TUTTOSCIENZE 19 maggio 93


Arcobaleni su misura Fenomeno emozionante, da riprodurre a piacere
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.
NOTE: 080

Puoi vedere un arcobaleno in una fontana usando il trucco della spanna per trovare dove metterti. Puoi anche vederlo nelle cascate, nelle nuvole, nello spruzzo dietro la barca a motore, nelle gocce sospese a una ragnatela, nella nebbia. La prossima volta che vedi un arcobaleno, cercane un secondo: è più grande e direttamente al di sopra, ma troppo scialbo per essere notato facilmente. E' fatto dalla luce del Sole che viene riflessa dentro le gocce non una ma due volte, prima di arrivare a te. I colori del secondo arcobaleno sono invertiti, con il rosso in basso. Se guardi dentro ad un arcobaleno, puoi vederne altri più piccoli. Osserva meglio: vedrai che il cielo appena sopra l'arcobaleno sarà più scuro di quanto non sia sotto. E se c'è un secondo arcobaleno, il cielo fra i due sarà scuro.


SCIENZA AL FEMMINILE Le donne in laboratorio Sarebbero più attente all' utilità della ricerca
Autore: OLIVERIO FERRARIS ANNA

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, DONNE, LAVORO, INCHIESTA
NOMI: FOSSEY DYANE, GOODALL JANE, GALDIKAS BIRUTE, LEVI MONTALCINI RITA
ORGANIZZAZIONI: SCIENCE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 077

UNO degli ultimi numeri della rivista Science è dedicato al binomio donne/scienza: vi si dibatte il ruolo delle donne nella ricerca e un possibile modo alternativo di fare scienza. Ma esiste una scienza al femminile che contempli una differenza rispetto a quella maschile? Un primo motivo di differenza, legato alle caratteristiche biologiche e culturali dei due sessi, consisterebbe in un diverso modo, degli uomini e delle donne, nell' inquadrare e interpretare i fenomeni che osservano. Un secondo motivo di differenza sarebbe un maggiore interesse delle donne per le conseguenze pratiche o utilità delle conoscenze che esse acquisiscono attraverso le loro ricerche, a differenza degli uomini, che tenderebbero a dare maggiore enfasi ai risvolti teorici. Le donne sarebbero in genere (per fattori culturali) più interessate alle persone che alle cose cosicché se gli uomini riescono a occuparsi di problemi teorici e tecnici in quanto tali, le donne, generalmente, rispondono meglio quando i problemi che affrontano riguardano le persone o l' ambiente. Una terza differenza consisterebbe nella minore preoccupazione delle donne di produrre rapidamente dati per avere successo e fare carriera: questa differenza porterebbe le scienziate ad avere tempi di lavoro più lunghi e quindi anche un rapporto meno cerebrale o «freddo», ma più empatico con il loro oggetto di studio. Queste differenze possono rappresentare uno svantaggio in alcuni ambiti, per esempio la matematica e le tecnologie, e un vantaggio in altri, per esempio le scienze umane o altre scienze meno «esatte», come la psicologia, la sociologia, la storia, l' antropologia. Un ambito in cui il diverso approccio, «maschile» e «femminile», è emerso in maniera netta è quello della primatologia. Negli ultimi trent' anni i risultati degli studi condotti dalle ricercatrici sui primati sono stati di tale rilievo da spingere un numero crescente di donne a confluire verso questo settore. L' approccio «femminile» di Jane Goodall (con gli scimpanzè ), di Dyane Fossey (con i gorilla) e di Birute Galdikas (con gli orango) ha consentito di ribaltare alcune interpretazioni «classiche» che erano state fornite dai ricercatori dell' altro sesso sull' organizzazione di gruppo dei primati e ha consentito di evidenziare una maggiore complessità e articolazione di rapporti e di strategie comunicative all' interno di una popolazione. In particolare, mentre i ricercatori si erano concentrati soprattutto su alcuni aspetti del ruolo esercitato dagli animali maschi che venivano considerati al centro delle dinamiche di gruppo (dominanza aggressività ) le ricercatrici hanno invece evidenziato come anche gli animali di sesso femminile esercitino un ruolo determinante nella coesione del gruppo, nella riproduzione e quindi nelle strategie della evoluzione. E' infatti dalle femmine che dipendono spesso le scelte sessuali, la sopravvivenza dei piccoli e la diffusione di alcune «mode culturali» che vengono trasmesse di generazione in generazione. Le primatologhe si accorsero del ruolo fondamentale svolto dalle femmine nel gruppo dei primati, non soltanto perché guardavano con un occhio diverso ai rapporti tra i due sessi, tra individui dello stesso sesso e tra adulti e piccoli, ma anche perché erano interessate ai comportamenti e al destino degli individui, non soltanto del gruppo nella sua totalità. La maggiore pazienza, attenzione per i fatti della «quotidianità » e la maggiore empatia delle donne hanno fatto sì che esse riuscissero ad entrare in stretto contatto con diversi elementi del gruppo comprendendone le strategie, il linguaggio non verbale e arrivando a comunicare con loro facendosi accettare come membri del gruppo. Alcune, infine, come Dyane Fossey, hanno anteposto la salvezza della specie studiata agli interessi scientifici, considerando più importante un lavoro meno remunerativo sotto il profilo della carriera, ma inteso a contrastare l' estinzione di alcune popolazioni poste in pericolo dagli interventi umani. I risultati delle ricerche svolte dalle primatologhe hanno avuto un impatto che va al di là della conoscenza del comportamento e dell' evoluzione dei primati: essi consentono di comprendere meglio anche l' evoluzione umana e quindi forniscono linee interpretative all' antropologia e alla stessa sociologia, due discipline in cui un' ottica «al femminile» potrebbe colmare quelle lacune che derivano da un' osservazione un po' troppo di parte del comportamento umano. Naturalmente, anche per le ricercatrici esiste, come per i ricercatori, il rischio che un' ottica di parte possa costituire una qualche forma di pregiudizio o limite metodologico. Il rischio esiste anche nel caso dei ricercatori omosessuali quando, ad esempio, conducono ricerche sulle possibili basi biologiche dell' omosessualità. «Science» indica dunque che vi sono ambiti della ricerca in cui l' ottica femminile può portare a dei successi o a cogliere dei nessi che i colleghi maschi non avevano o non avrebbero colto. E' così possibile che il crescente impegno delle donne nella ricerca scientifica possa privilegiare tematiche che sono state più sacrificate in passato per il prevalere degli interessi maschili. Se da un lato non si può generalizzare e considerare che ogni aspetto della scienza sia passibile di un approccio legato al genere (vi sono discipline come la fisica, la chimica e gran parte della biologia in cui la strategia e il metodo sono fondamentalmente simili per i due sessi), dall' altro, la scelta di alcuni temi di ricerca può dipendere sia dagli interessi del singolo ricercatore che dall' appartenere all' uno o all' altro sesso. E' questa una indicazione del fatto che il tema di ricerca è raramente un tema asettico, in cui l' occhio del ricercatore è totalmente staccato dalla realtà ma che il ricercatore sia per differenza di genere, sia per fattori culturali, sia per eventuali suoi elementi di giudizio e di pregiudizio dà sempre un apporto individuale che fa sì che una impresa scientifica risenta di fattori umani. Anna Oliverio Ferraris Università «La Sapienza», Roma


UNO STUDIO IN USA Ma in biochimica i maschi pubblicano di più perché pensano alla carriera
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 077. Uomini, donne, maschi, femmine

PERCHE' le donne che si dedicano alla ricerca scientifica producono meno dei colleghi di sesso maschile? Esiste anche una differenza di qualità, oltre che di quantità ? E a che cosa sono dovute queste differenze tra i due sessi? Dozzine di indagini negli ultimi vent' anni, svolte in campi diversi, talune durate decenni, usando una varietà di misure, hanno suggerito, se non dimostrato, una produttività minore del sesso femminile. Si son cercate spiegazioni nelle abilità individuali, nelle motivazioni, nello zelo oltreché nell' interesse. Sono state chiamate in causa differenze di educazione, di indirizzi di carriera, di scelte di lavoro. Gli obblighi verso la famiglia e i figli incidono certamente di più nelle donne che negli uomini. Non trascurabile potrebbe essere anche una serie di discriminazioni esistenti già dall' inizio della carriera, che renderebbero la carriera scientifica più difficile. Tante piccole differenze, che accumulandosi con il passare degli anni finirebbero con il produrre differenze di successo ben visibili. Nessuno di questi fattori è però riuscito finora a spiegare pienamente le differenze. Un nuovo studio di J. Scott Long del Dipartimento di sociologia dell' Università dell' Indiana in Usa riprende ora in mano quest' argomento, molto sentito nelle Università americane. Lo studio comprende circa 1200 laureati di ambo i sessi con un dottorato in biochimica conseguito nel periodo 1956 63 per gli uomini e 1950 67 per le donne e un totale di 25 mila articoli pubblicati sulle più importanti riviste internazionali. Tre fattori vennero presi in considerazione nel misurare la produttività: la frequenza delle pubblicazioni, il tipo di collaborazione (numero di autori e primo autore) e l' impatto sulla letteratura del campo specifico, cioè il numero di citazioni per articolo. Ogni articolo veniva così analizzato e pesato a seconda dell' importanza. I risultati dimostrano chiaramente che esiste una differenza nel numero medio di articoli per anno di carriera. La differenza è più notevole nei primi dieci anni, con una produttività femminile inferiore. Poi tende però a diminuire e addirittura a invertirsi negli ultimi anni della carriera. L' analisi dei dati dimostra che la differenza è dovuta sia a un numero maggiore di donne a produzione bassa o nulla sia a un numero minore di individui a produttività molto alta. Il numero minore di pubblicazioni si accompagna però a un' ottima qualità. I lavori scientifici scritti dalle donne sono più citati nella letteratura internazionale di quelli scritti dai colleghi maschi. In genere con il passare del tempo uomini e donne producono di meno ma la differenza tra i sessi diventa progressivamente minore a partire dal secondo decennio della carriera scientifica. Lo studio dimostra che il prodotto del lavoro di ricerca non è affatto ignorato o segregato a causa della differenza di sesso; al contrario viene ben riconosciuto dalla comunità scientifica. Fino a che punto si possano estendere tali risultati ad altri campi della scienza è difficile dire. Esistono però dati recenti nel campo della chimica, fisica, matematica e biologia che sembrano confermarli. Gli articoli di Scott Long non ci danno una spiegazione delle differenze tra i sessi ma la loro analisi ci porta a considerare alcuni nuovi campi di indagine per il futuro. L' argomento è molto caldo in Usa e il New York Times ha recentemente trattato le varie «forze culturali che ritardano l' accesso delle donne al lavoro scientifico». Ezio Giacobini Università del Sud Illinois


MECCANISMI VISIVI Il mistero dei ciechi vedenti Un residuo di percezione simile a un «sesto senso»
Autore: GALLI RESTA LUCIA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 077

C' era una filastrocca infantile che cominciava così: «Disse il sordo: sento un tordo. Disse il cieco: anch' io lo vedo... ». Era la filastrocca dell' inverosimile: un sordo non può sentire e un cieco non può vedere... Eppure non è sempre così. Seguendo il ritmo delle vibrazioni alcuni sordi possono danzare, e ci sono ciechi in grado di indirizzare lo sguardo verso un oggetto, di indicarne la posizione, di seguirne con gli occhi il movimento, pur senza vederlo. Allo sperimentatore che chiede loro di puntare un dito in direzione di uno stimolo luminoso, le persone affette da questo tipo di cecità solitamente negano di poter rispondere: poiché non vedono, ritengono privo di senso ciò che viene loro proposto. Chi accetta di tentare l' esperimento e di rispondere alle domande riguardanti gli oggetti presentati è convinto di rispondere a caso. Quando poi gli viene detto che la maggior parte delle volte ha indicato correttamente la posizione dell' oggetto, raramente ci crede, perché durante l' esperimento non ha mai visto niente. Soltanto di fronte a stimoli in movimento, alcuni soggetti affermano di avere la sensazione di qualcosa che si muove. La capacità di rispondere a ciò che non si vede consciamente ha una spiegazione nell' organizzazione dei centri del cervello addetti alla visione. Sul fondo dell' occhio, un tessuto di cellule nervose, la retina, colpita dalla luce, produce un segnale elettrico che varia al variare dell' immagine esterna. Questo segnale viene trasmesso attraverso le fibre del nervo ottico a particolari regioni del cervello. Il nucleo nervoso collegato alla retina dalla maggioranza delle fibre del nervo ottico è il nucleo genicolato laterale, che a sua volta trasmette l' informazione visiva a una regione della parte posteriore del cervello, la corteccia visiva primaria. Piccoli contingenti di fibre del nervo ottico collegano la retina a centri del cervello diversi dal nucleo genicolato. Coloro che hanno ancora la capacità di rispondere a immagini che pure non vedono, hanno perso la vista a causa di lesioni della corteccia visiva primaria. L' integrità della corteccia visiva primaria sembra essenziale alla percezione conscia, ma anche quando questa regione cerebrale non possa più svolgere la propria funzione, e persino in casi di completa assenza di un emisfero cerebrale, ci sono ancora regioni del cervello che ricevono informazioni sulle immagini esterne, grazie a quei piccoli gruppi di fibre del nervo ottico che vanno a innervare nuclei diversi dal nucleo genicolato. Questo sistema visivo residuo è alla base della «vista cieca» (una traduzione impropria del termine inglese blindsight con cui viene indicato il fenomeno). Esso non consente la percezione conscia dell' immagine, ma fornisce indicazioni sufficienti sul mondo esterno ai centri cerebrali che controllano alcuni comportamenti. Una prova che permette di accertare se parte del sistema visivo è ancora funzionante consiste nell' osservare le pupille dei pazienti. Se la cecità è dovuta puramente alla perdita della corteccia visiva primaria, le pupille conservano la proprietà di cambiare di diametro in risposta a variazioni della luce diffusa nell' ambiente Le possibilità della «vista cieca» sono straordinarie: due pazienti affetti da cecità corticale si sono mostrati in grado di allungare con precisione la mano verso oggetti che non vedevano e di afferrarli, modellando la presa della mano alla forma degli oggetti prima di averli toccati; altri hanno mostrato di poter usare il significato di una scritta che non vedevano per scegliere tra due diverse parole che venivano loro successivamente proposte. Il test della capacità visiva residua non fornisce solo indicazioni uniche sul funzionamento delle vie visive umane. I pazienti affetti da cecità corticale che hanno collaborato a vari esperimenti mostrano un affinarsi della capacità di rispondere a ciò che non vedono, forse per un effettivo miglioramento con l' esercizio, ma anche perché, per loro stessa ammissione, acquistano fiducia in questa «vista cieca». Lucia Galli Resta Istituto di Neurofisiologia del Cnr, Pisa


PROTEZIONE CIVILE: DIBATTITO A UDINE Calamità innaturali Solo 125 miliardi per la prevenzione
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, SCIENZA
NOMI: BARBERI FRANCO
ORGANIZZAZIONI: SERVIZIO NAZIONALE DI PROTEZIONE CIVILE
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C. T. Il costo dell' emergenza. Stanziamenti per gli interventi: terremoti, frane, emergenza idrica, calamità varie
NOTE: 078

CHE cosa possono fare la scienza, la tecnologia e i mezzi di comunicazione per limitare i danni di eventi catastrofici, siano essi naturali o riconducibili a responsabilità umane? Molto, hanno risposto le decine di esperti di tutto il mondo che dal 6 all' 8 aprile a Udine hanno partecipato a Europrotech. A condizione però che si crei una vera e propria cultura dell' emergenza: cioè una cultura che dia organicamente la propria impronta alla prevenzione, alla gestione dell' evento catastrofico e alla successiva ricostruzione. Potremmo dire che, in certo senso, l' emergenza deve, per quanto possibile, diventare normalità. E' questo, in fondo, lo spirito della legge istitutiva del Servizio nazionale di protezione civile varata il 24 febbraio 1992. Ferma restando la necessità di interventi sull' urgenza, è necessario predisporre una politica coerente e costante nelle sue scelte, in modo che alla calamità venga meno l' elemento sorpresa. Se guardiamo agli ultimi dieci anni, purtroppo le cose sono andate in direzione opposta. Tutti i problemi (terremoti, alluvioni, frane, siccità e così via ) sono stati affrontati come urgenze improvvise, mentre è mancata qualsiasi strategia di lungo periodo. Lo si vede bene da come la Protezione civile ha speso gli undicimila miliardi a sua disposizione dal 1982 al 1990: 5272 miliardi sono andati a interventi anti terremoto e 1925 a eventi alluvionali; 1112 miliardi sono stati spesi per dissesti idrogeologici, 1076 per calamità varie, 835 per emergenze create da inquinamenti, 566 per emergenze idriche. Soltanto 125 miliardi sono invece stati spesi in attività di previsione e prevenzione, e appena 100 miliardi nella difesa del suolo. Quest' ultimo è un dato tanto più grave se si ricorda che quasi due terzi del territorio nazionale sono a rischio (su 300 mila chilometri quadrati, 48 mila sono classificati «franosi» e 138 mila «poco stabili» ). Nel caso del rischio sismico, per fortuna, qualcosa si è fatto. Da qualche anno, grazie all' Istituto nazionale di Geofisica presieduto da Enzo Boschi, è in funzione una buona rete di rilevamento che invia i dati in tempo reale alla sede centrale di Roma. E proprio in questi giorni è stato presentato un laboratorio mobile per la valutazione dell' adeguatezza antisismica degli edifici messo a punto dall' Ismes nell' ambito del progetto finalizzato «Edilizia» del Consiglio nazionale delle ricerche. Rimangono scarsissime, invece, le difese contro alluvioni, emergenze idriche dovute a siccità, inquinamenti causati da incidenti nell' industria e nei trasporti o da smaltimento illegale di rifiuti. Un caso a sè è costituito dal rischio vulcanico. A fronte dei buoni risultati ottenuti da Franco Barberi nel controllare l' ultima eruzione dell' Etna, Roberto Rosacroce, docente di vulcanologia all ' Università di Pisa, ha presentato recentemente un quadro estremamente preoccupante di quanto potrebbe accadere se dovesse tornare in attività il Vesuvio, un gigante addormentato che tiene settecentomila persone sotto la sua minaccia diretta. A Udine un convegno apposito ha discusso il problema della comunicazione in caso di grandi calamità, una questione essenziale in quanto informazioni sbagliate o avventate possono avere conseguenze non meno gravi della calamità stessa. La stampa italiana si è osservato in questi casi cade quasi sempre in uno schema retorico che passa per tre fasi: la prima è quella della notizia shock, spesso approssimativa, mirata alla massima drammaticità (migliaia di morti... eccetera) anche per motivi di concorrenza; la seconda è una fase aneddotica, in cui della catastrofe vengono raccontati micro episodi assunti a emblema, con taglio ancora sentimental emotivo (il bambino che ha avuto la famiglia sterminata estratto dalle macerie ancora vivo... ); la terza, infine, è la fase che può esser definita razional catartica in quanto tende alla identificazione di un qualche «colpevole» (ritardi nei soccorsi, responsabilità politiche e amministrative, «la catastrofe poteva essere evitata» e così via) e con ciò a chiudere la vicenda. A questo copione di solito regolarmente reinterpretato ad ogni calamità, si tratti di terremoti, alluvioni o incidenti tipo Cernobil, sarebbe invece opportuno sostituire una cultura dell' emergenza da costruire giorno per giorno con una seria informazione scientifica e tecnica, mettendo poi il giornale o la tv al servizio della Protezione civile quando effettivamente la calamità si verifichi. Per i lettori, un arido elenco di dispersi o di ricoverati in ospedale è un servizio più utile che non un elegante reportage di «colore». Piero Bianucci


OTTICA Lenti nuove scrutano i cieli Rinasce il telescopio rifrattore Un vetro speciale permette di costruire obbiettivi di grandissima qualità e con limitata distanza focale
Autore: FERRERI WALTER

ARGOMENTI: OTTICA E FOTOGRAFIA, TECNOLOGIA, ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 078

I progressi compiuti in astronomia vanno quasi sempre di pari passo con quelli degli strumenti d' osservazione: la stessa rivoluzione copernicana che sembra non aver avuto bisogno di particolari attrezzature solo dopo l' invenzione del telescopio venne pienamente confermata. I primi strumenti ottici (XVII secolo) adibiti all' osservazione del cielo avevano come obiettivo una sola lente e fornivano immagini nitide e con un accettabile grado di contrasto solo a patto di avere una lunghezza focale spropositata rispetto al diametro dell' obiettivo (ad esempio 20 metri per un diametro di 10 centimetri). Verso la fine del XVIII secolo un avvocato londinese scoprì che accostando due lenti di tipo diverso era possibile diminuire di molto questa lattescenza ed avere immagini brillanti e molto nitide. Era nato l' obiettivo acromatico, così chiamato perché elimina soprattutto l' inconveniente noto come aberrazione cromatica. Grazie a questa soluzione fu possibile costruire grandi telescopi a lenti come quello da 83 centimetri di Meudon (Parigi) o quello da 102 di Yerkes (Wisconsin). Già nel secolo scorso però era ben noto che anche l' obiettivo acromatico non era del tutto esente dall' aberrazione cromatica, pur riducendola di circa 18 volte rispetto alla lente semplice. Con la costruzione di grandi obiettivi, indispensabili per studiare astri deboli o remoti, l' inconveniente tendeva a ripresentarsi. Lo stesso accadeva per gli obiettivi di dimensioni più modeste quando si voleva realizzarli con una minor distanza focale per ottenere strumenti più compatti. Perché l' aberrazione cromatica non desse fastidio, erano necessari strumenti tanto più lunghi quanto maggiore era il loro diametro. Una piccola apertura, cioè un diametro di 15 centimetri, richiedeva una lunghezza di oltre 2 metri e una di 50 centimetri avrebbe richiesto ben 28 metri ] In pratica tutti i grandi telescopi a lenti presentano una lunghezza minore, compreso quello inizio secolo, oggi smantellato, da 125 centimetri di Parigi. La lunghezza era di 60 metri, ma per rendere trascurabile l' aberrazione cromatica avrebbe dovuto essere di almeno 175 metri] Di conseguenza le immagini fornite dai grandi rifrattori mostrano un sensibile e talvolta modesto residuo di aberrazione cromatica. I tentativi per eliminare questo residuo, o «spettro secondario», iniziarono già nel secolo scorso ma i risultati furono solo in parte soddisfacenti, e soprattutto ciò si raggiungeva a discapito di altre caratteristiche positive, in primo luogo l' ampiezza del campo di veduta. Solo recentemente questo annoso problema ha ricevuto una soluzione praticamente definitiva e pienamente soddisfacente per diametri medio piccoli, e questo grazie alla messa a punto di nuovi vetri. In realtà già dagli Anni 80 erano presenti sul mercato delle ottiche con queste caratteristiche che utilizzavano un elemento alla fluorite. La fluorite (fluoruro di calcio) è un cristallo fatto crescere artificialmente, con qualità ottiche ideali. Sfortunatamente a queste caratteristiche si accompagnano un costo altissimo e instabilità termica in ambienti umidi o costantemente mutevoli. Ma all' inizio degli Anni 90 hanno fatto la loro apparizione i nuovi vetri siglati Ed, dove le due lettere stanno ad indicare Extra low Dispersion (bassissima dispersione). Questo nuovo materiale, composto da potassio e fluoro, ha proprietà ottiche analoghe alla fluorite ma senza la sua instabilità termica, nè il suo prezzo proibitivo. Tutti i raggi luminosi vengono focalizzati nello stesso piano, con correzione praticamente totale dell' aberrazione cromatica, come nei telescopi riflettori, ma con una qualità di gran lunga superiore. E' stato scritto che un rifrattore apocromatico ha la capacità di mostrare astri tanto deboli quanto un riflettore di diametro doppio] Proprio come accadeva al tempo di Fraunhofer (verso il 1820), quando i suoi rivoluzionari rifrattori acromatici erano accreditati di rivelare stelle raggiungibili solo con i riflettori metallici dell' epoca di apertura almeno doppia. Grazie a questa innovazione il telescopio a lenti, o telescopio rifrattore, nei diametri rivolti ai dilettanti, è letteralmente rinato. Ciò che in passato si poteva ottenere con lunghezze di 2 metri, oggi si ottiene con 1 metro, ed ancora con risultati ottici globali migliori. Le immagini degli astri viste attraverso questi strumenti sono davvero entusiasmanti per nitidezza e contrasto. I panorami lunari appaiono «scolpiti», tanto è vistosa la brillantezza dell' immagine. Senza dubbio queste nuove e stupefacenti ottiche concorreranno ad allargare la schiera, già ampia, degli appassionati del cielo. Walter Ferreri Osservatorio astronomico di Torino


AL SALONE DI TORINO Il vecchio libro è la vera realtà virtuale Dal mondo simulato al computer una rivoluzione degna di Gutenberg?
Autore: INFANTE CARLO

ARGOMENTI: INFORMATICA, ELETTRONICA
NOMI: ANTINUCCI FRANCESCO
ORGANIZZAZIONI: SALONE DEL LIBRO, MUZZIO, SONDA
LUOGHI: ITALIA, TORINO
NOTE: 078

NON è un caso che anche il Salone del Libro di Torino la cui apertura è ormai imminente abbia enfatizzato come «prima macchina virtuale» proprio l' oggetto libro. Una buona idea, speculativa nel senso buono del termine, ma anche fittizia se consideriamo che intorno al «virtuale» al Lingotto, dal 20 al 25 maggio, non accadrà nulla. Nulla se non qualche incontro autogestito da alcune case editrici come Sonda (nello stand della sua rivista Multimedia) e la Muzzio per presentare «L' impresa virtuale. I nuovi modi di lavorare» di Denis Ettighofer fresco di stampa. Eppure ci sarebbe molto da dire sul rapporto tra libro e virtualità finalmente intesa non solo come tecnologia «immersiva» non con caschi e interfacce ma come approccio diffuso all' immaterialità dell' elettronica. Una condizione in cui le tecnologie dell' informazione possono creare nuove opportunità di conoscenza e di apprendimento. Il fatto che il «virtuale» si stia sempre più rivelando come una metafora chiave di questo momento culturale è indicativo. Il virtuale ci introduce in un mondo in cui il rapporto tra uomo ed elettronica si fa sempre più caldo, più sensibile, più amichevole. Si sta infatti superando quella cultura della meccanica per cui tra uomo e macchina esiste un rapporto duro e faticoso. Quella che si delinea è una rivoluzione culturale più radicale di quella provocata dalla televisione, o dal telefono, o per altri versi dalla fotografia. Un rivolgimento che nei prossimi decenni si potrà paragonare a quello prodotto nel Quattrocento con l' invenzione di Gutenberg, la stampa Il virtuale è di fatto inscritto come approccio percettivo, come consumo culturale, nel fenomeno della multimedialità che in gran parte si viene configurando con l' editoria elettronica. Stanno emergendo dal mercato tecnologico di consumo i nuovi standard a lettura ottica, i compact disc (CD I, CD ROM, CDTV) che tendenzialmente condivideranno il prossimo mercato editoriale con il libro. Inutile giocare su banali contrapposizioni; si tratta di «media» diversi che vanno resi bensì compatibili e funzionali tra loro invece che separati secondo una atavica diffidenza tra umanesimo e tecnologia. Ciò che difficilmente viene compreso è che nell' utenza multimediale e virtuale si attivano straordinarie capacità cognitive, come ha dimostrato Francesco Antinucci dell' Istituto di Psicologia del Cnr di Roma al recente workshop sulle Realtà Virtuali al Dipartimento di Scienze dell' informazione dell ' Università di Milano. Una di queste nuove potenzialità è data dalla «lettura ipertestuale», che permette di navigare in un campo di informazioni, testi e immagini, raccogliendo continuamente indizi paralleli secondo le procedure per associazioni di idee proprio nel nostro cervello. Uno dei primi prodotti editoriali italiani di narrativa ipertestuale (o «hipertext fiction), «RA DIO» della Elettolibri verrà presentato durante il Salone del Libro, il 21 e 22 maggio, allo YoYo Club (Torino, via Burzio 8). Un' occasione per consultare anche altri prodotti dell' editoria elettronica: Cd interattivi e Cd rom come il «Videocittà » della Seat. Carlo Infante


La tarantola americana Ragni in pelliccia I peli, un' arma e un organo di senso
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 079

STACCARSI di dosso un ciuffo di peli e scagliarli contro un nemico, ecco una maniera piuttosto insolita e originale di difendersi. E' la tecnica del ragno più grosso del mondo, la Theraphosa leblondi, la tarantola americana che vive nelle foreste della Guiana e del Venezuela, ha il corpo lungo una decina di centimetri, pesa più di cento grammi e, a zampe distese, raggiunge la bellezza di 30 centimetri. Ed è tutta ricoperta da peli lunghissimi, tanto lunghi che le fanno persino da paracadute quando si lancia nel vuoto. Una prerogativa che condivide con tutta la famiglia a cui appartiene, quella degli Avicularidi. Il nome è tutto un programma. Significa che questi ragni monstre sono capaci di far fuori persino gli uccelli (avis in latino significa appunto uccello). Naturalmente non uno struzzo o un' aquila, ma uccelli di piccola mole. Normalmente però il loro menù è costituito da ratti, serpentelli anche velenosi (al cui veleno sono evidentemente immuni), lucertole, anfibi, insetti vari. Samuel D. Marshall, uno studioso americano che è sempre stato un appassionato di ragni, ha condotto una ricerca sulla Theraphosa leblondi nelle montagne della Guiana francese. Scopre un nido scavato nel terreno, il cui ingresso è occultato da una fitta ragnatela e da uno strato di foglie secche. Nell' interno scorge una grossa femmina che tiene stretto il suo bozzolo di uova. Non appena il suo nido è scoperchiato, il ragno lancia un potente sibilo, un segnale intimidatorio volto a scoraggiare l' intruso. Naturalmente il ricercatore non si lascia intimidire e continua lo scavo per mettere il ragno allo scoperto. A questo punto la Theraphosa cosa fa? Lancia una nuvoletta di peli che raggiungono le mani del ricercatore causandogli un vivo senso di prurito. Marshall li inspira in parte e avverte un forte senso di bruciore alla gola. Sono i meccanismi di cui il ragno si avvale per difendersi dagli attacchi dei coati e dei pecari. Gli avicularidi potrebbero anche mordere e iniettare il veleno, ma questa è per loro l' ultima ratio. Il morso delle tarantole è sufficiente a uccidere un topo: nonostante la pessima fama di cui godono, non sono però mortali per l' uomo. In verità, i peli che sporgono dalla cuticola hanno nei ragni molte funzioni. Possono essere organi tattili, gustativi, olfattivi. Possono servire per sentire i mutamenti climatici, trovare cibo, avvicinare il partner o scoprire la presenza dei predatori. Solo nelle tarantole americane sono opportunamente modificati per la funzione difensiva. E le femmine, quando tessono il bozzolo che dovrà contenere le uova, si staccano ciuffi di peli dall' addome e li incorporano nella seta del bozzolo per far sì che le larve abbiano un' arma di difesa. A furia di staccarne peli, le parti laterali dell' addome diventano glabre. Ma niente paura. Alla prossima muta il corpo sarà nuovamente rivestito di quei peli tanto necessari alla difesa del ragno. Se ragni giganti come gli avicularidi fabbricassero tele proporzionate alla loro mole, farebbero vere e proprie lenzuola di seta come quelle che tessono i ragni sociali. Invece le loro opere di tessitura, pur essendo elaborate e complesse, non si notano facilmente, per la semplice ragione che questi ragni scavano tane sotterranee che tappezzano accuratamente di seta, sicché la ragnatela non si vede dall' esterno. Una cura particolare viene però dedicata al rivestimento dell' uscio di casa, il coperchio che chiude l' imbocco della tana. E' un coperchio che aderisce perfettamente al foro di apertura e la chiude ermeticamente quando è abbassato. La porta viene fissata al terreno da molti fili di seta che fanno da cardine Il bello è che la porta risulta praticamente invisibile dall' esterno perché il ragno ha cura di coprirla con materiali tratti dall' ambiente circostante: erba, sabbia, sassolini. Come per tutti i ragni di sesso maschile, anche per le tarantole americane l' amore è una cosa tremendamente complicata, per difficoltà anzitutto di ordine tecnico. Il ragno non possiede un organo copulatore e deve ricorrere a un surrogato per immettere lo sperma nel corpo femminile. Il surrogato è costituito dai pedipalpi, le appendici che precedono il primo paio di zampe e sono opportunamente modificate per la bisogna. Terminano infatti con un bulbo contenente un tubolino avvolto a spirale. Il ragno tesse un minuscolo fazzoletto di seta e vi depone sopra una goccia di sperma. Poi in quella goccia immerge l' estremità dei pedipalpi, che assorbe il liquido spermatico così come noi aspiriamo il medicinale con una siringa. Una volta che il tubolino si è riempito di sperma, il ragno è pronto a far l' amore. La difficoltà tecnica è superata. A questo punto il maschio deve però fare i conti con l' umore bisbetico della futura consorte, assai più grossa di lui. Bisogna che la trovi dell' umore giusto per portare a termine la funzione fecondativa. Una volta assolto il suo compito, quando ci riesce, la prudenza gli consiglia di filarsela all' inglese con la massima velocità che gli consentono le sue otto zampe. Per ché, riavutasi dal momento di abbandono, la femmina ridiventa terribilmente aggressiva e in alcuni casi il marito le serve da cena. Va detto però, a onor del vero, che si conoscono più di 35 mila specie di ragni e nella stragrande maggioranza il maschio non corre il rischio di essere mangiato. Ma come spesso succede, il cattivo comportamento di pochi infanga la reputazione di tutta la famiglia. La vita del maschio in ogni caso è breve. Poco dopo aver adempiuto alla sua missione fecondatrice, muore. La femmina invece ha vita più lunga, perché ha altri doveri da compiere. Dopo l' amore, l' attendono i compiti della maternità. Fabbrica il bozzolo, alternando, nella Theraphosa leblondi, strati di seta e ciuffi di peli protettivi, vi depone circa tremila uova e si porta dietro il bozzolo senza abbandonarlo nemmeno per un istante. Però se le prede scarseggiano e la madre non riesce a trovare cibo, non ci pensa su due volte e si mangia tranquillamente le uova che fino a quel momento aveva così amorosamente protetto e difeso. E quando i ragnetti risparmiati dall' appetito materno sgusciano dalle uova, anche loro non sono da meno. La maggior parte rimane vittima di fraterno cannibalismo. Si mangiano allegramente tra loro. E di quelle tremila uova solo pochissime daranno origine a piccoli che riescano a scamparla e a raggiungere l' età adulta. Isabella Lattes Coifmann


ARTERIOSCLEROSI Fibrinogeno, il nemico ignorato E' molto più pericoloso del colesterolo
Autore: TRIPODINA ANTONIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 079

DA una recente indagine condotta in Italia risulta che ben il 97 per cento degli intervistati sa che cosa sia il colesterolo. Quanti dello stesso campione avrebbero saputo dire cos' è il fibrinogeno? Eppure tra i fattori causali dell' arteriosclerosi è l' elemento più importante dell' altra metà del cielo, di quella metà che non riconosce preminente un' alterazione del metabolismo lipidico, bensì una disfunzione del sistema della coagulazione. Cioè di quel sistema deputato a mettere un «tappo» (coagulo o trombo) là dove si crea una lesione della parete vasale, in modo da evitare possibili emorragie; tappo che viene rimosso per fibrinolisi dall' enzima plasmina, una volta che il danno sia stato riparato. In questo sistema «emostatico» il fibrinogeno (proteina prodotta dal fegato) è un protagonista assoluto, svolgendo un ruolo cruciale sia nella sequenza che porta all' aggregazione piastrinica, sia in quella che porta alla formazione del coagulo stabilizzato. I vari fattori della coagulazione non entrano in campo fino a quando l' endotelio, il rivestimento interno dei vasi, è intatto. Ma non appena si verifica un danno a carico di questa struttura, ecco innescarsi una complicatissima reazione a catena che solo in minima parte può essere così sintetizzata: le piastrine «attivate» ricoprono il collageno sotto entoteliale scoperto e vi aderiscono, in ciò favorite da glicoproteine «adesive» (fattore di von Willebrand, fibronectina) prodotte dalle cellule dell' endotelio. Le stesse piastrine vengono quindi fra loro «aggregate» dal fibrinogeno (che svolge funzione di ponte fra cellula e cellula, ancorandosi a specifici recettori posti sulla loro superficie), formando il trombo piastrinico, ancora reversibile; il trombo viene infine «stabilizzato» da un reticolo proteico costituito da fibrina, la quale che deriva dal fibrinogeno per azione della trombina. Il danno all' endotelio il più delle volte è provocato da una fissurazione di una sottostante placca arteriosclerotica, ma può anche dipendere da flussi arteriosi turbolenti (specie sulla biforcazione dei vasi) in corso di ipertensione arteriosa o per liberazione di catecolamine (stress) o da reazioni immunologiche. A volte, tuttavia, il processo descritto si verifica in modo sbagliato, al posto sbagliato. Può capitare che il processo «riparativo» vada oltre la necessità (specie se gli stimoli lesivi sono ripetuti), con la formazione di un trombo esuberante; oppure che il sistema fibrinolitico deputato alla rimozione del trombo sia poco efficace (per esempio per un eccesso in circolo della lipoproteina A, che ha azione inibente). Ecco allora il trombo diventare occludente (trombosi), con conseguenze di scarsa irrorazione (ischemia) diverse a seconda del punto interessato (infarto del miocardio, ictus cerebrale, arteriopatie periferiche) Altra eventualità è che questo trombo si sfaldi, mandando in circolo frammenti che vanno ad occludere vasi lontani (embolia). Un alto tasso di fibrinogeno circolante (oltre i 300 milligrammi per decilitro) ha la sua responsabilità riconosciuta nell' indurre deviazioni del sistema emostatico, indipendentemente dalla presenza o meno di altri fattori di rischio. Ciò è ampiamente dimostrato da numerosi studi prospettici, che hanno «monitorato» per lunghi periodi di tempo gruppi di persone considerate inizialmente sane per valutare quale dei numerosi fattori di rischio fosse maggiormente «predittivo» di futuri episodi ischemici cardio circolatori. Ebbene, al primo posto al di sopra della stessa ipercolesterolemia, è risultato essere l' alto livello di fibrinogeno nel sangue. Così lo studio Aric (Atherosclerosis Risk in Communities), che ha seguito dal 1986 al 1989 negli Stati Uniti (Houston) 16. 000 soggetti tra i 45 e i 64 anni; lo studio Nphs (North wick Park Heart Study), che ha seguito 1511 londinesi per circa 10 anni; il Goteborg Study, che ha valutato 792 svedesi per 13 anni. Diverse sono le situazioni che possono indurre l' innalzamento del livello di fibrinogeno: il fumo, l' obesità, il diabete mellito, l' iper colesterolemia, l' iper trigliceridemia (specie se associata a bassi livelli di colesterolo Hdl), l' uso di contraccettivi orali, la menopausa, l' età avanzata, le variazioni marcate della temperatura. Per la prima volta nel 1991 un gruppo di ricercatori australiani (Annette Dobson e collaboratori del «Centre for Clinical Epidemyology and Biostatistic» del Royal Newcastle Hospital) ha dimostrato che anche il fumo «passivo» può alzare il tasso di fibrinogeno, attribuendo a ciò la maggiore incidenza (due volte e mezzo) di disturbi coronarici in un gruppo di 43 donne fumatrici passive rispetto a donne non esposte. Ricercatori scozzesi (Fowkes e collaboratori, della «Walfson Unit for Prevention of Perifereal Vascular Disease» dell' Università di Edimburgo), hanno recentemente riferito (Lancet, 330, 693) di una loro ricerca su 300 arteriopatici per valutare se un' alterazione del gene deputato alla sintesi del fibrinogeno fosse associata a un maggior rischio di arteriosclerosi, avanzando come ipotesi (ancora da confermare) che ciò possa accadere o per una eccessiva produzione di fibrinogeno o per una produzione della proteina con caratteristiche fisico chimiche anormali o per il verificarsi di un «linkage desequilibrium» (squilibrio con un gene vicino implicato nel processo aterogenico). Sebbene si sia ancora molto lontani dal chiarire in modo soddisfacente i vari processi che conducono all' arteriosclerosi, il dimostrato valore predittivo del tasso del fibrinogeno dovrebbe fare di esso un marker indispensabile nella valutazione complessiva di un potenziale rischio cardio vascolare. Antonio Tripodina


RICERCA TORINESE Perché cresce la cicatrice dell' ustione Una reazione immunitaria eccessiva causa guai estetici e funzionali
Autore: CASTAGNOLI CARLOTTA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: FONDAZIONE PIEMONTESE PER LE RICERCHE SULLE USTIONI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 079

OGNI anno si verificano migliaia di incidenti che causano ustioni di diversa gravità. Per quanto ben curate, le lesioni possono lasciare cicatrici particolarmente deturpanti. Sono le «cicatrici ipertrofiche», invalidanti dal punto di vista sia estetico sia funzionale. Appaiono come grosse piastre indurite e arrossate, dolorose. Provocano un intenso prurito e spesso, se sono in corrispondenza delle articolazioni, limitano il movimento. Recenti ricerche hanno mostrato che queste cicatrici, diversamente da quelle normali, sono sede di una reazione anomala e incontrollata. Uno studio della Fondazione Piemontese per le Ricerche sulle Ustioni condotto nel laboratorio di Immunogenetica dell' Università di Torino ha provato che la cicatrizzazione ipertrofica può essere considerata una risposta patologica del sistema immunitario, che arriva a danneggiare i propri tessuti. Questo tipo di risposta, come altre malattie di tipo infiammatorio, è caratterizzato dalla comparsa, sulla superficie delle cellule del tessuto colpito, di molecole «di attivazione» che normalmente si riscontrano solo sui globuli bianchi del sangue, cioè su cellule specializzate del sistema immunitario. Il fatto anomalo e caratteristico è che tutte queste molecole di attivazione sono presenti nelle cellule del tessuto cicatriziale ipertrofico mentre non si ritrovano nei tessuti delle cicatrici normali. Un' altra osservazione interessante riguarda la produzione di citochine da parte dei globuli bianchi che infiltrano il tessuto cicatriziale. I globuli bianchi, quando devono fronteggiare un' invasione estranea, producono una serie di mediatori chimici (le citochine) che hanno la funzione di stimolare e regolare la risposta immunitaria. Sorprendentemente si è visto che nelle cicatrici ipertrofiche da ustione è quasi completamente assente uno di questi mediatori chimici, la citochina TNF alfa, che tra le sue varie attività è anche coinvolta nella produzione di collagene. Le cicatrici ipertrofiche sono caratterizzate da una continua produzione di tessuto connettivo di cui il collagene è appunto un costituente fondamentale: potrebbe la scarsa produzione della citochina TNF alfa essere in correlazione con la sregolata produzione del tessuto connettivo? Queste scoperte inducono alcune osservazioni. Il tessuto ustionato è certamente un punto di raccolta di elementi estranei all' organismo, quali molecole alterate derivanti dalla distruzione dei tessuti e microrganismi infettanti, che devono essere riconosciuti ed eliminati per mezzo di reazioni immunitarie. Alcuni individui, però, hanno una capacità di reazione immunitaria esagerata, che potrebbe essere appunto una delle cause delle cicatrici ipertrofiche. E' noto che la capacità di risposta immunitaria è sotto controllo genetico, e alcuni dati indicano che anche la regolazione della produzione della citochina TNF in seguito a stimoli immunitari è sottoposta a controllo genetico. La prossima tappa sarà l' identificazione di eventuali fattori genetici predisponenti, per poter individuare le persone a maggior rischio di formare cicatrici ipertrofiche. Si potrà forse allora prevenire la formazione di cicatrici ipertrofiche con farmaci che controllino la risposta immunitaria nel tessuto ustionato in via di cicatrizzazione. Carlotta Castagnoli


LA PAROLA AI LETTORI Attenti ai profumi, la seduzione è infiammabile
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 080

Perché in tutti i grandi magazzini il reparto profumeria è al pianterreno? Per realizzare il più alto volume di vendite possibile, viene studiata una disposizione che spinga il cliente a comprare prima gli articoli superflui, poi quelli utili, infine quelli indispensabili. Poiché all' ingresso nel grande magazzino la capacità di spesa del cliente è intatta, egli comincerà ad acquistare i primi prodotti che incontra, cioè quelli non indispensabili, e alla fine sarà costretto a comprare anche quelli ai quali non può rinunciare. Porre il reparto profumeria all' entrata è quindi una semplice tecnica di disposizione delle merci studiata per massimizzare i profitti. Silvia Ferrero, Collegno (TO) Il reparto profumeria è collocato al pianterreno per motivi di sicurezza: si tratta di prodotti infiammabili] Lorenza Danieli, Roma E' più pesante la carta bianca o la carta scritta? Tutti gli inchiostri sono costituiti dalle sostanze coloranti e dal solvente, per cui dopo la scrittura la carta resta impregnata del materiale colorante, che rimane dopo l' evaporazione del solvente. Quindi, dopo che al peso della carta bianca si è aggiunto il peso del colorante rimasto, è possibile, con strumenti di pesatura sensibili, verificare che pesa di più la carta scritta. Tuttavia, se consideriamo i processi di stampa con asciugatura ad aria calda, l' incremento di peso dovuto ai coloranti rimasti sulla carta è minore rispetto al decremento di peso dovuto al calo di umidità percentuale della carta essiccata. Una verifica effettuata subito dopo la stampa (e cioè prima che la carta possa riprendere, assorbendolo dall' ambiente, il tasso normale di umidità ) potrebbe dare come risultato che la carta scritta pesa meno di quella bianca Luigi Omodei Zorini, Vercelli I forni a microonde possono risultare dannosi per la salute dell' uomo? Di per sè il forno a microonde non è dannoso. Il vero pericolo possono essere i contenitori. Assolutamente vietati quelli di metallo perché respingono le microonde e possono danneggiare il «magnetron», cioè la fonte delle microonde. Quelli di plastica, invece, possono cedere agli alimenti sostanze tossiche. Le vaschette di PET alle alte temperature cedono oligomeri ai cibi rendendoli pericolosi. Un altro rischio è rappresentato dai batteri, che talvolta non vengono distrutti completamente e possono causare malattie come la salmonella. Per ovviare a questo inconveniente è necessario raggiungere una temperatura maggiore e girare più volte il cibo rendendone più uniforme la cottura. Alberto Passalacqua, Acqui (AL )


CHI SA RISPONDERE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 080

& Perché la bandiera messicana riporta gli stessi colori, e nella stessa posizione, di quella italiana? Danilo Brandone & Come funzionano i gabinetti delle stazioni spaziali e dello Shuttle, dato che non c' è forza di gravità ? Walter Perotto & Qual è la lettera dell' alfabeto che ricorre più spesso? Augusto Mairano & Uno studio recente ha dimostrato che il virus dell' influenza viene trasportato da un continente all' altro dagli uccelli migratori. Perché gli uccelli non prendono l' influenza? _______ Risposte a: «La Stampa Tuttoscienze», via Marenco 32, 10126 Torino. Oppure al fax numero 011 65. 68. 688, indicando chiaramente «Tuttoscienze» sul primo foglio.


ANNIVERSARI Copernico rivoluzionario conservatore
AUTORE: GABICI FRANCO
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, ASTRONOMIA
PERSONE: COPERNICO NICOLO'
NOMI: COPERNICO NICOLO'
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 080

IL 24 maggio 1543 450 anni fa a Frauenburg muore Nicolò Copernico, l' astronomo che dopo secoli di geocentrismo tolse la Terra dal centro dell' universo, relegandola a pianeta orbitante attorno al Sole. Aveva settant' anni, essendo nato a Torun nel febbraio del 1473. Un dipinto di Alessandro Lasser conservato al Museo di Monte Mario a Roma ritrae l' astronomo morente mentre l' allievo Retico gli consegna la prima copia del «De revolutionibus orbium coelestium», il testo che cambiò la nostra visione dell' universo. Entrata ormai nell' aneddotica, la storia è però priva di fondamento, perché Copernico già da molti giorni aveva perso conoscenza. In realtà Copernico non vestì mai l' abito del rivoluzionario. Anzi, fu molto attaccato alla tradizione, tant' è che la «rivoluzione copernicana» nacque per correggere alcune anomalie del sistema geocentrico di Tolomeo, che non prevedeva esattamente la posizione dei pianeti. Copernico, dunque, pur determinando una svolta in astronomia, conserva ancora vecchie concezioni (orbite circolari, sfere celesti... ) e una adesione alla fisica di Aristotele. «Chiedersi se la sua opera sia in effetti antica o moderna scrive Thomas Kuhn è un po' come chiedersi se in una strada, la curva fra due rettilinei appartiene al tratto di strada che precede la curva oppure a quello che viene dopo». Esaminando i modelli cosmologici preesistenti (sfere omocentriche di Aristotele, epicicli e deferenti di Tolomeo) Copernico si accorse che nessuno aderiva ai fatti osservati e quindi doveva esistere un errore di fondo comune a tutti. In particolare il modello di Tolomeo prevedeva che il disco della Luna piena apparisse più piccolo rispetto alle fasi dei «quarti» e Copernico verificò con una osservazione compiuta a Bologna l' inconsistenza di quella previsione. A questo punto si prospettavano due vie. O «complicare » ulteriormente il modello di Tolomeo per farlo andare d' accordo con l' esperienza, o sostituirlo con un modello completamente nuovo con il Sole al centro. L' idea era già venuta ad Aristarco verso la metà del III secolo a. C. Ma fu certamente nuovo il modo con cui Copernico se ne servì. Inoltre Copernico non si limitò a una semplice formulazione ma si preoccupo' anche di controllarla con l' osservazione. Curiosità: Giacomo Leopardi ha scritto una «operetta morale» intitolata «Il Copernico» nella quale il Sole, stanco di girare attorno alla Terra, invita la «prima ora del giorno» a trovare sulla Terra un filosofo che cambi radicalmente le cose. E la «prima ora» trova Copernico. Un altro riferimento letterario si trova ne «Il fu Mattia Pascal» di Pirandello, dove il protagonista esclama: «Maledetto sia Copernico] » perché «ha rovinato l' umanità, irrimediabilmente» sovvertendo un ordine antico. Franco Gabici




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