TUTTOSCIENZE 22 settembre 93


RICERCA Due piante con molecole anticancro
Autore: P_B

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, BOTANICA
NOMI: D'ARRIGO CLAUDIO
ORGANIZZAZIONI: MINERVA MEDICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 047

DA due piante ornamentali arriveranno forse nuovi principi attivi contro i tumori. Sull'ultimo fascicolo della rivista «Minerva Medica» (vol. 84, 1993) un ampio articolo documenta l'azione antineoplastica che verrebbe esercitata da molecole estratte dalle bacche di Pittosporum Tobira e di Chamaerops excelsa. Lo studio sperimentale su animali è stato condotto da Claudio D'Arrigo, direttore del Laboratorio di ricerca Idi Farmaceutici. D'Arrigo è partito dall'osservazione che in una comune pianta erbacea, la Linaria vulgaris, che cresce spontanea in molti prati italiani, sono presenti due opposti principi attivi, uno in grado di favorire lo sviluppo di cellule tumorali, l'altro di contenerlo. Di qui l'indagine si è estesa ad altre piante nell'intento di isolare molecole che fossero insieme efficaci e prive di effetti negativi. E' così che si è giunti al Pittosporum Tobira e alla Chamaerops excelsa. La prima, che trae il nome dalla polpa resinosa che circonda i suoi semi (dal greco pitta, pece e sporo, seme), è una pianta ornamentale sempreverde originaria dell'Estremo Oriente: si è però ben acclimatata nelle nostre regioni e la troviamo in molte città balneari in quanto resiste alla salsedine e produce fiori molto profumati. La seconda è anch'essa una pianta ornamentale appartenente alla famiglia delle palme e cresce bene in ogni clima temperato: per esempio sulle sponde del Lago di Garda. Le due sostanze isolate da queste piante, denominate Cidi e Degu, sono state brevettate in Italia e poi a livello internazionale. Non interferiscono negativamente sul sistema immunitario (anzi, pare che lo rafforzino) e non sono citotossiche ma esercitano un'azione distruttiva sulla cellula neoplastica. La sperimentazione su animali è stata condotta con risultati incoraggianti prendendo a bersaglio tre tumori ascitici: il tumore di Ehrlich, il sarcoma 180 e il sarcoma di Yoshida. Quanto ai tumori solidi, il banco di prova più difficile, la ricerca riguarda tre neoplasie: il Lewis Lung Carcinoma, l'epatoma di Morris e il melanoma solido. Tutti i sei bersagli, nel modello sperimentale animale, hanno mostrato di essere molto sensibili all'attacco dei due chemioterapici di origine vegetale. (p. b.)


INQUINAMENTO ACUSTICO Contro la società del rumore I primi risultati delle leggi antifrastuono
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: ACUSTICA, MEDICINA E FISIOLOGIA, INQUINAMENTO
NOMI: GUARINIELLO RAFFAELE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 045

CI assedia nelle strade e nelle case, ci avvolge, compagno inseparabile e spesso insopportabile. Il rumore è uno degli elementi distintivi delle società industriali, quasi un prezzo fatale da pagare per il benessere. Una entità multiforme, dalle origini disparate, difficile da definire e quindi difficile da combattere. Nessun luogo della Terra ormai ne è immune perché il sibilo dei jet non risparmia nè deserti nè foreste amazzoniche nè ghiacci artici. E il martellare della musica nelle discoteche ci appare come l'ultima, gratuita resa a discrezione, se non addirittura la volontaria sottomissione, ad un moderno feticcio. Nel 1713 il Ramazzini, medico e professore all'università di Padova, fu tra i primi a stabilire che il rumore poteva danneggiare l'udito. Oggi si sa che i danni possono riguardare anche numerosi altri aspetti della salute tanto che il rumore è considerato in Italia la prima causa di malattie professionali. Il ventunesimo convegno nazionale dell'Associazione italiana di acustica, che si è tenuto i marzo-aprile all'Abbazia di Praglia, nel Padovano, con il ponderoso volume degli atti uscito da poco, rappresenta la sintesi più aggiornata delle conoscenze in proposito. Il rumore può provocare una sordità reversibile o permanente che dipende «da alterazioni morfologiche transitorie o permanenti a carico della coclea, in particolare delle cellule acustiche», ha detto il professor Arslan dell'Università di Padova; ha spiegato che le principali lesioni possono consistere nella perdita delle cellule acustiche, in deformazioni e rigonfiamenti dei corpi cellulari, nell'aumento e nella migrazione dei costituenti cellulari. La professoressa Merluzzi, dell'Università di Milano, illustrando i danni extrauditivi del rumore ha sottolineato in particolare che nei lavoratori esposti ad alti livelli di rumorosità è stato riscontrato un aumento significativo delle malattie cardiocircolatorie, gastroenteriche e neuroendocrine (mentre resta controverso l'aumento dei casi di ipertensione). Il rumore agisce sul sistema nervoso centrale causando alterazioni elettro-encefalografiche, rallentamento dei tempi di reazione, aumento degli errori e delle imprecisioni nello svolgimento del lavoro, specie nelle persone introverse e ansiose. Le problematiche intorno al rumore sui luoghi di lavoro hanno assunto un particolare rilievo dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo del 15 agosto '91 numero 277, una normativa che riguarda, oltre all'esposizione dei lavoratori al rumore, anche l'esposizione al piombo e all'amianto, e che attua una serie di direttive della Comunità europea. «A un anno di distanza occorre prendere atto che le esperienze giudiziarie avviate in aree come quella torinese ne stanno mettendo in luce molteplici aspetti positivi», spiega Raffaele Guariniello, pretore del lavoro a Torino, un magistrato impegnato da tempo su questi temi. Tra questi elementi positivi va messa «la responsabilizzazione di soggetti inediti, come produttori commercianti di macchine rumorose, medici, committenti». Il decreto, infatti, per la prima volta affronta il problema alla radice stabilendo che «la progettazione, la costruzione e la realizzazione di nuovi impianti, macchine e apparecchiature, gli ampliamenti e le modifiche sostanziali di fabbriche e impianti esistenti» devono avvenire in modo da ridurre al minimo i rischi da rumore. Aggiunge che «i nuovi utensili, macchine e apparecchiature destinati a essere utilizzati durante il lavoro che possono provocare a un lavoratore che li utilizzi in modo appropriato e continuativo un'esposizione quotidiana personale al rumore pari o superiore a 85 dBA sono corredati da un'adeguata informazione relativa al rumore prodotto nelle normali condizioni di utilizzazione e ai rischi che questa comporta». Tutto ciò unito all'obbligo del datore di lavoro di ridurre al minimo «in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico» i rischi dell'esposizione al rumore mediante misure tecniche, organizzative, procedurali, concretamente attuabili, privilegiando gli interventi alla fonte. Un altro aspetto fondamentale del decreto è l'entità delle sanzioni; non sono più le poche centinaia di migliaia di lire della normativa precedente ma si va dai 15 ai 50 milioni per ciascuna violazione; ciò costituisce un importante incentivo alla prevenzione. Ma quali sono i limiti massimi del rumore nei laboratori e negli uffici? Il decreto 277, come sottolinea Raffaele Guariniello in un saggio scritto per la rivista «Diritto e pratica del lavoro», «non ha abbracciato in termini assoluti la filosofia dei valori limite. Numerosi obblighi di prevenzione sorgono in corrispondenza con il raggiungimento o con il superamento di specifici valori limite. Altri invece sono svincolati dai valori limite». Resta dunque utile come riferimento una sentenza della Cassazione dell'84, secondo la quale negli ambienti di lavoro il rumore, continuativo o per più ore, non deve superare i 70 decibel «al di là dei quali è foriero, in potenza e in atto, di nocività e pericolosità». Vittorio Ravizza


TROPPI DECIBEL Un nemico subdolo e mutevole
Autore: V_RAV

ARGOMENTI: ACUSTICA, MEDICINA E FISIOLOGIA, INQUINAMENTO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 045. Inquinamento acustico, rumore

NELL'89 il Comune di Palermo istituì il sistema delle targhe alterne nel centro storico; sembrava logico attendersi, con un calo dell'inquinamento atmosferico, anche una riduzione del rumore; al convegno dell'Associazione italiana di acustica due ricercatori dell'Università di Palermo hanno presentato una relazione da cui risulta che, a parte alcuni punti particolari, c'era stato invece un aumento della rumorosità «dovuto a effetti di propagazione e di retroazione negative nei riflessi della distribuzione dei flussi di traffico». Ciò provache il rumore è un nemico subdolo, da studiare in modo specifico a seconda delle varie situazioni. Oggi che si dispone di una normativa efficiente sono proprio gli studi sulle singole fonti di rumore che possono servire a una calzante applicazione di essa. Le ricerche specializzate si moltiplicano e spesso portano a conclusioni sorprendenti. Al convegno dell'Associazione italiana di audiologia è stata illustrata un'esperienza fatta su un tratto dell'autostrada Torino-Piacenza dove per ridurre il rumore di rotolamento dei pneumatici si è fatto ricorso ad asfalti drenanti (che hanno anche proprietà fonoassorbenti). Secondo la relazione si è ottenuta una riduzione del rumore di due decibel. La stessa tecnica sull'autostrada che attraversa la piana di Massa-Carrara ha dato un risultato opposto, forse perché qui la carreggiata corre per gran parte in sopraelevata. Il rumore si è spostato nella gamma delle basse frequenze, un po' meno fastidiose, ma in compenso udibili a distanza maggiore. E la gente continua a protestare. Anche nelle campagne il silenzio è finito da un pezzo; anzi, le macchine agricole risultano tra le più rumorose, come mostra uno studio dell'Istituto di medicina del lavoro di Padova: coloro che lavorano su trattori e mietitrebbia (che in certi casi superano addirittura i cento decibel) rischiano grosso. Addirittura più degli addetti alle discoteche, camerieri e disc-jockey: al centro della pista, rivela un'indagine svolta nella provincia di Padova, sono possibili 100-105 decibel mentre il personale, che opera in una situazione più defilata, è sottoposto a 85-90 decibel. Per questo, conclude l'indagine, è importante verificare l'esposizione giornaliera dei giovani che, dopo essere stati per 8 ore nell'ambiente di lavoro già di per sè rumoroso, trascorrono la serata in discoteca accumulando quindi altre dosi di rumore di cui di solito non si tiene conto. (v. rav.)


APPRENDIMENTO La fisica? Te la insegneranno i videogiochi Potrebbero persino servire a spiegare la relatività di Einstein
Autore: REGGE TULLIO

ARGOMENTI: DIDATTICA, ELETTRONICA, PSICOLOGIA
NOMI: ANTINUCCI FRANCESCO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 045

SU «Psicologia contemporanea» è recentemente apparso un articolo di Francesco Antinucci - «Piaget vive nei videogiochi» - che ha risvegliato il mio interesse. L'articolo comincia con la frase «se siete genitori e avete un figlio di età tra i 6-7 e i 15-16 anni vi sarà certamente capitato di vederlo... davanti al rutilante schermo di un videogioco». I miei figli non si adattano più allo schema di Antinucci ma i miei nipotini vanno benissimo: da quando è arrivato in casa un lettore di cd- rom mi hanno sfrattato dal computer. Secondo dati statistici (Ferraris) attendibili il 47 per cento dei bambini delle scuole elementari ha un computer in casa. Il fenomeno è dunque massiccio, probabilmente irreversibile e capace di produrre rivoluzioni sociali. Tangentopoli, non ancora videogioco, è in parte decollata grazie all'uso esteso di computer da parte del pool di Mani pulite. La prima reazione dei benpensanti è quella di gridare allo scandalo. Ma l'articolo di Antonucci mi piace proprio perché va controcorrente, vede il fenomeno sotto un angolo più ottimista e costruttivo ed infine lo analizza professionalmene. Egli nota che ci sono tre e solo tre categorie di videogiochi così definite: 1) Videogiochi di abilità e destrezza: il piacere che suscitano consiste nel continuo miglioramento della prestazione; 2) Videogiochi di simulazione: il piacere qui è dato dalla buona esecuzione di un esercizio mentale complesso; 3) Videogiochi che propongono una articolata storia fantastica: il loro piacere deriva dal far vivere una avventura. Solitamente ma non sempre un videogioco appartiene a una sola categoria. La prima è appannaggio dei giovani: quando mi azzardo a guidare una Formula 1 o piloto un F15 vado subito fuori strada e mi uccido. Le altre mi attirano per alcuni minuti ma poi mi annoio. Mi interessa invece la tesi di Antonucci che lega le tre categorie di giochi ai tre livelli cognitivi che gli psicologi dell'età evolutiva, seguendo Piaget, distinguono sia nella successione ontogenetica quanto nel funzionamento cognitivo dell'adulto. Non sono uno psicologo e non oso addentrarmi in una disciplina di cui so poco ma tuttavia il poco che capisco mi interessa. Esistono un livello sensomotorio, un livello simbolico e un livello operatorio, e questi livelli paiono adattarsi a meraviglia alle tre categorie di videogiochi. Se questo è vero, allora i videogiochi sono uno strumento diagnostico e di intervento potente, non soltanto nella psicologia infantile ma anche in quella adulta, e vanno esaminati con tutto il rispetto. Uno dei gravi problemi non solamente del Terzo Mondo ma anche della società affluente è la difficoltà di mandare avanti un sistema educativo che sembra diventare sempre più inefficiente e costoso. Da tempo sono convinto che l'epoca delle dispense e dei vari testi-manuali di apprendimento che popolano le nostre aule sta per finire e che il destino è del computer. Lo si può odiare ma non guardare dall'altra parte e far finta che non esista. Ignorarlo significa lasciarlo esclusivamente in mano a potentissimi interessi commerciali che sfruttano pulsioni innate con incredibile efficienza e spregiudicatezza. Le risorse impegnate nello sviluppo di videogiochi sono immense: negli Stati Uniti la Nintendo, una delle più grandi case produttrici di videogiochi ha già installato oltre 30 milioni di macchine presenti in quasi il 70 per cento delle case in cui vivono bambini di età adatta. Mi addolora il constatare che nessuno si sia posto seriamente il problema di usare questa enorme potenza produttiva per scopi più nobili di quello di tener buoni i bambini troppo irrequieti. Perché, invece, non esplorare sistematicamente il potenziale educativo del videogioco? Non sono affatto scandalizzato dall'uso di mezzi elettronici rutilanti e fantasiosi se questi poi riescono a farci superare le barriere dell'apprendimento. La scienza è andata avanti al galoppo ma l'insegnamento della scienza è rimasto a quello che era prima della Rivoluzione francese. Quasi mezzo secolo fa un grande fisico russo, George Gamow, scrisse una meravigliosa e tuttora insuperata serie di libretti divulgativi in cui descriveva i viaggi del signor Tomp kins nel Paese delle meraviglie, in universi in cui erano visibili gli effetti della relatività e della meccanica dei quanti. Perché non farci entrare in questo Paese delle meraviglie attraverso un videogioco? John Von Neumann, il grande matematico che diede inizio all'era dei grandi calcolatori, disse una volta che la matematica non si può capire, alla matematica ci si abitua. Sono convinto che Von Neumann aveva profondamente ragione e che lo stesso sia vero per la fisica. Non varrebbe forse la pena di sviluppare un videogioco relativistico che ci abitui alla fisica facendoci vivere entro un mondo in cui le regole sono apparentemente diverse da quelle cui siamo abituati? Avanti, all'assalto, cari programmatori di videogiochi, imparate la relatività e la meccanica dei quanti! Tullio Regge Università di Torino


ESPERIMENTI A TRENTO Il robot che impara Avanza l'intelligenza artificiale
Autore: DAPOR MAURIZIO

ARGOMENTI: INFORMATICA, ELETTRONICA
NOMI: STRINGA LUIGI, STOCK OLIVIERO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 046

LA strada che stiamo percorrendo ci è sconosciuta. Siamo in aperta campagna, piove a dirotto. La curva appare improvvisa e inaspettata. Illuminiamo l'asfalto con due fasci di luce e ripercorriamo con il pensiero i sentieri della nostra mente. Molteplici analoghe situazioni, affrontate con successo nel passato, si confondono per configurarsi in una «situazione modello» archiviata nel nostro cervello e che la mente associa a una serie di comandi. La mano sfiora la leva del cambio. Rallentiamo, terza, seconda. Assecondiamo gli stimoli dell'ambiente esterno che ci suggeriscono di modificare la rotta: un complesso gioco di azioni e retroazioni ci consente di avvicinarci, per approssimazioni successive, all'impostazione corretta della curva. Abbiamo risolto il problema in qualche frazione di secondo senza dover affrontare alcuna equazione differenziale; ma facendo ricorso, piuttosto, a un magazzino mentale che contiene, nelle sue linee essenziali, le informazioni sul modo in cui ci siamo comportati in innumerevoli simili situazioni della nostra esperienza passata. La memoria e l'apprendimento sono gli strumenti con cui affrontiamo, con comportamenti intelligenti, le più svariate situazioni che quotidianamente si presentano alla nostra attenzione. Il successo nella risoluzione di un problema è in relazione più con l'esperienza accumulata che con complesse elaborazioni. All'Istituto per la Ricerca Scientifica e Tecnologica di Trento (Irst), diretto da Luigi Stringa, si mette in atto un approccio molto simile nella sperimentazione riguardante la piattaforma mobile: rinunciando a calcoli complessi, e ad accurate informazioni sulle caratteristiche dell'edificio, il robot riesce a procedere sulla base dei dati che, come un bambino che muove i primi passi, acquisisce attorno all'ambiente esterno. Provvisto di telecamera e sonar, che fungono da organi di senso, decide il da farsi nel momento in cui deve affrontare un problema. Questo gli permette di evitare un ostacolo non previsto, come, ad esempio, un ricercatore che si trovi sul suo cammino; lo rende abile inoltre, almeno in prospettiva, di muoversi in qualunque ambiente, dopo un opportuno periodo di addestramento. In particolare, superata la fase di sperimentazione, ci si aspetta di vedere in azione simili macchine in quegli ambienti ostili in cui la presenza dell'uomo è, preferibilmente, da evitare e in cui, d'altronde, è auspicabile un discreto grado di flessibilità e di autonomia decisionale in situazioni non sempre completamente prevedibili (missioni spaziali, sorgenti radioattive, gas tossici e così via). Secondo Stringa ogni comportamento intelligente, sia esso naturale o artificiale, richiede una elevata capacità di interagire costruttivamente con l'ambiente esterno, immagazzinando conoscenze da utilizzare nelle esperienze future. La parziale rinunzia a complesse elaborazioni in favore della costituzione di una consistente banca dati, acquisita con l'esperienza e associata a opportuni comandi, sembra la strada maestra per simulare e realizzare artificialmente quella che comunemente consideriamo attività intelligente. Che cosa sia l'intelligenza non è affatto chiaro e le definizioni che ne sono state date non sono completamente soddisfacenti. E' probabile che un atteggiamento sperimentale/operativo sia preferibile nella descrizione di un concetto così complesso. La bibliotecaria elettronica dell'Irst, ad esempio, è un sistema in grado di riconoscere i ricercatori dell'Istituto «guardandoli» attraverso una telecamera e «ascoltandone» la voce attraverso un microfono. Quando l'interlocutore mostra la copertina di un libro, l'apparecchiatura è in grado di stabilire di che libro si tratta e di registrarne il prelievo o la restituzione. La percentuale di successo è piuttosto elevata: l'approccio in cui voce e visione concorrono nel riconoscimento permette alla bibliotecaria elettronica di individuare l'interlocutore anche se raffreddato o spettinato. Oliviero Stock, presidente dell'Associazione italiana e del Comitato coordinamento europeo per l'intelligenza artificiale, non ci nasconde le difficoltà insite in problemi all'apparenza piuttosto semplici: «Ho visto un film con Ornella Muti» è una frase il cui significato è, evidentemente, non univoco. Ognuno di noi, tuttavia, tenderebbe a interpretarla nella sua accezione più comune, nella quale Ornella Muti è un'interprete del film e non un'abituale frequentazione del nostro interlocutore. Una frase come «Sa dov'è la stazione?» ha almeno tre differenti significati che dipendono fortemente dal contesto in cui è espressa: può rappresentare una richiesta di informazioni da parte di un turista in visita nella nostra città, una offerta di informazioni che ci viene rivolta da un conoscente che siamo andati a trovare in una località a noi sconosciuta o, infine, un ordine che, ad esempio, potremmo impartire a un taxista. Quando gli scienziati saranno riusciti a realizzare sistemi in grado di effettuare un dialogo, ad esempio in italiano, che consente di aiutare l'utente a risolvere un suo problema, probabilmente si sarà compiuto un passo decisivo nelle investigazioni attorno all'intelligenza: forse, tuttavia, un piccolo vantaggio sui robot del prossimo futuro rimarrà a coloro tra noi che, tutto sommato, strenuamente insistono nel ritenersi conversatori di gran lunga più brillanti e divertenti di qualunque calcolatore. Maurizio Dapor Istituto per la ricerca scientifica e tecnologica Trento


ASTRONOMIA Famiglie di galassie Le spirali generano le ellittiche?
Autore: CURIR ANNA

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 046

L'astronomo americano Hubble classificò nel 1926 le galassie secondo la loro forma. Le grandi famiglie in cui si ripartiscono le galassie sono le ellittiche e le spirali. Esiste anche una terzaclasse meno numerosa: le galassie irregolari, che non hanno strutture simmetriche. Le galassie ellittiche hanno forma sferoidale, sono composte prevalentemente da stelle e ruotano lentamente mentre le spirali hanno forma «a disco»; c'è una forte presenza di gas nel loro interno, con una struttura «a bracci» che si avvitano a formare la caratteristica spirale e sono dotate di un più elevato momento angolare (il momento angolare identifica la «quantità di rotazione» che possiede un corpo). Circa il 77 per cento delle galassie osservate è composto di spirali, il 20 per cento di ellittiche ed il 3 di irregolari. La transizione tra un tipo e l'altro non avviene «per salti» ma con continuità, secondo una strutturazione «più fine» nei tipi morfologici. Le ellittiche si suddividono in sette tipi caratterizzati da un crescente schiacciamento e le spirali in due sottofamiglie: le spirali normali e le spirali barrate. Una S0, primo tipo della famiglia delle spirali (o l'ultimo delle ellittiche) è un'ellittica molto schiacciata, con la presenza di un disco e senza bracci. E' ormai certo che tutte le galassie sono circondate da un alone costituito da quella che viene chiamata «dark matter», la materia invisibile che domina il nostro universo. Tutto ciò che è luminoso nell'universo è infatti una parte molto piccola della materia realmente presente. Il 90 per cento della materia che permea l'universo è «oscura», cioè non è visibile. Molti scienziati pensano inoltre che la qualità stessa di questa materia sia differente da quella che viene rivelata in modo diretto dalle normali osservazioni, quest'ultima detta «materia barionica» (cioè materia pesante). Secondo questa ipotesi la materia oscura viene spesso anche chiamata «materia non barionica». Gli aloni intorno alle galassie sono il residuo delle fluttuazioni di densità primordiale che, secondo le ipotesi cosmologiche più accreditate, hanno dato origine alla formazione delle galassie. Le perturbazioni di densità su di un universo primordiale hanno creato addensamenti di materia che costituiscono i protoaloni. Nei protoaloni, con il collasso della materia barionica, si sono poi formate le strutture primordiali dell'universo. Se questo quadro evolutivo è ormai accettato e ha anche trovato i suoi primi riscontri osservativi (le osservazioni del satellite Cobe che hanno fornito la prima «immagine» di queste fluttuazioni primordiali) resta non definitivamente risolto il problema della differenziazione morfologica. Il problema è: se i protoaloni che si formano dalle fluttuazioni primordiali sono indifferenziati, cos'è che fa sì che al loro interno si formi una spirale o un'ellittica? Il dibattito è aperto. Certo molti fattori e non solo uno concorrono alla differenziazione morfologica. Dato che una delle differenze fondamentali tra spirali ed ellittiche è nella loro rotazione (le une ruotano più lentamente delle altre) è naturale per i ricercatori indagare sul ruolo che può avere il momento angolare dei protoaloni nella differenziazione morfologica. Un altro fattore che ha un ruolo importante in questa differenziazione è l'efficienza della formazione stellare all'interno dell'alone primordiale. Poiché nelle ellittiche il gas interstellare è molto scarso, si pensa che al momento del collasso che portò alla loro formazione la gran parte del gas presente nella protogalassia si era già trasformato in stelle. Ciò è dovuto a una maggior efficienza della formazione stellare e significa che il collasso con cui si sono formate le ellittiche è un collasso di stelle. Questo tipo di collasso, in cui il gas e i fenomeni dissipativi collegati alla presenza del gas (viscosità, radiazione, formazione di stelle) sono assenti è detto collasso non dissipativo ed è il processo fisico molto diverso dal collasso di un sistema in cui i fenomeni di dissipazione sono presenti (collasso dissipativo). Si pensa invece che quest'ultimo processo sia quello che porta alla formazione di galassie di tipo spirale, nelle quali, al momento della loro formazione, l'efficienza di formazione stellare era più bassa. Le stelle delle spirali nascono dopo che tali galassie si sono formate. Nei fenomeni dissipativi l'energia iniziale del sistema non viene conservata ma viene appunto «dissipata» attraverso vari meccanismi. I due processi di formazione hanno un comportamento molto diverso anche per quanto riguarda il comportamento del momento angolare e questo può essere un collegamento con le diverse proprietà di rotazione di ellittiche e spirali. Inoltre la diversa quantità di momento angolare può risalire anche all'epoca di formazione dei protoaloni. Infatti sembra che i modelli cosmologici prevedano che fluttuazioni di densità più consistenti producano aloni con più basso momento angolare. E poiché una maggior densità del protoalone sarebbe connessa a una più efficiente formazione stellare, questo sarebbe un indizio in più nella spiegazione del perché una protogalassia diventi una ellittica o una spirale. Inoltre questa correlazione costituirebbe un collegamento tra i due elementi che concorrono alla differenziazione morfologica: il momento angolare e la formazione stellare. Teorie più recenti, supportate da osservazioni spaziali, propongono la «fusione» tra galassie spirali come alternativa al collasso isolato per la formazione delle ellittiche. Le ultime osservazioni ci mostrano un universo molto più «violento» dal punto di vista dell'interazione gravitazionale di quanto si sospettasse. In un grande numero di casi le galassie non appaiono come oggetti tranquilli, isolati e indisturbati, ma fortemente interagenti con altre galassie vicine. Ciò è più frequente negli ammassi di galassie, dove esse possono maggiormente avvicinarsi o addirittura entrare in collisione. Con simulazioni numeriche (rappresentazioni teoriche di oggetti astrofisici ottenute con opportuni codici informatici) si possono rappresentare le galassie in evoluzione e interazione e si è visto che dalla fusione di due o più galassie «a disco» (cioè del tipo spirale) è possibile ottenere sistemi stellari che hanno caratteristiche in accordo con quelle osservate per le ellittiche. Le ellittiche (o almeno parte di esse) potrebbero quindi generarsi non da un collasso isolato, ma dalla fusione di più spirali. Questa ipotesi è sostenuta anche dalla maggior presenza di ellittiche in ammassi. Anna Curir Osservatorio di Torino


AMBIENTE Le luci che cancellano l'universo Celebrata la Giornata contro l'inquinamento luminoso
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, ASTRONOMIA, INQUINAMENTO
NOMI: CRAWFORD DAVID
ORGANIZZAZIONI: DARK SKY ASSOCIATION
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 046

IN un cielo buio e pulito si vedono duemila stelle. Dalle nostre città ne scorgiamo a fatica tre o quattro. Persino la Stella Polare svanisce in un chiarore lattiginoso. L'illuminazione pubblica e lo smog cancellano l'universo, fanno tutto il possibile per convincerci che esiste soltanto questo nostro pianeta reso drammatico dalle guerre, squallido dalle tangenti, stupido dai mass media. Ma sabato scorso, 18 settembre, è stato il giorno della ribellione. Dopo tante «feste» dedicate a mamme, papà e via zuccherando al servizio del consumismo, quest'anno per la prima volta in Italia si è celebrata la «Giornata nazionale contro l'inquinamento luminoso». L'iniziativa ha avuto il sostegno dell'International Dark Sky Association, l'associazione nata in Arizona negli Anni 60 e diretta da David L. Crawford che per prima ha sollevato il problema. Non ha invece ricevuto collaborazione nè dalla meteorologia (il cielo sabato è stato nuvoloso su gran parte dell'Italia) nè dai giornali, che le hanno dedicato soltanto qualche articolo seminascosto, o più spesso il silenzio. Lo sappiamo, ci sono problemi ben più gravi. Risolverli però costa soldi e lacerazioni sociali. Per limitare l'inquinamento luminoso invece basta un po' di buon senso: non sprecare energia e fare lampioni che riflettano la luce verso la strada anziché, inutilmente, verso il cielo. E' ciò che chiedono astronomi dilettanti e professionisti con la loro «Giornata». Avrebbero potuto scomodare Kant, che scrisse: «Due cose soprattutto esaltano l'animo: la legge morale dentro di noi e il cielo stellato sopra di noi». I promotori della «Giornata contro l'inquinamento luminoso» si accontentano di ricordarci che il cielo è l'altra metà del paesaggio, e che va protetta così come ci preoccupiamo di proteggere la metà che abbiamo sotto i piedi. La bellezza di un cielo stellato non è inferiore a quella di un mare pulito, una costa senza grattacieli, un bosco intatto, una montagna senza blocchi di cemento. Le iniziative? Numerose, e su fronti diversi. Si sono svolti concerti all'aperto divisi in due parti: la prima con i musicisti illuminati, la seconda a luci spente, sotto la volta del cielo. Il Centro Studi «Zani» di Lumezzane (Brescia) ha diffuso un elenco degli ultimi luoghi bui d'Italia, dove i dilettanti di astronomia possono andare a riveder le stelle. Serate di osservazione del cielo sono state organizzate un po' in tutta la Penisola (a St. Barthelemy, in Valle d'Aosta, per esempio, si è svolto uno «Star party»). Si è lanciata l'idea di istituire «parchi delle stelle» annessi ai parchi naturali: la protezione di piante e animali comporta infatti automaticamente anche la protezione da sorgenti luminose inutili. E' partita una campagna in collaborazione con Green Peace per sostituire le lampadine ad alto consumo energetico con lampadine ad alta resa. A questo proposito, un solo dato: se ogni famiglia italiana rimpiazzasse soltanto due lampadine, già si risparmierebbero 3 miliardi di kilowattora all'anno e si eviterebbe di immettere nell'atmosfera 2 milioni e mezzo di tonnellate di anidride carbonica, il gas che dà il maggior contributo all'effetto serra. I promotori della «Giornata contro l'inquinamento luminoso» non vogliono tornare al buio del Medioevo. Ma sanno che negli ultimi tempi l'illuminazione pubblica è raddoppiata ogni dieci anni, certamente al di là delle reali esigenze della vita civile. E chiedono semplicemente una illuminazione razionale. Cosa che oggi è molto rara: non è razionale, ad esempio, usare i laser per attirare la gente in discoteca e al Casinò, o illuminare la cupola di San Pietro in modo che sia visibile da 30 chilometri di distanza (sono casi reali, non retorici). Quelle fioche luci celesti vengono da distanze immense dopo aver viaggiato per milioni di anni. A chi sa interpretarle, parlano della nascita dell'universo e danno un senso alla vita, situandola in una cornice meno meschina di quella terrestre. Perché privarci di questo messaggio che è insieme scientifico, estetico e morale? Piero Bianucci


ECOFILLE Le formiche con ago e filo Straordinari nidi di foglie cucite con la seta
Autore: STELLA ENRICO

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ZOOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 047

L'impiego di arnesi da parte degli animali è uno dei temi appassionanti della moderna etologia. Le osservazioni, che riguardano soprattutto uccelli e mammiferi, hanno privilegiato finora le scimmie antropomorfe. Eppure il più antico esempio di abilità tecnica ci è offerto da una creatura molto diversa da noi: una formica tropicale le cui origini, a giudicare dai reperti fossili conservati nell'ambra del Baltico, risalgono all'Oligocene inferiore, almeno trenta milioni di anni fa. Il suo nome generico Oeco phylla deriva dal greco °oikos (casa) e ph yllon (foglia) e vale già a fornirci una prima indicazione sull'abitudine di costruire nidi di foglie. A questo genere appartengono due specie: la più nota, Oecophylla smaragdi na, si incontra nelle regioni indomalese e australiana, mentre Oecophylla longinoda è propria dell'Africa tropicale. Si tratta di formiche arboricole: una delle sedi preferite è la chioma del mango, maestosa pianta da frutto, originaria delle zone nordorientali dell'India, ora coltivata dovunque il clima lo consenta. Osservati a distanza, gli alberi che portano i nidi aerei delle formiche (se ne possono contare più di venti su un solo mango) sembrano carichi di grossi cavoli verdi; il fogliame di cui sono formati continua a vegetare, mantenendo il suo colore brillante. Un esame più attento, da vicino, ci rivela che gruppi di lunghe foglie lanceolate sono «cuciti» insieme mediante una solida trama di fili e che lo stesso tessuto serico tappezza internamente ogni dimora. E' noto che nessuna formica, almeno allo stato adulto, è in grado di secernere seta; così tale reperto ha sorpreso e ingannato più di un osservatore. In verità è difficile immaginare come l'insetto, nel corso della propria evoluzione, sia arrivato alla scoperta che gli ha permesso un comportamento tecnico assai raffinato. Per apprezzarne la genialità occorre seguire dall'inizio ogni fase della confezione del nido, il che è più agevole quando le formiche operano su rami bassi (il mango può raggiungere trentacinque metri d'altezza!). Prima di saldare una coppia di foglie separate da un interstizio, le formiche devono accostarne esattamente i due margini vicini. Le operaie si dispongono allora su una fila, a livello dello spazio vuoto, con le teste rivolte tutte dallo stesso lato, e si attaccano a una delle foglie con le unghie, mentre, afferrando l'altra con le pinze mandibolari, la tirano rinculando lentamente, finché i due bordi non vengano a contatto. E' a questo punto che, con perfetto tempismo, come se obbedisse a un capo coordinatore, interviene una seconda squadra di operaie: ognuna tiene tra le mandibole una giovane larva della covata di famiglia, pronta a filare. Le larvette possiedono, come i bachi da seta, esuberanti ghiandole serigene, capaci di fornire con dovizia la necessaria materia prima. Ma, essendo ancora cieche e prive di arti, risultano assolutamente inette; spetta alle formiche adulte manovrarle, stimolandole con lieve pressione ad emettere seta, mentre le tengono appoggiate alle foglie e le spostano con maestria da un bordo all'altro. Le ecofille adoperano dunque le proprie larve come se fossero spole per cucire! Tutta l'operazione richiede ore e ore di faticoso impegno; alla fine il nido, ricco di foglie, appare anche dotato di pareti interne divisorie e di cordoni di rinforzo che lo fanno resistere al vento e alle piogge più violente. Accade non di rado che le operaie della prima squadra (lunghe ciascuna una decina di millimetri) debbano accostare fronde relativamente lontane; ebbene, anche in questo caso la soluzione è pronta. Le formiche si agganciano l'una all'altra: ognuna trattiene con le mandibole il peduncolo addominale della compagna che la precede, formando più catene parallele, sufficienti a colmare la distanza tra due foglie. Quando finalmente i margini sottoposti a trazione combaciano, accorrono le tessitrici. Recentemente si è scoperto che le ecofille liberano dalla ghiandola rettale un «feromone di pista», cioè una sostanza chimica che le guida, come il filo d'Arianna, a ritrovare il nido. L'entomologo parigino Pierre Jolivet, direttore del progetto Protection des Plan tes, ritiene che queste formiche, aggressive, mordaci e prevalentemente insettivore, siano utili agli alberi perché li difendono da parassiti e defogliatori. Nelle Isole Salomone esse vengono utilizzate per combattere una cimice che provoca la caduta prematura delle noci di cocco. La distribuzione dei loro nidi negli agrumeti è un'efficace pratica di lotta biologica collaudata in Cina e nel Vietnam. Le ecofille offrono invece protezione a varie specie di cocciniglie produttrici di un secreto zuccherino (melata) di cui sono ghiotte, e costruiscono per queste ospiti di riguardo ostelli di pura seta che inglobano germogli turgidi di linfa. Anche il bruco del licenide Liphyra brassolis, una farfalla diurna indo-australiana, trova asilo all'interno dei nidi di O. smaragdina, in cui si insedia di prepotenza. Esso ha bisogno di proteine animali e mal ricambia le padrone di casa, divorandone le larve. Il misfatto rende ostili le formiche, ma il bruco ha una corazza resistente, a prova di morsi. Quando il licenide si trasforma in farfalla, le ecofille tentano ancora di fargli la festa. Ma un lungo adattamento ha reso invulnerabile anche l'insetto alato, almeno per il tempo necessario alla fuga: il suo corpo è protetto da un mantello di scaglie caduche e, se le formiche provano ad aggredirlo, rimangono impegolate in un nugolo di squame. Enrico Stella Università di Roma


GIARDINI L'interpretazione del paesaggio E la visione estetica diventa pratica ecologica
Autore: ACCATI ELENA

ARGOMENTI: ECOLOGIA, BOTANICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 047

TRA giardino e paesaggio vi è da sempre una notevole affinità perché riguardano entrambi spazi esterni non edificabili. Il giardino proviene dall'hortus conclusus, dal clau strum, il chiostro, quel luogo onnipresente nei monasteri, indispensabile per la sussistenza dei suoi abitanti, in quanto nell'orto-giardino i monaci producevano piante aromatiche e medicinali - allora gli unici mezzi di cura - ortaggi e frutta. Il giardino, in quanto spazio aperto ma delimitato, ha nei secoli presentato un'organizzazione artificiale in schemi e moduli regolari (alberi potati in modo particolare, geometrie delle aiuole), con l'uomo al centro della simmetria e dell'ordine. Solo recentemente gli alberi, i fiori e gli arbusti non sono più considerati semplici oggetti, ma esseri viventi. Attualmente si parla molto del significato di paesaggio anche grazie alla rivisitazione delle numerosissime opere letterarie che fanno parte del «Grand tour d'Italie», scritte da autori noti (Goethe, Byron, Dickens, Valery, Maximilien Misson, Lady Morgan) e meno noti che del nostro Paese presentano aspetti particolari e comunque interessanti. Accanto agli scrittori c'è poi una riscoperta di dipinti che hanno anch'essi come tema il paesaggio italiano visto in modo pittoresco, bucolico o sublime. Nel nostro Paese lo studio del paesaggio per lungo tempo non ha più fatto parte del novero delle discipline scientifiche che venivano studiate e insegnate, per divenire oggetto di indagine soltanto a livello letterario, filosofico e geografico. Oggi, invece, l'interpretazione del paesaggio si ripropone in modo più ampio e soprattutto come risultato di un insieme di fenomeni fisici, agricoli, ecologici e culturali, appropriandosi e arricchendosi dei contenuti dell'ambiente secondo gli insegnamenti della scuola anglosassone che parla infatti di landscape (paesaggio) e di environment (ambiente), con un'accurata distinzione tra i due termini. Quindi partendo da una visione estetica il paesaggio approda ad aspetti ecologici. Ecco allora, in seguito a tali presupposti, che il giardino diviene sinonimo di paesaggio perché per la sua realizzazione, anche se in uno spazio ristretto, sono impiegate le specie tipiche del paesaggio in cui è inserito. Ad esempio, il giardino al mare rispecchierà il paesaggio tipico del Mediterraneo con il Cupressus sempervi rens (evitando l'arizonica di colore grigio, specie che snatura e non connota il paesaggio italiano), gli aromatici lauri, i corbezzoli dalle foglie cuoiose, i rosmarini prostrati, i densi cuscini di lentisco, le macchie di colore giallo dorato degli elicrisi che si stagliano contrastanti sull'azzurro del mare, l'euforbia dendroides (la velenosa essenza della Maga Circe), i cisti, l'inula con le foglie viscose e i mirti amati dagli dei. Elena Accati Università di Torino


Crotalo dei Caraibi Uccidi il serpente, ti salvi l'anima La battaglia di un erpetologo in difesa del cascabel
Autore: SEMINO PIETRO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ECOLOGIA, ANIMALI
NOMI: RAS CANDIDO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 047

TUTTI sanno che la deforestazione e la suddivisione del territorio sono le cause principali della progressiva scomparsa di molte specie animali, serpenti compresi. Ad Aruba, nei Caraibi, su un suolo povero d'acqua ma ricco di naturalisti in erba, un volontario ecologista ha recentemente posto in luce una realtà locale sino a qualche anno fa ancora troppo poco conosciuta: il pericolo di estinzione del Crotalus durissus unicolor, un rettile ofide indigeno chiamato più semplicemente cascabel. Candido Ras è l'erpetologo arubano che da otto anni dirige la difesa del serpente a sonagli isolano direttamente dal suo erpetario stabile situato nel Butucu, un'area desertica dai confini incerti. «L'ambiente naturale del ca scabel - ci dice Ras - è da ricercarsi nella parte meridionale di Aruba comprendente il Butucu, Pos Chiquito e il monte Jamanota. I centri abitati sono lontani e lontane sono le prevenzioni della gente comune che, secondo tradizione, considererebbe questo crotalo come l'incarnazione terrena del male. Un numero considerevole di arubani poi crede che uccidere un ca scabel il venerdì santo permetta di ottenere da Dio il perdono di sette anni di peccati. E' facile immaginare come in quel giorno ci sia ad Aruba una caccia all'ofide. Ben venga il rettilario di Candido Ras come tutela istituzionalizzata del serpente a sonagli arubano, robusto crotalide intertropicale lungo da 1,5 a 2 metri. Il suo veleno può provocare effetti letali anche nell'uomo: tuttavia morire a causa di un cascabel non è poi così facile, visto che il rettile è solito rendere nota la sua presenza già da una certa distanza, mettendo in azione il sonaglio posto all'apice della coda. In Sud America dal veleno si ricavano un analgesico e un vasodilatatore. Di abitudini notturne, questo rettile è cacciatore di topi e ratti, che intercetta con una lingua lunghissima, biforcuta, sempre in movimento, e immobilizza con il veleno, inoculato da un morso fulmineo. Da ottobre a gennaio scorre la stagione degli amori. L'accoppiamento dei cascabel si protrae per nove ore. La femmina può conservare, in uno speciale apparato, lo sperma per un periodo di tre anni, a tutela della continuità e della sopravvivenza della specie. Ovovivipare, le femmine possono dare alla luce dagli otto ai dodici discendenti. Candido Ras, nell'erpetario del Cunucu, alleva cascabel nel quadro del suo progetto di salvaguardia del Crotalus durissus unicolor. Pietro Semino


IN BREVE «Eloisa» trova un lavoro
ARGOMENTI: INFORMATICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 048

E' testarda ed egocentrica, a volte mette in crisi l'interlocutore con la sua logica non-umana. Ma ha trovato un lavoro. Parliamo di «Eloisa», il programma di intelligenza artificiale presentato poco più di un anno fa su «Tuttoscienze». Ora Eloisa è diventata così abile nel dialogo uomo-macchina che si è vista offrire un contratto di collaborazione con alcune «messaggerie» Videotel. Si fa per dire, naturalmente, perché il contratto l'ha firmato Francesco Lentini, il suo programmatore-ideatore. Lentini sostiene che l'abilità di Eloisa è destinata a crescere, via via che la sua «personalità virtuale» diventa più articolata e complessa. Eloisa entra nei «salotti telematici» come un normale utente e può dialogare con decine di persone contemporaneamente. Si raggiunge attraverso le pagine Videotel 8699210 (ore 16,30- 21,30) e 86990 (ore 21,30- 01,30). I non abbonati possono accedere al numero 010-466.866 (1200/75 baud Teletel).


IN BREVE Gli elicotteridel futuro
ARGOMENTI: TRASPORTI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 048

Quale sarà l'evoluzione dell'elicottero e in generale delle tecnologie per il volo verticale nei prossimi decenni? Per rispondere a questa domanda si sono incontrati a metà settembre a Villa Erba di Cernobbio, sul Lago di Como, 350 super tecnici del settore provenienti da tutto il mondo per il diciannovesimo European Rotorcraft Forum, organizzato quest'anno dall'Agusta. Sono state presentate 120 memorie su ricerca, sviluppo, progetto, costruzione e impiego operativo di elicotteri. L'introduzione al convegno è stata dell'ingegnere Amedeo Caporaletti, amministratore delegato dell'Agusta; nel corso di una tavola rotonda presieduta dall'ing. Lovera, responsabile dei progetti della società, i rappresentanti delle dieci maggiori società elicotteristiche del mondo, comprese le russe Mil e Kamov, hanno fatto un inventario delle più avanzate tecnologie del settore.


IN BREVE La scienza del Cardinale
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
ORGANIZZAZIONI: COLLEGIO ALBERONI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 048

Da padre Secchi a padre Denza a padre Giuseppe Tagliaferri, sarebbe lungo l'elenco dei religiosi che hanno dato importanti contributi scientifici. E ancora più numerosi sono quelli che hanno lavorato nella scuola per diffondere la cultura scientifica. «La scienza del Cardinale» è una mostra che documenta il rapporto tra scienza e clero negli ultimi due secoli. Ospitata nel Collegio Alberoni di Piacenza, rimarrà aperta dal 25 settembre al 31 ottobre. Il Collegio del cardinal Alberoni conserva centinaia di preziosi strumenti scientifici ed è tuttora sede di uno dei più antichi osservatori meteorologici. Apertura dal lunedì al venerdì solo per le scuole su prenotazione (tel. 0523- 803.091); sabato e domenica visite a gruppi con inizio ad ogni ora.


IN BREVE Sorvegliare l'atmosfera
ARGOMENTI: ECOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: CNR
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 048

Strategie e tecniche di monitoraggio dell'atmosfera sono state al centro di un convegno del Cnr svoltosi iniziato a Roma il 20 che si conclude oggi. Dati originali sono stati presentati riguardo all'inquinamento chimico metropolitano rilevato a Milano nel febbraio scorso.


IN BREVE L'Italia vista dai satelliti
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 048

Il telerilevamento da satellite acquista sempre più importanza scientifica e pratica. Sui risultati e sulle prospettive di questa moderna tecnica per tenere sotto controllo vaste regioni del pianeta, e in particolare la penisola italiana, si svolgera il 5 e 6 ottobre una conferenza nazionale a Castelnuovo di Porto (Roma) promossa dalla Telespazio. Tra i temi affrontati, la pianificazione e l'uso del territorio, la tutela dell'ambiente, le risorse rinnovabili.


IN BREVE Il Big Bang ad Anacapri
ARGOMENTI: FISICA, ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 048

Si concluderà il 24 settembre ad Anacapri un convegno internazionale sulla «radiazione fossile» che permea l'intero universo e che costituisce ciò che oggi rimane del lampo di energia del Big Bang. Al centro dell'attenzione i risultati del satellite americano Cobe, grazie al quale la cosmologia ha compiuto fondamentali progressi.


INQUINAMENTO GENETICO E l'uomo creò i mostri Troppe anomalie da laboratorio in giro per il mondo
Autore: D'UDINE BRUNO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, GENETICA, BIOETICA
NOMI: MAYER SUE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 048

DUE recenti provvedimenti di legge approvati quasi all'unanimità dal Parlamento indicano l'emergere, anche nel nostro Paese, di una nuova sensibilità per problemi come la biodiversità e la necessità di regolamentare gli esperimenti di ingegneria genetica sugli animali. La decisione di salvaguardare integralmente il patrimonio faunistico e botanico, insieme alla presa d'atto del rischio di produrre specie animali geneticamente manipolate, segna dunque una svolta significativa nell'atteggiamento del legislatore. Molti scienziati sensibili al destino del nostro pianeta auspicano infatti che, in un futuro non troppo lontano, alla Terra venga attribuito uno stato giuridico autonomo come organismo vivente globale, che va tutelato in tutti i suoi delicati equilibri. Alla luce di queste notizie è forse utile ripercorrere alcune tappe dello sviluppo dell'ingegneria genetica e risottolineare i molti dubbi etici e pratici che hanno accompagnato lo sviluppo di questa tecnica. Undici anni fa su Nature appariva la notizia del primo topo manipolato geneticamente. Grazie all'inserimento di geni provenienti da un ratto, era grande il doppio di un topo normale. L'anno scorso, nella sola Inghilterra, sono stati prodotti 62 mila animali da laboratorio transgenici, ossia portatori di geni alterati mediante tecniche di ingegneria genetica. Questo tipo di sperimentazione porta con sè una serie di problemi lunga e su più livelli. Esiste, ad esempio, la possibilità che attraverso la manipolazione genetica degli animali di allevamento e la brevettabilità di questi soggetti il nostro pianeta venga ridotto a una proprietà commerciale, come del resto è già accaduto con le sementi selezionate e brevettate che producono ibridi, infertili, ad alta resa ma disequilibranti per l'ecosistema in cui vengono inseriti. Inoltre sono molto costosi, quindi fuori dalla portata proprio dei Paesi in via di sviluppo che, a parole, da queste innovazioni dovrebbero trarre vantaggio. Gli interrogativi suscitati dagli attuali sviluppi delle tecniche di manipolazione genetica sono di carattere sia etico sia pratico: abbiamo veramente bisogno di nuove forme di sperimentazione su animali e piante che possano minacciare l'integrità della natura, così come fino ad oggi si è evoluta e ci appare? Tale diffusione di specie animali e vegetali con geni manipolati viene definita da Sue Mayer di «Greenpeace» con il termine appropriato di genetic pollution. Gli esperti di ingegneria genetica hanno vedute divergenti e stanno, ad esempio, progettando animali finalizzati a un maladattamento all'ambiente naturale, dove non potrebbero mai essere idoneamente inseriti e sarebbero costretti a rimanere per sempre anomalie di laboratorio. Sempre che, per errore, non si diffondano invece all'esterno. Questi metodi di distorsione delle caratteristiche naturali delle varie specie sono all'opera già da molti anni su animali da laboratorio, maiali, bovini, ovini, polli, tacchini, conigli, pesci di allevamento. Si stanno creando animali con handicap mentali e fisici per renderne più facile l'allevamento nelle condizioni caratteristiche di sovraffollamento di quelle fabbriche di proteine che sono gli allevamenti industriali di animali da consumo. Nel luglio dell'anno scorso un articolo su Science riportava la notizia che era stato manipolato, con distruzione di un singolo gene, il Dna di un topo per creare un animale con deficit di memoria: un soggetto ideale, appunto, per esperimenti di aggressività da sovraffollamento, in quanto la sua incapacità a ricordare ridurrebbe la sua sofferenza per le condizioni in cui è costretto a trascorrere la vita. Si persegue anche la possibilità di usare animali transgeni ci come «bioreattori», ossia macchine per produrre sostanze con potenziale farmacologico. Esistono già pecore transge niche che nel loro latte hanno un'alta percentuale di alfa-chimotripsina, che viene usata nel trattamento di patologie umane. Sono stati allevati topi che sviluppano certamente la fibrosi cistica o alcune forme tumorali poche settimane dopo la nascita. Ci sono dei maiali, chiamati Beltsville, manipolati geneticamente per produrre l'ormone della crescita umana. Il risultato della manipolazione è però anche una severa forma di artrite, che impedisce loro di reggersi sulle zampe, per cui passano l'esistenza trascinandosi a fatica nelle loro gabbie. Ciò che forse può essere accettato per virus e batteri, pur con molti limiti e perplessità, può essere automaticamente esteso ad animali con un sistema nervoso sofisticato e in tutto simile al nostro, quindi con un'intensa capacità di sofferenza fisica e psicologica? Infine, la manipolazione genetica dei vegetali per il consumo umano con l'inserimento di geni provenienti dal mondo animale pone nuovi interrogativi e problemi a chi per fede o scelta vegetariana non vuole nutrirsi di proteine animali. Davanti a questi sviluppi è forse opportuno riflettere su quanto ha detto di recente il professor Webster dell'Università di Bristol, esperto di allevamento degli animali domestici: «Gli scienziati impegnati nelle manipolazioni del patrimonio genetico non hanno nessuna idea del rispetto che devono alle fedi e ai sentimenti delle persone alle quali le loro ricerche si rivolgono». Bruno D'Udine Università di Parma


EROTISMO ALLA CINESE Piedi e sesso vicini nel cervello Mappa dei ricettori che «sentono» il mondo esterno
Autore: FAGIOLINI MICHELA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, BIOLOGIA, PSICOLOGIA, SESSO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 048

FINO a pochi anni fa era opinione comune che la plasticità del cervello fosse strettamente correlata con l'età, dato che è elevata nella prima infanzia e diminuisce poi in maniera drastica con il raggiungimento dello stato adulto. Si pensava che il cervello evolvesse inesorabilmente verso una sorta di fissità, divenendo un'entità statica, incapace di modificare la sua struttura. Per parlare con il linguaggio dei calcolatori, il cervello dell'adulto sarebbe risultato un «hardware machine», senza possibilità di cambiare la propria architettura. Nell'ultimo decennio studi di neurofisiologia sperimentale e clinica hanno aperto nuovi orizzonti nella conoscenza delle proprietà del cervello maturo, dimostrando che la macchina cerebrale dell'adulto mantiene in realtà una chiara capacità di riorganizzazione dei propri circuiti in seguito a influenze di ordine sia patologico sia fisiologico. Molte ricerche hanno contribuito alla formulazione di queste conclusioni, in particolare quelle inerenti alla corteccia somatosensoriale, dove sono dislocate le aree deputate alla ricezione ed elaborazione dell'informazione sensoriale proveniente dalla superficie del corpo. La rappresentazione corticale di ciascuna zona della superficie corporea ha un'estensione proporzionale alla densità dei recettori presenti sull'area cutanea e non all'ampiezza dell'area stessa. Il risultato della mappatura dell'area somatosensoriale è un'immagine distorta dell'uomo, il cosiddetto Homunculus sensoriale, con una grande faccia (soprattutto le labbra), enormi mani e piccole braccia, a indicare l'alta sensibilità tattile di queste regioni della superficie corporea. Fra i numerosi esperimenti che un gruppo di ricercatori americani (Kaas, Merzenich e collaboratori) ha condotto recentemente su questo argomento sulla scimmia, ne presentiamo alcuni che riassumono bene i risultati principali. Essi hanno dimostrato come la deafferentazione sensitiva e l'amputazione di un dito della mano determinino nella zona di corteccia dove il dito operato era rappresentato una contrazione immediata o l'estinzione della relativa mappa corticale e insieme l'espansione delle connessioni anatomiche e funzionali dei neuroni delle aree corticali vicine. In altre parole, la rappresentazione del dito svanisce a livello della corteccia sensitiva, permettendo l'invasione da parte delle afferenze delle aree vicine e la costituzione di una nuova mappa corporea. Merzenich ha anche trovato che, se si sottopone sistematicamente un dito della mano a un'iperstimolazione, per esempio facendo pigiare all'animale un tasto con un solo dito per un tempo prolungato (sedute sperimentali giornaliere che si prolungano per mesi), si induce sorprendentemente una modificazione della corteccia sensoriale: i neuroni della zona di corteccia del dito allenato tendono ad andare a influenzare le zone corticali confinanti, con un'espansione quindi della zona di rappresentazione corticale del dito in questione. Esperimenti similari che dimostrano la dinamicità e la plasticità dei circuiti della corteccia di un mammifero adulto sono stati condotti anche su altri sistemi sensoriali, come il sistema visivo e quello uditivo. Anche nell'uomo vi sono osservazioni cliniche del tutto in accordo con i risultati di laboratorio sopra riportati. Le osservazioni più note sono quelle che si riferiscono al cosiddetto «arto fantasma». Si parla di «arto fantasma» in relazione a casi di amputazione quando il paziente continua a sentire dolore e sensazioni tattili o propriocettive riferite all'arto amputato. Recentemente è stato presentato un curioso esperimento in cui la stimolazione cutanea della faccia, in un paziente amputato di un arto, veniva riferita all'arto mancante. Questo dato suggerisce che le afferenze relative alla faccia sono in grado di influenzare la zona della corteccia sensitiva lasciata libera dall'arto che è stato amputato. Tutti questi esperimenti sono di importanza rivoluzionaria, perché dimostrano che la vecchia concezione che la corteccia di un animale adulto non può subire modificazioni strutturali e funzionali significative è in gran parte errata. Sotto lo stimolo fisiologico o patologico, i circuiti cerebrali possono riordinarsi per servire funzioni diverse. E' anche interessante notare che le zone di corteccia che subiscono queste modificazioni sono sempre quelle confinanti con la proiezione delle zone del corpo interessate dalla manipolazione. Se si osserva l'Homunculus sensoriale, si può notare che le estremità degli arti hanno una rappresentazione molto espansa a livello corticale. Anche i piedi che l'uomo moderno ha relegato nella prigione delle scarpe hanno una densità recettoriale tattile molto elevata, forse a ricordare l'uso che filogeneticamente ne facevano i nostri progenitori. E' del resto noto che i piedi, nella maggior parte delle persone, sono altamente sensibili e la loro stimolazione tattile può suscitare forti emozioni. E' curioso notare che nell'Homunculus sensoriale la rappresentazione corticale del piede è molto vicina a quella degli organi sessuali. I piedi più interessanti che la tradizione ci offre sono certamente quelli delle donne cinesi, che la cultura di quel Paese considera come il simbolo della femminilità. La bizzarra consuetudine della fasciatura dei piedi, introdotta alla fine del X secolo, era finalizzata a esaltare questa parte del corpo. Nel recente film di Zhang Yimou, «Lanterne rosse», prima dell'incontro con il marito la giovane sposa veniva sottoposta al rituale propiziatorio della battitura dei piedi. Anche nella pittura antica cinese il piede femminile fasciato ha un potere evocativo erotico. Tutto questo interesse dei cinesi per i piedi della donna va forse riletto alla luce di queste nuove conoscenze sul cervello. E il tallone di Achille? Non era forse anche questo un punto delicato, in quanto la sua stimolazione poteva evocare sensazioni particolari atte a limitare la volontà e la forza dell'eroe greco? Michela Fagiolini Scuola Normale Superiore, Pisa


RADICALI LIBERI Una spia dell'aterosclerosi Presto un nuovo test anticolesterolo più mirato
Autore: BASSI PIA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 048

A Vienna, in un recente vertice mondiale sui radicali liberi (atomi o molecole con uno o più elettroni periferici spaiati), un centinaio di ricercatori ha dimostrato che queste molecole sono responsabili di numerose malattie e che, quando l'organismo non riesce a combatterle da solo, il rischio diventa grosso. I radicali liberi dell'ossigeno svolgono un'azione ossidativa che inibisce la produzione di glutatione tripeptide endocellulare (un antiossidante), con la conseguente alterazione delle attività cellulari fondamentali. Alcune ricerche indicano una loro interazione con gli acidi nucleici che costituiscono il Dna, con conseguenti mutazioni e fenomeni neoplastici. Inoltre i radicali liberi sono una componente importante di malattie epatiche derivanti da abuso di alcol e droghe, aterosclerosi con rischio di ictus e infarto, ischemia, complicazioni post trapianto, infertilità maschile, pressione alta in gravidanza. Giorgio Bellomo, del Dipartimento di medicina sperimentale e oncologia dell'Università di Torino, da dodici anni studia l'implicazione dei radicali liberi nell'aterosclerosi e ha riscontrato che, se nel colesterolo vi sono radicali liberi, il colesterolo Hdl non funziona più da «spazzino», perché l'ossidazione compromette l'elasticità delle membrane. Fra qualche anno l'esame del colesterolo non consisterà più nella ricerca dei soli Ldl e Hdl, ma anche dei radicali liberi, principali rivelatori dell'aterosclerosi. Questo esame del sangue attualmente si fa solo in ospedale ma tra non molto lo si potrà fare in un comune laboratorio. Si è sempre ritenuto che i radicali liberi fossero un normale processo d'invecchiamento delle cellule, invece rappresentano una vera e propria malattia. Il professor Bellomo sta conducendo in Emilia un'ampia ricerca su individui oltre i 75 anni: ebbene, in queste persone non si rilevano forme ossidative del sangue. E' importante fornire al nostro corpo gli antiossidanti non solo come terapia ma anche come prevenzione. Come sostanza farmacologica è stato sintetizzato il glutatione ridotto (ritenuto farmaco salvavita), mentre in natura gli antiossidanti si trovano in molti alimenti: olio d'oliva, agrumi, cavoli e cavoletti di Bruxelles, melone e cocomero. Il glutatione fu isolato per la prima volta nel 1888 da De Rey- Pailphade ed è una molecola composta da acido glutammico, cisteina e glicina, presente a livello intracellulare in fegato, reni, globuli rossi, sistema nervoso centrale, cristallino, pelle. Pia Bassi


SUBSIDENZA Sos suolo Bonifiche, edifici, estrazione di liquidi sotterranei abbassano il terreno con effetti spesso allarmanti
Autore: PAVAN DAVIDE

ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 047

NON siamo ancora all'«allarme rosso» ma il fenomeno subsidenza, o abbassamento del suolo, sta cominciando a preoccupare autorevoli esperti di tutto il mondo per alcuni impatti «indesiderati» e anche molto gravi che può provocare sul territorio. La parola subsidenza si riferisce non solo a quella naturale, dovuta alla compattazione dei sedimenti, che avviene normalmente durante la storia geologica di un bacino, ma anche a quella provocata da interventi dell'uomo: le bonifiche, i forti carichi costituiti dagli insediamenti urbani, le vibrazioni prodotte dal traffico stradale o aereo e soprattutto l'estrazione di fluidi dal sottosuolo. Mentre la subsidenza naturale ha un'evoluzione molto lenta, avvertibile in tempi geologici, e quindi viene spesso trascurata, quella indotta può causare gravi effetti nell'arco di pochi decenni. Ciò vale soprattutto per i Paesi più industrializzati, dove il carico antropico è maggiore. Negli Stati Uniti, per esempio, si sono registrati in questo secolo fenomeni di subsidenza in 37 Stati su 50 con punte locali di abbassamento di 9 metri in aree come la San Joaquin Valley (California) dove la superficie interessata è di 13. 500 chilometri quadrati. A Bangkok (Thailandia) negli ultimi 30 anni il suolo cittadino si è abbassato di circa un metro per i prelievi artesiani, causa prima dei frequenti allagamenti della città. La stessa cosa si è verificata a Shangai (Cina) con punte di 3 metri e a Tokyo con punte di 4. Altri Paesi coinvolti dal fenomeno sono il Venezuela, l'Australia, l'India e, in Europa, l'Inghilterra, l'Olanda, la Norvegia e la Germania. Per quanto riguarda la penisola italiana, il fenomeno è particolarmente evidente nella vasta area della Pianura Padana compresa tra Venezia, Reggio Emilia e Pesaro, ma colpisce anche zone al di fuori del delta padano: sono note a tutti le preoccupazioni per la Torre di Pisa, mentre a Milano si teme per il Duomo, che ha mostrato cedimenti differenziati dell'abside e dei piloni del tiburio. Certo è, comunque, che i pericoli maggiori sono corsi dalle areecostiere, dove la subsidenza si intreccia con l'eustatismo, cioè con la variazione del livello dei mari che avviene per motivi climatici e che, nel caso dell'Adriatico, si traduce in un innalzamento delle acque di circa 1,27 millimetri l'anno. I due effetti combinati hanno provocato a Venezia un deficit altimetrico di 23 centimetri dall'inizio del secolo, causa dell'incremento di frequenza delle «acque alte», che si verificano anche con livelli di marea che un tempo non avrebbero allagato la città. A Ravenna pompe idrovore lavorano incessantemente per tenere asciutte le fondamenta di monumenti storici come il mausoleo di Teodorico o la basilica di San Vitale. A Porto Garibaldi i bunker costruiti durante la seconda guerra mondiale sulle dune sono oggi semisommersi dal mare. Il fenomeno della subsidenza indotta in Italia è sotto stretta osservazione a partire dai primi Anni 60, quando ci si rese conto per la prima volta, sull'onda delle grandi alluvioni nel Polesine, dello strettissimo legame tra prelievo di acqua sotterranea e abbassamento del suolo. Per capire il collegamento, bisogna considerare che su ogni sezione orizzontale di terreno saturo (cioè intriso d'acqua come quelli della Val Padana), agisce una pressione geostatica composta da due parti: la pressione intergranulare (trasmessa attraverso la superficie di contatto tra i grani del terreno) e quella dell'acqua interstiziale. A seguito di una forte estrazione d'acqua la pressione interstiziale diminuisce e, poiché non varia la pressione totale, l'equilibrio si mantiene con l'aumento del carico gravante sui grani del terreno. In questo modo però si produce una deformazione elastica del terreno (potenzialmente reversibile) e soprattutto una compattazione permanente, che produce un cedimento del terreno osservabile in superficie: la subsidenza. Per alcuni tipi di sedimento si può intervenire cercando di correggere il fenomeno mediante iniezioni in profondità di acqua, che possono portare a parziali recuperi del livello del suolo. Per i materiali più compressibili, come le argille, la compattazione è irreversibile. Oltre ai pozzi artesiani, in alcuni casi sono stati messi sotto accusa anche i pozzi petroliferi che nella pianura padana e nell'Alto Adriatico sono numerosissimi e prelevano ingenti quantitativi di idrocarburi in profondità. In questo caso però i gruppi petroliferi hanno tutto l'interesse a impedire la diminuzione della pressione interstiziale del giacimento (la cosiddetta «spinta d'acqua») perché, se questa si riduce, cala in proporzione anche la produttività del giacimento. E' per questo motivo che i casi di subsidenza legati all'attività petrolifera sono generalmente di entità modesta e limitati a piccole aree. Un monitoraggio continuo di questo fenomeno è effettuato, oltre che dalle compagnie petrolifere, anche da strutture scientifiche nazionali e internazionali come Cnr, Università e Unesco mediante rilievi altimetrici di precisione che utilizzano le metodologie geodetiche spaziali Gps (Global position system). In questo caso i controlli non sono mai troppi, perché la subsidenza è come una bomba ad orologeria: non possiamo permetterci di arrivare tardi! Davide Pavan




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