei vari tipi di cancro lo è assai meno. Per molti si hanno soltanto conoscenze frammentarie. Una direzione necessaria di ricerca è quella diretta a scoprire i geni che partecipano all'origine ed evoluzione dei tumori dei vari organi. Nel cancro del colon alterazioni geniche differenti compaiono in ciascuno degli stadi che contrassegnano lo sviluppo e l'evoluzione e che sono definiti istologicamente. Però l'ordine in cui i cambiamenti avvengono può variare. Una linea di ricerca consiste nel definire il risultato di tali variazioni, specialmente dal punto di vista della prognosi. In modo più generale questa linea di ricerca mira a collegare lo spettro dei geni alterati con la prognosi dei vari tumori, e a sviluppare adeguati sistemi diagnostici molecolari applicabili ad essi. Il gene soppressore P53 è alterato in molti tipi di cancro: la sua perdita determina il fenotipo delle cellule neoplastiche attraverso lo sregolamento dell'espressione di molti altri geni. Infatti l'introduzione sperimentale del gene in cellule che l'hanno perduto può portare alla perdita delle caratteristiche di malignità: per esempio, la proprietà di metastatizzare. Una direzione di ricerca di interesse concettuale è di valutare metodi per introdurre il gene P53 (o altri soppressori) in cellule cancerose. Il gene soppressore P53 ha anche funzione correttiva sul Dna, bloccandone la moltiplicazione se ci sono danni, per poi permettere la sua ripresa una volta che i danni sono riparati. Perciò il danno non viene riparato in cellule in cui la funzione del gene P53 è assente. Un obiettivo ulteriore è determinare la chemioterapia più adatta per cellule in cui la funzione P53 persiste e in quelle in cui è assente. Quando è assente si potrebbero usare di preferenza agenti che danneggiano il Dna mentre, nei casi in cui persiste, altri tipi di agenti potrebbero essere preferibili. Recentemente si sono sviluppate strategie per uccidere cellule in modo selettivo, per esempio colpendo quelle in attiva moltiplicazione e risparmiando quelle che non si moltiplicano, oppure mirando a cellule in cui un dato fattore sia attivo. Questi tentativi generalmente usano un gene della kinasi timidinica (TK) del virus erpetico, che rende le cellule vulnerabili dai farmaci antivirali. Una importante direzione di ricerca consiste nel mirare il vettore che porta il gene TK a cellule carcerose in varie situazioni. Sono già in via di sperimentazione tentativi di vaccinazione con cellule cancerose in cui si è introdotto un gene capace di potenziare la risposta immunitaria dell'organismo, per esempio il gene B7, che provvede il «secondo segnale» per i linfociti T, oppure geni per varie interleuchine capaci di attivare gli stessi linfociti. Sarebbe interessante applicare questi programmi di vaccinazione a tumori umani opportunamente selezionati. Le ricerche di terapia genica attraverso il sistema immunitario, rendendo i linfociti T specifici per il tumore capaci di rilasciare sostanze tossiche dopo aver stabilito contatto, sono in pieno sviluppo nel laboratorio di Rosenberg negli Stati Uniti. Sarà utile seguire questo lavoro aspettandone i risultati definitivi: se questi saranno chiaramente positivi, sarà utile applicarli a specifici tipi di cancro. Un crescente interesse accompagna le attuali sperimentazioni per indurre le cellule a differenziarsi correttamente, con l'intento di arrestare la moltiplicazione sregolata. E' probabile che questa forma di terapia sarà applicabile solo a neoplasie in cui un blocco della differenziazione o dell'apoptosi è un elemento essenziale; e specialmente a neoplasie del sistema ematopoietico, perché queste sono in genere dovute a difetti che danneggiano geni per la differenziazione. L'esempio più importante è la possibilità di ottenere remissioni di leucemia promielocitica con acido retinoico. Una direzione di ricerca per permettere di raggiungere questo scopo sarebbe determinare la natura dei geni alterati in varie forme di neoplasia ematopoietica, il loro ruolo biologico, e da esso cercare di identificare il fattore di differenziazione coinvolto, per poi passare a tentativi terapeutici. Altri indirizzi sono caratterizzati dalla produzione di farmaci diretti alle molecole della superficie cellulare che determinano l'abilità invasiva e metastatica delle cellule neoplastiche o con la loro presenza o con la loro assenza, allo scopo di bloccare le prime e di rimpiazzare le seconde; dallo sviluppo di metodologie molecolari per rilevare sequenze virali implicate in patologia oncologica; dallo sviluppo di anticorpi bispecifici che riconoscano in modo specifico il tumore e attivino il programma citotossico degli effettori immuni per concentrare i linfociti contro il tumore. Renato Dulbecco Premio Nobel per la Medicina


LA MOLECOLA DELL'ANNO
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA, SANITA', GENETICA
NOMI: DULBECCO RENATO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 005. Tumori, cancro

SI chiama P53 e «Science», la più prestigiosa rivista scientifica americana, nel suo numero del 23 dicembre l'ha proclamata «Molecola dell'anno 1993». P53 è una proteina codificata da uno dei circa centomila geni che costituiscono il patrimonio ereditario contenuto nel nucleo di ognuna delle nostre cellule. Ma quello che codifica la molecola P53 non è un gene qualsiasi. Da un difetto del suo funzionamento deriva circa la metà dei sei milioni e mezzo di nuovi tumori che complessivamente ogni anno vengono diagnosticati nel mondo. Nel 1993 quasi mille articoli scientifici sono stati dedicati a questa molecola, che è stata scoperta ben 15 anni fa, ma della quale solo adesso incominciamo a comprendere i meccanismi d'azione, dopo che il 19 novembre dell'anno scorso sono comparsi sulla rivista «Cell» due articoli fondamentali firmati da Bert Vogelstein (lo scopritore del gene P53) e da Stephen Elledge. A cadenza quasi annuale «Tuttoscienze» dedica un numero speciale alla ricerca sul cancro, con una particolare attenzione all'Istituto di ricerca e cura che sta sorgendo a Torino: un modello di integrazione tra la ricerca più avanzata e l'applicazione immediata dei risultati alla terapia. E' ovvio che il gene P53 sia il protagonista principale di queste pagine. Ne parla qui accanto il premio Nobel per la medicina Renato Dulbecco, pioniere degli studi sui geni coinvolti nei tumori. Ne tratta Paolo Comoglio facendo il punto sui progressi compiuti negli ultimi due-tre anni. Bert Vogelstein e Stephen Elledge hanno individuato, contemporaneamente e indipendentemente, il gene-bersaglio della proteina P53. Questo gene, che Vogelstein ha chiamato Waf 1 ed Elledge Cip 1, è appunto l'inibitore della crescita cellulare. Quando è normalmente attivato dalla molecola P53, bilancia gli effetti dei geni promotori della crescita. Se la P53 si modifica, l'equilibrio viene meno e si innesca la formazione del tumore. Siamo, come si vede, proprio al centro del problema cancro. Ma è ancora presto per cantar vittoria. Piero Bianucci


LA PROGRESSIONE VERSO LA MALIGNITA' Tappa dopo tappa l'evoluzione di un tumore
Autore: COMOGLIO PAOLO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA, SANITA', GENETICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 005. Tumori, cancro

UN malato di cancro raramente muore a causa del tumore che per primo si è manifestato in una certa sede, attirando, l'attenzione del medico. E' la sua successiva diffusione che, nella maggior parte dei casi, produce l'esito letale. Il cancro deriva dall'alterazione di un numero limitato di geni che controllano quando e dove le cellule devono moltiplicarsi. Le cellule tumorali hanno perso questo controllo e, riproducendosi in maniera anomala, generano una massa localizzata (il tumore primario). Solo in un secondo tempo, dopo mesi o anche anni, acquistano la capacità di separarsi l'una dall'altra, infiltrandosi tra le cellule sane vicine (il tumore invasivo). Infine, le cellule maligne si insinuano nei vasi sanguigni e linfatici, si fanno trasportare dalla corrente, e raggiungono organi anche distanti. In queste sedi si annidano e si riproducono uno o più tumori secondari, simili ma non identici a quello di partenza (le metastasi). L'identificazione delle tappe che si succedono nel corso della storia naturale del tumore, riassunte nelle righe precedenti, ha permesso di formulare una teoria unificante, detta della progressione verso la malignità. Nel corso dell'evoluzione della malattia, la cellula tumorale percorre in maniera più o meno consequenziale queste tappe, acquistando in ognuna caratteristiche di malignità sempre maggiori. I geni che controllano «quando» la cellula deve proliferare sono stati in gran parte identificati nel corso delle ricerche svolte negli Anni 80. Sono impropriamente definiti oncogeni e anti-oncogeni. I primi codificano i fattori di crescita, i loro recettori e una serie di molecole che portano i segnali proliferativi dall'esterno della cellula al nucleo. L'attivazione anormale degli oncogeni porta alla crescita aberrante delle cellule. I secondi, gli anti-oncogeni, controllano le funzioni opposte: codificano fattori che inibiscono la crescita, i recettori di questi fattori negativi e molecole intracellulari che rallentano o sopprimono la crescita. I geni che controllano «dove» alla cellula è permesso proliferare sono oggetto di caccia accanita e rappresentano il bersaglio della ricerca oncologica degli Anni 90. Sono stati definiti con il termine, ancora assai impreciso, di geni della progressione. La loro identificazione non solo porterà a un ulteriore approfondimento della comprensione dei meccanismi molecolari che generano le metastasi, ma permetterà di combatterne l'insorgenza con tecnologie farmacologiche, tradizionali o innovative (terapia genica). Un salto di qualità nella ricerca è comunque già stato fatto. L'importanza è quasi pari al giro di boa che alla fine degli Anni 70 - con la scoperta degli oncogeni - ha permesso di mettere a fuoco i meccanismi molecolari che innescano le prime tappe della trasformazione tumorale. Negli ultimi due o tre anni la ricerca di base ha identificato nelle cellule metastatiche un certo numero di geni della progressione, le cui lesioni producono quelle caratteristiche di malignità che le loro sorelle maggiori, nel tumore primario, non hanno. I gruppi di Birchmeier a Berlino e di Mareel e di Van Roy in Belgio, manipolando con tecniche di ingegneria genetica il livello di espressione della Caderina-E, hanno dimostrato che la riduzione di questa molecola correla con l'acquisizione della capacità di invadere i tessuti sani circostanti. Le Caderine sono una famiglia di molecole che mediano l'adesione tra cellula e cellula. Il fenomeno ha rilevanza clinica: in alcuni tipi di carcinoma è stata frequentemente rilevata una lesione che interessa la regione del cromosoma dove è stato mappato il gene per la Caderina-E. Il laboratorio di Vogelstein, a Baltimora, ha dimostrato che nei tumori del colon viene perduto con alta frequenza il pezzo di Dna corispondente a un altro gene, chiamato DCC. Il recente clonaggio di questo gene ha dimostrato che anche la proteina Dcc appartiene alla famiglia delle molecole di adesione. La riduzione della adesione tra le cellule è, quindi, una tappa necessaria perché il tumore diventi invasivo. La perdita delle molecole di adesione non è però sufficiente, da sola, a conferire alla cellula neoplastica la capacità di metastatizzare. Questa proprietà richiede l'esecuzione di un complesso programma biologico che coinvolge l'attività di geni multipli. Esistono fattori di progressione che sono capaci di attivare questo programma: il più noto è lo «scatter factor», impropriamente indicato anche come HGF. La molecola stimola la dissociazione e la migrazione delle cellule (scattering) durante lo sviluppo embrionale degli organi epiteliali come il fegato e l'intestino. Il nostro laboratorio, a Torino, ha identificato il recettore per questo fattore e ha dimostrato la sua anormale espressione nelle cellule dei tumori di origine epiteliale. Inoltre il trasferimento artificiale del gene corrispondente, l'oncogene Met, induce nelle cellule recipienti la comparsa di caratteristiche di invasività e malignità proprie delle metastasi. La progressione è dunque il risultato di una serie sequenziale di mutazioni che danneggiano geni critici. Tuttavia, la frequenza di mutazioni casuali che si misura nelle cellule normali non basta a spiegare l'accumulo di danni genetici che si osservano nel corso dell'evoluzione verso la malignità. La stabilità del patrimonio genetico è infatti garantita da una serie di controlli che provvedono alla riparazione del Dna danneggiato prima di permettere la duplicazione. I dati forniti dal laboratorio di Tlsty, a Chapel Hill, e da Wahl, a San Diego, suggeriscono che la funzione della proteina P53, prodotta dal più noto dei geni oncosoppressori, sia critica nel prevenire la duplicazione del Dna in presenza di danni genetici: oggi sappiamo che questa molecola è inattivata in un vastissimo campionario di tumori. Queste raffinate analisi molecolari non resteranno senza seguito. La terapia genica permette di trasferire tratti di Dna funzionanti nelle cellule ospiti, con effetti da prestigiatore ma precisione da ingegnere. A San Diego, Huston, Seattle, Bethesda e anche a Torino, sono in corso studi sulla possibilità di inattivare pericolosi oncogeni, come MET, o di vicariare le funzioni della DCC o della P53 con vettori virali ricombinanti. Paolo M. Comoglio Università di Torino


TERAPIA GENICA Tumore, ti «rigetto» Autodifesa con vaccini sperimentali
Autore: FOA' ROBIN

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, GENETICA, RICERCA SCIENTIFICA, SANITA', TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. Terapia genica antitumorale
NOTE: 006. Tumori, cancro

LA crescita spesso inarrestabile dei tumori è indotta dall'iperattività di alcuni geni diventati oncogeni, oppure dall'inattivazione di geni «oncosoppressori» oppure ancora dalla mutazione di alcune strutture ripetitive del Dna, denominate «microsatelliti». Le nuove tecnologie biologiche e molecolari, avendo semplificato il lavoro con i geni e quindi aperto la possibilità di manipolare e amplificare segmenti di Dna, hanno offerto nuove prospettive terapeutiche che si riferiscono, direttamente o indirettamente, alla cosiddetta «terapia genica». Le tecniche di ingegneria genetica non consentono ancora di riparare direttamente il difetto genico della cellula tumorale, ma possono essere utilizzate per stimolare il sistema immunitario del paziente guidandolo a riconoscere le cellule tumorali e inducendo ad aggredirle in maniera da ottenere il rigetto del tumore e lo stabilirsi di uno stato di elevata vigilanza (la «memoria immunitaria») verso eventuali cellule tumorali che fossero riuscite a sfuggire al primo attacco. Le esperienze di laboratorio in modelli tumorali sperimentali hanno dimostrato che ciò può essere ottenuto inserendo nel Dna delle cellule neoplastiche geni che inducono la comparsa di certe proteine di membrana, oppure geni che mettono il tumore in grado di secernere particolari trasmettitori del sistema immunitario (linfochine) capaci di attivare e guidare la reazione immunitaria. Le cellule tumorali non crescono più in modo incontrollato: la reazione immunitaria che esse stesse inducono ne determina l'eliminazione. E' importante notare che la particolare reattività immunitaria che fa seguito al rigetto delle cellule tumorali così trasformate può anche, talvolta, controllare efficacemente lo sviluppo di metastasi tumorali. Più che di terapia genica vera e propria si può parlare, per i tumori, di ingegneria genetica delle cellule neoplastiche, in quanto queste ultime vengono modificate geneticamente e indotte a svolgere una nuova funzione, quella di secernere la proteina desiderata; questa strategia equivale a una specie di «vaccinazione» dell'organismo ospite. Tra le linfochine utilizzate per questo nuovo tipo di vaccino, l'interleuchina-2 (IL-2) è quella che, al momento, sembra essere la più efficace. L'IL-2 stimola infatti l'attività killer dei linfociti, sia di quelli naturalmente predisposti a uccidere (i linfociti «natural killer») sia di linfociti che in presenza di IL-2 si trasformano in cellule dotate di notevoli capacità distruttive, le cellule Lsk (lymphokine activated killer). Per queste proprietà, l'IL-2 è stata utilizzata nella cura di malati di tumore. In base ai risultati ottenuti nei modelli sperimentali e all'evidenza che anche in cellule tumorali umane possono essere inseriti con successo geni di linfochine, sono stati messi a punto programmi di vaccinazione fondati sulla somministrazione ripetuta per via sottocutanea di cellule tumorali ingegnerizzate a produrre IL-2. In America, la Food and Drug Administration e il Recombinant Dna Advisory Committee hanno approvato i primi studi nell'uomo di vaccinazione con cellule ingegnerizzate a rilasciare IL-2 per pazienti affetti da melanoma, carcinoma del rene e neuroblastoma. E' importante sottolineare che i protocolli attivati finora sono tutti di fase I, cioè sono utilizzati soltanto in pazienti volontari e in fase avanzata di malattia. Lo scopo è di valutare la fattibilità e l'eventuale tossicità di questa nuova strategia terapeutica, e non ancora la sua efficacia clinica. Solo dopo questi studi pilota si potrà stabilire l'opportunità di protocolli più allargati, mirati a definire la risposta clinica. L'Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (Airc, Milano) ha di recente avviato un progetto speciale per incentivare le ricerche di terapia genica in oncologia. Inoltre, con l'approvazione dei Comitati etici locali, sarà attivato a Milano e Torino un protocollo clinico con cellule tumorali ingegnerizzate a rilasciare citochine per pazienti con melanoma metastatico. Intanto sono in corso di studio approcci sperimentali che potrebbero aprire ulteriori prospettive in campo oncologico. Questi includono la possibilità di potenziare la capacità distruttrice dei linfociti «killer» introducendo, al loro interno, il gene del «fattore di necrosi dei tumori» (Tnf). Un altro progetto, infine, mira a introdurre, nei progenitori dei globuli rossi e bianchi del sangue, geni che li proteggano dall'azione tossica dei farmaci anti- tumorali. Se avrà successo, quest'ultima tecnica permetterebbe di aumentare i dosaggi di questi farmaci senza raggiungere una inaccettabile tossicità per le cellule staminali normali. Robin Foà Università di Torino


CHEMIOPROFILASSI Sei a rischio? Ecco la dieta
Autore: GAVOSTO FELICE

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, ALIMENTAZIONE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 006. Tumori, cancro, cibi

LA chemioprofilassi è una nuova strategia preventiva che mira a inibire lo sviluppo di un tumore mediante farmaci o sostanze contenute in prodotti naturali introdotti con gli alimenti. Lo sviluppo di un tumore passa attraverso diverse fasi che sono del tutto prive di sintomi e possono durare anche diversi anni. Quindi la chemioprofilassi può avere, di volta in volta, obiettivi differenti: bloccare la formazione endogena di cancerogeni; contenere la trasformazione neoplastica; inibire la crescita delle cellule tumorali primitive. La chemioprofilassi si rivolge a una fase molto iniziale dello sviluppo tumorale, ben prima di ogni possibilità di evidenza diagnostica. Come tutte le misure di prevenzione, va diretta a soggetti asintomatici non ancora riconosciuti come portatori di tumori. Tecniche diagnostiche sofisticate oggi permettono di identificare categorie di persone a rischio per determinati tumori. Le misure di chemioprofilassi vanno distinte in dietetico-ambientali e/o farmacologiche. Se alcune particolari diete sono da considerare tra i fattori eziologici favorenti lo sviluppo di particolari tumori, alcuni nutrienti o composti particolari presenti nell'alimentazione si sono dimostrati in grado di interferire in senso opposto rallentando lo sviluppo dello stesso cancro. E' possibile contrastare l'insorgenza e la iniziale crescita di tumori agendo in due direzioni: o eliminando dalle diete le sostanze ritenute in grado di favorire la crescita neoplastica (attuando una opportuna prevenzione primaria) oppure integrando l'alimentazione stessa con prodotti dei quali sia stata riconosciuta una qualche proprietà inibente la crescita stessa (nel tal caso si attua una misura di chemioprofilassi). Per esempio, si ritiene che l'eccesso di grassi della dieta, proprio dei Paesi sviluppati, può essere responsabile del 15-25 per cento di tutte le neoplasie e che circa il 25 per cento dei carcinomi colon-rettali potrebbe essere evitato consumando meno grassi e più vegetali ricchi di fibre. Una dieta che abbondi in vegetali, specialmente crocifere (broccoli, cavoli, cavolfiori) mostra, secondo alcuni studi, un'azione favorevole, come pure una dieta ricca di calcio, per l'azione di questo sale sugli acidi biliari, di vitamina A e D oppure vitamine C, E, di selenio, di terpeni e di tannini, come antiossidanti. Altri studi epidemiologici indicano come fattori negativi un alto consumo di calorie e di alcol. Su questa base sono attualmente in corso, anche in Italia, estesi progetti di studio, che coinvolgono decine di migliaia di persone, su alimentazione e cancro in generale e sull'apporto di specifiche sostanze (nutrienti, prodotti naturali) in particolare. Alcuni prodotti farmacologici sono studiati individualmente. Sia pure con risultati discordi, effetti inibitori sul cancro dell'intestino sono risultati connessi all'assunzione regolare di aspirina. Anche se le segnalazioni in questo senso non sono ancora conclusive, l'uso del farmaco è già raccomandato da molti medici per la sua azione inibente su una sostanza (cicloossigenasi) attiva sulla proliferazione cellulare. Agenti farmacologici utilizzati con intenti preventivi sono attualmente gli acidi retinoidi (derivati dalla vitamina A) e il tamoxifene, quest'ultimo particolarmente nel carcinoma mammario. I retinoidi sono dei modulatori biologici dello sviluppo delle cellule epiteliali: gli epiteli costituiscono la sede più frequente dei cancri umani. Il più importante ostacolo all'uso prolungato di retinoidi è la loro tossicità, particolarmente a livello epatico; tuttavia, alcuni prodotti meno tossici sono ora disponibili per cui sono stati iniziati importanti studi prospettici. Il tamoxifene è un antiestrogeno che si è dimostrato sicuramente utile per protocolli di terapia precauzionale nel cancro mammario nelle donne in post-menopausa. L'idea che il tamoxifene possa essere utile per la chemioprofilassi del cancro del seno è derivata dalla constatazione che il farmaco, utilizzato per molti anni dopo un primo intervento, ha ridotto il rischio di sviluppare un tumore nella mammella controlaterale. Il prodotto è ora sotto studio per il cancro mammario primitivo, in donne a rischio, includendo anche l'età come fattore di rischio. In questa sperimentazione sono ora coinvolte in tutto il mondo, e anche in Italia, circa centomila donne. Altri studi in corso prevedono l'uso congiunto di acido retinoico, tamoxifene e di una dieta a basso contenuto di grassi e sono diretti alla prevenzione del carcinoma della mammella e del colon. Un'osservazione di un certo rilievo è che il modello di alimentazione ritenuto utile per la prevenzione di alcuni tumori tra i più diffusi non è molto dissimile da quello consigliato per cardiopatici e ipertesi, cioè per una larga parte della popolazione adulta. Felice Gavosto Università di Torino


SCREENING Intestino: un controllo ogni anno dimezza i pericoli per il colon E se c'è un polipo, si asporta subito
Autore: SEGNAN NEREO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 006. Tumori, cancro, interventi chirurgici

OGNI anno in Italia ci sono circa trentamila nuovi casi di cancro colorettale: tra 27 e 55 casi ogni centomila persone. In Torino i nuovi casi sono circa 550 ogni anno e non meno di 300 i decessi. E' recente la pubblicazione dei risultati di uno studio (Minnesota Colon Cancer Control Study) condotto su una popolazione di volontari che ha dimostrato una riduzione del 33 per cento della mortalità per cancro colorettale nel gruppo di individui che veniva sottoposto a uno screening annuale mediante la ricerca di sangue occulto nelle feci: un sanguinamento occulto può essere un segno precoce del tumore del rettocolon. In quattro anni il 38 per cento della popolazione è stato sottoposto a colonscopia totale, per escludere la presenza di un cancro del grosso intestino. L'indagine endoscopica è la tecnica più efficace per la diagnosi del carcinoma colorettale e la strumentazione oggi disponibile permette una esplorazione del grosso intestino agevole, di semplice esecuzione e ben tollerata dal paziente. Atkin e collaboratori, dell'Imperial Cancer Research Fund di Londra, hanno proposto un protocollo di screening per la prevenzione del carcinoma colorettale che prevede l'uso della rettosigmoidoscopia (tecnica endoscopica che permette una valutazione del tratto distale del grosso intestino), da eseguire una volta soltanto nell'arco della vita, in individui asintomatici di entrambi i sessi, tra i 55 ed i 60 anni. La proposta si basa sull'evidenza, in studi non sperimentali, di una riduzione dell'incidenza di carcinomi invasivi del 60- 85 per cento in gruppi di popolazione cui erano stati asportati polipi adenomatosi del grosso intestino con l'endoscopia. Si è infatti dimostrato che la maggior parte dei cancri origina da un adenoma. L'identificazione e la rimozione dei polipi adenomatosi rappresentano la strategia più razionale per interrompere l'evoluzione di questi polipi verso il cancro. L'esecuzione di una rettosigmoidoscopia tra i 55 e i 60 anni determina una riduzione del rischio individuale di sviluppare un tumore colorettale mediamente del 45 per cento. Se il 70 per cento della popolazione si sottoponesse a questo esame, si otterrebbe una riduzione di carcinomi colorettali intorno al 30 per cento. Lo screening offre una protezione elevata ma non assoluta. Il 10 per cento dei carcinomi si manifesta prima dei 55 anni, 1/3 circa insorge in punti del colon non esplorati con la rettosigmoidoscopia e infine, col tempo, possono svilupparsi nuovi adenomi. Questo sistema di diagnosi precoce offre alcuni aspetti di estremo interesse: l'esame è insieme di screening, diagnostico e terapeutico; inviti ripetuti a eseguire il test una sola volta possono consentire un'adeguata partecipazione; il rapporto costo-efficacia è molto favorevole. A Torino è in fase di avvio uno studio (in collaborazione con altri Paesi europei) per valutare la fattibilità e l'efficacia di un programma di screening basato sulla rettosigmoidoscopia, cui partecipano il Dipartimento di Oncologia dell'Ospedale San Giovanni, l'Ospedale Mauriziano, l'Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro di Candiolo, e il Dipartimento di Oncologia e Scienze Biomediche dell'Università. In una prima fase, tra poche settimane, un campione casuale di mille torinesi sarà invitato a eseguire questo esame, per mettere a punto protocolli operativi e organizzativi. In una seconda fase, nei prossimi anni, saranno invitate molte migliaia di persone, in modo da avere un solido contesto di valutazione dell'efficacia della rettosigmoidoscopia e contemporaneamente una riduzione dell'incidenza e della mortalità per carcinoma colorettale come quella prevista. Nereo Segnan Epidemiologia dei Tumori, Ospedale San Giovanni, Torino


A FIRENZE E TORINO Cancro della mammella Con un test ogni due anni la minaccia si riduce
Autore: CAPPA ALBERTO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, DONNE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 006. Tumori, cancro

IN Italia sono in corso diversi programmi di diagnosi precoce del cancro dell'utero e del cancro della mammella su gruppi di popolazione, con l'esame citologico cervicovaginale e la mammografia. Per la diagnosi precoce del cancro della mammella, nell'ambito del programma «Europa contro il cancro», meritano una segnalazione quelli attuati a Firenze (Progetto Firenze Donna) dal 1990 e a Torino (Programma Prevenzione Serena) dal 1992. Il programma torinese è per ora rivolto alle donne di 50-59 anni e un secondo centro sarà attivato nel 1994 per le donne di 60-69 anni. Le popolazioni attualmente interessate sono di 76 mila donne per Torino e 61 mila per Firenze. L'intervallo fra due test mammografici è di due anni. I programmi sono finanziati dal Servizio Sanitario Nazionale. La mammografia può essere effettuata solo su invito personale. L'appuntamento prefissato è modificabile telefonicamente. A Torino, su 18 mila donne finora invitate, l'adesione è stata del 50 per cento; sono stati accertati: 56 cancri invasivi di cui 26 (46%) di diametro inferiore a un centimetro, quindi tumori di dimensioni limitate, a prognosi estremamente favorevole (sopravvivenza a dieci anni superiore al 90 per cento) con un rapporto fra biopsie benigne e maligne di 1/2,5. A Firenze su 55 mila donne invitate, ha ederito il 54% e sono stati diagnosticati: 211 casi di carcinoma con rapporto fra biopsie benigne/maligne di 1/4. I casi in stadio T1 (diametro inferiore a 2 centimetri) sono stati l'86 per cento, di cui il 36 per cento di dimensioni sotto il centimetro. Alberto P. M. Cappa Dipartimento di Oncologia Ospedale San Giovanni


RICERCA SUI TUMORI Finanziamenti, ultimi in Europa Dallo Stato 25 miliardi all'anno, dai privati 50
Autore: GARATTINI SILVIO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, MEDICINA E FISIOLOGIA, FINANZIAMENTO
ORGANIZZAZIONI: AIRC, LEGA PER LA LOTTA CONTRO I TUMORI
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. Canali diraccolta dei fondi. Totale fondi raccolti
NOTE: 007. Tumori, cancro

QUANDO la gente chiede con ansia: «E allora, avete scoperto il farmaco contro il cancro?» fa un'estrema semplificazione di un problema dalle dimensioni davvero enormi. Per cancro non si intende una sola malattia ma un centinaio di malattie, e ognuna richiede trattamenti specifici. La via da percorrere è ancora lunga perché anche i farmaci più potenti hanno bisogno di molti anni per dimostrare la loro effettiva efficacia. Ci si rende sempre più conto del fatto che la diminuzione della massa tumorale non significa sempre un risultato definitivo: il tumore tende a diventare resistente al farmaco e a ricrescere. In realtà quello che ci attendiamo da una terapia efficace è un aumento della sopravvivenza; è ovvio che per sapere se un farmaco aumenta la durata di vita di 5 o 10 anni occorre attendere 5 o 10 anni. Tutto ciò per dire che oggi, per studiare il modo di combattere efficacemente i tumori, non ci si può più basare sulla buona volontà ed è invece necessario avere una solida organizzazione, con adeguati finanziamenti. Purtroppo nel nostro Paese la ricerca sui tumori è finanziata come il resto della ricerca scientifica: siamo il fanalino di coda della Comunità Europea sia in termini di risorse finanziarie che di ricercatori. A livello pubblico i finanziamenti derivano da due fonti principali: dal ministero della Sanità e dal Consiglio nazionale delle ricerche. Il ministero della Sanità finanzia fondamentalmente gli Istituti dei Tumori nell'ambito dei fondi disponibili per gli Istituti scientifici di ricovero e cura; le cifre sono difficili da valutare perché in questi Istituti non è sempre differenziabile la ricerca dall'assistenza medica. Il Cnr finanzia il Progetto finalizzato sui tumori, che è quinquennale ma viene rinnovato spesso con anni di vuoto in cui non sono disponibili i finanziamenti. Questi progetti sono stati molto importanti per il nostro Paese perché hanno permesso di stabilire collaborazioni fra gruppi che lavoravano in modo indipendente, creando uno «spirito di corpo» che prima mancava. I progetti finalizzati hanno anche permesso di migliorare la qualità della ricerca e una maggior presenza della nostra ricerca sulla scena internazionale. Tuttavia bisogna dire che i fondi sono assolutamente insufficienti per realizzare programmi veramente originali. Nel progetto attualmente in corso, nel '94 si arriverà a mala pena ad avere a disposizione circa 25 miliardi di lire; una cifra ridicola se si considera che è più o meno il costo di un chilometro di autostrada. Questa sembra essere la considerazione dei nostri politici per la ricerca sui tumori! Negli Stati Uniti un analogo progetto del National Cancer Institute spende circa 4000 miliardi di lire all'anno; è chiaro che per quanto i nostri ricercatori siano bravi non è possibile pensare che si possa essere competitivi. A livello privato la principale organizzazione che si occupa di finanziare le ricerche sui tumori è l'Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (Airc), che spende ogni anno circa 50 miliardi di lire. Va sottolineato che i soldi raccolti dall'Airc attraverso contributi di enti e singoli privati valgono in pratica molto di più di quelli pubblici, infatti si sa quando arrivano e perciò permettono di programmare le spese di ricerca e di investimento. Ad esempio gli strumenti scientifici costano sempre di più quando vengono pagati con fondi pubblici perché i tempi di pagamento sono sempre aleatori. Accanto all'Airc esistono altri organismi come la Lega per la Lotta contro i Tumori e una serie di fondazioni che finanziano aspetti particolari della ricerca sul cancro. Molto importante è poter reclutare giovani ricercatori nel campo dei tumori. Per questo sono necessarie borse di studio: anche in questo caso il finanziamento pubblico è assente, mentre l'unica sorgente quantitativamente significativa è l'Airc, che mette a disposizione dei giovani ogni anno oltre 300 borse di studio per laboratori nazionali ed internazionali. Purtroppo lo Stato non solo non incoraggia le borse di studio, ma le tassa in modo impietoso. Con le attuali leggi finanziarie un giovane che abbia a disposizione una modesta borsa di studio di 1 milione di lire al mese dovrà pagare 190.000 lire come ritenuta d'acconto, 56.000 lire per la tassa della salute e 150.000 lire come tassa previdenziale, ritrovandosi così nemmeno 600.000 lire al mese nette. Per fortuna che governo, Confindustria e sindacato hanno firmato sei mesi fa un solenne impegno per potenziare la ricerca nel nostro Paese! Qualcuno potrebbe chiedersi perché l'Italia debba spendere per fare ricerche anziché attendere che Paesi come gli Stati Uniti o il Giappone scoprano i rimedi per il cancro. A parte il fatto che tutti i Paesi industrializzati hanno il dovere morale di contribuire a risolvere questo grave problema, se non si partecipa alla ricerca è difficile cogliere i vantaggi che possono venire dai progressi fatti dagli altri. L'applicazione dei farmaci antitumorali diventa sempre più complessa e chi non è nel settore rischia di non sapere ciò che serve veramente al paziente rispetto a ciò che serve al mercato. Poiché lo Stato è così avaro nel destinare fondi alla ricerca, è necessario incoraggiare i contributi privati attraverso un'adeguata detassazione, così come avviene - in varia misura - in tutti i Paesi del mondo. Quanto dovremo attendere ancora per allinearci? E' ora che ricercatori, pazienti e pubblico facciano sentire la loro voce. Silvio Garattini Direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche «Mario Negri» Milano


TRA STORIA E ANEDDOTI Oncologi insieme per contare di più Una sera in discoteca a sensibilizzare la gente
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, MEDICINA E FISIOLOGIA, FINANZIAMENTO
NOMI: GAVOSTO FELICE, AGNELLI ALLEGRA, VERONESI UMBERTO, LEVI MONTALCINI RITA
ORGANIZZAZIONI: AIRC, LEGA PER LA LOTTA CONTRO I TUMORI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 007. Tumori, cancro

UNA volta, con la signora Allegra Agnelli, siamo andati a parlare persino in una discoteca dalle parti di Caluso, durante una serata danzante: perché siamo andati a presentare il nostro progetto un po' in tutto il Piemonte, dovunque ci invitavano i comitati locali. Un'esperienza che considero molto gratificante perché mi ha dimostrato quanto sia cresciuta la coscienza civica degli italiani, tanto che è stata spesso l'opinione pubblica a trascinare i pubblici poteri». Il professor Felice Gavosto fa la storia dell'Istituto per la ricerca e la cura del cancro, di cui è direttore scientifico: dieci anni durante i quali si è passati da un'idea vaga a strutture concrete. Tutto è cominciato verso la fine dell'84. «A Milano esisteva già l'Airc, cioè l'Associazione italiana ricerca cancro, presieduta da Guido Venosta - ricorda Gavosto -; per la prima volta si affermava in Italia un'organizzazione privata del tipo delle "charity foundations" inglesi; da poco era stato costituito nell'Airc il Comitato Piemonte-Valle d'Aosta, presieduto da Allegra Agnelli, che raccoglieva molti fondi e li mandava a Milano». All'inizio dell'85 Allegra Agnelli chiese a Gavosto «delle idee per fare qualcosa di particolare per il Piemonte». «Risposi - ricorda Gavosto - che potevo dare un'idea di minima e una di massima. Quella di minima: creare a Torino una scuola di oncologia per medici riunendo i migliori docenti europei. Quella di massima: creare un istituto dei tumori in Piemonte». Si puntò sulla proposta più ambiziosa; l'idea fu sottoposta all'Airc, che l'approvò, cominciarono gli studi di fattibilità, cominciarono anche i contatti con il pubblico che continuano tuttora; in particolare fu decisivo un incontro al Teatro Carignano di Torino che diede ai promotori dell'iniziativa, tra i quali c'erano medici come il professor Pier Mario Cappa, ma anche molti non medici, come il notaio Gianfranco Gallo Orsi, la sensazione di poter contare su un largo consenso tra la gente. Anche i tre Nobel italiani per la medicina, Salvador Luria, Rita Levi Montalcini e Renato Dulbecco, tutti usciti dall'Università di Torino, intervennero mettendo in gioco la propria autorevolezza; in più occasioni furono presenti i maggiori imprenditori piemontesi, a cominciare da Giovanni e Umberto Agnelli, e i principali responsabili dell'Airc, i professori Venosta e Umberto Veronesi. C'è da sottolineare che il gruppo di Torino ha sempre potuto contare sulla collaborazione dell'Istituto milanese, il quale alla nuova iniziativa ha concesso di utilizzare il suo marchio insieme a quello della Regione piemontese. La sensibilizzazione dell'opinione pubblica si è tradotta, in concreto, nella raccolta di fondi cospicui che hanno consentito di partire con il progetto». A questo punto la vicenda prende un passo più rapido: nell'86 viene costituita la Fondazione piemontese per la ricerca sul cancro, subito dopo viene trovato il terreno per costruire l'istituto, 270 mila metri quadrati nel Comune di Candiolo appartenenti alla Fiat, che li cede a un prezzo di favore. C'è però un ostacolo, costituito dal fatto che si tratta di terreni limitrofi al parco di Stupinigi e quindi vincolati a verde; in Consiglio regionale c'è un vivace confronto sull'opportunità di consentire o meno di costruire; scendono in campo anche i sindacati confederali che organizzano un dibattito al Teatro Nuovo durante il quale Gavosto tiene una lunga relazione. Alla fine, in considerazione delle finalità scientifiche e sociali del progetto, prevalgono i favorevoli alla scelta di Candiolo. Nell'89 il terreno è acquisito, la Fiat Engineering prepara il progetto; l'anno scorso è infine arrivata la licenza edilizia e sono cominciati i lavori. Il primo lotto sarà pronto nella prima metà del '95 e comincerà subito a funzionare. Il lavoro per costruire l'Istituto è andato avanti in parallelo con quello per costituire l'equipe dei medici e dei ricercatori. «A Torino - sottolinea Gavosto - erano già maturati sia nell'ambito dell'Università sia negli ospedali numerosi laboratori e molti validi ricercatori; essi, però, lavoravano ognuno per proprio conto, senza un coordinamento, tanto che una decina di anni fa si era avvertita l'opportunità di raccoglierli nel Gruppo di cooperazione in cancerologia. Grazie alla Fondazione lo scambio di idee si è infittito con seminari di studiosi italiani e stranieri, e questo ha contribuito a far emergere una buona leva di giovani studiosi. Tre anni fa il comitato tecnico scientifico della Fondazione, composto da Gavosto, Cappa, Paolo Comoglio e Giuseppe Della Porta, ha cominciato a concretizzare il programma scientifico dell'Istituto, basato su uno schema inedito per l'Italia ma già ben collaudato all'estero: unire nella stessa struttura l'attività clinica e la ricerca fondamentale, in modo che da un lato i ricercatori non siano più isolati e dall'altro che i clinici restino sempre a contatto con le acquisizioni della scienza. L'abbozzo del programma è stato inviato ai più importanti istituti di ricerca sul cancro e ai più illustri ricercatori, tra i quali numerosi Nobel, che hanno inviato osservazioni, critiche, suggerimenti. Oggi gli ostacoli maggiori sembrano ormai superati; resta da definire la forma di gestione dell'Istituto, che deve conciliare una parte pubblica (riguardante l'attività clinica basata su circa 180 letti) e una privata; resta anche da costituire concretamente il team di medici e ricercatori. Ma si può dire che l'Istituto per la ricerca e la cura del cancro di Torino comincia a vedere la dirittura d'arrivo. Vittorio Ravizza


LA RICERCA DI BASE «Crescete!» dice alle cellule la molecola alterata con la faccia da recettore
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 007. Tumori, cancro

LUIGI Naldini è un ricercatore di base in oncologia, che lavora nei laboratori del Dipartimento di Scienze biomediche dell'Università di Torino e dei pazienti vede soltanto poche cellule di sangue o piccoli frammenti di tumore. Giorno dopo giorno, formula ipotesi e aspetta la risposta dalle provette. «Noi cerchiamo nelle cellule tumorali - racconta - una particolare molecola "aberrante", cioè diversa rispetto alla versione delle cellule normali. E' da questa diversità che nasce il tumore. La sostanza cancerogena (un additivo chimico, il fumo, una radiazione, una predisposizione ereditaria) produce una lesione genetica che a sua volta produce la proteina aberrante. Io lavoro da anni su uno dei geni critici bersaglio di queste lesioni: dato che si trova in tutte le cellule, sane e tumorali, volevo capire quale fosse il suo compito "istituzionale". E il nostro gruppo di ricerca ha trovato la risposta: fabbricare una proteina-recettore che riceve un segnale esterno di crescita. Sospettando che si trattasse di un recettore, ci siamo messi a cercare la sua molecola complementare. E' stata un'indagine piuttosto lunga, nella quale abbiamo avuto un pizzico di fortuna. Questa molecola, infatti, era già nota come "fattore di crescita epatocitario" ed era stata trovata nell'ambito di una ricerca sul fegato. Nessuno però aveva idea di quale fosse il suo meccanismo d'azione. Era chiaro solo il suo messaggio, "Crescete!". Adesso sappiamo che questa molecola agisce attraverso il nostro recettore, il quale nelle cellule tumorali è espresso in forma aberrante e continua a stimolare la crescita delle cellule. Il nostro prossimo obbiettivo sarà interferire sull'azione di questa molecola, frenando la crescita cellulare».


LA SPERIMENTAZIONE CLINICA Chi prova le nuove terapie? Molti malati dicono «Io!» Pochi passano le selezioni
Autore: M_VER

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: CIGNETTI ALESSANDRO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 007. Tumori, cancro

D I tanta ricerca di base, che cosa arriva ai malati? E in che tempi? «Riconoscere e isolare una molecola, definirne le caratteristiche di laboratorio, produrla e sperimentarla negli studi pilota su un piccolissimo numero di pazienti è un processo che richiede parecchi anni di lavoro - spiega Alessandro Cignetti, del Dipartimento di Scienze Biochimiche e Oncologia Umana dell'Università di Torino - ma ce ne vuole ancora qualcuno perché la sostanza e la terapia siano rodati al punto da diventare protocolli di routine per tutti i malati». Entrare a far parte di uno studio pilota non è impossibile, purché si abbiano esattamente le caratteristiche richieste. E la malattia sia in fase avanzata. Infatti, solo quando le terapie classiche non danno più risultati, sono ammesse le terapie sperimentali sugli uomini. «In base alle conoscenze di laboratorio, si definiscono i protocolli sperimentali. Poi si fissano i criteri di scelta dei pazienti, le condizioni fisiche e cliniche dell'arruolamento. «In genere, i primi test vengono effettuati con pochissime persone, dieci o venti. A presentarsi sono in tanti, perché i malati sono sempre desiderosi di sperimentare terapie innovative. «Però gli "esami di ammissione" sono molto severi, le analisi cliniche fanno subito una necessaria scrematura. Così la scelta finale è quasi automatica ed è difficile che rimanga fuori qualcuno perfettamente adatto a quel determinato protocollo». (m. ver.)


L'ISTITUTO TUMORI DI TORINO Speranze in cantiere Un giardino intorno alla tecnologia
Autore: DE MARTINI UGOLOTTI G.

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, MEDICINA E FISIOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: IRCC ISTITUTO PER LA RICERCA E LA CURA DEL CANCRO
LUOGHI: ITALIA, CANDIOLO
NOTE: 008. Tumori, cancro

NELLA primavera del '91 su queste pagine veniva tracciato il progetto dell'Istituto per la ricerca e la cura del cancro (Ircc) di Candiolo. Nell'inverno scorso sono partiti i lavori di costruzione iniziando dalle opere necessarie a urbanizzare l'area del cantiere. Con i primi interventi si è provveduto all'approvvigionamento dell'acqua di falda (tramite la trivellazione di un apposito pozzo), al relativo impianto di distribuzione, ai piazzali per il deposito dei materiali e alla recinzione. Per evitare che queste opere preparatorie risultassero inutilizzate dopo il completamento dei lavori si è scelto di realizzarle nella configurazione definitiva, così da disporne successivamente, nella fase di funzionamento dell'Istituto; il pozzo fornirà l'acqua necessaria agli usi tecnologici e irrigui, l'impianto di distribuzione dell'acqua per il cantiere sarà riutilizzato per l'irrigazione delle aree verdi, la recinzione è stata realizzata fin dall'inizio secondo il progetto definitivo, evitando il ricorso alle recinzioni provvisorie abituali nei cantieri. La costruzione degli edifici è iniziata nella primavera scorsa con la realizzazione delle opere speciali di fondazione. Le indagini geotecniche preliminari, analizzando la natura del terreno e rivelando la presenza di falde acquifere superficiali, avevano infatti orientato il progetto verso il ricorso a tecniche altamente specializzate consistenti nella infissione nel suolo di pali destinati a trasferire il carico della costruzione agli strati profondi del terreno, più adatti a sopportarli rispetto a quelli superficiali. Al termine delle opere speciali di fondazione è iniziata la costruzione delle strutture degli edifici, in cemento armato. A primavera l'edificio sarà visibile nella sua configurazione complessiva, inizieranno i lavori di installazione impiantistica e contemporaneamente procederanno le opere edili di chiusura perimetrale dei fabbricati. La consegna del primo lotto funzionale avverrà nella primavera successiva. E ora qualche dato significativo sulle dimensioni di questo primo lotto di lavori. L'area su cui sorgerà l'Istituto è complessivamente di 270 mila metri quadrati. La superficie coperta del primo lotto è di 5500 metri quadrati e raggiungerà i 12 mila al completamento dell'opera. La superficie sviluppata sarà, limitandoci al lotto ora in costruzione, di 14.800 metri quadrati, serviti da 5800 di parcheggio; strade, piazzali e svincoli coprono 15 mila metri quadrati. Il volume totale del primo lotto è di 85 mila metri cubi. Tutte queste cifre saranno più che raddoppiate al completamento definitivo dei lavori (secondo lotto). La superficie a verde prevista è di ben 243. 700 metri quadrati, e in proposito si apre un discorso importante, benché a prima vista possa apparire soltanto di interesse decorativo. Attualmente, oltre allo sviluppo dei lavori in cantiere e al completamento dei progetti esecutivi, si sta infatti sviluppando anche il progetto «Ambiente» dell'Istituto. Si è voluto prestare particolare attenzione agli aspetti ambientali sia nella parte interna dell'edificio collegata al funzionamento della macchina ospedaliera, sia all'esterno, dove avviene l'accoglimento, e quindi il primo impatto, per ospiti e visitatori e dove si possono trascorrere momenti di attesa o di relax. Creare un ambiente vuol dire adottare risoluzioni architettoniche, paesaggistiche e funzionali capaci di fornire sensazioni omogenee persistenti in modo da condizionare favorevolmente lo stato psicologico delle persone. Uno degli elementi essenziali è stato lo studio del verde, oggetto di uno specifico e approfondito progetto. Il verde - sono oltre 200 mila i metri quadrati che verranno trattati a prato e a bosco - è tra gli elementi distintivi dell'iniziativa. Attuato con la consulenza di specialisti del settore (Oliva di Collobiano, con l'assistenza di Benedetto Camerana), il «giardino nuovo» - così è stato definito - nasce anche con la finalità di offrire ai malati, accanto a un'assistenza medica di altissimo livello, un'ulteriore opportunità: quella che la cura possa seguire anche - come dice la relazione di progetto - «... il filo della corrente che trasporta e avvicina all'istinto della vita attraverso la natura». E' un passo ulteriore verso quella umanizzazione della cura, che a tutti appare oggi come uno degli obbiettivi più stimolanti nel processo di rinnovamento della Sanità italiana. G. De Martini Ugolotti Responsabile ingegneria civile Fiatengineering


IN BREVE Oms: il rischio ultravioletti
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 008. Tumori, cancro

Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, il pubblico non è abbastanza informato sui pericoli di un'eccessiva esposizione ai raggi ultravioletti, che può avere gravi conseguenze sulla salute collettiva. Questo tipo di radiazioni è aumentato moltissimo negli ultimi anni, a causa del famigerato buco nell'ozono. La quantità di radiazioni è più alta nelle regioni rurali, dove l'aria è pura, e più bassa nelle città, dove l'inquinamento fa da filtro. Le fonti di esposizione a questi raggi sono due: il sole e le lampade abbronzanti. A basse dosi, questi raggi sono comunque benefici perché stimolano la nostra produzione di vitamina D. E' l'esposizione prolungata o intensa che rischia di ledere seriamente il sistema immunitario, provocando diverse malattie alla pelle e agli occhi: colpi di sole, eritemi, congiuntiviti, cataratta ma anche tumori della pelle.


IN BREVE Oncologia a Monaco tra presente e futuro
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 008. Tumori, cancro

Il 28 e il 29 gennaio si terranno a Montecarlo le «Giornate monegasche di cancerologia», a cura della Società Francese di cancerologia privata. Verrà fatto il punto sugli attuali trattamenti offerti dai servizi ospedalieri (radiobiologia, associazione chemio-radioterapica, nuovi farmaci). Questi protocolli, dati i loro risultati positivi, potranno essere rapidamente introdotti nella pratica corrente.


IN BREVE Il cancro: problema di comunicazione?
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 008. Tumori, cancro

Lo studio del meccanismo di formazione dei tumori non può essere limitato alle sole alterazioni del genoma: occorre tener conto anche della società cellulare nel suo insieme. Questa la tesi del Centro internazionale di ricerca sul cancro di Lione, i cui recenti risultati di laboratorio indicano che il cancro potrebbe essere una malattia della comunicazione tra cellule. Nell'organismo sano (e adulto) la proliferazione delle cellule è un processo strettamente controllato, che permette soltanto la riparazione dei tessuti lesi (cicatrizzazione) o il loro rinnovo. Questa stabilità del tessuto è regolata da interazioni assai strette tra le cellule. Ora, nel caso del cancro, questa «omeostasi» si rompe e la proliferazione cellulare si accompagna a un processo di differenziazione che non è compatibile con la funzione del tessuto di origine. E' dunque importante capire che cosa faccia sì che a un certo punto una cellula non risponda più alle necessità dell'organismo, ma si moltiplichi senza posa.


NUOVE TECNOLOGIE In laboratorio con il malato
ORGANIZZAZIONI: IRCC ISTITUTO PER LA RICERCA E LA CURA DEL CANCRO
LUOGHI: ITALIA, CANDIOLO
NOTE: 008. Tumori, cancro

L'ATTIVITA' di ricerca, di diagnosi e di cura del cancro nel nuovo Istituto di Torino sarà condotta a diversi livelli, che percorrono a ritroso l'intera storia del tumore. Sappiamo, infatti, che il cancro nasce dalla lesione molecolare di alcuni geni (oncogeni e geni onco-soppressori) che contengono, in codice, le informazioni per fabbricare le proteine che controllano la crescita cellulare. La lesione introduce degli errori nel codice e comporta la fabbricazione di proteine aberranti che inducono la moltiplicazione incontrollata delle cellule tumorali. Il primo livello è quello, tradizionale, di diagnosi precoce della massa tumorale. Il secondo livello è lo studio delle cellule tumorali, della crescita e dei rapporti con le cellule normali circostanti. Il terzo livello è la ricerca nelle cellule tumorali delle proteine aberranti. L'ultimo livello è genetico: analizzando le informazioni del Dna delle cellule tumorali si cercheranno gli errori negli oncogeni e nei geni onco-soppressori. Finora la diagnostica dei tumori si è limitata ai primi due livelli. Per un sospetto clinico, o nell'ambito di un programma di sorveglianza, i pazienti vengono sottoposti a indagini che rivelino la presenza di una massa anomala nei tessuti (ecografia, endoscopia, radiografia). Se l'esame conferma il sospetto, l'ultima parola spetta all'anatomo-patologo che studia al microscopio un campione della massa, prelevato per biopsia o dopo la sua asportazione chirurgica. Il nuovo Istituto garantirà questi livelli di indagine con l'impiego di sofisticate strumentazioni di diagnostica per immagini. L'uso congiunto di nuove tecnologie e potenti elaboratori elettronici permette ormai di osservare nei dettagli sottili sezioni tracciate attraverso il nostro corpo senza alcuna procedura invasiva (tomografia computerizzata, Tac), e riducendo (apparecchi radiologici digitali) o eliminando (risonanza magnetica) l'esposizione alle radiazioni. La novità starà nello spingere l'analisi dei campioni fino ai livelli molecolari. Il tessuto sospetto sarà esaminato dall'anatomo-patologo con le tecniche microscopiche tradizionali ma verrà anche passato ai biologi molecolari per la ricerca delle proteine aberranti e degli errori genetici. Le strumentazioni che consentiranno di estendere ai campioni dei pazienti indagini finora riservate ai modelli tumorali di laboratorio, saranno un citofluorimetro (Fluorescence-Activated Cell Sorter, Facs), che analizza ogni cellula del campione per la presenza sulla sua superficie della proteina ricercata, e un microscopio laser confocale, che sottopone cellule o sezioni di tessuto ad una sorta di Tac, permettendo di studiarne il contenuto. Per le analisi genetiche, un purificatore automatico di Dna servirà a isolare il Dna dalle cellule del campione; i reattori per reazione polimerasica a catena (Pcr), insieme con un sintetizzatore di Dna, consentiranno di estrarre dai miliardi di informazioni in codice contenute nel Dna solo quelle degli oncogeni e dei geni onco-soppressori in esame; un sequenziatore automatico permetterà poi di leggere le informazioni estratte, e, con un apposito analizzatore, di cercarne gli errori. L'analisi molecolare dei campioni di tumore consentirà, dal punto di vista clinico, una diagnosi più accurata, l'identificazione dei casi a maggiore rischio, che richiedono un trattamento più aggressivo, e un riconoscimento tempestivo delle recidive. Tutto questo aumenterà le probabilità di successo della cura. Sua condizione sarà il trasferimento alla clinica delle informazioni acquisite con la ricerca sperimentale. La presenza di ricercatori e clinici nello stesso Istituto favorirà lo scambio. Le lesioni molecolari degli oncogeni e dei geni onco-soppressori nelle cellule tumorali rappresentano un bersaglio ideale contro cui dirigere nuove strategie terapeutiche. La ricerca recente ha dimostrato che è possibile, e relativamente sicuro, introdurre nuove informazioni genetiche nelle cellule del nostro organismo. L'Istituto predisporrà un laboratorio per la manipolazione di vettori retrovirali adatti al trasferimento di informazioni genetiche in cellule umane. Queste nuove informazioni potrebbero correggere gli errori che si sono accumulati nelle cellule tumorali, o contrastarne gli effetti.


IL PROGRAMMA Novità: la prevenzione chimica Un ambulatorio in attesa dei veri reparti di degenza
ORGANIZZAZIONI: IRCC ISTITUTO PER LA RICERCA E LA CURA DEL CANCRO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 008. Tumori, cancro

IL programma dell'Istituto torinese per la ricerca e cura del cancro è incentrato su due indirizzi, sperimentale e clinico, interagenti tra di loro, e focalizzato su quelle che sembrano essere le tendenze più promettenti della ricerca oncologica attuale. I temi scientifici e gli orientamenti clinici sono stati scelti dopo discussione, disamina di proposte, suggerimenti e critiche emersi da numerose consultazioni con componenti del Gruppo di cooperazione in cancerologia e del Comitato tecnico scientifico dell'Associazione italiana per la ricerca sul cancro, nonché con scienziati italiani e stranieri leader nei rispettivi settori. Nella prima fase del progetto, la parte di ricerca sperimentale sarà affidata a una Divisione di biologia cellulare e molecolare. Il programma clinico sarà caratterizzato da un'attività ambulatoriale di Prevenzione e diagnostica precoce, con un un Servizio di Epidemiologia. Particolare attenzione sarà rivolta anche ai pazienti già trattati e guariti da un tumore: il «follow-up» potrà avvalersi dello studio dei «markers tumorali» presenti talvolta nel sangue e identificabili con le moderne biotecnologie, oppure altre tecnologie analitiche per la diagnosi precoce. Se necessario, inoltre, saranno attuati, negli ambulatori dell'Istituto attrezzati a Day Hospital, i protocolli di chemioterapia. Un altro programma previsto per la prima fase è la Chemioprofilassi: ancora in fase di studio, è una forma di prevenzione primaria rivolta alle persone sane, alle quali si consigliano l'agente farmacologico, le norme dietetiche e lo stile di vita. Ci sarà anche un ufficio per le associazioni volontarie che seguono i malati dimessi dagli ospedali. Tutte le attività cliniche, di ricerca e attuative saranno coordinate da una Divisione di Fisiopatologia e Diagnostica Oncologica. La seconda fase operativa sarà incentrata sulla costruzione di strutture e di servizi terapeutici necessari per il completamento dell'Istituto: reparti di degenza, camere operatorie e tutti i servizi connessi. Quando sarà completato, l'Ircc disporrà delle seguenti strutture, oltre a quelle già indicate per la prima fase: _Divisione di terapie innovative, che si occuperà prevalentemente della preparazione, dello studio e dell'attuazione di nuovi protocolli terapeutici i quali, oltre ai farmaci tradizionali, prevedono anche l'uso di nuove strategie, quali la terapia genica; _Divisione di chemioterapia, che provvederà prevalentemente all'attuazione dei protocolli chemioterapici di primo e secondo livello. Alle due Divisioni sopra menzionate competeranno anche l'attività di Day Hospital e l'Unità di Trapianto di midollo che verrà effettuato in apposito reparto sterile. Le procedure terapeutiche di tipo chirurgico afferiranno a quattro Divisioni Chirurgiche, e precisamente: _Divisione di chirurgia oncologica generale, che tratterà soprattutto pazienti con tumori gastro-intestinali (esofago, stomaco, colon-retto, fegato e pancreas) e tiroide. Questa patologia ha una incidenza particolarmente rilevante ed il trattamento chirurgico rappresenta un momento fondamentale; _Divisione di chirurgia senologica e ginecologica specializzata nella cura dei tumori femminili, la cui incidenza è in continuo aumento (mammella, utero, ovaio); _Divisione di chirurgia toraco-polmonare. I tumori del polmone e del mediastino afferiscono ormai ad un'attività di alta specialità che consente l'asportazione radicale di una parte di essi, nonché la toracotomia e mediastinoscopia diagnostica; _Divisione di chirurgia nefro-urologica. Si occuperà del trattamento dei tumori della prostata, della vescica e del rene, anch'essi richiedenti un'attività di alta specialità e necessitante di un servizio dedicato, anche se con prevalente attività ambulatoriale; _Divisione di radioterapia in grado di assolvere a tutte le indicazioni della terapia radiante avvalendosi delle strutture più moderne e più idonee. L'area dedicata alla Ricerca Sperimentale sarà completata con la creazione di altre due Divisioni di ricerca: _Divisione di genetica Molecolare proiettata allo studio dei meccanismi carcinogenetici di base, allo studio delle alterazioni genomiche e alla manipolazione del DNA; _Divisione di biotecnologie in grado di produrre molecole con i procedimenti della biologia molecolare e della bioingegneria, di studiarne tutte le possibili applicazioni alla diagnosi ed alla terapia. Queste due Divisioni integreranno quella già esistente di Biologia cellulare e molecolare e il complesso di ricerca sperimentale, così ottenuto, costituirà una struttura di ricerca oncologica tra le più moderne.




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