TUTTOSCIENZE 18 agosto 93


METEOROLOGIA Il fulmine assassino In Europa quest' anno record di vittime
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: METEOROLOGIA, STATISTICHE, MORTE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 025

DOMENICA 8 agosto. Dopo molti giorni di caldo torrido una forte perturbazione percorre l' Europa, dalle coste atlantiche spagnole ai Balcani, con una raffica continua di violenti temporali. Lunedì, quando le agenzie di stampa ne fanno il bilancio, quello che giunge nelle redazioni dei giornali somiglia a un bollettino di guerra: un ragazzo e una giovane donna fulminati in Austria, un turista italiano ucciso su una spiaggia spagnola da un fulmine a cielo sereno, in Francia un gruppo di undici ragazzi colpiti in una foresta dei Pirenei (uno di loro è in coma), in Germania sei persone ferite da un fulmine dopo che si erano riparate sotto un albero. Probabilmente il fatto che in un solo giorno vi siano state tante vittime è solo frutto di coincidenze: una perturbazione molto estesa, milioni di turisti in montagna, la giornata festiva. Ma il fulmine fa sempre paura, perché è imprevedibile, può colpire ovunque, non si sa come difendersi. E' stato forse il primo fenomeno naturale che ha attirato l' attenzione dell' uomo primitivo, il quale lo ha collegato con la potenza degli dei; ma dopo millenni resta ancora, nella sua genesi, in parte sconosciuto. Di norma esplode durante i temporali, ma a volte anche con il cielo perfettamente sereno; di solito ha la ben nota forma ramificata, ma qualche volta assume aspetti stravaganti. I suoi percorsi sono spesso bizzarri: può abbattere una casa o attraversarla lasciando solo una labile traccia. Le conseguenze qualche volta sono terribili, altre volte beffarde: nel luglio dell' 84, un unico fulmine uccise 13 ragazze in Sud Africa, un anno dopo 11 scolari in India; nel settembre di sei anni fa in una cittadina delle Marche colpì a morte il portiere di una squadra di calcio sotto gli occhi allibiti di centinaia di spettatori. Spesso opere scelte che fanno pensare a imperscrutabili decisioni del destino: tre anni fa, alla periferia di Torino, un uomo venne fulminato nel giardino davanti a casa mentre ai suoi piedi il cane restava illeso a vegliarne il cadavere. Nell' agosto del ' 70 a Trento dieci turisti furono letteralmente denudati da un fulmine che non causò loro neppure un graffio. Una nube temporalesca è una gigantesca pila con il polo «più » in alto e quello «meno» in basso. Le cariche positive si concentrano nella parte superiore dove la temperatura è più bassa (circa 20 gradi centigradi), quelle negative nella parte inferiore (temperatura intorno a zero gradi). Sul perché ciò avvenga esistono varie teorie ma ancora nessuna certezza. Secondo l ' opinione più diffusa, la separazione delle cariche è causata (o perlomeno favorita) degli urti tra le particelle d' acqua e di ghiaccio che turbinano nella nube. La separazione delle cariche avviene anche tra la base della nube e il terreno: le particelle negative si spostano verso la nube mentre il terreno si carica positivamente. Quando la differenza di potenziale raggiunge i 500 mila volt per metro vi sono le condizioni perché scocchi la «grande scintilla». La quale, poi, come mostra la fotografia ad altissima velocità, non è affatto una singola scintilla, ma una serie di eventi in rapidissima sequenza che l' occhio percepisce come un evento unico. Si ha dapprima una serie di scariche discendenti alla velocità di circa cento chilometri al secondo, lungo il percorso di minore resistenza; esse si avvicinano ogni volta di più al terreno e, aprendosi la strada, lasciano una sottilissima traccia di aria ionizzata che fa da conduttore. A questo punto dal terreno, di solito in corrispondenza di qualcosa di appuntito o di elevato rispetto agli oggetti circostanti (un albero, una roccia, una persona), dove più intensa è la carica, scatta la prima scarica, costituita da una corrente di 10 mila ampere, che percorre il «corridoio» di aria ionizzata da altissima velocità. Ciò porta istantaneamente la temperatura dell' aria circostante a circa 30 mila gradi centigradi e ne provoca la violenta espansione; l' onda d' urto giunge sino alle nostre orecchie e costituisce il tuono. Ma non è ancora finita: il differenziale di potenziale si ricostituisce immediatamente e nel «canale» si infila un' altra carica diretta verso il basso, con altra risposta dal basso. Tutto questo per cinque dieci volte. Durata complessiva: circa un quarto di secondo. La maggior parte dei fulmini non raggiunge il suolo ma scocca tra nube e nube; ciò avviene in particolare in estate ad alta quota, spesso senza che vi sia un vero e proprio temporale con pioggia; si parla allora di lampi di calore. Le ricerche della Nasa hanno mostrato che esistono anche fulmini «alla rovescia», che scoccano tra le nubi e la ionosfera fino a 40 mila metri di altezza Anche con il bel tempo nell' atmosfera esiste una differenza di potenziale elettrico, con polo negativo a terra e positivo nell' aria. In alcuni casi, quando vi è una forte attività temporalesca anche a grande distanza, tale differenza di potenziale può raggiungere livelli elevatissimi, sufficienti a determinare la scarica. Si ha allora il proverbiale fulmine a ciel sereno, per la verità piuttosto raro, che si verifica con aria perfettamente chiara e secca, in assenza di qualsiasi segno premonitore visibile localmente. In questo caso, perché scocchi la scintilla il campo elettrico deve essere assai più elevato, circa 3 milioni di volt per metro. Curioso è il fulmine globulare, che può anch' esso manifestarsi senza che vi sia un temporale, ma più spesso ne fa parte: ha la forma di un globo luminoso del diametro di 10 40 centimetri, talvolta a forma di pera o di sigaro, che fluttua nell' aria con movimenti imprevedibili; di solito si dissolve silenziosamente dopo qualche decimo di secondo senza lasciare tracce nè causare danni, ma talvolta esplode con un botto secco, come quello di un palloncino. E può anche uccidere, subdolamente. Ecco come: «Tacque improvvisa. Gli parve a un alto della bica di aver visto fiammeggiare un bagliore fievole; già prima aveva veduto rizzarsi tutte le punte dei suoi nastri e dei capelli. Quando volse gli occhi verso di lei era già tutto passato. Al bagliore era seguito uno scoppio breve e fioco e Ditta stava appoggiata all' indietro contro un covone ed era morta». Così un fulmine globulare uccide sotto gli occhi del padre la giovane protagonista di «Abdias », uno dei racconti dello scrittore boemo Adalbert Stifter. La natura del fulmine globulare non è ancora ben chiara, secondo alcuni sarebbe composto di plasma. Vittorio Ravizza


Che fare? Via gli oggetti metallici
Autore: V_RAV

ARGOMENTI: METEOROLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 025. Fulmini, temporali

L' ENERGIA di un fulmine è enorme; in grado di perforare una lamiera di due millimetri; il calore fonde i materiali conduttori e fa esplodere quelli non conduttori, come il legno. Sulla Terra ne cadono un centinaio ogni secondo. In montagna sono attratti dalle rocce contenenti minerali ferrosi. Ma bisogna soprattutto evitare di stare vicino a oggetti a punta o che si elevano rispetto a quelli circostanti come pali, tralicci, aste e reti metalliche; si dice che l' elettricità fugge dalle punte e infatti è sulle punte che si concentra la carica positiva che fa da esca alla carica negativa della nube e scatena il fulmine. Si è visto, analizzando la forma dei fulmini con la fotografia ad alta velocità, che da queste punte un attimo prima della scarica si innalza una fiammella protesa verso le scariche preparatorie che scendono dall' alto. Tutti sanno che non bisogna rifugiarsi sotto gli alberi ma anche fra questi vi è una graduatoria di pericolosità: gli alberi a scorza liscia, come la betulla, che sotto la pioggia si ricoprono di un velo d' acqua, diventano dei buoni conduttori e quindi sfuggono al fulmine mentre vengono di preferenza colpiti quelli con scorza rugosa e screpolata come i pioppi, le conifere in genere, le querce, le acacie. E' frequente che alberi ed arbusti prendano fuoco e non si può escludere che qualcuno dei molti incendi dei boschi dell' inizio di agosto sia stato causato proprio dai fulmini. Anche una persona isolata in mezzo ad un prato senza altri elementi elevati intorno diventa essa stessa «esca» per il fulmine; durante il temporale, quindi, è preferibile restare in un ambiente chiuso; se si è costretti a restare all' aperto occorre accovacciarsi e raggomitolarsi, assumendo una posizione ad uovo, la testa appoggiata alle ginocchia, con le gambe unite per evitare che la corrente possa salire per una di esse e scendere per l' altra; inoltre è opportuno liberarsi di catenine, orologi, ombrelli, attrezzi metallici di qualsiasi tipo. Il pericolo di fulmini è l' unico motivo di sospensione di una partita di golf, e si capisce perché: il giocatore che impugna la mazza in mezzo a un prato sgombro di ostacoli costituisce per la folgore un obiettivo ideale. Altrettanto pericolosa è la navigazione a vela durante un temporale: l' albero e le sartie metalliche, unici elementi emergenti dal piano dell' acqua, costituiscono un forte richiamo per le scariche. Se non si fa in tempo a rientrare a terra, l' unica relativa difesa possibile consiste nel rifugiarsi sotto coperta e comunque nel tenersi lontani il più possibile dagli elementi metallici. L' auto è un luogo sicuro; essa, infatti, costituisce una «gabbia di Faraday», cosiddetta dal fisico inglese Michael Faraday che studiò l' argomento nel secolo scorso: il fulmine viaggia sulla superficie della carrozzeria verso il terreno senza penetrare in essa; non appoggiare le mani sulle parti metalliche, ritirare l' antenna radio, tenere i finestrini chiusi. (v. rav. )


Grandi ustioni O anche solo un eritema
Autore: M_VER

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, METEOROLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 025. Fulmini

DI fulmine si può morire immediatamente per le ustioni o la siderazione dei centri bulbari del circolo e del respiro. Oppure qualche ora dopo l' incidente: ustionati, feriti dalla caduta per terra o colpiti da choc traumatico. Dato il fortissimo calore prodotto dall' energia elettrica (che può raggiungere la tensione di un milione di volt), gli effetti più tipici del fulmine sono quelli ustionanti, dalle grandi ustioni di chi è stato direttamente investito dalla scarica alle ustioni più lievi prodotte da scariche elettriche accessorie o marginali. Così qualcuno se la cava con una grande spavento e un semplice eritema, mentre altri finiscono carbonizzati o inceneriti. A volte sulla pelle compaiono le famose «figure da fulmine», che sono state descritte per la prima volta all' inizio del secolo scorso. Si tratta di formazioni rossicce e sottili, che hanno la forma di un albero ramificato e in genere spariscono comprimendo la pelle. Se persistono, è perché sotto c' è un' emorragia. Le lesioni cutanee comunque guariscono senza speciali dolori e senza lasciare gravi cicatrici. Talvolta il fulmine si limita a quegli effetti curiosi che vanno appunto sotto il nome di «scherzi da fulmine»: abiti strappati di dosso lasciando il corpo intatto, capelli e peli delle regioni scoperte bruciati senza toccare la pelle sottostante. Altre volte invece la potenza della scarica ha l' effetto di un' esplosione: la persona colpita viene gettata a terra, i suoi oggetti scagliati a distanza. Oppure può procurare lesioni interne, come edema polmonare o emorragie minute dei centri nervosi. Nei casi più gravi, la caduta a terra può causare fratture ossee plurime, lacerazione delle meningi, rottura dei visceri all' altezza del torace. (m. ver. )


GRATTACIELI Altissime quote Progetti di 500
Autore: FEMINO' FABIO

ARGOMENTI: URBANISTICA, EDILIZIA, TECNOLOGIA
NOMI: HIDEZO KOBOYASHI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 027

IL ventesimo secolo è stato caratterizzato dalla visione di grandiosi progetti architettonici e urbanistici ma pochi si sono poi realizzati. E' certo però che il continuo aumento della popolazione mondiale e la scarsità di terreno edificabile prima o poi renderanno necessario studiare soluzioni nuove per alloggiare milioni e milioni di persone: ad esempio dei supergrattacieli. I più colossali grattacieli del passato vennero costruiti tutti negli Stati Uniti, e attualmente il più alto del mondo è la Sears Tower di Chicago con 440 metri e 110 piani. Sempre a Chicago, la Miglin Beitler Company propone adesso di costruire un palazzo di 125 piani Ma questo progetto non sembra quasi nulla in confronto a quelli preparati in Giappone per la città di Tokyo, dove il prezzo del terreno ha ormai raggiunto i 4 milioni di dollari per metro quadrato. La Takenaka Corporation ha presentato il progetto di un megagrattacielo di 1000 metri e 300 piani chiamato Sky City 1000, con una base di 800 ettari, che ospiterebbe 10. 000 residenti e 130 000 pendolari. Al suo interno correrebbe a spirale una monorotaia Proseguendo in ordine di grandiosità, la Ohbayashi Corporation ha progettato un grattacielo di 500 piani e alto 2000 metri, chiamato Aeropolis 2001: occorrerebbero 15 minuti ad un ascensore ad alta velocità per arrivare in cima. La Shimizu Corporation ha progettato una città piramidale, nota come Try 2004, racchiusa fra pareti trasparenti, alta anch' essa 2000 metri e con un milione di abitanti. La Taisei Corporation ha ipotizzato una torre a forma conica che dovrebbe sorgere su un' isola artificiale in mare aperto con un diametro di 6, 5 chilometri alla base, e che raggiungerebbe i 4000 metri d' altezza e avrebbe 700. 000 abitanti. Alla base vi sarebbero fattorie marine che renderebbero la torre autosufficiente come anche impianti energetici situati vicino alla sommità. La Taiyo Kogyo sta studiando infine la possibilità di ricoprire intere città e vaste estensioni agricole con tendoni per proteggerli dalle intemperie. Non solo, ma tendoni alti un paio di chilometri e lunghi una ventina potrebbero cambiare i venti e alterare così il clima di regioni aride, provocando la pioggia. Un' altra città avveniristica, pur se meno fantascientifica, dovrebbe poi sorgere in Australia, presso Adelaide, come risultato di un accordo fra il governo locale e i giapponesi. I dettagli sono però ancora nel vago. Giapponesi e americani stanno poi studiando la possibilità di costruire immense strutture galleggianti. La World City Corporation con sede negli Usa, sta preparando la costruzione di una super nave da crociera, una vera città del mare con 5000 passeggeri alloggiati in palazzi da 10 piani, un centro conferenze, un teatro da 2500 posti, e una biblioteca da 100. 000 volumi. Potrebbero poi esservi città sotterranee, come l' Urban Geo Grid della Shimizu Corporation, che occuperebbe 485 miglia quadrate del sottosuolo di Tokyo e potrebbe ospitare mezzo milione di abitanti. Ci sarebbe infine la possibilità di costruire colonie orbitali e lunari. Per cominciare, la Shimizu Corporation ha progettato un hotel orbitale da 64 stanze, che dovrebbe essere costruito a 450 chilometri di quota. L' hotel dovrebbe avere la forma di una ruota del diametro di 150 metri, simile a quella del film 2001: Odissea nello spazio, e la rotazione della ruota al ritmo di tre giri al minuto fornirebbe ai clienti una gravità artificiale simile a quella terrestre. Il mozzo della ruota sarebbe un tubo lungo 300 metri, ad una estremità del quale attraccherebbero le navette spaziali. Lungo il tubo vi sarebbe una zona priva di gravità, dove i clienti potrebbero sperimentare l' assenza di peso. Secondo Hidezo Kobayashi, direttore della stazione spaziale della Taisei Corporation, la colonizzazione lunare potrebbe successivamente iniziare con la costruzione di cupole coniche del raggio di 18 chilometri, contenenti un piccolo villaggio centrale. Ogni cupola sarebbe divisa in sei strati, tra i quali si troverebbero forme di vita in grado di creare ossigeno. Più tardi, si potrebbe addirittura modificare la Luna per renderla completamente abitabile: «La superficie lunare verrebbe divisa in un reticolo di quadrati di duecento chilometri di lato», afferma Kabayashi, «e a ogni intersezione del reticolo verrebbe installato un reattore nucleare, cinquanta chilometri sotto la superficie. Il calore emesso da questi reattori sprigionerebbe gas che potrebbero essere usati per creare un' atmosfera primitiva». Migliaia di satelliti artificiali creerebbero poi un campo magnetico che impedirebbe alla debole forza di gravità lunare di far sfuggire l' atmosfera nello spazio. Fabio Feminò


La bomba umana Popolazione in continua crescita
Autore: FERRANTE ANNALINA

ARGOMENTI: DEMOGRAFIA E STATISTICA
NOMI: SCANNI GIUSEPPE
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. Popolazione nel mondo
NOTE: 027

LA popolazione del pianeta continua a crescere con ritmi pressoché costanti: nel 2025 saremo 8, 5 miliardi e nel 2050 raggiungeremo quota 10, 5 miliardi. La percentuale di crescita dei Paesi in via di sviluppo supera di gran lunga quella dei Paesi industrializzati. Fra 30 anni l' Asia raggiungerà i 4, 9 miliardi di individui mentre l' Africa dai 700 milioni attuali raggiungerà il miliardo e mezzo. Gli effetti di questa esplosione sono già visibili. Il mondo va via via sempre più urbanizzandosi ed è percorso da continue ondate di flussi migratori che tendono ad aumentare in maniera considerevole. Questo è il quadro della popolazione mondiale redatto dal «Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione» e presentato a Roma dall' Associazione italiana popolazione e sviluppo. Secondo dati e proiezioni, commentati da Giuseppe Scanni, presidente dell' Associazione, e da numerosi relatori, tra il 1980 e il 1992 sono emigrate in Europa 15 milioni di persone e il ritmo annuale arriva al milione di individui. Le Nazioni Unite hanno stimato che nel 1989 50 milioni di persone, l' 1 per cento della popolazione mondiale, vivevano in un Paese diverso da quello di origine. Nel 1992 la Banca Mondiale ha calcolato che gli emigranti internazionali sono circa 100 milioni. Per non parlare dei rifugiati, che tra gli Anni 80 e 90 hanno dominato i flussi migratori di Africa, Asia meridionale e che sono aumentati con la guerra del Golfo e la frantumazione dello Stato jugoslavo. Nei Paesi del Terzo Mondo, e ora anche nei Paesi dell' Est, la crescita demografica eccessiva, la mancanza di posti di lavoro e di prospettive per il futuro, il degrado sociale e ambientale sfociano, secondo il rapporto, in una fuga che segue due percorsi distinti. Il primo è l' abbandono delle campagne per la città con la conseguenza di un massiccio inurbamento. Nel 1950 l' 83% della popolazione dei Paesi in via di sviluppo viveva in aree rurali. Nel 1975 queste accoglievano ancora circa il 75 per cento della popolazione, ma entro i primi decenni del 2000 più della metà della popolazione mondiale vivrà nelle città. E se nel 1950 sette delle dieci maggiori aree metropolitane si trovavano nel mondo industrializzato e nessuna superava i 15 milioni di abitanti, entro la fine degli Anni 90 otto di queste aree metropolitane, come Città del Messico, San Paolo, Bombay, Calcutta, si troveranno nei Paesi in via di sviluppo con una popolazione superiore ai 15 milioni di abitanti. Il secondo percorso indica che le migrazioni internazionali si muovono secondo traiettorie privilegiate. Per esempio, nei Paesi produttori di petrolio, nel 1985, il 70% della forza lavoro era costituito da emigranti, di cui il 63% asiatici. Gli emigranti del bacino mediterraneo, invece, confluiscono generalmente nei Paesi dell' Europa comunitaria. Stime recenti dicono che la popolazione straniera in Italia, Spagna e Portogallo è del 2 per cento; del 7 in Francia; del 9, 8 in Belgio e del 7 in Germania. Una simile mobilità territoriale, dovuta anche allo scarso impatto delle politiche demografiche, inefficaci nell' incidere sensibilmente sulle scelte degli individui, ha provocato e provoca tensioni non indifferenti soprattutto in Europa. Minacciata nella sua identità sociale, politica ed economica e sottoposta a un declino demografico mai conosciuto prima, l' Europa, come denunciano demografi, sociologi ed economisti, si è chiusa in una fortezza, adottando norme più severe in materia di visti e permessi di soggiorno. Ma la risposta a questi fenomeni, dicono gli esperti, non può essere quella di chiudersi in un sistema protezionistico che blocchi l' espansione e l' economia dei Paesi in via di sviluppo. Nè si può pensare che il problema demografico si risolva con esodi di massa. E' in crisi anche il modello di gestione pubblica dello Stato sociale, ha detto l' economista Giovanni Somogyi. Di qui nascono i timori e le resistenze diffuse ovunque nei confronti di ciò che turba un equilibrio già precario. Le crisi recessive all' interno dei Paesi industrializzati, «prodotte dal mancato regolamento dei commerci mondiali ha sottolineato Giuseppe Scanni hanno reso impossibile concorrere al sistema produttivo mondiale con regole certe per i Paesi meno sviluppati». La sfida auspicabile quindi non è «un protezionismo di corto respiro» che rende tra l' altro più costoso e meno produttivo ciò che viene realizzato in Europa, ma quella di lanciarsi in politiche di sostegno e di cooperazione verso i Paesi in via di sviluppo aprendo le frontiere al contributo di forze nuove e giovani capaci di trasformare la nostra società, che tende ad invecchiare. Annalina Ferrante


VIDEOINFORMAZIONE Notizie in diretta sullo schermo del PC Il consumatore più vorace è il mondo finanziario
Autore: SERRA CARLA

ARGOMENTI: COMUNICAZIONI, TECNOLOGIA, PROGETTO
ORGANIZZAZIONI: ANFOV, VIDEOTEL, SIP
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. Prospettive per futuro
NOTE: 027

NONOSTANTE la crisi dell' informatica, c' è un settore tecnologico che continua ad avanzare. E' la videoinformazione, sia on line sia con i Cd rom dell' editoria elettronica. ll mercato della videoinformazione del 1992 è stato di circa 920 miliardi di lire, il 20 per cento in più rispetto al ' 91. E le prospettive sembrano ancora più rosee, specie considerando che la videoinformazione andrà a braccetto con i prodotti multimediali. Parole, immagini, informazioni e scambi in diretta: tutto dallo schermo di un personal computer in casa propria. Non è fantascienza, secondo la ricerca sulla videoinformazione condotta dall' Anfov (l' associazione Nazionale dei Fornitori di Videoinformazione, cioè di informazioni e servizi telematici) e dalla Teknibank, la società di analisi dei mercati tecnologici. L' Europa è uno dei terreni più fertili per lo sviluppo della videoinformazione, dato che ha il più grande mercato informatico e telematico del mondo, superiore anche a quello americano, e pari al 36 per cento del volume mondiale. In questo scenario l' editoria elettronica, in particolare quella dei Cd rom, rappresenta solo il 5 per cento del volume globale. Nel nostro Paese, infatti, questo settore si è sviluppato in nicchie molto specialistiche: prodotti per commercialisti, avvocati, fiscalisti. Non a caso le aziende italiane leader sono Ipsoa, Zanichelli, Sole 24 Ore, De Agostini. Ma la caduta dei prezzi dei lettori di Cd rom, sempre più spesso incorporati nei computer, fanno prevedere un forte sviluppo del settore. Sembrano pirotecniche le prospettive per la telematica. Leggi e cavilli giuridici permettendo. Cresce infatti la diffusione di banche dati on line in Europa (il 23 per cento in più rispetto al 1991). L' Italia sta al passo, seguendo un po' a distanza Gran Bretagna, Francia, Germania e Svizzera nei consumi di dati on line. Fra le prime 10 società del settore c' è anche l' italiana Cerved, insieme ai colossi Dun & Bradstreet, Nikkei, Reuters. Il consumatore più vorace è il mondo finanziario, con oltre duemila aziende collegate a uno o più circuiti telematici da cui traggono due tipi di servizi. Quelli di natura puramente informativa, ricevendo dati sui mercati finanziari e notizie economiche. E quelli di tipo interattivo, che consentono di contrattare direttamente in tempo reale titoli, monete, merci a livello mondiale. Molto lavoro si deve ancora fare per diffondere reti di trasmissioni di dati efficienti e a bassi costi, possibili grazie alle tecnologie digitali. Ma molto si è già fatto con le nuove reti pubbliche, come la Isdn, la rete digitale per servizi integrati in grado di trasmettere contemporaneamente voce, testi e immagini; e le reti satellitari per la diffusione di informazioni in tempo reale. Su queste reti passeranno le pratiche dell' ufficio sbrigate a casa, i corsi di studio e di formazione, film, mostre e spettacoli di intrattenimento. Basterà disporre di un «Personal Digital Assistent», un terminale che è insieme telefono e computer. Questo block notes elettronico è in grado di memorizzare quanto scritto con una penna elettronica e i dati ricevuti da una rete esterna, di organizzarli e trasmetterli via etere o via cavo. A metà strada tra il semplice servizio telefonico e i servizi di trasmissione dati per le aziende si colloca il Videotel. E' stato definito il supermercato dell' informazione grazie ai 3580 servizi informatici e interattivi che offre: servizi di economia, di informazioni e prenotazioni viaggi, banche dati giornalistiche e, il più conosciuto, quello delle messaggerie rosa. Eppure il Videotel stenta a decollare. Si è fermato da due anni ai 185 mila utenti. Colpa delle truffe, di servizi non sempre qualificati, ma anche di una scarsa pubblicizzazione del servizio. In Italia manca completamente il servizio trainante che giustifica agli occhi del potenziale cliente la spesa dell' abbonamento. Per il rilancio la Sip ha già pronta la rete a chiosco, che consentirà agli utenti l ' accesso ai servizi Videotel senza l' uso di parole chiave (password), rivelatesi poco sicure, e al gestore di fatturare i servizi con tariffe a tempo, direttamente sulla bolletta telefonica L' aggiornamento e il controllo dei servizi, la possibilità di collegarsi dal computer con una scheda dovrebbero favorirne la diffusione. Anche se i livelli raggiunti in Francia con il Minitel sono impensabili. La Francia, con sei milioni di terminali Minitel copre l' 80 per cento del mercato europeo. La mossa vincente? France Telecom inizialmente offrì gratis terminali agli utenti al posto dell' elenco cartaceo. Carla Serra


AGGRESSIVITA' Raptus genico La tendenza è ereditaria
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: GENETICA, VIOLENZA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 028

NEL gennaio 1978 si presentò alla clinica di medicina genetica dell' Università di Nimega, in Olanda, una giovane donna che chiedeva soccorso per un problema insolito. Era stata vittima, come altre donna della sua famiglia, di improvvise esplosioni di violenza da parte dei fratelli. Il problema famigliare era di tali proporzioni da indurre un prozio materno a compilare una lista dettagliata dei maschi di famiglia (nove, o forse quattordici) che per un periodo di trent' anni avevano manifestato questo comportamento aberrante. Uno di questi aveva violentato la sorella e, dopo il ricovero in casa di cura, aveva più volte attaccato gli infermieri. Un secondo aveva minacciato la sorella con un coltello, forzandola a svestirsi. Un terzo aveva ripetutamente tentato di mettere sotto la macchina il datore di lavoro. Due altri fratelli erano finiti in prigione per piromania. Secondo un rapporto psicologo, tutti i soggetti violenti dimostravano un basso quoziente intellettivo (QI sotto 85). Per contro, nessuna della donne di famiglia aveva mai dimostrato tendenze alla violenza e nessuna era affetta da ritardo mentale come i maschi. Agli specialisti di genetica clinica questi episodi suggerivano la possibilità di un caso raro di ereditarietà di comportamento violento, attribuibile a un gene recessivo presente sul cromosoma X femminile. I maschi, che posseggono un solo cromosoma X, ereditano il gene «cattivo» mentre le femmine vengono protette dalla presenza del gene «buono» su uno dei loro due cromosomi X. Rimaneva da provare la validità di questa ipotesi. Come si fa in questi casi, si trattava di rintracciare il massimo numero dei componenti della famiglia e di esaminarli tutti. Ci vollero più di dieci anni di intense ricerche per ricostruire il pedigree della famiglia e localizzare il gene implicato. Nel numero di giugno della rivista American Journal of Human Genetics, Brunner e collaboratori, gli specialisti olandesi che primi avevano visto il caso della giovane donna, riportano la composizione completa della famiglia olandese e indicano nella mutazione di un gene la causa del comportamento abnorme. Si tratta del medesimo gene che presiede alla formazione di un enzima presente anche nel cervello, la monoaminossidasi (Mao) ben noto agli psicofarmacologhi perché implicato nell' ossidazione di neurotrasmettitori. Una connessione tra l' assenza o difetto di tale enzima e il comportamento si può quindi giustificare su basi biologiche. La sua mancanza potrebbe indurre l' accumulo di vari mediatori chimici cerebrali, che potrebbero causare una eccessiva immotivata reazione da parte di un individuo sottoposta a stress. Pur tenendo conto del fatto che finora la mutazione è stata identificata in una sola famiglia, è ipotizzabile che un difetto genetico simile sia presente in un certo numero di individui implicati in episodi di violenza non motivati da circostanze particolari. I soggetti propensi a commettere improvvisi atti di violenza potrebbero in futuro essere identificati e curati con farmaci o diete particolari, che neutralizzino l' effetto della mutazione. Una proposta del genere farebbe sorgere però gravi problemi legali. La ricerca sulle cause biologiche della violenza, dagli studi di Lombroso (stigma fisiche) a quelli più moderni di genetica umana, hanno sempre suscitato aspre critiche perché informazioni di questo tipo potrebbero esser usate per marchiare individui o addirittura gruppi di individui. D' altra parte, trattandosi di un comportamento così complesso come la violenza, è difficile pensare che sia controllato da un solo gene. Ezio Giacobini Università del Sud Illinois


DIAGNOSI DIFFICILI La malattia è sconosciuta? Forse si ricollega ai nostri duemila mitocondri
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 028

FINO agli Anni Trenta la cellula era considerata un minuscolo sacco ripieno di liquido, con qualche struttura nel suo interno. In seguito ci si rese conto che la cellula è un mondo straordinario, una vera città con tanto di palazzo del governo, stabilimenti industriali, centrali di energia, servizi di trasporti e comunicazioni. I mitocondri sono elementi fra i più importanti della città cellulare. E' stato detto che rappresentano la «pietra di Rosetta» per la decifrazione del linguaggio della vita. Molto numerosi, fino a duemila, ovali, costituiscono una straordinaria macchina, la centrale energetica della cellula, la sede principale della trasformazione di energia in una forma direttamente utilizzabile dalla cellula. In essi avviene l' ossidazione totale delle catene di carbonio con formazione di biossido di carbonio (CO2) e acqua, e l' energia libera così rilasciata è utilizzata per sintetizzare adenosintrifosfato o ATP, la sostanza che funge da moneta di scambio per l' energia. Novità sensazionale, si vide poi che i mitocondri hanno un proprio sistema genetico, col quale codificano una decina di proteine aventi un ruolo essenziale (le altre numerosissime proteine mitocondriali sono controllate dal Dna nucleare). Il Dna mitocondriale è trasmesso unicamente per via materna. Perché la cellula debba avere un secondo sistema genetico oltre a quello contenuto nei cromosomi non è ancora chiarito. Negli ultimi anni si è scoperto che malattie finora di natura sconosciuta sono legate ai mitocondri. Per stabilire se una malattia sia connessa ai mitocondri occorre una biopsia cutanea e soprattutto muscolare, una spettroscopia a risonanza magnetica. E poi polarografia per misurare il consumo d' ossigeno, spettrofotometria per determinare l' attività di ogni complesso della catena respiratoria dei mitocondri. Infine la biologia molecolare analizza il Dna mitocondriale mediante la tecnica del «Southern blot» (dall' americano Edward H. Southern che la propose nel 1975), che permette di individuare una corta sequenza di Dna nell' immensità del genoma. Le malattie mitocondriali sono proteiformi, variabili in una stessa famiglia, riguardanti un organo specifico o più organi insieme, presenti alla nascita o insorgenti nell' infanzia, nell' adulto, nell' anziano. Una classificazione per il momento non appare possibile. La patologia dei muscoli oculari è il prototipo delle malattie mitocondriali: paralisi dei movimenti dell' occhio, delle palpebre, e così via. Altra frequente espressione d' una disfunzione mitocondriale sono i dolori muscolari da sforzo. Infine sempre a carico dei muscoli, debolezza e atrofia specialmente nei neonati. Sovente la causa è un deficit di carnitina. Per quanto riguarda il sistema nervoso, ecco atrofie ottiche, sordità progressive, retiniti pigmentose, lesioni del cervelletto, forme di epilessia, episodi circolatori cerebrali in giovani, ritardi intellettuali, encefalopatie. Impossibile fare un elenco delle malattie mitocondriali plurisistemiche, le combinazioni sono molto diverse, tutti gli organi possono essere interessati. Venendo infine al Dna mitocondriale, sono da citare tre forme ereditarie. L ' atrofia ottica di Leber, propria dell' adolescente, con nevrite retrobulbare, evolve verso una cecità totale. La sindrome di Fukuhara è un' epilessia famigliare. Infine la Melas Syndrome (acronimo di mioclonia, epilessia, acidosi lattica e strokes, ossia colpi, incidenti a ripetizione a carico del sistema nervoso centrale) è una lesione circolatoria cerebrale, con inizio fra 3 e 11 anni, sovente famigliare. Da notare che nonostante l' eredità materna la trasmissione del Dna mitocondriale può estendersi a entrambi i sessi. Superfluo aggiungere che non esistono cure specifiche per queste malattie. Tuttavia averne chiariti la natura e il meccanismo della trasmissione ereditaria rappresenta un importante progresso. Ulrico di Aichelburg


MENOPAUSA Il cerotto della discordia Sì o no a estrogeni e progesterone?
Autore: LEVI MARINA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, SANITA'
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 028

CINQUANT' ANNI, età critica per la donna. Forse anche per l' uomo, ma nel sesso femminile il cambiamento è più evidente. Cessa il ciclo mestruale, finisce la possibilità di avere dei figli. In alcune donne la menopausa non causa particolari fastidi e passa quasi inosservata. In molte altre, invece, compaiono disturbi; vampate di calore, secchezza vaginale, diminuzione del desiderio sessuale, invecchiamento più rapido della pelle e del seno, assottigliamento dei capelli. Inoltre è provato che aumenta nettamente e rapidamente il rischio di malattie cardiovascolari e di osteoporosi con la conseguente fragilità ossea. Tutto questo è dovuto alla diminuzione nel sangue di alcuni ormoni sessuali e in particolare degli estrogeni. Fino a qualche decennio fa si considerava naturale e irreversibile il corso degli eventi. Tutt' al più si ricorreva a qualche rimedio sintomatico per i problemi più fastidiosi. Dagli inizi degli Anni 60 non è più così. Con la possibilità di estrarre dagli animali e sintetizzare gli ormoni sessuali, si è aperta un' epoca nuova: le sostanze mancanti si possono assumere sotto forma di farmaci. Ma è opportuno cambiare il corso della natura con una terapia sostitutiva prolungata in tutte le donne o è meglio riservarla a chi ne ha veramente bisogno ? E soprattutto, i farmaci che si usano sono a lungo andare veramente innocui? Negli ultimi trent' anni sono stati fatti innumerevoli studi sull' argomento che hanno determinato, a seconda dei risultati, alcune variazioni di atteggiamento. Per circa dieci anni dopo la loro scoperta si usarono, soprattutto negli Stati Uniti, estrogeni di provenienza equina da soli. I buoni risultati ottenuti sui sintomi della menopausa suscitarono un notevole entusiasmo, molto ridimensionato però nel 1975 da due studi contemporanei che evidenziavano, nelle donne in terapia, un aumento dei casi di tumore dell' utero. Gli estrogeni, infatti, stimolano la proliferazione della mucosa uterina, facilitando così la comparsa di neoplasie. Si iniziò allora ad associare, negli ultimi 12 giorni del mese, un preparato a base di progesterone, un altro ormone che viene prodotto durante il ciclo mestruale, capace di contrastare l' azione negativa degli estrogeni. Questa aggiunta non è ovviamente necessaria nei casi in cui l' utero sia stato asportato chirurgicamente. Ulteriori studi condotti in questi ultimi anni e altri ancora in corso sembrano riaccendere l' entusiasmo, dimostrando che la terapia condotta in questo modo è molto più sicura. I disturbi legati alla menopausa ottengono un notevole miglioramento, ma soprattutto si ha un notevole beneficio nella prevenzione dell' osteoporosi e delle malattie cardiovascolari. Si è visto infatti che, per quanto riguarda l' osteoporosi, si tratta del trattamento più efficace in assoluto. Estrogeni e progesterone sommano la loro rispettiva azione in questo senso. Gli estrogeni inoltre agiscono diminuendo i livelli di grassi, insulina e zuccheri nel sangue e intervengono sui fattori della coagulazione e sulla circolazione in senso decisamente antiaterosclerotico. Prevengono in questo modo la possibilità di infarto cardiaco, di ictus cerebrale e di malattie delle arterie periferiche. Si è visto inoltre, dopo alcuni iniziali timori del contrario, che si ha un' azione preventiva nei confronti del cancro della mammella. Attualmente vengono usati sia estrogeni equini per bocca sia estrogeni sintetici, in genere sotto forma di cerotto. Si preferiscono questi ultimi nelle donne con ipertensione e calcoli della cistifellea. La durata del trattamento può essere anche di molti anni. Per prudenza sono consigliati alcuni esami di controllo, che d' altronde conviene effettuare comunque a quest' età: visita ginecologica annuale con Pap test, esame del seno e misurazione della pressione, mammografia ogni due anni, esami di sangue periodici. Le controindicazioni assolute a questo tipo di trattamento sono: riscontro attuale o passato di cancro della mammella o dell' utero, malattie del fegato flebiti e trombosi in atto. Da valutare con attenzione i casi di familiarità di tumore mammario, i fibromi uterini, flebiti e trombosi in passato. Con tutte le avvertenze di cui sopra si può dire che la terapia sostitutiva potrebbe essere indicata in tutte le donne in menopausa e che anche gli eventuali costi aggiuntivi per il sistema sanitario nazionale sarebbero ampiamente ripagati dall' azione preventiva nei confronti di malattie importanti. Esiste tuttavia una certa resistenza da parte di molte donne, anche legata al fatto che la terapia ciclica con ormoni provoca un sanguinamento simile alle mestruazioni. Pertanto si possono far presenti i vantaggi e gli svantaggi e lasciare che ognuna decida liberamente che cosa fare. Marina Levi


UN RESIDUO DEL MIMETISMO AMBIENTALE L' ormone dell' abbronzatura Favorisce la produzione di melanina, ma è rischioso
Autore: LIMONE PAOLO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, BIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 028

E' davvero possibile indurre un' abbronzatura artificiale con un trattamento ormonale? Un gruppo di ricercatori dell' Università dell' Arizona ha di recente sottoposto un gruppo di volontari a trattamento con ormone alfa melanocito stimolante (alfa MSH), che favorisce la produzione cutanea di melanina, determinando un iscurimento della pelle. Questo ormone appartiene a una famiglia di sostanze proteiche, derivate da una grossa molecola progenitrice chiamata pro opiomelanocortina (POMC), ampiamente distribuita nel sistema nervoso centrale e in alcune ghiandole endocrine, tra cui l ' ipofisi. Presente soprattutto negli animali, in particolare nei vertebrati minori (nei quali le sue proprietà melanocito stimolasono determinanti ai fini del mimetismo con l' ambiente), l ' importanza dell' alfa MSH si è molto ridotta nella specie umana (almeno per quanto riguarda gli effetti sulla pigmentazione cutanea ), tant' è vero che la zona di ipofisi deputata alla sua produzione presenta una netta involuzione rispetto all' animale; e c' è chi addirittura mette in dubbio la presenza dell' alfa MSH. Utilizzare un derivato ormonale per motivi cosmetici potrebbe però comportare rischi, superiori al transitorio vantaggio estetico. Il dubbio non è del tutto infondato, se si considera che gli effetti dell' alfa MSH non si limitano alla sola cute, ma come si intuisce dalla sua ampia distribuzione nell' ambito del sistema nervoso, si estendono a varie funzioni cerebrali. E' documentato infatti un ruolo dell' alfa MSH nei processi di sviluppo del sistema neuromuscolare, nella regolazione dell' apprendimento e della memoria, nel controllo delle sensazioni dolorifiche, del comportamento sessuale, della risposta immunitaria e infiammatoria. Un effetto sicuramente importante è la stimolazione della secrezione delle gonadotropine, sostanze di origine ipofisaria che controllano l' attività dell' ovaio e del testicolo. Sebbene la maggioranza di tali azioni sia stata documentata soprattutto nell' animale, vi sono comunque dimostrazioni che anche nell' uomo l' alfa MSH esercita importanti effetti: la sua somministrazione è infatti seguita da un aumento dello stato di vigilanza e da modificazioni dell' attività cerebrale comprovate da variazioni dell' elettroencefalogramma, nonché da transitorie modificazioni delle secrezioni ormonali ipofisarie. Non sono ancora chiariti neppure i rapporti tra alfa MSH e melanomi cutanei; pur non essendo l' alfa MSH la causa prima di questi tumori, non si può però escludere che esso possa favorire la proliferazione delle cellule neoplastiche. Quali potrebbero essere allora gli effetti di una somministrazione prolungata di alfa MSH? Sebbene nello studio originale sia riportata un' ottima tolleranza al prodotto, non possiamo certo prevedere con esattezza le possibili conseguenze a lungo termine. Se a queste incertezze aggiungiamo che l' abbronzatura «ormonale» è limitata al volto e alla parte superiore del tronco, per ottenere un' abbronzatura naturale e uniforme è forse più saggio ricorrere al tradizionale sistema dell' esposizione al sole, con l' abituale raccomandazione (ma chi ne tiene conto? ) che deve avvenire in modo prudente e graduale, dal momento che anche i raggi solari non sono affatto scevri da inconvenienti. Paolo Limone Università di Torino


ZECCHE All'assalto guidate dal fiato I parassiti attirati dal flusso di anidride carbonica della respirazione Messe a punto nuove trappole che emettono leggere quantità di questo gas
Autore: MUSSO ALBERTO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI, MEDICINA, SANITA'
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 026

LA proliferazione dei piccioni nelle città è anche un problema d'igiene pubblica, in quanto questi volatili sono importanti vettori di malattie infettive e contagiose per l'uomo. In particolare, le salmonellosi: già da alcuni anni si sono individuati colombi e piccioni infetti e sappiamo anche che il contatto con feci di piccioni, soprattutto se essiccate e polverizzate, può causare una infezione (di solito una meningite) da Criptococco, pericolosissima per i soggetti immunodepressi. L'infezione più frequente è però quella da zecche, da cui sono affetti la maggioranza di questi animali. Le zecche, ben note agli amanti degli animali domestici, sono acari parassiti di dimensioni notevoli, con corpo ovale tondeggiante, non segmentato. Allo stadio adulto possiedono otto zampe (gli insetti ne hanno solo sei). Si dividono in due famiglie: le Ixodidae, o zecche dure, e le Ar gasidae, o zecche molli. E' molto facile anche per i non specialisti identificare la famiglia di appartenenza di una zecca, prendendo in considerazione due caratteri essenziali: la consistenza del corpo e la posizione dell'apparato buccale pungente e succhiatore (rostro). I maschi delle Ixodidae hanno una piastra rigida detta scudo dorsale che copre quasi completamente il dorso (per questo si parla di «zecche dure») e il rostro sporge davanti. Nelle Argasidae, invece il corpo è interamente molle perché il dorso è privo di scudo. Il rostro si trova in posizione ventrale, adagiato in una fossetta. Le zecche sono parassiti temporanei, dato che sostano sull'ospite solo il tempo necessario per un pasto, poi si celano in rifugi occasionali. La zecca del cane (una zecca dura il cui nome scientifico è Rhipicephalus San guineus) è invece obbligatoriamente legata al cane. L'uomo non è mai ospite di elezione di queste zecche, ma le punture accidentali non sono rare. L'ambiente è di fondamentale importanza, sia per il mantenimento del microclima ideale per la sopravvivenza delle uova e della zecca adulta, sia per la maggiore o minore possibilità di incontro della zecca con animali o con l'uomo. Ad esempio, una zecca che vive nel sottobosco non incontra un ospite con la stessa facilità di una zecca che vive in un pascolo, però le ottimali condizioni microclimatiche di umidità e di penombra del bosco le consentono di sopravvivere anche diversi mesi senza nutrirsi, mentre nel pascolo assolato e asciutto il parassita, in assenza di un ospite, andrebbe incontro a una rapida disidratazione. Nelle città invece le zecche dure dei cani e soprattutto le zecche molli di piccioni e colombi proliferano in maniera straordinaria. Contemporaneamente scompaiono tutte le altre specie. La zecca del cane avrebbe una notevole importanza epidemiologica perché è il vettore della Rickettsia Conori, agente etiologico della febbre bottonosa. Fortunatamente la maggior parte dei cani che abitano le nostre città sono cani da salotto, ben tenuti e curati. Così la febbre bottonosa è patologia rarissima, specie al nord. Diversa importanza invece stanno assumendo due zecche appartenenti alla sottofamiglia delle zecche molli: l'Argas Refle xus el'Ornithodorus Coniceps, che infestano ormai ovunque i nidi di piccioni e colombi. Non si conosce bene l'habitat naturale di queste due specie, ma è ben noto che frequentano le colombaie e vi pullulano. In Italia la specie più diffusa è l'Ar gas Reflexus, legato soprattutto a colombi e piccioni. Nelle tane protette dall'insolazione e dal conseguente pericolo di disidratazione, queste zecche riescono a resistere al digiuno per tempi straordinari. Viene sempre citato dalla letteratura il caso di un esemplare di un Argas Reflexus sopravvissuto per sette anni in una provetta senza nutrirsi. Questo Argaside è estremamente ben adattato all'ambiente urbano e si insedia non solo nei nidi dei piccioni, ma in tutti i luoghi frequentati da loro e nelle loro vicinanze. Ad esempio, nella Basilica di San Marco, a Venezia, è stato trovato nelle fessure esistenti fra le tessere dei mosaici. Si trova comunque soprattutto nelle facciate dei palazzi, specie negli intonaci scrostati, nelle soffitte, nei solai e anche all'interno degli appartamenti, sotto le cornici dei mobili e dei quadri, addirittura nelle gallerie scavate dai tarli. Le zecche dei piccioni hanno in comune con le zecche dei cani l'abitudine di stare in prossimità dell'ospite e di ricercarlo attivamente se devono nutrirsi, allontanandosi quando necessario dai sottotetti e solai per invadere i piani inferiori e le abitazioni adiacenti. Possono essere presenti anche migliaia di individui in tutti gli stadi di maturazione (larve, ninfe, adulti). All'interno delle abitazioni si comportano come le cimici dei letti, con le quali vengono spesso confuse, anche perché escono di notte dai nascondigli e pungono l'uomo durante il sonno. Poiché sono attirate dal flusso di anidride carbonica della respirazione sono state preparate delle trappole che emettono un lieve flusso di questo gas e che si dimostrano di discreta efficacia. Le zecche dei piccioni sono i vettori di spirochete del genere Borrelia, che possono essere agenti di malattie nell'uomo, forse anche dell'eritema cronico migrante, meglio conosciuto oggi come malattia di Lyme, trasmesso in genere dalle punture di zecche dure del genere Ixodes (Ixodes Dammini e Ixodes Rici nus). Una ricerca in corso a Torino sta verificando il possibile coinvolgimento delle zecche molli del genere Argas Reflexus nella trasmissione di questa malattia nelle aree urbane. Alberto Musso


AMBIENTE Che traffico! L'ambivalenza delle strade, strumento per gli scambi ma anche fonte costante di inquinamento e degrado
Autore: FRAMARIN FRANCESCO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, URBANISTICA, VIABILITA', INQUINAMENTO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 026

LE strade sono l'esempio migliore dell'ambivalenza del cosiddetto progresso. Chiunque conosce e ama qualche luogo naturale e solitario, sa che il primo ma decisivo passo per la sua distruzione è l'arrivo di una strada. Al contrario, la maggior parte dei residenti vicino a uno di quei luoghi ripone spesso speranze di arricchimento e di emancipazione proprio in una strada da costruire. Altra contraddizione è quella del traffico: strumento di scambi commerciali e culturali, ma anche flagello di incidenti, inquinamento e di degrado. Le Alpi - montagne con vasti luoghi selvaggi e solitari al centro della sviluppatissima Europa - soffrono più di altre aree di queste contraddizioni. Per una miglior comprensione, non è inutile vederne i primi sviluppi. Commerci, scambi di abilità artigianali e di idee sono nelle Alpi attività preistoriche. Esse erano presenti nell'età del rame (4000-2200 a.C.), quella in cui visse l'«uomo del Similaun», di recente trovato mummificato nel ghiacciaio omonimo. In quel tempo nelle Alpi c'era già la ruota, cioè i carri. La ruota più antica d'Europa - trovata a Zurigo e là conservata nel Museo nazionale svizzero - è un disco di acero di un sol pezzo, che risale al 3200 a.C. Allora non c'era alcuna via di attraversamento delle Alpi adatta ai carri, forse anche perché cavalli e asini, a differenza di mucche, capre, pecore e maiali, non erano conosciuti. La lana delle pecore non era ancora filata, così come la canapa: era il lino la principale fibra per i tessuti. Si coltivava il frumento e l'orzo, ma non l'avena nè, ovviamente, la patata. L'aratro era già in uso. Di questo attrezzo non vi sono reperti antichi, solo rappresentazioni su incisioni rupestri e poche straordinarie testimonianze di solchi arati, come quelli che si sono conservati nel sito archeologico di Aosta. Lo sviluppo decisivo degli antichi passaggi alpini avvenne in epoca romana per scopi militari. Le Alpi Graie non erano state direttamente investite dalle spedizioni galliche di Cesare del 58-51 a.C., che si erano svolte attraverso la valle del Rodano. L'importanza strategica della Valle d'Aosta, con i suoi valichi del Piccolo e del Gran S. Bernardo orientati verso la Gallia, determinò presto l'occupazione romana e la fondazione di Aosta (25 a.C.). Secondo il professor Rudolf Fellmann, fu il Piccolo S. Bernardo il primo valico a essere reso sicuro e transitabile. Una decina d'anni dopo fu la volta del Grande, insieme con la conquista del suo versante settentrionale. Contemporaneamente i romani conquistavano i passaggi alpini fra il Lago di Como e la valle del Reno, fra la valle dell'Adige e la valle dell'Inn, fra la valle dell'Inn e la valle del Reno. Della miglior agibilità e sicurezza dei valichi alpini profittarono naturalmente i commerci che, all'inizio, furono soprattutto esportazioni dal Sud al Nord, ma poi tesero a equilibrarsi. Le merci includevano qualche prodotto locale, come i recipienti di pietra cosiddetta ollare, ricercati dai romani. Delle grandi vie alpine, tre erano completamente percorribili con carri: il Piccolo S. Bernardo, lo Julier nei Grigioni e il Resia nell'alta Val Venosta (la famosa Via Claudia). Il Gran S. Bernardo e lo Spluga erano in parte mulattiere. Non si tratta di conclusioni evidenti. Per giungervi, Fellmann ha analizzato tutte le fonti d'informazione su questo e gli altri passi alpino- occidentali: oltre ai documenti storiografici (scritti e mappe) e alla toponimia, le iscrizioni sulle pietre miliari e lungo le vie, le tracce archeologiche sul terreno (solchi di ruote, intagli, scalini, opere murarie) e naturalmente i reperti sui colli e i luoghi di sosta (manufatti, monete). Sono stati così trovati altri particolari. Per esempio. Chi conosce gli interminabili tornanti che oggi permettono di superare la imponente soglia rocciosa del Maloja, fra Chiavenna e St. Moritz, sarà sorpreso di sapere che la strada romana superava quel dislivello direttamente, servendosi di gradini, rotaie e probabilmente - come suggerisce la presenza dei fori nella roccia a lato della via - anche di un sistema di funi, pulegge e barre di legno, che aiutavano i carri a salire ed eventualmente a bloccarsi Non per l'altitudine, che non è proibitiva, ma per le difficoltà d'accesso (gole di Gondo), il passo del Sempione, fra il Vallese e la Val d'Ossola, era pochissimo frequentato in epoca romana: lo prova l'assenza quasi totale di reperti lungo il percorso. E' noto che esso fu reso agibile da Napoleone nel 1801, «perché il cannone vi potesse passare». Frequentato dai romani era invece un passo non segnato sulle principali antiche mappe alpine, il S. Gottardo, che mette in comunicazione diretta Milano con la Svizzera e la Germania. I trafori stradali o ferroviari moderni hanno alterato la rete dei collegamenti transalpini, ma non he hanno stravolto lo schema d'insieme. Le Alpi non sono simmetriche rispetto all'asse spartiacque. Un semplice sguardo alla carta geografica spiega perché la densità del traffico sia maggiore al di qua che al di là delle Alpi - impressione usuale di ogni italiano dopo un viaggio in auto oltralpe: il traffico da tre città come Lione, Ginevra e Losanna converge su Torino attraverso tre valichi distinti: Moncenisio, Monte Bianco, Gran S. Bernardo. Su Milano converge il traffico di quattro valichi: Sempione, Gottardo, S. Bernardino, Spluga, Stelvio. Su Verona converge il traffico di Brennero, Dobbiaco, Tarvisio. Poiché questi collegamenti non sono solo fra città vicine, ma fra intere aree produttive, il traffico transalpino ha assunto il carattere esponenziale dello sviluppo economico. L'idea corrente è star dietro al suo aumento indefinito, accomodando e potenziando le infrastrutture viarie usate da Cesare e Napoleone. Ciò si rileva però inconciliabile con il rispetto dell'ambiente e della qualità di vita delle popolazioni locali. Francesco Framarin


MURICHI Guarda come dondolo Quella coda è una quinta mano
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI
NOMI: STRIER KAREN
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 026

SI chiama «Murichi» o «Brachitele» la scimmia ragno più rara del mondo. Ed è il classico esempio dell'animale che non facciamo quasi in tempo a conoscere, perché ne stiamo accelerando drammaticamente l'estinzione. Vedere un murichi è molto difficile in natura. Sospettosa e diffidente, la scimmia si nasconde nel fitto della foresta appena intuisce la presenza dell'uomo, il suo nemico di sempre. Vive in un habitat limitato, nelle foreste montuose brasiliane della Serra do Mar e della Serra da Mantiqueira, nonché in qualche foresta dello Stato di Minas Gerais. Ne esistono piccoli gruppi sporadici nei Parchi Nazionali di Serra dos Orgaos (Stato di San Paolo), di Itatiaia (Rio de Janeiro) e di Nova Lombardia (Espirito Santo). E pochissimi sono gli esemplari in cattività negli zoo d'Europa e d'America. Il murichi è lungo un'ottantina di centimetri, la metà dei quali sono coda. E' ricoperto da una pelliccia di un colore che varia dal giallo grigio al bruno, ma sorprendente è il viso, completamente glabro, che spicca per il colore rosso vivo o giallognolo in mezzo al pelo scuro. Il secondo e il terzo dito portano all'estremità unghie lunghissime, simili ad artigli, che facilitano la presa sui rami quando la scimmia si arrampica sugli alberi. E la lunga coda muscolosa che termina con un cuscinetto tattile e prensile funziona da «quinta mano», con cui la scimmia può appendersi ai rami e acchiappare oggetti. Si tratta insomma di una specie squisitamente arboricola che vede scomparire sotto i suoi occhi il suo vero habitat, la foresta tropicale. Quello che oggi si conosce sul conto dei murichi lo dobbiamo a Karen B. Strier, un'antropologa dell'Università del Wisconsin a Madison, che negli ultimi dieci anni ha studiato il comportamento e la biologia dei murichi nella foresta della Fazenda Montes Claros, nel Minas Gerais. A differenza delle urlatrici che si arrampicano con tutt'e quattro le zampe, i murichi si dondolano sui rami tenendosi appesi solo con le braccia, un'andatura che hanno in comune con le loro cugine più strette, le scimmie ragno vere e proprie che vivono nell'America Centrale e nel bacino delle Amazzoni. Mangiano foglie, ma preferiscono frutti e fiori, cibi che costituiscono indubbiamente una ricca fonte energetica, anche se per procurarseli devono visitare molti alberi, percorrendo lunghi tratti di foresta. L'aspetto più interessante è la loro assoluta mancanza di aggressività. Non si accapigliano mai per l'accesso al cibo, nè esiste tra loro alcun ordine gerarchico. Ciascuno aspetta pazientemente il proprio turno ed evita di interferire con i compagni, piazzandosi troppo vicino a loro mentre sono intenti a mangiare. Le stesse regole di buona educazione valgono nel rapporto tra i sessi. Qui non vi sono maschi più grossi delle femmine che lottano tra loro per accaparrarsi gli accoppiamenti. Maschio e femmina hanno su per giù la stessa taglia. E nei gruppi, costituiti da parecchi individui adulti di ambo i sessi, non esiste un maschio dominante che spadroneggia sugli altri, come avviene in molte scimmie. Le femmine, ancor prima di raggiungere la maturità sessuale verso i sette anni, abbandonano il branco originario per raggiungere altri branchi. Sicché in sostanza ciascun gruppo è formato dai maschi più vecchi, dalle loro madri, dai fratelli più piccoli e dalle giovani femmine immigrate. Strettamente imparentati tra loro, i maschi del branco, anziché competere, preferiscono cooperare per fronteggiare l'invasione dei maschi di altri branchi e si accoppiano senza gelosie con le femmine in estro. Sta di fatto che nell'arco di dieci anni, il loro numero si è quasi raddoppiato, passando da ventidue a cinquantanove individui. Nella Fazenda Montes Claros, ottobre segna il principio della stagione delle piogge ma anche di quella degli amori. E Karen B. Strier ha notato che in quell'epoca cambia la dieta dei murichi. Benché vi siano frutti in abbondanza, le scimmie preferiscono mangiare le foglie di due leguminose, la Apuleia leiocarpa e il Platypodium elegans, che all'analisi chimica si sono rivelate povere di tannino, a differenza delle foglie di altre specie, e ricche di proteine. Quasi che i murichi sentano il bisogno di rinvigorirsi alla vigilia dell'evento riproduttivo. Inoltre, sempre in quell'epoca, le scimmie si spostano verso la periferia della foresta, dove trovano i frutti di un'altra leguminosa, l'Enterolobium contortisiliquum, volgarmente chiamata «orecchio d'asino». Qui non si fermano a lungo, si direbbe che facciano solo un assaggio. I frutti dell'orecchio d'asino contengono però lo stigmasterolo, la sostanza che si usa in laboratorio per la sintesi del progesterone e recenti studi hanno dimostrato che gli ormoni vegetali possono regolare la riproduzione di parecchi animali. Il risultato più sorprendente emerso dalle ricerche della Brier e dei suoi collaboratori è che la dieta dei murichi sembra determinante non solo per la fertilità, ma anche per combattere i parassiti. Mentre infatti le scimmie che vivono in altri habitat sono infestate da varie specie di parassiti intestinali, quelli della Fazenda Montes Claros ne sono completamente privi: mangiano le stesse piante a cui fanno ricorso i popoli dell'Amazzonia per combattere i vermi intestinali e altri parassiti! Isabella Lattes Coifmann


IN AUSTRALIA Graffiti record 53 mila anni fa
Autore: MORETTI MARCO

ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA, ARCHEOLOGIA
NOMI: JONES RHYS
LUOGHI: ESTERO, AUSTRALIA
NOTE: 026

E' in Australia che l'uomo manifestò per la prima volta il suo pensiero tracciando graffiti sulla roccia. Lo ha dimostrato il paleoantropologo Rhys Jones dell'Università nazionale australiana, presentando al Festival della scienza di Canberra raschietti di quarzite per incidere e mucchi di pigmento di ematite usato per colorare le pitture rupestri. I reperti, ritrovati nel Nord del Paese, sono risultati antichi di 53 mila anni alle analisi al carbonio 14. Ciò significa che la capacità di sviluppare ed esprimere pensieri e idee avvenne agli antipodi 20 mila anni prima che in Europa. Perché, in base alle incisioni ritrovate in Francia e in Spagna, solo 35 mila anni fa, nel Paleolitico superiore, appare nel vecchio continente l'Ho mo sapiens. Il primato già apparteneva all'Australia, perché i laghi Willandra, una regione desertica nell'interno del New South Wales con dune di sabbia alte fino a 25 metri, ospitano uno dei più importanti siti preistorici del pianeta. In questi laghi, prosciugati alla fine dell'ultima era glaciale, sono stati rinvenuti frammenti di scheletri e utensili in pietra, i quali ci dicono che l'area era già popolata 40 mila anni fa. Sono state ritrovate, ben conservate, tombe di defunti cremati e rudimentali forni in cui venivano cotti pesci, carni di marsupiali e uova d'emu. La regione è stata inserita nel 1981 nella World Heritage List dell'Unesco. Resta da capire perché una popolazione che sviluppo' 53 mila anni fa la capacità di raffigurare il suo pensiero non si sia poi evoluta, restando per molti aspetti ferma alla preistoria fino allo sbarco dei bianchi. Gli antropologi australiani ne individuano la causa nell'isolamento: un'ipotesi confermata dal diverso livello di civilizzazione delle etnie aborigene del Sud rispetto a quelle del Nord. Le tribù della fredda Tasmania, isolate 12 mila anni fa dal continente, nel 1800 non si separavano mai dal fuoco, perché non ne avevano ancora scoperto il mistero. Mentre i Tiwi e i Lardil, che abitavano alcune isole equatoriali del Nord e intrattenevano sporadici rapporti con le popolazioni Macassan dell'isola indonesiana di Sulawesi, esprimevano forme artistiche, sociali e produttive molto avanzate. Marco Moretti




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