ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 088
Il 1 novembre 1893 il 3 articolo del decreto n. 490 di Umberto I stabiliva l'entrata in vigore su tutto il territorio nazionale dell'ora unica. Il tempo adottato è "il tempo solare del meridiano situato al 15 all'Est di Greenwich". Prima di questa data la misura del tempo non era regolamentata da nessuna legge. La vita tranquilla e la lentezza dei mezzi di comunicazione non facevano avvertire l'esigenza di adottare un tempo unico e per misurare le ore bastava la meridiana del paese, che con la sua ombra indicava il tempo vero locale, con le inevitabili differenze date dalla longitudine. Un passo verso la regolamentazione delle ore era stato compiuto nel 1866, quando Vittorio Emanuele II stabilì che tutti gli orari dei treni e delle navi fossero misurati sul tempo medio di Roma. La Sicilia e la Sardegna, invece, dovevano riferirsi, rispettivamente, al tempo medio di Palermo e di Cagliari. A sei anni dell'Unità d'Italia, il nostro Paese aveva dunque tre tipi di orari e pertanto accanto all'urgenza di "fare gli italiani" si presentò anche il problema di unificare le ore. Va anche ricordato che le "ore italiane" erano contate dal tramonto, mentre le "ore francesi" partivano dalla mezzanotte. Con il decreto del 1 novembre di cento anni fa si stabilì di adottare le "ore francesi" e pertanto, allora come oggi, quando l'orologio di Greenwich segna le 23, in Italia si comincia a contare le ore, numerandole da 1 a 24. Curiosità: Durante il periodo estivo viene introdotta un'ora particolare e gli orologi vanno messi avanti di un'ora. In Italia l'ora estiva era stata introdotta durante la guerra e dopo averla abbandonanta fu nuovamente ripristinata nel 1966. La Francia, invece, ha mantenuto l'ora estiva fin dal 1946 e ciò ha causato una situazione assai curiosa. Il legislatore, infatti, non ha tenuto presente che in Francia vigeva già l'ora estiva, e, quando nel 1976 stabilì di istituirla nuovamente, i francesi spostarono ancora di un'ora gli orologi; così, in estate, italiani e francesi fanno riferimento alla stessa ora, che è l'ora di Mosca] Franco Gabici
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TECNOLOGIA
NOMI: HOFFMAN JEFFREY
ORGANIZZAZIONI: TELESCOPIO SPAZIALE HUBBLE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 085
SALVO imprevisti, sette astronauti in partenza con la navetta spaziale «Endeavour» si accingono a effettuare la manutenzione in orbita del Telescopio Spaziale Hubble (Hst), in funzione da quasi tre anni: è la più complessa operazione che sia mai stata realizzata nell'era dello shuttle. Lanciato nell'aprile del 1990, il telescopio orbitale Hubble ha subito fatto parlare di sè quando si è scoperto che il suo specchio primario era difettoso. Un errore minimo della curvatura - millesimi di millimetro - ma sufficiente a limitare la qualità delle immagini. L'aberrazione sferica che ne risulta, infatti, impedisce di apprezzare i particolari più fini, che altrimenti sarebbero stati alla portata di Hst, grazie alla sua collocazione sopra l'atmosfera. Per i corpi celesti più brillanti, la perdita non è irreparabile e gran parte dell'informazione può essere recuperata con un sofisticato trattamento delle immagini effettuato, a terra, mediante calcolatore. Ma purtroppo non si può fare altrettanto con le immagini di oggetti poco luminosi, come stelle e galassie lontanissime, che erano fra gli obiettivi più interessanti della «Wide Field-Planetary Camera», uno dei sei strumenti principali montati su Hubble. Il telescopio spaziale ha dovuto poi affrontare altri problemi tecnici che hanno interessato prima i pannelli solari, che forniscono l'energia elettrica, poi i giroscopi usati per il controllo di assetto e il puntamento. Rimediare a questa situazione, che rischia di imporre severe limitazioni al telescopio spaziale, è l'obiettivo principale della missione STS-61. Hst è stato progettato per essere periodicamente sottoposto a manutenzione da equipaggi dello shuttle. Il telescopio è infatti concepito come una struttura modulare che comprende, tra l'altro, oltre 70 elementi, i cosiddetti «Orbital Replacements Units» o più brevemente ORU, che possono essere rimpiazzati in orbita. Inoltre Hubble è fornito di corrimano e di piedistalli che offrono punti di appoggio per gli astronauti, che devono lavorare con addosso le ingombranti tute per attività extraveicolari, in condizioni di assenza di gravità. Nonostante ciò, il compito degli astronauti non sarà di routine. La mole di lavoro che li aspetta è senza precedenti: prima di tutto, si tratterà di inseguire e catturare il telescopio utilizzando il braccio robotizzato, il famoso RMS, per fissarlo nella «cargo bay» dello shuttle. Per questa operazione verrà utilizzata un'apposita piattaforma che permette di ruotare il grosso cilindro per collocarlo in modo da facilitare l'intervento degli astronauti. A questo punto comincerà il lavoro di manutenzione e di riparazione vero e proprio. Si tratterà di installare nuovi giroscopi e i nuovi pannelli solari dell'Agenzia spaziale europea, rimpiazzare le batterie e sostituire parte della memoria usata nei circuiti di bordo. Ma l'intervento più atteso è l'installazione della nuova ottica per correggere l'aberrazione sferica derivante dalla non precisa lavorazione dello specchio principale. Per completare tutte le attività previste saranno necessarie ben 5 uscite extraveicolari - Eva nel gergo della Nasa - con due squadre, ciascuna composta di due astronati, che si daranno il cambio per ottimizzare i tempi degli interventi. Altre due escursioni, non previste nel piano di missione nominale, saranno possibili in caso di necessità. Una volta portate a termine le riparazioni, lo shuttle riporterà Hst alla quota operativa, dove verrà rilasciato utilizzando, ancora una volta, il braccio manipolatore. Con Hubble di nuovo in orbita, le operazioni saranno gestite dal centro di controllo del Goddard che verificherà il funzionamento dei sistemi di bordo mentre lo shuttle si manterrà nelle vicinanze pronto a intervenire. Se qualcosa dovesse andare male durante questa verifica o se si dovessero presentare problemi insormontabili in una delle fasi della missione, un possibile scenario sarebbe quello di abbandonare la piattaforma di fissaggio del telescopio per reintrodurre Hst nella stiva dello shuttle e riportarlo a Terra. E' un piano di lavoro molto complesso che stabilirà un record nella storia delle attività extraveicolari. Per questo è stato selezionato un equipaggio composto di 7 veterani dello spazio, che sono stati sottoposti ad un addestramento molto impegnativo protrattosi per oltre un anno. Nulla è stato lasciato al caso. Nella piscina dove si simulano le attività extraveicolari è stato immerso un modello meccanico di Hst a grandezza naturale e gli astronauti hanno fatto innumerevoli esercitazioni sott'acqua, l'ambiente più vicino alle condizioni orbitali di assenza di gravità, acquisendo una grande familiarità con i compiti che eseguiranno in orbita. Lunghe sessioni al simulatore del braccio robotizzato sono state necessarie per mettere a punto le manovre di aggancio e di rilascio di Hubble e per portare gli astronauti nelle posizioni previste per la manutenzione. Per una missione di questa complessità, che richiede un perfetto coordinamento tra gli astronauti impegnati nell'attività Eva ed il loro collega che controlla il braccio Rms dalla cabina dello shuttle, il training tradizionale non è sembrato sufficiente. C'era infatti l'esigenza di provare, a Terra, la complessa interazione fra i diversi membri dell'equipaggio e a tale scopo sono state introdotte, per la prima volta nella storia dell'addestramento di equipaggi dello shuttle, le nuove tecniche di «virtual reality». Jeff Hoffman e Claude Nicollier hanno passato un gran numero di ore lavorando in un ambiente di realtà virtuale che includeva un'immagine tridimensionale dello shuttle, del suo braccio robotizzato e del telescopio spaziale. Grazie alla realtà virtuale, Hoffman, con addosso uno speciale visore, poteva vedere il telescopio come se si trovasse alla sommità del braccio manipolatore, e questa prospettiva veniva modificata quando Nicollier muoveva la rappresentazione tridimensionale del braccio Rms. Un training d'avanguardia per una missione che è vista con un po' di nervosismo da alcuni ambienti della Nasa. Anche se non è la prima volta che astronauti effettuano riparazioni in orbita, basti ricordare il volo Sts-49 che ha rimesso in funzione il satellite per telecomunicazioni Intelsat-VI, la missione di manutenzione di Hubble è percepita come un test importante della capacità di portare a termine, in orbita, operazioni complesse che richiedono prolungate attività extraveicolari. Se questo non si dimostrasse possibile, l'intero programma della Space Station, il cui assemblaggio richiederà operazioni ancora più complicate, potrebbe essere rimesso in discussione. Umberto Guidoni Agenzia Spaziale Italiana
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, OTTICA E FOTOGRAFIA, TECNOLOGIA
NOMI: GIACCONI RICCARDO
ORGANIZZAZIONI: TELESCOPIO SPAZIALE HUBBLE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 085
Il telescopio spaziale «Hubble» è costato quasi duemila miliardi di lire e ha dato parecchi fastidi a Riccardo Giacconi, lo scienziato italiano che fino a un anno fa ne ha diretto l'utilizzazione per poi passare alla guida dell'Osservatorio australe europeo. Nonostante ciò, i risultati scientifici sono di eccezionale interesse. «Hubble» può scrutare l'universo sette volte più in profondità dei telescopi terrestri. E di oggetti vicini, come il pianeta Giove, può fornire immagini per lunghi periodi con una qualità quasi paragonabile a quella ottenuta dalle sonde «Voyager». Inoltre «Hubble» vede il cielo anche nell'ultravioletto, radiazione che non raggiunge il suolo. Le scoperte più interessanti riguardano la cosmologia: evoluzione stellare, distribuzione e interazione di galassie, espansione dell'universo. Tra i ricercatori italiani che spiccano per la quantità di «tempo telescopio» ottenuto c'è l'italiana Luciana Bianchi, dell'Osservatorio di Torino: alla sua proposta di ricerca sono state concesse ben 30 ore.
ARGOMENTI: ENERGIA, FISICA, NUCLEARI, PROGETTO, ECOLOGIA
NOMI: RUBBIA CARLO
ORGANIZZAZIONI: CERN
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 085
GRANDE risonanza sui giornali italiani e stranieri ha avuto il seminario di Carlo Rubbia, premio Nobel e direttore del Cern di Ginevra, su di un nuovo sistema per produrre energia nucleare «pulita» e «sicura». Dopo tanto clamore, vediamo di approfondire la proposta lanciata da Ginevra nei giorni scorsi. Rubbia ha presentato i risultati di un lavoro svolto insieme con cinque colleghi e riassunto in un articolo diffuso la settimana scorsa al Cern. Il tema è la possibilità di produrre energia con una tecnica che elimina i principali fattori di rischio delle centrali necleari convenzionali. In particolare gli incidenti dovuti alla perdita di controllo del reattore nucleare (Cernobil) e la produzione di scorie radioattive di interesse militare. Si tratta forse di un sogno, di un altro miraggio tipo «fusione fredda», in cui scienza e desiderio formano un cocktail pericoloso e illusorio? Niente di tutto questo. Rubbia si basa su ben note leggi della fisica nucleare classica, e su una serie di trasmutazioni nucleari indotte dalla presenza di neutroni termici o «lenti». Alla base della generazione di energia per fissione nucleare c'è la tendenza di alcuni specifici isotopi della famiglia degli attinidi (atomi che hanno 80 o più elettroni, come torio, uranio, plutonio) ad assorbire un neutrone lento e a rompersi (fissione) liberando una grande quantità di energia. Nella fissione dell'uranio e del plutonio il processo di produzione di energia si autosostiene spontaneamente; in concentrazioni opportune, si produce un mumero di neutroni di fissione sufficiente a causare altre fissioni e così via, in catena. Il bilancio di questa reazione è descritto da un fattore di criticità: se esso è eguale a 1 il processo si autosostiene (centrali nucleari); se è maggiore di 1 nasce un processo a valanga (esplosione atomica), mentre se è minore di uno il processo si spegne rapidamente. L'approccio tradizionale dei reattori nucleari, dovuto a Enrico Fermi, è proprio quello di mantenere il fattore di criticità il più possibile vicino a 1 per ricavare energia senza produrre una reazione a valanga. Il fatto che una centrale nucleare lavori in condizioni vicine alla criticità probabilmente costituisce il problema più importante; la sicurezza di una centrale infatti si basa sul corretto funzionamento di complessi sistemi di controllo. Nel caso, pur improbabile, di un cattivo funzionamento dei sistemi di sicurezza, le conseguenze di un disastro nucleare sono così catastrofiche da mettere in discussione il ricorso all'energia nucleare. Questo semplice fatto giustifica il ricorso a una tecnica alternativa basata sull'impiego di un elemento non fissile e abbondante in natura, il torio, che però richiede una sorgente esterna di neutroni termici per dare luogo a una catena di reazioni con un bilancio energetico positivo. In questo modo, la sicurezza e l'impatto ambientale sono messi al primo posto, a scapito della resa energetica; in altri termini una fonte di energia un po' più cara, ma sicura e perenne. Studi in questa direzione sono stati fatti negli ultimi anni anche in altri Paesi, in particolare negli Stati Uniti, dal gruppo diretto da Bowman a Los Alamos, citato da Rubbia nel suo lavoro. Il fatto che il torio naturale non sia fissile significa che è impossibile realizzare una bomba atomica a base di torio. Per lo stesso motivo, nonostante la catena di reazioni del torio sia nota da tempo, non è mai stata impiegata in processi industriali di produzione di energia nucleare proprio per il fatto che non si autosostiene. Nel nuovo tipo di reattore i neutroni termici necessari al suo funzionamento sono ottenuti con un convenzionale acceleratore di particelle che accelera un intenso fascio di protoni a una energia relativamente bassa di circa 1 Gigaelettron- Volt e li invia contro un bersaglio posto al centro del combustibile e circondato da un moderatore per rallentare i neutroni prodotti. Scegliendo opportunamente i parametri di progetto, Rubbia e colleghi sostengono che è possibile generare 10 volte più energia di quella utilizzata dall'acceleratore e danno un nuovo impulso a questa idea sottolineandone i molti vantaggi. Il primo, forse il più importante, è l'assenza di criticità della centrale. Non appena il fascio di protoni viene spento la reazione del torio si arresta e la centrale si spegne automaticamente. Il secondo è il tipo e la quantità di scorie radioattive prodotte durante il funzionamento della centrale: la simulazione al calcolatore ci mostra che partendo da un isotopo attinide leggero come il torio i rifiuti radioattivi più pericolosi per le potenziali applicazioni militari (come il plutonio) sono presenti in quantità trascurabili: per lo stesso motivo il problema dello smaltimento delle scorie radioattive risulta grandemente semplificato, anche se non eliminato. Il sistema sarebbe quindi conveniente dal punto di vista della produzione di energia, con un impatto ambientale molto ridotto, probabilmente confrontabile o minore rispetto ad altre forme di produzione energetica, come le emissioni nell'atmosfera delle centrali a petrolio o carbone. Il gruppo di Los Alamos addirittura sostiene che anche i problemi relativi alle scorie residue possono essere eliminati: la centrale da essi proposta usa il ciclo del torio, ma si pone come obiettivo lo smaltimento totale dei rifiuti radioattivi che richiedono tempi geologici per diventare inattivi, per mezzo di metodi sia nucleari sia chimici. Il loro sistema è disegnato secondo parametri differenti, e risulta più complesso di quello proposto da Rubbia; merita però altrettanta attenzione, per i suoi ulteriori vantaggi. Le prospettive aperte da questi studi sono in ogni caso estremamente interessanti, e potrebbero davvero portare entro una decina di anni al nucleare pulito. Al Cern e a Los Alamos sono previsti nei prossimi anni esperimenti per verificare la validità dei risultati delle simulazioni. Per l'Italia questa sembra una occasione da non perdere per rimettere in piedi, al di là delle polemiche e delle strumentalizzazioni, una seria ricerca nel campo del nucleare. La posta in gioco è alta: l'indipendenza energetica del nostro Paese in un contesto di sicurezza e di rispetto ambientale. Se perderemo questa opportunità, rischiamo la paradossale situazione di andare a comperare domani all'estero una tecnologia «pulita» che potrebbe essere sviluppata in Italia, oggi. Roberto Battiston Cern, Ginevra
UN importante inedito di Konrad Lorenz è riaffiorato dalle carte del fondatore dell'etologia, poco dopo la sua morte, scoperto dalla figlia e allieva Agnes von Cranach. Il manoscritto, tempestivamente tradotto da Michele Sampaolo per Mondadori, risale al periodo tra il 1944 e il 1948 e ha una storia avventurosa. Il futuro premio Nobel si trovava allora detenuto in un campo di concentramento sovietico in Armenia. In condizioni durissime, Lorenz si dispose a scrivere la sua prima opera: su carta da sacchi, con inchiostro diluito e penne di uccello. Vedeva questo primo impegno di saggista scientifico come «un tentativo di proporre una esposizione coerente di una branca giovane e molto singolare della ricerca biologica, che ha per oggetto quel che c'è di più vitale in ogni vivente: il comportamento». Un testo, come è facile intuire, di eccezionale interesse storico-culturale, ma anche importante per il contributo originale che dà a una visione integrata delle scienze naturali e delle scienze dello spirito.
Stephen Hawking è un grande fisico teorico ed è anche, a causa della malattia che lo immobilizza e gli impedisce persino di parlare, uno straordinario caso umano. Per di più, ha anche dimostrato di essere un felicissimo divulgatore delle proprie teorie, come dimostra il successo del saggio «Dal Big Bang ai buchi neri». Peccato che ora le spietate leggi del mercato editoriale portino a pubblicare ogni suo scritto, anche modesto, e il testo di ogni suo intervento pubblico, anche del tutto occasionale. Nasce così un libro raccogliticcio come questo che, pur intrigante dal punto di vista del pettegolezzo biografico-scientifico, poco aggiunge all'Hawking che già conosciamo e che realmente conta. Anzi, qualcosa forse gli toglie.
Il centenario dell'esperimento con cui Guglielmo Marconi aprì l'era della radio e in generale delle telecomunicazioni di massa si avvicina. Giunge quindi puntuale questa riedizione arricchita e aggiornata della biografia dello scienziato scritta dalla figlia primogenita. Come si sa, la vita di Marconi fu complicata dal punto di vista sentimentale e familiare. Oltre alla copiosa documentazione scientifica, questo libro apre più di uno spiraglio sul privato. Basti citare qualche riga della lettera scritta dalla prima moglie di Marconi - Beatrice Inchiquin O'Brien - alla figlia autrice di questa biografia dopo il funerale del grande inventore: «Io vi andai mescolandomi alla folla, e questo mi diede un senso di pace come se tutte le meschinità e i malintesi della vita materiale fossero svaniti e se ora lui avesse meglio potuto capire tante cose».
Oltre 20 mila dati per conoscere i fenomeni astronomici del 1994, una guida all'osservazione, un glossario, mappe celesti. E' l'agenda «Il cielo 1994» edita come sempre puntualmente da Drioli (via Burgo 2 A, Maslianico, provincia di Como, tel. 031- 340.797). Come gli altri anni, la affianca, per gli appassionati di nautica, l'«Agenda del mare».
Effetto serra sì, effetto serra no. Il clima mediterraneo che diventa subtropicale o monsonico. Colture delle regioni temperate - ulivo, vite - che migrano verso Nord. Se ne è discusso molto negli ultimi anni, e se ne è ancora dibattuto poche settimane fa a Firenze alla prima Conferenza nazionale sul clima. Questo libro riccamente illustrato fa il punto sulla situazione, allargando la prospettiva alle antiche epoche climatiche e riportando la questione su un più corretto (e prudente) terreno scientifico. Una «strenna» natalizia bella e intelligente. Piero Bianucci
ARGOMENTI: ECOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 086
COSA respiriamo quando passiamo la cera sui pavimenti? Quanto «inquinano» le tappezzerie e le vernici che usiamo per tinteggiare muri e infissi? E le fotocopiatrici o le stampanti laser in ufficio? Tutti si preoccupano - giustamente - dell'aria che respiriamo fuori casa, ma nessuno pare interessarsi di ciò che inalano i nostri polmoni quando siamo tra quattro mura. Eppure, fatta eccezione per coloro che lavorano all'aperto, dal contadino al vigile urbano, l'uomo occidentale medio passa l'80-90 per cento della sua vita in ambienti domestici: casa, ufficio, scuola, cinema. Dunque l'inquinamento di una stanza va studiato e tenuto sotto controllo con la stessa attenzione dedicata allo smog delle città. A questo scopo è entrato in funzione pochi giorni fa «Indoortron», un sofisticato laboratorio che la Cee ha allestito al Centro comune di ricerca di Ispra (Varese). Strutturalmente si tratta di una camera di ricerca ambientale a doppia parete, con una capacità di 30 metri cubi, in cui è possibile controllare temperatura (da -15 a più40 gradi centigradi), umidità (20- 90 per cento), ricambio e composizione chimica dell'aria. Tutti i materiali di cui è costituito l'habitat domestico emettono dei vapori organici. Alcune di queste sostanze che si disperdono nell'aria possono essere dannose, a lungo andare, per l'uomo. Il problema è valutarne con esattezza il grado di pericolosità. Prelevare a caso un campione d'aria in un appartamento però non è sufficiente, perché potrebbe essere viziato da altre sorgenti inquinanti. Indoortron è nato proprio per rendere questo tipo di indagini estremamente accurate. Se voglio misurare il potenziale inquinante di un mobile (quanta formaldeide emette un pannello di truciolato, per esempio) o di una stampante laser, è sufficiente chiuderli nella camera stagna dove con una ventola si può pompare aria precedentemente filtrata da ogni impurità. Dopo un tempo adeguato, un altro condotto aspira l'aria della camera e la soffia su alcune sostanze assorbenti che raccolgono e trattengono i vapori organici emessi dagli oggetti. Quindi, grazie all'azione combinata di gascromatografo e di uno spettrometro di massa, i tecnici di Indoortron possono determinare con precisione il tipo di inquinamento organico provocato. «Non solo. Siamo in grado di compiere anche tutta una serie di analisi per misurare il tempo di decadimento di una data sostanza nociva e per verificare la capacità disinquinante di certi ritrovati», spiega Maurizio De Bortoli. «La tecnologia verde sta sviluppando molti nuovi prodotti per combattere l'inquinamento degli ambienti di lavoro. Per tutelare i consumatori occorre un organismo al di sopra delle parti come il nostro, in grado di controllare con precisione il funzionamento di tutti questi apparecchi». In Germania e nel Nord Europa, dove la questione ambientale è molto sentita, già numerosi prodotti per la casa (vernici, tappezzeria, moquette, mobili) vantano una etichetta ecologica che ne certifica la salubrità. Così molte industrie italiane, per conservare la propria quota di mercato, si stanno rivolgendo al laboratorio di Ispra per far analizzare i propri manufatti. Senza fomentare allarmismo alcuno (sarebbe esagerato, d'ora in avanti, guardare con sospetto i mobili di casa), anche qui da noi occorre imparare a dedicare maggior attenzione agli oggetti di cui ci circondiamo, verificando, prima di rinfrescare le pareti del soggiorno o di acquistare una nuova scrivania per la stanza dei ragazzi, che siano prodotti sicuri e non possibili fonti di inquinamento dell'ambiente domestico. Indoortron è un laboratorio dell'Istituto per l'ambiente, uno dei centri di ricerca della Comunità europea che fan parte della cittadella scientifica di Ispra: 1400 ricercatori provenienti dai dodici Paesi membri, che si occupano di informatica e ingegneria dei sistemi, di telerilevamento, di tecnologia della sicurezza e di materiali avanzati. Per l'avanguardia dei macchinari e l'innovazione della ricerca, il laboratorio e tutto il centro sono stati una delle mete di maggior prestigio nell'ambito della Settimana europea della cultura scientifica, che si è svolta dal 22 al 27 novembre in tutta la Comunità. La ricerca europea non versa in condizioni ottime. Il nuovo laboratorio antinquinamento ha potuto, sì, usufruire di un finanziamento straordinario (una parte dei 500 mila ecu, poco più di 900 milioni di lire, spesi per l'installazione della camera e di tutti gli strumenti e impianti a essa necessari), ma in più occasioni da Bruxelles è giunto il «suggerimento» a cercare nuove commesse tra le industrie private. «Lavorare per i privati è senza dubbio stimolante, soprattutto perché ci mette alla prova nel risolvere problemi concreti», conclude Helmut Knoppel, responsabile del laboratorio. «Ma occorre stabilire quanto del nostro potenziale di ricerca può essere distolto dal programma di studi che ci viene assegnato dalla Comunità». Andrea Vico
ARGOMENTI: METEOROLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 086
ANCHE l'Italia nelle previsioni del tempo sta allineandosi agli altri Paesi europei per renderle più attendibili. Lo prova il lancio, dal cosmodromo di Plesetsk in Russia, di un piccolo satellite tutto italiano: il Temisat (TElespazio MIcro SATellite). E' un cubo di 36 centimetri di lato pesante 32 chilogrammi, progettato e finanziato dalla Telespazio del Gruppo Iri/Stet, che ruota intorno alla Terra sorvolando le regioni polari a un'altezza di 950 chilometri. Le apparecchiature del satellite sono in grado di raccogliere i dati trasmessi da 4000 stazioni automatiche e di distribuirli ad altrettanti centri di raccolta. I vantaggi dei piccoli satelliti sono svariati: possono essere lanciati in orbite basse con migliori possibilità di osservazione della Terra e bassa potenza di trasmissione; il costo è molto contenuto; aprono la via a nuovi sviluppi e applicazioni, stimolati dal basso costo di accesso per enti pubblici e privati. Temisat è destinato alla creazione di una rete autonoma di monitoraggio ambientale. Tra le possibili applicazioni è previsto il monitoraggio di bacini idrografici, del livello del manto nevoso, il controllo di dighe e ponti e dei livelli d'inquinamento, oltre a uno specifico monitoraggio oceanico, geologico, sismico, climatologico e agro-meteorologico. I dati, raccolti da un sistema di centraline con uno o più sensori, sono memorizzati momentaneamente a Terra sino al passaggio del satellite e alla relativa richiesta di trasmissione. Vengono poi trasmessi al satellite e di qui sono inviati ai vari centri di raccolta. Il servizio inizialmente sarà fornito su base giornaliera a utenti pubblici e privati in Italia, Europa e Bacino del Mediterraneo. Ma potrà essere esteso a qualsiasi parte del globo. Il vantaggio offerto da questo sistema di monitoraggio dell'ambiente consiste nel fatto che le stazioni di rilevamento possono operare autonomamente in luoghi remoti, sostituendo le costose verifiche dei tecnici e la rete di telerilevamento radio già in atto presso alcuni enti regionali, privati e militari, non sempre però sufficientemente in grado di coprire tutto il territorio interessato. Attualmente in Italia, Europa e area mediterranea esistono mille stazioni di rilevamento e 50 centri di raccolta in grado di collegarsi con Temisat. I sensori misurano ogni 24 ore automaticamente tutti i dati relativi al clima e all'ambiente. Dal 1994 questi dati, a pagamento, saranno a disposizione dei privati, che potranno utilizzarli per le più svariate necessità. E' possibile quindi un netto miglioramento delle previsioni in Italia a livello nazionale e regionale senza dover ricorrere ai servizi di altri Paesi. Giorgio Minetti
ARGOMENTI: INFORMATICA, ELETTRONICA
ORGANIZZAZIONI: AV AUDIO VIDEO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 086
LE prime vere innovazioni prodotte dall'informatica per la trasformazione della casa del 2000 (un'epoca che dovremmo cominciare ad abituarci a considerare molto vicina) vengono dalle applicazioni per l'ufficio. Si tratta di soluzioni che abbinano il computer ai due strumenti chiave della comunicazione quotidiana: telefono e televisore. Dopo il primo personal computer, l'Apple II, che ancora funziona in migliaia di scuole statunitensi (anche se Intel attribuisce ad Altair, nato nel 1975, il record di primo personal), e una serie di primati legati all'introduzione di funzioni grafiche nei piccoli computer e alla possibilità di avere il suono in entrata e in uscita, ancora una volta la casa di Cupertino sembra essere un passo avanti rispetto alla concorrenza (per la verità gli inseguitori stanno riducendo il distacco, Olivetti in testa con i nuovi portatili). Stiamo parlando delle tecnologie AV (Audio-Video), che integrano una serie di funzioni, in modo sparso già reperibili in alcune postazioni informatiche ma che fanno di Macintosh Centris 660 AV e Macintosh Quadra 840 AV le prime macchine Apple che ne possono disporre, come al solito in modo molto amichevole e senza dover smontare il computer per poterne usufruire. Queste nuove unità centrali, il cui costo è ancora elevato (si va da 1 milione e 500 mila ai 9 milioni), consentono di integrare telecomunicazioni, video e voce, accettano ordini per voce in forma ancora limitata all'uso di un idioma nordamericano, ma consentono la dettatura senza bisogno di addestramento, di testi, disponibili successivamente sullo schermo sotto forma di scrittura e pronti per essere letti o riascoltati. Funzionalità di grande supporto per disabili, con handicap nel campo della manualità o della vista. Grazie a un'architettura Geoport, ci si potrà collegare con un telefono al computer, che avrà funzionato da segreteria telefonica e da fax, e dare per voce l'ordine di inviare tutti i fax ricevuti nella notte a un altro numero, oppure di aprire un'altra funzione e di farci inviare gli ultimi risultati aggiornati delle vendite. Tecnologicamente, tutto ciò è reso possibile dall'adozione di un multiprocessore che accoppia il 68040 di Motorola al Dsp di At&t consentendo la digitalizzazione del suono. Tutti gli standard e segnali video sono accettati (Pal, Secam, Ntsc, videoregistratori, Cd-Rom, Foto o Kodak Cd) e le immagini possono essere trattate utilizzando Quick Time per costruire lezioni o presentazioni che contengano immagini in movimento, animazione grafica e suono. Per quanto riguarda la voce, la limitazione all'inglese riduce fortemente l'impatto sul mercato italiano, che nelle strategie di marketing viene dopo quello tedesco e francese. La notizia forse più interessante riguarda la possibilità di integrare questi sistemi con i Newton, le macchinette della dimensione di un telefonino che accettano la scrittura manuale e la traducono in file, a differenza delle attuali calcolatrici Sharp che si limitano a incamerare l'immagine della scrittura. Bruno Contigiani
Un microscopio da 100 ingrandimenti in regalo con il mensile «Scienza e vita» di dicembre. Tra tanti omaggi inventati nella storia dell'editoria, è certo il più utile e il più originale. In pochi minuti il lettore potrà montare lo strumento e partire all'esplorazione del microcosmo. Una goccia d'acqua, un capello, la zampa di una mosca riveleranno un gran numero di affascinanti particolari. «Scienza e vita» ha già regalato libri e programmi per computer: questa volta invita i lettori a praticare direttamente la ricerca. Tra gli articoli del numero di dicembre, l'«energia pulita» annunciata da Rubbia, gli interrogativi sulla manipolazione degli embrioni umani e un'intervista a Sharp, premio Nobel '93 per la medicina. Il consueto «dossier» di approfondimento è dedicato agli organi di senso.
Si è conclusa la terza edizione del concorso internazionale per costruttori di meridiane «Le ombre del tempo», organizzato dall'Unione astrofili bresciani. Per la sezione dilettanti il primo premio, è andato a Gian Carlo Croce di Chiavari; il secondo premio agli architetti Considine e Griffiths di Cottesloe, Australia. Ansel Jean Michel di St. Georges Le Gaultier (Francia) ha vinto il primo premio per i professionisti. Ancora per gli appassionati di astronomia: fino al 19 dicembre rimane aperta a Saronno, Villa Gianetti, la mostra «L'esplorazione del sistema solare».
Si parla di scienza ogni mattina alle 7,52 sul network Top Italia, che raggruppa più di cento radio private. Conduce Fabio Gariani. In collaborazione con il mensile «Le Scienze».
La cattedra di Psicologia Medica dell'Università di Torino organizza per venerdì 3 dicembre nell'Aula Magna dell'Istituto di Clinica Psichiatrica, un seminario di studio per medici e studenti sul tema «Percorsi formativi in psicologia medica».
La Clinica Ortopedica II venerdì 3 presenta al pubblico, al Centro Congressi Torino Incontri, una nuova protesi di ginocchio assai efficace.
ARGOMENTI: COMUNICAZIONI, TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 086
ULTIMO nato nel paese della microtecnologia, su dimensioni misurabili a micrometri e a nanometri, cioè a milionesimi e a miliardesimi di metro, il cronofono è da qualche giorno in vendita negli Stati Uniti. Nelle ridotte dimensioni di un piccolo orologio da polso, è il connubio di un cronometro con un minitelefono cellulare. A crearlo sono stati i giapponesi che lavorano nei centri di ricerca della Panasonic: l'hanno realizzato prendendo a modello un analogo aggeggio presentato nei fumetti di Dick Tracy, tanto popolari in America. Com'era da prevedersi, il cronofono, subito dopo la realizzazione, ha attraversato il Pacifico per giungere negli Usa dove, appena arrivato, è stato posto in vendita con immediato successo nonostante il prezzo, pari a circa un milione e mezzo di lire. Il minitelefonino incorporato nell'orologio da polso ricetrasmette i segnali radio alla frequenza di 900 megahertz, la stessa dei cellulari, e può memorizzare fino a dieci numeri per la richiamata automatica. Oltre al collegamento con il telefono base casalingo, può simultaneamente comunicare con altri quattro cronofoni. Vero gioiello della microtecnologia più raffinata, entro pochi centimetri di superficie e alcuni millimetri di spessore il cronofono concentra un minischermo a cristalli liquidi, un altoparlante, un microfono, una tastiera e un ricevitore. Un pregio del cronofono è anche quello di non consentire l'intercettazione delle sue trasmissioni, ogni tentativo al riguardo si tradurrebbe nell'ascolto di una serie di fischi. All'inizio del '94 il cronofono sarà in vendita anche in Italia. Mario Furesi
ARGOMENTI: ETOLOGIA, ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA
NOMI: EIBL EIBESFELDT IRENAUS
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 087. Comportamento umano
NELLA primissima infanzia Homo sapiens elargisce sorrisi a tutti. Poi, intorno ai sei mesi d'età, sviluppa un sentimento di paura verso gli estranei. Il risultato è un comportamento ambivalente di fronte a uno sconosciuto: gli sorride, poi si nasconde tra le braccia della madre, per voltarsi di nuovo cercando un contatto amichevole con lo sguardo. Sospesi fra diffidenza e amicizia, reagiscono in questo modo - oltre ai nostri figli - i piccoli dei Boscimani, i pacifici cacciatori raccoglitori del deserto del Kalahari; degli Yanomami, i primitivi agricoltori dalle abitudini guerriere dell'alto Orinoco; degli Eipo, gli agricoltori neolitici della Nuova Guinea; dei Balinesi, gli agricoltori dell'isola di Bali che conservano ancora intatte le loro radici culturali; degli Himba, i pastori guerrieri dell'Africa del Sud Ovest. La distribuzione universale di questo comportamento indicherebbe che il timore per gli estranei, come pure l'atteggiamento amichevole che gli si oppone, sono due tendenze «innate» della nostra specie. Noi uomini dobbiamo al primo la diffidenza verso il forestiero e la tendenza dei gruppi a mantenere intatta la loro identità; al secondo una naturale predisposizione all'amicizia. Da questa ambiguità dipendono le nostre relazioni con il prossimo, che saranno improntate alla cordialità o all'aggressività a seconda del tipo di educazione e di cultura che abbiamo ricevuto. Lo sostiene Irenaus Eibl-Eibesfeldt, l'allievo e collaboratore di Konrad Lorenz che ha fondato l'etologia umana, nel saggio «Etologia umana, le basi biologiche e culturali del comportamento» (Bollati Boringhieri, 1993), dove raccoglie la sintesi dei suoi studi. Eibl-Eibesfeldt parte dal concetto fondamentale dell'etologia proposto da Lorenz, secondo il quale gli individui di una stessa specie posseggono - grazie alla selezione naturale - un bagaglio di comportamenti «innati» adatti alla sopravvivenza. L'uomo non sfugge a questa regola, e quindi molti suoi comportamenti si devono ritrovare in tutte le popolazioni umane, anzi, anche in alcuni primati - gli scimpanzè per esempio - che li hanno ereditati dai nostri stessi progenitori. Ma l'uomo è anche frutto di una evoluzione culturale oltreché biologica, per cui la cultura si sovrappone alla predisposizione naturale, e queste due componenti si integrano vicendevolmente nel nostro modo di agire. E' al comportamento sociale che Eibl-Eibesfeldt guarda con interesse perché, proprio per le naturali predisposizioni che abbiamo ereditato dai nostri antenati, nelle relazioni con il prossimo «siamo meno liberi di quanto comunemente si ammetta». Come dimostra il perdurare di conflitti fra gruppi etnici, fra i due sessi e fra classi, nonostante le buone intenzioni. Mettere a fuoco una sorta di «grammatica universale» del comportamento sociale umano ha richiesto di indagare su popolazioni che avessero «fissato» in differenti forme di economia le tappe della nostra evoluzione culturale, dai cacciatori raccoglitori agli agricoltori. Cineprese fornite di uno speciale sistema di specchi hanno documentato, senza interferire, i momenti della vita quotidiana: fotogramma per fotogramma, il materiale ha dato una serie di informazioni che, integrate con altre proprie della psicologia, della sociologia e della psicanalisi, forniscono un quadro estremamente complesso e affascinante. Peccato che nel confrontare il nostro comportamento con quello degli altri animali non siano stati presi in considerazione i risultati raggiunti in questo campo negli ultimi anni, nonostante gli aggiornamenti di questa edizione rispetto all'originale dell'82. Dall'indagine di Eibl-Eibesfeldt gli uomini risultano più simili che diversi nei rapporti tra genitori e figli, tra marito e moglie, tra amici, tra vicini, tra estranei. E non mancano le sorprese, nonostante i nostri pregiudizi. Maria Luisa Bozzi
ARGOMENTI: GENETICA, RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 087
COSTERA' 8 milioni di corone svedesi (circa un miliardo e mezzo di lire) il primo topolino portatore della malattia di Alzheimer. La Svezia è stata scelta dal progetto europeo Genoma Umano per costruire un topolino che porti nelle proprie cellule lo stesso difetto ereditario scoperto in due famiglie svedesi, da otto generazioni colpite dalla malattia di Alzheimer. Il team svedese del Centro Alzheimer del Karolinska Institutet di Stoccolma si gioverà della collaborazione di colleghi tedeschi dell'Università di Heidelberg. In quello che è stato definito il «progetto Manhattan» dell'Alzheimer, i compiti sono ben distribuiti: gli svedesi isoleranno il gene difettoso da un membro delle famiglie colpite, lo purificheranno e lo cloneranno in modo da averne a sufficienza per numerosi esperimenti. Il team tedesco lo introdurrà in una cellula fecondata di topolino, che verrà poi impiantata nell'utero dell'animale. I topolini nati da questa cellula dovrebbero non solo portare il gene dell'Alzheimer, ma anche riprodurre gli stessi sintomi che colpiscono i pazienti. I topi-Alzheimer ritorneranno dalla Germania in Svezia per esami psicologici e neuropatologici, onde stabilire se effettivamente si tratta di un buon modello della malattia umana. Diversi tentativi compiuti in Usa e Giappone sono finora falliti e quindi non esiste ancora un modello vero della malattia su cui esperimentare nuove terapie. In Svezia, come negli Usa e in Inghilterra, la sperimentazione su modelli transgenici è non solo permessa ma fortemente incoraggiata e finanziata, mentre in Italia il Parlamento ha votato di recente misure assai limitative per questo tipo di esperimenti. La «mutazione svedese» sul cromosoma 21 è stata scoperta con un lavoro minuzioso e preciso, studiando la storia clinica di due famiglie nelle quali, dal 1750 al 1975, sono stati identificati ben 27 casi di Alzheimer. E' stata così dimostrata la dominanza assoluta di un gene difettoso, che reca un rischio del 50% in ogni nato, maschio o femmina che sia, di sviluppare la malattia all'età di 40-45 anni. Il difetto è piccolissimo ma fatale: lo scambio di due soli aminoacidi sulle centinaia che costituiscono il gene stesso. La mutazione, chiamata 670/671 dalla posizione dei due aminoacidi, è causata da una semplice trasposizione della coppia lisina/metionina e uno scambio con la coppia asparagina/leucina. Tale errore porta a un accumulo nelle cellule nervose cerebrali di una sostanza chiamata beta-amiloide che è caratteristica della malattia. Nelle famiglie dei pazienti che presentano casi precoci della malattia (40-50 anni) si è scoperta una mutazione del gene che codifica la produzione di un precursore della beta-amiloide. Ezio Giacobini Università del Sud Illinois
ARGOMENTI: ETOLOGIA, ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA
NOMI: EIBL EIBESFELDT IRENAUS
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 087. Comportamento umano
MADRE e figlio: secondo Eibl-Eibesfeldt, questo è il cardine della società umana. Non pensino quindi le femministe che l'istinto materno sia un'invenzione del maschio umano per tenere la donna a casa, costringendola a uno stato di dipendenza e inferiorità. Il legame madre-figlio si protrae fino all'età adulta anche negli scimpanzè, dimostrando di avere un'origine molto antica. Non solo: questo rapporto personale rende possibile l'amicizia, nella quale si utilizzano gli stessi segnali di dare e chiedere cure che caratterizzano l'interazione fra genitori e figli. Forse non c'è altro rapporto umano così ricco di comportamenti innati. Fin dalla nascita il figlio è adattato alla madre e la madre al figlio, di cui essa è lo «specchio biologico». Lei sola sa riconoscere, a differenza del padre, il proprio bambino dal pianto già poche ore dopo la nascita e sa interpretare i bisogni attraverso questa primitiva forma di linguaggio. Per la formazione di questo legame sembra siano molto importanti i primi minuti dopo la nascita. A favore di questa ipotesi sta il fatto che nelle culture dove viene praticato l'infanticidio per il controllo della popolazione (gli Eipo), una madre uccide la propria creatura subito dopo la nascita, volgendo lo sguardo altrove. Ma se instaura un contatto, non è più in grado di compiere l'infanticidio; oppure lo vive come un assassinio. Tutte le madri delle popolazioni primitive si portano il figlio al seno subito dopo il taglio del cordone ombelicale; e anche le madri occidentali a cui il neonato viene appoggiato sul ventre subito dopo il parto provano un forte coinvolgimento emotivo, che ha un influsso positivo sulla loro relazione con il figlio. Il piccolo risponde al contatto della madre volgendo il viso verso di lei, aprendo gli occhi e con una ricerca attiva del seno. Nella nostra specie il maschio è un esempio - raro nei mammiferi - di predisposizione innata al comportamento paterno. Anche se in modo diverso dalle madri - le donne si occupano più dei bisogni primari, gli uomini del gioco - tutti i padri del mondo trattano con molta tenerezza e affetto i figli. Anche gli uomini educati all'aggressività e alla guerra. I guerrieri Yanomami si portano il piccolo nell'amaca, lo baciano, lo accarezzano, lo lanciano in alto, gli porgono con la bocca cibo premasticato. E non disdegnano neppure di usare quella forma particolare di linguaggio - il cosiddetto babytalk - con cui in tutto il mondo gli uomini, le donne e i bambini, ma soprattutto le madri, si rivolgono ai neonati. Il babytalk ha caratteristiche costanti in tutte le culture: chi parla aumenta di un'ottava l'altezza del tono, accentua gli elementi importanti del discorso, usa vocaboli chiari e semplici e poche regole grammaticali. Il padre completa la diade madre-figlio. Il suo legame con la donna, basato sull'intimità sessuale, e il coinvolgimento nella cura dei figli portano all'unità famigliare. Nelle popolazioni primitive la famiglia è allargata a tutti i parenti e questo fattore dispone alla formazione di gruppi di piccole dimensioni dove tutti si conoscono (la metropoli moderna non risponde alle nostre disposizioni naturali). Il gruppo abita in un territorio che i maschi difendono in modi diversi a seconda delle culture. Un comportamento documentato anche negli scimpanzè, per cui è probabile che lo abbiamo ereditato entrambi da progenitori comuni. Ma non ci deve spaventare se un notevole numero di comportamenti umani affonda le radici nelle scimmie che eravamo in un lontano passato. «E' importante conoscere gli schemi primitivi di azione-reazione che determinano il nostro modo di agire e non comportarci come se questi non esistessero», dice Eibl-Eibesfeldt. Questa conoscenza può aiutarci a controllare gli istinti e a imparare a gestire più razionalmente gli eventi. Riusciremmo così a evitare gli attriti razziali, le discriminazioni sessuali, i conflitti di classe. E ognuno avrebbe la giusta mercede. Se questo è il traguardo, ben venga l'etologia umana.(m. l. b.)
ARGOMENTI: BOTANICA
ORGANIZZAZIONI: ROYAL BOTANICAL GARDENS
LUOGHI: ESTERO, GRAN BRETAGNA, LONDRA
NOTE: 087
TRA i molti e splendidi giardini di cui la Gran Bretagna è ricca e fiera, i Kew Gardens di Londra hanno diritto al primo posto per la loro funzione scientifica, oltre che estetica. La nascita di questi giardini, il cui vero nome è Royal Botanical Gardens, risale al XVIII secolo e si deve al re Giorgio III della dinastia Hannover: amante della terra e delle piante tanto da essere soprannominato «Farmer George», egli viveva nel palazzo di Kew, circondato da bellissimi giardini. L'idea di creare un giardino botanico venne alla madre, principessa Augusta di Sassonia Coburgo e quando Giorgio III salì al trono, decise di attuare il progetto della madre e Kew divenne presto famosa in tutto il mondo. Il piccolo giardino botanico fu acquistato dallo Stato ed ampliato nel 1841 e nel 1876 fu fondato il laboratorio di studi e di ricerca Jodrell. Da quel momento, i Kew Gardens diventarono una vera e propria istituzione scientifica, anche se appaiono come un parco pubblico, dato il gran numero di visitatori (almeno un milione e mezzo l'anno). Tra i compiti più importanti del giardino botanico c'è la classificazione dei vegetali, un'attività iniziata durante il colonialismo, quando i viaggiatori arrivavano in Inghilterra portando esemplari di piante e fiori provenienti da tutti gli angoli dell'impero. Ancora oggi arriva a Kew un gran numero di piante, ognuna delle quali viene identificata e catalogata, purché si tratti di piante originali, in quanto i botanici di Kew non si occupano di ibridi. I giardini ospitano oggi 80 mila piante, oltre a un erbario, fondato nel 1852, che comprende più di 5 milioni di specie, a cui si aggiungono 35 mila piante conservate in alcol. I punti più noti di Kew sono la Palm House, un capolavoro di ingegneria vittoriana, che ospita piante della foresta pluviale, il roseto, che in estate è una delizia di colori e profumi, la casa delle ninfee e la Casa Temperata, un elegante edificio che ospita agrumi, piante del té e molte specie esotiche. Il lato Ovest è un bosco, pieno di betulle, castani, pioppi e querce, oltre alla valletta dei Rododendri, disegnata dal famoso architetto Capability Brown. In questo paradiso trovano rifugio molti uccelli selvatici, oltre alle immancabili papere che popolano i cinque laghetti del parco. Una guida distribuita all'ingresso spiega dettagliatamente che cosa si può vedere al meglio nei diversi mesi dell'anno, e, con una simile ricchezza di piante, l'inverno non ha nulla da invidiare all'estate. Ma Kew non è solo un giardino. C'è una biblioteca ricca di 100 mila prime edizioni, con 170 mila riproduzioni grafiche di fiori e piante. Ci sono graziosi edifici, tra cui il Queen's cottage, costruito nel 1770 per la regina Charlotte, moglie di Giorgio III, in una parte del giardino che ospitava i suoi animali domestici e usato dalla famiglia reale per prendere il té o fare colazione. Ci sono inoltre alcuni tempietti e una pagoda, due gallerie d'arte e una sala per esposizioni, nonché due negozi e tre ristoranti. Una delle attività più importanti degli studiosi dei Kew Gardens sta nelle informazioni e insegnamenti forniti ai Paesi del Terzo Mondo, nel tentativo di stimolarne l'interesse nei confronti della propria flora e spingerli a proteggere la vegetazione e, se necessario, incrementarla. Questa attività scientifica è però poco nota al pubblico inglese, che considera i giardini semplicemente un magnifico posto dove andare per un picnic domenicale (lasciandoli peraltro impeccabilmente puliti) e li ama e li rispetta come solo gli inglesi sanno amare e rispettare il loro patrimonio storico e naturale. Quando nell'ottobre 1987 un tremendo uragano colpì l'Inghilterra meridionale, la nazione soffrì più che altro per i danni subiti dai Kew Gardens, dove il 10 per cento degli alberi, tra cui alcuni dei più grandi e dei più rari, furono abbattuti dal vento. I danni sono ancora ben visibili e non sono, purtroppo, rimediabili, ma non sono riusciti a togliere a Kew niente del fascino e dell'unicità che ne fanno uno dei giardini più belli del mondo. Patrizia Krachmalnicoff
Uno dei meccanismi di difesa dagli agenti esterni è il sistema immunitario. La sua ipersensibilità conduce però a fenomeni allergici quali l'asma, la rinite, l'eczema e l'orticaria. Tutte malattie inspiegabilmente in aumento.