LO si riconosce da lontano, il depresso: trasandato, cupo, vestito di colori spenti. Il momento peggiore della giornata, per lui, è il mattino, quando vede davanti a sè lunghe ore da attraversare e non sa come farcela. Verso sera, invece, l' umore migliora. E non perché un' altra giornata è finalmente passata, ma perché la malattia è in stretto rapporto con i ritmi biologici giornalieri e l' equilibrio di alcuni ormoni. Così almeno sostiene lo psichiatra Giovanni B. Cassano in un libro intervista con la giornalista Serena Zolli che sta facendo molto discutere ( «E liberaci dal male oscuro » , Longanesi). Cassano ritiene infatti che la depressione abbia una natura biologica ampiamente dimostrata e che quindi richieda psicofarmaci più che psicoterapie. I suoi sintomi (disturbi del sonno e dell' appetito, spossatezza, dimagramento, cefalea), l' evoluzione clinica, la periodicità, la risposta alla terapia la inseriscono di diritto nel paradigma medico di malattia. L' analisi delle cause a monte della depressione non libera dalla malattia ormai avviata: per uscire dal nucleo profondo della «malinconia», non esistono strade alternative ai farmaci e all' elettrochoc. Le psicoterapie possono aiutare soltanto negli aspetti secondari, come i sentimenti di autosvalutazione, l' autolesionismo, il compiacimento della sofferenza. Una posizione molto netta, dunque, sulla quale psicologi e psicanalisti hanno molto da ridire anche se dovrebbe essere ormai passato il tempo delle incomprensioni e delle contrapposizioni fra chi lavora sulla psiche e chi sulla chimica del corpo. A qualunque scuola appartengano, tutti concordano comunque sul fatto che la depressione è una malattia sottodiagnosticata. Non avendo a disposizione statistiche ufficiali si ipotizza che una persona su sei nell' arco della vita conoscerà almeno un episodio di «malinconia» in senso clinico. Soprattutto donne (20 26 per cento): gli uomini sono relativamente risparmiati (8 12 per cento). L' età a rischio comincia con i 35 anni, quando si fanno i primi bilanci, e ha i suoi picchi fra i 50 e i 60 anni. Metà delle depressioni, comunque, non verrà mai diagnosticata: perché il depresso non parla, ma anche perché il medico non la riconosce. Gli manca totalmente una cultura psichiatrica, fino a ieri un corso di laurea in Medicina non la contemplava (in tutto, erano 25 ore di insegnamento teorico). Per le nuove leve di medici il discorso è diverso: le ore sono diventate 125 e il contatto con il malato è obbligatorio. Comunque, una diagnosi clinicamente corretta non significa automaticamente un trattamento corretto farmaci appropriati, dosi giuste, tempo adeguato. Per gli organicisti, ci sono ancora troppi pregiudizi contro gli psicofarmaci: paura della dipendenza, della tossicità, degli effetti collaterali. E' un fatto, però, che la cultura psichiatrica degli Anni 90 ha scalzato l' antipsichiatria maturata nei 70, quando si affermava che la malattia mentale non esiste, ma è frutto del disagio. Questa svolta culturale ha la sua bibbia, quel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali messo a punto negli Stati Uniti, che ha introdotto nuove categorie diagnostiche e un linguaggio comune a tutti gli psichiatri. Fra le vittime più illustri, quel termine passe partout che era «nevrosi» introdotto nel linguaggio scientifico alla fine del ' 700, scelto da Freud per indicare le manifestazioni di un conflitto inconscio e oggi dissolto in una varietà di disturbi che risponderebbero meglio ai farmaci che alle analisi, dato che sembrano dipendere da alterazioni localizzate in diverse zone del cervello e in diversi sistemi neurofisiologici. Ma depressi si nasce o si diventa? Secondo Cassano, l' uomo è più temperamento che carattere. Il temperamento racchiude in sè gli aspetti innati, trasmessi geneticamente, non mediati dalla cultura. E' l' espressione diretta di precisi sistemi funzionali del cervello. Il carattere è invece la parte acquisita dall' ambiente, fortemente legato alla storia di ognuno e forse la parte meno determinante nell' origine della malattia. In ogni caso, è sempre molto difficile individuare il confine preciso tra malattia e salute. Genericamente, si può parlare di depressione quando si perde di flessibilità, non si sanno più dare risposte adeguate agli eventi, si è rigidamente sotto o soprattono. Oggi la depressione si cura e si guarisce. Gli antidepressivi sono tanti, con un rischio minimo di creare dipendenza. La risposta ai farmaci ovviamente è individuale: con lo stesso composto, qualcuno migliora, qualcun altro peggiora. Ma è sempre possibile cambiare farmaco e l' elettrochoc, contestatissima terapia, ha risolto casi difficili. Tra i composti considerati particolarmente efficaci, ci sono oggi i sali di litio, sostanze naturali psicoattive con un' azione sedativa ed equilibratrice dell ' umore, indicati nella cura della mania e della depressione, suggeriti per prevenire le ricadute. Come effetto collaterale, hanno soprattutto una tendenza a ingrassare e un sovraccarico di lavoro per i reni. Il loro meccanismo d' azione non è stato ancora identificato, ma resta il fatto che è una sostanza efficace e sicura. E' un peccato, conclude Cassano, usarlo poco e male. Marina Verna
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, PSICOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 053. Depressione
LA depressione corrisponde a una alterazione del tono dell' umore che si manifesta in generale attraverso un senso di profonda malinconia, una scarsa stima di sè e un bisogno di autopunizione. Questo malessere diventa di competenza psichiatrica quando ha una durata e una intensità eccessive o si presenta in circostanze che non sembrano in qualche modo darne una giustificazione. Una depressione può essere endogena, cioè venire dal di dentro, o reattiva, cioè essere conseguenza di avvenimenti che risultano di difficile elaborazione da parte del paziente. E' necessario, in ogni caso, tenere distinta la depressione grave da una sua forma lieve, che di tanto in tanto può essere presente in ognuno di noi. Il depresso in senso stretto è una persona che non riesce a rappresentarsi in alcuna forma il futuro, poiché percepisce la morte in se stesso e nelle cose che lo circondano. Non trovando interesse in nulla, non riesce a lavorare nè a concentrarsi, il suo diventa un tempo morto in cui si tormenta inattivo, schiacciato dalla tristezza o dall' ansia. E come se non bastasse è esasperato dalle proprie insufficienze, dalle colpe che si attribuisce per essere l' artefice della sua non vita. Non è un caso che gli episodi depressivi si manifestino solitamente nell' età media o senile, una fase della nostra esistenza nella quale è facile sentirsi nella condizione di non poter progettare ancora il proprio futuro. La depressione può diventare uno dei disturbi mentali più pericolosi per chi ne è affetto: mi riferisco al pericolo di suicidio. In forme così gravi, anche in una prospettiva psicoanalitica, si ritiene non sia possibile fare a meno di psicofarmaci antidepressivi, anche se va tenuto presente che il paziente che va incontro a ciclici periodi di depressione deve ricevere un aiuto specificatamente terapeutico nei periodi durante i quali invece sta meglio, allo scopo di ricercare le radici di una tale sofferenza. La situazione cambia radicalmente nel caso in cui ci si trovi di fronte a una depressione di tipo reattivo. Proprio in quanto si è in presenza di precise cause che l' hanno scatenata lo psicoanalista cerca di sganciarsi da quella che è una interpretazione, per così dire, «neurologica» adottata per lo più dagli psichiatri, e mette in atto una cura che permette al paziente di regredire momentaneamente in una condizione in cui egli avverte la legittimità del suo dolore, della sua passività, della sua deresponsabilizzazione, al fine di comprendere tutto ciò e farlo uscire dalla sua logica autocentrata e autopunitiva. In questo modo la terapia psicoanalitica crea le condizioni all' interno delle quali il paziente può, senza sentirsi colpevolizzato, interrogarsi sulla natura di questa rinuncia alla vita, portando alla luce le radici più profonde della sua sofferenza. Da questo punto di vista, ritengo venga restituito un significato più adeguato a uno stato di sofferenza di cui non scorgiamo che i sintomi. Jung pensava che la depressione non fosse che il risultato del contenimento da parte del soggetto dell' energia psichica, per cui scopo precipuo del lavoro di analisi doveva essere scoprire che cosa nascondeva tale bisogno di contenimento e liberare finalmente questa energia. Nella mia esperienza clinica, se la depressione non raggiunge fasi gravissime, ho avuto modo di comprendere che un tale disagio psicologico parla al paziente in modo molto profondo. Il malessere della depressione può essere rappresentato quasi come un invito a ritirarsi momentaneamente in se stessi per dare inizio sotto una guida analitica adeguata a un dialogo interiore radicalmente nuovo e fecondo. Ritengo, infatti, che proprio lo sconforto e la disperazione siano, se elaborate, le molle propulsive per un cambiamento psicologico che può anche rivelarsi decisivo per la nostra vita. Aldo Carotenuto Università di Roma
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, SANITA', SOLIDARIETA'
ORGANIZZAZIONI: OMS
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 053
ABBIATE cura della vostra vita, rifiutate la violenza e la negligenza. Questo lo slogan della Giornata mondiale della salute, che si celebra oggi, 7 aprile. La salute come bene collettivo, da perseguire non solo come obiettivo individuale ma come interesse più generale al benessere. E non solo come protezione dalle malattie ma anche come tutela da insidie di altra origine. Ogni anno almeno tre milioni e mezzo di persone muoiono per violenza, accidentale o intenzionale, e in numero ben maggiore rimangono invalide. I dati provengono dall' Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Nel mondo industrializzato, ad esempio, si contano annualmente 200 mila suicidi (in testa si trova l' Ungheria) e 60 mila omicidi (il triste primato in questo campo spetta all' isola caraibica di Santa Lucia). Nei Paesi in via di sviluppo, i suicidi arrivano a 550 mila, gli omicidi a 215 mila ogni anno. La violenza intenzionale risulta in aumento ovunque. Secondo stime della National Crime Society, negli Stati Uniti fra il 1982 e il 1984 si sono spesi 44 milioni di dollari solo per assistere persone che erano state picchiate o erano rimaste vittime di abusi sessuali. Un quarto di questi fatti, dicono le statistiche, avviene fra le pareti domestiche. I dati sulla violenza accidentale registrano nei Paesi sviluppati 210 mila incidenti «di macchina» (termine riferito a tutti i tipi di mezzi di trasporto, bicicletta ben compresa) e 380 mila di altro genere, mentre per il Terzo Mondo le cifre salgono rispettivamente a 515 mila e 1 milione 370 mila. Significativi i collegamenti con la densità di popolazione: Cina e India, che hanno la percentuale più alta di omicidi, sono anche le due nazioni dove si verifica la metà di tutti gli incidenti «di macchina». Le rilevazioni complessive indicano un altro dato interessante: da noi la violenza risulta la terza causa di morte, subito dopo le malattie cardiocircolatorie e il cancro, molto distanziata dalle malattie infettive; nel Terzo Mondo, in 9 dei 10 Paesi esaminati, i decessi dovuti a questo motivo sono più frequenti di quelli causati da infezioni. A mietere il numero maggiore di vittime è la motorizzazione sfrenata, che colpisce specialmente i più giovani (basta ricordare le «stragi del sabato sera» ). Nei Paesi in via di sviluppo, il 20 per cento delle vittime di simili incidenti non ha ancora compiuto 15 anni: il doppio di quanto accade nel mondo industrializzato. La ricerca dell' Oms fornisce anche dati sulle morti per annegamento, veleno, colpi d' arma da fuoco. Secondo una stima della Life Saving Federation, ogni anno muoiono affogate 250 mila persone. Di veleno si muore dovunque, ma le sostanze sono differenti: nel Terzo Mondo imperversano i pesticidi, da noi i medicamenti. Nello Sri Lanka, ad esempio, su 334 casi rilevati nel 1991 (60 per cento dei quali suicidi), il 40 per cento era dovuto ad essi; ma in Inghilterra, su 1000 bambini che in quel medesimo periodo furono ricoverati per intossicazione, ben il 57 per cento aveva ingerito pillole (antidepressivi, tranquillanti, aspirina e quant' altro lasciato in giro da genitori distratti). Dovunque i più esposti risultano i bambini. Ornella Rota
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, PROVE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 054
Ipropulsori ausiliari (o «booster» ) del grande razzo «Ariane 5» cominciano a prendere forma. Il 16 febbraio si è svolta nel centro spaziale di Kourou, nella Guyana francese, la prima prova di accensione a terra dello stadio di spinta del lanciatore Ariane 5. Il test è durato 130 secondi: il tempo impiegato dal motore per bruciare le 230 tonnellate di propellente solido. I dati raccolti dai tecnici hanno confermato il pieno successo del collaudo, che segna un passo importante verso il primo lancio del nuovo vettore europeo, previsto tra due anni. Ariane 5 sarà alto più di 50 metri e porterà in orbita «bassa» carichi di 23 tonnellate, cinque volte la capacità dell' attuale Ariane 4 nella configurazione più potente. Inoltre, potrà immettere nell' orbita di trasferimento geostazionaria fino a tre satelliti alla volta, per una massa complessiva di 6, 8 tonnellate. E con un costo per chilogrammo di carico utile inferiore del 40% rispetto ai vettori attuali. Realizzato dalla Bpd Difesa e Spazio, azienda della Gilardini (gruppo Fiat), lo stadio di spinta è un cilindro alto 30 metri, come una casa di dieci piani. Ariane 5 ne avrà due affiancati: accesi al momento del lancio, svilupperanno una spinta massima di 650 tonnellate ciascuno, che si aggiungerà alle 120 tonnellate del motore a idrogeno e ossigeno liquidi dello stadio principale. Esaurita in due minuti la carica di propellente, si separeranno a circa 50 chilometri d' altezza, mentre lo stadio principale proseguirà la sua corsa. La Bpd vanta una notevole esperienza nel campo dei motori a razzo a propellente solido. Ha progettato e costruisce i «booster» dell' Ariane 4. Il nuovo motore è simile come tecnologia, ma è molto più grande: 230 tonnellate di propellente (un impasto di polvere d' alluminio, perclorato d' ammonio e una sostanza gommosa) anziché 9, 5. E anche le difficoltà sono maggiori. Proprio a causa delle dimensioni i propulsori non possono essere inviati dall' Italia in Guyana già pronti: perciò i due segmenti più grandi sono spediti vuoti da Colleferro (Roma) a Kourou, allo stabilimento Regulus (società controllata dalla Bpd), dove vengono riempiti del propellente. Il segmento superiore, più piccolo ma anche più «delicato» poiché contiene il dispositivo di accensione, è costruito e caricato a Colleferro. I tre elementi e l' ugello mobile, realizzato dalla francese Sep, sono quindi assemblati nel grande edificio chiamato «Bip» (Batiment d' integration des propulseurs). Dal Bip il propulsore impiegato nel test è stato trasferito su uno speciale veicolo fino al banco di prova (Banc d' essai des accelerateurs à propergol): una torre di cemento alta 50 metri e posta su una speciale fossa, profonda 60, scavata nel granito e destinata a deviare il getto dei gas di scarico. Imbrigliato con una struttura d' acciaio e munito di decine di sensori di pressione e di temperatura, è stato acceso con un comando a distanza. L' obiettivo della prova era verificare le prestazioni dello stadio: la combustione è stata regolare, con diagrammi di pressione e di spinta identici a quelli calcolati dai progettisti, così come le temperature (all' interno del propulsore si toccano i 3000 gradi), che hanno registrato scostamenti inferiori al grado rispetto a quelle previste. Positivo anche il comportamento del sistema di controllo dell' ugello (che può essere inclinato per guidare la traiettoria del vettore) e delle giunture tra i segmenti. Queste ultime sono state oggetto di particolari attenzioni: dopo sette anni è ancora vivo il ricordo della tragedia della navetta americana Challenger, provocata proprio dal cedimento di un anello di unione tra gli elementi di un booster. L' Italia è presente nel programma Ariane 5 con una quota del 15%. Oltre alla Bpd, partecipa anche la FiatAvio, che fornisce la turbopompa dell' ossigeno liquido per il motore Vulcain dello stadio principale. Giancarlo Riolfo
ARGOMENTI: INFORMATICA, ELETTRONICA, LEGGI
ORGANIZZAZIONI: CEE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 054
E' entrato in vigore all' inizio dell' anno un decreto legislativo (il numero 518) che finalmente stabilisce anche in Italia una serie di norme che hanno come obiettivo la tutela giuridica dei programmi per computer. Questo decreto si adegua alla direttiva Cee numero 91/250 e costituisce senza dubbio un' arma nuova e potenzialmente efficace per combattere il fenomeno della duplicazione non autorizzata dei programmi (la «pirateria del software» ), che ogni anno sottrae alle aziende produttrici circa mille miliardi di lire. La duplicazione abusiva del software è diventata una forma di reato soggetta a forti pene detentive e pecuniarie (reclusione da tre mesi a tre anni e multa da 500 mila lire a 6 milioni). Sono vietate operazioni come riproduzioni, adattamenti, trasformazioni e distribuzione di programmi da parte di persone non autorizzate. Basteranno queste norme? Vedendo sbarrata la strada della copia pura e semplice, i nuovi pirati del software, per non farsi sfuggire un mercato nero di questa portata (il fatturato globale del software è stato superiore a 12 mila miliardi di lire nel 1991), si orienteranno, probabilmente, verso un duplicazione meno pedissequa, ma non per questo meno illegale, soprattutto nel campo dei programmi applicativi, cioè di quei programmi che consentono all' utente di compiere il proprio lavoro, come scrivere lettere, fare operazioni su dati numerici o disegnare. Infatti, per essere tutelati, i programmi dovranno essere «espressi in qualsiasi forma, purché quale risultato di creazione intellettuale dell' autore»; basterà quindi una lieve modifica esteriore per differenziare in apparenza due programmi, senza alterare di fatto il contenuto di quello originale, cioè gli algoritmi di calcolo veramente innovativi. E queste modifiche sono le più difficili da scoprire, soprattutto se le istruzioni da cui i programmi sono composti non sono accessibili in via diretta. Un altro motivo di preoccupazione è la possibilità che l' utente finale (e quindi anche un eventuale pirata) ha, per legge, di avere accesso alle versioni «sorgenti» dei programmi per modificarle in modo da salvaguardare la compatibilità tra essi e altri programmi da lui acquistati: anche in questo caso, l' intento a cui mira la legge è positivo (anche perché costringerà i vari produttori a uniformare per quanto possibile le procedure standard di comunicazione tra i programmi, procedura finora utilizzata abbastanza raramente); ma così si aprono spazi per l' uso illegale delle informazioni che risulteranno accessibili Occorrerà quindi un' azione combinata tra produttori di software e utenti finali: i primi, durante la stesura dei nuovi programmi dovranno dotarsi dei mezzi informatici per scoprire futuri «ritocchi» non autorizzati, mentre i secondi dovrebbero segnalare i casi di contraffazione di loro conoscenza, confidando nei benefici che derivano dal possesso di una copia originale del programma (assistenza, aggiornamenti, assenza di virus, migliori condizioni di acquisto). Infine, tra le novità introdotte da questo decreto rispetto alla versione europea occorre segnalare l' adozione di un registro pubblico dei programmi per computer tenuto dalla Siae. Il registro sarà analogo a quello già esistente per le opere soggette a diritto d' autore, ma sarà un registro speciale, per la cui gestione potranno essere utilizzati mezzi e strumenti informatici. Pur essendo facoltativa, la registrazione alla Siae è consigliabile sia per la possibilità di attribuire una data certa di pubblicazione alla propria creazione intellettuale, sia perché, depositando la versione sorgente e i documenti progettuali dei programmi, sotto forma cartacea o su supporto magnetico, si avrà una base di riferimento per possibili future controversie. Entro la fine di giugno saranno determinate, con un apposito decreto esecutivo, le caratteristiche del registro, le modalità di registrazione e le relative tariffe. In conclusione, questa nuova legge italiana, che recepisce una direttiva ormai valida in tutta Europa, giunge a proposito per arrestare un giro di attività illecite che si era ormai diffuso in maniera preoccupante. Saranno la sua applicazione pratica e il suo effettivo impiego come arma per combattere la pirateria del software a dire se essa è veramente efficace per risolvere il problema: il timore che, come molte altre disposizioni sul diritto d' autore, essa non riesca ad arrestare, o quanto meno ad arginare la contraffazione o almeno la duplicazione dei programmi per computer potrà essere fugato soltanto se produttori e utenti di software uniranno le proprie forze. Paolo Garavelli
ARGOMENTI: CHIMICA, MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: SHEETER YORAM, KAHN RONALD
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 054
A settant' anni dalla scoperta dell' insulina siamo forse vicini a una svolta nella cura del diabete. Quando il glucosio nel sangue è troppo concentrato, l' insulina, che il pancreas del diabetico non produce in quantità sufficiente, viene iniettata: così, per il momento, si permette alle cellule di «bruciare» il glucosio. Poiché viene distrutta nell' apparato digerente, l' insulina non può essere somministrata per bocca. Inoltre il malato deve pungersi un dito per poter, tramite cartine indicatrici, misurare il livello di glucosio del sangue. Tutte pratiche poco gradevoli. Da molti anni in Israele il gruppo di Yoram Sheeter dell' Istituto Weizmann studia gli effetti dei sali di vanadio sulla concentrazione del glucosio nel sangue dei ratti. Già quattro anni fa Lamberto Malatesta ne aveva informato gli italiani sul mensile La chimica e l' industria: lo ione vanadile risultava un potenziale surrogato dell' insulina. I sali che lo contengono possono essere somministrati per bocca. I risultati di Sheeter erano notevoli non solo perché potevano condurre, in alcuni casi di diabete, a fare a meno delle iniezioni: la possibilità di sostituire l' insulina è di per sè interessante perché talvolta questa perde efficacia con l' uso prolungato. Due anni fa Ronald Kahn a Boston applicò con successo ad animali da laboratorio una cura orale a base di metavanadato di sodio. Ora è stato autorizzato a cominciare la sperimentazione clinica su volontari umani. Intanto Sheeter e i suoi collaboratori sono andati avanti col vanadile, che è meno tossico del metavanadato, ma anche meno solubile e meno capace d' attraversare le membrane cellulari. Seguendo una via percorsa anche da ricercatori canadesi, essi hanno trovato una sostanza organica che reagisce col vanadile circondandolo con quattro atomi d' ossigeno. La superficie esterna della molecola complessa che ne risulta è, come si dice, idrofoba se due ambienti diversi, uno acquoso e l' altro con caratteristiche simili a quelle dei grassi, si trovano confinanti, essa viene attratta da quest' ultimo. Perciò penetra facilmente nelle membrane cellulari, mentre il vanadile libero, che è idrofilo, incontra difficoltà. I ricercatori israeliani cominceranno presto a fare esperimenti sugli animali. Quanto al nuovo metodo d' analisi, si basa su un sensore a raggi infrarossi; questi attraversano la pelle del dito e danno indicazioni sulla concentrazione sanguigna del glucosio. Naturalmente ci sono problemi di taratura, a causa della variabilità, da un individuo all' altro, nello spessore delle dita, nella pigmentazione della pelle e in molti altri fattori che influenzano l' assorbimento dei raggi. Sono problemi che gl' inventori (Sandia National Laboratories di Albuquerque, Nuovo Messico) hanno potuto risolvere grazie all' esperienza fatta coi metodi matematici e statistici applicati all' analisi: per la cronaca, si tratta di un' esperienza nel controllo dell' invecchiamento delle armi nucleari. L' apparecchiatura è ancora in fase di sviluppo. Si spera di poter produrre un giorno un analizzatore portatile miniaturizzato e addirittura di accoppiarlo a un dispositivo automatico per l' erogazione del farmaco a seconda di quanto glucosio, istante per istante, c' è nel sangue: come dire che arriveremo forse a una sorta di pancreas artificiale. Gianni Fochi Scuola Normale di Pisa
PUO' una morale fondarsi su un tentativo puramente razionale di rendere più vivibile la società complessa nella quale viviamo? La fiducia in una risposta affermativa dunque in una morale radicalmente laica, ideologicamente debole ma pragmaticamente forte è il messaggio che si può trarre dall' ultimo saggio di Roberto Vacca, ingegnere elettronico ed esperto di organizzazione industriale. Scrive Vacca: «Anche ammettendo che i furti servano ad arricchire chi li compie, servono anche a creare una società in cui chi si è arricchito vive male, in continuo timore, e deve spendere una buona parte delle sue risorse per difendersi. Certo ha poche scelte chi si trova in condizioni di povertà abietta. Però la sua strategia migliore è quella di inventare metodi relativamente innocui per fare soldi, non quella di rubare». Un comportamento corretto sarebbe dunque anche quello più conveniente in una società come la nostra. L' individualismo non paga, la cooperazione sì.
Da sempre il concetto dell' infinito è tra i più intriganti filosoficamente e matematicamente per le contraddizioni a cui inevitabilmente conduce. Zellini approfitta di questi paradossi per raccontare una affascinante avventura del pensiero che va da Aristotele a Popper.
Di medicina estetica si è discusso molto, negli ultimi tempi, dopo le disavventure di Laura Antonelli e i pettegolezzi che a ondate ricorrenti coinvolgono le forme di personaggi come la Milo o la Parietti. Questo libro è stato concepito come un manuale, quindi con fini didattici e pratici. Vi sono esaminati tutti gli interventi di chirurgia estetica, da quelli ben giustificati e indispensabili (ad esempio per rimediare al «labbro leporino» ) a quelli più voluttuari. Non mancano neppure le tariffe correnti, corredate da consigli per orientarsi nella giungla di questo settore medico.
Perché i giovani ricorrono alle bugie, agli imbrogli, alle spacconate? Questo comportamento non è talvolta un sistema di difesa nel contrasto eterno tra le generazioni? Paul Ekman, uno studioso della menzogna a livello psicologico e sociologico, riflette su un fenomeno estremamente diffuso, partendo dalla propria esperienza di padre. Utile a genitori e educatori.
Scrivere saggi scientifici o divulgativi non richiede particolari doti creative. Richiede però il possesso sicuro di una tecnica espositiva che ha regole precise a seconda del tipo di scritto che si deve produrre: tesi di laurea, articoli per riviste specializzate, relazioni per riunioni di lavoro, libri.
I fiumi sono un bene collettivo del cui valore soltanto adesso incominciamo ad avere consapevolezza: quando, per certi versi, è già tardi. Il sistema fluviale è una potenziale fonte di energia idroelettrica, svolge un ruolo essenziale nell' irrigazione agricola, offre miniere di ghiaia e di sabbia, fornisce acqua potabile e una materia prima indispensabile per molte industrie. L' uomo può sfruttare la rendita di questo patrimonio, ma non deve intaccarlo. Questa documentatissima ricerca spiega innanzi tutto i meccanismi del sistema fluviale italiano e poi insegna come trarne profitto rispettandolo. Un capitolo è dedicato alle norme giuridiche.
ARGOMENTI: ETOLOGIA, ANIMALI
NOMI: SMALE LAURA, HOLEKAMP KAY
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 055
UNA ricerca che si è svolta su due fronti, il fronte di laboratorio e quello sul campo, sta gettando luce sui lati ancora misteriosi di uno dei più sconcertanti mammiferi del mondo, la iena macchiata (Crocuta crocuta). In natura, e precisamente nella Riserva Masai Mara del Kenya, Laura Smale, psicologa, e Kay E. Holekamp, zoologa, entrambe della Michigan State University, hanno studiato un branco formato da 64 individui, di cui 21 femmine adulte, 12 maschi adulti e il resto giovani d' ambo i sessi. Ha collaborato con loro lo psicologo Laurence G. Frank che dal l984 partecipa al «Progetto Iena» diretto dallo psicologo Stephen E. Glickman, che si basa sull ' osservazione di una colonia di iene macchiate tenute in cattività nell' Università di California, a Berkeley. Primo cruciale quesito da risolvere, il rompicapo degli organi sessuali. La iena femmina non solo ha temperamento aggressivo e mascolino, ma del maschio ha anche gli attributi anatomici. Possiede infatti un clitoride insolitamente sviluppato, che per forma, dimensioni e capacità di erezione, assomiglia stranamente al pene maschile. E inoltre, dietro al clitoride, ha una borsa simile allo scroto. Come si spiega una simile anomalia? Per capire la faccenda, a parere degli studiosi bisogna fare un passo indietro e risalire ai primi stadi di vita del carnivoro africano. Dopo una gestazione che dura centodieci giorni assai più lunga, dunque, di quella delle altre specie di iene la femmina mette al mondo di solito due gemelli. In natura la partoriente si sgrava dei neonati proprio davanti alla tana abbandonata di un oritteropo. In questo modo i piccoli, che nascono ben sviluppati, con gli occhi aperti e i denti anteriori già spuntati, strisciano da soli verso la tana, vi penetrano e vi rimangono parecchie settimane. Per succhiare il latte, si affacciano all' imbocco della tana, troppo stretto perché la madre possa penetrarvi. Però, dopo una decina di giorni, quando giunge il momento in cui la iena trasporta i cuccioli dal rifugio dove sono nati alla tana comune, gli studiosi osservano che stranamente, nella metà dei casi, la madre ne trasporta uno solo. L' altro gemello è scomparso. Cosa è successo? La spiegazione la fornisce la colonia che vive in cattività nell' Università di Berkeley, dove madre e figli neonati vivono in un unico recinto. Non appena viene al mondo il secondo gemello, quello nato per primo lo aggredisce in malo modo, addentandolo alla schiena e scuotendolo con violenza. Il poveretto si difende come può, ma il combattimento fra i due gemelli continua per due o tre giorni. La madre rimane completamente indifferente. Del resto, in natura tutto si svolge dentro la tana, dove la madre non è nemmeno presente e quindi non può certo intervenire. Quello che succede dopo, dipende dal sesso dei gemelli. Se sono dello stesso sesso, tutt' e due maschi o tutt' e due femmine, in cattività sopravvivono entrambi, ma si stabilisce tra loro una netta gerarchia. Il primo nato diventa dominante, ha per primo l' accesso alla poppata e si sviluppa più rapidamente del secondo. In natura invece, il combattimento tra i gemelli si fa sempre più aspro, finché il più debole soccombe. Molto probabilmente muore di fame, perché il primogenito prepotente gli ostacola l' uscita dalla tana per la poppata. Ora, a quanto risulta dalle ricerche condotte da Frank e Glickman, in collaborazione con l' endocrinologo Paul Licht, il periodo di lotta fratricida coincide con il periodo in cui i neonati di ambo i sessi producono alti livelli di ormoni maschili. La mascolinità anatomica e il comportamento aggressivo della femmina sembra siano il risultato di un processo complesso, che avviene addirittura nella placenta, per cui l' ormone prodotto normalmente dall' ovario prima dell' estrogeno, si converte in testosterone. Gli embrioni in via di sviluppo sono quindi immersi in quantità eccezionali di testosterone e dopo la nascita sia i maschi che le femmine continuano a produrre ormoni maschili. Sarebbe dunque l' alto tasso di testosterone il responsabile dell' aggressività che si manifesta già nei primi stadi di vita e, come effetto collaterale, della mascolinizzazione degli organi genitali della femmina. Le iene macchiate sono animali gregari che hanno una complessa struttura sociale. Esiste tra loro una rigida gerarchia, nella quale ciascun individuo occupa un ben preciso rango. Quello che determina la posizione sociale però non è nè la grandezza fisica, nè l' abilità combattiva, ma la posizione gerarchica della madre. Le femmine adulte contano più dei maschi adulti e hanno comunque una maggiore stabilità sociale. Verso i diciotto mesi hanno già raggiunto il loro posto nella gerarchia, immediatamente al di sotto delle loro madri e lo conservano per tutta la vita, una vita che in natura dura una ventina d' anni. Più incerta è la sorte dei maschi che spesso abbandonano il clan dove son nati. Entrare a far parte di un clan estraneo non è facile. Certe volte sono costretti a girovagare per mesi prima di trovare un clan che li accolga. Naturalmente il nuovo immigrato precipita al rango più basso e rimane irrimediabilmente un cittadino di serie B. Perché i maschi abbandonano il loro clan? Quel che li spinge a emigrare è la voglia di riprodursi. Arrivato ai due anni di età, il maschio è sessualmente maturo e tenta di accoppiarsi con le femmine del branco. Ma invano. Queste sono più propense ad accoppiarsi con i maschi immigrati, forse ritengono gli studiosi per evitare gli incresciosi effetti dei rapporti tra consanguinei. Di conseguenza i maschi respinti non hanno altra scelta. Emigrano con la speranza di trovare più facilmente moglie. Isabella Lattes Coifmann
ARGOMENTI: TRASPORTI, VIABILITA'
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 055. Trasporti fluviali, fiumi, acqua
VIVA il «ferry boat». Sempre più spesso riesce a dare dei punti ai servizi pubblici di terra in quanto a velocità, comfort, rispetto per l' ambiente, sicurezza; inoltre si può rivelare indispensabile in condizioni di emergenza, come è accaduto dopo il recente terremoto a San Francisco. Per le città d' acqua, la parola magica contro il traffico è «intermodalità » e in questo concetto il trasporto su acqua ha un suo ruolo da svolgere. Questa «intermodalità », parola astrusa, è in realtà il sogno del pendolare e di un po' tutti i viaggiatori: significa integrazione razionale tra i diversi mezzi di trasporto ottenuta connettendo le reti, unificando le tariffe, coordinando gli orari, diffondendo le informazioni per facilitare il passaggio, ad esempio, dal treno all ' autobus con il minimo spreco di tempo. Le città che si possono permettere almeno un tratto di fiume navigabile hanno una preziosa risorsa in più da includere nella rete dei trasporti. Vancouver, Sydney, Londra e molte altre grandi città di tutto il mondo stanno da tempo privilegiando le vie d' acqua con grande attenzione all' intermodalità. Tokyo punta tutto sulla sua città satellite, in costruzione al centro della baia: sarà pronta per il 2000 o poco più e si chiamerà Tokyo Teleport Town, modello di città «multicentrica». Quattro distretti: commerciale, residenziale, espositivo e sportivo; un centro di telecomunicazioni avanzate e un altro riservato all' industria della moda «made in Japan»; il 20% del territorio urbano adibito a giardini. Negli edifici «intelligenti», con molte funzioni computerizzate, abiteranno 63 mila persone, si creeranno 106 mila posti di lavoro; questo pezzo di futuro attirerà circa 450 mila visitatori l' anno che useranno un sistema integrato di linee automobilistiche, ferroviarie e marittime per il collegamento dei vari distretti tra loro e con la stessa Tokyo. Il cordone ombelicale sarà il «ponte dell' Arcobaleno». In molte città, soprattutto nel Nord America (ma l' idea potrebbe adattarsi in piccolo all' Italia), i trasporti fluviali interni impiegano mezzi capaci di velocità relativamente alte, da 41 a 46 chilometri l' ora. I modelli base per l' alta velocità d' acqua sono monoscafi, aliscafi, hovercraft anfibi e non anfibi, catamarani; oppure Swath a scafi gemelli (Small waterplane area twin hull), che sono in sostanza hovercraft a pressione regolabile pensati per il trasporto fluviale (tra l' altro possono abbassarsi per passare sotto i ponti). C' è grande attesa per il grandioso «Aquastrada» in fase di realizzazione in Italia nei cantieri Rodriguez: un mezzo veloce per il trasporto passeggeri con auto al seguito; sarà la nave con la più grande carena a «v» mai costruita, monterà il più potente «water jet» mai realizzato e sarà il traghetto auto e passeggeri più veloce al mondo: 75 chilometri a pieno carico, 250 tonnellate; lungo 100 metri, potrà portare 450 passeggeri. Il sistema dei trasporti è comunque il prodotto di richieste e di vincoli in contrasto tra loro, come ricorda Brian Heyle, uno dei massimi esperti di una disciplina poco nota, la «geografia dei trasporti»: «I trasporti costituiscono un' industria complessa, da studiare in modo interdisciplinare: influenzano e sono più spesso influenzati da ragioni sociali, storiche, economiche, politiche nazionali e internazionali, tecnologie ambientali. Ogni città è unica nei suoi problemi e nelle sue soluzioni di trasporto». Di tutto questo si è parlato a Venezia, dove si è svolto il convegno internazionale «Città d' acqua e trasporti». Venezia è forse l' unica città al mondo in cui i mezzi di trasporto urbani sono più lenti di due buone gambe. Le velocità massime consentite ai vaporetti sono di 8 11 chilometri l' ora nei canali interni e di 15 20 in quelli lagunari; in concreto, però, la velocità di spostamento in linea d' aria lungo i principali itinerari interni risulta di 2 3 chilometri l' ora. Si teme infatti il moto ondoso, che erode le rive e le fondamenta, e il rallentamento forzato dei mezzi è meno costoso delle indispensabili manutenzioni ai preziosi edifici. Tuttavia il rallentamento, oltre a essere esasperante, è anche poco utile: il moto ondoso non è tanto legato alla velocità, quando alla massa e alla forma degli scafi. Un problema che non affligge soltanto Venezia: a Londra è stato risolto con l' impiego sul tamigi dei catamarani di tipo «Riverbus» La «Serenissima» si dibatte, sommersa da centinaia di progetti prima che dall' acqua alta: molto potrebbero poche idee ben chiare e una buona organizzazione di quello che già esiste, magari con qualche vaporetto elettrico in più, dati i risultati dell' unico prototipo in funzione; un altro prodotto interessante è il vaporetto a metano. Suscita invece paure claustrofobiche (e «tangentopolistiche» ) la forse risolutiva metropolitana sottomarina: appare strampalato il progetto di spostamento della stazione ferroviaria, anche perché sconosciuto ai cittadini: è stato presentato a Torino anziché a Venezia. Una battuta di Susanna Agnelli al convegno «Città d' acqua e trasporti»: «A Venezia è difficile proporre qualsiasi cosa. E' comprensibile: sono le donne più belle che possono permettersi più volte di dire di "no" ed è logico che la città più bella del mondo continui a farlo; ma di questo passo, anche la più bella donna rischierebbe di rimanere vergine e sterile». Rosalba Giorcelli
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 055
STRESS, fattori costituzionali, farmaci, alimentazione, possono tutti influire sulla formazione di un' ulcera dello stomaco o del duodeno. Il meccanismo con cui agiscono è però sempre lo stesso: si determina uno squilibrio tra la quantità di acido cloridrico presente nel succo gastrico e le difese contro la sua aggressione, costituite essenzialmente dal sottile strato di muco che riveste le pareti dello stomaco. Fondamentale per curare l' ulcera è quindi diminuire l' acidità. Ancora vent' anni fa l' ulcera era una malattia potenzialmente mortale. Non esistevano farmaci veramente efficaci per cui la lesione, inizialmente limitata, si poteva approfondire sempre più, fino a perforare le pareti dello stomaco L' unica terapia radicale era l' intervento chirurgico, spesso eseguito in condizioni di drammatica urgenza. Ma quando sono stati scoperti i cosiddetti farmaci «anti H2» (ranitidina, famotidina, nizatidina, cimetidina) e, più recentemente, gli «inibitori della pompa protonica» (omeprazolo), capaci di ridurre la produzione di acido cloridrico, la situazione è cambiata radicalmente. Non solo sono diventate minime le complicazioni più temibili, ma si può avere anche la rapida scomparsa dei sintomi più fastidiosi (dolore acidità, nausea, diarrea) e la successiva guarigione dell' ulcera. L' unico inconveniente è dato dal fatto che, se si sospende il trattamento, nella maggior parte dei casi l' ulcera si riforma, tant' è vero che si discute se convenga continuare la cura indefinitamente, farla a cicli stagionali o riprenderla al minimo accenno di disturbo. Il perdurare della malattia ulcerosa può essere in parte spiegato dal persistere di un determinato terreno genetico o dal protrarsi della tensione emotiva che la scatena. Recentemente però, è stata avanzata un' ipotesi che può valere almeno in un certo numero di casi. Sulla parete dello stomaco di alcune persone affette da ulcera, tra il muco e le cellule sottostanti, è stato infatti trovato un microrganismo che, per la sua forma a spirale, è stato chiamato Helicobacter Pilori. Esso produce ammoniaca, che danneggia la mucosa gastrica, e tossine, che scatenano un processo infiammatorio. Indebolisce quindi le difese naturali favorendo la formazione di un' ulcera. In questi casi, per avere una guarigione definitiva, sarebbe quindi necessaria l' eliminazione del germe. In un primo tempo è stata proposta una terapia con tre farmaci: un antibiotico come la tetraciclina o l' amoxicillina, sali di bismuto e un nitroimidazolico solitamente utilizzato come antifungino. Spesso però essi erano mal tollerati e procuravano sgradevoli effetti secondari. Ora si usa con minori fastidi e migliori risultati l' associazione tra l' antibiotico e un farmaco che inibisce la secrezione di acidi. Marina Levi
ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ETOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 055
POCHE briciole di pane e qualche seme distribuito con continuità nelle fredde giornate invernali da una intera nazione notoriamente sensibile verso gli animali come l' Inghilterra e le abitudini migratorie di un piccolo uccello vengono rapidamente e definitivamente modificate. E' questa la conclusione un po' semplificata di un' interessante ricerca condotta in Germania e apparsa di recente sulla prestigiosa rivista Nature. La capinera, vivace uccellino grigio comune anche nei parchi e giardini delle nostre città, è largamente diffusa in tutta Europa. Come molte altrespecie di uccelli compie migrazioni stagionali per trasferirsi dai quartieri di riproduzione in Europa centro settentrionale a quelli di svernamento più meridionali del suo areale, in Nordafrica. Fino al 1950 gli uccelli presenti in Inghilterra erano quelli che si trattenevano in estate per la riproduzione o che sostavano in inverno nel tragitto migratorio, tra Scandinavia e Nordafrica. Negli ultimi quarant' anni molti appassionati ornitologi avevano notato un regolare aumento degli uccelli svernanti in Inghilterra: soprattutto soggetti che portavano anelli che ne indicavano la provenienza da Austria e Germania. Si sarebbe potuto pensare a uno spostamento casuale e «opportunistico» di alcuni individui. Invece, con un elegante esperimento, Peter Berthold, A. J. Helbig e alcuni altri colleghi hanno scientificamente dimostrato l' adattamento genetico di questa specie alle mutate condizioni trofiche. Alcuni uccelli catturati da una località inglese (Weston sul mare, circa 150 chilometri a Est di Londra) sono stati trasportati in Germania dove sono stati fatti riprodurre in cattività; poi una quarantina di giovani sono stati messi a confronto con altri, provenienti da genitori tedeschi, in un test di scelta della rotta migratoria (in laboratorio questo test generalmente si basa sulle impronte che un uccello ingabbiato lascia sul fondo della gabbia nelle notti di «agitazione migratoria» ). Entrambi i gruppi erano costituiti da animali mai usciti dai confini della Germania. Eppure, secondo le impronte lasciate sul pavimento della gabbia in cui la prova è stata eseguita, le rispettive direzioni divergevano. I figli di genitori tedeschi si sarebbero infatti diretti a Sud, verso le tradizionali mete africane, mentre quelli di genitori inglesi si sarebbero orientati verso l' Inghilterra. Secondo Berthold, noto fisiologo dell' orientamento, quasi il 10% delle popolazioni nidificanti nell' Europa centrale avrebbe scelto questa nuova rotta migratoria in poco meno di quarant' anni. Ma quali le ragioni di tale cambiamento di rotta abituale? L' ornitologo Sutherland dell' Università inglese dell' East Anglia, attribuisce un così rapido adattamento migratorio ai cambiamenti delle tradizionali disponibilità trofiche di questa specie nei suoi quartieri di svernamento. Gli uccelli alimentati con semi e mangimi da un numero crescente di cittadini sarebbero incoraggiati a trattenersi per tutto l' inverno. Così sarebbero stati avvantaggiati e «ingrassati» alcuni soggetti che, per una mutazione genetica originatasi dal centro Europa, erano casualmente finiti in Inghilterra. Non sempre i processi evolutivi si misurano sul cammino del tempo con passi di millenni; l' evoluzione del comportamento forse più plastica di quella delle strutture e degli organi può essere influenzata da cambiamenti trofici o ambientali percettibili nel corso di pochi anni portando ad adattamenti relativamente rapidi. L' acquisizione delle rotte e dei meccanismi alla base dei fenomeni migratori, che per molte specie è il risultato di millenni di storia evolutiva, può così essere un fenomeno direttamente valutabile. Giacomo Dell' Omo
L A respirazione artificiale è una tecnica utilizzata quando il respiro spontaneo non riesce più a mantenere i normali scambi gassosi fra polmoni e sangue. Un tubo collega la trachea del paziente a una macchina detta «respiratore», che sostituisce la funzione svolta fisiologicamente dai muscoli respiratori, permettendo la ventilazione degli alveoli polmonari e il conseguente scambio di gas con il sangue venoso, che viene ossigenato e liberato dall' anidride carbonica. L' intubazione della trachea può essere fatta attraverso la bocca, il naso o una tracheostomia. La scelta dipende dalle circostanze. Quando si tratta di ventilazioni di breve durata, si preferisce far passare il tubo dalla bocca. Quando il tubo deve restare inserito qualche giorno, si sceglie la via del naso. Per intubazioni prolungate, è più adatta la tracheostomia. La cannula viene connessa al respiratore, che insuffla nel paziente la quantità voluta di gas. I gas respiratori entrano nei polmoni perché spinti dal respiratore a una pressione superiore a quella atmosferica il contrario di quanto avviene nel respiro spontaneo, in cui l' aria entra perché l' inspirazione crea una depressione che la risucchia.
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
PERSONE: VAN DER WAALS JOHANNES
NOMI: VAN DER WAALS JOHANNES
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 056
SETTANT' ANNI fa, nella primavera del 1923, moriva ad Amsterdam Jo hannes D. Van der Waals, Premio Nobel per la fisica nel 1910. Nato a Leida nel 1837, Van der Waals ha legato il suo nome all' equazione che descrive il comportamento dei «gas reali». Nel 1660 Robert Boyle aveva scoperto che per un «gas ideale», a temperatura costante, il prodotto pressione volume era sempre lo stesso. Nel 1802 J. L. Gay Lussac aveva invece ricavato la legge che descrive la dipendenza del volume di un «gas ideale» dalla temperatura. Combinando queste leggi si ricavò la nota equazione di stato pV= nRT, dove n è il rapporto fra il volume del gas e il suo peso molecolare, R una costante e T la temperatura assoluta. I «gas ideali», però, sono considerati composti da molecole puntiformi che non occupano spazio, mentre nei «gas reali» le molecole occupano un loro spazio. Pertanto, nella equazione pV= nRT si deve sottrarre a V il volume b occupato dalle molecole del gas. La diminuzione del volume farà aumentare, di conseguenza, il numero degli urti fra le molecole e la pressione p subirà un incremento pari al valore a/v2 dove a è una costante che dipende dal gas e v il suo volume. Alla luce di queste considerazioni, l' equazione di stato dei «gas reali» divenne: (ppiù a/v2) (V b) = nRT, nota oggi, in omaggio al Nobel olandese, come equazione di Van der Waals (1873). Franco Gabici
Perché l' acqua del mare è salata? I minerali del mare (cloruro di sodio per l' 85 per cento, il restante 15 per cento composto da quasi tutti gli elementi presenti in natura) provengono dall' erosione delle rocce e arrivano al mare dai fiumi. Il cloro e il boro probabilmente erano già presenti nel periodo di formazione del pianeta, quando molti gas sfuggirono dal mantello che si trova allo stato semifuso sotto la crosta terrestre. Alcuni processi soprattutto biologici e geologici contribuiscono a mantenere costante la salinità degli oceani (che è pari al 3, 5 per cento del loro peso: potrebbe coprire tutti i continenti con uno strato spesso 150 metri). Nel momento in cui le eruzioni vulcaniche e la decomposizione degli organismi marini arricchiscono di minerali gli oceani, altri processi di rimozione eliminano queste sostanze mantenendo così in equilibrio il sistema. Una via di rimozione, ad esempio, è costituita dalle spaccature presenti sui fondali dove l ' acqua, infiltrandosi nella crosta terrestre fino a una profondità di cinque chilometri, deposita parte dei minerali che contiene disciolti. Il sodio e il cloro invece non sono facilmente eliminabili nè chimicamente nè biologicamente e rimangono quindi in soluzione conferendo all' acqua marina il suo caratteristico sapore salato. Attilio Novelli Pescara Esiste davvero la licantropia? Quali fattori la provocano? Con questo termine si indica l' ipotetica trasformazione di un essere umano in un lupo o, per estensione, in un altro animale. La credenza è antica e oggi ancora viva, soprattutto in particolari aree di cultura. Missionari o viaggiatori fanno ritenere che il fenomeno sia vero mentre l' opinione comune è che si tratti di dicerie. Esistono comunque persone affette da patologie mentali che, in certe occasioni, latrano come lupi o camminano a quattro zampe. Roberto Capecchi Almese (TO) Prendiamo due frigoriferi, uno pieno e uno vuoto. Quale consumerà più energia? Il consumo di energia di un frigorifero è ovviamente proporzionale alle frigorie da erogare, le quali dipendono dal peso e dal calore specifico dei prodotti da raffreddare. Supponendo perciò uguali i due frigoriferi (quello pieno e quello vuoto), quello pieno richiederà più energia in quanto, oltre a raffreddare se stesso, deve anche raffreddare il suo contenuto. Ferruccio Testore Torino Un frigorifero pieno funziona in maniera più efficiente di uno vuoto. Non vale comunque la pena riempirlo più del dovuto solo per realizzare un piccolo risparmio: il costo del cibo sarebbe superiore all' economia realizzata] Enrico Borsano Verona Se i due frigoriferi sono chiusi e a regime, il consumo energetico è uguale. Se invece il frigorifero pieno viene aperto e si cambia il cibo all' interno, il consumo energetico sarà maggiore sia per le dispersioni causate dall' apertura dei portelli, sia perché si deve raffreddare il nuovo carico. Paolo Andrietti Milano Il frigorifero è un elettrodomestico che permette di sottrarre calore a un corpo freddo per cederlo a uno più caldo attraverso l' utilizzo di energia meccanica (il calore può passare spontaneamente solo da un corpo più caldo a uno più freddo). Il liquido refrigerante (il più usato è l' ammoniaca), a bassa pressione evapora e diminuendo la sua temperatura sottrae calore all' ambiente e genera il freddo. Questo processo richiede un certo consumo energetico e dunque quanto maggiore è la quantità degli alimenti nel frigorifero, tanto maggiore sarà il consumo di energia. A parità di contenuto, il consumo varia anche secondo l' utilizzo del frigo: se lo si apre poche volte al giorno, la temperatura media interna è molto più bassa e il consumo risulta minore. Attilio Raiteri Candia Lomellina (PV)