TUTTOSCIENZE 3 novembre 93


STRIZZACERVELLO Strani numeri telefonici
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 072

Strani numeri telefonici Due studiosi di matematica si incontrano dopo molto tempo; il primo va di fretta e prega l' altro di richiamarlo all' università il giorno dopo: «Chiamami al mio interno e se dovessi trovarlo occupato prova sul diretto». «Che numero hai? » si informa il secondo. «Tieni presente che l' interno è un numero di quattro cifre mentre il diretto ne ha sette; entrambi, se si inverte l' ordine delle cifre, danno origine a due loro divisori perfetti, il primo per 4 ed il secondo per 9». «Mi pare un po' poco] » ribatte l' altro. «Aggiungo che i due numeri hanno in comune solo le cifre 1 e 8» conclude il primo, scomparendo oltre la porta. Quali numeri dovrà formare l' incredulo matematico? La soluzione come sempre domani, accanto alle previsioni del tempo. (A cura di Alan Petrozzi)


Piccolo laboratorio Formiche sotto vetro Facili da tenere, interessanti da guardare
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 072

Le formiche sono insetti sociali, che vivono e lavorano insieme per il bene di tutti i membri della colonia. Ce ne sono migliaia di specie, onnipresenti là dove il clima non è troppo freddo. Si nutrono di insetti nocivi e sono a loro volta cibo per altri esseri Una colonia inizia con l' accoppiamento di una regina con un maschio e la deposizione delle prime uova. La regina continuerà a deporre uova per il resto della sua lunga vita. I maschi non vivono a lungo: servono solo per fecondare la regina. Tutto il lavoro viene fatto dalle operaie. Quasi tutti i nidi si trovano sottoterra e sono formati da diverse camere collegate fra di loro con gallerie. Sono sempre ben forniti di cibi, pulitit e dottati di quartieri invernali molto profondi, al riparo dal freddo. Con la terra degli scavi si costruiscono i tumuli esterni. Foglie e rametti coprono gli ingressi


PLASTICA Raccolta a gonfie vele Ma dopo?
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, RIFIUTI, RICICLAGGIO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 069

IN Germania i primi risultati della legge Topfer sono ritenuti incoraggianti; il sistema di raccolta, secondo il consorzio che lo gestisce, ha già raggiunto il 96 per cento delle famiglie; di sola plastica nel ' 92 sono state raccolte oltre 100 mila tonnellate, per il ' 93 si prevede di raccoglierne da 250 a 400 mila tonnellate. Si sono diffusi imballi riutilizzabili, la metà dei succhi di frutta si serve di imballi «a ritorno». I «blister», cioè gli involucri di plastica impiegati nella presentazione di numerosi prodotti, stanno rapidamente scomparendo, quasi che se ne sia improvvisamente rivelata l' inutilità: prima erano in uso per 146 prodotti, oggi lo sono per uno soltanto. Un' indagine compiuta su 452 oggetti di 315 aziende ha rivelato che nel 26 per cento dei casi queste avevano eliminato del tutto gli imballaggi e nel 50 per cento li avevano ridotti. In Italia, in attesa di una legge che riguardi tutti gli imballaggi, il Consorzio obbligatorio per il riciclaggio dei contenitori in plastica per liquidi ha inaugurato lunedì 18 ottobre a Montemurlo, in provincia di Prato, un impianto a «ciclo chiuso» per il riciclaggio dei contenitori in plastica per liquidi. E' il primo, e per ora unico, del genere nel nostro Paese.


DIRETTIVA CEE Restituire Ridurre Riutilizzare
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, RIFIUTI, RICICLAGGIO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 069

LA direttiva in discussione alla Cee ha come principio fondamentale quello della corresponsabilità di chi produce o fa circolare imballaggi, cioè fornitori delle materie prime, utilizzatori, distributori e commercianti. Obiettivi principali: ridurre la produzione di rifiuti da imballaggio; recuperarne la maggior quantità possibile; ridurre al minimo la quantità di tali rifiuti da destinare allo «smaltimento definitivo», cioè alla distruzione negli inceneritori o al seppellimento nelle discariche. Entro dieci anni dall' entrata in vigore, dovrà essere possibile recuperare il 90 per cento degli imballaggi; il 60 per cento di questi dovrà essere riciclato. Per la stessa data i residui destinati allo «smaltimento definitivo» non dovranno superare il 10 per cento. Gli Stati membri della Comunità dovranno dotarsi di sistemi per la restituzione degli imballaggi da parte dei consumatori e per la loro riutilizzazione; adottare un sistema di marcatura che favorisca l' identificazione, la restituzione e il recupero; eliminare dal mercato gli imballaggi inadatti al recupero e al riuso. I nuovi imballaggi dovranno contenere una certa quota di prodotti provenienti dal riciclaggio.


IN GERMANIA La nuova era del «vuoto a rendere» Imballaggio addio] «Riciclare»: parola magica, ma falsa soluzione
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, RIFIUTI, RICICLAGGIO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 069

ALL' INIZIO si chiama packaging ed è una di quelle attività emergenti di cui si occupano manager rampanti e a cui si dedicano convegni e libri. Il packaging (in banale italiano: «imballaggio» ) deve servire a proteggere il prodotto ma anche a farlo vendere, farlo entrare nella borsetta dell' impiegata o nello zainetto dello scolaro. Deve incontrare gli occhi, catturare dai banchi dei supermercati l' attenzione delle massaie e accendere i desideri dei loro bambini. E' il trionfo della plastica e del design. Un vasetto di yogurt può persino essere bello. Subito dopo, però, il packaging diventa scoria del consumismo, immondizia. Allora nessuno se ne vuole più occupare. Qualche anno fa alcune enormi chiatte cariche di rifiuti percorsero più volte su e giù l' Atlantico davanti alle coste americane, alla ricerca di un posto che le accogliesse. Non so come sia finita. Da noi in genere si preferisce sotterrare i rifiuti nelle discariche, ma possibilmente sempre nel Comune vicino. Succede anche, qualche volta, che qualcuna di queste discariche lasci colare i suoi liquami nelle falde degli acquedotti oppure, come durante recenti nubifragi, che un fiume in piena irrompa in una di esse e ne trascini a valle il contenuto spargendolo ovunque. Per evitare tutto questo, qualcuno, negli anni scorsi, aveva pensato di portare il pattume made in Italy in Nigeria; ma i nigeriani quando se ne sono accorti si sono arrabbiati moltissimo. Naturalmente gli imballaggi non sono tutte le scorie delle nostre società ricche; ne sono però una componente impressionante. Secondo uno studio eseguito dalla Ernst and Young Revisione e studi ambientali per conto del Comitato per l' imballo ecologico e la Pro Carton, in Italia sono la parte principale dei rifiuti solidi urbani. Nel 1990 gli imballaggi hanno prodotto più di 12 milioni di tonnellate di scarti, nel ' 91 siamo passati a 12 milioni 700 mila tonnellate e il trend è ascendente. Circa 5 milioni di tonnellate sono costituiti da imballaggi primari, cioè «funzionali alla vendita» e quindi finiti in mano ai consumatori. Per il resto si tratta di imballaggi secondari e terziari, cioè impiegati nel trasporto, nella commercializzazione e nella distribuzione, e quindi rimasti nelle aziende di questi settori. Il riciclaggio sembrerebbe la formula magica per risolvere il problema perché elimina una parte più o meno grossa dei rifiuti e ne recupera la materia prima. Ma può anche essere una falsa soluzione perché la spesa per la raccolta differenziata, l' inquinamento causato dagli autocarri che percorrono la città per effettuarla, l ' energia (e relativo inquinamento atmosferico) necessaria per ottenere la «materia seconda» spesso hanno un costo (economico ed ecologico) spropositato. Ma anche quando il recupero fosse una strada percorribile possono presentarsi situazioni imbarazzanti. Esempio: in applicazione della Legge Topfer, in Germania si sono accumulate quantità enormi di materali di recupero come plastica, carta, vetro, metalli; le industrie tedesche ne riciclano solo una piccola parte, quella che il mercato assorbe. Così si assiste a una massiccia esportazione verso l' estero a prezzo nullo o addirittura negativo. La conseguenza è che i materiali da riciclare in tali Paesi hanno perduto ogni valore e nessuno ha più interesse a raccoglierli. Quando il riciclaggio diventerà obbligatorio in tutta la Cee (e dovrebbe avvenire presto), ci si ritroverà con un' enorme quantità di materiale recuperato a caro prezzo di cui non si saprà che fare. Così comincia a farsi strada il sospetto che forse l' unico modo per eliminare i rifiuti (di tutti i generi, ma principalmente da imballaggio) sia quello non produrli affatto, o perlomeno di produrne il meno possibile. Esattamente il contrario di quello che è avvenuto finora. Questo obiettivo, parallelo a quello del riciclaggio, fa già capolino nella legge Topfer ma è la vera novità della «direttiva» in discussione alla Cee. Discorso non facile, evidentemente, perché contrasta con l' interesse dei fabbricanti di imballaggi (basta ricordare le strazianti proteste dei fabbricanti di sacchetti di plastica quando in Italia si tentò di colpirli con una piccola tassa che doveva limitarne l' uso); e perché costringerebbe le industrie a rivedere i sistemi di produzione e di distribuzione. Ma può funzionare: in Germania certi prodotti sono già venduti senza scatola, sono ricomparsi i contenitori in plastica riutilizzabili. L' allegra pratica del «vuoto a perdere» (cioè da buttare nella spazzatura o da abbandonare nei prati dopo il picnic) diventa più difficile, mentre i negozi si stanno riattrezzando per ritirare le bottiglie dell' acqua minerale riportate dai clienti.


PROGETTO HELIANTUS In volo con l' energia del Sole L' aereo elettrico, lento ma pulito
Autore: BERNARDI MARIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

DA più di 70 anni l' uomo ha imparato a utilizzare per il volo a vela l' energia solare in modo indiretto: le correnti ascensionali che consentono il veleggiamento sono infatti il prodotto del meraviglioso laboratorio termodinamico dell' atmosfera che il Sole alimenta con i suoi raggi. Prende invece corpo solo nell' ultimo decennio l' idea di utilizzare per il volo l' energia solare in modo diretto, estraendola per effetto fotovoltaico da celle di rivestimento delle superfici dell' aereo. La prima significativa realizzazione sperimentale in questa direzione risale al 1980. In quell' anno l' americano McCready converte in «solare» un velivolo originariamente concepito per esperienze di volo a propulsione muscolare. Il 18 maggio l' aereo si libra per 14 secondi e pochi giorni dopo effettua un volo di 14 minuti: ai comandi il figlioletto del progettista, favorito nel ruolo di collaudatore, grazie al suo peso di soli 40 chilogrammi. Un anno dopo lo stesso McCready realizza presso il Mit (Massachusetts Institute of Technology) il primo velivolo costruito espressamente per la propulsione solare: il «Solar Challanger». Le esperienze di McCready culminano il 7 luglio 1981 con la traversata della Manica e con un volo di 8 ore e 4000 metri di quota massima. La velocità raggiunta è di 70 km/ora. Per la miglior realizzazione di un aeroplano a energia solare la città di Ulma ha bandito per il 1986 un concorso: il Premio Berbingler di 100. 000 marchi. La velocità dell' aereo non dovrà risultare inferiore a 120 km/ora: da confrontare con i 70 km/ora del «Solar Challanger». Basterebbe questa prestazione a significare il forte progresso anticipato da una giuria composta da qualificatissimi rappresentanti della comunità scientifica tedesca. La sfida è stata raccolta anche da un gruppo di tecnici italiani con il progetto di un velivolo che si chiama «Heliantus» (nome scientifico del girasole). L' iniziativa ha preso il via da Torino ad opera di Pierluigi Duranti, un ingegnere che, impegnato professionalmente nella sperimentazione di velivoli a getto, si occupa per diletto di aeroplani leggeri di costruzione amatoriale. Nel tema progettuale convergono le tecnologie più avanzate e innovative: dalla ricerca dei migliori mezzi di conversione fotovoltaica allo studio di soluzioni propulsive, strutturali ed aerodinamiche «estreme» per rendere la sostentazione del mezzo compatibile con l' esiguità delle potenze disponibili. La potenza dell' irraggiamento solare che in condizioni «ideali» raggiunge la Terra rappresenta poco più di un cavallo per metro quadro. Purtroppo nel processo di utilizzo questo valore viene subito abbattuto dal basso rendimento della conversione fotovoltaica: nonostante i progressi stimolati dalle applicazioni spaziali i migliori convertitori (Arseniuro di Gallio e Silicio monocristallino) non superano il rendimento pratico del 15 per cento. A valle della generazione, i motori a corrente continua raggiungono rendimenti del 95 per cento; ma i riduttori, necessari per portare i loro altissimi giri ad azionare eliche di grande raggio e bassa velocità, danno luogo a una perdita addizionale di circa il 3 per cento. Tenuto conto di una ulteriore erosione di circa il 2 per cento dovuta al rendimento delle eliche, in condizioni di insolazione media ci si ritrova con una potenza propulsiva netta di meno di un decimo di cavallo per metro quadro di superficie esposta. E poiché in un ipotetico motoaliante questa si può considerare dell' ordine dei 20 25 metri quadri, la potenza propulsiva disponibile risulterà dell' ordine dei 2 cavalli. Per poter volare con questa potenza occorre anzitutto una struttura che a parità di geometria e di robustezza, pesi meno della metà di quella di un aliante di tecnologia spinta: non più di 100 kg, motori ed eliche compresi. A tale scopo, oltre all' ottimizzazione della configurazione e delle tecniche costruttive, è essenziale l' utilizzazione dei materiali più avanzati: matrici composite progettate per la specifica funzione di ciascun elemento strutturale. Il volo a energia solare si effettua a velocità più prossime a quelle degli uccelli che a quella degli aerei a getto. Mentre il Progettista degli uccelli ha pensato con gli accorgimenti più sofisticati a minimizzare la potenza necessaria al volo lento, in aviazione l' aerodinamica dei bassi numeri di Reynolds ha ricevuto modesta attenzione, merita grande impegno e promette notevoli ritorni per il successo dell' impresa. Quanto detto delinea, se pur sommariamente, un impegno di grande complessità e interesse, su un fronte interdisciplinare a 360 di orizzonte: del team del Progetto «Heliantus», oltre a ricercatori e studenti laureandi guidati dai professori Giulio Romeo e Fulvia Quagliotti del Dipartimento di ingegneria aeronautica e spaziale del Politecnico di Torino, fanno parte anche il professor Casarosa del Dipartimento di ingegneria dell' Università di Pisa, il professor Morino del Dipartimento di ingegneria aeronautica dell' Università di Roma e il professor Carbonaro dell' Istituto di Aerodi namica «Von Karman» di Bru xelles. Tra le esperienze specialistiche disponibili all' interno del gruppo, figurano le auto a energia solare realizzate presso il Politecnico di Milano sotto la guida del professor Crepaz e la motorizzazione elettrica di un aliante ad opera di Pogliani e Rosati. Qualcuno potrà ravvisare nell' impresa lo sforzo di adeguarsi a esigenze ecologiche: l' aereo elettrico non fa rumore e non inquina. Altri potrà apprezzare l' idea di utilizzare fonti rinnovabili nel quadro del risparmio energetico. I cultori del volo sportivo potranno plaudire alla ricerca di un rinnovamento che associa il fascino del volo a vela e la praticità del volo a motore nel massimo rispetto della natura. Ma tutti vorranno riconoscere nel programma un' occasione, rara per i giovani d' oggi, di prendere parte a un' impresa in cui sapere, entusiasmo e tenacia giocano al livello della fantasia più innovativa. Mario Bernardi


DENDRITI Cristalli come alberi Intervenire sulla direzione di crescita
Autore: BEDARIDA FEDERICO

ARGOMENTI: CHIMICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

NEL 1917 in Inghilterra veniva pubblicato un libro dal titolo «On growth and form» (Sulla crescita e sulla forma), poi tradotto in italiano per Boringhieri ( «Crescita e forma» ). Il nome dell' autore è Sir D' Arcy Wentworth Thompson. Il libro è affascinante. A suo tempo aveva ottenuto ottime recensioni non solo scientifiche, ma anche dal punto di vista letterario: raro esempio di unione delle due culture, l' umanistica e la scientifica. Il testo, chiarissimo è ricco di disegni di vari tipi di forme che appaiono in natura: una goccia che cade, i getti di uno zampillo, i medusoidi a goccia, la struttura esagonale del parenchima del mais e quella ben nota di un alveare, le spicole di spugne calcaree e i cristalli di neve, la palla dell' Aulonia hexagona che fa venire in mente la struttura del fullerene, le bolle di sapone, la traiettoria a spirale del volo di un insetto che si dirige verso la luce, la spirale del corno di un animale e quella di una pianta e quella di una conchiglia, la forma finale di un cristallo e la struttura della testa del femore così simile agli archi portanti di una cattedrale gotica. Bernard Perrin e Patrick Tabeling della Scuola Normale Superiore di Parigi si chiedono oggi se «comprenderemo un giorno le forme che la natura produce, nella loro immensa diversità ». Il problema enorme e affascinante aperto anni fa da D' Arcy Thompson è in cerca oggi di una soluzione adeguata. Un primo passo, piccolo fin che si vuole, è stato tentato e riguarda quei cristalli particolari che si chiamano dendriti, forme cristalline di aspetto arborescente. Partiamo prima di tutto dalle forme che i cristalli assumono quando crescono in «quasi» equilibrio termodinamico nel mezzo fluido che li circonda. Queste forme dipendono soprattutto dalla temperatura. In questo modo quei cristalli si sviluppano più o meno ugualmente nelle tre direzioni dello spazio. Sono quei cristalli limitati da facce che si vedono «anche» nei musei di storia naturale. Ne sono un esempio il quarzo, la pirite, la calcite, il diamante e tantissimi altri. Le facce non sono altro che piani atomici, nell' interno del cristallo sovrapposti come le carte di un mazzo. Con una diversità sostanziale: i piani atomici sono sempre legati tra di loro, più, o meno saldamente, le carte no. Un' altra categoria di cristalli è quella che presenta forme all' equilibrio senza facce, per esempio le gocce cristalline dell' elio solido o del naftalene o di altre sostanze. Questi cristalli avranno la forma esterna loro imposta dalla simmetria dell' ambiente: si tratterà di sfere se la temperatura dell' ambiente è uniforme. Interessano soprattutto lo specialista. Sia le forme limitate da facce, sia le forme sferiche rappresentano uno stato della materia ordinato. Al contrario, se c ' è un disequilibrio termico più o meno marcato nel fluido in cui il cristallo cresce, nasceranno forme nuove che si possono considerare meno simmetriche e meno ordinate delle precedenti. Per un raffreddamento molto rapido tendono a formarsi le dendriti, i cristalli con una forma ramificata. I fiocchi di neve sono la forma più nota. La velocità di crescita può essere all' incirca di quattro millimetri all' ora. Le dendriti sono comuni anche nella crescita cristallina dei metalli e nella metallurgia delle leghe. Bernard Perrin e Patrick Tabeling hanno calcolato che nel mondo si formano circa mille miliardi di dendriti al secondo. Miliardo più o miliardo meno, può servire a dare un ordine di grandezza. Le dendriti crescono di solito secondo una direzione privilegiata, un po' come fanno le felci. A questo punto l' ingegnere e perché no, il cristallografo possono intervenire sul processo e cercare di agevolare la crescita delle dendriti secondo questa direzione principale. Intervenendo sulla direzione di crescita si possono ottenere blocchi di metallo con proprietà migliorate secondo quella direzione e subito utilizzabili da un punto di vista pratico. L' esempio che si cita sempre è quello delle pale delle turbine. Tutto quanto si è appena detto non è che un esempio pratico di problema disordine ordine (fluido dendrite cristallo). I problemi disordine ordine e viceversa sono uno dei temi dominanti della scienza di questi ultimi anni; non solo in fisica, anche in chimica, in biologia, in medicina, nelle scienze sociali, nei problemi del traffico, in borsa. Problemi di oggi? No, problemi di ieri. Già alla fine del secolo scorso il grande matematico e filosofo francese Henri Poincarè ne aveva capito l' importanza con grande anticipo e cominciato a stabilirne le fondamenta. Federico Bedarida Università di Genova


ARS TECHNICA La danzatrice balla con il robot Una serie di progetti per riconciliare l' arte con la tecnologia
Autore: INFANTE CARLO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, ARTE
NOMI: TORRIANI FRANCO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

E' possibile coniugare l' arte con la scienza e le tecnologie? Non dovrebbero esserci dubbi. Certo che sì. Meglio ancora sarebbe iniziare a pensare che queste differenze nel prossimo futuro si dissolveranno. Le tecnologie si faranno sempre più «linguaggio» e l' arte si tradurrà nella sensibilità per esprimerle nel modo più umano e intelligente possibile. Nel frattempo, in un Paese come l' Italia, in cui la ricerca raramente trova sostegno istituzionale e politica di mercato, la sperimentazione artistica in alcuni casi si è imposta per le sue risultanti scientifiche, e prima di tutto sul fronte percettivo, nel sondare le modificazioni psicologiche nell' atto del vedere e del sentire. La separazione tra arte e scienza è un equivoco prodotto dalla razionalità positivista; se pensiamo a quanto nella storia dell' arte sia inscritta l' evoluzione dell' uomo occidentale, dall' invenzione rinascimentale della «prospettiva» in poi... E' quindi importante cogliere le peculiarità di un' esperienza come Ars Technica, l' associazione fondata nel 1989 a Parigi da Claude Faure, Piero Gilardi e Piotr Kowalski, che recentemente ha presentato alla Galleria d' Arte Moderna di Torino, in un affollato seminario internazionale dal titolo «Tecnoscienze, Intuizione Artistica e Ambiente Artificiale» un ampio panorama di opinioni e progetti d' autore. Questi ultimi sono stati selezionati nell' autunno scorso a Parigi alla Cité des Sciences de La Villette e rappresentano uno spaccato emblematico di una ricerca tra arti e tecnologie. Progetti utili per cogliere in senso pratico e non solo teorico delle risposte molteplici alla domanda posta da uno dei conduttori del seminario, Franco Torriani: «Qual è il rapporto tra intuizione artistica, così legata alla sensibilità umana e al desiderio di universalità e ambiente artificiale, così indissolubilmente legato alle tecnoscienze? ». Si va dall' idea di trasposizione visiva di un «messaggio di crescita nelle piante» di Max Albert all' installazione fotonica ispirata alla «Grande Luce» della Bomba su Hiroshima progettata da Ennio Bertrand; dalla danzatrice immateriale pilotata da un braccio robotizzato creata al computer da Akke Wagenaar alle apparizioni per esiti mentali di Piero Fogliati; dal progetto musicale per «testi interattivi tramite Banca Dati» di Tommaso Tozzi alle sculture acustiche di Bill Fontana; dal «teatro digitale» creato da autori telematici come Giorgio Vaccarino all' ambiente sonoro per visitatori navigatori di Cecile Le Prado. Progetti (tra cui segnaliamo anche quelli di David Boeno, Alain Fleisher, Marco Galloni Piercarlo Porporato, Bernard Gitton, Sarah Holt, Pierre Lob stein, Erik Samak, Jean Metais, Pietro Mussini, Denis Pondruel, Pierre Van Berkel, Jun Takita e Giancarla Verga) ideati spesso con un' attitudine artigianale che va oltre la pura applicazione tecnologica. Carlo Infante


Scaffale Angela Piero e Alberto: «Il pianeta dei dinosauri», Nuova Eri/Mondadori
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: PALEONTOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

I libri di Piero Angela seguono la stessa evoluzione dei suoi programmi televisivi: vanno verso la spettacolarizzazione. E' probabilmente una via obbligata per inseguire un pubblico che tende ad allontanarsi dalla lettura se a propiziarla non ci sono immagini forti, paragonabili a quelle del cinema e della Tv. Ma questa via non è necessariamente una concessione ai gusti più facili o ai tempi più superficiali. «Il pianeta dei dinosauri», che Piero Angela ha scritto con il figlio Alberto, paleontologo, ha tutto il rigore informativo dei libri precedenti, quelli che erano fatti quasi soltanto di testo. Ma in più ha un apparato illustrativo che per motivi di costo, sarebbe stato impossibile realizzare esclusivamente per un libro: per esempio le splendide tavole in cui si vedono i dinosauri in azione nel loro ambiente naturale o le fotografie che ci mostrano Alberto sulle tracce dei grandi rettili estinti nei luoghi più remoti del pianeta. In certo senso, questo è un libro multimediale: si avvale delle scenografie e delle immagini del programma televisivo di Rai 1 e ha un ritmo, nella spezzettatura del testo, che si avvicina a quello dei media elettronici. In più, ovviamente, ha quella «permanenza» dell' informazione che è esclusiva della carta stampata, una qualità che mantiene intatta la funzione e la specificità del libro anche in piena era dell' immagine.


Scaffale «Urano e Nettuno», videocassetta «Le Scienze» /Mondadori Video
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

La sonda «Voyager 2» è forse il più grande successo della Nasa dopo le missioni «Apollo» che portarono allo sbarco sulla Luna. Ancora attiva, la navicella pochi mesi fa ci ha regalato l' ennesima scoperta: ha captato segnali che indicano il confine tra l' eliosfera, cioè la regione entro la quale il Sole fa sentire la sua presenza tramite un «vento» di particelle atomiche, e lo spazio interstellare. Ma il grosso pubblico ricorderà soprattutto le ultime due esplorazioni planetarie del «Voyager», svolte su Urano nel 1986 e su Nettuno nel 1989. La sonda non era stata progettata per compiere quelle imprese: fu dunque riprogrammata e adattata alle nuove condizioni operative. I risultati sono ora visibili in questa videocassetta della durata di 15 minuti, prodotta con le immagini del Jet Propulsion Laboratory della Nasa. Un documento da non perdere.


Scaffale Vannozzi Giancarlo: «Manuale di scienza dell' alimentazione» , Nis (La Nuova Italia Scientifica)
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

Tutte le ricerche epidemiologiche ci dicono quanto importante sia l ' alimentazione nell' assicurare un aumento della vita media. L' Italia, da questo punto di vista, sta bene, la dieta mediterranea ha portato la nostra speranza di vita ben più avanti di quella degli statunitensi e l' avvicina a quella dei giapponesi, il popolo più longevo del mondo. Nonostante ciò la scienza dell' alimentazione in Italia non arriva alla massa dei cittadini, anche perché la scuola fa ben poco in questa direzione. In compenso dietologi di dubbia preparazione imperversano sui giornali e impinguano nei loro studi assediati da pazienti alla ricerca della linea perduta. Il rigoroso e chiarissimo manuale di Giancarlo Vannozzi potrebbe imprimere una svolta alla cultura dietologica nel nostro Paese. Dopo una trattazione completissima e organica, una serie di tabelle completa il volume con tutti i dati concernenti centinaia di cibi. Pure edito dalla Nis, è da segnalare «Bioetica in sanità », di Sandro Spinsanti, tema attualissimo non solo per gli echi giornalistici della pretesa «clonazione» di embrioni umani o per il «sorteggio» a cui vengono sottoposti i malati di certe malattie per le quali scarseggia il farmaco ma anche per questioni che riguardano ognuno di noi: per esempio il «consenso informato» sulle terapie a cui veniamo sottoposti, la schedatura informatica dei pazienti e così via. Piero Bianucci


UNO STRANO CORTEO Pollastrelle] Incesto e omosessualità tra i polli sultani quando i giovani non trovano territori per sè
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ZOOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 071

CAPITA alle volte agli studiosi un colpo di fortuna: poter vedere con i propri occhi un comportamento inedito, sorprendente, ignoto alla scienza. Questo è successo allo zoologo John L. Craig dell' Università di Auckland (Nuova Zelanda) e al suo allievo fresco laureato Ian Jamieson. Nel corso di una ricerca sul comportamento sessuale del pollo sultano (Porphyryo porphyryo), nello Shakespear Park, vedono un giorno uno strano corteo: cinque polli sultani in fila indiana che seguono una femmina. A un certo punto lei si ferma e si accovaccia in una posizione inequivocabile, che indica la sua disponibilità al connubio. Gli studiosi hanno precedentemente munito gli uccelli di un anellino di riconoscimento, per cui sanno benissimo identificarli uno per uno e conoscono il grado di parentela che li lega. Per questo rimangono alquanto sorpresi quando riconoscono tra i polli in processione rispettivamente il padre, la madre, il fratello e lo zio della femmina che fa da capofila. Ma la loro meraviglia giunge al colmo quando vedono che proprio il padre monta la figlia e si accoppia con lei, mentre gli altri congiunti stanno tranquillamente a guardare. Bisogna dire che anche nel mondo degli animali, come in quello degli uomini, l' incesto generalmente è tabù. E' probabilmente un istinto quello che li spinge a evitarlo. Accoppiarsi con un consanguineo può essere molto rischioso. Perché possono sommarsi i geni «cattivi», dando origine a un individuo malato, deforme o comunque anormale. Inoltre, con un numero ridotto di geni diversi, si viene ad annullare uno dei maggiori vantaggi della riproduzione sessuale, la variabilità genetica della prole, che consente alla selezione naturale di agire per il meglio, eliminando le mutazioni dannose. Probabilmente è proprio per evitare l' incesto che gli scimpanzè femmina abbandonano il branco nativo quando sono in estro ed entrano a far parte di un branco diverso in cui non hanno parenti, e altrettanto fanno i giovani leoni maschi. Ma evidentemente ogni regola ha le sue eccezioni. E il caso del pollo sultano lo testimonia. Proseguendo le loro osservazioni, Craig e Jamieson scoprono non solo incesti, ma anche accoppiamenti omosessuali: maschi con maschi e femmine con femmine. Capita infatti ogni tanto che la femmina alfa quella che nella rigida gerarchia dei polli occupa la posizione al vertice monti una femmina beta, a lei subordinata. Si sa che tra gli uccelli l' atto sessuale consiste nel far combaciare le due aperture genitali. In questo modo, nel normale accoppiamento eterosessuale, il maschio può versare lo sperma direttamente nell' orifizio genitale femminile senza che se ne disperda nemmeno una goccia. Tra le due femmine l' accoppiamento si limita ovviamente a un semplice contatto genitale. Forse in seguito a questo atto di predominanza sessuale da parte della femmina alfa, quella beta depone un uovo in meno della prima. Non meno singolare è l' accoppiamento tra maschi. Uno di loro inizia il corteggiamento seguendo impettito una femmina e lanciando forti schiamazzi. A questo punto si possono unire alla coppia vari maschi che si dispongono in fila indiana dietro il corteggiatore. Se la femmina è recettiva, lo fa capire assumendo una particolare posizione. In questo caso, il pretendente le sale in groppa. Quando un corteggiamento è in atto, gli altri maschi si limitano generalmente a guardare, senza mostrare nessuna gelosia e non si sognano di intervenire. Ma succede talvolta che uno intervenga e si può giurare che in questo caso si tratta del maschio alfa. Le cose possono svolgersi allora in maniera davvero singolare. Il maschio dominante corre davanti al corteggiatore e si accovaccia nella tipica posizione che fa da stimolo alla copula. Presi da un impulso irresistibile, gli astanti non fanno più differenza di sesso. I maschi smettono istantaneamente di seguire la femmina e quello che si trova più vicino al maschio alfa gli sale sul dorso e lo monta. Se invece il maschio alfa interviene per interrompere un accoppiamento, se la prende non già con il rivale, bensì con la femmina. La becca energicamente alla testa e al collo e lei capisce l' antifona: abbandona immediatamente la posizione accovacciata, disarcionando così l' amante. Va detto però, a onor del vero, che il più delle volte il maschio alfa si comporta da gentiluomo. Non interrompe l' accoppiamento di un rivale. Si limita a starsene da parte e a fare il voyeur. Guarda soltanto, senza intervenire. Ma perché il pollo sultano lascia fecondare le femmine dai suoi parenti stretti, cosa che non succede generalmente negli altri animali? Gli studiosi ne danno questa spiegazione. La maggior parte dei giovani uccelli, quando è il momento di nidificare e di riprodursi, si disperde allontanandosi dal territorio dei genitori, il che però richiede abbondanza di luoghi di nidificazione nelle regioni circostanti. Questo non succede nello Shakespear Park, dove l' habitat adatto alla nidificazione è estremamente limitato. Di conseguenza i figli rimangono nel territorio dove sono nati e aiutano i genitori ad allevare le covate successive. C' è, è vero, l' inconveniente che, diventando sessualmente matura, la nuova generazione diventa concorrente sessuale di quella precedente. Ma poco male, visto che condivide con lei circa la metà del patrimonio genetico. L' incrocio tra parenti aumenta la probabilità di ereditare geni recessivi letali, ma quando in una popolazione vi è una forte percentuale di incesti, la pressione selettiva finisce per eliminare nel giro di poche generazioni i geni dannosi. E che fra i polli dello Shakespear Park sia alta la percentuale di incesti lo dimostrano le cifre. Il 67 per cento della popolazione si riproduce incestuosamente: padre con figlia, madre con figlio o fratello con sorella, come ha dimostrato in modo inequivocabile l' analisi genetica del Dna. Isabella Lattes Coifmann


Fossile di Ittiosauro Il delfino con gli embrioni Ritrovato nelle Prealpi, ha 238 milioni di anni
Autore: BASSI PIA

ARGOMENTI: PALEONTOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 071

DAGLI scisti ittiolitici di Besano nelle Prealpi varesine, formazione geologica di età triassica (da 240 a 200 milioni di anni fa), è stato portato alla luce un rettile dal corpo affusolato e dall' aspetto di un grande delfino con la coda pinnata. Nel 1992 un cercatore di fossili del Gruppo Volontari del Museo di Besano, Sergio Rampinelli, ne aveva trovato il rostro staccando una lastra e da allora i lavori continuarono alacremente, coordinati da Giorgio Terruzzi e Cristiano del Sasso, paleontologi del Museo Civico di Storia Naturale di Milano. I due paleontologi hanno spiegato, in una conferenza stampa, che l' eccezionalità del ritrovamento sta in tre punti: è l' animale fossile del Mesozoico più grande e completo mai trovato in Italia; è un ittiosauro che appartiene probabilmente a una nuova specie, è una femmina con embrioni. L' esemplare ritrovato misura 5, 80 metri, il rostro è più lungo di quello di un delfino moderno, ha piccoli denti e si nutriva 238 milioni di anni fa di molluschi. Giorgio Teruzzi, direttore degli scavi, spiega quale tipo di ambiente ci doveva essere nel Triassico a Varese e dintorni. La temperatura era tropicale, Bahamas o Golfo Persico, con barriere coralline che racchiudevano lagune di acque calme, poco vitali in profondità, tanto che quando il nostro ittiosauro morì si adagiò sul fondale della laguna rimanendo ben compatto, data l' assenza di correnti che potevano disperdere le ossa. Infatti lo scheletro è apparso integro ai radiologi del Policlinico di Milano, che hanno eseguito più di 100 radiografie, con addirittura le uova schiuse nel ventre e tracce di cibo nello stomaco. Gli ittiosauri sono rettili simili a delfini, perfettamente adattati alla vita di mare, tanto da diventare ovovivipari, cioè animali le cui le uova si schiudono nel ventre materno e i piccoli sono partoriti vivi. Già nella Germania meridionale furono trovati resti fossili di femmine gravide in rocce di 190 milioni di anni fa. Il fossile è stato trasportato dal giacimento di Besano in piccole lastre che venivano consolidate e poi radiografate. La lastra compatta misura circa 16 metri quadrati e ha uno spessore di soli tre centimetri. Le ossa non sono ancora visibili perché inglobate nella roccia bituminosa. Cristiano del Sasso, responsabile del laboratorio, spiega che per liberare lo scheletro dalla sua millenaria prigione sono necessarie quindicimila ore di preparazione al microscopio. Le rocce fossili di Besano hanno uno spessore di 15 metri e affiorano in territorio italiano e svizzero sulla dorsale Monte San Giorgio Monte Orsa. Nel 1854 Emilio Cornalia, primo direttore del Museo di Storia Naturale di Milano, trovò a Besano il primo rettile fossile. Gli scavi successivi di Antonio Stoppani portarono alla luce soprattutto rettili fossili sia marini sia terrestri, a partire dai quali furono descritte ben 23 specie. In particolare, c' era un antenato diretto dei dinosauri, il Ticinosuchus Ferox, il cui scheletro è stato trovato quasi completo. Nel 1973 l' attuale direttore del Museo, Giovanni Pinna, in collaborazione con il Gruppo Volontari del Museo di Besano, ha intrapreso una serie di scavi per ricostruire la collezione di fossili andata distrutta con i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Pia Bassi


TUMORE POLMONARE Mutazioni nei bronchi Le tappe successive delle alterazioni
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, GENETICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 071

IMPORTANTI progressi vanno compiendosi a proposito del tumore polmonare (più propriamente carcinoma bronchiale) per quanto riguarda i metodi diagnostici e la comprensione della genesi. Dopo la seconda guerra mondiale è stata la malattia con l' aumento di gran lunga più spettacolare dal 1950 al 1985, una vera epidemia nella popolazione maschile. Questa evoluzione per fortuna non è più ineluttabile, e almeno nei maschi di certi Paesi (Stati Uniti, Regno Unito) e nei giovani è avvenuta una diminuzione dal 1985. Nelle donne, invece, i casi continuano ad aumentare. Il polmone è l' organo bersaglio privilegiato dell' agente cancerogeno a sua volta più diffuso nel mondo, il fumo di tabacco. L' 80 90 per cento dei carcinomi bronchiali nell' uomo, il 50 75 per cento nella donna sono da tabacco. Altri cancerogeni per il polmone sono soprattutto presenti nell' ambiente di lavoro, per esempio l' amianto, il nichel, il berillio, il radon. Ricerche recenti hanno dimostrato un pericolo notevole per i soggetti esposti a un importante inquinamento atmosferico. Secondo studi epidemiologici condotti nella Repubblica cinese, di cui si è parlato al recente congresso internazionale oncologico di Rapallo, l' esposizione all' inquinamento atmosferico nell' interno della casa è in rapporto al rischio del tumore, particolarmente per le donne, quando la ventilazione è scarsa. Naturalmente il formarsi del carcinoma risulta dall' incontro di fattori esterni con una suscettibilità individuale, geneticamente determinata o risultante da fattori ambientali quale l' alimentazione. Molte indagini hanno documentato che il regolare consumo di frutta e verdura è associato a una riduzione del rischio per i non fumatori e anche per i fumatori, per cui taluni raccomandano ai forti fumatori una prevenzione mediante composti vitaminici. Il progresso più sensibile concerne la conoscenza dell' oncogenesi (trasformazione cancerosa) dei bronchi. La biologia molecolare permette oggi di addentrarsi nei meccanismi intimi del processo tumorale. In tutte le cellule vi sono geni detti protoncogeni, che hanno il compito di regolare la normale moltiplicazione cellulare. Se avviene una mutazione, per esempio provocata dal fumo di tabacco, diventano oncogeni (onkos, in greco, significa tumore) e le cellule, svincolate dalle restrizioni imposte dai protoncogeni, possono sfrenarsi in una moltiplicazione senza limiti. Un' altra classe di geni, più recentemente identificata, gli anti oncogeni, hanno in condizioni normali una funzione regolatrice che frena la moltiplicazione: se perdono la loro funzione, contribuiscono anch' essi alla proliferazione maligna. I progressi della genetica molecolare hanno permesso di riconoscere un certo numero di anomalie genetiche implicate nella patologia del carcinoma bronchiale. Queste alterazioni si svolgono in tappe successive nel corso delle quali le mutazioni si accumulano giungendo alla trasformazione maligna, poi all' invasione metastatica. Sono implicati gli oncogeni C myc, L myc, N myc, di solito uno solo dei tre. Altri geni implicati sono i ras, le cui mutazioni risultano presenti in un' alta percentuale di tumori nei forti fumatori. La cooperazione di geni delle famiglie myc e ras nell' insorgenza del tumore è stata dimostrata. Anche perdite di materiale cromosomico risultano con grande frequenza, nei cromosomi 1, 2, 3, 5, 8, 13 e 17. Ciò fa pensare alla scomparsa di geni soppressori del tumore. Tutto questo fa balenare il grande miraggio della medicina moderna, i metodi diagnostici e terapeutici di natura genetica, la cosiddetta ingegneria genetica. Un ricercatore americano, Jack A. Roth di Houston, lavora a reimmettere nella corretta linea di riproduzione il Dna cellulare, per ora in via sperimentale negli animali. E un giapponese, Y. Hayata di Tokyo, ha messo a punto una tecnica di asportazione del tumore polmonare in fase iniziale mediante terapia fotodinamica. Ulrico di Aichelburg


AIDS CD26, la molecola che permette al virus Hiv di entrare nella cellula
Autore: FERRERO FEDERICO, MALAVASI FABIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, GENETICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 071

LA notizia, recentemente comunicata dal gruppo di Montagnier (Istituto Pasteur, Parigi), di un coinvolgimento della molecola CD26 nel legame tra il virus dell' Aids e le cellule umane, non ha colto di sorpresa la comunità scientifica, da tempo impegnata a dimostrare che la molecola CD4 non è il solo recettore del virus. Com' è noto, il virus dell' Aids dà inizio all' infezione legandosi alla molecola CD4, un recettore di superficie dei linfociti T, presente anche su monociti/macrofagi e su cellule del tessuto nervoso. Una serie di evidenze hanno suggerito in questi ultimi anni che i recettori o co recettori del virus sarebbero più di uno. La storia del CD26 inizia negli Anni 80, quando il gruppo di G. Corte e A. Bargellesi (Università di Genova) ne dimostrò l' espressione su linfociti T e su altre popolazioni cellulari, principalmente durante l' attivazione. In un primo tempo lo studio della molecola è stato indirizzato alla fisiologia delle popolazioni di leucociti, con particolare attenzione ai linfociti T coinvolti nel rigetto dei trapianti: si era osservato infatti che gli anticorpi monoclonali anti CD26 avevano la capacità di ridurre le difese immunitarie. Successivamente fu dimostrato che il CD26 presentava caratteristiche funzionali assimilabili a quelle di un enzima ad attività proteolitica, noto da tempo e ampiamente descritto nella letteratura specializzata: la dipeptidilpeptidasi IV. Inoltre, in analogia a numerose altre molecole simili ad attività enzimatica, la molecola ha un inserimento nel doppio strato lipidico che costituisce la membrana cellulare, diverso dalle convenzionali proteine di membrana, presentando il tratto amino acidico NH2 all' interno del citoplasma anziché all' esterno, come avviene di solito. Recentemente il gruppo di S. F. Schlossman, della Harvard Medical School di Boston, e quello di A. N. Hougton, dello Sloan Kettering Cancer Center di New York, hanno dimostrato che la molecola CD26 contrae dei legami sulla membrana con l' adenosindeaminasi (ADA), un enzima che sicuramente molti ricorderanno quale oggetto di interventi di terapia genica. La sua assenza provoca infatti nei piccoli pazienti gravissime forme di immunodeficienza. Il profilo immunodeficitario è stato appunto la nuova griglia di lettura utilizzata dai ricercatori nell' esaminare la funzione del CD26 all' interno della sindrome da immunodeficienza acquisita (Aids), dove le cellule bersaglio dell' attività virale sono proprio quelle in cui è stata dimostrata l' espressione di questo antigene. Sono già operativi alcuni progetti mirati all' utilizzo di anticorpi monoclonali dotati di singola o doppia specificità diretti contro le molecole CD4 e CD26, soprattutto in qualità di vettori di sostanze tossiche (immunotossine) in grado di interferire con le prime fasi della malattia. Inoltre un promettente programma di immunoterapia è stato avviato da tempo nell' ambito del progetto Aids dell' Istituto Superiore di Sanità e si avvale della collaborazione tra Laboratori dell' Università di Torino, dell' Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro Ist di Genova e di un Laboratorio del National Institute of Health di Bethesda, Usa. Come spesso accade, i risultati ottenuti nel campo della ricerca biologica non sono sempre univoci. Infatti, uno studio condotto da un gruppo dell' Università di Cordova, pubblicato su «The Journal of Immunology» nel 1992, suggeriva la possibilità che il virus Hiv colpisse preferenzialmente una popolazione di linfociti CD4più CD26, un risultato in aperto contrasto con questi dati. Le conclusioni del gruppo Montagnier sono state coperte da ogni possibile brevetto, memori delle decennali battaglie con l' Nih e il governo americano. Adesso si attende con ansia di valutare a fondo i dati quando questi verranno pubblicati nelle riviste scientifiche. Federico Ferrero Fabio Malavasi Università di Torino


INFORMATICA «Scatole» per numeri e messaggi Quinta puntata
Autore: MEO ANGELO RAFFAELE, PEIRETTI FEDERICO

ARGOMENTI: INFORMATICA, DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 072

PROGRAMMARE in Basic significa essenzialmente creare e usare oggetti. Tra questi oggetti, quelli di uso più comune sono le «scatole», che distingueremo in nere o rosse. Le scatole nere possono contenere soltanto numeri, mentre le scatole rosse possono contenere qualunque tipo di messaggio, ossia quelle che abbiamo definito come «stringhe». Ogni scatola deve avere un nome, che deve iniziare con una lettera per proseguire poi con altre lettere o cifre. Per distinguere le scatole nere da quelle rosse, si mette come ultimo carattere del nome di una scatola rossa, il segno «$ » Ad esempio SCATOL1 può essere il nome di una scatola nera, mentre SCATOL1$ il nome di una scatola rossa. BOX3, FOTO, LEZIONE5 E, in modo più conciso A, B oppure A1, A2, B3 sono tutti nomi possibili di scatole nere, mentre BOX5$, GUI DA$, ELENCO3$ oppure A$, B$, A1$, B4$ possono essere nomi di scatole rosse. Non è possibile invece «battezzare» una scatola 1A oppure 8CENTRO, perché il nome di una scatola, come abbiamo detto, non può iniziare con una cifra, ma soltanto con una lettera. Nel dare il nome ad una scatola sarà bene tener presente che questo deve essere indicativo del tipo di dato che dovrà contenere in un determinato programma. Ad esempio, se stiamo risolvendo un problema finanziario, metteremo gli eventuali dati riguardanti uno sconto in una scatola dal nome SCONTO. Il nome di una scatola non deve essere confuso con il suo contenuto. Il nome di una scatola non cambia mai, mentre sovente cambierà il suo contenuto. Ad esempio, la scatola CHAR LOT$ in un certo momento, potrà contenere il messaggio «L' evaso», in un altro «Il monello» oppure la frase di Chaplin «La comicità ci in segna che in un eccesso di serietà si annida sempre l' assurdo». Qualsiasi cosa contenga il nome della scatola resta sempre uguale. In questo caso, CHARLOT$ è come si dice la «variabile stringa» CHARLOT$ e BOX è la «variabile numerica» BOX. Il programmatore conosce ovviamente il nome della scatola, perché è stato lui a «battezzarla», ma potrà anche non conoscerne il contenuto, perché può averlo dimenticato oppure perché nella scatola è stato introdotto il risultato di un calcolo complicato. Tuttavia, in qualsiasi momento, come vedremo, egli può ordinare al calcolatore di aprire la scatola e mostrarne il contenuto. Per ricordare meglio la differenza fra nome e contenuto di una scatola, si può immaginare che il nome sia stato scritto con un pennarello indelebile sul coperchio della scatola stessa e che il contenuto sia invece scritto su un foglietto che in qualunque momento può essere tolto dalla scatola e sostituito con un altro foglietto indicante un numero o un messaggio diverso. Il modo più semplice per farsi consegnare una scatola dal calcolatore, darle un nome e riempirla con un numero, è quello di scrivere un comando del tipo BOX3 = 8. In questo modo nella scatola di nome BOX3 viene inserito il numero 8. La frase che abbiamo scritto costituisce un esempio di «comando di assegnazione». Questa è costituita dal nome di una scatola seguito dal segno "= "e da un' espressione. In alcune versioni di Basic l' istruzione dev' essere esplicitata con la parola LET che significa letteralmente «assegna». Si può quindi scrivere BOX3 = 8 oppure LET BOX3 = 8 Il numero che inseriamo nella scatola nera è il suo «valore numerico», mentre la scatola rappresenta quella che in matematica si chiama «variabile». Allo stesso modo, con le scatole rosse, scriviamo FELLINI$ = «La strada», oppure LET FELLINI$ = «La strada». E' possibile, come dicevamo, ordinare al calcolatore di farci vedere il contenuto di una scatola con l' istruzione di stampa PRINT. Scriviamo ad esempio: BOX3 = 8. PRINT BOX3 Il calcolatore mette a disposizione la scatola di nome BOX3, svuotandola se era già stata usata in precedenza, oppure preparandone una nuova con questo nome. Inserisce poi nella scatola un foglietto contenente il numero 8 ed infine, con PRINT, stampa il contenuto della scatola. Osserva che il comando PRINT BOX3 ordina di visualizzare il contenuto della scatola BOX3, mentre il comando BOX3 = 6 più 2 ordina di introdurre nella scatola BOX3 il risultato dell' espressione 6 più 2. Con le scatole rosse scriviamo, ad esempio: BOX$ = «Un cuore in inverno» PRINT BOX$ Il calcolatore mette a disposizione la scatola di nome BOX$ inserendovi un foglietto contenente la stringa «Un cuore in inverno». Infine, con PRINT, stampa il contenuto della scatola. Possiamo anche mescolare i due tipi di istruzione per la stampa di una stringa e del contenuto di una scatola. Ad esempio: WATCH$ = «Sono le 16. 05» PRINT «Che ore sono? » PRINT WATCH$ In questo caso il calcolatore cerca la scatola WATCH$ e se questa contiene il messaggio «Sono le 16. 05», stampa: che ore sono? Sono le 16. 05


LA PAROLA AI LETTORI «Ziggurat», la casa terrestre del dio
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 072

DOPO quattro settimane, la domanda «Com' è che la Terra, in quattro mi liardi e mezzo di anni, non si è ancora raffreddata? » continua a suscitare risposte controverse. Eccone ancora una: «L' età del nostro pianeta non è affatto una cosa certa, come non è certo che all' atto della sua formazione potessero essere già presenti quegli elementi radioattivi che si dice dovrebbero, per decadimento, produrre calore. Non risulta neppure possibile che eventuali elementi radioattivi possano essersi prodotti nella fase di formazione del nostro pianeta. Su queste questioni siamo ancora nel campo delle ipotesi. L' età della Terra e il «consumo» di elementi radioattivi sono «idee» che, anche se in parte sostenute da misure e calcoli, si reggono in piedi a vicenda. Il giorno che una dovesse cadere, cadrebbe anche l' altra. La fissione di nuclei pesanti e la fusione termonucleare sono entrambe incapaci, in armonia con tutte le possibili osservazioni e misurazioni effettuabili, di spiegare quali veri fenomeni possano verificarsi nelle viscere del nostro pianeta. C' è qualcosa che non funziona: non nei meccanismi della natura... nelle teorie degli uomini. Giovanni Borella, Genova Che cosa sono le ziggurat? Sono piramidi della Mesopotamia (attuale Iraq), costruite in terra alternata ogni mezzo metro da uno strato di canne incrociate. Il carattere argilloso della terra e il clima secco della regione le hanno conservate parzialmente fino a oggi. Marco Casalegno Moncucco (TO) La più grande è la ziggurat di Babilonia: 456 metri di base e 91 di altezza: probabilmente è la famosa Torre di Babele. Elena Ercole, Quattordio (AL) Questi edifici, che in un primo periodo avevano carattere strettamente religioso, furono poi adibiti prevalentemente a magazzini statali per la conservazione del grano. Barbara Gagliano St. Vincent (AO) Aveva 7 piani, tanti quanti i pianeti del Sole allora conosciuti. Manuela Corona, Torino Perché le ballerine danzano sulle punte e i ballerini no? Il balletto classico è caratterizzato da due «figure » ben distinte: quella femminile, eterea, leggera, aggraziata (che si realizza con la tecnica delle punte, scarpette da ballo provviste di una mascherina in gesso e di una suola rinforzata) e quella maschile, forte e potente (che si esprime con salti e pirouettes). Per tradizione, le scarpette sono sempre state riservate alle ballerine. I danzatori, comunque, non presentano nessuna limitazione fisica all' uso delle «punte»: anzi, alcuni coreografi le hanno fatte portare anche ai ballerini per produzioni particolari o per riletture in chiave ironica del repertorio classico. Solo con Nureyev il danzatore è diventato, da semplice porteur, una figura via via più importante. Silvia e Laura Chiusano Torino Perché i serpenti fanno guizzare la lingua dentro e fuori dalla bocca? I serpenti sono privi di un apparato visivo efficiente. Quindi, per avvertire la presenza di prede o pericoli usano la loro lingua. Essendo biforcuta, riesce a captare molto bene gli odori, che successivamente vengono analizzati dal serpente. Silvia Giuliani, III B S. M. S. Astesano Villanova d' Asti In genere, quando un animale viene morsicato da un serpente velenoso, non muore subito e riesce a fuggire dal suo predatore il quale poi, se pensa di poter «banchettare» a sue spese, deve ritrovarlo, e questo avviene con l' aiuto della lingua. Il serpente la estrae rapidamente dalla bocca come se dovesse «assaggiare» l' aria: in questo modo alcune particelle invisibili rimangono attaccate ad essa. Ritirando la lingua nella bocca, queste vengono a contatto con un organo detto «organo di Jacobson», che è in grado di riconoscere le particelle emesse dalla vittima. Pare infatti che una preda avvelenata emetta particelle speciali, forse prodotte dal veleno stesso, che consentono al serpente di non sbagliare e di seguire il suo percorso passo a passo. Raffaella Gastaudo Pecetto (TO)


STRIZZACERVELLO Strani numeri telefonici
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 072

Strani numeri telefonici Due studiosi di matematica si incontrano dopo molto tempo; il primo va di fretta e prega l' altro di richiamarlo all' università il giorno dopo: «Chiamami al mio interno e se dovessi trovarlo occupato prova sul diretto». «Che numero hai? » si informa il secondo. «Tieni presente che l' interno è un numero di quattro cifre mentre il diretto ne ha sette; entrambi, se si inverte l' ordine delle cifre, danno origine a due loro divisori perfetti, il primo per 4 ed il secondo per 9». «Mi pare un po' poco] » ribatte l' altro. «Aggiungo che i due numeri hanno in comune solo le cifre 1 e 8» conclude il primo, scomparendo oltre la porta. Quali numeri dovrà formare l' incredulo matematico? La soluzione come sempre domani, accanto alle previsioni del tempo. (A cura di Alan Petrozzi)


Piccolo laboratorio Formiche sotto vetro Facili da tenere, interessanti da guardare
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 072

Le formiche sono insetti sociali, che vivono e lavorano insieme per il bene di tutti i membri della colonia. Ce ne sono migliaia di specie, onnipresenti là dove il clima non è troppo freddo. Si nutrono di insetti nocivi e sono a loro volta cibo per altri esseri Una colonia inizia con l' accoppiamento di una regina con un maschio e la deposizione delle prime uova. La regina continuerà a deporre uova per il resto della sua lunga vita. I maschi non vivono a lungo: servono solo per fecondare la regina. Tutto il lavoro viene fatto dalle operaie. Quasi tutti i nidi si trovano sottoterra e sono formati da diverse camere collegate fra di loro con gallerie. Sono sempre ben forniti di cibi, pulitit e dottati di quartieri invernali molto profondi, al riparo dal freddo. Con la terra degli scavi si costruiscono i tumuli esterni. Foglie e rametti coprono gli ingressi


PLASTICA Raccolta a gonfie vele Ma dopo?
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, RIFIUTI, RICICLAGGIO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 069

IN Germania i primi risultati della legge Topfer sono ritenuti incoraggianti; il sistema di raccolta, secondo il consorzio che lo gestisce, ha già raggiunto il 96 per cento delle famiglie; di sola plastica nel ' 92 sono state raccolte oltre 100 mila tonnellate, per il ' 93 si prevede di raccoglierne da 250 a 400 mila tonnellate. Si sono diffusi imballi riutilizzabili, la metà dei succhi di frutta si serve di imballi «a ritorno». I «blister», cioè gli involucri di plastica impiegati nella presentazione di numerosi prodotti, stanno rapidamente scomparendo, quasi che se ne sia improvvisamente rivelata l' inutilità: prima erano in uso per 146 prodotti, oggi lo sono per uno soltanto. Un' indagine compiuta su 452 oggetti di 315 aziende ha rivelato che nel 26 per cento dei casi queste avevano eliminato del tutto gli imballaggi e nel 50 per cento li avevano ridotti. In Italia, in attesa di una legge che riguardi tutti gli imballaggi, il Consorzio obbligatorio per il riciclaggio dei contenitori in plastica per liquidi ha inaugurato lunedì 18 ottobre a Montemurlo, in provincia di Prato, un impianto a «ciclo chiuso» per il riciclaggio dei contenitori in plastica per liquidi. E' il primo, e per ora unico, del genere nel nostro Paese.


DIRETTIVA CEE Restituire Ridurre Riutilizzare
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, RIFIUTI, RICICLAGGIO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 069

LA direttiva in discussione alla Cee ha come principio fondamentale quello della corresponsabilità di chi produce o fa circolare imballaggi, cioè fornitori delle materie prime, utilizzatori, distributori e commercianti. Obiettivi principali: ridurre la produzione di rifiuti da imballaggio; recuperarne la maggior quantità possibile; ridurre al minimo la quantità di tali rifiuti da destinare allo «smaltimento definitivo», cioè alla distruzione negli inceneritori o al seppellimento nelle discariche. Entro dieci anni dall' entrata in vigore, dovrà essere possibile recuperare il 90 per cento degli imballaggi; il 60 per cento di questi dovrà essere riciclato. Per la stessa data i residui destinati allo «smaltimento definitivo» non dovranno superare il 10 per cento. Gli Stati membri della Comunità dovranno dotarsi di sistemi per la restituzione degli imballaggi da parte dei consumatori e per la loro riutilizzazione; adottare un sistema di marcatura che favorisca l' identificazione, la restituzione e il recupero; eliminare dal mercato gli imballaggi inadatti al recupero e al riuso. I nuovi imballaggi dovranno contenere una certa quota di prodotti provenienti dal riciclaggio.


IN GERMANIA La nuova era del «vuoto a rendere» Imballaggio addio] «Riciclare»: parola magica, ma falsa soluzione
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, RIFIUTI, RICICLAGGIO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 069

ALL' INIZIO si chiama packaging ed è una di quelle attività emergenti di cui si occupano manager rampanti e a cui si dedicano convegni e libri. Il packaging (in banale italiano: «imballaggio» ) deve servire a proteggere il prodotto ma anche a farlo vendere, farlo entrare nella borsetta dell' impiegata o nello zainetto dello scolaro. Deve incontrare gli occhi, catturare dai banchi dei supermercati l' attenzione delle massaie e accendere i desideri dei loro bambini. E' il trionfo della plastica e del design. Un vasetto di yogurt può persino essere bello. Subito dopo, però, il packaging diventa scoria del consumismo, immondizia. Allora nessuno se ne vuole più occupare. Qualche anno fa alcune enormi chiatte cariche di rifiuti percorsero più volte su e giù l' Atlantico davanti alle coste americane, alla ricerca di un posto che le accogliesse. Non so come sia finita. Da noi in genere si preferisce sotterrare i rifiuti nelle discariche, ma possibilmente sempre nel Comune vicino. Succede anche, qualche volta, che qualcuna di queste discariche lasci colare i suoi liquami nelle falde degli acquedotti oppure, come durante recenti nubifragi, che un fiume in piena irrompa in una di esse e ne trascini a valle il contenuto spargendolo ovunque. Per evitare tutto questo, qualcuno, negli anni scorsi, aveva pensato di portare il pattume made in Italy in Nigeria; ma i nigeriani quando se ne sono accorti si sono arrabbiati moltissimo. Naturalmente gli imballaggi non sono tutte le scorie delle nostre società ricche; ne sono però una componente impressionante. Secondo uno studio eseguito dalla Ernst and Young Revisione e studi ambientali per conto del Comitato per l' imballo ecologico e la Pro Carton, in Italia sono la parte principale dei rifiuti solidi urbani. Nel 1990 gli imballaggi hanno prodotto più di 12 milioni di tonnellate di scarti, nel ' 91 siamo passati a 12 milioni 700 mila tonnellate e il trend è ascendente. Circa 5 milioni di tonnellate sono costituiti da imballaggi primari, cioè «funzionali alla vendita» e quindi finiti in mano ai consumatori. Per il resto si tratta di imballaggi secondari e terziari, cioè impiegati nel trasporto, nella commercializzazione e nella distribuzione, e quindi rimasti nelle aziende di questi settori. Il riciclaggio sembrerebbe la formula magica per risolvere il problema perché elimina una parte più o meno grossa dei rifiuti e ne recupera la materia prima. Ma può anche essere una falsa soluzione perché la spesa per la raccolta differenziata, l' inquinamento causato dagli autocarri che percorrono la città per effettuarla, l ' energia (e relativo inquinamento atmosferico) necessaria per ottenere la «materia seconda» spesso hanno un costo (economico ed ecologico) spropositato. Ma anche quando il recupero fosse una strada percorribile possono presentarsi situazioni imbarazzanti. Esempio: in applicazione della Legge Topfer, in Germania si sono accumulate quantità enormi di materali di recupero come plastica, carta, vetro, metalli; le industrie tedesche ne riciclano solo una piccola parte, quella che il mercato assorbe. Così si assiste a una massiccia esportazione verso l' estero a prezzo nullo o addirittura negativo. La conseguenza è che i materiali da riciclare in tali Paesi hanno perduto ogni valore e nessuno ha più interesse a raccoglierli. Quando il riciclaggio diventerà obbligatorio in tutta la Cee (e dovrebbe avvenire presto), ci si ritroverà con un' enorme quantità di materiale recuperato a caro prezzo di cui non si saprà che fare. Così comincia a farsi strada il sospetto che forse l' unico modo per eliminare i rifiuti (di tutti i generi, ma principalmente da imballaggio) sia quello non produrli affatto, o perlomeno di produrne il meno possibile. Esattamente il contrario di quello che è avvenuto finora. Questo obiettivo, parallelo a quello del riciclaggio, fa già capolino nella legge Topfer ma è la vera novità della «direttiva» in discussione alla Cee. Discorso non facile, evidentemente, perché contrasta con l' interesse dei fabbricanti di imballaggi (basta ricordare le strazianti proteste dei fabbricanti di sacchetti di plastica quando in Italia si tentò di colpirli con una piccola tassa che doveva limitarne l' uso); e perché costringerebbe le industrie a rivedere i sistemi di produzione e di distribuzione. Ma può funzionare: in Germania certi prodotti sono già venduti senza scatola, sono ricomparsi i contenitori in plastica riutilizzabili. L' allegra pratica del «vuoto a perdere» (cioè da buttare nella spazzatura o da abbandonare nei prati dopo il picnic) diventa più difficile, mentre i negozi si stanno riattrezzando per ritirare le bottiglie dell' acqua minerale riportate dai clienti.


PROGETTO HELIANTUS In volo con l' energia del Sole L' aereo elettrico, lento ma pulito
Autore: BERNARDI MARIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

DA più di 70 anni l' uomo ha imparato a utilizzare per il volo a vela l' energia solare in modo indiretto: le correnti ascensionali che consentono il veleggiamento sono infatti il prodotto del meraviglioso laboratorio termodinamico dell' atmosfera che il Sole alimenta con i suoi raggi. Prende invece corpo solo nell' ultimo decennio l' idea di utilizzare per il volo l' energia solare in modo diretto, estraendola per effetto fotovoltaico da celle di rivestimento delle superfici dell' aereo. La prima significativa realizzazione sperimentale in questa direzione risale al 1980. In quell' anno l' americano McCready converte in «solare» un velivolo originariamente concepito per esperienze di volo a propulsione muscolare. Il 18 maggio l' aereo si libra per 14 secondi e pochi giorni dopo effettua un volo di 14 minuti: ai comandi il figlioletto del progettista, favorito nel ruolo di collaudatore, grazie al suo peso di soli 40 chilogrammi. Un anno dopo lo stesso McCready realizza presso il Mit (Massachusetts Institute of Technology) il primo velivolo costruito espressamente per la propulsione solare: il «Solar Challanger». Le esperienze di McCready culminano il 7 luglio 1981 con la traversata della Manica e con un volo di 8 ore e 4000 metri di quota massima. La velocità raggiunta è di 70 km/ora. Per la miglior realizzazione di un aeroplano a energia solare la città di Ulma ha bandito per il 1986 un concorso: il Premio Berbingler di 100. 000 marchi. La velocità dell' aereo non dovrà risultare inferiore a 120 km/ora: da confrontare con i 70 km/ora del «Solar Challanger». Basterebbe questa prestazione a significare il forte progresso anticipato da una giuria composta da qualificatissimi rappresentanti della comunità scientifica tedesca. La sfida è stata raccolta anche da un gruppo di tecnici italiani con il progetto di un velivolo che si chiama «Heliantus» (nome scientifico del girasole). L' iniziativa ha preso il via da Torino ad opera di Pierluigi Duranti, un ingegnere che, impegnato professionalmente nella sperimentazione di velivoli a getto, si occupa per diletto di aeroplani leggeri di costruzione amatoriale. Nel tema progettuale convergono le tecnologie più avanzate e innovative: dalla ricerca dei migliori mezzi di conversione fotovoltaica allo studio di soluzioni propulsive, strutturali ed aerodinamiche «estreme» per rendere la sostentazione del mezzo compatibile con l' esiguità delle potenze disponibili. La potenza dell' irraggiamento solare che in condizioni «ideali» raggiunge la Terra rappresenta poco più di un cavallo per metro quadro. Purtroppo nel processo di utilizzo questo valore viene subito abbattuto dal basso rendimento della conversione fotovoltaica: nonostante i progressi stimolati dalle applicazioni spaziali i migliori convertitori (Arseniuro di Gallio e Silicio monocristallino) non superano il rendimento pratico del 15 per cento. A valle della generazione, i motori a corrente continua raggiungono rendimenti del 95 per cento; ma i riduttori, necessari per portare i loro altissimi giri ad azionare eliche di grande raggio e bassa velocità, danno luogo a una perdita addizionale di circa il 3 per cento. Tenuto conto di una ulteriore erosione di circa il 2 per cento dovuta al rendimento delle eliche, in condizioni di insolazione media ci si ritrova con una potenza propulsiva netta di meno di un decimo di cavallo per metro quadro di superficie esposta. E poiché in un ipotetico motoaliante questa si può considerare dell' ordine dei 20 25 metri quadri, la potenza propulsiva disponibile risulterà dell' ordine dei 2 cavalli. Per poter volare con questa potenza occorre anzitutto una struttura che a parità di geometria e di robustezza, pesi meno della metà di quella di un aliante di tecnologia spinta: non più di 100 kg, motori ed eliche compresi. A tale scopo, oltre all' ottimizzazione della configurazione e delle tecniche costruttive, è essenziale l' utilizzazione dei materiali più avanzati: matrici composite progettate per la specifica funzione di ciascun elemento strutturale. Il volo a energia solare si effettua a velocità più prossime a quelle degli uccelli che a quella degli aerei a getto. Mentre il Progettista degli uccelli ha pensato con gli accorgimenti più sofisticati a minimizzare la potenza necessaria al volo lento, in aviazione l' aerodinamica dei bassi numeri di Reynolds ha ricevuto modesta attenzione, merita grande impegno e promette notevoli ritorni per il successo dell' impresa. Quanto detto delinea, se pur sommariamente, un impegno di grande complessità e interesse, su un fronte interdisciplinare a 360 di orizzonte: del team del Progetto «Heliantus», oltre a ricercatori e studenti laureandi guidati dai professori Giulio Romeo e Fulvia Quagliotti del Dipartimento di ingegneria aeronautica e spaziale del Politecnico di Torino, fanno parte anche il professor Casarosa del Dipartimento di ingegneria dell' Università di Pisa, il professor Morino del Dipartimento di ingegneria aeronautica dell' Università di Roma e il professor Carbonaro dell' Istituto di Aerodi namica «Von Karman» di Bru xelles. Tra le esperienze specialistiche disponibili all' interno del gruppo, figurano le auto a energia solare realizzate presso il Politecnico di Milano sotto la guida del professor Crepaz e la motorizzazione elettrica di un aliante ad opera di Pogliani e Rosati. Qualcuno potrà ravvisare nell' impresa lo sforzo di adeguarsi a esigenze ecologiche: l' aereo elettrico non fa rumore e non inquina. Altri potrà apprezzare l' idea di utilizzare fonti rinnovabili nel quadro del risparmio energetico. I cultori del volo sportivo potranno plaudire alla ricerca di un rinnovamento che associa il fascino del volo a vela e la praticità del volo a motore nel massimo rispetto della natura. Ma tutti vorranno riconoscere nel programma un' occasione, rara per i giovani d' oggi, di prendere parte a un' impresa in cui sapere, entusiasmo e tenacia giocano al livello della fantasia più innovativa. Mario Bernardi


DENDRITI Cristalli come alberi Intervenire sulla direzione di crescita
Autore: BEDARIDA FEDERICO

ARGOMENTI: CHIMICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

NEL 1917 in Inghilterra veniva pubblicato un libro dal titolo «On growth and form» (Sulla crescita e sulla forma), poi tradotto in italiano per Boringhieri ( «Crescita e forma» ). Il nome dell' autore è Sir D' Arcy Wentworth Thompson. Il libro è affascinante. A suo tempo aveva ottenuto ottime recensioni non solo scientifiche, ma anche dal punto di vista letterario: raro esempio di unione delle due culture, l' umanistica e la scientifica. Il testo, chiarissimo è ricco di disegni di vari tipi di forme che appaiono in natura: una goccia che cade, i getti di uno zampillo, i medusoidi a goccia, la struttura esagonale del parenchima del mais e quella ben nota di un alveare, le spicole di spugne calcaree e i cristalli di neve, la palla dell' Aulonia hexagona che fa venire in mente la struttura del fullerene, le bolle di sapone, la traiettoria a spirale del volo di un insetto che si dirige verso la luce, la spirale del corno di un animale e quella di una pianta e quella di una conchiglia, la forma finale di un cristallo e la struttura della testa del femore così simile agli archi portanti di una cattedrale gotica. Bernard Perrin e Patrick Tabeling della Scuola Normale Superiore di Parigi si chiedono oggi se «comprenderemo un giorno le forme che la natura produce, nella loro immensa diversità ». Il problema enorme e affascinante aperto anni fa da D' Arcy Thompson è in cerca oggi di una soluzione adeguata. Un primo passo, piccolo fin che si vuole, è stato tentato e riguarda quei cristalli particolari che si chiamano dendriti, forme cristalline di aspetto arborescente. Partiamo prima di tutto dalle forme che i cristalli assumono quando crescono in «quasi» equilibrio termodinamico nel mezzo fluido che li circonda. Queste forme dipendono soprattutto dalla temperatura. In questo modo quei cristalli si sviluppano più o meno ugualmente nelle tre direzioni dello spazio. Sono quei cristalli limitati da facce che si vedono «anche» nei musei di storia naturale. Ne sono un esempio il quarzo, la pirite, la calcite, il diamante e tantissimi altri. Le facce non sono altro che piani atomici, nell' interno del cristallo sovrapposti come le carte di un mazzo. Con una diversità sostanziale: i piani atomici sono sempre legati tra di loro, più, o meno saldamente, le carte no. Un' altra categoria di cristalli è quella che presenta forme all' equilibrio senza facce, per esempio le gocce cristalline dell' elio solido o del naftalene o di altre sostanze. Questi cristalli avranno la forma esterna loro imposta dalla simmetria dell' ambiente: si tratterà di sfere se la temperatura dell' ambiente è uniforme. Interessano soprattutto lo specialista. Sia le forme limitate da facce, sia le forme sferiche rappresentano uno stato della materia ordinato. Al contrario, se c ' è un disequilibrio termico più o meno marcato nel fluido in cui il cristallo cresce, nasceranno forme nuove che si possono considerare meno simmetriche e meno ordinate delle precedenti. Per un raffreddamento molto rapido tendono a formarsi le dendriti, i cristalli con una forma ramificata. I fiocchi di neve sono la forma più nota. La velocità di crescita può essere all' incirca di quattro millimetri all' ora. Le dendriti sono comuni anche nella crescita cristallina dei metalli e nella metallurgia delle leghe. Bernard Perrin e Patrick Tabeling hanno calcolato che nel mondo si formano circa mille miliardi di dendriti al secondo. Miliardo più o miliardo meno, può servire a dare un ordine di grandezza. Le dendriti crescono di solito secondo una direzione privilegiata, un po' come fanno le felci. A questo punto l' ingegnere e perché no, il cristallografo possono intervenire sul processo e cercare di agevolare la crescita delle dendriti secondo questa direzione principale. Intervenendo sulla direzione di crescita si possono ottenere blocchi di metallo con proprietà migliorate secondo quella direzione e subito utilizzabili da un punto di vista pratico. L' esempio che si cita sempre è quello delle pale delle turbine. Tutto quanto si è appena detto non è che un esempio pratico di problema disordine ordine (fluido dendrite cristallo). I problemi disordine ordine e viceversa sono uno dei temi dominanti della scienza di questi ultimi anni; non solo in fisica, anche in chimica, in biologia, in medicina, nelle scienze sociali, nei problemi del traffico, in borsa. Problemi di oggi? No, problemi di ieri. Già alla fine del secolo scorso il grande matematico e filosofo francese Henri Poincarè ne aveva capito l' importanza con grande anticipo e cominciato a stabilirne le fondamenta. Federico Bedarida Università di Genova


ARS TECHNICA La danzatrice balla con il robot Una serie di progetti per riconciliare l' arte con la tecnologia
Autore: INFANTE CARLO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, ARTE
NOMI: TORRIANI FRANCO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

E' possibile coniugare l' arte con la scienza e le tecnologie? Non dovrebbero esserci dubbi. Certo che sì. Meglio ancora sarebbe iniziare a pensare che queste differenze nel prossimo futuro si dissolveranno. Le tecnologie si faranno sempre più «linguaggio» e l' arte si tradurrà nella sensibilità per esprimerle nel modo più umano e intelligente possibile. Nel frattempo, in un Paese come l' Italia, in cui la ricerca raramente trova sostegno istituzionale e politica di mercato, la sperimentazione artistica in alcuni casi si è imposta per le sue risultanti scientifiche, e prima di tutto sul fronte percettivo, nel sondare le modificazioni psicologiche nell' atto del vedere e del sentire. La separazione tra arte e scienza è un equivoco prodotto dalla razionalità positivista; se pensiamo a quanto nella storia dell' arte sia inscritta l' evoluzione dell' uomo occidentale, dall' invenzione rinascimentale della «prospettiva» in poi... E' quindi importante cogliere le peculiarità di un' esperienza come Ars Technica, l' associazione fondata nel 1989 a Parigi da Claude Faure, Piero Gilardi e Piotr Kowalski, che recentemente ha presentato alla Galleria d' Arte Moderna di Torino, in un affollato seminario internazionale dal titolo «Tecnoscienze, Intuizione Artistica e Ambiente Artificiale» un ampio panorama di opinioni e progetti d' autore. Questi ultimi sono stati selezionati nell' autunno scorso a Parigi alla Cité des Sciences de La Villette e rappresentano uno spaccato emblematico di una ricerca tra arti e tecnologie. Progetti utili per cogliere in senso pratico e non solo teorico delle risposte molteplici alla domanda posta da uno dei conduttori del seminario, Franco Torriani: «Qual è il rapporto tra intuizione artistica, così legata alla sensibilità umana e al desiderio di universalità e ambiente artificiale, così indissolubilmente legato alle tecnoscienze? ». Si va dall' idea di trasposizione visiva di un «messaggio di crescita nelle piante» di Max Albert all' installazione fotonica ispirata alla «Grande Luce» della Bomba su Hiroshima progettata da Ennio Bertrand; dalla danzatrice immateriale pilotata da un braccio robotizzato creata al computer da Akke Wagenaar alle apparizioni per esiti mentali di Piero Fogliati; dal progetto musicale per «testi interattivi tramite Banca Dati» di Tommaso Tozzi alle sculture acustiche di Bill Fontana; dal «teatro digitale» creato da autori telematici come Giorgio Vaccarino all' ambiente sonoro per visitatori navigatori di Cecile Le Prado. Progetti (tra cui segnaliamo anche quelli di David Boeno, Alain Fleisher, Marco Galloni Piercarlo Porporato, Bernard Gitton, Sarah Holt, Pierre Lob stein, Erik Samak, Jean Metais, Pietro Mussini, Denis Pondruel, Pierre Van Berkel, Jun Takita e Giancarla Verga) ideati spesso con un' attitudine artigianale che va oltre la pura applicazione tecnologica. Carlo Infante


Scaffale Angela Piero e Alberto: «Il pianeta dei dinosauri», Nuova Eri/Mondadori
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: PALEONTOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

I libri di Piero Angela seguono la stessa evoluzione dei suoi programmi televisivi: vanno verso la spettacolarizzazione. E' probabilmente una via obbligata per inseguire un pubblico che tende ad allontanarsi dalla lettura se a propiziarla non ci sono immagini forti, paragonabili a quelle del cinema e della Tv. Ma questa via non è necessariamente una concessione ai gusti più facili o ai tempi più superficiali. «Il pianeta dei dinosauri», che Piero Angela ha scritto con il figlio Alberto, paleontologo, ha tutto il rigore informativo dei libri precedenti, quelli che erano fatti quasi soltanto di testo. Ma in più ha un apparato illustrativo che per motivi di costo, sarebbe stato impossibile realizzare esclusivamente per un libro: per esempio le splendide tavole in cui si vedono i dinosauri in azione nel loro ambiente naturale o le fotografie che ci mostrano Alberto sulle tracce dei grandi rettili estinti nei luoghi più remoti del pianeta. In certo senso, questo è un libro multimediale: si avvale delle scenografie e delle immagini del programma televisivo di Rai 1 e ha un ritmo, nella spezzettatura del testo, che si avvicina a quello dei media elettronici. In più, ovviamente, ha quella «permanenza» dell' informazione che è esclusiva della carta stampata, una qualità che mantiene intatta la funzione e la specificità del libro anche in piena era dell' immagine.


Scaffale «Urano e Nettuno», videocassetta «Le Scienze» /Mondadori Video
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

La sonda «Voyager 2» è forse il più grande successo della Nasa dopo le missioni «Apollo» che portarono allo sbarco sulla Luna. Ancora attiva, la navicella pochi mesi fa ci ha regalato l' ennesima scoperta: ha captato segnali che indicano il confine tra l' eliosfera, cioè la regione entro la quale il Sole fa sentire la sua presenza tramite un «vento» di particelle atomiche, e lo spazio interstellare. Ma il grosso pubblico ricorderà soprattutto le ultime due esplorazioni planetarie del «Voyager», svolte su Urano nel 1986 e su Nettuno nel 1989. La sonda non era stata progettata per compiere quelle imprese: fu dunque riprogrammata e adattata alle nuove condizioni operative. I risultati sono ora visibili in questa videocassetta della durata di 15 minuti, prodotta con le immagini del Jet Propulsion Laboratory della Nasa. Un documento da non perdere.


Scaffale Vannozzi Giancarlo: «Manuale di scienza dell' alimentazione» , Nis (La Nuova Italia Scientifica)
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

Tutte le ricerche epidemiologiche ci dicono quanto importante sia l ' alimentazione nell' assicurare un aumento della vita media. L' Italia, da questo punto di vista, sta bene, la dieta mediterranea ha portato la nostra speranza di vita ben più avanti di quella degli statunitensi e l' avvicina a quella dei giapponesi, il popolo più longevo del mondo. Nonostante ciò la scienza dell' alimentazione in Italia non arriva alla massa dei cittadini, anche perché la scuola fa ben poco in questa direzione. In compenso dietologi di dubbia preparazione imperversano sui giornali e impinguano nei loro studi assediati da pazienti alla ricerca della linea perduta. Il rigoroso e chiarissimo manuale di Giancarlo Vannozzi potrebbe imprimere una svolta alla cultura dietologica nel nostro Paese. Dopo una trattazione completissima e organica, una serie di tabelle completa il volume con tutti i dati concernenti centinaia di cibi. Pure edito dalla Nis, è da segnalare «Bioetica in sanità », di Sandro Spinsanti, tema attualissimo non solo per gli echi giornalistici della pretesa «clonazione» di embrioni umani o per il «sorteggio» a cui vengono sottoposti i malati di certe malattie per le quali scarseggia il farmaco ma anche per questioni che riguardano ognuno di noi: per esempio il «consenso informato» sulle terapie a cui veniamo sottoposti, la schedatura informatica dei pazienti e così via. Piero Bianucci


UNO STRANO CORTEO Pollastrelle] Incesto e omosessualità tra i polli sultani quando i giovani non trovano territori per sè
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ZOOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 071

CAPITA alle volte agli studiosi un colpo di fortuna: poter vedere con i propri occhi un comportamento inedito, sorprendente, ignoto alla scienza. Questo è successo allo zoologo John L. Craig dell' Università di Auckland (Nuova Zelanda) e al suo allievo fresco laureato Ian Jamieson. Nel corso di una ricerca sul comportamento sessuale del pollo sultano (Porphyryo porphyryo), nello Shakespear Park, vedono un giorno uno strano corteo: cinque polli sultani in fila indiana che seguono una femmina. A un certo punto lei si ferma e si accovaccia in una posizione inequivocabile, che indica la sua disponibilità al connubio. Gli studiosi hanno precedentemente munito gli uccelli di un anellino di riconoscimento, per cui sanno benissimo identificarli uno per uno e conoscono il grado di parentela che li lega. Per questo rimangono alquanto sorpresi quando riconoscono tra i polli in processione rispettivamente il padre, la madre, il fratello e lo zio della femmina che fa da capofila. Ma la loro meraviglia giunge al colmo quando vedono che proprio il padre monta la figlia e si accoppia con lei, mentre gli altri congiunti stanno tranquillamente a guardare. Bisogna dire che anche nel mondo degli animali, come in quello degli uomini, l' incesto generalmente è tabù. E' probabilmente un istinto quello che li spinge a evitarlo. Accoppiarsi con un consanguineo può essere molto rischioso. Perché possono sommarsi i geni «cattivi», dando origine a un individuo malato, deforme o comunque anormale. Inoltre, con un numero ridotto di geni diversi, si viene ad annullare uno dei maggiori vantaggi della riproduzione sessuale, la variabilità genetica della prole, che consente alla selezione naturale di agire per il meglio, eliminando le mutazioni dannose. Probabilmente è proprio per evitare l' incesto che gli scimpanzè femmina abbandonano il branco nativo quando sono in estro ed entrano a far parte di un branco diverso in cui non hanno parenti, e altrettanto fanno i giovani leoni maschi. Ma evidentemente ogni regola ha le sue eccezioni. E il caso del pollo sultano lo testimonia. Proseguendo le loro osservazioni, Craig e Jamieson scoprono non solo incesti, ma anche accoppiamenti omosessuali: maschi con maschi e femmine con femmine. Capita infatti ogni tanto che la femmina alfa quella che nella rigida gerarchia dei polli occupa la posizione al vertice monti una femmina beta, a lei subordinata. Si sa che tra gli uccelli l' atto sessuale consiste nel far combaciare le due aperture genitali. In questo modo, nel normale accoppiamento eterosessuale, il maschio può versare lo sperma direttamente nell' orifizio genitale femminile senza che se ne disperda nemmeno una goccia. Tra le due femmine l' accoppiamento si limita ovviamente a un semplice contatto genitale. Forse in seguito a questo atto di predominanza sessuale da parte della femmina alfa, quella beta depone un uovo in meno della prima. Non meno singolare è l' accoppiamento tra maschi. Uno di loro inizia il corteggiamento seguendo impettito una femmina e lanciando forti schiamazzi. A questo punto si possono unire alla coppia vari maschi che si dispongono in fila indiana dietro il corteggiatore. Se la femmina è recettiva, lo fa capire assumendo una particolare posizione. In questo caso, il pretendente le sale in groppa. Quando un corteggiamento è in atto, gli altri maschi si limitano generalmente a guardare, senza mostrare nessuna gelosia e non si sognano di intervenire. Ma succede talvolta che uno intervenga e si può giurare che in questo caso si tratta del maschio alfa. Le cose possono svolgersi allora in maniera davvero singolare. Il maschio dominante corre davanti al corteggiatore e si accovaccia nella tipica posizione che fa da stimolo alla copula. Presi da un impulso irresistibile, gli astanti non fanno più differenza di sesso. I maschi smettono istantaneamente di seguire la femmina e quello che si trova più vicino al maschio alfa gli sale sul dorso e lo monta. Se invece il maschio alfa interviene per interrompere un accoppiamento, se la prende non già con il rivale, bensì con la femmina. La becca energicamente alla testa e al collo e lei capisce l' antifona: abbandona immediatamente la posizione accovacciata, disarcionando così l' amante. Va detto però, a onor del vero, che il più delle volte il maschio alfa si comporta da gentiluomo. Non interrompe l' accoppiamento di un rivale. Si limita a starsene da parte e a fare il voyeur. Guarda soltanto, senza intervenire. Ma perché il pollo sultano lascia fecondare le femmine dai suoi parenti stretti, cosa che non succede generalmente negli altri animali? Gli studiosi ne danno questa spiegazione. La maggior parte dei giovani uccelli, quando è il momento di nidificare e di riprodursi, si disperde allontanandosi dal territorio dei genitori, il che però richiede abbondanza di luoghi di nidificazione nelle regioni circostanti. Questo non succede nello Shakespear Park, dove l' habitat adatto alla nidificazione è estremamente limitato. Di conseguenza i figli rimangono nel territorio dove sono nati e aiutano i genitori ad allevare le covate successive. C' è, è vero, l' inconveniente che, diventando sessualmente matura, la nuova generazione diventa concorrente sessuale di quella precedente. Ma poco male, visto che condivide con lei circa la metà del patrimonio genetico. L' incrocio tra parenti aumenta la probabilità di ereditare geni recessivi letali, ma quando in una popolazione vi è una forte percentuale di incesti, la pressione selettiva finisce per eliminare nel giro di poche generazioni i geni dannosi. E che fra i polli dello Shakespear Park sia alta la percentuale di incesti lo dimostrano le cifre. Il 67 per cento della popolazione si riproduce incestuosamente: padre con figlia, madre con figlio o fratello con sorella, come ha dimostrato in modo inequivocabile l' analisi genetica del Dna. Isabella Lattes Coifmann


Fossile di Ittiosauro Il delfino con gli embrioni Ritrovato nelle Prealpi, ha 238 milioni di anni
Autore: BASSI PIA

ARGOMENTI: PALEONTOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 071

DAGLI scisti ittiolitici di Besano nelle Prealpi varesine, formazione geologica di età triassica (da 240 a 200 milioni di anni fa), è stato portato alla luce un rettile dal corpo affusolato e dall' aspetto di un grande delfino con la coda pinnata. Nel 1992 un cercatore di fossili del Gruppo Volontari del Museo di Besano, Sergio Rampinelli, ne aveva trovato il rostro staccando una lastra e da allora i lavori continuarono alacremente, coordinati da Giorgio Terruzzi e Cristiano del Sasso, paleontologi del Museo Civico di Storia Naturale di Milano. I due paleontologi hanno spiegato, in una conferenza stampa, che l' eccezionalità del ritrovamento sta in tre punti: è l' animale fossile del Mesozoico più grande e completo mai trovato in Italia; è un ittiosauro che appartiene probabilmente a una nuova specie, è una femmina con embrioni. L' esemplare ritrovato misura 5, 80 metri, il rostro è più lungo di quello di un delfino moderno, ha piccoli denti e si nutriva 238 milioni di anni fa di molluschi. Giorgio Teruzzi, direttore degli scavi, spiega quale tipo di ambiente ci doveva essere nel Triassico a Varese e dintorni. La temperatura era tropicale, Bahamas o Golfo Persico, con barriere coralline che racchiudevano lagune di acque calme, poco vitali in profondità, tanto che quando il nostro ittiosauro morì si adagiò sul fondale della laguna rimanendo ben compatto, data l' assenza di correnti che potevano disperdere le ossa. Infatti lo scheletro è apparso integro ai radiologi del Policlinico di Milano, che hanno eseguito più di 100 radiografie, con addirittura le uova schiuse nel ventre e tracce di cibo nello stomaco. Gli ittiosauri sono rettili simili a delfini, perfettamente adattati alla vita di mare, tanto da diventare ovovivipari, cioè animali le cui le uova si schiudono nel ventre materno e i piccoli sono partoriti vivi. Già nella Germania meridionale furono trovati resti fossili di femmine gravide in rocce di 190 milioni di anni fa. Il fossile è stato trasportato dal giacimento di Besano in piccole lastre che venivano consolidate e poi radiografate. La lastra compatta misura circa 16 metri quadrati e ha uno spessore di soli tre centimetri. Le ossa non sono ancora visibili perché inglobate nella roccia bituminosa. Cristiano del Sasso, responsabile del laboratorio, spiega che per liberare lo scheletro dalla sua millenaria prigione sono necessarie quindicimila ore di preparazione al microscopio. Le rocce fossili di Besano hanno uno spessore di 15 metri e affiorano in territorio italiano e svizzero sulla dorsale Monte San Giorgio Monte Orsa. Nel 1854 Emilio Cornalia, primo direttore del Museo di Storia Naturale di Milano, trovò a Besano il primo rettile fossile. Gli scavi successivi di Antonio Stoppani portarono alla luce soprattutto rettili fossili sia marini sia terrestri, a partire dai quali furono descritte ben 23 specie. In particolare, c' era un antenato diretto dei dinosauri, il Ticinosuchus Ferox, il cui scheletro è stato trovato quasi completo. Nel 1973 l' attuale direttore del Museo, Giovanni Pinna, in collaborazione con il Gruppo Volontari del Museo di Besano, ha intrapreso una serie di scavi per ricostruire la collezione di fossili andata distrutta con i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Pia Bassi


TUMORE POLMONARE Mutazioni nei bronchi Le tappe successive delle alterazioni
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, GENETICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 071

IMPORTANTI progressi vanno compiendosi a proposito del tumore polmonare (più propriamente carcinoma bronchiale) per quanto riguarda i metodi diagnostici e la comprensione della genesi. Dopo la seconda guerra mondiale è stata la malattia con l' aumento di gran lunga più spettacolare dal 1950 al 1985, una vera epidemia nella popolazione maschile. Questa evoluzione per fortuna non è più ineluttabile, e almeno nei maschi di certi Paesi (Stati Uniti, Regno Unito) e nei giovani è avvenuta una diminuzione dal 1985. Nelle donne, invece, i casi continuano ad aumentare. Il polmone è l' organo bersaglio privilegiato dell' agente cancerogeno a sua volta più diffuso nel mondo, il fumo di tabacco. L' 80 90 per cento dei carcinomi bronchiali nell' uomo, il 50 75 per cento nella donna sono da tabacco. Altri cancerogeni per il polmone sono soprattutto presenti nell' ambiente di lavoro, per esempio l' amianto, il nichel, il berillio, il radon. Ricerche recenti hanno dimostrato un pericolo notevole per i soggetti esposti a un importante inquinamento atmosferico. Secondo studi epidemiologici condotti nella Repubblica cinese, di cui si è parlato al recente congresso internazionale oncologico di Rapallo, l' esposizione all' inquinamento atmosferico nell' interno della casa è in rapporto al rischio del tumore, particolarmente per le donne, quando la ventilazione è scarsa. Naturalmente il formarsi del carcinoma risulta dall' incontro di fattori esterni con una suscettibilità individuale, geneticamente determinata o risultante da fattori ambientali quale l' alimentazione. Molte indagini hanno documentato che il regolare consumo di frutta e verdura è associato a una riduzione del rischio per i non fumatori e anche per i fumatori, per cui taluni raccomandano ai forti fumatori una prevenzione mediante composti vitaminici. Il progresso più sensibile concerne la conoscenza dell' oncogenesi (trasformazione cancerosa) dei bronchi. La biologia molecolare permette oggi di addentrarsi nei meccanismi intimi del processo tumorale. In tutte le cellule vi sono geni detti protoncogeni, che hanno il compito di regolare la normale moltiplicazione cellulare. Se avviene una mutazione, per esempio provocata dal fumo di tabacco, diventano oncogeni (onkos, in greco, significa tumore) e le cellule, svincolate dalle restrizioni imposte dai protoncogeni, possono sfrenarsi in una moltiplicazione senza limiti. Un' altra classe di geni, più recentemente identificata, gli anti oncogeni, hanno in condizioni normali una funzione regolatrice che frena la moltiplicazione: se perdono la loro funzione, contribuiscono anch' essi alla proliferazione maligna. I progressi della genetica molecolare hanno permesso di riconoscere un certo numero di anomalie genetiche implicate nella patologia del carcinoma bronchiale. Queste alterazioni si svolgono in tappe successive nel corso delle quali le mutazioni si accumulano giungendo alla trasformazione maligna, poi all' invasione metastatica. Sono implicati gli oncogeni C myc, L myc, N myc, di solito uno solo dei tre. Altri geni implicati sono i ras, le cui mutazioni risultano presenti in un' alta percentuale di tumori nei forti fumatori. La cooperazione di geni delle famiglie myc e ras nell' insorgenza del tumore è stata dimostrata. Anche perdite di materiale cromosomico risultano con grande frequenza, nei cromosomi 1, 2, 3, 5, 8, 13 e 17. Ciò fa pensare alla scomparsa di geni soppressori del tumore. Tutto questo fa balenare il grande miraggio della medicina moderna, i metodi diagnostici e terapeutici di natura genetica, la cosiddetta ingegneria genetica. Un ricercatore americano, Jack A. Roth di Houston, lavora a reimmettere nella corretta linea di riproduzione il Dna cellulare, per ora in via sperimentale negli animali. E un giapponese, Y. Hayata di Tokyo, ha messo a punto una tecnica di asportazione del tumore polmonare in fase iniziale mediante terapia fotodinamica. Ulrico di Aichelburg


AIDS CD26, la molecola che permette al virus Hiv di entrare nella cellula
Autore: FERRERO FEDERICO, MALAVASI FABIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, GENETICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 071

LA notizia, recentemente comunicata dal gruppo di Montagnier (Istituto Pasteur, Parigi), di un coinvolgimento della molecola CD26 nel legame tra il virus dell' Aids e le cellule umane, non ha colto di sorpresa la comunità scientifica, da tempo impegnata a dimostrare che la molecola CD4 non è il solo recettore del virus. Com' è noto, il virus dell' Aids dà inizio all' infezione legandosi alla molecola CD4, un recettore di superficie dei linfociti T, presente anche su monociti/macrofagi e su cellule del tessuto nervoso. Una serie di evidenze hanno suggerito in questi ultimi anni che i recettori o co recettori del virus sarebbero più di uno. La storia del CD26 inizia negli Anni 80, quando il gruppo di G. Corte e A. Bargellesi (Università di Genova) ne dimostrò l' espressione su linfociti T e su altre popolazioni cellulari, principalmente durante l' attivazione. In un primo tempo lo studio della molecola è stato indirizzato alla fisiologia delle popolazioni di leucociti, con particolare attenzione ai linfociti T coinvolti nel rigetto dei trapianti: si era osservato infatti che gli anticorpi monoclonali anti CD26 avevano la capacità di ridurre le difese immunitarie. Successivamente fu dimostrato che il CD26 presentava caratteristiche funzionali assimilabili a quelle di un enzima ad attività proteolitica, noto da tempo e ampiamente descritto nella letteratura specializzata: la dipeptidilpeptidasi IV. Inoltre, in analogia a numerose altre molecole simili ad attività enzimatica, la molecola ha un inserimento nel doppio strato lipidico che costituisce la membrana cellulare, diverso dalle convenzionali proteine di membrana, presentando il tratto amino acidico NH2 all' interno del citoplasma anziché all' esterno, come avviene di solito. Recentemente il gruppo di S. F. Schlossman, della Harvard Medical School di Boston, e quello di A. N. Hougton, dello Sloan Kettering Cancer Center di New York, hanno dimostrato che la molecola CD26 contrae dei legami sulla membrana con l' adenosindeaminasi (ADA), un enzima che sicuramente molti ricorderanno quale oggetto di interventi di terapia genica. La sua assenza provoca infatti nei piccoli pazienti gravissime forme di immunodeficienza. Il profilo immunodeficitario è stato appunto la nuova griglia di lettura utilizzata dai ricercatori nell' esaminare la funzione del CD26 all' interno della sindrome da immunodeficienza acquisita (Aids), dove le cellule bersaglio dell' attività virale sono proprio quelle in cui è stata dimostrata l' espressione di questo antigene. Sono già operativi alcuni progetti mirati all' utilizzo di anticorpi monoclonali dotati di singola o doppia specificità diretti contro le molecole CD4 e CD26, soprattutto in qualità di vettori di sostanze tossiche (immunotossine) in grado di interferire con le prime fasi della malattia. Inoltre un promettente programma di immunoterapia è stato avviato da tempo nell' ambito del progetto Aids dell' Istituto Superiore di Sanità e si avvale della collaborazione tra Laboratori dell' Università di Torino, dell' Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro Ist di Genova e di un Laboratorio del National Institute of Health di Bethesda, Usa. Come spesso accade, i risultati ottenuti nel campo della ricerca biologica non sono sempre univoci. Infatti, uno studio condotto da un gruppo dell' Università di Cordova, pubblicato su «The Journal of Immunology» nel 1992, suggeriva la possibilità che il virus Hiv colpisse preferenzialmente una popolazione di linfociti CD4più CD26, un risultato in aperto contrasto con questi dati. Le conclusioni del gruppo Montagnier sono state coperte da ogni possibile brevetto, memori delle decennali battaglie con l' Nih e il governo americano. Adesso si attende con ansia di valutare a fondo i dati quando questi verranno pubblicati nelle riviste scientifiche. Federico Ferrero Fabio Malavasi Università di Torino


INFORMATICA «Scatole» per numeri e messaggi Quinta puntata
Autore: MEO ANGELO RAFFAELE, PEIRETTI FEDERICO

ARGOMENTI: INFORMATICA, DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 072

PROGRAMMARE in Basic significa essenzialmente creare e usare oggetti. Tra questi oggetti, quelli di uso più comune sono le «scatole», che distingueremo in nere o rosse. Le scatole nere possono contenere soltanto numeri, mentre le scatole rosse possono contenere qualunque tipo di messaggio, ossia quelle che abbiamo definito come «stringhe». Ogni scatola deve avere un nome, che deve iniziare con una lettera per proseguire poi con altre lettere o cifre. Per distinguere le scatole nere da quelle rosse, si mette come ultimo carattere del nome di una scatola rossa, il segno «$ » Ad esempio SCATOL1 può essere il nome di una scatola nera, mentre SCATOL1$ il nome di una scatola rossa. BOX3, FOTO, LEZIONE5 E, in modo più conciso A, B oppure A1, A2, B3 sono tutti nomi possibili di scatole nere, mentre BOX5$, GUI DA$, ELENCO3$ oppure A$, B$, A1$, B4$ possono essere nomi di scatole rosse. Non è possibile invece «battezzare» una scatola 1A oppure 8CENTRO, perché il nome di una scatola, come abbiamo detto, non può iniziare con una cifra, ma soltanto con una lettera. Nel dare il nome ad una scatola sarà bene tener presente che questo deve essere indicativo del tipo di dato che dovrà contenere in un determinato programma. Ad esempio, se stiamo risolvendo un problema finanziario, metteremo gli eventuali dati riguardanti uno sconto in una scatola dal nome SCONTO. Il nome di una scatola non deve essere confuso con il suo contenuto. Il nome di una scatola non cambia mai, mentre sovente cambierà il suo contenuto. Ad esempio, la scatola CHAR LOT$ in un certo momento, potrà contenere il messaggio «L' evaso», in un altro «Il monello» oppure la frase di Chaplin «La comicità ci in segna che in un eccesso di serietà si annida sempre l' assurdo». Qualsiasi cosa contenga il nome della scatola resta sempre uguale. In questo caso, CHARLOT$ è come si dice la «variabile stringa» CHARLOT$ e BOX è la «variabile numerica» BOX. Il programmatore conosce ovviamente il nome della scatola, perché è stato lui a «battezzarla», ma potrà anche non conoscerne il contenuto, perché può averlo dimenticato oppure perché nella scatola è stato introdotto il risultato di un calcolo complicato. Tuttavia, in qualsiasi momento, come vedremo, egli può ordinare al calcolatore di aprire la scatola e mostrarne il contenuto. Per ricordare meglio la differenza fra nome e contenuto di una scatola, si può immaginare che il nome sia stato scritto con un pennarello indelebile sul coperchio della scatola stessa e che il contenuto sia invece scritto su un foglietto che in qualunque momento può essere tolto dalla scatola e sostituito con un altro foglietto indicante un numero o un messaggio diverso. Il modo più semplice per farsi consegnare una scatola dal calcolatore, darle un nome e riempirla con un numero, è quello di scrivere un comando del tipo BOX3 = 8. In questo modo nella scatola di nome BOX3 viene inserito il numero 8. La frase che abbiamo scritto costituisce un esempio di «comando di assegnazione». Questa è costituita dal nome di una scatola seguito dal segno "= "e da un' espressione. In alcune versioni di Basic l' istruzione dev' essere esplicitata con la parola LET che significa letteralmente «assegna». Si può quindi scrivere BOX3 = 8 oppure LET BOX3 = 8 Il numero che inseriamo nella scatola nera è il suo «valore numerico», mentre la scatola rappresenta quella che in matematica si chiama «variabile». Allo stesso modo, con le scatole rosse, scriviamo FELLINI$ = «La strada», oppure LET FELLINI$ = «La strada». E' possibile, come dicevamo, ordinare al calcolatore di farci vedere il contenuto di una scatola con l' istruzione di stampa PRINT. Scriviamo ad esempio: BOX3 = 8. PRINT BOX3 Il calcolatore mette a disposizione la scatola di nome BOX3, svuotandola se era già stata usata in precedenza, oppure preparandone una nuova con questo nome. Inserisce poi nella scatola un foglietto contenente il numero 8 ed infine, con PRINT, stampa il contenuto della scatola. Osserva che il comando PRINT BOX3 ordina di visualizzare il contenuto della scatola BOX3, mentre il comando BOX3 = 6 più 2 ordina di introdurre nella scatola BOX3 il risultato dell' espressione 6 più 2. Con le scatole rosse scriviamo, ad esempio: BOX$ = «Un cuore in inverno» PRINT BOX$ Il calcolatore mette a disposizione la scatola di nome BOX$ inserendovi un foglietto contenente la stringa «Un cuore in inverno». Infine, con PRINT, stampa il contenuto della scatola. Possiamo anche mescolare i due tipi di istruzione per la stampa di una stringa e del contenuto di una scatola. Ad esempio: WATCH$ = «Sono le 16. 05» PRINT «Che ore sono? » PRINT WATCH$ In questo caso il calcolatore cerca la scatola WATCH$ e se questa contiene il messaggio «Sono le 16. 05», stampa: che ore sono? Sono le 16. 05


LA PAROLA AI LETTORI «Ziggurat», la casa terrestre del dio
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 072

DOPO quattro settimane, la domanda «Com' è che la Terra, in quattro mi liardi e mezzo di anni, non si è ancora raffreddata? » continua a suscitare risposte controverse. Eccone ancora una: «L' età del nostro pianeta non è affatto una cosa certa, come non è certo che all' atto della sua formazione potessero essere già presenti quegli elementi radioattivi che si dice dovrebbero, per decadimento, produrre calore. Non risulta neppure possibile che eventuali elementi radioattivi possano essersi prodotti nella fase di formazione del nostro pianeta. Su queste questioni siamo ancora nel campo delle ipotesi. L' età della Terra e il «consumo» di elementi radioattivi sono «idee» che, anche se in parte sostenute da misure e calcoli, si reggono in piedi a vicenda. Il giorno che una dovesse cadere, cadrebbe anche l' altra. La fissione di nuclei pesanti e la fusione termonucleare sono entrambe incapaci, in armonia con tutte le possibili osservazioni e misurazioni effettuabili, di spiegare quali veri fenomeni possano verificarsi nelle viscere del nostro pianeta. C' è qualcosa che non funziona: non nei meccanismi della natura... nelle teorie degli uomini. Giovanni Borella, Genova Che cosa sono le ziggurat? Sono piramidi della Mesopotamia (attuale Iraq), costruite in terra alternata ogni mezzo metro da uno strato di canne incrociate. Il carattere argilloso della terra e il clima secco della regione le hanno conservate parzialmente fino a oggi. Marco Casalegno Moncucco (TO) La più grande è la ziggurat di Babilonia: 456 metri di base e 91 di altezza: probabilmente è la famosa Torre di Babele. Elena Ercole, Quattordio (AL) Questi edifici, che in un primo periodo avevano carattere strettamente religioso, furono poi adibiti prevalentemente a magazzini statali per la conservazione del grano. Barbara Gagliano St. Vincent (AO) Aveva 7 piani, tanti quanti i pianeti del Sole allora conosciuti. Manuela Corona, Torino Perché le ballerine danzano sulle punte e i ballerini no? Il balletto classico è caratterizzato da due «figure » ben distinte: quella femminile, eterea, leggera, aggraziata (che si realizza con la tecnica delle punte, scarpette da ballo provviste di una mascherina in gesso e di una suola rinforzata) e quella maschile, forte e potente (che si esprime con salti e pirouettes). Per tradizione, le scarpette sono sempre state riservate alle ballerine. I danzatori, comunque, non presentano nessuna limitazione fisica all' uso delle «punte»: anzi, alcuni coreografi le hanno fatte portare anche ai ballerini per produzioni particolari o per riletture in chiave ironica del repertorio classico. Solo con Nureyev il danzatore è diventato, da semplice porteur, una figura via via più importante. Silvia e Laura Chiusano Torino Perché i serpenti fanno guizzare la lingua dentro e fuori dalla bocca? I serpenti sono privi di un apparato visivo efficiente. Quindi, per avvertire la presenza di prede o pericoli usano la loro lingua. Essendo biforcuta, riesce a captare molto bene gli odori, che successivamente vengono analizzati dal serpente. Silvia Giuliani, III B S. M. S. Astesano Villanova d' Asti In genere, quando un animale viene morsicato da un serpente velenoso, non muore subito e riesce a fuggire dal suo predatore il quale poi, se pensa di poter «banchettare» a sue spese, deve ritrovarlo, e questo avviene con l' aiuto della lingua. Il serpente la estrae rapidamente dalla bocca come se dovesse «assaggiare» l' aria: in questo modo alcune particelle invisibili rimangono attaccate ad essa. Ritirando la lingua nella bocca, queste vengono a contatto con un organo detto «organo di Jacobson», che è in grado di riconoscere le particelle emesse dalla vittima. Pare infatti che una preda avvelenata emetta particelle speciali, forse prodotte dal veleno stesso, che consentono al serpente di non sbagliare e di seguire il suo percorso passo a passo. Raffaella Gastaudo Pecetto (TO)


STRIZZACERVELLO Strani numeri telefonici
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 072

Strani numeri telefonici Due studiosi di matematica si incontrano dopo molto tempo; il primo va di fretta e prega l' altro di richiamarlo all' università il giorno dopo: «Chiamami al mio interno e se dovessi trovarlo occupato prova sul diretto». «Che numero hai? » si informa il secondo. «Tieni presente che l' interno è un numero di quattro cifre mentre il diretto ne ha sette; entrambi, se si inverte l' ordine delle cifre, danno origine a due loro divisori perfetti, il primo per 4 ed il secondo per 9». «Mi pare un po' poco] » ribatte l' altro. «Aggiungo che i due numeri hanno in comune solo le cifre 1 e 8» conclude il primo, scomparendo oltre la porta. Quali numeri dovrà formare l' incredulo matematico? La soluzione come sempre domani, accanto alle previsioni del tempo. (A cura di Alan Petrozzi)


Piccolo laboratorio Formiche sotto vetro Facili da tenere, interessanti da guardare
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 072

Le formiche sono insetti sociali, che vivono e lavorano insieme per il bene di tutti i membri della colonia. Ce ne sono migliaia di specie, onnipresenti là dove il clima non è troppo freddo. Si nutrono di insetti nocivi e sono a loro volta cibo per altri esseri Una colonia inizia con l' accoppiamento di una regina con un maschio e la deposizione delle prime uova. La regina continuerà a deporre uova per il resto della sua lunga vita. I maschi non vivono a lungo: servono solo per fecondare la regina. Tutto il lavoro viene fatto dalle operaie. Quasi tutti i nidi si trovano sottoterra e sono formati da diverse camere collegate fra di loro con gallerie. Sono sempre ben forniti di cibi, pulitit e dottati di quartieri invernali molto profondi, al riparo dal freddo. Con la terra degli scavi si costruiscono i tumuli esterni. Foglie e rametti coprono gli ingressi


PLASTICA Raccolta a gonfie vele Ma dopo?
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, RIFIUTI, RICICLAGGIO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 069

IN Germania i primi risultati della legge Topfer sono ritenuti incoraggianti; il sistema di raccolta, secondo il consorzio che lo gestisce, ha già raggiunto il 96 per cento delle famiglie; di sola plastica nel ' 92 sono state raccolte oltre 100 mila tonnellate, per il ' 93 si prevede di raccoglierne da 250 a 400 mila tonnellate. Si sono diffusi imballi riutilizzabili, la metà dei succhi di frutta si serve di imballi «a ritorno». I «blister», cioè gli involucri di plastica impiegati nella presentazione di numerosi prodotti, stanno rapidamente scomparendo, quasi che se ne sia improvvisamente rivelata l' inutilità: prima erano in uso per 146 prodotti, oggi lo sono per uno soltanto. Un' indagine compiuta su 452 oggetti di 315 aziende ha rivelato che nel 26 per cento dei casi queste avevano eliminato del tutto gli imballaggi e nel 50 per cento li avevano ridotti. In Italia, in attesa di una legge che riguardi tutti gli imballaggi, il Consorzio obbligatorio per il riciclaggio dei contenitori in plastica per liquidi ha inaugurato lunedì 18 ottobre a Montemurlo, in provincia di Prato, un impianto a «ciclo chiuso» per il riciclaggio dei contenitori in plastica per liquidi. E' il primo, e per ora unico, del genere nel nostro Paese.


DIRETTIVA CEE Restituire Ridurre Riutilizzare
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, RIFIUTI, RICICLAGGIO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 069

LA direttiva in discussione alla Cee ha come principio fondamentale quello della corresponsabilità di chi produce o fa circolare imballaggi, cioè fornitori delle materie prime, utilizzatori, distributori e commercianti. Obiettivi principali: ridurre la produzione di rifiuti da imballaggio; recuperarne la maggior quantità possibile; ridurre al minimo la quantità di tali rifiuti da destinare allo «smaltimento definitivo», cioè alla distruzione negli inceneritori o al seppellimento nelle discariche. Entro dieci anni dall' entrata in vigore, dovrà essere possibile recuperare il 90 per cento degli imballaggi; il 60 per cento di questi dovrà essere riciclato. Per la stessa data i residui destinati allo «smaltimento definitivo» non dovranno superare il 10 per cento. Gli Stati membri della Comunità dovranno dotarsi di sistemi per la restituzione degli imballaggi da parte dei consumatori e per la loro riutilizzazione; adottare un sistema di marcatura che favorisca l' identificazione, la restituzione e il recupero; eliminare dal mercato gli imballaggi inadatti al recupero e al riuso. I nuovi imballaggi dovranno contenere una certa quota di prodotti provenienti dal riciclaggio.


IN GERMANIA La nuova era del «vuoto a rendere» Imballaggio addio] «Riciclare»: parola magica, ma falsa soluzione
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, RIFIUTI, RICICLAGGIO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 069

ALL' INIZIO si chiama packaging ed è una di quelle attività emergenti di cui si occupano manager rampanti e a cui si dedicano convegni e libri. Il packaging (in banale italiano: «imballaggio» ) deve servire a proteggere il prodotto ma anche a farlo vendere, farlo entrare nella borsetta dell' impiegata o nello zainetto dello scolaro. Deve incontrare gli occhi, catturare dai banchi dei supermercati l' attenzione delle massaie e accendere i desideri dei loro bambini. E' il trionfo della plastica e del design. Un vasetto di yogurt può persino essere bello. Subito dopo, però, il packaging diventa scoria del consumismo, immondizia. Allora nessuno se ne vuole più occupare. Qualche anno fa alcune enormi chiatte cariche di rifiuti percorsero più volte su e giù l' Atlantico davanti alle coste americane, alla ricerca di un posto che le accogliesse. Non so come sia finita. Da noi in genere si preferisce sotterrare i rifiuti nelle discariche, ma possibilmente sempre nel Comune vicino. Succede anche, qualche volta, che qualcuna di queste discariche lasci colare i suoi liquami nelle falde degli acquedotti oppure, come durante recenti nubifragi, che un fiume in piena irrompa in una di esse e ne trascini a valle il contenuto spargendolo ovunque. Per evitare tutto questo, qualcuno, negli anni scorsi, aveva pensato di portare il pattume made in Italy in Nigeria; ma i nigeriani quando se ne sono accorti si sono arrabbiati moltissimo. Naturalmente gli imballaggi non sono tutte le scorie delle nostre società ricche; ne sono però una componente impressionante. Secondo uno studio eseguito dalla Ernst and Young Revisione e studi ambientali per conto del Comitato per l' imballo ecologico e la Pro Carton, in Italia sono la parte principale dei rifiuti solidi urbani. Nel 1990 gli imballaggi hanno prodotto più di 12 milioni di tonnellate di scarti, nel ' 91 siamo passati a 12 milioni 700 mila tonnellate e il trend è ascendente. Circa 5 milioni di tonnellate sono costituiti da imballaggi primari, cioè «funzionali alla vendita» e quindi finiti in mano ai consumatori. Per il resto si tratta di imballaggi secondari e terziari, cioè impiegati nel trasporto, nella commercializzazione e nella distribuzione, e quindi rimasti nelle aziende di questi settori. Il riciclaggio sembrerebbe la formula magica per risolvere il problema perché elimina una parte più o meno grossa dei rifiuti e ne recupera la materia prima. Ma può anche essere una falsa soluzione perché la spesa per la raccolta differenziata, l' inquinamento causato dagli autocarri che percorrono la città per effettuarla, l ' energia (e relativo inquinamento atmosferico) necessaria per ottenere la «materia seconda» spesso hanno un costo (economico ed ecologico) spropositato. Ma anche quando il recupero fosse una strada percorribile possono presentarsi situazioni imbarazzanti. Esempio: in applicazione della Legge Topfer, in Germania si sono accumulate quantità enormi di materali di recupero come plastica, carta, vetro, metalli; le industrie tedesche ne riciclano solo una piccola parte, quella che il mercato assorbe. Così si assiste a una massiccia esportazione verso l' estero a prezzo nullo o addirittura negativo. La conseguenza è che i materiali da riciclare in tali Paesi hanno perduto ogni valore e nessuno ha più interesse a raccoglierli. Quando il riciclaggio diventerà obbligatorio in tutta la Cee (e dovrebbe avvenire presto), ci si ritroverà con un' enorme quantità di materiale recuperato a caro prezzo di cui non si saprà che fare. Così comincia a farsi strada il sospetto che forse l' unico modo per eliminare i rifiuti (di tutti i generi, ma principalmente da imballaggio) sia quello non produrli affatto, o perlomeno di produrne il meno possibile. Esattamente il contrario di quello che è avvenuto finora. Questo obiettivo, parallelo a quello del riciclaggio, fa già capolino nella legge Topfer ma è la vera novità della «direttiva» in discussione alla Cee. Discorso non facile, evidentemente, perché contrasta con l' interesse dei fabbricanti di imballaggi (basta ricordare le strazianti proteste dei fabbricanti di sacchetti di plastica quando in Italia si tentò di colpirli con una piccola tassa che doveva limitarne l' uso); e perché costringerebbe le industrie a rivedere i sistemi di produzione e di distribuzione. Ma può funzionare: in Germania certi prodotti sono già venduti senza scatola, sono ricomparsi i contenitori in plastica riutilizzabili. L' allegra pratica del «vuoto a perdere» (cioè da buttare nella spazzatura o da abbandonare nei prati dopo il picnic) diventa più difficile, mentre i negozi si stanno riattrezzando per ritirare le bottiglie dell' acqua minerale riportate dai clienti.


PROGETTO HELIANTUS In volo con l' energia del Sole L' aereo elettrico, lento ma pulito
Autore: BERNARDI MARIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

DA più di 70 anni l' uomo ha imparato a utilizzare per il volo a vela l' energia solare in modo indiretto: le correnti ascensionali che consentono il veleggiamento sono infatti il prodotto del meraviglioso laboratorio termodinamico dell' atmosfera che il Sole alimenta con i suoi raggi. Prende invece corpo solo nell' ultimo decennio l' idea di utilizzare per il volo l' energia solare in modo diretto, estraendola per effetto fotovoltaico da celle di rivestimento delle superfici dell' aereo. La prima significativa realizzazione sperimentale in questa direzione risale al 1980. In quell' anno l' americano McCready converte in «solare» un velivolo originariamente concepito per esperienze di volo a propulsione muscolare. Il 18 maggio l' aereo si libra per 14 secondi e pochi giorni dopo effettua un volo di 14 minuti: ai comandi il figlioletto del progettista, favorito nel ruolo di collaudatore, grazie al suo peso di soli 40 chilogrammi. Un anno dopo lo stesso McCready realizza presso il Mit (Massachusetts Institute of Technology) il primo velivolo costruito espressamente per la propulsione solare: il «Solar Challanger». Le esperienze di McCready culminano il 7 luglio 1981 con la traversata della Manica e con un volo di 8 ore e 4000 metri di quota massima. La velocità raggiunta è di 70 km/ora. Per la miglior realizzazione di un aeroplano a energia solare la città di Ulma ha bandito per il 1986 un concorso: il Premio Berbingler di 100. 000 marchi. La velocità dell' aereo non dovrà risultare inferiore a 120 km/ora: da confrontare con i 70 km/ora del «Solar Challanger». Basterebbe questa prestazione a significare il forte progresso anticipato da una giuria composta da qualificatissimi rappresentanti della comunità scientifica tedesca. La sfida è stata raccolta anche da un gruppo di tecnici italiani con il progetto di un velivolo che si chiama «Heliantus» (nome scientifico del girasole). L' iniziativa ha preso il via da Torino ad opera di Pierluigi Duranti, un ingegnere che, impegnato professionalmente nella sperimentazione di velivoli a getto, si occupa per diletto di aeroplani leggeri di costruzione amatoriale. Nel tema progettuale convergono le tecnologie più avanzate e innovative: dalla ricerca dei migliori mezzi di conversione fotovoltaica allo studio di soluzioni propulsive, strutturali ed aerodinamiche «estreme» per rendere la sostentazione del mezzo compatibile con l' esiguità delle potenze disponibili. La potenza dell' irraggiamento solare che in condizioni «ideali» raggiunge la Terra rappresenta poco più di un cavallo per metro quadro. Purtroppo nel processo di utilizzo questo valore viene subito abbattuto dal basso rendimento della conversione fotovoltaica: nonostante i progressi stimolati dalle applicazioni spaziali i migliori convertitori (Arseniuro di Gallio e Silicio monocristallino) non superano il rendimento pratico del 15 per cento. A valle della generazione, i motori a corrente continua raggiungono rendimenti del 95 per cento; ma i riduttori, necessari per portare i loro altissimi giri ad azionare eliche di grande raggio e bassa velocità, danno luogo a una perdita addizionale di circa il 3 per cento. Tenuto conto di una ulteriore erosione di circa il 2 per cento dovuta al rendimento delle eliche, in condizioni di insolazione media ci si ritrova con una potenza propulsiva netta di meno di un decimo di cavallo per metro quadro di superficie esposta. E poiché in un ipotetico motoaliante questa si può considerare dell' ordine dei 20 25 metri quadri, la potenza propulsiva disponibile risulterà dell' ordine dei 2 cavalli. Per poter volare con questa potenza occorre anzitutto una struttura che a parità di geometria e di robustezza, pesi meno della metà di quella di un aliante di tecnologia spinta: non più di 100 kg, motori ed eliche compresi. A tale scopo, oltre all' ottimizzazione della configurazione e delle tecniche costruttive, è essenziale l' utilizzazione dei materiali più avanzati: matrici composite progettate per la specifica funzione di ciascun elemento strutturale. Il volo a energia solare si effettua a velocità più prossime a quelle degli uccelli che a quella degli aerei a getto. Mentre il Progettista degli uccelli ha pensato con gli accorgimenti più sofisticati a minimizzare la potenza necessaria al volo lento, in aviazione l' aerodinamica dei bassi numeri di Reynolds ha ricevuto modesta attenzione, merita grande impegno e promette notevoli ritorni per il successo dell' impresa. Quanto detto delinea, se pur sommariamente, un impegno di grande complessità e interesse, su un fronte interdisciplinare a 360 di orizzonte: del team del Progetto «Heliantus», oltre a ricercatori e studenti laureandi guidati dai professori Giulio Romeo e Fulvia Quagliotti del Dipartimento di ingegneria aeronautica e spaziale del Politecnico di Torino, fanno parte anche il professor Casarosa del Dipartimento di ingegneria dell' Università di Pisa, il professor Morino del Dipartimento di ingegneria aeronautica dell' Università di Roma e il professor Carbonaro dell' Istituto di Aerodi namica «Von Karman» di Bru xelles. Tra le esperienze specialistiche disponibili all' interno del gruppo, figurano le auto a energia solare realizzate presso il Politecnico di Milano sotto la guida del professor Crepaz e la motorizzazione elettrica di un aliante ad opera di Pogliani e Rosati. Qualcuno potrà ravvisare nell' impresa lo sforzo di adeguarsi a esigenze ecologiche: l' aereo elettrico non fa rumore e non inquina. Altri potrà apprezzare l' idea di utilizzare fonti rinnovabili nel quadro del risparmio energetico. I cultori del volo sportivo potranno plaudire alla ricerca di un rinnovamento che associa il fascino del volo a vela e la praticità del volo a motore nel massimo rispetto della natura. Ma tutti vorranno riconoscere nel programma un' occasione, rara per i giovani d' oggi, di prendere parte a un' impresa in cui sapere, entusiasmo e tenacia giocano al livello della fantasia più innovativa. Mario Bernardi


DENDRITI Cristalli come alberi Intervenire sulla direzione di crescita
Autore: BEDARIDA FEDERICO

ARGOMENTI: CHIMICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

NEL 1917 in Inghilterra veniva pubblicato un libro dal titolo «On growth and form» (Sulla crescita e sulla forma), poi tradotto in italiano per Boringhieri ( «Crescita e forma» ). Il nome dell' autore è Sir D' Arcy Wentworth Thompson. Il libro è affascinante. A suo tempo aveva ottenuto ottime recensioni non solo scientifiche, ma anche dal punto di vista letterario: raro esempio di unione delle due culture, l' umanistica e la scientifica. Il testo, chiarissimo è ricco di disegni di vari tipi di forme che appaiono in natura: una goccia che cade, i getti di uno zampillo, i medusoidi a goccia, la struttura esagonale del parenchima del mais e quella ben nota di un alveare, le spicole di spugne calcaree e i cristalli di neve, la palla dell' Aulonia hexagona che fa venire in mente la struttura del fullerene, le bolle di sapone, la traiettoria a spirale del volo di un insetto che si dirige verso la luce, la spirale del corno di un animale e quella di una pianta e quella di una conchiglia, la forma finale di un cristallo e la struttura della testa del femore così simile agli archi portanti di una cattedrale gotica. Bernard Perrin e Patrick Tabeling della Scuola Normale Superiore di Parigi si chiedono oggi se «comprenderemo un giorno le forme che la natura produce, nella loro immensa diversità ». Il problema enorme e affascinante aperto anni fa da D' Arcy Thompson è in cerca oggi di una soluzione adeguata. Un primo passo, piccolo fin che si vuole, è stato tentato e riguarda quei cristalli particolari che si chiamano dendriti, forme cristalline di aspetto arborescente. Partiamo prima di tutto dalle forme che i cristalli assumono quando crescono in «quasi» equilibrio termodinamico nel mezzo fluido che li circonda. Queste forme dipendono soprattutto dalla temperatura. In questo modo quei cristalli si sviluppano più o meno ugualmente nelle tre direzioni dello spazio. Sono quei cristalli limitati da facce che si vedono «anche» nei musei di storia naturale. Ne sono un esempio il quarzo, la pirite, la calcite, il diamante e tantissimi altri. Le facce non sono altro che piani atomici, nell' interno del cristallo sovrapposti come le carte di un mazzo. Con una diversità sostanziale: i piani atomici sono sempre legati tra di loro, più, o meno saldamente, le carte no. Un' altra categoria di cristalli è quella che presenta forme all' equilibrio senza facce, per esempio le gocce cristalline dell' elio solido o del naftalene o di altre sostanze. Questi cristalli avranno la forma esterna loro imposta dalla simmetria dell' ambiente: si tratterà di sfere se la temperatura dell' ambiente è uniforme. Interessano soprattutto lo specialista. Sia le forme limitate da facce, sia le forme sferiche rappresentano uno stato della materia ordinato. Al contrario, se c ' è un disequilibrio termico più o meno marcato nel fluido in cui il cristallo cresce, nasceranno forme nuove che si possono considerare meno simmetriche e meno ordinate delle precedenti. Per un raffreddamento molto rapido tendono a formarsi le dendriti, i cristalli con una forma ramificata. I fiocchi di neve sono la forma più nota. La velocità di crescita può essere all' incirca di quattro millimetri all' ora. Le dendriti sono comuni anche nella crescita cristallina dei metalli e nella metallurgia delle leghe. Bernard Perrin e Patrick Tabeling hanno calcolato che nel mondo si formano circa mille miliardi di dendriti al secondo. Miliardo più o miliardo meno, può servire a dare un ordine di grandezza. Le dendriti crescono di solito secondo una direzione privilegiata, un po' come fanno le felci. A questo punto l' ingegnere e perché no, il cristallografo possono intervenire sul processo e cercare di agevolare la crescita delle dendriti secondo questa direzione principale. Intervenendo sulla direzione di crescita si possono ottenere blocchi di metallo con proprietà migliorate secondo quella direzione e subito utilizzabili da un punto di vista pratico. L' esempio che si cita sempre è quello delle pale delle turbine. Tutto quanto si è appena detto non è che un esempio pratico di problema disordine ordine (fluido dendrite cristallo). I problemi disordine ordine e viceversa sono uno dei temi dominanti della scienza di questi ultimi anni; non solo in fisica, anche in chimica, in biologia, in medicina, nelle scienze sociali, nei problemi del traffico, in borsa. Problemi di oggi? No, problemi di ieri. Già alla fine del secolo scorso il grande matematico e filosofo francese Henri Poincarè ne aveva capito l' importanza con grande anticipo e cominciato a stabilirne le fondamenta. Federico Bedarida Università di Genova


ARS TECHNICA La danzatrice balla con il robot Una serie di progetti per riconciliare l' arte con la tecnologia
Autore: INFANTE CARLO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, ARTE
NOMI: TORRIANI FRANCO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

E' possibile coniugare l' arte con la scienza e le tecnologie? Non dovrebbero esserci dubbi. Certo che sì. Meglio ancora sarebbe iniziare a pensare che queste differenze nel prossimo futuro si dissolveranno. Le tecnologie si faranno sempre più «linguaggio» e l' arte si tradurrà nella sensibilità per esprimerle nel modo più umano e intelligente possibile. Nel frattempo, in un Paese come l' Italia, in cui la ricerca raramente trova sostegno istituzionale e politica di mercato, la sperimentazione artistica in alcuni casi si è imposta per le sue risultanti scientifiche, e prima di tutto sul fronte percettivo, nel sondare le modificazioni psicologiche nell' atto del vedere e del sentire. La separazione tra arte e scienza è un equivoco prodotto dalla razionalità positivista; se pensiamo a quanto nella storia dell' arte sia inscritta l' evoluzione dell' uomo occidentale, dall' invenzione rinascimentale della «prospettiva» in poi... E' quindi importante cogliere le peculiarità di un' esperienza come Ars Technica, l' associazione fondata nel 1989 a Parigi da Claude Faure, Piero Gilardi e Piotr Kowalski, che recentemente ha presentato alla Galleria d' Arte Moderna di Torino, in un affollato seminario internazionale dal titolo «Tecnoscienze, Intuizione Artistica e Ambiente Artificiale» un ampio panorama di opinioni e progetti d' autore. Questi ultimi sono stati selezionati nell' autunno scorso a Parigi alla Cité des Sciences de La Villette e rappresentano uno spaccato emblematico di una ricerca tra arti e tecnologie. Progetti utili per cogliere in senso pratico e non solo teorico delle risposte molteplici alla domanda posta da uno dei conduttori del seminario, Franco Torriani: «Qual è il rapporto tra intuizione artistica, così legata alla sensibilità umana e al desiderio di universalità e ambiente artificiale, così indissolubilmente legato alle tecnoscienze? ». Si va dall' idea di trasposizione visiva di un «messaggio di crescita nelle piante» di Max Albert all' installazione fotonica ispirata alla «Grande Luce» della Bomba su Hiroshima progettata da Ennio Bertrand; dalla danzatrice immateriale pilotata da un braccio robotizzato creata al computer da Akke Wagenaar alle apparizioni per esiti mentali di Piero Fogliati; dal progetto musicale per «testi interattivi tramite Banca Dati» di Tommaso Tozzi alle sculture acustiche di Bill Fontana; dal «teatro digitale» creato da autori telematici come Giorgio Vaccarino all' ambiente sonoro per visitatori navigatori di Cecile Le Prado. Progetti (tra cui segnaliamo anche quelli di David Boeno, Alain Fleisher, Marco Galloni Piercarlo Porporato, Bernard Gitton, Sarah Holt, Pierre Lob stein, Erik Samak, Jean Metais, Pietro Mussini, Denis Pondruel, Pierre Van Berkel, Jun Takita e Giancarla Verga) ideati spesso con un' attitudine artigianale che va oltre la pura applicazione tecnologica. Carlo Infante


Scaffale Angela Piero e Alberto: «Il pianeta dei dinosauri», Nuova Eri/Mondadori
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: PALEONTOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

I libri di Piero Angela seguono la stessa evoluzione dei suoi programmi televisivi: vanno verso la spettacolarizzazione. E' probabilmente una via obbligata per inseguire un pubblico che tende ad allontanarsi dalla lettura se a propiziarla non ci sono immagini forti, paragonabili a quelle del cinema e della Tv. Ma questa via non è necessariamente una concessione ai gusti più facili o ai tempi più superficiali. «Il pianeta dei dinosauri», che Piero Angela ha scritto con il figlio Alberto, paleontologo, ha tutto il rigore informativo dei libri precedenti, quelli che erano fatti quasi soltanto di testo. Ma in più ha un apparato illustrativo che per motivi di costo, sarebbe stato impossibile realizzare esclusivamente per un libro: per esempio le splendide tavole in cui si vedono i dinosauri in azione nel loro ambiente naturale o le fotografie che ci mostrano Alberto sulle tracce dei grandi rettili estinti nei luoghi più remoti del pianeta. In certo senso, questo è un libro multimediale: si avvale delle scenografie e delle immagini del programma televisivo di Rai 1 e ha un ritmo, nella spezzettatura del testo, che si avvicina a quello dei media elettronici. In più, ovviamente, ha quella «permanenza» dell' informazione che è esclusiva della carta stampata, una qualità che mantiene intatta la funzione e la specificità del libro anche in piena era dell' immagine.


Scaffale «Urano e Nettuno», videocassetta «Le Scienze» /Mondadori Video
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

La sonda «Voyager 2» è forse il più grande successo della Nasa dopo le missioni «Apollo» che portarono allo sbarco sulla Luna. Ancora attiva, la navicella pochi mesi fa ci ha regalato l' ennesima scoperta: ha captato segnali che indicano il confine tra l' eliosfera, cioè la regione entro la quale il Sole fa sentire la sua presenza tramite un «vento» di particelle atomiche, e lo spazio interstellare. Ma il grosso pubblico ricorderà soprattutto le ultime due esplorazioni planetarie del «Voyager», svolte su Urano nel 1986 e su Nettuno nel 1989. La sonda non era stata progettata per compiere quelle imprese: fu dunque riprogrammata e adattata alle nuove condizioni operative. I risultati sono ora visibili in questa videocassetta della durata di 15 minuti, prodotta con le immagini del Jet Propulsion Laboratory della Nasa. Un documento da non perdere.


Scaffale Vannozzi Giancarlo: «Manuale di scienza dell' alimentazione» , Nis (La Nuova Italia Scientifica)
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

Tutte le ricerche epidemiologiche ci dicono quanto importante sia l ' alimentazione nell' assicurare un aumento della vita media. L' Italia, da questo punto di vista, sta bene, la dieta mediterranea ha portato la nostra speranza di vita ben più avanti di quella degli statunitensi e l' avvicina a quella dei giapponesi, il popolo più longevo del mondo. Nonostante ciò la scienza dell' alimentazione in Italia non arriva alla massa dei cittadini, anche perché la scuola fa ben poco in questa direzione. In compenso dietologi di dubbia preparazione imperversano sui giornali e impinguano nei loro studi assediati da pazienti alla ricerca della linea perduta. Il rigoroso e chiarissimo manuale di Giancarlo Vannozzi potrebbe imprimere una svolta alla cultura dietologica nel nostro Paese. Dopo una trattazione completissima e organica, una serie di tabelle completa il volume con tutti i dati concernenti centinaia di cibi. Pure edito dalla Nis, è da segnalare «Bioetica in sanità », di Sandro Spinsanti, tema attualissimo non solo per gli echi giornalistici della pretesa «clonazione» di embrioni umani o per il «sorteggio» a cui vengono sottoposti i malati di certe malattie per le quali scarseggia il farmaco ma anche per questioni che riguardano ognuno di noi: per esempio il «consenso informato» sulle terapie a cui veniamo sottoposti, la schedatura informatica dei pazienti e così via. Piero Bianucci


UNO STRANO CORTEO Pollastrelle] Incesto e omosessualità tra i polli sultani quando i giovani non trovano territori per sè
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ZOOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 071

CAPITA alle volte agli studiosi un colpo di fortuna: poter vedere con i propri occhi un comportamento inedito, sorprendente, ignoto alla scienza. Questo è successo allo zoologo John L. Craig dell' Università di Auckland (Nuova Zelanda) e al suo allievo fresco laureato Ian Jamieson. Nel corso di una ricerca sul comportamento sessuale del pollo sultano (Porphyryo porphyryo), nello Shakespear Park, vedono un giorno uno strano corteo: cinque polli sultani in fila indiana che seguono una femmina. A un certo punto lei si ferma e si accovaccia in una posizione inequivocabile, che indica la sua disponibilità al connubio. Gli studiosi hanno precedentemente munito gli uccelli di un anellino di riconoscimento, per cui sanno benissimo identificarli uno per uno e conoscono il grado di parentela che li lega. Per questo rimangono alquanto sorpresi quando riconoscono tra i polli in processione rispettivamente il padre, la madre, il fratello e lo zio della femmina che fa da capofila. Ma la loro meraviglia giunge al colmo quando vedono che proprio il padre monta la figlia e si accoppia con lei, mentre gli altri congiunti stanno tranquillamente a guardare. Bisogna dire che anche nel mondo degli animali, come in quello degli uomini, l' incesto generalmente è tabù. E' probabilmente un istinto quello che li spinge a evitarlo. Accoppiarsi con un consanguineo può essere molto rischioso. Perché possono sommarsi i geni «cattivi», dando origine a un individuo malato, deforme o comunque anormale. Inoltre, con un numero ridotto di geni diversi, si viene ad annullare uno dei maggiori vantaggi della riproduzione sessuale, la variabilità genetica della prole, che consente alla selezione naturale di agire per il meglio, eliminando le mutazioni dannose. Probabilmente è proprio per evitare l' incesto che gli scimpanzè femmina abbandonano il branco nativo quando sono in estro ed entrano a far parte di un branco diverso in cui non hanno parenti, e altrettanto fanno i giovani leoni maschi. Ma evidentemente ogni regola ha le sue eccezioni. E il caso del pollo sultano lo testimonia. Proseguendo le loro osservazioni, Craig e Jamieson scoprono non solo incesti, ma anche accoppiamenti omosessuali: maschi con maschi e femmine con femmine. Capita infatti ogni tanto che la femmina alfa quella che nella rigida gerarchia dei polli occupa la posizione al vertice monti una femmina beta, a lei subordinata. Si sa che tra gli uccelli l' atto sessuale consiste nel far combaciare le due aperture genitali. In questo modo, nel normale accoppiamento eterosessuale, il maschio può versare lo sperma direttamente nell' orifizio genitale femminile senza che se ne disperda nemmeno una goccia. Tra le due femmine l' accoppiamento si limita ovviamente a un semplice contatto genitale. Forse in seguito a questo atto di predominanza sessuale da parte della femmina alfa, quella beta depone un uovo in meno della prima. Non meno singolare è l' accoppiamento tra maschi. Uno di loro inizia il corteggiamento seguendo impettito una femmina e lanciando forti schiamazzi. A questo punto si possono unire alla coppia vari maschi che si dispongono in fila indiana dietro il corteggiatore. Se la femmina è recettiva, lo fa capire assumendo una particolare posizione. In questo caso, il pretendente le sale in groppa. Quando un corteggiamento è in atto, gli altri maschi si limitano generalmente a guardare, senza mostrare nessuna gelosia e non si sognano di intervenire. Ma succede talvolta che uno intervenga e si può giurare che in questo caso si tratta del maschio alfa. Le cose possono svolgersi allora in maniera davvero singolare. Il maschio dominante corre davanti al corteggiatore e si accovaccia nella tipica posizione che fa da stimolo alla copula. Presi da un impulso irresistibile, gli astanti non fanno più differenza di sesso. I maschi smettono istantaneamente di seguire la femmina e quello che si trova più vicino al maschio alfa gli sale sul dorso e lo monta. Se invece il maschio alfa interviene per interrompere un accoppiamento, se la prende non già con il rivale, bensì con la femmina. La becca energicamente alla testa e al collo e lei capisce l' antifona: abbandona immediatamente la posizione accovacciata, disarcionando così l' amante. Va detto però, a onor del vero, che il più delle volte il maschio alfa si comporta da gentiluomo. Non interrompe l' accoppiamento di un rivale. Si limita a starsene da parte e a fare il voyeur. Guarda soltanto, senza intervenire. Ma perché il pollo sultano lascia fecondare le femmine dai suoi parenti stretti, cosa che non succede generalmente negli altri animali? Gli studiosi ne danno questa spiegazione. La maggior parte dei giovani uccelli, quando è il momento di nidificare e di riprodursi, si disperde allontanandosi dal territorio dei genitori, il che però richiede abbondanza di luoghi di nidificazione nelle regioni circostanti. Questo non succede nello Shakespear Park, dove l' habitat adatto alla nidificazione è estremamente limitato. Di conseguenza i figli rimangono nel territorio dove sono nati e aiutano i genitori ad allevare le covate successive. C' è, è vero, l' inconveniente che, diventando sessualmente matura, la nuova generazione diventa concorrente sessuale di quella precedente. Ma poco male, visto che condivide con lei circa la metà del patrimonio genetico. L' incrocio tra parenti aumenta la probabilità di ereditare geni recessivi letali, ma quando in una popolazione vi è una forte percentuale di incesti, la pressione selettiva finisce per eliminare nel giro di poche generazioni i geni dannosi. E che fra i polli dello Shakespear Park sia alta la percentuale di incesti lo dimostrano le cifre. Il 67 per cento della popolazione si riproduce incestuosamente: padre con figlia, madre con figlio o fratello con sorella, come ha dimostrato in modo inequivocabile l' analisi genetica del Dna. Isabella Lattes Coifmann


Fossile di Ittiosauro Il delfino con gli embrioni Ritrovato nelle Prealpi, ha 238 milioni di anni
Autore: BASSI PIA

ARGOMENTI: PALEONTOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 071

DAGLI scisti ittiolitici di Besano nelle Prealpi varesine, formazione geologica di età triassica (da 240 a 200 milioni di anni fa), è stato portato alla luce un rettile dal corpo affusolato e dall' aspetto di un grande delfino con la coda pinnata. Nel 1992 un cercatore di fossili del Gruppo Volontari del Museo di Besano, Sergio Rampinelli, ne aveva trovato il rostro staccando una lastra e da allora i lavori continuarono alacremente, coordinati da Giorgio Terruzzi e Cristiano del Sasso, paleontologi del Museo Civico di Storia Naturale di Milano. I due paleontologi hanno spiegato, in una conferenza stampa, che l' eccezionalità del ritrovamento sta in tre punti: è l' animale fossile del Mesozoico più grande e completo mai trovato in Italia; è un ittiosauro che appartiene probabilmente a una nuova specie, è una femmina con embrioni. L' esemplare ritrovato misura 5, 80 metri, il rostro è più lungo di quello di un delfino moderno, ha piccoli denti e si nutriva 238 milioni di anni fa di molluschi. Giorgio Teruzzi, direttore degli scavi, spiega quale tipo di ambiente ci doveva essere nel Triassico a Varese e dintorni. La temperatura era tropicale, Bahamas o Golfo Persico, con barriere coralline che racchiudevano lagune di acque calme, poco vitali in profondità, tanto che quando il nostro ittiosauro morì si adagiò sul fondale della laguna rimanendo ben compatto, data l' assenza di correnti che potevano disperdere le ossa. Infatti lo scheletro è apparso integro ai radiologi del Policlinico di Milano, che hanno eseguito più di 100 radiografie, con addirittura le uova schiuse nel ventre e tracce di cibo nello stomaco. Gli ittiosauri sono rettili simili a delfini, perfettamente adattati alla vita di mare, tanto da diventare ovovivipari, cioè animali le cui le uova si schiudono nel ventre materno e i piccoli sono partoriti vivi. Già nella Germania meridionale furono trovati resti fossili di femmine gravide in rocce di 190 milioni di anni fa. Il fossile è stato trasportato dal giacimento di Besano in piccole lastre che venivano consolidate e poi radiografate. La lastra compatta misura circa 16 metri quadrati e ha uno spessore di soli tre centimetri. Le ossa non sono ancora visibili perché inglobate nella roccia bituminosa. Cristiano del Sasso, responsabile del laboratorio, spiega che per liberare lo scheletro dalla sua millenaria prigione sono necessarie quindicimila ore di preparazione al microscopio. Le rocce fossili di Besano hanno uno spessore di 15 metri e affiorano in territorio italiano e svizzero sulla dorsale Monte San Giorgio Monte Orsa. Nel 1854 Emilio Cornalia, primo direttore del Museo di Storia Naturale di Milano, trovò a Besano il primo rettile fossile. Gli scavi successivi di Antonio Stoppani portarono alla luce soprattutto rettili fossili sia marini sia terrestri, a partire dai quali furono descritte ben 23 specie. In particolare, c' era un antenato diretto dei dinosauri, il Ticinosuchus Ferox, il cui scheletro è stato trovato quasi completo. Nel 1973 l' attuale direttore del Museo, Giovanni Pinna, in collaborazione con il Gruppo Volontari del Museo di Besano, ha intrapreso una serie di scavi per ricostruire la collezione di fossili andata distrutta con i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Pia Bassi


TUMORE POLMONARE Mutazioni nei bronchi Le tappe successive delle alterazioni
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, GENETICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 071

IMPORTANTI progressi vanno compiendosi a proposito del tumore polmonare (più propriamente carcinoma bronchiale) per quanto riguarda i metodi diagnostici e la comprensione della genesi. Dopo la seconda guerra mondiale è stata la malattia con l' aumento di gran lunga più spettacolare dal 1950 al 1985, una vera epidemia nella popolazione maschile. Questa evoluzione per fortuna non è più ineluttabile, e almeno nei maschi di certi Paesi (Stati Uniti, Regno Unito) e nei giovani è avvenuta una diminuzione dal 1985. Nelle donne, invece, i casi continuano ad aumentare. Il polmone è l' organo bersaglio privilegiato dell' agente cancerogeno a sua volta più diffuso nel mondo, il fumo di tabacco. L' 80 90 per cento dei carcinomi bronchiali nell' uomo, il 50 75 per cento nella donna sono da tabacco. Altri cancerogeni per il polmone sono soprattutto presenti nell' ambiente di lavoro, per esempio l' amianto, il nichel, il berillio, il radon. Ricerche recenti hanno dimostrato un pericolo notevole per i soggetti esposti a un importante inquinamento atmosferico. Secondo studi epidemiologici condotti nella Repubblica cinese, di cui si è parlato al recente congresso internazionale oncologico di Rapallo, l' esposizione all' inquinamento atmosferico nell' interno della casa è in rapporto al rischio del tumore, particolarmente per le donne, quando la ventilazione è scarsa. Naturalmente il formarsi del carcinoma risulta dall' incontro di fattori esterni con una suscettibilità individuale, geneticamente determinata o risultante da fattori ambientali quale l' alimentazione. Molte indagini hanno documentato che il regolare consumo di frutta e verdura è associato a una riduzione del rischio per i non fumatori e anche per i fumatori, per cui taluni raccomandano ai forti fumatori una prevenzione mediante composti vitaminici. Il progresso più sensibile concerne la conoscenza dell' oncogenesi (trasformazione cancerosa) dei bronchi. La biologia molecolare permette oggi di addentrarsi nei meccanismi intimi del processo tumorale. In tutte le cellule vi sono geni detti protoncogeni, che hanno il compito di regolare la normale moltiplicazione cellulare. Se avviene una mutazione, per esempio provocata dal fumo di tabacco, diventano oncogeni (onkos, in greco, significa tumore) e le cellule, svincolate dalle restrizioni imposte dai protoncogeni, possono sfrenarsi in una moltiplicazione senza limiti. Un' altra classe di geni, più recentemente identificata, gli anti oncogeni, hanno in condizioni normali una funzione regolatrice che frena la moltiplicazione: se perdono la loro funzione, contribuiscono anch' essi alla proliferazione maligna. I progressi della genetica molecolare hanno permesso di riconoscere un certo numero di anomalie genetiche implicate nella patologia del carcinoma bronchiale. Queste alterazioni si svolgono in tappe successive nel corso delle quali le mutazioni si accumulano giungendo alla trasformazione maligna, poi all' invasione metastatica. Sono implicati gli oncogeni C myc, L myc, N myc, di solito uno solo dei tre. Altri geni implicati sono i ras, le cui mutazioni risultano presenti in un' alta percentuale di tumori nei forti fumatori. La cooperazione di geni delle famiglie myc e ras nell' insorgenza del tumore è stata dimostrata. Anche perdite di materiale cromosomico risultano con grande frequenza, nei cromosomi 1, 2, 3, 5, 8, 13 e 17. Ciò fa pensare alla scomparsa di geni soppressori del tumore. Tutto questo fa balenare il grande miraggio della medicina moderna, i metodi diagnostici e terapeutici di natura genetica, la cosiddetta ingegneria genetica. Un ricercatore americano, Jack A. Roth di Houston, lavora a reimmettere nella corretta linea di riproduzione il Dna cellulare, per ora in via sperimentale negli animali. E un giapponese, Y. Hayata di Tokyo, ha messo a punto una tecnica di asportazione del tumore polmonare in fase iniziale mediante terapia fotodinamica. Ulrico di Aichelburg


AIDS CD26, la molecola che permette al virus Hiv di entrare nella cellula
Autore: FERRERO FEDERICO, MALAVASI FABIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, GENETICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 071

LA notizia, recentemente comunicata dal gruppo di Montagnier (Istituto Pasteur, Parigi), di un coinvolgimento della molecola CD26 nel legame tra il virus dell' Aids e le cellule umane, non ha colto di sorpresa la comunità scientifica, da tempo impegnata a dimostrare che la molecola CD4 non è il solo recettore del virus. Com' è noto, il virus dell' Aids dà inizio all' infezione legandosi alla molecola CD4, un recettore di superficie dei linfociti T, presente anche su monociti/macrofagi e su cellule del tessuto nervoso. Una serie di evidenze hanno suggerito in questi ultimi anni che i recettori o co recettori del virus sarebbero più di uno. La storia del CD26 inizia negli Anni 80, quando il gruppo di G. Corte e A. Bargellesi (Università di Genova) ne dimostrò l' espressione su linfociti T e su altre popolazioni cellulari, principalmente durante l' attivazione. In un primo tempo lo studio della molecola è stato indirizzato alla fisiologia delle popolazioni di leucociti, con particolare attenzione ai linfociti T coinvolti nel rigetto dei trapianti: si era osservato infatti che gli anticorpi monoclonali anti CD26 avevano la capacità di ridurre le difese immunitarie. Successivamente fu dimostrato che il CD26 presentava caratteristiche funzionali assimilabili a quelle di un enzima ad attività proteolitica, noto da tempo e ampiamente descritto nella letteratura specializzata: la dipeptidilpeptidasi IV. Inoltre, in analogia a numerose altre molecole simili ad attività enzimatica, la molecola ha un inserimento nel doppio strato lipidico che costituisce la membrana cellulare, diverso dalle convenzionali proteine di membrana, presentando il tratto amino acidico NH2 all' interno del citoplasma anziché all' esterno, come avviene di solito. Recentemente il gruppo di S. F. Schlossman, della Harvard Medical School di Boston, e quello di A. N. Hougton, dello Sloan Kettering Cancer Center di New York, hanno dimostrato che la molecola CD26 contrae dei legami sulla membrana con l' adenosindeaminasi (ADA), un enzima che sicuramente molti ricorderanno quale oggetto di interventi di terapia genica. La sua assenza provoca infatti nei piccoli pazienti gravissime forme di immunodeficienza. Il profilo immunodeficitario è stato appunto la nuova griglia di lettura utilizzata dai ricercatori nell' esaminare la funzione del CD26 all' interno della sindrome da immunodeficienza acquisita (Aids), dove le cellule bersaglio dell' attività virale sono proprio quelle in cui è stata dimostrata l' espressione di questo antigene. Sono già operativi alcuni progetti mirati all' utilizzo di anticorpi monoclonali dotati di singola o doppia specificità diretti contro le molecole CD4 e CD26, soprattutto in qualità di vettori di sostanze tossiche (immunotossine) in grado di interferire con le prime fasi della malattia. Inoltre un promettente programma di immunoterapia è stato avviato da tempo nell' ambito del progetto Aids dell' Istituto Superiore di Sanità e si avvale della collaborazione tra Laboratori dell' Università di Torino, dell' Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro Ist di Genova e di un Laboratorio del National Institute of Health di Bethesda, Usa. Come spesso accade, i risultati ottenuti nel campo della ricerca biologica non sono sempre univoci. Infatti, uno studio condotto da un gruppo dell' Università di Cordova, pubblicato su «The Journal of Immunology» nel 1992, suggeriva la possibilità che il virus Hiv colpisse preferenzialmente una popolazione di linfociti CD4più CD26, un risultato in aperto contrasto con questi dati. Le conclusioni del gruppo Montagnier sono state coperte da ogni possibile brevetto, memori delle decennali battaglie con l' Nih e il governo americano. Adesso si attende con ansia di valutare a fondo i dati quando questi verranno pubblicati nelle riviste scientifiche. Federico Ferrero Fabio Malavasi Università di Torino


INFORMATICA «Scatole» per numeri e messaggi Quinta puntata
Autore: MEO ANGELO RAFFAELE, PEIRETTI FEDERICO

ARGOMENTI: INFORMATICA, DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 072

PROGRAMMARE in Basic significa essenzialmente creare e usare oggetti. Tra questi oggetti, quelli di uso più comune sono le «scatole», che distingueremo in nere o rosse. Le scatole nere possono contenere soltanto numeri, mentre le scatole rosse possono contenere qualunque tipo di messaggio, ossia quelle che abbiamo definito come «stringhe». Ogni scatola deve avere un nome, che deve iniziare con una lettera per proseguire poi con altre lettere o cifre. Per distinguere le scatole nere da quelle rosse, si mette come ultimo carattere del nome di una scatola rossa, il segno «$ » Ad esempio SCATOL1 può essere il nome di una scatola nera, mentre SCATOL1$ il nome di una scatola rossa. BOX3, FOTO, LEZIONE5 E, in modo più conciso A, B oppure A1, A2, B3 sono tutti nomi possibili di scatole nere, mentre BOX5$, GUI DA$, ELENCO3$ oppure A$, B$, A1$, B4$ possono essere nomi di scatole rosse. Non è possibile invece «battezzare» una scatola 1A oppure 8CENTRO, perché il nome di una scatola, come abbiamo detto, non può iniziare con una cifra, ma soltanto con una lettera. Nel dare il nome ad una scatola sarà bene tener presente che questo deve essere indicativo del tipo di dato che dovrà contenere in un determinato programma. Ad esempio, se stiamo risolvendo un problema finanziario, metteremo gli eventuali dati riguardanti uno sconto in una scatola dal nome SCONTO. Il nome di una scatola non deve essere confuso con il suo contenuto. Il nome di una scatola non cambia mai, mentre sovente cambierà il suo contenuto. Ad esempio, la scatola CHAR LOT$ in un certo momento, potrà contenere il messaggio «L' evaso», in un altro «Il monello» oppure la frase di Chaplin «La comicità ci in segna che in un eccesso di serietà si annida sempre l' assurdo». Qualsiasi cosa contenga il nome della scatola resta sempre uguale. In questo caso, CHARLOT$ è come si dice la «variabile stringa» CHARLOT$ e BOX è la «variabile numerica» BOX. Il programmatore conosce ovviamente il nome della scatola, perché è stato lui a «battezzarla», ma potrà anche non conoscerne il contenuto, perché può averlo dimenticato oppure perché nella scatola è stato introdotto il risultato di un calcolo complicato. Tuttavia, in qualsiasi momento, come vedremo, egli può ordinare al calcolatore di aprire la scatola e mostrarne il contenuto. Per ricordare meglio la differenza fra nome e contenuto di una scatola, si può immaginare che il nome sia stato scritto con un pennarello indelebile sul coperchio della scatola stessa e che il contenuto sia invece scritto su un foglietto che in qualunque momento può essere tolto dalla scatola e sostituito con un altro foglietto indicante un numero o un messaggio diverso. Il modo più semplice per farsi consegnare una scatola dal calcolatore, darle un nome e riempirla con un numero, è quello di scrivere un comando del tipo BOX3 = 8. In questo modo nella scatola di nome BOX3 viene inserito il numero 8. La frase che abbiamo scritto costituisce un esempio di «comando di assegnazione». Questa è costituita dal nome di una scatola seguito dal segno "= "e da un' espressione. In alcune versioni di Basic l' istruzione dev' essere esplicitata con la parola LET che significa letteralmente «assegna». Si può quindi scrivere BOX3 = 8 oppure LET BOX3 = 8 Il numero che inseriamo nella scatola nera è il suo «valore numerico», mentre la scatola rappresenta quella che in matematica si chiama «variabile». Allo stesso modo, con le scatole rosse, scriviamo FELLINI$ = «La strada», oppure LET FELLINI$ = «La strada». E' possibile, come dicevamo, ordinare al calcolatore di farci vedere il contenuto di una scatola con l' istruzione di stampa PRINT. Scriviamo ad esempio: BOX3 = 8. PRINT BOX3 Il calcolatore mette a disposizione la scatola di nome BOX3, svuotandola se era già stata usata in precedenza, oppure preparandone una nuova con questo nome. Inserisce poi nella scatola un foglietto contenente il numero 8 ed infine, con PRINT, stampa il contenuto della scatola. Osserva che il comando PRINT BOX3 ordina di visualizzare il contenuto della scatola BOX3, mentre il comando BOX3 = 6 più 2 ordina di introdurre nella scatola BOX3 il risultato dell' espressione 6 più 2. Con le scatole rosse scriviamo, ad esempio: BOX$ = «Un cuore in inverno» PRINT BOX$ Il calcolatore mette a disposizione la scatola di nome BOX$ inserendovi un foglietto contenente la stringa «Un cuore in inverno». Infine, con PRINT, stampa il contenuto della scatola. Possiamo anche mescolare i due tipi di istruzione per la stampa di una stringa e del contenuto di una scatola. Ad esempio: WATCH$ = «Sono le 16. 05» PRINT «Che ore sono? » PRINT WATCH$ In questo caso il calcolatore cerca la scatola WATCH$ e se questa contiene il messaggio «Sono le 16. 05», stampa: che ore sono? Sono le 16. 05


LA PAROLA AI LETTORI «Ziggurat», la casa terrestre del dio
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 072

DOPO quattro settimane, la domanda «Com' è che la Terra, in quattro mi liardi e mezzo di anni, non si è ancora raffreddata? » continua a suscitare risposte controverse. Eccone ancora una: «L' età del nostro pianeta non è affatto una cosa certa, come non è certo che all' atto della sua formazione potessero essere già presenti quegli elementi radioattivi che si dice dovrebbero, per decadimento, produrre calore. Non risulta neppure possibile che eventuali elementi radioattivi possano essersi prodotti nella fase di formazione del nostro pianeta. Su queste questioni siamo ancora nel campo delle ipotesi. L' età della Terra e il «consumo» di elementi radioattivi sono «idee» che, anche se in parte sostenute da misure e calcoli, si reggono in piedi a vicenda. Il giorno che una dovesse cadere, cadrebbe anche l' altra. La fissione di nuclei pesanti e la fusione termonucleare sono entrambe incapaci, in armonia con tutte le possibili osservazioni e misurazioni effettuabili, di spiegare quali veri fenomeni possano verificarsi nelle viscere del nostro pianeta. C' è qualcosa che non funziona: non nei meccanismi della natura... nelle teorie degli uomini. Giovanni Borella, Genova Che cosa sono le ziggurat? Sono piramidi della Mesopotamia (attuale Iraq), costruite in terra alternata ogni mezzo metro da uno strato di canne incrociate. Il carattere argilloso della terra e il clima secco della regione le hanno conservate parzialmente fino a oggi. Marco Casalegno Moncucco (TO) La più grande è la ziggurat di Babilonia: 456 metri di base e 91 di altezza: probabilmente è la famosa Torre di Babele. Elena Ercole, Quattordio (AL) Questi edifici, che in un primo periodo avevano carattere strettamente religioso, furono poi adibiti prevalentemente a magazzini statali per la conservazione del grano. Barbara Gagliano St. Vincent (AO) Aveva 7 piani, tanti quanti i pianeti del Sole allora conosciuti. Manuela Corona, Torino Perché le ballerine danzano sulle punte e i ballerini no? Il balletto classico è caratterizzato da due «figure » ben distinte: quella femminile, eterea, leggera, aggraziata (che si realizza con la tecnica delle punte, scarpette da ballo provviste di una mascherina in gesso e di una suola rinforzata) e quella maschile, forte e potente (che si esprime con salti e pirouettes). Per tradizione, le scarpette sono sempre state riservate alle ballerine. I danzatori, comunque, non presentano nessuna limitazione fisica all' uso delle «punte»: anzi, alcuni coreografi le hanno fatte portare anche ai ballerini per produzioni particolari o per riletture in chiave ironica del repertorio classico. Solo con Nureyev il danzatore è diventato, da semplice porteur, una figura via via più importante. Silvia e Laura Chiusano Torino Perché i serpenti fanno guizzare la lingua dentro e fuori dalla bocca? I serpenti sono privi di un apparato visivo efficiente. Quindi, per avvertire la presenza di prede o pericoli usano la loro lingua. Essendo biforcuta, riesce a captare molto bene gli odori, che successivamente vengono analizzati dal serpente. Silvia Giuliani, III B S. M. S. Astesano Villanova d' Asti In genere, quando un animale viene morsicato da un serpente velenoso, non muore subito e riesce a fuggire dal suo predatore il quale poi, se pensa di poter «banchettare» a sue spese, deve ritrovarlo, e questo avviene con l' aiuto della lingua. Il serpente la estrae rapidamente dalla bocca come se dovesse «assaggiare» l' aria: in questo modo alcune particelle invisibili rimangono attaccate ad essa. Ritirando la lingua nella bocca, queste vengono a contatto con un organo detto «organo di Jacobson», che è in grado di riconoscere le particelle emesse dalla vittima. Pare infatti che una preda avvelenata emetta particelle speciali, forse prodotte dal veleno stesso, che consentono al serpente di non sbagliare e di seguire il suo percorso passo a passo. Raffaella Gastaudo Pecetto (TO)




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