TUTTOSCIENZE 27 ottobre 93


CLORURO DI SODIO Il sale della vita Nell' antichità era così prezioso che i soldati romani lo ricevevano come paga. Fondamentale per l' organismo, si ricava dalle saline o delle miniere
ARGOMENTI: CHIMICA, ALIMENTAZIONE
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Impiegi del salo
NOTE: 068

Il sale è una sostanza fondamentale per il nostro organismo. Il comune sale da cucina è in realtà cloruro di sodio, una miscela di sodio e cloro. Al micorscopio si vede che esso è costituito di minuscoli cristalli le cui molecole sono disposte in modo regolare e prendono la forma di cubi. Allo stato naturale il sale sciolto nell ' acqua di mare oppure sepolto nella profondità delle rocce, dov' è stato lasciato mil! ioni di anni fa dagli antichi laghi e mari che si sono ritirati. Due sono quindi i metodi per ricavare il sale le saline e le miniere. Nelle saline, possibili solo nei paesi caldi, l' acqua di mare viene raccolta in piccoli stagni e lasciata evaporare al sole. Il sale di roccia è di qualità migliore e in alcuni paesi, come la Polonia o la Colombia, viene estratto a blocchi da speciali miniere, poi fatto a pezzi. Per molto tempo il sale è stato una sostanza preziosa: i soldati romani, ad esempio, venivano in parte pagati con il sale (da cui la parola «salario» )


AERONAUTICA Mille Jumbo e non è finita La storia del jet che ha cambiato il mondo
AUTORE: RAVIZZA VITTORIO
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TECNOLOGIA, TRASPORTI, AEREI
NOMI: TRIPPE JUAN, ALLEN BILL
ORGANIZZAZIONI: BOEING 747
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. L' interno del «747»
NOTE: 065

NEL dicembre del 1956, quando Juan Trippe, l' onnipotente padrone della Pan Am, e Bill Allen, presidente della Boeing, firmarono l' accordo per costruire un aereo passeggeri da 350 posti, erano convinti che il nuovo jet avrebbe avuto vita breve; avrebbe dovuto essere, pensavano i due più importanti boss dell' aviazione mondiale, un velivolo di transizione verso l' era dei velivoli supersonici, e il loro destino immaginavano sarebbe stato quello di restare in servizio soltanto con la funzione di massicci «cargo» Si sbagliavano di grosso, per loro fortuna, visto che il primo vi investiva mezzo miliardo di dollari di allora (per 25 aerei) e il secondo vi impegnava una somma pari a quasi l' intero capitale della società. In più, per contenere la linea di montaggio, tra le foreste poco a Nord di Seattle e quasi al confine con il Canada era in costruzione il più grande stabilimento del mondo. Il «Boeing 747», divenuto subito popolare con il nomignolo di «jumbo», si è invece rivelato un prodigio di longevità e di trasformismo: il 10 settembre i giganteschi portali scorrevoli della fabbrica si sono spalancati per lasciar uscire l' esemplare numero mille, acquistato dalla Singapore Airlines. Mille «jumbo» costruiti finora significano per esempio che, tenuto conto degli esemplari perduti in incidenti e di quelli fermi per manutenzione, in questo preciso istante nel mondo almeno 300 mila persone, l' equivalente di una città come Bergamo o Messina, stanno volando a bordo di uno di questi giganti. Il «jumbo» fece il primo volo commerciale da New York a Londra con i colori della grande Pan Am il 21 gennaio 1970 e diede il via a una vera e propria rivoluzione commerciale e di costume. Nel 1956 per la prima volta il numero dei passeggeri che avevano attraversato l' Atlantico in aereo aveva superato il numero di quelli che lo avevano fatto per mare ma il «jumbo» mise fine per sempre all' era delle grandi navi passeggeri condannando alla demolizione, fra le altre, anche le nostre «Leonardo da Vinci» e «Raffaello». Non solo. Inaugurò il trasporto aereo di massa favorendo il ribasso delle tariffe e pose le basi per il turismo a lungo raggio mettendo a portata di mano e di tasca di milioni di persone le Seichelles e i Caraibi, Bangkok e New York. Ma la rivoluzione tecnologica non fu meno importante. Fu il primo aereo «wide body», cioè a fusoliera larga con due corridoi. Le dimensioni erano una sfida. Le ali che dovevano sostenere il colosso (334 tonnellate di peso massimo al decollo, comprendente cioè il pieno carico di passeggeri, bagagli e carburante) richiesero una progettazione completamente nuova con un complesso sistema di ipersostentatori che in decollo e atterraggio, scorrendo su grosse carenature, ne raddoppiavano la superficie. Sempre per motivi di peso, dovette essere studiato un carrello fuori dalla tradizione: quello principale aveva quattro gambe, ciascuna con quattro ruote. Tutti i comandi di volo erano mossi da attuatori idraulici. Anche i motori di potenza assolutamente inconsueta, 18. 500 chilogrammi di spinta ciascuno, richiesero alla Pratt & Whitney una lunga e delicatissima messa a punto. Oggi si può constatare che la laboriosa gestazione del gigante conteneva in sè una serie di potenzialità originariamente del tutto insospettate e insospettabili. Grazie alla grande capacità di trasformarsi, il «jumbo» è diventato via via più grande, 394 tonnellate di peso massimo al decollo nell' ultima serie, la 400. La caratteristica cabina superiore si è via via allungata fino ad ospitare 89 passeggeri, tanti quanti ne porta un aereo di media capacità. Nel ' 73 è stata lanciata una versione, il 747 Sp (Special performance ) accorciata di 14 metri ma con una lunghissima (per quei tempi) autonomia; un' altra variante, il 747 Sr (Short range) è capace nell' ultima versione di trasportare 568 passeggeri su rotte brevi ad alta densità di traffico. Un jumbo 747 modificato è stato usato per le prove in volo dell' Orbiter, il primo shuttle americano. Nella versione cargo il muso si solleva per il carico delle merci; con un aereo di questo tipo l' Alitalia per anni ha trasportato da Torino a Detroit le carrozzerie fabbricate dalla Pininfarina per la General Motors: 56 vetture per ogni volo. Una versione specialissima è l' E 4 o «Advance airborne national command post», il più costoso aereo di serie mai costruito, destinato agli alti comandi militari statunitensi; un quartier generale volante, rifornibile in volo, autonomia di 73 ore, protetto contro le radiazioni nucleari, dotato di potentissimi apparati di telecomunicazione, destinato a sopravvivere a un attacco nucleare per consentire di guidare la controffensiva dal cielo. Anche l' aereo dei presidenti Usa è attualmente un B 747. Recentemente, durante una serie di arditissime prove, un «jumbo» in picchiata ha superato brillantemente il muro del suono. Da tempo la Boeing ha nel cassetto un progetto per estendere il ponte superiore del 747 fino alla coda in modo da far posto a 600 o più passeggeri. Il gigante sicuramente sarebbe in grado di sopportare brillantemente anche questa radicale trasformazione; l' alternativa sarebbe un super jumbo da 700 800 passeggeri, che comunque utilizzerebbe molte soluzioni escogitate per il suo predecessore. In ogni caso non sarebbe pronto prima di dieci o quindici anni. Nel frattempo possiamo aspettarci altri primati dell' inossidabile grande «vecchietto». Vittorio Ravizza


IN CIFRE Metamorfosi e primati di un gigante
Autore: V_R

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TECNOLOGIA, TRASPORTI, AEREI
ORGANIZZAZIONI: BOEING 747
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Il profilo del «Jumbo»
NOTE: 065

IL «jumbo», più che un aereo, è il capostipite di una intera generazione di aerei. Proviamo qui a fornire i dati essenziali dei loro identikit e una serie di curiosità sulle loro caratteristiche e sulle loro imprese. Incominciamo da quelli che potremmo chiamare i «segni particolari» utili per riconoscere le varie versioni. La cabina superiore della serie 100, la prima, ha solo tre finestrini; quella della serie 200 ne ha dieci, le serie 300 e 400 ne hanno 21; la serie 400 si distingue facilmente dalla precedente per le «alette» verticali alla punta delle ali. Il «jumbo» in numeri. E' costituito (motori a parte) da circa 6 milioni di componenti, di cui la metà è rappresentata da bulloni e rivetti. La superficie delle ali è di circa 525 metri quadrati, sufficiente a contenere 45 auto di media cilindrata. Ogni aereo contiene 2000 cavi di tipo diverso che, messi uno in fila all' altro, raggiungerebbero la lunghezza di 227 chilometri. Due piloti. Nella cabina di pilotaggio dei primi modelli di B 747 c' erano 971 tra luci, indicatori e interruttori; in quella della serie 400 sono stati ridotti ad «appena» 365. Questo ha reso possibile ridurre i piloti da tre a due. Record. Un B 747 SP della South African Airways nel suo volo di consegna da Seattle a Città del Capo stabilì un record di volo senza scalo di 16. 560 chilometri che durò fino all' agosto dell' 89 quando un altro «jumbo» serie 400 volò senza scalo da Londra a Sydney su una distanza di 18 mila chilometri. Questo primato è stato battuto da poco dall' Airbus A 340, quadrimotore progettato appositamente per le lunghissime tratte, con 19. 100 chilometri. L' ultimo modello. Il B 747 400 ha le ali allungate di circa 180 centimetri, molte parti in materiali compositi, 1600 chilometri di autonomia in più (650 chilometri derivanti da un serbatoio situato nella deriva). Può collegare senza scalo Londra e Tokyo, Los Angeles e Hong Kong, Roma e Singapore. (v. r. )


TECNOLOGIE ESTREME Aereo segreto Usa, ecco le prove Vola a 30 mila metri sei volte più veloce del suono
Autore: BOFFETTA GIAN CARLO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TECNOLOGIA, AEREI, MILITARI
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Ipotetico aspetto dell' aereo americano supersegreto
NOTE: 065

GLI Stati Uniti sono senza dubbio il Paese occidentale dove meglio può esser conservato il segreto su un programma di ricerca e sviluppo che coinvolge centinaia se non migliaia di persone. Gli esempi più famosi, oltre alla costruzione delle prime bombe atomiche, sono quelli della realizzazione dei più avanzati aerei del passato: l' U2, del quale si è saputo direttamente dai russi quando sono riusciti ad abbatterne uno, l' SR71 e l' F117 A. Anche di questi due non è trapelata notizia durante la lunga fase di progetto e messa in servizio, finché un incidente non ne ha svelata l' esistenza. La tecnica era sempre quella di far costruire parti separate non collegabili al complesso finale, ma erano comunque centinaia le persone che lavoravano intorno al velivolo completo. Ecco come si è giunti alla quasi certezza che un nuovo aereo sta volando dal Nevada al Mare del Nord a oltre 6 Mach (6 volte la velocità del suono) e quote di 100 mila piedi (30 chilometri), e quindi inattaccabile da qualunque mezzo di difesa aerea esistente. 1) Una primaria banca ha analizzato a fondo i budget della Difesa scoprendo spese misteriose negli anni passati per 10 miliardi di dollari, e nei conti della Lockheed una spesa annuale di un miliardo di dollari su programmi ufficialmente e sicuramente fermi da anni. I «cacciatori di misteri» sono arrivati a contare le auto dei dipendenti nei posteggi riservati della Lockheed, scoprendo circa 4000 dipendenti che ufficialmente non fanno nulla. 2) Già nel 1991, e soprattutto dopo l' agosto ' 92, si sono uditi sul Mare del Nord, dove verosimilmente l' aereo scende di quota per rifornirsi in volo, dei bang supersonici diversi dai soliti e si sono viste scie di condensazione con la forma di un tubo contornato da anelli di condensazione equidistanti. 3) Più volte in Gran Bretagna, e in Olanda nell' agosto ' 92, sono stati registrati bang supersonici mentre non vi erano aerei in volo almeno nel raggio di 80 chilometri: fenomeno inspiegabile perché i bang di tutti gli aerei noti non sono percepibili a 40 chilometri di distanza. 4) Nel marzò 90 l' Usaf ha ritirato tutti i suoi SR71, restando in apparenza senza possibilità di voli spia, senza protestare col governo che ciò aveva imposto per risparmio, mentre è ben nota la difesa fino all' estremo dei propri programmi. 5) Esiste anche un testimone oculare: un tecnico esperto di aerei che da una piattaforma petrolifera nel Mare del Nord ha osservato e poi descritto uno strano «coso triangolare» che si riforniva da un aereo cisterna. Quanto si è ricavato dalla descrizione coincide in modo impressionante con il risultato di uno studio teorico di fattibilità di un aereo ipersonico (Mach 7 a 30 chilometri di quota). La maggior difficoltà che i segreti costruttori di questo aereo avrebbero superato riguarda il motore, che è certamente a doppio sistema di funzionamento: sfrutta l' ossigeno dell' aria fin dove la trova e diventa uno stato reattore in crociera. Qui brucia l' ossigeno liquido e l' idrogeno o il metano liquido che si è portato in quota, utilizzando il passaggio a vapore del metano per raffreddare la «carrozzeria» dell' aereo. Il principio del motore a doppio funzionamento non è un segreto. Quasi tutte le grandi industrie motoristiche aeronautiche lavorano a questo programma, inclusa la Fiat Aviazione con altri motoristi europei. La vera difficoltà superata (se tutto quanto detto è vero e non ci troviamo di fronte a dei marziani) è nella scoperta e messa a punto di materiali che permettono di riusare questo motore molte volte, a differenza dei razzi di vario tipo che lo «distruggono» ad ogni volo in pochi minuti. Personalmente non riesco a credere che un simile aereo sia già in servizio, forse è in volo «qualcosa» che serve a mettere a punto l' entrata aria del motore che rappresenta, per il peso, le temperature che deve subire e le onde d' urto che il velivolo gli provoca, il punto più delicato. G. C. Boffetta


SCOPERTA C' è ma non si vede La materia oscura del cosmo
Autore: BOTTINO ALESSANDRO, DE ALFARO VITTORIO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
NOMI: PACZYNSKI BOHDAN
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Come agisce la lente gravitazionale
NOTE: 066

GLI astronomi misurano la quantità di materia luminosa che esiste sia nelle galassie sia nell' intero universo. Ma la materia luminosa non può essere la sola materia esistente: molte osservazioni sul moto della materia luminosa indicano che la quantità complessiva di materia che esiste nelle galassie e nell' univeso è ben maggiore: fino a 10 volte di più nella nostra galassia e forse fino a 100 volte nell' universo intero. E' un problema appassionante sia per la cosmologia sia per la fisica delle particelle: esiste materia oscura in misura da 10 a 100 volte la materia visibile. La quantità totale di materia determina il tipo di grandi strutture che si sono formate nell' universo (galassie, ammassi di galassie), il loro moto e la loro evoluzione; inoltre, la relatività generale ci dice che la sorte dell' universo (fine nel freddo o nel caldo? ) dipende dalla quantità di materia che vi è contenuta; e benché sia lontano, il nostro destino finale ci appassiona. Il punto di separazione tra i due destini si situa proprio intorno a 100 volte la massa visibile. Può la materia oscura essere composta dallo stesso tipo di materia ordinaria (barionica) che forma le cose che vediamo intorno a noi, la materia visibile? C' è un limite: la materia oscura di tipo barionico non può essere più di 10 volte quella visibile. Questo si ricava dalla teoria della formazione dei nuclei nell' universo primitivo: se la materia barionica fosse stata più abbondante, oggi l' universo sarebbe diverso. Per quanto riguarda la nostra galassia, la materia ordinaria potrebbe costituire gran parte della materia non visibile ed essere distribuita in un alone sferico (di raggio di circa centomila anni luce) intorno alla galassia stessa. Ma sotto quale forma di aggregazione? Non certo come stelle normali, o polvere o gas, che possono essere osservati. La materia oscura galattica potrebbe invece essere costituita da oggetti massicci compatti, detti Machos (massive compact halo objects). Rientrano in questa categoria i grossi buchi neri, le stelle già combuste e le stelle mancate, non accese perché la loro massa non è sufficiente a innescare la combustione nucleare. In questo ultimo caso si tratterebbe di quasi stelle poco o niente luminose e di corpi simili ai pianeti; la massa sarebbe inferiore a 1/10 della massa del Sole. Come osservarli, dal momento che non emettono luce? Qualche anno fa un astronomo di Princeton, Bohdan Paczynski, ha proposto di utilizzare il principio della lente gravitazionale. Questo è appunto il metodo che è stato seguito da due gruppi sperimentali, uno francese e uno americano australiano, i quali hanno riferito a un congresso tenuto recentemente al Laboratorio del Gran Sasso dell' Istituto nazionale di fisica nucleare di avere trovato finora tre possibili corpi oscuri nell' alone della nostra galassia. Se i risultati saranno confermati potremmo aver scoperto la natura di buona parte della materia oscura galattica. Vediamo come. Il principio: un raggio luminoso che passa in prossimità di un corpo pesante si incurva verso di esso per effetto gravitazionale. E' una nota conseguenza della teoria della relatività generale di Einstein. La scena. Teniamo sotto osservazione alcuni milioni di stelle della galassia più vicina, la Grande Nube di Magellano (Gnm), distante circa 160 000 anni luce. Supponiamo che tra una di queste stelle e l' osservatorio terrestre passi un corpo oscuro che si trova nell' alone della nostra galassia. L' effetto. Al passaggio, il corpo oscuro agisce da lente gravitazionale. Per via delle distanze in gioco l' effetto consiste in un graduale aumente della luminosità apparente della stella nella Gnm, seguito dal ritorno alla normalità quando il corpo intermedio esce dall' allineamento stella osservatore. Proprietà caratteristiche di questa variazione transitoria della luminosità sono la simmetria tra aumento e diminuzione dell' intensità della luce osservata e la sua acromaticità. Quanto alla durata del fenomeno, dipende dalla massa del corpo oscuro che si interpone. Si va da circa tre ore per un corpo come la Terra fino a 70 giorni per un corpo di massa pari a quella del Sole. Osservazioni. Il gruppo francese (dopo aver analizzato la luminosità di 3 milioni di stelle della Gnm in tre anni) ha riferito di aver visto due eventi di aumento di luminosità che non sembra possano essere causati da fenomeni noti; il gruppo americano australiano ha un caso su 1, 8 milioni di stelle osservate per un anno. La durata dell' aumento di luminosità per i tre casi osservati è intorno a 26 34 giorni, il che fa pensare a corpi intorno a 0, 1 masse solari. Questi risultati sono considerati preliminari perché i fenomeni in questione anziché a un effetto di lente gravitazionale potrebbero essere dovuti ad aumenti di luminosità intrinseca delle stelle osservate. Una conferma dell' esistenza dei Machos nell' alone galattico potrà venire dal proseguimento dell' analisi. Il gruppo francese deve ancora esaminare le foto di quasi 5 milioni di stelle; il gruppo americano australiano ne ha ancora 10 milioni e continuerà l' osservazione fino al 1996. Se i dati troveranno conferma, la conclusione sarà che per la prima volta è stata osservata materia oscura galattica sotto forma di Machos, cioè, come si è detto, di corpi oscuri aggregati di materia barionica ordinaria. Potremmo così dire di avere risolto il problema della materia oscura nell' universo? Sembra proprio di no. Le osservazioni a scale maggiori di quelle della singola galassia indicano che la quantità di materia oscura globale è ben maggiore di 10 volte la materia visibile, e quindi la materia barionica non può da sola costituire la materia oscura dell' universo. Inoltre la cosmologia teorica, per spiegare la durata e le caratteristiche dell' universo, suggerisce che la materia oscura complessiva sia addirittura dell' ordine di 100 volte quella visibile. Se c' è tanta materia oscura, i Machos, anche se presenti nella quantità forse osservata attualmente, non bastano certo. Su questo tema la fisica delle particelle ha la sua da dire le teorie attuali prevedono la possibilità di particelle non ancora osservate e di caratteristiche nuove, e di particelle già note (i neutrini). Ne segue che il cosmo potrebbe essere pieno di particelle la cui massa globale sarebbe anche 100 volte la massa visibile nell' universo. Queste particelle sarebbero un residuo (un fossile) di un tempo assai prossimo al Big Bang, la grande esplosione da cui tutto sarebbe originato. La possibilità della loro osservazione è legata anche ad esperimenti in corso presso il Laboratorio Nazionale del Gran Sasso. Avere conferma dell' esistenza di queste particelle fossili sarebbe di grandissimo interesse sia per la cosmologia sia per la fisica fondamentale. C' è spazio (e tempo) per imparare dal cosmo quali particelle costituiscono la maggior parte del suo (oscuro) contenuto. Alessandro Bottino Vittorio de Alfaro Università di Torino


ASTRONOMIA Neo sul Sole Il 6 novembre il pianeta Mercurio passerà davanti alla nostra stella
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Il «transito» di Mercurio
NOTE: 066

SUL disco abbagliante del Sole il 6 novembre per un' ora e 41 minuti ci sarà un piccolissimo neo: il pianeta Mercurio passerà infatti tra noi e la nostra stella. Ma per vedere quel puntolino nero proiettarsi sulla fotosfera solare bisognerà andare lontano: Africa Orientale, Oceano Indiano, Sud Est asiatico, Australia, Nuova Zelanda, Antartide. Il fenomeno, dagli astronomi chiamato tecnicamente «transito», è relativamente raro. L' ultima volta si è verificato il 13 novembre 1986, la prossima volta sarà il 15 novembre 1999. Ma in entrambi i casi l' Europa è stata e sarà esclusa dallo spettacolo. Restando in Italia, potremo invece assistere al transito di Mercurio davanti al Sole il 7 maggio 2003, a trent' anni di distanza dall' ultimo, molto favorevole, che risale al 10 novembre 1973. Chi potrà andare in Indonesia o in Australia per osservare il fenomeno (un viaggio è stato organizzato dal Touring Club Italiano in collaborazione con la rivista mensile di astronomia «Orione», diretta da Walter Ferreri) vedrà il pianeta (diametro reale di 4878 chilometri) percorrere una breve «corda» in vicinanza del bordo Sud del Sole (diametro un milione e 400 mila chilometri) dalle 3, 06 alle 4, 47 (Tempo universale). Il diametro apparente del disco di Mercurio sarà di 9, 96 secondi d' arco, da confrontare con i 1936 secondi d' arco che il 6 novembre misurerà il diametro apparente del Sole. Il diametro angolare di Mercurio è dunque appena 1/195 di quello solare. Più che con un neo forse bisognerebbe fare il paragone con un puntolino di acne. Nonostante ciò, basterà un piccolo telescopio (bene schermato) per vederlo nitidamente, grazie al fortissimo contrasto con la fotosfera. Il dischetto di Mercurio risulta infatti assolutamente nero, molto più scuro delle eventuali macchie solari presenti sulla fotosfera. Poiché però il transito avviene lontano dalla fascia equatoriale dove normalmente si formano le macchie solari, non sarà possibile un confronto ravvicinato. In passato i transiti di Mercurio avevano non soltanto un interesse astrometrico (perché consentono misure molto precise dell' orbita del pianeta più vicino al Sole) ma anche astrofisico: si cercava di individuare una eventuale atmosfera di Mercurio attraverso la diffusione di luce solare intorno al suo dischetto durante il primo e ultimo contatto apparente con la fotosfera. La straordinaria impresa compiuta dalla sonda della Nasa «Mariner 10», che per tre volte ha sorvolato e fotografato Mercurio trasmettendo immagini con risoluzione 5000 volte migliore di quella offerta dai più potenti telescopi, ha reso del tutto inutile questo tipo di osservazione. Per una singolare coincidenza il transito di Mercurio sul Sole avviene quasi esattamente a vent' anni dalla partenza della sonda «Mariner 10», avvenuta il 3 novembre 1973. Quella missione spaziale ha valore storico per due motivi. Fu la prima del tipo «gravity assist», cioè la prima in cui si sfruttò il campo gravitazionale di un altro pianeta (Venere, in questo caso ) per imprimere una correzione di rotta alla navicella. Inoltre, grazie ai calcoli del matematico padovano Giuseppe Colombo, la navicella riuscì a tornare tre volte in vicinanza del pianeta, dandoci così un quadro estremamente particolareggiato di Mercurio. Il paesaggio del pianeta più vicino al Sole è del tutto simile a quello lunare: crateri di ogni dimensione su tutta la superficie, bacini creati da spaventose collisioni al tempo della formazione del sistema solare, quattro miliardi di anni fa. Alcune centinaia di crateri sono stati battezzati, per lo più con nomi di uomini di cultura: vi sono ricordati, tra gli altri, i musicisti Bach, Vivaldi e Bartok, i pittori Gauguin e Van Gogh, gli scrittori Boccaccio, Dickens e Zola. Piero Bianucci


AL CNR Per capire i misteri della vita
Autore: BATALLI COSMOVICI CRISTIANO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, BIOLOGIA, ASTRONOMIA
ORGANIZZAZIONI: CNR
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 066

POTREBBE essere una pietra miliare per la ricerca scientifica italiana: all' inizio di ottobre, a Roma, presso il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) si è tenuto il primo Convegno nazionale di bioastronomia. L' importanza di questo evento consiste non tanto nel tema del convegno (un tema che, pure, è completamente nuovo per la nostra comunità scientifica) quanto nel fatto che per la prima volta in Italia si sono riuniti astronomi, fisici, biologi chimici e geologi per parlare la stessa lingua anche se con differenti «dialetti». Bioastronomia è il termine scientifico coniato dall' Unione astronomica internazionale per raggruppare quelle discipline che si occupano dello studio dell' origine, evoluzione ed espansione della vita nell' universo. Negli Stati Uniti la bioastronomia è molto attuale e ha le sue origini negli Anni 50 quando il premio Nobel Harold Urey e il suo assistente Stanley Miller iniziarono a studiare in laboratorio la formazione di molecole prebiotiche in una ipotetica atmosfera terrestre primordiale. E' famoso l' esperimento con il quale Miller riuscì a produrre alcuni tipi di amminoacidi, cioè alcuni dei mattoni fondamentali con i quali sono costruite le sostanze viventi. Il National Research Council, corrispondente più o meno al nostro Cnr e la Nasa sovvenzionano in maniera determinante queste ricerche tramite i loro dipartimenti di scienze della vita. In Europa vi sono gruppi sparsi, specialmente in Francia, dove la Biochimica è ad altissimo livello. Lo scopo della bioastronomia è appurare attraverso una stretta cooperazione interdisciplinare come si sia giunti sul nostro pianeta, partendo dall' evoluzione cosmica, a una evoluzione prebiotica e quindi a quella biotica. Il primo grande quesito è capire in che modo abbia avuto luogo il passaggio della materia organica non vivente a quella vivente; la soluzione è compito dei biochimici e dei biologi, ma è impossibile predire la scala temporale entro la quale vi si arriverà. Il secondo quesito affrontabile soltanto con metodi astrofisici, è quello della presenza di vita primordiale e avanzata su altri pianeti della Galassia. A questo scopo 26 gruppi di ricerca italiani (9 di astrofisica, 7 di biologia, 6 di chimica e 4 di geologia), rappresentanti 24 Istituti (Cnr, università, osservatori astronomici, sanità ), con circa 150 ricercatori hanno deciso di presentare un progetto strategico al Cnr per far decollare in Italia questo affascinante filone di ricerca. Per fare ciò abbiamo dovuto cercare nell' ambito della vasta gamma di tematiche che fanno capo alla bioastronomia, le eventuali connessioni con le proprie competenze, linee di ricerca e attrezzature scientifiche esistenti e abbiamo dovuto acquisire le necessarie informazioni per stabilire lo «status quo» della ricerca a livello internazionale. Mentre per l' astrofisica i 9 gruppi coprono praticamente le potenzialità italiane attuali, per chimica, biologia e geologia il quadro delle potenzialità effettive potrebbe essere ancora incrementato tramite una migliore pubblicizzazione del progetto, per ottenere una maggiore polarizzazione delle tematiche. La proposta è già stata presentata al Cnr nel dicembre 1992, e il presidente Enrico Garaci, che è intervenuto al convegno, si è detto favorevole al progetto strategico e ne ha apprezzato la vasta interdisciplinarietà, ma, per i finanziamenti, ha fatto capire che il periodo di crisi che attraversa il Paese influenzerà fortemente nel 1994 nuove iniziative scientifiche anche se di portata nazionale. Ciò è vero, ma è anche vero che i finanziamenti a pioggia e gli sprechi stanno dissanguando la ricerca, che già si trova al disotto del livello europeo. Una migliore programmazione consentirebbe sicuramente di finanziare questo progetto strategico con appena la trecentesima parte del costo di un satellite dell' Agenzia Spaziale Italiana. Cristiano Batalli Cosmovici Cnr, Istituto di fisica dello spazio


FLORA DEL SAHARA E io, che mangio? Pochissime specie, spesso tossiche
Autore: SCAGLIOLA RENATO

ARGOMENTI: BOTANICA, ALIMENTAZIONE, LIBRI
PERSONE: MONOD THEODORE
NOMI: MONOD THEODORE
ORGANIZZAZIONI: SUGARCO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067. «Viaggiatore delle dune»

SCRIVE Theodore Monod, ( «Viaggiatore delle dune», SugarCo Edizioni), biologo, botanico, zoologo, storico e geologo francese ultranovantenne, uno dei massimi studiosi dei deserti africani: «Il Sahara è un paese dalla flora povera: poche specie. Ce ne sono meno (appena mille) in tutto il Sahara, dall' Atlantico al Mar Rosso un paese grande come l' Europa che nei dintorni di Parigi (1500) o in Scandinavia (1600), infinitamente meno che nell' Africa mediterranea del Nord (tre quattromila). In territori meno vasti le cifre calano rapidamente: 450 specie nel Sahara centrale un paese grande come la Francia e appena duecento nell' Emmidir o in Saoura. Un solo dipartimento francese ne conta 1500, quindi si tratta di cifre insignificanti». E' comunque sempre sorprendente trovare nei più rudi e diseredati ambienti desertici (hammada, reg erg, colline di brecce litiche) arbusti e erbe che vivono, nonostante tutto. Vediamo solo alcune delle presenze arboree spontanee più diffuse. L' albero più presente nel Sahara, dall' Algeria al Niger, dalla Libia alla Mauritania, è senz' altro l' acacia spinosa. Un' essenza una delle cinquecento varietà di acacia esistenti al mondo utile per tanti motivi: la sua ombra, seppure magra perché le foglie minuscole lasciano filtrare il sole è di sollievo per i viaggiatori, il legno serve ai fuochi di tuareg e nomadi, e le fronde, spine comprese, sono cibo gradito per i cammelli. Idem per i tamerici, un po' meno diffusi, ma ugualmente numerosi. Ogni tanto compaiono anche olivi selvatici, oleandri e una varietà di sorbo, se c' è un po' d' ombra e un minimo di umidità sotterranea. A parte stanno i solitari cipressi di Tamrit nel Tassili (Algeria), un centinaio di esemplari secolari (Cupressus Dupreziana), monumentali residui di foreste che coprivano la zona diecimila anni fa. Ora sono integralmente protetti e citati nelle guide. Ogni tanto, nel fondo degli oued (i letti dei fiumi asciutti), si avvistano i coloquintidi (Citrullus colocynthis), piccole zucche perfettamente rotonde, un po' più grandi di palle da biliardo, giallognole; secchissime, in autunno crocchiano sotto i piedi. Ce ne sono a decine di migliaia, attaccate ai loro piccoli fusti striscianti sulla sabbia. Potrebbero essere una risorsa alimentare straordinaria, invece è una pianta malefica, la rifiutano perfino i cammelli. Pare che solo gli asini ne sgranocchino qualcuna. Agli uomini provocano diarree furibonde e immediate, anche mortali. A forti dosi procurano infatti gastroenterite, nefrite, dispnea, movimenti scoordinati, collassi. Ugualmente bello e tossico è il frutto della Calotropis Procera, bellissimo arbusto che può raggiungere i quattro metri d' altezza, con foglie carnose di un verde brillante e bacche verdi, succose, piene di semi, grandi quanto una mela. «I fiori sono bianchi e purpurei, in ombrelle cotonose lungamente peduncolate». I francesi la chiamano Pommier de Sodome, e perfino il lattice delle foglie è velenoso. Quando la pianta è in germoglio può formare ampie chiazze di un verde intenso, in mezzo alla sabbia, e si stenta a credere ai propri occhi, vedendo tanta verzura in un mare arido e torrido. Nel Sahara, dunque, praticamente non esistono piante spontanee che possano fornire nutrimento. Ci sono cespugli di ceci selvatici, ma le bacche sono piccole piccole, e affogate in un mare di spine, per cui raccoglierle a mani nude è impossibile. Anche gli asparagi selvatici sarebbero buoni da mangiare, ma sono talmente piccoli da rappresentare più un condimento che una possibile pietanza. Stesso discorso per il finocchio selvatico, usato per insaporire dolci o la «chorba», la minestra di legumi. Nel piccolo museo di Djanet, in Algeria, annesso alla sede del parco naturale del Tassili, ci sono le schede di una dozzina di piante officinali sahariane. Ma il grosso degli studi è ancora da fare. Un pascolo d' emergenza per i cammelli è costituito dal «drinn», graminacea gialla che cresce a ciuffi e che, secca, viene usata come noi usiamo il fieno. E', praticamente, paglia, dallo scarso valore nutritivo, ma spesso non c' è altro da ruminare. La bacca detta «Ar lascim» in tamascek (la lingua tuareg) è un medicamento multiuso: spremuta negli occhi serve da collirio (ripulisce il bulbo oculare dopo una tempesta di sabbia), bollita serve per il catarro, oppure fa le veci del sapone. Le foglie d' artemisia invece vengono usate per insaporire il té insieme alla menta, o per curare mal di stomaco e diarrea. Famoso, citato da scrittori e viaggiatori, il cram cramm, cespuglietto che produce bottoncini spinosi portati ovunque dal vento. Crea piccoli problemi solo per chi cammina a piedi nudi sulla sabbia. I cammelli lo brucano, se non c' è di meglio. Tozzo, dalla corteccia grigia e liscia, il cosiddetto «baobab dello sciacallo», un alberetto nano del deserto mauritano, con superbi fiori viola, copia miniaturizzata del baobab dell' Africa nera. Renato Scagliola


VESPE Cognomi chimici L' odore fa la famiglia
Autore: BOZZI MARIA LUISA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ZOOLOGIA, ANIMALI
NOMI: WEST EBERHARD MARY JANE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

PER tutti noi, le vespe sono solo fonte di fastidi e preoccupazione Fanno il nido fra le nostre mura, non tollerano gli intrusi e un incontro ravvicinato con loro lascia il ricordo spiacevole della loro aggressività. Per un biologo evoluzionista, invece, la società delle vespe è «un microcosmo per lo studio dell' evoluzione e del processo di sviluppo di un individuo». Lo dice Mary Jane West Eberhard dello Smithsonian Tropical Research Institute al convegno internazionale sulle vespe cartonaie, che si è tenuto a Castiglioncello (Livorno) agli inizi di ottobre, organizzato dal Centro Fiorentino per la Storia e la Filosofia della Scienza. Le vespe cartonaie (Polistes, uno dei generi più comuni da noi) sono insetti sociali che si associano fra parenti nella costruzione del nido e nella cura della prole. Nelle zone temperate al sopraggiungere dell' inverno solo le femmine fertili che si sono accoppiate in autunno sopravvivono, svernando in una sorta di letargo in un luogo riparato. In primavera una femmina fecondata inizia a costruire il nido formato da un peduncolo di sostegno e da alcune cellette esagonali, con architettura diversa da specie a specie impastando fra le mandibole pezzetti di legno e saliva, secondo le modalità per cui le vespe hanno preceduto di milioni anni l' uomo nella tecnologia della carta. Durante la costruzione del nido la femmina viene raggiunta da una o più consimili, in genere sue sorelle. Fra intruse e padrona si avvia un combattimento a suon di colpi di antenne, alla fine del quale la femmina che vince tutti gli incontri è la dominante la regina, l' unica con il diritto di deporre le uova mentre le altre occupano posizioni via via sempre più subordinate. Perciò si comportano come operaie sterili il basso rango determina la regressione degli ovari e aiutano la fondatrice a costruire il nido, a difenderlo e allevare la prole. Questa particolare struttura della società delle vespe, che si organizza così a ogni primavera, è stata descritta per la prima volta agli inizi degli Anni 40 da Leo Pardi, il primo etologo italiano, che per i suoi meriti di scienziato ricevette il premio Balzan per l' etologia nel 1989. Stabiliti i ranghi, la regina depone in ogni celletta un uovo, dal quale uscirà un bruco la larva e da questo, dopo uno stadio di pupa, emergerà l' insetto adulto. Usando con discrezione lo sperma conservato in una sacchettina apposita dell' addome, la regina è in grado di fecondare o no le uova, stabilendo così il sesso dei suoi figli. Da un uovo fecondato nasce una femmina, da uno non fecondato un maschio. Pertanto, poiché i maschi sono fannulloni buoni solo alla riproduzione, le prime generazioni sono costituite tutte da femmine che rimangono con la madre, prendendosi cura del nido e delle sorelle. Gli allievi di Leo Pardi dell' Università di Firenze (S. Turillazzi, A. Ugolini, R. Cervo, F. R. Dani, L. Beani) e di Torino (C. Lorenzi) costituiscono uno dei gruppi di ricerca più agguerriti in Europa sulla biologia delle vespe. Grazie ai loro studi, si è scoperto che i maschi, che nascono alla fine dell' estate, passano la maggior parte del tempo a esibirsi in voli apparentemente inutili, ma che consentono loro di mettersi in mostra come pavoni in un' arena. Così le femmine hanno l' opportunità di scegliere, nel maschio che si esibisce più a lungo, il «maratoneta» più resistente e quindi il partner sessuale più valido (L. Beani). Sempre il gruppo fiorentino sta studiando alcune specie di vespe del bacino del Mediterraneo che utilizzano per l' allevamento della prole la classe operaia di un' altra specie. Si tratta delle regine di Polistes sulcifer e di Polistes atrimandibolaris che, incapaci di costruire il nido, al momento della riproduzione ne conquistano uno già pronto, dove la colonia è ormai avviata con tanto di regina, operaie e larve in incubazione. La femmina di Polistes atri mandibularis invece risparmia la regina usurpata, costringendola però ad assumere il rango di subordinata. Le specie vittime sono Poli stes dominulus per la prima, e Polistes biglumis bimaculatus per la seconda. Ma come fa l' usurpatrice a portarsi sul nido dell ' altra specie, eludendo il sistema di sorveglianza in base al quale le vespe attaccano gli estranei a suon di pungiglione? Secondo Cristina Lorenzi e alcuni ricercatori dell' Università di Marsiglia, lo scheletro esterno delle vespe è coperto di uno strato di idrocarburi che, oltre a proteggere il corpo dai batteri e dalla disidratazione, agisce come una sorta di carta di identità. Tutti gli individui della stessa colonia hanno il medesimo «cognome» chimico, mentre le differenziazioni individuali distinguono l' uno dall' altro come un nome proprio. Le vespe, che lo percepiscono come un odore, sono così in grado di distinguere gli estranei dai parenti. Ebbene i parassiti sociali possono entrare nel nido estraneo senza essere attaccati perché imitano il «cognome» della specie ospite. D' ora in poi, un po' di ammirazione è d' obbligo per le vespe che fanno il nido sotto il nostro balcone. Maria Luisa Bozzi


PRIMATI SUBACQUEI Se il cuore batte solo cinque volte al minuto Oltre i 10 metri, un' incredibile bradicardia per risparmiare ossigeno
Autore: CABIATI IRENE

ARGOMENTI: SPORT, MEDICINA E FISIOLOGIA, RECORD, SUBACQUEI
NOMI: PELLIZZARI UMBERTO, FERRERAS PIPIN
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

ISOLA di Montecristo, 11 ottobre: Umberto Pelizzari scende in apnea a 123 metri in 2 minuti e 27 secondi e stabilisce il record mondiale di immersione in apnea in assetto variabile assoluto «no limits»: è sceso cioè trascinato da una zavorra di 40 chili ed è risalito con l' aiuto di un palloncino. L' atleta detiene anche il record in assetto costante (si scende con la capovolta e si risale pinneggiando senza toccare il cavo) a 70 metri e in apnea da fermo a 7 minuti e 8 centesimi. A luglio a Siracusa, il cubano Pipin Ferreras aveva invece stabilito un altro record: 96 metri, in assetto variabile. Era sceso con una zavorra (non deve superare un terzo del peso dell' atleta) ed era risalito pinneggiando. Pelizzari e Pipin, che appartengono entrambi alla stessa squadra, la Sector diving team, si rincorrono negli abissi rosicchiando centimetri alla classifica dei record con la lucida consapevolezza di potersi ancora superare. Potrebbero arrivare fino a 140, forse 150 metri sotto. Questa strana disciplina in cui l' uomo si trasforma in anfibio, storicamente legata allo sfruttamento delle risorse sottomarine (per esempio, i pescatori di perle) o alla ricerca scientifica, è stata alimentata dall' antagonismo dei suoi precursori Maiorca ( 80 metri nel ' 73) e Mayol ( 105 nell' 83). La sua utilità ? Permette di sperimentare e migliorare attrezzature subacquee o nuove le lenti a contatto in sostituzione della maschera. La scalata degli abissi ha aperto la strada anche a studi scientifici sulle alterazioni nel metabolismo e ad applicazioni pratiche nel campo della terapia iperbarica. Quando il sub si immerge in apnea (cioè senza l' uso di bombole), si verifica un aumento dei battiti cardiaci seguito, oltre i 10 metri, da un rallentamento della loro frequenza (bradicardia) che consente di ridurre al minimo il consumo di ossigeno. Alla bradicardia si collega il fenomeno del blood shift: per effetto della pressione dell' acqua (a 120 equivale a 13 atmosfere, cioè 13 chili per centimetro quadrato) che costringe i sub a compensare per salvaguardare i timpani, la capacità polmonare si riduce proporzionalmente alla profondità. Lo spazio polmonare liberato, per la compressione dell' aria inspirata, viene occupato dalla massa sanguigna. Il blood shift è il passaggio del sangue dalle parti periferiche del corpo al cuore e ai polmoni. Il rischio maggiore per chi va in apnea è la sincope anossica, la perdita di conoscenza dovuta alla mancanza di ossigeno. I record sono stati conquistati dopo allenamenti costanti sotto la guida di medici ed esperti. L' immersione è preceduta da esercizi di concentrazione (Pelizzari fa training autogeno e tecnica di respirazione pranayama, Pipin si è preparato con una tecnica cinese, Jacques Mayol e Angela Bandini, che è scesa a 107, con lo yoga). Questa fase serve non soltanto a favorire la concentrazione, ma anche a diminuire il battito cardiaco e ridurre il ritmo delle funzioni vitali per consumare meno ossigeno. Durante gli allenameti, due anni fa, Pelizzari era stato sottoposto a una serie di test e aveva fatto scalpore la scoperta di una quantità di anidride carbonica inferiore al momento dell' emersione rispetto alla partenza. Sembrava un fenomeno inspiegabile poi si è scoperto che l' anidride cabronica veniva assorbita dal sangue e rilasciata successivamente. Con i cardiofrequenzimetri era stato studiato, attraverso un elettrocardiogramma, il comportamento del cuore in profondità. Pelizzari, a oltre cento metri, arriva ad avere 12 pulsazioni al minuto, Pipin addirittura 5. Dalle analisi del sangue di Pellizzari è emersa una minor produzione di globuli rossi, per Mayol il risultato è stato opposto. Dall' esperienza degli apneisti, siano essi recordmen o appassionati di esplorazione subacquea, si sono tratti non pochi vantaggi. L' ossigenoterapia iperbarica, nata essenzialmente per curare i malesseri dei sub, come l' embolia gassosa, ha applicazioni pratiche, negli interventi chirurgici al cuore o ai polmoni, nelle intossicazioni da monossido di carbonio, nelle lesioni estese e nella cura dell' osteoporosi. L ' ossigeno è anche un prodigioso killer di germi e batteri: la terapia iperbarica si usa per combattere cangrene, ulcere e infezioni. Ma ci son due aspetti ancora da esplorare a fondo: l' apnea terapeutica, da praticare in speciali piscine (assai rare e scarse di personale) per curare traumi e le conseguenze delle lesioni al midollo osseo. E l' aspetto psicologico, il motore delle grandi imprese no limits. Pipin e Pelizzari ammettono: «Non siamo supermen: i record si fanno con l' allenamento. Ma ciò che conta di più sono le tecniche di rilassamento. Ti consentono di dominare la paura, di essere padrone di te stesso, permettendo al cervello di distribuire l' ossigeno dove ce n' è bisogno per aiutarti a tornare su». Irene Cabiati


IN BREVE Cementificio pulito nato a Vernasca
ARGOMENTI: ECOLOGIA, INDUSTRIA
LUOGHI: ITALIA, VERNASCA
NOTE: 067

Ufficialmente l' inaugurazione avverrà l' 11 novembre: il sindaco di Vernasca (un paesino in Val d' Arda, provincia di Piacenza) taglierà il nastro delle centraline per il controllo delle emissioni del locale cementificio dell' Unicem, radicalmente rinnovato per rispettare le più severe norme di tutela ambientale. I dati sulle emissioni, raccolti da 5 stazioni di rilevamento, saranno continuamente e in tempo reale a disposizione del pubblico tramite un monitor a colori installato nel municipio. Un cementificio utilizza grandi quantità di energia e lavora la sua materia prima (marna e calcare) a temperature molto alte (circa duemila gradi). I maggiori problemi ecologici che ne derivano sono la dispersione di polveri e l' emissione di ossidi di azoto e di zolfo. Nello stabilimento di Vernasca la linea di cottura è stata riprogettata ed è già in funzione da un anno. La linea di macinazione del cemento verrà completamente rinnovata entro il ' 95. Il nuovo bruciatore Rotaflam dimezza gli ossidi di azoto. Le polveri vengono ridotte da un filtro elettrostatico. Le emissioni del forno e del raffreddatore clincker sono convogliate in un unico camino del diametro di quasi 4 metri e alto 95 metri.


IN BREVE Superacceleratore cancellato in Usa
ARGOMENTI: TECNOLOGIA, NUCLEARI
ORGANIZZAZIONI: SSC
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

Gli Stati Uniti non costruiranno il superacceleratore di particelle nucleari SSC (Superconducting Super Collider), una macchina ad anello lunga 80 chilometri già in avanzata fase di realizzazione. Un comunicato del Cern, il centro europeo per la fisica delle particelle con sede a Ginevra diretto dal Nobel Carlo Rubbia, giudica la decisione americana un durissimo colpo per la comunità scientifica mondiale. Caduto l' SSC, l' unico progetto di grandi dimensioni per la fisica delle alte energie di fine secolo rimane l ' LHC, che sorgerà appunto al Cern.


IN BREVE Mongolfiere raduno a Masino
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
LUOGHI: ITALIA, MASINO
NOTE: 067

Il 6 e 7 novembre si terrà al Castello di Masino (vicino a Ivrea) un raduno internazionale di palloni aerostatici. Sono in progrmma voli con meta i laghi di Candia e Viverone, la Serra, le Alpi.


IN BREVE Intelligenza artificiale
ARGOMENTI: ELETTRONICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

Oggi e domani si svolge a Torino (Centro Torino Incontra della Camera di Commercio) il terzo congresso dell' Associazione italiana per l' Intelligenza artificiale. Contributi scientifici verranno da Alenia, Cselt e Centro ricerche Fiat.


IN BREVE Decimo compleanno per Eutelsati
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: BPD, FIAT, ARIANE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

Decimo compleanno per Eutelsat Il primo satellite europeo per telecomunicazioni ha festeggiato il suo decimo anno di vita. Intanto il 22 ottobre un razzo «Ariane» ha messo in orbita Intelsat VII, primo esemplare di una nuova generazione di satelliti per telecomunicazioni. Il vettore, della Arianespace, era equipaggiato con razzi di spinta ausiliari a combustibile solido della Bpd, azienda italiana del gruppo Fiat.


IN BREVE Plastica riciclata impianto a Prato
ARGOMENTI: ECOLOGIA, RICICLAGGIO, RIFIUTI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

A Montemurlo, vicino a Prato, è stato inaugurato il primo impianto a ciclo chiuso per la selezione e il riciclaggio dei contenitori in plastica per liquidi.


IN BREVE Telerilevamento del Mediterraneo
ARGOMENTI: ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

hanno approvato la richiesta italiana di riconoscere il Centro di Telerilevamento Mediterraneo (consorzio tra Telespazio e Regione Sicilia) quale Centro di attività regionale per il telerilevamento ambientale, con il compito di cooperare con gli altri 4 centri Onu già in funzione in Croazia, Francia, Malta e Tunisia.


INFORMATICA «Print» e avrai la stringa
AUTORE: MEO ANGELO RAFFAELE, PEIRETTI FEDERICO
ARGOMENTI: INFORMATICA, DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 068. Quarta puntata

IL comando PRINT, a cui abbiamo appena accennato nella scheda precedente, può essere seguito da qualunque espressione aritmetica scritta, più o meno, con le regole che abbiamo imparato studiando matematica. Vediamo alcune di queste regole, quelle principali, ampiamente sufficienti per risolvere la grande maggioranza dei problemi. a) La moltiplicazione si indica con il simbolo *; la divisione con /. Ad esempio, il comando PRINT 10 * 2 produce la visualizzazione di 20; PRINT 10/2 produce 5. b) Al posto della virgola decimale si deve scrivere il simbolo ". ", cioè il punto. Ad esempio, 32, 4 si scrive 32. 4 0, 34 si scrive 0. 34, oppure, sottintendendo lo zero iniziale,. 34 e PRINT 4. 5/3 più 1 produce la visualizzazione di 2. 5 PRINT 8/. 4 visualizza 20. c) Le parentesi quadre e le graffe devono essere sempre sostituite da parentesi tonde. Ad esempio, non si deve scrivere PRINT (2 più ( (3 più 2) / 5) ) ma PRINT (2 più ( (3 più 2) / 5) ) d) Per l' elevazione a potenza si scrive la base seguita dal simbolo "I' ", oppure da una freccia "PRINT 3 I' 3 produce 27 PRINT 4 I' 2 produce 16. L' informatica è una disciplina molto giovane, ma le conquiste del femminismo sono ancora più recenti. Questo spiega forse la traccia di maschilismo che è rimasta nella nomenclatura italiana dell' informatica, secondo la quale la calcolatrice è cosa ben diversa, e inferiore, rispetto al calcolatore. La prima è il diffuso strumento di calcolo nel quale l' operatore introduce i dati numerici e ordina l' esecuzione delle operazioni, una alla volta. Il secondo è invece lo strumento di calcolo, ben più potente e complesso, che accetta in ingresso non soltanto i dati numerici da elaborare, ma anche il programma, ossia la descrizione della successione delle operazioni o istruzioni che devono essere eseguite. Il personal computer è ovviamente un calcolatore, non una calcolatrice. Ma l' istruzione PRINT ci permette di acquisire, a un costo di apprendimento ridottissimo unicamente la lettura di questa scheda una calcolatrice prodigiosa che è in grado di calcolare, una alla volta, espressioni aritmetiche anche molto complesse. Sia l' allievo della scuola elementare che il professore dell' università possono imparare ad usare questa meravigliosa calcolatrice in pochi minuti di divertenti esercizi. E' sufficiente scrivere il comando PRINT seguito da un' espressione aritmetica e il sistema calcola il valore dell' espressione presentandolo sul video Si tenga presente che nel calcolo dell' espressione aritmetica vengono rispettate quelle che si chiamano le priorità fra le diverse operazioni. Moltiplicazioni e divisioni vengono quindi eseguite prima di addizioni e sottrazioni. Ad esempio: PRINT 6 più 4 * 2 visualizza 14 e non 20. La moltiplicazione viene eseguita prima dell' addizione: 6 più 4 * 2 = 6 più 8 = 14 e non 6 più 4 * 2 = 10 * 2 = 20. Operazioni aventi pari priorità vengono eseguite da sinistra a destra. Ad esempio: PRINT 20/2 * 5 stampa 50 e non 2 perché la divisione in questo caso viene eseguita prima della moltiplicazione. La parola SQR ( «Square root» ossia «radice quadrata» ) seguita da un numero o da un' espressione aritmetica fra parentesi tonde indica la radice quadrata di quel numero o del valore di quell' espressione. Ad esempio, SQR (36) visualizza 6, SQR (3 * 3 più 4 * 4) è equivalente a 5. La forma SQR (... ) è un primo esempio del concetto importante di funzione. Gli allievi delle scuole medie superiori e dell' università hanno sovente bisogno di altre funzioni. Tra le più importanti ricordiamo le funzioni seno, coseno e tangente, chiamate rispettivamente SIN, COS e TAN. Ad esempio, per ottenere il seno di un angolo pari al terzo di un radiante si scrive: PRINT SIN (1/3). La funzione LOG (... ) infine restituisce il logaritmo naturale del numero o dell' espressione racchiusa fra parentesi. Ad esempio PRINT LOG (1) visualizza 0.


CHI SA RISPONDERE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 068

Che cosa sono le ziggurat? Che cosa succede quando prendiamo una «scossa» urtando con un gomito? Perché le ballerine danzano sulle punte, con scarpette speciali, e i ballerini no? Perché i serpenti fanno guizzare la lingua dentro e fuori della bocca?


LA PAROLA AI LETTORI CHI SA RISPONDERE Senza pioggia per quattrocento anni]
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 068

Com' è che la Terra, in quat tro miliardi e mezzo di anni, non si è raffreddata? L' energia solare che arriva sulla Terra non è affatto da trascurare, considerando che la potenza che arriva su un metro quadro di superficie terrestre è 1000 W, pari alla potenza di un ferro da stiro. Una parte di questa energia viene riflessa verso l' atmosfera e si propaga per irraggiamento e convezione, ma buona parte è trattenuta dalle nubi mediante l' arcinoto effetto serra. A questo punto può essere utile paragonare gli strati concentrici del nostro pianeta a una parete multistrato. Com' è noto, se le pareti contengono un piccolo strato di buon isolante, sono una buona barriera al flusso termico verso l' esterno. Sappiamo che l' aria, se immobile, è un ottimo isolante termico. Le rocce aventi microporosità possono rappresentare dei rudimentali isolanti. Ci dovremmo dunque stupire se la Terra fosse un enorme metallo uniforme ancora caldo. Ma la Terra è un oggetto multistrato che evidentemente è ben isolato. Non dimentichiamo poi che, nei corpi celesti, ad alte temperature avvengono reazioni di combustione che trasformano la materia in energia termica. Nell' interno della Terra le temperature sono di circa 4000 gradi. Ma la fonte di calore più notevole è rappresentata da reazioni nucleari di decadimento degli elementi radioattivi. Le perdite di calore (per esempio attraverso vulcani o geyser) sono come gli «spifferi» attraverso le fessure delle finestre. Fabrizio Galia, Torino Quali sono le zone più pio vose della Terra? E quelle più aride? Se si prende come riferimento la media annua delle precipitazioni, due sono le località che si contendono il primato: Tutunedo (Colombia), con 11. 700 millimetri, e Mount Waichela (arcipelago delle Hawaii), con 11. 981 (per confronto: Milano, 912 millimetri). La massima precipitazione in 24 ore si ebbe a Cilaos (La Reunion, Oceano Indiano): fra il 15 e il 16 marzo 1952 caddero 1862 millimetri. Passando alle zone più aride, non solo certe zone desertiche poco esplorate hanno valori praticamente uguali a zero, ma anche certi settori oceanici e antartici. Detiene il record la località di Calama, nel deserto cileno di Atacama, dove nel 1971 piovve per la prima volta dopo 400 anni. Stefano Di Battista, Trivero Come fa a muoversi il lom brico, che non ha zampe? Il lombrico è un invertebrato vermiforme appartenente al gruppo degli anellidi oligocheti. La loro caratteristica principale è la presenza di «metameri», cioè suddivisioni del corpo in segmenti. Il loro insieme costituisce una struttura tale che diverse regioni corporee possono allungarsi o accorciarsi indipendentemente l' una dall' altra. Le varie combinazioni di questi movimenti «a fisarmonica» suppliscono alla mancanza di zampe, permettendo al lombrico di muoversi strisciando. Edoardo Figaroli Castiglione Torinese Quando si demoliscono de gli edifici alti, come si rie sce a evitare che cadano su quelli vicini? Si evita il disastro calcolando i tempi di esplosione e la posizione delle cariche: si comincia da quelle basse al centro e si prosegue verso l' esterno e verso l' alto. In questo modo l' edificio crolla su se stesso, facendo il minor danni possibile. Lorenzo Lopez Somale, Cuneo Perché nella partenza delle gare di velocità si usano i blocchi? Il problema più importante per un velocista è quello di vincere l' inerzia iniziale. Da questo punto di vista la partenza in piedi non è certo l' ideale. Per questo si è ricorsi all' accorgimento tecnico della posizione a quattro appoggi. I blocchi risolvono la difficoltà della resistenza sostenendo la spinta del piede, e offrendogli una superficie d' appoggio maggiore. Inoltre innalzano il punto di spinta e il baricentro dell' atleta avvicinandolo alla linea di corsa, evitando dispersione di forze e rendendo possibile lo sviluppo di un' accelerazione iniziale più potente e penetrante. Infine, al momento della partenza, togliendo l' appoggio delle mani, si viene a creare uno squilibrio utilissimo agli arti inferiori per vincere l' inerzia. Domenico Lucci, Torino


STRIZZACERVELLO Bizzarro testamento
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 068

Un vecchio miliardario decise di nominare erede universale quello dei suoi quattro figli che avesse risolto il seguente problema. Dato un bracciale con 13 monete d' oro numerate come in figura, chiedeva che si predisponesse un analogo monile con la numerazione disposta in modo diverso e tale che, sovrapposto in qualsiasi modo al primo, anche capovolto, per intenderci, presentasse almeno uno degli 11 numeri nella medesima posizione dell' originale sottostante. Purtroppo ciascuno dei 4 figli propose una soluzione corretta ma differente ed egli fu costretto a frazionare il suo enorme patrimonio. Sapreste riproporre le 4 diverse soluzioni presentate dagli eredi? La soluzione domani, accanto alle previsioni del tempo. (A cura di Alan Petrozzi)


RICERCHE CURIOSE Il caffè dello scienziato Chimica e fisica in fondo alla «tazzina»
Autore: SPIGLER RENATO

ARGOMENTI: FISICA, CHIMICA, ALIMENTAZIONE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 066. Agronomia

BEVENDO un buon caffè nessuno pensa ai complicati processi chimico-fisici che si accompagnano alla sua preparazione nella macchina «espresso». Per dare al lettore un'idea di quanta complessità si nasconda dietro una normalissima tazzina di caffè, basti ricordare che sono stati individuati non meno di quarantatrè fattori principali che influenzano la qualità del prodotto finale. E non basta: la tecnologia più avanzata usata oggigiorno per produrre un buon caffè espresso coinvolge parecchie branche scientifiche: agronomia e genetica per quanto riguarda la crescita delle piante del caffè, ottica (ed elettronica varia) per individuare difetti nei chicchi, chimica e termodinamica nel processo di tostatura, meccanica applicata in quello della macina, farmacologia nella valutazione degli effetti della caffeina sull'organismo umano. Trattandosi di un'area che richiede un approccio multidisciplinare, e avendo a disposizione numerosissimi dati, la matematica può giocare un ruolo importante nel favorire una sintesi e nell'analizzare razionalmente i dati con l'uso di opportuni strumenti di elaborazione automatica e di moderne tecniche statistiche. Ma il ruolo della matematica applicata alla tazzina non si ferma qui. Vi sono fenomeni fisici, come la filtrazione di acqua calda attraverso uno strato di caffè macinato, che richiedono la messa a punto di modelli matematici niente affatto banali perché assai poco standard. Anzi: del tutto specifici del «caso caffè». Infatti, il «mezzo poroso» costituito dal caffè macinato cambia le sue proprietà fisiche nel corso del processo stesso di filtrazione, mentre i modelli di diffusione in mezzi porosi studiati finora non presentano questa peculiarità. Lo scopo finale è quello di risolvere le equazioni del modello per fare previsioni sul comportamento del sistema fisico ottenendo informazioni preziose senza ulteriori sperimentazioni. Dunque più economia e... un caffè più buono. Renato Spigler Università di Padova




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