TUTTOSCIENZE 8 dicembre 93


INFORMATICA Soluzioni passo per passo NONA PUNTATA
AUTORE: MEO ANGELO RAFFAELE, PEIRETTI FEDERICO
ARGOMENTI: INFORMATICA, DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 092

A questo punto, con le istruzioni del Basic che abbiamo visto nelle schede precedenti, siamo già in grado di scrivere programmi per la soluzione di molti problemi. I primi programmi che vedremo ora insieme, e altri che si potranno scrivere senza difficoltà, non serviranno soltanto per incominciare a capire la struttura di un programma, ma anche per arrivare alla soluzione di un problema in modo scientificamente corretto. Ogni problema infatti dev'essere esaminato nei vari passi che portano alla soluzione, mettendone in evidenza il procedimento risolutivo, cioè quello che si chiama l'algoritmo. Per prima cosa si dovranno individuare dati e inco gnite del problema, cioè il punto di partenza e quello di arrivo e dev'essere chiaramente specificato il percorso che porta al risul tato. Uno degli strumenti migliori per realizzare questa analisi del problema, è il diagramma di flusso che incontreremo spesso nel nostro corso. Una rappresentazione grafica che usa blocchi la cui forma indica il tipo di operazione che si intende eseguire. Un triangolo indica l'inizio del procedimento risolutivo e un ovale ne indica la fine, mentre il parallelogramma indica un'operazione di avvio, come l'acquisizione dei dati, ossia dei dati di input oppure un'operazione conclusiva come la presentazione dei risultati, ossia dei dati di ouput. I parallelogrammi si chiamano per questo blocchi dati. I rettangoli, o blocchi di istruzione, indicano invece le successive operazioni o istruzioni che devono essere eseguite nel corso del procedimento risolutivo. Vediamo alcuni problemi, indicativi di alcune delle grandi possibilità offerte dal calcolatore in campi diversi. I nomi delle scatole sono stati scelti tenendo conto del loro contenuto. a) Dato un numero calcolare il suo triplo.


S.O.S. PANDA Ne restano mille esemplari, braccati per farne pellicce o rinchiuderli in qualche zoo
Autore: BOZZI MARIA LUISA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI, STRAGE
LUOGHI: ESTERO, CINA
NOTE: 089

LA sua immagine vi fa sentire partecipi di una giusta causa. Nel degrado generale, almeno lui - il panda gigante, Ailuropoda melanoleuca, l'orso pezzato bianco e nero che si nutre di bambù - grazie allo sforzo congiunto del Wwf e di altre istituzioni internazionali sopravvive nelle foreste delle montagne cinesi, secondo i ritmi che da milioni di anni scandiscono la sua vita di animale solitario. Ebbene, preparatevi al peggio. Quello che segue scaturisce da un nostro viaggio in Cina sulle tracce del panda, e la sintesi è che mai come oggi questo animale è sull'orlo dell'estinzione: perché l'immagine simbolo più che proteggerlo, gli ha nuociuto; perché la foresta è pesantemente intaccata dall'uomo; perché gli sforzi per tutelarlo sono concentrati più sulla popolazione in cattività che su quella in natura. E infine, si è scoperto appena ora che è un animale sociale. Così, c'è anche il rischio che scompaia senza che nemmeno l'abbiamo conosciuto. Andare in Cina alla ricerca del panda significa trovarsi in un Paese in forte crescita economica che paga la prospettiva di un maggiore benessere con la perdita delle sue ricchezze naturali e sconta gli anni della rivoluzione culturale con una scienza che è tuttora separata - tranne rare eccezioni - dal confronto con quella occidentale. Il risultato è che la rarissima foresta pluviale temperata delle montagne del Sichuan e dello Shankii - le due province cinesi unico rifugio del panda gigante - è devastata dalle industrie del legname e dalle accette dei montanari che strappano lembi di terra da coltivare e fanno legna per l'inverno. Se la distruzione dell'habitat costringe il panda in sacche di foresta sempre più piccole, dove solo un numero esiguo di individui può sopravvivere, è il bracconaggio il maggiore artefice di estinzione. La denuncia è di George Schaller, il famoso zoologo americano direttore del Wildlife Conservation International di New York che per primo ha studiato il panda nella riserva di Wolong per conto del Wwf tra il 1980 e il 1985. Il suo è un accorato grido di allarme affidato a un libro (The last Panda, The University of Chicago Press, 1993) nel quale il pellegrino alla ricerca del panda non stenta a riconoscersi. Ormai rimangono sì e no mille panda in tutto, e il numero è destinato a diminuire ancora: nella sola riserva di Wolong la popolazione si è dimezzata nel giro di 10 anni (da 145 a 72 animali). Esempio nefasto di come le buone intenzioni possano sortire un effetto dannoso, la pubblicità data a questo animale in tutto il mondo ha involontariamente promosso il bracconaggio: moltiplicato in adesivi e in peluche, il panda - quello vero, in carne e ossa - è diventato uno status symbol per i nuovi ricchi di Taiwan e del Giappone, nonché una presenza di grande richiamo per uno zoo. Ucciso o catturato, il panda è un incredibile affare: allora, perché proteggerlo in natura? Un montanaro, che in queste sperdute valli spesso racimola poco più di 50 dollari all'anno, riceve 3000 dollari per una pelle e molto di più per un animale vivo, che sul mercato nero di Hong Kong vale più di centomila dollari. Contro simili cifre la pena di morte, prevista per chi uccide intenzionalmente un panda, non ha alcun valore deterrente. E inoltre, l'affitto di un animale a uno zoo occidentale rende milioni di dollari alla Cina. Le autorità cinesi negano l'esistenza del bracconaggio. Per loro, il panda non è in grado di riprodursi in modo efficiente. Per questo è a rischio di estinzione; oltre che per la distruzione dell'habitat, naturalmente. In effetti, mamma panda non è molto produttiva, quanto a figli. Acconsente agli approcci maschili per tre o quattro giorni all'anno; la sua vita sessuale dura sì e no 7 anni; alleva sempre solo un figlio per volta anche quando partorisce due gemelli; e si prende cura di lui per due anni e mezzo, se i predatori o la mancanza di cibo non glielo uccidono prima. Una strategia riproduttiva comunque non fallimentare, se il panda è vissuto benissimo così per milioni di anni. A questa obiezione gli scienziati cinesi oppongono un diplomatico silenzio. Ormai sono maestri nella riproduzione in cattività e l'immagine diffusa dai mass media della femmina che ha allevato tre figli (due gemelli suoi e uno adottivo) dà un'idea prestigiosa della scienza che l'ha prodotta. Così tutti gli sforzi economici e scientifici cinesi si sono concentrati sulle stazioni di riproduzione di Wolong e di Chengdu, la capitale del Sichuan. La prima fu costruita negli Anni 80 con una sovvenzione di 1 milione di dollari del Wwf, un contributo richiesto dai cinesi per consentire la ricerca di Schaller nella foresta. La realizzazione della faraonica stazione di Chengdu, iniziata nel 1987, avverrà invece in tre tappe: 870 mila dollari per il 1990; 6.780.000 dollari per il 1995; e infine 52 milioni di dollari per ricostruire in un'area di 254 ettari l'ambiente naturale in cui dovranno vivere circa 200 panda, gli animali nati in cattività previsti per il 2025. Si parla poi di istituire 14 nuove riserve oltre le 13 già esistenti, e 17 corridoi di foresta che le mettano in collegamento; mentre si cercherà di spostare altrove la gente che vive nelle riserve (4000 persone solo in quella di Wolong). Per questo programma, i cinesi chiedono aiuto alle numerose istituzioni internazionali interessate alla protezione del panda, ma queste a loro volta pretendono giustamente che le donazioni non vengano utilizzate principalmente per la riproduzione in cattività, come è stato fatto finora. Il Wwf, però, non accetta per principio che la popolazione umana venga trasferita, ed esige piuttosto che sia educata a convivere con il panda. Ma occorrerà essere più flessibili sulle questioni di principio, oltre a pretendere con forza che questo animale sia studiato e tutelato in natura, se non vorremo lasciare ai nostri figli soltanto il panda di peluche che gli regaliamo a Natale. Maria Luisa Bozzi


SCOPERTA Solitario? D'inverno vive in clan
Autore: M_L_B

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ZOOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ESTERO, CINA
NOTE: 089

E' stata una grande sorpresa, al Simposio internazionale sulla conservazione e biologia del panda gigante che si è tenuto a Chengdu (Sichuan) lo scorso settembre, la comunicazione dei due zoologi dell'Università di Pechino, Pan Wenshi e Lu Zhi. Studiano il comportamento dei panda allo stato naturale, sui monti Quin Ling, munendo gli animali di radiocollare. E' il metodo di George Schaller, e Pan Wenshi è l'unico scienziato ad aver raccolto quel seme. Con risultati sconosciuti al mondo occidentale, perché mai pubblicati su una rivista scientifica internazionale. Secondo Pan Wenshi e Lu Zhi, il panda è un animale sociale. Ogni anno, e per i nove mesi (da settembre al giugno seguente), che gli animali passano nel fondovalle (negli altri tre mesi migrano sulle vette e assumono abitudini solitarie), maschi, femmine e piccoli si riuniscono in un gruppo di una ventina di individui. Tutti stanno nel territorio di un maschio dominante, che si estende per circa undici chilometri quadrati, all'interno del quale ogni femmina si ritaglia un suo territorio personale, tollerando che le zone periferiche si sovrappongano con quelle delle femmine vicine. Il maschio dominante detiene il diritto di accoppiarsi con le sue ospiti, mentre i subordinati aspettano l'occasione propizia per sostituirlo nella funzione. Dopo poche settimane di gestazione, la femmina si cerca una tana dove dà alla luce una creatura piccola come un criceto, cieca e senza pelo. La madre non la abbandona mai per una ventina di giorni, rinunciando a mangiare e a bere. A due anni e mezzo di età, il figlio se ne va: se femmina, migra in un altro gruppo, se maschio, sembra che si disponga a seguire un anziano, forse per completare la sua educazione alla vita del panda. (m. l. b).


LO SCANDALO DI ROMA Trapianti: si muore, ma per disinformazione La vicenda dei furti di cornee rischia di far ulteriormente diminuire i donatori
Autore: RAINERO FASSATI LUIGI

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, BIOETICA, SCANDALO, SANITA'
LUOGHI: ITALIA, ROMA
TABELLE: T. Attività di trapianto
NOTE: 089

BRUTTA storia, quella dell'ospedale San Camillo di Roma. Soprattutto per chi lavora da tanti anni nel campo dei trapianti. La notizia che nella sala anatomica dell'ospedale romano sono stati prelevati illegalmente degli organi, poi venduti clandestinamente per trapianto, anche prescindendo dalle vertenze giudiziarie di cui si occuperà il pubblico ministero Davide Iori, ha sollevato un'ondata di dubbi e di sospetti sul prelievo di organi che renderà ancora più rari i già tanto rari donatori di organi. Anche se le informazioni sono state poi in buona parte rettificate, precisando che il sospetto di commercializzazione riguardava soltanto le cornee (questione che andrà comunque chiarita fino in fondo in nome della giustizia e della correttezza morale), non è certo semplice cancellare la giustificatissima reazione suscitata nell'immaginario collettivo dalle prime notizie. In un Paese come il nostro, che è l'ultimo in graduatoria in Europa per il numero di donatori, dove più di un terzo dei malati in lista d'attesa per trapianto di cuore o di fegato muore prima che si trovi l'organo, dove un dializzato aspetta quasi cinque anni per poter fare il trapianto di rene, creare un clima di sospetto sui prelievi d'organo, senza che vi siano ragioni valide, vuol dire esclusivamente far crescere il numero dei malati che muoiono in lista d'attesa. Paradigmatico è questo caso del San Camillo, dove sarebbe bastato un minimo di buon senso per mettere in evidenza l'assurdità delle accuse sul prelievo illegale degli organi ed evitare inutili e dannosi allarmismi. Non c'è bisogno di essere laureati in medicina per rendersi conto che l'organo destinato a essere trapiantato deve essere vitale, cioè deve dare la garanzia di funzionare dopo il trapianto. E tutti sanno che la vitalità e la funzionalità di un organo dipendono dalla circolazione sanguigna che porta alle cellule di quell'organo l'ossigeno e le sostanze nutritive. E allora, è mai possibile che si possa credere che l'organo di un cadavere dell'obitorio risponda a questi requisiti? Gli organi dei cadaveri delle sale autoptiche rimangono pieni di sangue e questo sangue stagnante (che non può più circolare perché il cuore è fermo) si coagula dentro le arterie e le vene determinando una trombosi intravascolare che renderebbe impossibile la circolazione sanguigna dopo un eventuale trapianto. Quindi nessun organo prelevato da una salma sarebbe mai in grado di riprendere la sua funzione. Perché invece questa sia possibile, bisogna che gli organi del donatore cadavere per morte cerebrale a cuore battente siano sottoposti (in condizioni di assoluta sterilità e in sale operatorie autorizzate dalla legge) a un lavaggio con soluzioni speciali che tolgono da essi ogni goccia di sangue e, contemporaneamente, ne determinano un raffreddamento che permette una migliore e più lunga conservazione fino al momento del trapianto. Il discorso è diverso per la cornea, che è un tessuto e non un organo e non è nutrita da arterie. Essa può essere prelevata da un cadavere. Ma, anche per il trapianto di cornea, il sospetto di commercializzazione è poco sostenibile perché in Italia (pur con tutti i gravi difetti del nostro sistema sanitario) i prelievi e i trapianti d'organo sono consentiti soltanto in strutture pubbliche e sono completamente gratuiti per il paziente. Si può, allora, ipotizzare un commercio di organi soltanto da parte di qualche medico disonesto (personalmente non ci credo) che si fa pagare sottobanco per le sue prestazioni sanitarie. Ma questa è una colpa individuale, che non può e non deve essere scaricata sul prelievo degli organi. La mia convinzione è che ci sia quasi un accanimento nel denigrare l'attività di prelievo degli organi, senza che ci si renda conto della gravità delle conseguenze che questo modo di agire ha sulla vita dei malati in attesa di trapianto. Certamente le false notizie sui prelievi illegali del San Camillo hanno spinto o spingeranno a negare il consenso alla donazione togliendo quelle poche speranze che ancora rimangono a chi è in fin di vita. Ma noi, che si voglia ammetterlo o no, queste morti le abbiamo sulla coscienza. Luigi Rainero Fassati Università di Milano


VITA NEL COSMO I filosofi alla ricerca di E.T. Intanto la Nasa taglia i fondi
Autore: REBAGLIA ALBERTA

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: DAVIES PAUL
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 090. Extraterrestri

DOPO la perdita della sonda Mars Observer, a produrre una nuova delusione verso la Nasa sono le difficoltà del progetto per la ricerca di vita extra-terrestre iniziato nel '92 e oggi in una totale crisi di finanziamento. Dei presupposti scientifici alla base del progetto e delle sue molteplici implicazioni filosofiche ha parlato recentemente, all'Università di Milano, Paul Davies, notissimo fisico teorico e divulgatore scientifico. L'affluenza di pubblico e la nutrita serie degli interventi sono una prova di quanto i problemi sopraggiunti, anziché causare una caduta di interesse, abbiano invece acuito l'attenzione sull'origine e sulla diffusione della vita nell'universo. Le difficoltà economiche impongono tempi lunghi alle ricerche sull'eventuale esistenza di forme di vita aliene e a sondare l'affascinante possibilità di instaurare con esse qualche tipo di comunicazione. Intanto però resta aperto il tempo - essenziale - della riflessione. Tra i molti interrogativi filosofici, etici, religiosi, molti riguardano ipotetici esiti positivi delle ricerche, e si dimostrano di meno urgente valutazione. Ma altri, che toccano questioni cruciali riguardanti l'impostazione e le finalità dell'impresa, richiedono un'attenta considerazione. La domanda di fondo verte su quanto sia ragionevole attendersi di registrare la presenza di forme di vita aliena. Un interrogativo che può essere affrontato solo moltiplicando i quesiti. In primo luogo, quale probabilità possiamo assegnare a una effettiva esistenza di vita extra-terrestre? I fautori della ricerca sostengono che vita e tecnologia sono conseguenze inevitabili dell'evoluzione cosmica, diffuse in modo abbondante e uniforme tra le miriadi di galassie che compongono l'universo, come suggerito dall'uniformità delle leggi di natura, valide in ogni regione del cosmo, e dalla constatazione che la Terra è un pianeta con caratteristiche per nulla eccezionali. Altrettanta forza argomentativa ha però chi ritiene la vita esito di una cooperazione fra cause contingenti, consentite dalle leggi fisiche ma non da esse necessariamente implicate; esito fortemente improbabile, e verificatosi quindi presumibilmente nell'unica circostanza che ha dato luogo alla biologia terrestre. In secondo luogo: quali mezzi teorici e tecnologici sono a nostra disposizione per intraprendere l'indagine? Esclusa qualsiasi ipotesi di viaggio interstellare (sognato dalla fantascienza, ma impossibile allo stato attuale delle conoscenze), il progetto deve rinunciare, per motivi analoghi, anche all'invio di sonde capaci di osservazione diretta. L'indagine è affidata, invece, a tentativi di ricezione, e invio, di segnali elettromagnetici tali da suggerire la presenza di un messaggio intenzionale, contenente informazioni da decodificare. E così l'impresa potrebbe vedere alquanto limitata la sua possibilità di riuscita. In terzo luogo, i criteri che noi - «Homo sapiens», particolare specie vivente sviluppatasi entro un determinato intervallo di tempo, in una specifica regione del cosmo - possiamo escogitare nel tentativo di registrare la presenza di forme di vita aliene sono abbastanza «universali» da risultare adeguati? Ottimisticamente si potrà rispondere sì, se si ritiene che la nostra esistenza di organismi viventi sia inscritta in modo necessario nelle leggi scientifiche da noi formulate per descrivere la struttura dell'universo. Ma la risposta sarà negativa se si fa appello a una visione «copernicana» del mondo, nella quale l'uomo non ha alcuna centralità nel cosmo, e la sua prospettiva - relativa e limitata - non può essere automaticamente estesa a eventuali forme di vita di cui nulla conosce. Non ci sono risposte scontate o univoche a questi interrogativi. E' indubbio però che nel decidere se tra gli obiettivi scientifici del prossimo futuro vi dovrà essere anche il tentativo di spezzare il silenzio che fino a questo momento ci viene dal cosmo - per comprendere se questa nostra solitudine è soltanto apparente oppure è effettiva, dovuta all'unicità della nostra esistenza - saranno molti gli elementi che dovremo valutare, e adottando criteri del tutto differenti da quelli utilizzabili in casi solo apparentemente analoghi. Questa scelta non può essere compiuta sulla base dei criteri impiegati, ad esempio, per stabilire se stanziare fondi per un grande acceleratore di particelle. Lì, infatti, un esito sperimentale diverso da quello atteso non costituirebbe un insuccesso, ma sarebbe fonte di nuove, preziose indicazioni teoriche. Altrettanto inidoneo sarebbe il criterio, spesso adottato nel gestire le missioni spaziali, volto a valutare le ricadute tecnologiche dell'impresa: nel nostro caso, non sono richiesti accorgimenti particolarmente innovativi. Il valore di questo progetto è totalmente intrinseco. L'impegno che esso richiede è soggetto allo scacco dell'insuccesso; ma è, insieme, volto ad aprire possibilità di conoscenza che sono una sollecitazione intellettuale senza eguali. Alberta Rebaglia


SCAFFALE Zichichi Antonino: «Scienza ed emergenze planetarie», Rizzoli
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, FISICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 090

QUESTA volta il fisico Antonino Zichichi si rivolge al grande pubblico non dagli schermi televisivi ma con un libro di divulgazione. Letto con senso critico, è un libro interessante, benché la prima impressione, per lo stile e la varietà dei temi affrontati, sia di pagine raccogliticce, un tentativo di dare ordine e struttura a interventi preparati per le più diverse occasioni. In realtà, a parte l'ingenua difesa iniziale di una Scienza assoluta, che si può scrivere soltanto con l'iniziale maiuscola, il filo conduttore c'è, ed è quello delle emergenze planetarie tante volte affrontate ai seminari del Centro Majorana di Erice, creatura dello stesso Zichichi. Troviamo così brevi capitoli sull'energia, sull'inquinamento atmosferico, sul rischio di mutazioni climatiche, sul disarmo mondiale, sui proiettili cosmici che minacciano la Terra (asteroidi e comete). La sezione seguente è invece un insieme di capitoletti che tentano di sintetizzare tutta la fisica e l'astrofisica dal Big bang alle teorie di unificazione delle forze fondamentali della natura. Un'ambizione generosa, ma forse eccessiva.


SCAFFALE Gioannini Paolo: «Trattato di malattie infettive», Minerva Medica
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 090

Prezioso strumento di lavoro, di studio, di ricerca, è questo trattato di Paolo Gioannini, direttore dell'Istituto malattie infettive dell'Università di Torino, e dei suoi collaboratori. Il criterio di classificazione è eziologico: i vari microbi, virus, protozoi, miceti e così via, di ognuno dei quali sono descritti la struttura, le patologie provocate, l'accertamento diagnostico, la terapia, la profilassi. E, ancora, un gran numero di tabelle, illustrazioni, schemi. Studenti in medicina, specializzandi in malattie infettive, medicina interna, pediatria, microbiologia e igiene, ma diciamo pure tutti i medici di base, trovano in questo libro una guida sicura nel campo in continua evoluzione delle malattie infettive. (u. d. a)


SCAFFALE Braccesi, Caprara, Hack: «Alla scoperta del sistema solare» , Mondadori
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 090

Ci sono ottimi libri di astronautica che raccontano le imprese delle navicelle spaziali. E ci sono ottimi libri di astronomia che riportano le scoperte compiute da queste sonde. Mancava, invece, un libro che mettesse insieme le due cose, documentando gli straordinari progressi compiuti nell'esplorazione del sistema solare dagli Anni 60 a oggi. Questo splendido volume, curato da due ricercatori affermati e ottimi divulgatori come Margherita Hack e Alessandro Braccesi, e da un giornalista eccezionalmente esperto di astronautica come Giovanni Caprara, non dovrebbe mancare in nessuna biblioteca. Le sue bellissime fotografie, che ne fanno un atlante del XX secolo, sono probabilmente una delle conquiste culturali più importanti che il nostro tempo lascerà in eredità al 2000.


SCAFFALE Putnam Hilary: «Matematica, materia e metodo», Adelphi
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: MATEMATICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 090

Hilary Putnam, professore ad Harvard, è tra i numi tutelari della filosofia e della logica matematica del nostro tempo. Con questo volume l'editore Adelphi conclude la presentazione ai lettori italiani delle sue opere più rappresentative. I saggi spaziano dalla filosofia della scienza alla matematica, alla meccanica quantistica. Pagine non facili, ma sempre di grande fascino intellettuale.


SCAFFALE Wells Susan e Hanna Nick: «Barriere coralline», Calderini. «Meraviglioso Oceano Indiano» e «Meraviglioso Marocco», De Agostini
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ECOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 090

Tre strenne intelligenti per chi ama la natura, rispettivamente dedicate all'Oceano Indiano, al Marocco e a quell'ecosistema minacciato che sono le barriere coralline (quest'ultimo volume sotto l'egida di Greenpeace). Belle immagini, ma anche testi agili e ben informati. Piero Bianucci


A NAPOLI Così si prova un treno in corsa, ma da fermo Cento miliardi per un laboratorio unico al mondo
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: TRASPORTI, RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: ANSALDO TRASPORTI
LUOGHI: ITALIA, NAPOLI
NOTE: 090

IL prototipo in prova si mette in moto, accelera, corre, affronta curve, discese, salite, si arresta a una presunta stazione, riparte.. . I progettisti ne scrutano il comportamento nelle più diverse condizioni di funzionamento. In realtà l'oggetto del test (nel caso una motrice di metropolitana ma potrebbe anche essere un tram o un potente locomotore) rimane immobile nell'avveniristica sala prove dell'Ansaldo Trasporti di Napoli. E' invece la «macchina» che le sta intorno che si muove e riproduce tutte le situazioni che il veicolo incontrerà nella realtà. La sala prove, l'unica di questo genere esistente al mondo, fa parte di un avanzato sistema per la sperimentazione dei nuovi veicoli che sta per essere inaugurato e che comprende anche una camera anecoica e una pista per metropolitane automatiche. La società del gruppo Iri-Finmeccanica vi ha investito circa 100 miliardi. Collaudare un prototipo con i metodi tradizionali è un lavoro lungo e costoso; bisogna portarlo su un tratto di binario in normale esercizio seguito da un esercito di tecnici, aspettare che non ci sia traffico, e riuscire a farlo viaggiare, se va bene, un paio d'ore il giorno. Da quando il prototipo è finito a quando è pronto per entrare in servizio passano in media quattro anni; con il nuovo impianto ne basterà uno. Senza contare la possibilità di fare test più raffinati e completi essendo possibile ricreare in qualsiasi momento le condizioni volute, anche quelle più estreme, che nella realtà sarebbe difficile avere a disposizione. Nella sala prove, un grande cubo di cemento, il prototipo, saldamente ancorato a un pilone, è collocato su un simulatore di marcia, in pratica un banco a rulli che, mossi da potenti motori elettrici opportunamente comandati, agiscono sulle ruote del veicolo e quindi sul suo motore, riproducendo tutte le condizioni di funzionamento, sia permanenti come la marcia o la frenata, sia transitorie, come pattinamento, slittamento o cambi di tensione sulla linea elettrica. A gestire l'impianto sono due calcolatori nei quali vengono inseriti i dati del veicolo (peso, potenza, velocità, curve di potenza, numero delle carrozze) e i dati delle prove che si vogliono eseguire. Per la motrice attualmente sotto test, per esempio, sono stati inseriti tutti i dati della metropolitana di Napoli, anche quelli dei tratti non ancora costruiti; per un nuovo locomotore che sarà testato a partire da gennaio verranno inseriti quelli della linea Napoli-Milano. E' come se i veicoli facessero realmente un'infinità di volte questi percorsi, fermate comprese, con la possibilità di adattare la velocità alle rispettive caratteristiche, fino a 300 chilometri l'ora. Nella sala controllo, dove è riprodotta la consolle di guida, i segnali (oltre 400) che arrivano dal banco prova sono osservati in tempo reale ma anche memorizzati per essere analizzati in seguito. La camera anecoica (un vasto ambiente schermato le cui pareti sono interamente rivestite da piramidi molto allungate di un materiale che assomiglia alla gommapiuma) serve per provare la compatibilità elettromagnetica degli apparati di bordo, in pratica l'idoneità dei vari dispositivi elettronici a funzionare nel proprio campo elettromagnetico in modo soddisfacente e senza produrre a sua volta perturbazioni elettromagnetiche inaccettabili. Le camere anecoiche erano utilizzate finora soprattutto per i test dell'avionica di bordo di aerei e satelliti; ora però diventano indispensabili anche in campo ferroviario dove si devono accertare le condizioni di coesistenza tra apparecchiature di grande potenza, come i motori e le stesse linee di alimentazione, e le sempre più numerose e delicate apparecchiature di bassa potenza ma di vitale importanza, come gli apparati di guida e di segnalamento. Le interferenze possono provenire anche dall'esterno, per esempio da stazioni radio e tv. In pratica nella camera le varie apparecchiature vengono investite da campi elettromagnetici di diversa intensità e frequenza e si controlla se subiscono alterazioni di funzionamento. Il terzo elemento dei nuovi impianti di sperimentazione di Ansaldo Trasporti è la pista di 1500 metri (un anello con un prolungamento rettilineo, una forma che ricorda all'incirca quella di un 6) costruita per progettare sistemi di trasporto urbano senza passeggeri. Contemporaneamente si stanno realizzando il prototipo del veicolo e le apparecchiature di controllo che saranno collocate in una «torre» al centro del percorso. Il tutto sarà in funzione a partire dall'estate '95. L'Ansaldo, che nel 1854 costruì a Sampierdarena la prima locomotiva italiana, su questa pista sperimenterà vetture piccole, con minimo inquinamento e grande flessibilità: un sistema di trasporto capace di inserirsi facilmente anche nei centri storici più affollati, come sono in particolare quelli italiani. Vittorio Ravizza


IN BREVE Scienza alla radio «Palomar» si rinnova
ARGOMENTI: DIDATTICA, SCIENZA, RADIO, PROGRAMMA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 090

Su Radio 3, alle 16,30, dal lunedì al venerdì, 45 minuti di scienza in diretta. L'unico programma di informazione scientifica della radio, diretto da Daniela Recine, ha ormai una tradizione consolidata di vari anni: oltre all'autorevolezza degli ospiti, gli ascoltatori ne apprezzano i ritmi, che consentono ragionamenti approfonditi, evitando la nevrosi tipica di altri programmi fatti di poche battute superficiali e stacchi musicali. Senza rinnegare questa tradizione, dal 13 dicembre «Palomar» si rinnova. A condurre dagli studi di Roma sarà stabilmente Rossella Panarese. L'argomento affrontato non sarà sempre monografico ma potrà suddividersi in due o tre servizi. Rimarranno i collegamenti con i più noti giornalisti scientifici italiani, ma il loro intervento sarà più focalizzato sulle loro competenze specifiche. A segnare la svolta, il nuovo sottotitolo della trasmissione: «La scienza che cambia il mondo». Un punto di vista, quindi, attento all'influsso che scienza e tecnologia hanno su ognuno di noi e sulla società.


IN BREVE Il betacarotene arma anticancro
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 090

Uno studio condotto in Cina per la prima volta su una vasta popolazione (30 mila persone tra i 40 e i 69 anni) ha confermato la capacità del betacarotene, associato a vitamina E e selenio, di ridurre l'incidenza e la mortalità per cancro.


IN BREVE Giornata Copernicana all'ateneo di Padova
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 090

Il 10 dicembre all'Università di Padova un convegno ricorderà i 450 anni dalla morte di Copernico e dalla pubblicazione del suo «De revolutionibus».Cernobil 7 anni dopo


SCLEROSI MULTIPLA Interferone quando serve
Autore: DURELLI LUCA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 091

STA iniziando una nuova era nella terapia della sclerosi multipla? Così suggeriscono molti articoli apparsi di recente. La sclerosi multipla è una delle malattie neurologiche più frequenti (si calcola che circa cinquantamila individui ne siano affetti in Italia), colpisce soggetti di età giovane-adulta e può condurli a una grave invalidità con progressiva emarginazione dalla società. L'importanza sociale della malattia ha stimolato da anni molti studi con il fine di individuare una terapia specifica, ma i risultati erano sempre stati negativi. Negli Anni 80 si è iniziato a capire che gli interferoni potevano avere un ruolo chiave in questa malattia. Queste sostanze, prodotte dalle cellule del nostro organismo, hanno la capacità di «interferire» con la riproduzione dei virus nocivi, neutralizzandoli. Si è poi scoperto che tali sostanze regolano la risposta immunitaria, che è alterata nella sclerosi multipla. In particolare, l'interferone gamma può gravemente peggiorare la malattia, mentre gli interferoni alfa o beta possono teoricamente bloccarne la drammatica evoluzione. A partire dal 1987 è iniziata una vasta sperimentazione clinica nel Nord America sfruttando una nuova metodica di analisi strumentale, la risonanza magnetica, che permette di quantificare in modo chiaro l'effetto dei farmaci sull'evoluzione della malattia. Il farmaco usato in Nord America è l'interferone beta-1b a dosi molto elevate ed altamente purificato, perché prodotto con la metodica del Dna-ricombinante. I risultati dello studio (pubblicato di recente su Neurology, la più prestigiosa rivista scientifica di neurologia nel mondo) dimostrano che questo farmaco è efficace nel ridurre la gravità e il numero delle ricadute sia cliniche sia documentabili alla risonanza magnetica, ma soltanto nei pazienti affetti da sclerosi multipla del tipo recidivante-remittente. Intanto, presso la prima clinica neurologica dell'Università di Torino, si è condotto uno studio pilota (cioè su un limitato numero di pazienti) utilizzando l'interferone alfa-2a da Dna-ricombinante alla dose di 9 milioni unità, a giorni alterni, per via intramuscolare. Anche questo farmaco si è dimostrato efficace, con risultati clinici confermati dalla risonanza magnetica (lo studio sta per essere pubblicato su Neuro logy), sempre soltanto in pazienti affetti da sclerosi multipla recidivante-remittente. E' indispensabile precisare che questa forma di sclerosi multipla comprende solo un quarto dei pazienti attualmente colpiti dalla malattia, che sono per la maggior parte affetti dalla forma cronico-progressiva (evoluzione della forma recidivante-remittente: il paziente non ha più ricadute ma peggiora inesorabilmente di anno in anno). Nessuna terapia si è mai rivelata efficace nella forma cronico-progressiva. L'interferone beta-1b da Dna ricombinante è molto difficile da produrre, tanto che la stessa ditta californiana che lo ha introdotto sul mercato statunitense (dopo l'approvazione del governo federale) non riesce a garantire il farmaco per tutti i pazienti nordamericani che ne potrebbero trarre vantaggio. Una ditta europea ne ha comprato il brevetto, ma anch'essa ha problemi di produzione e prevede di poterlo sperimentare in Europa verso la fine del 1994. Altre ditte stanno attivamente lavorando per produrre il farmaco, ma nessuna ha ancora iniziato a sperimentarlo in Italia. In Italia, invece, sono in commercio alcuni tipi di interferone beta naturale, cioè prodotto da cellule di mammifero, meno puro e sottodosato rispetto al prodotto americano (di cui è stato di recente cambiato lo standard di riferimento di dosaggio, per cui le dosi di 8 milioni di unità usate in America corrispondono a circa 40 milioni di unità dei prodotti in commercio in Italia). Nessun interferone beta naturale si è mai dimostrato efficace nella sclerosi multipla. L'interferone alfa-2a da Dna ricombinante è regolarmente utilizzato per altre malattie ed è stato da noi sperimentato in un ristretto studio pilota. La ditta produttrice, prima di chiedere l'autorizzazione ministeriale per l'utilizzo nella sclerosi multipla, ha in programma di confermare i risultati mediante uno studio multicentrico europeo. In conclusione, reali speranze terapeutiche si sono aperte nel 1993 per i numerosi pazienti affetti da sclerosi multipla. Probabilmente le sperimentazioni in programma, in Europa e in Italia, confermeranno e amplieranno i promettenti risultati preliminari. Gli interferoni alfa o beta da Dna-ricombinante, gli unici dimostratisi efficaci, e solo nella forma recidivante-remittente, non sono però ancora disponibili, nè in Italia nè in Europa, per la terapia della sclerosi multipla, nè è prevedibile quando potranno essere utilizzati. Luca Durelli Università di Torino


LE COQUI DI PUERTO RICO Ma quella rana vola] Con un paracadute tra le dita
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 091

E' un fatto piuttosto insolito che ti caschi una rana un testa. Ma è ancora più insolito vedersi attorno una vera pioggia di rane che cadono dalla chioma degli alberi. Quest'avventura è toccata alla biologa Margaret M. Stewart, della State University di New York ad Albany, mentre si trovava sulle pendici dei monti Luquillo, in una foresta pluviale del Puerto Rico, la Foresta Nazionale Caraibica. Inutile dirlo, la cosa suscitò immediatamente la curiosità della studiosa che volle indagarne le cause. Prima di tutto, di quali rane si trattava? Delle rane «coqui», chiamate con questo strano nome perché così suona il loro gracidio. Le coqui appartengono al genere Eleutherodactylus, di cui esistono nel Puerto Rico venti specie diverse. Tutte però si comportano allo stesso modo dal punto di vista riproduttivo. Anziché deporre le uova negli stagni, come fa la maggior parte delle loro colleghe, le coqui le depongono dove capita, purché si tratti di luoghi sufficientemente umidi, come le cavità naturali degli alberi o l'incavo delle foglie. Dopo che le femmine hanno depositato il loro carico di uova, sono i maschi che se ne assumono completamente la cura. Vi si accovacciano sopra come se le covassero, non certo per trasmettere loro il calore del corpo, come fanno gli uccelli, visto che sono animali a sangue freddo, bensì per trasferire alle uova umidità in grado sufficiente. L'acqua contenuta nel sangue paterno passa infatti per osmosi nelle uova. Il peggior pericolo che minaccia la covata è il disseccamento. Proprio per evitarlo, il padre ogni tanto si allontana per ricostituire in qualche località particolarmente umida la propria riserva d'acqua. Non beve, ma assorbe acqua attraverso una zona dell'addome dove la pelle è molto sottile. Quando lo sviluppo è terminato, dalle uova sgusciano non già i girini tipici degli anfibi anuri, bensì delle ranocchiette minuscole già conformate come l'adulto, che hanno su per giù le dimensioni di una mosca. Di abitudini squisitamente notturne, le coqui trascorrono le ore del giorno nei loro nidi. Fatta eccezione per i padri incubatori che rimangono in loco, le femmine e gli altri maschi escono soltanto all'imbrunire per iniziare la vita attiva, soprattutto per procurarsi il cibo. Ed è allora che salgono sugli alberi, dove trovano una quantità di prede molto maggiore che non a livello del suolo. La Stewart e i suoi collaboratori se ne sono resi conto esaminando il contenuto dello stomaco delle coqui appena scese dagli alberi e di quelle poche rimaste al suolo. Per l'esame non è necessario uccidere le rane. Questi anfibi non hanno forti muscoli sfinteri tra l'esofago e lo stomaco, per cui è sufficiente schizzare loro in bocca un getto d'acqua per far fuoriuscire l'ultimo pasto consumato. Le rane si arrampicano sul tronco degli alberi con cronometrica precisione a ora fissa, tra le sette e le sette e mezzo del pomeriggio, quasi sapessero che a quell'ora alcuni dei loro predatori non hanno ancora iniziato l'attività venatoria. Ma le arrampicatrici sono particolarmente numerose soprattutto nelle notti calde e umide, dopo almeno tre giorni di pioggia, che le hanno idratate abbondantemente. Salendo sulle numerose torri di osservazione esistenti nella foresta nei pressi della Stazione da campo El Verde e usando opportuni stratagemmi tecnici, la studiosa e i suoi collaboratori riescono a scorgere le rane di notte una volta che si sono insediate nella chioma degli alberi. Le vedono sparse su rami e foglie a vari livelli. E notano che nessuna occupa le cime più elevate, quelle più esposte al vento. Sono troppo asciutte per le coqui così bisognose di umidità. All'alba le rane si lanciano dall'alto verso il suolo prima che gli uccelli loro predatori inizino l'attività diurna. E atterrano miracolosamente illese. E' strano che riescano a «piovere» senza farsi alcun male. I ricercatori le osservano durante la caduta libera. Vedono che prima di lanciarsi nel vuoto, le coqui stendono le braccia e tengono le zampe posteriori piegate all'altezza del ginocchio, mentre allargano a più non posso le dita delle zampe. In questo modo aumentano notevolmente la superficie portante per i loro voli planati. Inoltre, man mano che scendono, ruotano lentamente il corpo, una manovra che rallenta la caduta. Eppure le coqui non hanno avuto dalla natura niente di simile a quella particolare conformazione che contraddistingue i veri paracadutisti, i racofori del Borneo. Questi anfibi posseggono sviluppatissime membrane interdigitali sulle zampe anteriori e su quelle posteriori che si allargano e si tendono quando l'animale si lancia nel vuoto, fungendo efficacemente da paracadute. L'anfibio, lanciandosi da un'altezza di oltre cinque metri, è capace in tal modo di veleggiare per più di sette metri. Le capacità aeree delle rane coqui sono ovviamente più limitate. Ciononostante, facendo il paragone tra la velocità di caduta di una rana coqui viva e una morta, i ricercatori hanno constatato che quella viva cade più dolcemente e più lentamente di quella morta. E' quindi chiarito il motivo per cui le rane coqui ogni sera salgono in cima agli alberi e ogni mattino ridiscendono a terra. Tra la ricca chioma delle piante tropicali trovano cibo in abbondanza, insetti specialmente, in un'area molto più vasta di quella del sottobosco. E inoltre, coordinando opportunamente gli orari di salita e di discesa, riescono anche a sfuggire alla maggior parte dei predatori. Durante il giorno però la chioma degli alberi si riscalda troppo, diventa arida e ventosa, quindi assolutamente inadatta per loro. Ecco perché si rende necessario ritornare di volata sul terreno, dove è più facile assorbire umidità, il fattore indispensabile per la sopravvivenza delle bizzarre coqui. Isabella Lattes Coifmann


OLFATTO Il naso dice quanto sei simile a me
Autore: MUHM MYRIAM

ARGOMENTI: BIOLOGIA
NOMI: KOBAL GERD
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 091

L' olfatto, declassato dall'essere umano a capacità sensoria di second'ordine a favore del dominio incontrastato della vista, è attualmente oggetto di ricerche scientifiche approfondite, specialmente in Germania. Gerd Kobal, uno dei massimi esperti europei in materia (dirige l'Istituto di Farmacologia dell'Università di Erlangen) ha scoperto recentemente che l'olfatto umano, pur non potendo competere, in quanto a capacità ricettiva, con quello di altri mammiferi, è comunque in grado di percepire anche differenze minime tra odori estremamente simili, fino al punto di saper distinguere con la massima precisione due molecole di nicotina che si differenziano solo per il fatto di essere una l'immagine speculare dell'altra (una destrogira e l'altra levogira). Che l'olfatto svolga un ruolo fondamentale, ma tuttora incompreso, influendo pesantemente sulle decisioni, credute autonome, dell'essere umano, è un'ipotesi che viene avvalorata sempre più insistentemente dai risultati delle ricerche scientifiche. L'olfatto femminile, come constatato dall'equipe di Gerd Kobal, gradisce l'odore degli ormoni maschili quasi esclusivamente durante la fase dell'ovulazione, mentre lo classifica come fastidioso negli altri giorni, quando biologicamente non c'è motivo per interessarsi l'uno all'altra. Evidentemente determinati ormoni, in particolare gli estrogeni, «pilotano» l'olfatto delle donne in modo tale da incrementare fortemente l'interesse per l'altro sesso proprio nella fase riproduttiva. Anche «la simpatia o l'antipatia» olfattiva per il prossimo sembra essere determinata da fattori di cui l'essere umano non si può rendere conto. Ne è testimonianza un recente studio, condotto da Roman Ferstl dell'Università di Kiel, che ha messo a confronto un gruppo di donne con persone sconosciute. Ogni donna doveva scegliere almeno due persone che risultavano simpatiche oppure antipatiche a livello olfattivo. Il test si è concluso con l'analisi dei tessuti delle persone esaminate. Il risultato è oltremodo stupefacente: la simpatia olfattiva tra due persone corrisponde generalmente a un maggior grado di istocompatibilità. Dato che alcuni dei fattori che caratterizzano i tessuti di un individuo sono presenti anche nei liquidi traspirati, è molto probabile, come affermano gli scienziati, che una maggiore compatibilità e quindi una maggiore similitudine genetica venga percepita, seppur inconsapevolmente, a livello di simpatia olfattiva. Myriam Muhm


SICUREZZA STRADALE Un triangolo poco convincente Lo psicologo e la percezione del pericolo
Autore: SARDI PIERANGELO

ARGOMENTI: TRASPORTI, PSICOLOGIA, INCIDENTI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 091

UN pauroso incidente collettivo in galleria, qualche settimana fa, ha prodotto grande emozione, tanto che alcuni giornalisti hanno telefonato alla Associazione degli Psicologi Italiani per chiedere un parere psicologico. Pensavano alla psicologia dinamica: che cosa significa sognare una galleria, perché qualcuno le imbocca troppo velocemente, come invece si arriva inconsciamente alla claustrofobia, e cose del genere. In Italia gli psicologi vengono usati quasi soltanto così. All'estero no: gli psicologi, con gli ingegneri e i medici, lavorano a ridurre i pericoli delle gallerie vere, quelle costruite nella terra, non per aria. Il mese scorso, una delegazione di psicologi italiani ha visitato a Colonia, in Germania, una galleria ricostruita artificialmente presso il Bast, l'Istituto federale per il sistema viario. Lì il professor Guenter Kroj ha spiegato che una galleria di duecento metri costa ogni mese tremila marchi, trenta milioni di lire, già solo per l'illuminazione: ogni accorgimento, anche minimo, che aumenti la percezione dei pericoli diminuendo i costi della bolletta energetica vale abbondantemente la pena di essere collaudato e lo Stato tedesco è ben lieto di finanziare questi progetti di ricerca. Il Bast non è l'unico istituto del genere in Germania, ma si pone in concorrenza con altri istituti di carattere nazionale, regionale o settoriale che presentano altri progetti di ricerca e collaudo per farseli finanziare dallo Stato o dai Laender. La situazione è identica anche in altri Paesi europei: la Francia ha l'Inrets e altri organismi minori, la Svizzera ha il Bfu, l'Austria il Kvs. Nei convegni internazionali cui partecipano i ricercatori di questi istituti, l'Italia brilla per la sua assenza. Il fatto è che in Italia le aziende produttrici dei prodotti per la sicurezza viaria trattano solo con gli uffici ministeriali, che scelgono direttamente il prodotto da omologare. Adesso, per esempio, gli italiani dovranno spendere ottocento miliardi per cambiare i triangoli, che avendo sempre dormito al coperto nei bagagliai erano tutti nuovissimi. Certo il triangolo nuovo, conforme alle direttive europee, sarà eccellente. Ma qual è la ricerca che, contro un'altra di segno opposto, ha dimostrato la necessità o almeno l'utilità della distruzione dei triangoli precedenti e ancora buonissimi? Dove sono gli studi differenziali sulla percezione e sull'ergonomia di questi due segnali di pericolo, quello precedente da buttare e quello futuro da comprare? Si è parlato del triangolo solo perché viene in mente per l'incidente in galleria, e forse in qualche discutibile modo potrebbe ridurre queste terribili conseguenze. Mettendo insieme i soliti gruppi di ingegneri, medici e psicologi che all'estero fanno queste ricerche, si potrebbe magari arrivare a dimostrare che un cambio di triangolo vale gli ottocento miliardi che costerà agli italiani. Potrebbe però anche risultare più conveniente, altra ipotesi, verniciare meglio le pareti delle gallerie, o scegliere meglio le nuove vernici, per migliorarne la rifrazione, la durata, la resistenza, perché queste sì, a differenza dei triangoli, si usurano e diventano meno percepibili. Queste ricerche, ricerche indipendenti, sono state fatte? In Italia non risulta. Invece in Germania, delle dodici sezioni in cui era diviso il recente Congresso della Rpd, l'associazione degli psicologi tedeschi, la psicologia del traffico era quella che occupava l'Auditorium maximum. Alla luce del sole, o almeno dell'associazione professionale, quelle ricerche venivano esposte e giudicate, pubblicate agli atti, sulle riviste scientifiche, e qualche volta, perché no, sui giornali, alla radio, alla televisione. Quella è trasparenza. Qui per adesso traspaiono solo, a posteriori, i lingotti luccicanti di Poggiolini. Nel contesto italiano, chiedersi se abbia fatto il primo passo illecito la parte privata o quella pubblica è come disputare sull'anteriorità dell'uovo o della gallina. Quello che manca da noi è un sistema di collaudi libero, autonomo, privatizzato, concorrenziale. Il ministro Costa potrebbe darci qui la chiave di lettura del suo assai discusso atteggiamento verso De Lorenzo, un gestore incredibilmente liberale e poggioliniano. Bisogna cominciare a liberalizzare i collaudi della Motorizzazione Civile: nella gestione, ovviamente, riservando allo Stato solo la scelta ultima, quando ormai le ricerche tecniche abbiano potuto risolvere tutti i problemi tecnicamente risolvibili. E' un'aspirazione ormai condivisa da molti che vogliono uscire fuori dal tunnel, questo maledetto tunnel italiano, che dopo essere esploso ora resta asfissiante. Pierangelo Sardi Segretario Nazionale Associazione Psicologi Italiani


SESTO METEOSAT La meteorologia è un buon affare
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. I satelliti italiani
NOTE: 092

Si chiama «Meteosat 6). L'Agenzia spaziale europea lo ha messo in orbita dalla base di Kourou, nella Guyana francese, con un razzo «Ariane». Ci aiuterà a fare le previsioni del tempo fino al 2000, quando incomincerà a funzionare una nuova generazione di satelliti meteorologici. La prima immagine l'ha trasmessa pochi giorni fa e per anni ne invierà tre ogni mezz'ora: ci si vede dalla distanza di trentaseimila chilometri, l'Europa, l'Africa del Nord, l'Oceano Atlantico. In base a quelle cartoline che ci arrivano dallo spazio noi decidiamo che cosa fare del nostro fine settimana. Ancora più importante: agricoltori, operatori turistici, esperti della protezione civile, produttori di energia idroelettrica, si servono di quelle immagini per programmare le loro attività, che hanno evidentemente una grossa importanza economica. Si calcola che «Meteosat 6» renderà 200 miliardi di lire all'anno, il doppio del suo costo complessivo. Le stazioni che ricevono le immagini di «Meteosat 6» sono duemila. Il primo della serie fu lanciato nel 1977


STRIZZACERVELLO Sistemazione complessa
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 092

Sistemazione complessa Immaginate di prendere tre cubi e di affiancarli su un piano come mostrato in figura. Ora si tratta di sistemare su tutti i vertici dei cubi, compresi quelli comuni e comunque su tutti quelli indicati da un cerchietto, i numeri da 1 a 16 in modo che quelli inseriti ai vertici di una stessa faccia (tipo ABEF, CGMQ, CDMN ecc.) oppure quelli allineati sugli spigoli lunghi (ABCD, OPQRecc.) diano una somma sempre costante e uguale. Siccome le soluzioni sono molte (anzi, per esercizio potreste trovarle tutte ed inviarcele), vi chiediamo quella che preveda l'1 alla lettera G, il 2 alla L ed il 3 alla O. Le soluzioni domani, accanto alle previsioni del tempo.


LA PAROLA AI LETTORI CHI SA RISPONDERE? Tra raggio e circonferenza, l'elusivo 3,14
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 092

In base a quali ragiona menti furono determinati la circonferenza e il diame tro di un cerchio? Se prendiamo un filo metallico sottilissimo e lo avvolgiamo lungo il bordo di un disco, in modo che gli estremi combacino, otterremo un modello della circonferenza. Distendiamo questo modello su di una retta e avremo un segmento AB, la «circonferenza rettificata». Se dividiamo la lunghezza di questo segmento, detta lunghezza della circonferenza, per il suo diametro, il quoziente sarà un numero molto vicino a 3,1415. Se ripetiamo questa operazione su altri cerchi di diametri differenziati, constateremo che il quoziente della divisione di una circonferenza per il suo diametro è sempre vicinissimo a 3,1415. Possiamo dunque concludere che: dividendo la lunghezza di una circonferenza per il suo diametro, si ottiene un numero molto prossimo a 3,1415. In geometria tale rapporto è simboleggiato con la lettera «P» dell'alfabeto minuscolo greco ed è noto appunto come «pi greco». Claudio Ramella Bahnero Biella Una circonferenza non si può misurare come un segmento, perché non sono grandezze omogenee. La circonferenza è quella linea chiusa che si traccia con il compasso. Poiché l'apertura del compasso è costante, costante risulterà la distanza di ciascun punto della circonferenza dal centro. L'apertura del compasso corrisponde al raggio, per cui è intuitivo che la lunghezza di una circonferenza dipende dalla lunghezza del raggio. Se costruiamo un modello di circonferenza con il cartone, gli avvolgiamo intorno un filo in modo che i due capi combacino e poi distendiamo il filo, otterremo una «circonferenza rettificata». Se misuriamo il segmento ottenuto prendendo come unità di misura il diametro (il doppio del raggio), otterremo sempre lo stesso numero, il cosiddetto «pi greco». Esso è un numero irrazionale, cioè non lo si può mettere esattamente sotto forma di numero decimale, nè finito nè infinito nè periodico. Il valore convenzionale 3,14 è approssimato per difetto. Umberto Rigazzi Brusasco (TO) Il 3,14, come tutti i numeri irrazionali trascendenti, non è illimitato ma è difficilmente approssimabile. Gilberto Palmieri Torino Qual è la più remota terra abitata? E' Tristan da Cunha, una piccola isola vulcanica (98 chilometri quadrati) persa nell'Atlantico meridionale, che dista 2120 chilometri dalla più vicina terra abitata, l'isola di Sant'Elena, e ben 2740 chilometri da Città del Capo. Lorella Piazza Genova Pegli Tristan da Cunha, per quanto perduta nell'oceano, è sempre stata abitata. Nel 1961 un'eruzione vulcanica costrinse gli abitanti ad allontanarsi, ma dopo due anni erano di nuovo lì. Dove, a quanto si racconta, vivono molto felici. Mario Vesco Rho (MI) Perché chi pratica il karaté porta cinture colorate? Il colore della cintura evidenzia il livello di preparazione raggiunto e soprattutto la maturità dell'allievo. Esistono sei gradi di cinture colorate, poi ci sono i diversi dan per le cinture nere. Essere una cintura nera non implica il perfetto apprendimento delle tecniche e della filosofia del karaté, è soltanto il punto di partenza alla scoperta dei propri limiti e delle proprie capacità. Davide Dugone Torino Le cinture colorate servono a differenziare i vari livelli di apprendimento a cui si è giunti durante la fase di pre-scuola. Il bianco è il colore dei principianti. Seguono, in crescendo, giallo, arancio, verde, blu e marrone. A ognuna di queste cinture corrisponde un katà, ovvero un combattimento contro avversari immaginari, che si compone di una ventina di posizioni diverse. Francesco Gallarini Novara




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