TUTTOSCIENZE 16 giugno 93


SFIDA NEGLI ABISSI C' è petrolio per 50 anni Nuove tecniche estrattive in acque profonde
Autore: PAVAN DAVIDE

ARGOMENTI: ENERGIA, TECNOLOGIA, PETROLIO, MARE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 093

IL petrolio va verso un rapido esaurimento oppure ci sono ancora riserve considerevoli? Per quanti anni queste riserve potranno durare? E quali progressi sta facendo la tecnologia per sfruttare depositi di petrolio difficilmente accessibili, a grande profondità nella crosta terrestre o in mare aperto? A giudicare dai dati del «Rapporto annuale sull' Energia» e dalle previsioni dei maggiori esperti, per un po' potremo ancora stare tranquilli. Negli ultimi cinque anni le riserve accertate di idrocarburi, che rimangono la fonte primaria di energia con un contributo pari al 61 per cento del fabbisogno complessivo, sono aumentate di più del 25 per cento e sono in grado di assicurare oltre 45 anni di produzione al ritmo attuale di consumo. Non solo: c' è la convinzione che esistano diverse aree inesplorate con «grande potenziale», dove cioè ci sono fondate speranze di scoprire nuovi campi petroliferi. All' ultimo Congresso mondiale del petrolio (1991) si è sottolineato il fatto che le maggiori possibilità esplorative sono offerte dai depositi presenti in mare (offshore). Infatti i bacini terrestri inesplorati sono ormai rari o particolarmente inaccessibili, come quello di Tarim in Cina o di Monagas in Venezuela. Alcune aree offshore invece, come il Golfo del Messico, il bacino Campos in Brasile e il delta del Niger sembrano particolarmente interessanti, proprio perché in gran parte inesplorate. Gli sforzi maggiori delle compagnie petrolifere sono rivolti già da molti anni alla ricerca di nuove tecnologie che permettano di raggiungere profondità d' acqua sempre maggiori, fino ad arrivare alle «deep waters» (acque profonde), termine che si riferisce al limite (circa 300 350 metri ) oltre al quale non si può operare con le tradizionali tecniche dell' offshore basate sull' uso di piattaforme fisse. Dall' epoca delle prime piattaforme marine degli Anni 50 la tecnologia offshore ha avuto uno straordinario sviluppo, che ha coinvolto diverse scienze e settori industriali, dalla cibernetica alle costruzioni navali, dai nuovi materiali all' informatica, dall' oceanologia alla biologia marina ed ha richiesto uno sforzo economico simile a quello impiegato per ricerche nello spazio. Per l' esplorazione nelle «deep waters», che ricoprono almeno 30 milioni di chilometri quadrati di depositi sedimentari, si è passati dalle tradizionali tecnologie che richiedevano l' ausilio dei sommozzatori per l' installazione e la manutenzione della parte sommersa della piattaforma (il «jacket» ) ad altre più moderne che si servono di robot manipolatori comandati a distanza (Rov Remotely Operated Vehicle). Per la messa in produzione di campi a quelle profondità , tre sono le soluzioni che si prospettano e che danno buone garanzie tenendo conto anche dell' elemento economico (necessità di ridurre il più possibile i costi): le piattaforme Tlp (Tension Leg Platform), i sistemi Fps (Floating Production System) e i sistemi di produzione sottomarini. La piattaforma Tlp, o ad ancoraggi tensionati, è costituita da uno scafo composto da quattro colonne alte 60 metri del diametro di 16, 5 metri, collegate alla base da 4 grandi barre rettangolari ( «pontoons» ). Le colonne sono poi vincolate al fondo marino da ancoraggi che, scendendo in verticale, vanno ad inserirsi in fondazioni poste esattamente sotto il mezzo. Variando la tensione degli ancoraggi, si genera una spinta di galleggiamento supplementare che, come in un pendolo rovesciato, stabilizza la piattaforma proteggendola dalla forza delle onde e delle correnti. Questo tipo di piattaforma è in grado di operare fino a 1000 metri di profondità (il record attuale è di 872 metri della Shell nel Golfo del Messico). I sistemi di produzione Fps fanno ricorso invece a piattaforme, navi o altri mezzi galleggianti ai quali è collegata, tramite tubi flessibili, la testa pozzo che si trova sul fondo del mare. Questi sistemi permettono di eseguire pozzi con perforazione orizzontale aumentando così la produttività dei giacimenti ma presentano il rischio di frequenti «stop» della produzione in concomitanza con condizioni tempestose del mare. Il sistema più fantascientifico è comunque quello sottomarino, che consiste in una testa pozzo di concezione veramente innovativa appoggiata direttamente sul fondo che non necessita di funi guida per l' installazione e che è progettata per essere servita da uno specifico veicolo sottomarino. Ciò permetterebbe di raggiungere fondali anche oltre i 1000 metri di profondità, in aree che sembravano irraggiungibili fino a qualche anno fa. La ricerca in questo settore è sempre più intensa e, se si pensa che attualmente il contributo dato dai giacimenti in alti fondali è meno dell' 1 per cento sull' intera produzione, si capisce come esistano ancora enormi ricchezze non sfruttate: l' energia del 2000, insomma, potrebbe venire dagli abissi. Davide Pavan


I POZZI IN BASILICATA Nella corsa all' oro nero tra rischi e speranze è venuta l' ora dell' Italia
Autore: TOZZI MARIO

ARGOMENTI: ENERGIA, TECNOLOGIA, PETROLIO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 093

C' E' un nuovo interesse per le ricerche di idrocarburi nell' Italia meridionale, un interesse che ha già richiamato l' attenzione di varie compagnie petrolifere, non solo nazionali. Se si considera la congiuntura internazionale nel campo della ricerca petrolifera, questo nuovo impulso non è apparentemente comprensibile. Pur essendo la legislazione sugli idrocarburi in Italia piuttosto incentivante (fin dalla sua prima formulazione nel 1957), le quantità scoperte non sono mai state tali da attrarre in maniera incisiva le grandi compagnie petrolifere multinazionali. Da cosa deriva dunque il rilievo che ora l' Italia sembra assumere dal punto di vista della ricerca e dello sfruttamento degli idrocarburi? Innanzitutto c' è stato un significativo accrescimento delle conoscenze geologiche di base, cioè del complesso integrato di informazioni di superficie e profonde; quindi sono cambiati i modelli interpretativi, che consentono ora una chiave di lettura più moderna. E sono anche cambiate le tecniche di prospezione. Da un punto di vista estrattivo, sono migliorate le tecnologie: pozzi che trent' anni fa avrebbero costituito un pericolo o non sarebbero stati neppure iniziati (perché con obiettivi troppo profondi) adesso possono essere intrapresi in condizioni di buona sicurezza e portati a termine fino a oltre 5000 metri di profondità. Inoltre l' Italia gode ancora di condizioni molto favorevoli dal punto di vista fiscale. Considerati i rischi di fallimento che in passato le compagnie dovevano affrontare, il prelievo da parte dello Stato italiano è di gran lunga inferiore a quello dei Paesi Opec, che trattengono fino al 75 per cento degli idrocarburi prodotti dal proprio territorio. Si prevede che le recenti scoperte di campi petroliferi in Italia meridionale porteranno la produzione italiana di idrocarburi liquidi dal 4 al 7 8 per cento del fabbisogno energetico complessivo. Questo significa che da soli i nuovi ritrovamenti di Tempa Rossa, Cerro Falcone, Monte Alpi (tutti in Basilicata) raddoppieranno la produzione interna consentendo una minore dipendenza energetica. Le prospettive sembrano perciò favorevoli, ma varrà comunque la pena di chiedersi se è stato adeguatamente analizzato il riflesso che la nuova situazione potrà esercitare su una regione a economia prevalentemente agricola. E' stato poi valutato l' impatto ambientale che i nuovi pozzi e tutte le attività connesse porteranno alla vita delle popolazioni e al paesaggio ancora in parte integro della Val d' Agri e delle aree limitrofe? A sentire i responsabili delle compagnie più coinvolte in queste ricerche, sembra che tutte le precauzioni siano state prese. Lo scavo di un pozzo a tre quattromila metri comporta sempre rischi elevati, come lo smaltimento dei fanghi di perforazione, oppure (con il pozzo in produzione) fughe di gas come l' idrogeno solforato. Quanto alle prospettive occupazionali, dovrebbero mutare favorevolmente: la costruzione di un grande oleodotto che porterà il greggio alle raffinerie, le nuove perforazioni e la costruzione di centri di raccolta (uno è già in funzione nel comune di Viggiano ad opera dell' Agip) premetteranno l' assorbimento, per i prossimi 5 10 anni, di mano d' opera locale. C' è infine un aspetto scientifico non marginale. Le nuove compagnie petrolifere operanti in Italia meridionale hanno una nuova strategia produttiva non più il raid estemporaneo di pochi mesi, ma l' apertura di sedi locali in Italia e l' interazione stabile con gli Istituti universitari. Questa collaborazione non porta nuovi finanziamenti alle università, ma vantaggi scientifici, come le tecniche di analisi sofisticate e l' accesso a banche dati private generalmente non disponibili. Mario Tozzi Cnr, Istituto di geologia


DIECI PIANISTI CAVIA Viaggio nel cervello alla ricerca della musica Identificati i centri cerebrali attivi quando si suona uno strumento
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA, MUSICA
NOMI: LANGLAIS JEAN, GERSHWIN GEORGE, RAVEL MAURICE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 093

SECONDO il collega Shostakovic, il compositore russo e direttore del Conservatorio di Mosca Sheballin continuò a comporre e a dirigere benché avesse sofferto di due massicce emorragie cerebrali nel lobo temporale di sinistra che praticamente gli impedivano di parlare. Dopo una emorragia cerebrale nella regione temporo parietale, il famoso organista e compositore francese Jean Langlais, morto un anno fa, perse con la parola anche la facoltà di leggere e scrivere. Ma continuò a comporre, improvvisare e leggere lo spartito. Il compositore inglese Benjamin Britten fu colpito da un' embolia cerebrale nel mezzo della sua carriera, eppure continuò a comporre Anche George Gershwin, autore della famosa «Rapsodia in blu» poté terminare la sua opera malgrado un glioblastoma nel lobo temporale di destra. La storia più drammatica è però forse quella di Ravel, che negli ultimi cinque anni della sua vita fu ridotto a uno stato di incapacità totale, anche se poteva ascoltare e apprezzare la musica suonata da altri. Tra tutte le funzioni cognitive del nostro cervello nessuna appare così oscura ed ermetica quanto la facoltà musicale. La musica, come il linguaggio verbale e quello scritto, è un sistema di comunicazione governato da proprie regole sintassi e principi diversi da ogni altro. La perdita della parola (afasia) in seguito a insulto cerebrale non è necessariamente accompagnata dalla perdita della funzione musicale (amusia). Il che dimostra non solo una funzione autonoma di questa, ma anche una dissociazione tra comunicazione verbale e comunicazione musicale per quanto riguarda il loro substrato anatomico e funzionale nel cervello. L' unico strumento in grado di rivelare la localizzazione neuroanatomica di una funzione cerebrale come la facoltà musicale in soggetti normali selezionati secondo criteri di abilità musicali è la tomografia a emissione di positroni (Pet = positron emission tomography). Con essa è possibile misurare l' attività di determinate aree del cervello in un individuo seduto al pianoforte nell' atto di suonare con la mano destra e leggere lo spartito. Uno studio del genere è stato condotto su 10 pianisti professionisti nell' Istituto di Scienze Cognitive della Mc Gill University di Montreal in Canada da un gruppo di ricercatori guidati da Justine Sergent. L' analisi di otto immagini diverse del cervello, ognuna corrispondente a una diversa «fetta» del cervello, dimostrava che l ' operazione di «leggere la musica» coinvolge tre aree cerebrali. Esse sono diverse, ad esempio, da quelle attivate durante l' esecuzione meccanica di scale musicali e corrispondono a ben note aree di associazione localizzate nei lobi temporali, parietali e occipitali e devolute alla rappresentazione di funzioni uditive e visive. Tali rappresentazioni anatomiche corrispondono all' informazione necessaria per localizzare una determinata nota sulla tastiera, portare il dito nella posizione giusta e organizzare la sequenza e la durata delle note da suonare, dopo averle lette sullo spartito. L' analisi della topografia cerebrale rilevata alle diverse funzioni permise per la prima volta di determinare le regioni della corteccia danneggiate nel cervello di Ravel e di porle in relazione diretta ai deficit verbali del compositore. Lo studio canadese dimostra che la realizzazione della funzione musicale coinvolge una rete complessa ma localmente specializzata di centri nervosi. Ovviamente le osservazioni si riferiscono agli aspetti più tecnici del talento musicale. Tuttavia esse permetteranno di studiare in seguito problemi più complessi come la natura del linguaggio musicale e i processi mentali coinvolti nella fruizione estetica ed emotiva della musica. Ezio Giacobini Università del Sud Illinois


SALONE DI LE BOURGET Sì, lo spazio paga E l' Italia prepara il suo razzo Propulsore a plasma in progetto alla Bpd. Motore Zefiro, un successo
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TECNOLOGIA, SALONE
ORGANIZZAZIONI: BPD ZEFIRO
LUOGHI: ESTERO, FRANCIA
NOTE: 094

IN tempi di bilanci in rosso e di settori industriali in crisi le attività spaziali vanno controcorrente: giovedì, giorno di apertura del Salone aerospaziale di Parigi Le Bourget, Arianespace, la società europea leader nei lanci di satelliti commerciali, ha approvato il bilancio ' 92, che si è chiuso con un utile netto di 145, 5 milioni di franchi francesi e distribuzione ai soci (tra i quali Alenia e Bpd) di un dividendo pari al 6 per cento del capitale. Sette lanci nel ' 92, altri 40 satelliti da mettere in orbita, un nuovo più potente razzo, l' Ariane 5, in costruzione (sarà pronto nel ' 96): Arianespace sta ad indicare che il mestiere di vettore spaziale è in piena espansione. Anzi, si va probabilmente verso una specializzazione, con i grandi satelliti affidati ad Ariane e ai razzi della stessa classe americani, russi, giapponesi e cinesi, e carichi più piccoli affidati a vettori meno potenti e meno costosi. Ai primi di maggio nel poligono di Perdasdefogu in Sardegna, è stato provato il motore di quello che sarà il primo razzo commerciale italiano, il San Marco Scout. Il motore, chiamato Zefiro, ha funzionato perfettamente, ha comunicato la Bpd Difesa e Spazio, che lo ha progettato e costruito. Riempito con 11 tonnellate di combustibile solido e imbullonato ad una solida base, ha sviluppato una spinta di circa 80 tonnellate ed ha superato in efficienza tutti i più avanzati motori a razzo oggi esistenti, compreso quello di Ariane. Lo Zefiro, sviluppato per conto dell' Agenzia spaziale italiana, aveva già fatto una prova in volo nel marzo del ' 92; tre (o cinque) di questi propulsori costituiranno il primo stadio del San Marco Scout (gli altri due stadi si chiameranno Sesamo e Iris) con i quali l' Italia punta a entrare nel mercato del lancio di satelliti fino una tonnellata e fino a 600 chilometri di altezza. La Bpd, del gruppo Gilardini Fiat, uno dei leader mondiali della propulsione a combustibile solido sta però lavorando ad altri metodi di propulsione, in vista di missioni, come quelle interplanetarie, che richiederanno diversi tipi di motori. Il futuro sembra appartenere alla propulsione elettrica, una tecnologia che consente di accrescere la velocità di uscita dei gas, che nella propulsione chimica raggiunge al massimo i 3 chilometri per secondo Motori di questo tipo, noti come resistogetti e come propulsori a ioni, sono già operativi ma solo quando servono potenze limitate a qualche grammo. Tuttavia gli sviluppi possibili sono promettenti. In casa Bpd da una decina di anni si lavora su due tipi di propulsione elettrica, quella ad arcogetto e quella magnetodinamica. Il motore ad arcogetto potrebbe diventare operativo per la propulsione di satelliti in tempi relativamente brevi. Gas elettricamente neutri, come azoto, idrogeno, ammoniaca, sono immessi in una camera di combustione nella quale viene fatta scoccare una scarica elettrica; questa porta i gas a temperature elevatissime, decine di migliaia di gradi, e ne provoca l' uscita attraverso l' ugello a velocità intorno ai 10 chilometri per secondo. I propulsori magnetodinamici (o Mpd) sono ancora nella fase di ricerca ma sono assai promettenti in particolare in vista di lunghi trasferimenti interplanetari. La tecnica è analoga a quella dell' arcogetto ma la scarica è molto più elevata (occorrono potenze di 30 50 kilowatt) e genera un forte campo magnetico; il gas viene ionizzato ed esce dall' ugello ad una velocità di alcune decine di chilometri il secondo. Finora sono state raggiunte in laboratorio spinte di qualche chilogrammo che potranno essere aumentate risolvendo i problemi di resistenza dei materiali alle altissime temperature e di potenza elettrica adeguata. Forse tra vent' anni, dicono i ricercatori, un motore di questo tipo potrà essere usato in una missione. Vittorio Ravizza


GIGANTESCHE MERIDIANE Stelle dell' India Visita all' antico Osservatorio di Jaipur, uno dei 5 costruiti nel ' 700 per riformare il calendario e diffondere la conoscenza del cielo
AUTORE: KRACHMALNICOFF PATRIZIA
ARGOMENTI: ASTRONOMIA
NOMI: MOHAMMED SHAH, MARAJA' SAWAI JAI SINGH II DI AMBER
LUOGHI: ESTERO, INDIA
NOTE: 094

COSTRUZIONI di arenaria rossa lineari, squadrate, metafisiche, uscite da un quadro di De Chirico: è l' antico osservatorio astronomico di Jaipur, uno dei cinque esistenti in India, il più grande e il più bello, ancora perfettamente funzionante. Eccone in breve la storia. Nel 1710 l' imperatore dell' India Mohammad Shah e il Marajà Sawai Jai Singh II di Amber assistevano a una seduta piuttosto agitata nella sala delle udienze pubbliche del Forte rosso di Delhi: l' imperatore doveva partire per una spedizione importante e bisognava determinare il momento favorevole alla partenza. Il dibattito verteva sulla posizione di certi pianeti che si credeva influissero sulla vita umana. Il Marajà di Amber, Sawai Jai Singh II, che aveva studiato e acquisito una buona conoscenza dell' astronomia e della matematica, decise di costruire osservatori astronomici e di educare la nazione su un argomento che spesso causava controversie. L' imperatore accolse la proposta e nel 1724 fu completato il primo osservatorio, quello di Delhi. Per la prima volta nella storia l' India era in possesso di strumenti che permettavano di compiere osservazioni astronomiche. Lo stesso Marajà per quasi sette anni compì osservazioni e, come risultato, riformò il calendario imperiale e stabilì il valore dell' obliquità della eclittica in 2328', che era molto vicino al valore corretto di 2327'. Visti i buoni risultati il Marajà proseguiva la costruzione dell' osservatorio di Jaipur, completata nel 1728, e in seguito di altri tre, a Ujjain, a Varanasi (Benares) e Mathura. La costruzione dei cinque osservatori fu quasi un miracolo in quel periodo buio dell' India post medioevale, pieno di lotte feudali, di ribellioni e di guerre. L' India era in piena decadenza, ma Sawai Jai Singh affrontò tutti i pericoli del tempo per realizzare il suo piano ambizioso. Sulla base delle sue osservazioni, oltre a riformare il calendario, compilò il famoso catalogo Zij i Mohammed Shahi delle stelle e dei pianeti e corresse le tavole di Ulugh Beg. E' interessante osservare che la maggior parte delle strutture che rappresentano i vari strumenti astronomici sono di origine hindu, anche se la tecnica della costruzione in muratura e pietra è islamica. Il Marajà si ispirò alle costruzioni di strumenti astronomici fatte da Ulugh Beg nel 15 secolo a Samarkanda. Pur facendo rivivere la tradizionale astronomia hindu, migliorò le tecniche esistenti per raggiungere la massima precisione nell' osservazione dei corpi celesti. Preferì costruire strumenti in pietra e muratura anziché in legno e metallo come quelli europei, perché più facili da graduare per un' osservazione accurata, grazie alle grandi dimensioni e ai piani stabili. L' osservatorio di Jaipur si trova a 431 metri di altitudine, 7549' 8"di longitudine Est e 2655' 27"di latitudine Nord. Appena costruito divenne sede di discussioni astronomiche tra Sawai Jai Singh e gli astronomi hindu, arabi ed europei, nonché di studi astrologici, ed è usato ancor oggi per dimostrazioni pratiche e per gli esami degli studenti di astronomia. Dei 18 strumenti che compongono l' osservatorio, vale la pena di descriverne almeno due. Lo strumento «polare» è molto semplice ma è uno dei più scenografici. Chiamato Durrva Darshak Yantra, è costruito in arenaria rossa, indica il Nord e aiuta l' osservatore a localizzare la Stella Polare, guardando il cielo lungo l' inclinazione di 27 gradi. L' astrolabio Yantra Raj, letteralmente il re di tutti gli strumenti, è in sostanza una mappa del cielo incisa su un grosso disco di metallo di oltre due metri di diametro. Il foro nel centro è la Stella Polare e 27 gradi sotto di essa una linea rappresenta l' orizzonte locale. Patrizia Krachmalnicoff


POSITRONI USATI COME SONDA Nasce un microscopio che funzionerà ad antimateria Il progetto all' Università di Trento. Servirà a scoprire difetti nei circuiti elettronici
Autore: DAPOR MAURIZIO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, PROGETTO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 094

PARTICELLE di antimateria: la nostra immaginazione si accende e ci trascina altrove, nei mondi fantastici di Asimov, dove i cervelli artificiali sono positronici anziché elettronici. Di questa ingenuità lo stesso Asimov ebbe a pentirsi dichiarando che la sua produzione letteraria attorno alla robotica era macchiata da quel peccato originale: di trascurare che i positroni disintegrano se stessi e gli elettroni con cui entrano in contatto, liberando energia pura. La stabilità di un cervello artificiale fatto di positroni in un mondo come il nostro, costituito di materia odinaria, è difficilmente sostenibile perfino per un maestro della fantascienza. Ma l' antimateria, teoricamente prevista dalle equazioni d' onda relativistiche della elegante trattazione di Dirac, riveste un notevole interesse non solo per i cultori di fantascienza ma anche per i fisici. Una applicazione di sicuro interesse tecnologico delle idee di Dirac è rappresentata dalla microscopia positronica, che differisce dalla più famosa microscopia elettronica per il fatto che il fascio di particelle inviato sul materiale investigato è costituito di positroni anziché di elettroni. Se è bene che anche nella fantascienza i cervelli artificiali continuino a essere elettronici e non positronici, l' analisi dei dispositivi di cui sono costituiti quelli reali potrebbe, in un prossimo futuro, essere effettuata proprio con fasci collimati di antimateria. Antonio Zecca, responsabile del Laboratorio di Fisica atomica e superfici dell' Università di Trento e Roberto Brusa, ricercatore presso la stessa Università, si occupano, in collaborazione con l' Università di Monaco e nel quadro di un progetto della Comunità Europea, della costruzione di un microscopio positronico. Ogni singolo positrone che penetra nel materiale cammina seguendo un percorso casuale fatto di collisioni con gli atomi del bersaglio fino all' urto mortale con un elettrone: il processo si conclude con la scomparsa delle due particelle di massa identica e di carica elettrica opposta. La conservazione dell' energia, cardine di tutta la fisica e grimaldello per la comprensione dei più svariati fenomeni naturali è garantita, in quest' ultimo catastrofico evento: il risultato della reciproca annichilazione è la produzione di raggi gamma che trasportano l' energia corrispondente alla massa di materia e antimateria scomparse. I raggi gamma rivelati dal microscopio trasportano anche l' informazione circa la densità locale degli elettroni appartenenti al materiale analizzato: infatti dove più alta è la densità di carica negativa, maggiore è la probabilità di annichilazione di positroni e di produzione di raggi gamma. La conoscenza della densità elettronica locale permette di costruire una mappa dei difetti reticolari delle superfici e delle interfacce dei materiali: si tratta delle regioni più critiche nella realizzazione dei dispositivi della microelettronica, poiché la quantità di difetti reticolari alle interfacce metallo semiconduttore e ossido /semiconduttore è direttamente collegata con il tempo medio di vita dei dispositivi stessi. E' naturale che il controllo di qualità dei dispositivi microelettronici non è l' unica possibile applicazione di questa microscopia: accoppiata con la microscopia elettronica, che fornirà la morfologia della regione indagata, essa, in prospettiva, si annuncia come una attività di routine per ogni laboratorio di scienza dei materiali. Il microscopio positronico del gruppo del professor Zecca è uno dei sei progetti di queto genere attualmente in realizzazione nel mondo (uno in Giappone, uno in Olanda, uno in Germania e due negli Stati Uniti) ma è unico per le sue caratteristiche: poiché il fascio di positroni sarà pulsato, si potrà determinare il tempo di vita dei positroni e, di conseguenza, distinguere i vari tipi di difetti cristallografici. Vale la pena di interrogarci, infine, sulle motivazioni che ci spingono a queste ricerche. I positroni non ci interessano in quanto tali. La nostra vita scorre dolcemente, ci innamoriamo, ci divertiamo, mettiamo al mondo bambini, a prescindere dall' esistenza di un solo positrone. Tuttavia basta l' esigenza di soddisfare la nostra curiosità per accendere l' attenzione: ed ecco che un fascio di positroni ci può dire, sulla natura che ci circonda, quanto ai nostri occhi risulta inesplorabile. Maurizio Dapor Istituto per la Ricerca Scientifica e Tecnologica, Trento


UGO AMALDI «Per i tumori proiettili fatti di quark»
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, TECNOLOGIA
NOMI: AMALDI UGO, TOSI GIAMPIERO, SANNAZZARI GIANLUCA
ORGANIZZAZIONI: CERN
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 094

UN cannone che spara minuscoli proiettili intelligenti, selettivi, che colpiscono soltanto le cellule maligne del cancro e risparmiano i tessuti sani. E' questo l' obiettivo a cui punta l' adroterapia, una tecnica che in Italia non esiste ancora ma che in altri Paesi ha già dato risultati promettenti. A proporre un centro italiano di adroterapia sono stati, due anni fa, i fisici Ugo Amaldi e Giampiero Tosi. Il progetto è ora sostenuto dall' Istituto nazionale di fisica nucleare e da una apposita Fondazione. Se ne è parlato lunedì a Villa Gualino e poi al Sermig, dove sono intervenuti Ugo Amaldi e Gianluca Sannazzari. Adroterapia significa «cura per mezzo di adroni». Gli adroni sono particelle nucleari formate da quark: possono essere protoni, neutroni, nuclei di elementi di basso peso atomico. Nella cura radiologica dei tumori rappresentano una novità . Finora si sono utilizzate radiazioni di vario tipo, soprattutto fasci di raggi X di alta energia, cioè particelle neutre prodotte con acceleratori lineari. L' uso di adroni, più difficili da produrre e da maneggiare, è ancora all' inizio. Offre però un vantaggio essenziale: mentre gli altri tipi di radiazione, in particolare i raggi X, rilasciano il massimo di energia vicino alla superficie del corpo irraggiato e quindi esercitano la loro azione anche sulle cellule sane, con i fasci di adroni si può concentrare il massimo del potere distruttivo sul tessuto malato anche quando questo si trova in profondità. Gli adroni hanno infatti la proprietà di attraversare il tessuto fino al livello desiderato e di depositare la loro energia quasi esclusivamente nella zona bersaglio. Intendiamoci: non stiamo parlando di una cura che promette miracoli. Il cancro non è una malattia, ma tante malattie diverse a seconda degli organi che colpisce. Le armi, fino a quando non saranno disponibili farmaci che intervengano sul sistema immunitario o agiscano a livello genetico, rimangono tre: intervento chirurgico, chemioterapia e cura radiologica. In un caso su due il ricorso combinato a queste tre armi dà buoni risultati. L' adroterapia è una risorsa in più nell' ambito dell' arsenale radiologico e si presta al trattamento soltanto di alcuni tumori, in particolare quelli che si trovano vicino ad organi critici come il cervello, la spina dorsale, le gonadi in quanto risparmia i tessuti sani circostanti molto meglio delle radiazioni convenzionali. Per questi tumori, una casistica di 15 mila pazienti trattati in tutto il mondo conferma l' efficacia dell' adroterapia. Ugo Amaldi, figlio di Edoardo, è tra i più brillanti fisici sperimentali italiani e dirige uno dei quattro gruppi di ricerca che al Cern di Ginevra utilizzano il Lep, il maggior collider oggi esistente. Nonostante il suo interesse per la fisica fondamentale, non trascura il campo delle applicazioni terapeutiche e si propone di concludere entro il prossimo anno uno studio di fattibilità per proporre la realizzazione del primo centro nazionale di adroterapia e la costruzione, da parte dell' industria nazionale, di acceleratori compatti che possano essere installati, senza richiedere edifici speciali, presso i grandi ospedali italiani che hanno già attrezzature convenzionali. Schematicamente, la macchina consiste in un acceleratore circolare per adroni di vario tipo e in una serie di derivazioni che puntano i fasci di particelle accelerate sul bersaglio tumorale. Il diametro dell' anello acceleratore è di circa 15 metri. Secondo alcune statistiche i fasci di neutroni avrebbero aumentato dal 24 al 67 per cento il controllo sui tumori delle ghiandole salivari e dal 31 al 77 per cento sui carcinomi della prostata. L' esperienza già fatta da Stati Uniti, Giappone, Francia, Inghilterra, Svizzera e Russia permette di progettare il centro italiano su basi sicure. La prima macchina acceleratrice dovrebbe essere sistemata in un bunker sotterraneo da realizzare presso un centro ospedaliero del Nord. Il costo è stimato sui 70 miliardi, un terzo dei quali per opere di ingegneria civile. Piero Bianucci


FORMICHE Ehi, per di qua] La via più breve al cibo
Autore: BOZZI MARIA LUISA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ZOOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 095

NESSUNO le ha invitate, ma eccole puntuali non appena si apre il cesto dei viveri. Una esplora l' involto del salame. Un' altra la fetta di pane. Anzi, una fila di formiche sta muovendo da un lontano formicaio verso il nostro picnic. Diritte alla meta per la via più breve, come di solito è la strada delle formiche in un prato o nella savana, in un bosco o nella foresta equatoriale. Come fanno lo sa solo Iddio, e oggi anche R. Beckers, Jean Louis Deneubourg e S. Goss dell' Università di Bruxelles. Questi ricercatori hanno scoperto che la formica nera dei giardini (Lasius niger) seleziona il percorso più breve evitando strade con curve strette ad angolo acuto, che costringono a forti cambiamenti di direzione. Tutto comincia con una solitaria esploratrice che per caso (ma i dintorni di un formicaio sono perlustrati in continuazione) si imbatte in qualcosa di commestibile (basta una briciola). Assaggia, verifica che ce ne sia in quantità e con un campione in bocca torna al nido lasciando dietro di sè una traccia odorosa che, come il filo di Arianna, permetterà a lei e alle compagne di ritrovare il luogo. La traccia odorosa all' inizio è molto debole così che le operaie si perdono facilmente e prendono strade alternative. Ma poi poco per volta la maggior parte converge su un unico percorso. Ogni formica lascia dietro di sè una traccia olfattiva, così, per la sovrapposizione di più odori, la via seguita dalla maggior parte delle operaie finisce per avere l' indicazione stradale più evidente. In genere segnala anche la via più breve. Per scoprire come fanno a trovarla, Beckers e colleghi unirono il formicaio e una soluzione zuccherina con due percorsi obbligati, uno doppio dell' altro (rispettivamente 14 e 28 centimetri). All' uscita del nido, le formiche imboccavano una strada che, dopo un tratto diritto, si divideva simmetricamente in due rami. Arrivate a questo incrocio, le formiche si trovano di fronte due strade di diversa lunghezza per arrivare al cibo. Sebbene non potessero vedere le due strade, di solito sceglievano quella più breve. Se venivano forzate ad imboccare quella più lunga in genere dopo pochi passi tornavano indietro. Come facevano a riconoscerla? Quando le formiche arrivavano all' incrocio si trovavano di fronte a due possibilità equivalenti: girare di 30 gradi a destra o a sinistra. Chi girava a sinistra sulla via più breve procedeva in linea retta e dopo un lungo tratto virava con un ampia curva. Chi invece girava a destra sulla via più lunga dopo un percorso di appena 2 centimetri era costretta a un drastico cambio di direzione di 45 gradi. Le formiche a questo punto reagivano in modi diversi. Alcune con una svolta a U ritornavano sui loro passi per imboccare la via più breve o per ritornare al nido. Altre invece proseguivano, ma lasciavano dietro di sè una traccia debolissima circa la metà del feromone normalmente rilasciato quasi a dire: «Non seguitemi, mi sono persa anch' io». Evidentemente il brusco cambio di direzione indica alla formica che si trova su una strada sbagliata. A causa della simmetria del percorso, sulla via del ritorno dal cibo al nido le formiche si trovavano di fronte alle medesime opzioni e si comportavano nello stesso modo. Secondo i ricercatori, quando le formiche incontrano un ostacolo deviano il meno possibile dalla direzione del sentiero principale. In questo modo evitano giri oziosi che fanno allungare la strada, con tutte le conseguenze negative che ne derivano: si perde tempo, si sprecano energie e ci si espone più a lungo al rischio dei predatori. E poiché per ogni formica seguire la retta via è fondamentale per la sopravvivenza, il sentiero più battuto il più profumato è anche il più sicuro. Maria Luisa Bozzi


NUOVE SPECIE Emigranti Topi muschiati, ricci e sciacalli arrivano in Italia dai Balcani
Autore: PETRETTI GAETANO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 095

UN banale investimento stradale ha fatto scoprire l' arrivo in Italia di una nuova specie di animale, mai osservata prima d' ora. E' il topo muschiato (Ondatra zibethicus), un piccolo mammifero proveniente dal territorio sloveno e arrivato da noi attraverso le Prealpi Giulie. Altre tracce lungo dei corsi d' acqua rivelano che non è l' unico esemplare sconfinato. Il topo muschiato, scoperto dai naturalisti Luca Lapini e Dino Scaravelli, di Udine, è un grosso roditore che arriva a pesare quasi due chili. Ha la coda compressa lateralmente e munita di piccole squame e zampe leggermente palmate che gli consentono di nuotare facilmente. Ha inoltre una bella pelliccia morbida assai apprezzata. Originario del Nord Europa, si è diffuso facilmente soprattutto negli ambienti d' acqua. Vive in tane, dove mette da parte le scorte di cibo. Le uscite sono sott' acqua: in caso di pericolo, può restare immerso anche per dieci minuti. Questo animaletto non è l' unico nuovo mammifero di provenienza balcanica che fa la sua comparsa nella parte nord orientale dell' Italia negli ultimi anni. Ci sono anche il riccio orientale (Erinaceus concolor) e lo sciacallo dorato (Canis aureus), specie provenienti dai Paesi dell' Europa Orientale che sconfinano in Italia, favorite anche dalla presenza di zone protette. L' arrivo di specie nuove, come il topo, o estinte da tempo, come la lince, compensa la scomparsa di altre specie, sicché il bilancio fra specie acquisite e specie estinte è in fondo positivo. Lo sciacallo è un canide, un po' più grande della volpe, che vive negli ambienti desertici e di steppa dall' Africa all' Estremo Oriente. Il suo areale si espande fino all' Europa Balcanica, da dove alcuni esemplari hanno raggiunto il confine con l' Italia. Accanto a questo bel canide va ricordata la lince europea (Lynx lynx), un bel felino originario della Slovenia e di recente reintrodotto nelle Alpi. Dal 1970 sono stati più di 80 gli esemplari liberati in Europa (Austria, Svizzera, Cecoslovacchia e Francia). In Italia le linci sono comparse in più punti dell' Arco alpino, insediandosi soprattutto nel Lagorai, un massiccio del Trentino ricco di ungulati. Sono state favorite dalla presenza di una discreta disponibilità di prede e dall' assenza di altri grossi carnivori predatori, come il lupo, presente solo sull' Appennino, e l' orso, la cui piccola popolazione è confinata alla zona dell' Adamello Brenta e sul Tarvisio al confine con l' Austria. Gaetano Petretti


PARCHI LETTERARI Quell' ermo colle... Individuati 20 luoghi da proteggere
Autore: GIULIANO WALTER

ARGOMENTI: ECOLOGIA, DIDATTICA, CULTURA, PROGETTO
NOMI: NIEVO STANISLAO, DELEDDA GRAZIA, ALVARO CORRADO, PAVESE CESARE, MANZONI ALESSANDRO, LEOPARDI GIACOMO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C. Le località dove istituire i Parchi Letterari
NOTE: 095. Parchi, ambiente

L' ITALIA dei parchi, dopo decenni di sonnolenza, sembra essersi svegliata. Varata la tanto attesa legge quadro nazionale, è ora tempo di nuovi progetti, come quei «parchi letterari» che dovrebbero nascere non tanto per emergenze naturali, quanto per il loro stretto collegamento con le parole della letteratura. L' idea era stata lanciata qualche tempo fa da Stanislao Nievo, poeta e letterato, nipote di Ippolito. Il Censis ha individuato le prime venti aree, tra cui i 500 ettari del parco «Il nido» di San Mauro Pascoli, in Emilia Romagna, che hanno ispirato «Myricae» e «Canti di Castelvecchio» di Giovanni Pascoli. Nella stessa regione Dante Alighieri si è meritato, con il XIV canto della Divina Commedia, 5000 ettari sull' Appennino romagnolo, nei dintorni della cascata dell' Acquacheta. Il Parco della Valle del Saturno, 2200 ettari in Lazio, è dedicato alle «Lettere famigliari» del Petrarca. Dalle «Satire» dell' Ariosto potrebbero sorgere 3500 ettari in Garfagnana Per il Boccaccio sono pronti a Firenze i «Palagi dell' Allegra Brigata». Potrebbe essere la volta buona anche per San Francesco d ' Assisi, che da anni attende che i 6300 ettari del Monte Subasio siano consacrati al «Cantico delle Creature». Omaggio anche a Leopardi, per il quale sono pronti 1500 ettari in comune di Recanati per il parco del «Natio borgo selvaggio». In Lombardia si sta definendo un itinerario manzoniano sulle sponde del Lago di Como. Dai versi della «Fiaccola sotto il moggio» di Gabriele D' Annunzio si propone nasca il «Parco del Sagittario», 6600 ettari di Appennino in provincia dell' Aquila, dove tuttavia il palazzo normanno che fa da sfondo alla tragedia è ormai trasformato in appartamenti pur mantenendo l' aspetto esteriore. Nel vicino Molise 500 ettari nella Valle del Trigno attendono protezione sotto il segno di Felice Del Vecchio. Ancora in buone condizioni è l' ambiente che fa da riferimento ai versi del Carducci, 14. 200 ettari di Maremma toscana, in provincia di Livorno, con al centro quel viale di Bolgheri mantenutosi in gran parte intatto e la vicina oasi naturale del Wwf. Il nume tutelare della Calabria sarà invece il Corrado Alvaro di «Genti d' Aspromonte», per un' area protetta intorno ai monti di San Luca, in provincia di Reggio Calabria. Basilicata e Puglia trovano rispettivamente nell' opera di Isabella Di Morra e Ferdinando Donno lo spunto per chiedere la tutela dell' area tra Baraco e Colimena e per la Valle del Sinni. Lo studio del Censis e del ministero Agricoltura e Foreste ha individuato la «Sicilia del Gattopardo», di Tomasi di Lampedusa, in 68 mila ettari tra le province di Trapani e Agrigento, mentre la Sardegna è quella delle «Canne al vento» di Grazia Deledda, 60 mila ettari per il parco in cui si potrà ritrovare il «Nuorese di Efix». Un' isola minore in cui l' ambiente raccontato non si dissocia molto da quello attuale è la napoletana Isola di Procida, 375 ettari per «L' isola di Arturo» di Elsa Morante. I versi di «Ossi di seppia» di Eugenio Montale aderiscono perfettamente ai tremila ettari in provincia di La Spezia destinati al parco «Cinque Terre: la casa delle estati lontane». L' area è da tempo all' attenzione dei naturalisti, ma non sarà facile spuntarla. Ippolito Nievo consentirà di trasformare in natura protetta «Le confessioni di un italiano», con il parco del Veneto orientale e il Castello di Colloredo, vicino a Udine, modello per il suo castello di Fratta. L' idea dei parchi letterari può essere sviluppata all' infinito: il Carso di Scipio Slataper, le colline di Pavese e Fenoglio, il Po di Bacchelli, le «Terre del Sacramento» di Jovine, l' Altopiano di Asiago di Rigoni Stern, la Lucania di Silone e di Carlo Levi... Walter Giuliano


AREE DA TUTELARE E adesso chi si occuperà delle foreste e delle lagune orfane del loro ministero?
Autore: FRAMARIN FRANCESCO

ARGOMENTI: ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 095. Parchi, ambiente

L' ABOLIZIONE per referendum del ministero dell' Agricoltura e foreste ha posto problemi anche agli ecologisti. Nella conservazione della natura questo ministero manteneva varie competenze, anche se alcune erano passate al nuovo ministero dell' Ambiente nel 1986 e altre alle Regioni nel ' 73 e ' 77. Comunque si voglia giudicare il verdetto del referendum, gli ecologisti non rimpiangono certo l' operato del Ministero nella conservazione della natura. Pur tenendo nel giusto conto la situazione storica, esso è stato troppo legato a poteri politici e a interessi economici, e non ha mai avuto la forza di promuovere le idee e i valori della conservazione, piombati sulla scena internazionale già dai primi Anni 70 (Anno europeo della natura, conferenza di Stoccolma, rapporto del Mit sui limiti dello sviluppo). Ora uno dei problemi sta nella utilizzazione, da parte delle strutture esistenti, delle strutture «abolite», con relative competenze, esperienze, dipendenti, specie quelli più preparati e appassionati. Da un lato è illogico e contrario alla Costituzione suddividere regionalmente materie per loro natura nazionali, come il controllo del commercio internazionale di piante e animali, la caccia alle specie non allevabili, la gestione dei Parchi. Dall' altro bisogna riconoscere che il pur giovane ministero dell' Ambiente mostra ancora tante e tanto gravi carenze da non essere all' altezza della situazione. Di particolare interesse sono, per gli ecologisti, i 91. 000 ettari di aree speciali, scorporate dal demanio passato a suo tempo alle Regioni e gestite dal ministero dell' Agricoltura: si tratta per lo più di foreste, ma anche di altri biotopi (dune, lagune, isole) di alto valore naturalistico, classificati come Riserve naturali dello Stato. Alcune di queste sono incluse nei parchi nazionali e la loro gestione sarà affidata alle rispettive amministrazioni. Ma anche le altre riserve naturali non dovrebbero essere disperse o declassate, di diritto o di fatto, bensì continuare a essere gestite insieme, da personale del Corpo Forestale dello Stato selezionato apposta, sotto le direttive del ministero dell' Ambiente. Poiché la legge quadro sui parchi nazionali dispone che la sorveglianza tocchi al Corpo Forestale dello Stato sotto le direttive del Ministero dell' Ambiente, non potrebbe essere questa l' occasione per la nascita anche in Italia di un Servizio dei Parchi e delle Riserve nazionali il quale, a imitazione del National Park Service degli Usa, si prendesse cura dei monumenti naturali più importanti del nostro paese in modo omogeneo, quindi più responsabile e più efficiente di quanto non sia oggi? Francesco Framarin


ANNO DELL' ANZIANO EUROPEO Si vive di più ma come? Manca una politica biomedica Nel 1980 i sessantenni erano 370 milioni
Autore: MULLER EUGENIO

ARGOMENTI: DEMOGRAFIA E STATISTICA, ANZIANI, TERZA ETA'
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: G. Popolazione maschile e femminile. Confronto degli anni 1900 1990 2050
NOTE: 096

IL nostro secolo sarà ricordato come quello in cui si è interrotta la selezione naturale della popolazione per l' allungamento progressivo della vita media. Consideriamo alcune cifre. Nel mondo la popolazione anziana cresce al ritmo annuo del 2, 4 per cento, più rapidamente cioè dell' intera popolazione, e questo fenomeno proseguirà anche nel 21 secolo. Nel 1980 sulla Terra vi erano 370 milioni di sessantenni, nel 2020 se ne prevede più di un miliardo. In Italia, gli attuali 10, 5 milioni di ultrasessantenni saranno 13 milioni nel 2015, uno ogni quattro abitanti. Un cittadino italiano che cinquant' anni fa aveva 4 probabilità su 100 di arrivare a 75 anni, oggi ne ha 58. Questo fenomeno sociale senza precedenti nella storia, che altera profondamente equilibri millenari, richiede al più presto interventi politici che riducano il carico della popolazione anziana sulla società, assicurino la disponibilità dei servizi socio sanitari per gli anziani, promuovano la loro partecipazione a una vita produttiva dal punto di vista economico e sociale. Consideriamo il ruolo che la ricerca biomedica esercita in un progetto che esige un intervento globale e che comprende aspetti medico biologici, socio sanitari, economici e culturali. E' chiaro che di fronte a un evento di questo genere il contenimento dei costi di per sè non può rappresentare una soluzione: la ricerca biomedica indirizzata alla conservazione della salute e all' autosufficienza deve ritenersi un elemento essenziale. Il prolungamento della vita genera, fra l' altro, una minor selezione della specie. E' evidente che individui che cinquant' anni fa non sarebbero arrivati all' età della procreazione oggi invece si moltiplicano con i loro difetti genetici, le carenze immunologiche, le alterazioni metaboliche. Povertà, solitudine, depressione spesso accompagnano la vita dell' anziano. E' compito della ricerca stabilire dapprima quali siano i marker biologici per un invecchiamento fisiologico e studiare le modificazioni delle funzioni organiche che più da vicino si correlano all' età. Gli obiettivi realistici che la ricerca può fissare a tempi relativamente brevi non sono l' accertamento dei meccanismi che determinano l' invecchiamento, ma la prevenzione e il ritardo della comparsa delle patologie correlate all' invecchiamento. Per esempio ritardare di 5 anni la comparsa della demenza di Alzheimer (una patologia dell' età senile che in Europa colpisce circa 7 milioni di persone e 400 mila in Italia) corrisponde a ridurne l' incidenza del 50 per cento. Un ritardo di 12 anni eliminerebbe la malattia come problema prioritario di salute pubblica. Il vantaggio in termini di costi economici e sociali, conseguito dall' introduzione di nuovi mezzi terapeutici, è evidente. Negli Stati Uniti esistono proiezioni per le malattie delle ossa che prevedono 1, 6 milioni di soggetti artrosici in meno per il 2015. Un risultato formidabile se si considera che le spese per le patologie del tessuto osseo assorbono, in quel Paese, ogni anno, 7 miliardi di dollari. Il Consiglio nazionale delle ricerche ha varato nel 1991 un Progetto finalizzato «Invecchiamento» che vede impegnati più di 200 gruppi di ricerca. Questo Progetto comporterà un investimento complessivo di 60 miliardi in 5 anni, cifra non indifferente se si considerano le scarse risorse destinate finora alla ricerca biomedica. Si deve aggiungere il Programma nazionale di ricerca per i farmaci, destinato in parte ai problemi dell' invecchiamento: avviato nel 1988, si concluderà quest' anno. Se tutto ciò in termini relativi rappresenta un impegno economico non indifferente, il risultato si prospetta assolutamente inadeguato in termini assoluti, considerando la necessità per una valida ricerca di tecnologie strumentali sempre più sofisticate e costose. Riprendendo l' esempio dell' Alzheimer, la cifra investita dal governo americano per il solo 1993 corrisponde a 300 miliardi di lire e le previsioni per il 1994 sono di 800 miliardi. La differenza con gli investimenti italiani è enorme, pur fatte le debite proporzioni. A ciò si aggiungono i tagli che si verificano a ogni varo di legge finanziaria, la tradizionale sclerosi della burocrazia con ritardi tra stanziamento ed erogazione della somma, i costi in aumento delle apparecchiature che dipendono fortemente dalle importazioni. Se l' invecchiamento della popolazione rappresenta per la società una sfida, non soltanto per i suoi risvolti sanitari, ma anche per quelli economici e culturali, la sensibilità della nostra classe politica a questo problema è piuttosto scarsa. I politici che presiedono alla Sanità si sono dimostrati molto più generosi nel sostenere la ricerca sui tumori e sull' Aids. Il progetto di ricerca sull' Aids riceve attualmente più di 130 miliardi in 5 anni, mentre un certo sottobosco politico si è occupato della vecchiaia solo come un «affare» da cui ricavare profitti illeciti. Ormai non c' è più tempo da perdere, bisogna che la classe politica, nazionale e regionale, affronti al più presto i problemi dell'invecchiamento della popolazione e provveda ai mezzi necessari per alleviarli. Ma la politica sanitaria da sola non può risolvere questi problemi. E' necessario anche il coinvolgimento dell' opinione pubblica che, sollecitata dai mezzi di informazione, è pronta a mobilitarsi per malattie che colpiscono il suo immaginario, ma che è meno recettiva per i problemi dell' invecchiamento. Infine una proposta: poiché il 1993 è l' Anno dell' Anziano Europeo dovremmo istituire da quest' anno e per gli anni a venire una «Giornata Nazionale dell' Anziano» in cui si raccolgano fondi a favore delle ricerche destinate alle grandi patologie dell' invecchiamento. Eugenio E. Muller Università di Milano


MORBO DI CROHN Effetto morbillo Forse il virus si riattiva
Autore: MUSSO ALESSANDRO, PERA ANGELO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 096

IL virus del morbillo sotto accusa come possibile agente patogeno del morbo di Crohn? E' la novità emersa in un convegno tenutosi recentemente a Sestriere, organizzato dal Dipartimento Sperimentale di Gastroenterologia dell' Ospedale Molinette di Torino. Vediamo il contesto, e i particolari dell' ipotesi avanzata. La malattia di Crohn (il medico che nel 1932 ne delineò il quadro clinico) è una patologia gastrointestinale di tipo infiammatorio, che colpisce più spesso soggetti di giovane età (in Italia i pazienti stimati sarebbero circa 60 mila); il decorso è cronico, caratterizzato dall' alternanza di fasi di remissione e benessere con altre di riacutizzazione (con dolore addominale, diarrea, febbre, calo ponderale). I numerosi tentativi volti a individuare la causa (sono state formulate teorie genetiche, batteriche, virali, autoimmunitarie) hanno sinora fornito esiti deludenti. Anche a ciò si deve la mancanza di terapie mediche realmente efficaci e la frequente necessità di ricorrere alla chirurgia, che peraltro non guarisce la malattia, ma rimedia solo alle sue complicanze più comuni, come stenosi e fistole intestinali. Estensione della malattia, frequenza e durata delle sue riacutizzazioni, insorgenza di complicanze associate, determinano la diversa «aggressività » della patologia e condizionano, in grado estremamente variabile, qualità di vita e prognosi del singolo paziente. A Sestriere si è discusso dei meccanismi biologici e cellulari alterati nell' intestino affetto da morbo di Crohn. Fiocchi (Cleveland, Usa) ha sintetizzato le complesse relazioni, solo parzialmente note, esistenti tra le varie componenti del sistema immunitario intestinale, patologicamente «attivato» nel corso della malattia. Sono stati inoltre presentati i risultati preliminari di approcci terapeutici sperimentali, come anticorpi monoclonali anti linfociti (K. Deusch, Monaco) e interferone, una sostanza biologica già utilizzata per la cura di leucemie ed epatiti virali croniche (P. Hadziselimovic, Basilea). Ma la vera novità, come dicevamo all' inizio, è giunta dalla relazione di A. Wakefield, un ricercatore inglese segnalatosi alcuni anni fa per aver messo in evidenza, nell ' intestino malato, microscopiche lesioni occlusive delle piccole arterie, sostenute a suo dire da un processo «vasculitico», cioè infiammatorio, a carico della parete del vaso. Veniva quindi formulata una nuova teoria, che si potrebbe definire «ischemica», in quanto considerava le tipiche lesioni della malattia come conseguenza di microinfarti della parete intestinale. Questa ipotesi è ora arricchita e completata dai risultati, non ancora pubblicati e presentati per la prima volta in questa occasione, dei suoi ultimi studi; sarebbero stati individuati agenti virali, analoghi per morfologia e immunoreattività a quelli della famiglia del virus del morbillo, in stretto rapporto con le lesioni vascolari microscopiche, di cui potrebbero essere la causa primitiva. In conclusione, virus atipici simili a quelli del morbillo, verosimilmente contratti in età infantile, sarebbero capaci di «riattivarsi» e di determinare, ad anni di distanza e in individui geneticamente predisposti, una risposta immune da parte dell' organismo. Il risultato sarebbe però un danno trombotico delle arteriole intestinali con occlusione delle stesse e una cronica, insidiosa ischemia intestinale: un infarto di origine virale? Alessandro Musso Angelo Pera Dipartimento sperimentale di gastroenterologia, Ospedale Molinette, Torino.


NUOVI FARMACI Squalamina, l' antibatterico isolato dallo stomaco degli squali dei nostri mari
Autore: BUONCRISTIANI ANNA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 096

PELLE di rana, stomaco di squalo... Potrebbe essere una ricetta da antro delle streghe, invece riguarda un laboratorio dell' industria farmaceutica Magainin della Pennsylvania. E' qui, infatti, che dal 1988 Michael Zasloff lavora a isolare, dalle fonti più strane, sostanze che possano diventare medicinali per l' uomo. Nel 1987 estrasse dalla pelle dello Xenopus iaevis (la rana con le unghie, comunemente allevata nei laboratori biologici e già usata per la diagnosi di gravidanza) una proteina che chiamò magainina, dall' ebraico magain, scudo, e che dette il nome alla società costituita per il suo sfruttamento. Essa si rivelò un potente antibiotico e aprì la strada a un vasto campo di ricerche. In collaborazione con la Sandoz, se ne sta ora studiando l' applicazione come antitumorale, mentre negli Stati Uniti è in corso la sperimentazione clinica di un suo analogo sintetico per la disinfezione locale nelle ulcere dei diabetici. Adesso uno degli scopi di Zasloff è trovare in altri animali sostanze antibiotiche, antivirali e antitumorali; ma il suo sogno è riuscire a indurre nell' organismo un aumento della produzione di antibiotici naturalmente presenti. Un suo lavoro recentissimo ci permette di riconciliarci con gli squali, i cui rapporti con l' uomo non sono mai stati dei più idilliaci. Zasloff ha infatti estratto un antimicrobico molto promettente dallo stomaco dello spinarolo imperiale (Squalus acanthias), uno squaletto che può raggiungere il metro di lunghezza, molto diffuso in tutto il mondo e presente anche nei nostri mari. La sostanza in questione è stata chiamata squalamina. E' un aminosterolo solubile in acqua, che uccide molti microrganismi, batteri, funghi e protozoi. La sua efficacia è paragonabile a quella dell' ampicillina e non è diminuita nè dal colore nè dagli enzimi proteolici. Ha così l' enorme vantaggio di poter essere assorbita nel tratto digestivo, il che permette di sommiistrarla per bocca. La magainina, invece, viene purtroppo degradata dagli enzimi dell' apparato digerente. Anna Buoncristiani


STRIZZACERVELLO Una foto due problemi
Autore: PETROZZI ALAN

ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 096

Una foto due problemi Un tizio sta guardando una foto. A un tratto gli viene chiesto: «Di chi è la foto che stai guardando? ». La risposta, un po' involuta ma corretta, è questa: «Non ho nè fratelli nè sorelle, ma il padre dell' uomo fotografato è figlio di mio padre». Chi è ritratto nella foto in questione? Se invece avesse risposto: «Non ho nè fratelli nè sorelle, ma il figlio dell' uomo fotografato è figlio di mio padre» chi sarebbe stato il soggetto del ritratto? Ragionate con calma e fornite le risposte alle due domande. La soluzione domani, accanto alle previsioni del tempo. (A cura di Alan Petrozzi)


LA PAROLA AI LETTORI CHI SA RISPONDERE? Computer bianchi solo per ragioni estetiche
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 096

ECCO due «risposte alternative» al quesito su televisori e segnale della trasmittente. La disputa è accesa] Un' antenna per la ricezione tv è composta da una schiera di più antenne e da un riflettore che impedisce, a buona parte del segnale incidente sull' antenna, di «passare oltre» questa. A un aumento indefinito di antenne riceventi collocate arbitrariamente nello spazio di irradiazione della trasmittente, corrisponde quindi una diminuzione del segnale che riesce a passare attraverso i vari «strati» di riflettori per giungere alle antenne più distanti. Diviene quindi necessario un aumento di potenza da parte della trasmittente perché il segnale sia da queste ultime captabile con intensità sufficiente. Ovviamente questa è una situazione limite. Federico Deri Torino Nella risposta pubblicata si dice che «il carico dell' antenna trasmittente è costituito dal sistema Terra atmosfera». Io preferirei considerare l' antenna trasmittente come sorgente di radiazioni elettromagnetiche che non interessano particolarmente nè la Terra nè l' atmosfera e che possono coprire spazi interstellari o arrivarci da satelliti artificiali. La conclusione è peraltro uguale a quella del lettore: il moltiplicarsi di antenne riceventi non richiede il potenziamento del segnale trasmesso. Molte antenne riceventi possono disturbarsi (schermarsi) a vicenda. Un disturbo di altro tipo, specie nel campo radio, può essere dovuto a emissioni secondarie delle stesse antenne riceventi. In tali casi un potenziamento del segnale è sempre utile, è come una voce forte che si sente meglio di una debole, soprattutto se l' ambiente è disturbato. Piero Andretti Milano Perché i computer e gli apparecchi per l' informatica in genere sono bianchi? Per una ragione che esula dal campo scientifico, ma risponde a esigenze puramente estetiche: il bianco sta bene dappertutto. Ipotizziamo per assurdo che l' uso del bianco sia dettato da una caratteristica tecnica, ad esempio dal fatto che il bianco non assorbe calore da fonti luminose, per cui potrebbe contribuire positivamente al problema della dissipazione termica, che è il tallone di Achille dell' elettronica moderna. Se così fosse, esisterebbe almeno una categoria di elaboratori tutti totalmente bianchi, invece c' è sempre almeno un controesempio. Fra i supercomputer, il Cray 48 YMP è rosso e nero e la Conncection Machine è nera. Tra i mini, il vecchio Honeywell Level era rosso e nero, tra le workstation i Silicon Graphics Iris Indigo usano il nero per i modelli base e l' azzurro per quelli di fascia alta. Tra i Pci, l' M24 era azzurro e nero, tra gli home computer il famoso Commodore 64 era grigio e lo Spectrum nero... E questi sono solo alcuni dei possibili esempi] Andrea Scapinello Torino Perché il latte portato a ebollizione forma in superficie quella caratteristica «pellicola» ? Il latte di mucca è costituito da acqua (circa 90 per cento), grassi (3. 5), proteine (4. 5), sali e vitamine. Il 10 per cento delle proteine è rappresentato dalle lattoalbumine. Quando il latte viene riscaldato, verso i 70 si forma una pellicola, dovuta alla lattoalbumina che si coagula a contatto con l' aria fredda. Contemporaneamente il latte «schiumeggia» perché si sprigionano i gas in esso disciolti. Questi, spingendo dal basso la pellicola, la alzano facendo «montare» il latte. Un' ultima osservazione: siccome il latte bolle a 101, non è corretto dire che la pellicola si forma soltanto a ebollizione avvenuta, dato che si presenta chiaramente già intorno ai 70 75. Andrea Pane Torino Come fanno alcune persone a «soffocare» lo sternuto? Semplicemente premendo il palato con la lingua. Così faccio io e vi assicuro che non è affatto una procedura pericolosa. Paola Sargiotto Ciriè (Torino) & Perché gli insetti sono così diffusi e numerosi rispetto alle altre specie animali? E perché hanno invaso ogni ambiente, ma non quello marino ? & E' proprio vero che il pane ha un sapore diverso se viene spezzato con le mani anziché tagliato con il coltello? Nicola Pozzato & Perché il materiale base del computer è il silicio? Danilo Brandone




La Stampa Sommario Registrazioni Tornén Maldobrìe Lia I3LGP Scrivi Inizio