TUTTOSCIENZE 10 marzo 93


CHI SA RISPONDERE ?
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 040

Da quanti protoni, neutroni ed elettroni è formato un uomo del peso di 70 chilogrammi? (Andrea Camposeo) & L' universo è fisicamente finito o infinito? (Alessandro Argentieri) & Quanti modelli di aerei da guerra sono stati progettati nel corso del ventesimo secolo? (Michele Bafaro) & Se le orecchie dell' elefante hanno la funzione di disperdere calore perché gli elefanti indiani hanno orecchie più piccole di quelli africani pur vivendo in zone ugualmente calde? (Gabriele Barabino, Tortona) _______ Inviare le risposte a: «La Stampa», via Marenco 32, 10126 Torino. Oppure via fax al numero 011 65. 68. 688.


SIMULATORI DI VOLO Il cielo immaginario «Ho pilotato il jumbo che non c' è
Autore: NOVAZIO EMANUELE

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TECNOLOGIA, TRASPORTI, AEREI
NOMI: LOEFFEL HARMUT
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 037

L' avventura alla guida di un «Jumbo», un' ora davanti alla cloche alla destra del comandante (che siede sempre sul seggiolino di sinistra), incomincia appena la torre di controllo dà il via libera per il decollo. I motori si avviano, i pannelli s' illuminano: con il capitano Dieter Kleeberg, 15 mila ore di volo perlopiù proprio alla guida dei «Jumbo» Lufthansa, verifico che le spie davanti a noi non segnalino guasti. La lista dei controlli previsti prima della partenza è lunga ma tutto è in ordine, dagli altimetri agli indicatori di velocità, dalla bussola al radar meteorologico. I serbatoi sono pieni di carburante, anche se ne servirebbe molto meno per arrivare a destinazione, a Oslo. Una sola preoccupazione: le previsioni segnalano maltempo lungo la rotta, che da Francoforte salirà verso Amburgo, prima di lasciare lo spazio aereo tedesco e di sorvolare la Danimarca e il mare del Nord fino alla Norvegia. All' arrivo ci aspetta una pista gelata con forte vento da Nord. Bisognerà stare attenti. Gli aerei davanti a noi in attesa di decollare (un altro «Jumbo», due «Airbus» e un «Boeing 737» ) sono partiti. Tocca a noi. Arriviamo all' imbocco Est della pista «25R» controllando la direzione con i pedali. Per partire, adesso, basta abbassare le due leve laterali, accanto alla cloche: quelle per dare gas e aumentare la velocità. I motori si impennano, la pista corre e si comincia a intravederne il fondo: i 2400 metri a disposizione per alzarsi stanno per finire e ancora l' aereo non sale, la velocità prescritta per il decollo 135 nodi, circa 200 chilometri l' ora non è ancora stata raggiunta. Ma niente a bordo segnala un allarme. Il «Jumbo» infatti risponde al tocco della cloche, si alza e la pista scompare, mentre il carrello rientra: dal finestrino adesso non si vede che il cielo sereno sopra Francoforte, poche nubi sull' orizzonte. Il decollo è tranquillo, la prima esperienza di un profano ai comandi del più grande fra gli aerei di linea comincia bene. Se dovessi commettere errori gravi, il comandante mi toglierebbe dai pasticci: i comandi, come su tutti gli aerei, sono doppi. Ma anche se tutto dovesse andare storto avremmo ottime possibilità di cavarcela: tutto, nella cabina, è reale, i comandi sono veri, le reazioni dell' aereo sono vere e anche gli errori lo sarebbero. Ma quel che c' è «fuori» è illusione, un' elaborazione del computer che controlla il simulatore di volo nel quale ci troviamo. Alle nostre spalle, l' ingegner Harmut Loeffel parla col computer, materializza i nostri desideri: quel che vediamo davanti a noi, «all' esterno», è lui a comporlo sulla tastiera dell' elaboratore. Le condizioni del tempo e le immagini che avremo di fronte durante il volo obbediscono ai suoi ordini. Loeffel è responsabile della programmazione del simulatore e lavora per la Lufthansa: siamo al centro di adddestramento piloti della compagnia tedesca, all' aeroporto di Francoforte. Accanto al nostro simulatore ce ne sono altri: quelli di un «Airbus 320» e di un «Boeing 737», due bireattori usati sulle rotte a corto e medio raggio, e quello del nuovissimo quadrigetto «Airbus», l' «A 340», da poco in servizio sulle rotte a lungo e lunghissimo raggio. La crisi dell' aviazione civile, il blocco delle assunzioni per i piloti e la conseguente riduzione nell' utilizzo dei simulatori impiegati anche per il regolare controllo del personale in servizio hanno convinto la Luft hansa ad aprire al pubblico questi impianti. A Francoforte è cominciato poco prima di Natale, e le richieste sono già centinaia, nonostante il prezzo (750 marchi, settecento mila lire, per un' ora di «Jumbo», 500 marchi per il «737», 650 per l' «Airbus 320» ). Altri impianti funzionano a Brema, dove si può pilotare anche l' «Airbus 310», fratello maggiore del «320». A bordo, abbiamo le carte di volo e quella che servirà per l' avvicinamento all' aeroporto di Oslo. Le abbiamo ricevute prima di entrare in «cabina», al centro di smistamento, dove gli equipaggi Lufthansa in partenza da Francoforte ricevono le informazioni aggiornate sulle condizioni del tempo lungo la rotta, e le istruzioni per preparare i piani di volo. Le cartine sono complesse decifrare tutte le sigle, le scritte, i livelli di quota e i radiofari, è difficile. Sono ben visibili i «corridoi» e le rotte obbligate (il comandante, alla partenza, può proporre quella che gli pare migliore, considerate le condizioni del tempo e il traffico, ma saranno i controllori a indirizzarlo durante il volo) La carta sembra una ragnatela, con lunghi fili che si intrecciano intorno agli aeroporti più importanti dell' Europa centro settentrionale, ognuno indicato da numeri e lettere, ognuno attraversato ogni tanto da simboli azzurri, i radar di controllo. Nello stesso centro, eravamo stati informati delle condizioni del tempo lungo la rotta: per selezionarle, è stato sufficiente programmare il computer, collegato con il centro di Reading in Inghilterra; l' immagine è subito apparsa sullo schermo. Sappiamo dunque che a Oslo c' è tempo fortemente perturbato. Ma adesso che l' aereo sta salendo verso la quota di crociera, 29 mila piedi pari a poco meno di diecimila metri, tutto va bene, non c' è quasi vento, il cielo è sereno. Meglio cambiare qualcosa, allora, per movimentare il volo: l' ingegner Loeffel programma l' incontro con un fronte freddo, e subito il paesaggio davanti a noi cambia. Adesso voliamo all' interno delle nubi, non si vede più niente, ci affidiamo agli strumenti e alla radio. Manteniamo la rotta osservando l' indicatore dell' orizzonte, dove le ali dell' aereo devono coincidere con una linea orizzontale. Altre informazioni ci arrivano da terra. Ma il vento comincia a scuotere l' aereo. La «cabina» sobbalza come se davvero fossimo incappati in una tempesta grazie al sistema idraulico che la tiene sospesa e riproduce esattamente le scosse che si avrebbero in volo, in una situazione del genere. Mantenere in assetto il jet è difficile, bisogna tenere stretta la cloche, ma le vibrazioni sono fortissime. Dai controllori di volo sappiamo che a una quota più bassa, sui 4000 metri, la situazione è più tranquilla. Ci abbassiamo, dunque, ma subito cambiamo di nuovo programma e torniamo alle condizioni che troveremmo in quel momento su Oslo. Il computer, adesso, ci presenta l' aeroporto d' arrivo: lo si intravede attraverso le nubi, ma da terra comunicano che la pista è ghiacciata e che spetta al comandante decidere se tentare l' atterraggio. Si tenta, i margini di rischio sono bassi. Ma mentre iniziamo la fase finale della discesa, guidati dai segnali elettronici in arrivo dalla pista, e già abbiamo abbassato gli ipersostentatori del bordo d' attacco delle ali per garantirci il sostegno durante l' atterraggio, un' avaria ci costringe a rivedere le procedure: il primo motore di destra è a fuoco, e subito dopo tocca a quello vicino, ma succede qualcosa anche al terzo, a sinistra. L' aereo adesso si affida a un solo motore, una possibilità molto remota nella realtà ma possibile. Tre spie su 4 sono accese, e una cicala segnala l' avaria. I motori a fuoco vengono subito spenti e isolati, mentre entrano in funzione gli estintori. Il vento da Nord ci flagella, l' atterraggio diventa all' improvviso a rischio. Ci teniamo alla cloche, cerchiamo di rimanere in assetto: una situazione del genere sarebbe difficile, nella realtà, ma l' esperienza del comandante ha la meglio. Tocchiamo terra, l' aereo sbanda perché i freni non fanno presa sul ghiaccio. Il «Jumbo» continua la sua corsa, nonostante l' immediato azionamento degli inversori di spinta per ridurre la velocità. Superiamo i limiti della pista, ma riusciamo a fermarci al bordo estremo, prima di finire nella neve fresca e rovesciarci. Ce l' abbiamo fatta per un soffio, e senza trucchi: tutto quel che ci è successo sarebbe davvero accaduto in un aereo sul quale tre motori fossero andati a fuoco, poco prima di scendere su una pista battuta dal maltempo. L' elaboratore si è limitato a fornire i dati sui quali l' equipaggio responsabile del volo ha lavorato. Anche il sospiro di sollievo, alla fine, è reale. Emanuele Novazio


Un boom Dall' industria all' addestramento militare la simulazione trova sempre nuovi impieghi
Autore: BERNARDI MARIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TECNOLOGIA, TRASPORTI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 037. Simulatori di volo

Isimulatori sono noti soprattutto per l' addestramento degli equipaggi di volo. Grazie ad essi piloti e specialisti di bordo possono prepararsi ad affrontare qualsiasi situazione di emergenza o famigliarizzarsi con aerei di nuovo modello senza rischi e senza sottrarre all' attività produttiva prezioso materiale di volo. Vi è, però, un crescente uso dei simulatori in altre applicazioni, aeronautiche e non: con i simulatori «di progetto» gli ingegneri possono studiare il comportamento dei prototipi fino dallo studio iniziale con notevoli benefici sia sui tempi sia sui costi di sviluppo; gli astronauti possono prepararsi alle missioni spaziali con un realismo non ottenibile per altra via; i controllori del traffico possono addestrarsi a mantenere le separazioni tra aerei in volo e a terra. Ma la simulazione non è limitata agli impieghi aerospaziali. Le sue applicazioni si estendono oggi ai sistemi di addestramento navali, ferroviari, di trasporto su strada; si applicano ai sistemi di condotta delle centrali elettriche, delle raffinerie, dei grandi impianti industriali. Dai tempi del «Link trainer», impiegato per la formazione dei piloti alleati della seconda guerra mondiale, la simulazione ha fatto grandi passi. Soprattutto negli ultimi 20 anni il progresso e la domanda di simulatori hanno avuto una crescita esponenziale stimolando una industria che conta aziende come la canadese Cae Electronics, le americane Hughes Rediffusion, Link Miles, McDonnell Douglas, Reflectone e Frasca; la British Aerospace in Inghilterra e la Thomson Csf in Francia; anche in Italia l' Alenia si è recentemente inserita in questo mercato, che a livello mondiale, per il quinquennio 1987 92 è stato dell' ordine di 8000 milioni di dollari. I prodotti che vanno sotto la denominazione di simulatori si differenziano per il grado di complessità e il livello di addestramento che sono in grado di fornire. Si va dai simulatori Gat (General Aviation Trainers Addestratori d' aviazione generale) per l' addestramento al volo senza visibilità ed alla navigazione radioguidata, ai Cpt (Cockpit Procedure Trainers Addestratori alle procedure di cabina) che consentono la famigliarizzazione con i comandi e gli impianti di uno specifico aereo; dai Css (Cockpit Systems Simulator Simulatori degli impianti in cabina) che consentono la simulazione di talune fasi e profili di volo agli Ffs (Full Flight Simulators Simulatori di volo completi) il cui comportamento riproduce in «tutte» le condizioni di volo il comportamento del velivolo sia sotto il profilo aerodinamico, sia rispetto alle prestazioni, sia nella forma della risposta degli strumenti del cruscotto agli imput del pilota. Allo «stato dell' arte» la concorrenza più accanita è soprattutto sul realismo e il dettaglio con cui gli impianti sono in grado di rappresentare l' ambiente esterno ed in particolare gli aeroporti e le loro vicinanze. Tale realismo può essere ottenuto mediante obiettivi televisivi che esplorano il terreno sorvolato e lo rappresentano in funzione delle manovre del pilota, oppure mediante l' impiego di tecniche laser; ma soprattutto viene oggi realizzato mediante immagini generate dai computer. In tutti i casi lo scopo è unico: mettere a profitto tutto il realismo possibile con la moderna tecnologia per sviluppare sistemi di cui l' individuo rappresenta l ' elemento centrale; sistemi in grado di preparare col minimo costo e nel minore tempo professionisti perfettamente addestrati a svolgere i compiti loro assegnati. E ciò sia che si tratti di intercettare un aereo nemico o di portare all' atterraggio un aereo da trasporto in condizioni meteorologiche avverse; di rifornire in volo un aereo da una aviocisterna, di instradare il traffico su un aeroporto sovraffollato o di far funzionare una centrale elettrica al massimo rendimento. Mario Bernardi


COMPIE TRENT' ANNI «Mario Negri» tutto d' oro L' istituto nato dall' idea di un gioielliere
AUTORE: GIACOBINI EZIO
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
PERSONE: NEGRI MARIO
NOMI: GARATTINI SILVIO, NEGRI MARIO
LUOGHI: ITALIA, MILANO
NOTE: 037

TRENT' ANNI fa in questi giorni 22 giovani entravano per la prima volta in un edificio in costruzione alla periferia di Milano, tutto uffici e laboratori. Avevano lasciato l' Università con una mossa piuttosto insolita per laureati italiani, desiderosi, allora come adesso, di un posto di lavoro sicuro. Alcuni erano già docenti, come Silvio Garattini, altri appena laureati e giovani assistenti, altri ancora erano tecnici e segretarie. L' edificio di via Eritrea costituiva una prima assoluta per l' Italia: era infatti un istituto di ricerca sui farmaci finanziato interamente da privati, un' anomalia sulla scena scientifica italiana, dove manca una tradizione di questo genere. Al contrario dei Paesi anglosassoni, la sensibilità degli italiani per il sostegno della ricerca scientifica è stata sempre scarsa. Di solito gli italiani ricchi destinano i propri fondi alla Chiesa e alle opere di bene. L' eccezione era stata fatta da un gioielliere di Milano, Mario Negri, che nel 1963 aveva capito che senza ricerca scientifica non sono possibili nuove conoscenze e senza queste non si possono sviluppare nuove terapie. La nascita di un istituto indipendente dall' università era considerata allora una iniziativa molto rischiosa. A parte la questione dei fondi, chi mai avrebbe frequentato un organismo che non poteva offrire i famosi «titoli di studio» tanto ambiti dai giovani? Per questo l' accoglienza del mondo accademico italiano al «Mario Negri» fu piuttosto fredda e scettica sul suo futuro. Trent' anni dopo, il successo è riconosciuto da tutti anche in campo internazionale. Nei laboratori del «Negri» sono passati 500 ricercatori stranieri provenienti da 50 Paesi diversi. Aiuti finanziari sono arrivati dal massimo ente federale di ricerca degli Stati Uniti, il National institute of health (Nih) e da altre fondazioni internazionali. I grandi filoni di ricerca del «Negri» sono: i tumori, con particolare riferimento alla chemioterapia; gli psicofarmaci e in genere i disturbi del sistema nervoso centrale (inclusi la malattia di Alzheimer e l' Aids); i farmaci cardiovascolari con particolare interesse ai problemi del colesterolo e dell' arteriosclerosi. Sono tre campi di ricerca fondamentali che il «Negri» ha sviluppato usando discipline e tecnologie che vanno dalla biologia molecolare allo studio clinico degli effetti dei farmaci. I 22 ricercatori iniziali sono diventati, sempre sotto la guida di Silvio Garattini, 750, facendo del «Negri» non solo il più grande istituto di ricerca farmacologica in Italia ma uno dei maggiori in campo internazionale Nei suoi trent' anni di vita l' istituto si è moltiplicato: oggi si sono aggiunti un «Negri Sud» a Chieti e un «Negri Nord» a Bergamo. Tra le iniziative più nuove, senza precedenti in Europa, il Centro di ricerche sulle malattie rare. Ezio Giacobini Università del Sud Illinois


INFORMATICA Il chip dei primati Cento milioni di istruzioni al secondo Tre milioni di transistor concentrati nel nuovo microprocessore della Intel Ma il software è in ritardo
Autore: LENTINI FRANCESCO

ARGOMENTI: INFORMATICA, ELETTRONICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D
NOTE: 038

CONTINUA la gara di velocità tra i microprocessori, i minuscoli chip che costituiscono il cuore dei computer. Finora il più potente era il modello i486Dx2, ossia Intel 486 a doppia velocità di clock (fino a 66 Mhz: il che significa un «cuore» capace di battere 66 milioni di pulsazioni al secondo). Ora arriva sul mercato il 586, battezzato «Pentium», con prestazioni almeno quattro volte superiori. Il nuovo primato è possibile grazie ai 3, 5 milioni di transistor contro il milione e duecentomila del suo predecessore. Questa differenza comporta 8 Watt di consumo invece di 5 e 238 piedini invece di 162, ma anche la capacità di eseguire 100 milioni di istruzioni al secondo (Mips). E' opportuno specificare che parliamo di istruzioni elementari, come lo spostamento di una stringa di bit da un registro all' altro. Ebbene, il 586 può compiere in media 1, 5 o 2 di queste istruzioni per ciclo di clock. Un funzionamento di questo tipo si chiama Risc e consente di eseguire un ridotto set di istruzioni (dall' uso molto frequente) in un tempo molto breve. Gli altri segreti del 586 sono: un processore di precedente generazione e un co processore matematico integrati nel chip, una doppia cache memory e l' elaborazione di tipo semi parallelo. Vediamo di che cosa si tratta. Il processore di precedente generazione è un 386, inserito per assicurare la compatibilità con le applicazioni esistenti (quindi i sistemi operativi attuali, come Dos e Windows, non dovranno essere buttati) Il co processore matematico è un' unità di elaborazione in virgola mobile che entra in funzione quando vi sono da compiere complessi calcoli matematici, come nel caso di programmi che richiedono un uso intensivo della grafica. La cache memory è una memoria ad accesso casuale (Ram) più veloce della memoria normale; il 586 ne possiede due e le usa per farvi transitare ad alta velocità dati e istruzioni di uso più frequente. Infine l' elaborazione semiparallela, detta anche pipelining, consiste nella frammentazione di ogni istruzione in una sequenza di singoli passi, eseguibili da parti diverse del microprocessore in tempi diversi. Se una certa istruzione contiene un passo «lento» il nucleo del microprocessore si disimpegna per passare all' istruzione successiva; il passo rimasto in sospeso viene eseguito da una sub unità delegata allo scopo. Resta da vedere a che cosa servirà tutta questa potenza. Certo la tecnologia non si può fermare, però in certi settori vi è stato uno sviluppo esagerato dell' hardware rispetto al soft ware. E' accaduto che l' impiego di chip sempre più veloci non ha trasformato il personal computer in uno strumento veramente facile da usare. E mentre Intel introduce un indice assoluto per le misure di velocità (indice iComp), già si nota l ' assenza di un sistema operativo capace di sfruttare appieno le capacità del 586. Ciò significa che il software applicativo (i programmi che usiamo tutti i giorni) non si adeguerà al nuovo chip per almeno un anno o due. Francesco Lentini


IN GIAPPONE Celle solari e policarbonati L' alta tecnologia va nel mondo dei giocattoli
Autore: BASSI PIA

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, GIOCHI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 038. Giocatolli

L' ALTA tecnologia arriva anche nel mondo dei bambini: celle solari e materiali sofisticati approdano nel piccolo mondo nei giocattoli. Almeno in quelli che nascono sotto l' impero del Sol Levante. Un prototipo a energia solare è stato realizzato dalla Tamiya, azienda giapponese leader mondiale nel campo del modellismo. Si chiama «Solar Eagle» ed è un' automobilina dalla linea avveniristica che ha incontrato il gradimento immediato di ragazzi e adulti con la passione dei modelli radiocomandati. Il veicolo è di semplice montaggio, ha una trentina di celle solari e raggiunge una velocità di circa 12 chilometri all' ora. Nel caso di un annuvolamento improvviso il veicolo non si blocca ma procede grazie alla scorta di energia accumulata da tre condensatori; inoltre può anche funzionare con quattro normali batterie alcaline. Non ha telaini, la struttura, a forma di conchiglia, è in leggerissimo policarbonato. Ha una superficie molto ampia e piatta, di 50x24 centimetri, studiata per catturare la maggiore quantità di energia solare (o artificiale) possibile. Le celle fotosensibili convertono l' energia luminosa in energia elettrica permettendo di alimentare sia l' apparato della ricevente del telecomando sia del motore. Si sposta su tre ruote, due anteriori ed una sola posteriore, molto sottili per ridurre l' attrito e sono di materiale spugnoso per avere più adesione al terreno. La «Solar Eagle» scivola silenziosa sulla pista e la bravura del guidatore consiste nel dirigerla in modo che riceva la maggiore quantità possibile di radiazione luminosa. Il costo, elevato per un giocattolo, è di circa un milione (di cui 250 mila per il radiocomando) ma non è stato un ostacolo per la vendita. Esiste anche una versione molto semplificata, senza condensatori e non radiocomandata, composta da un solo pannello solare di 5 per 3 centimetri, che costa 40 mila lire. «La curiosità per questo modello sofisticato, ed oserei dire anche ecologico, è molto forte, tanto che le numerose richieste devono attendere tre mesi per essere esaudite», dicono a Fantasyland, azienda importatrice di Milano. «Ogni mese escono dieci nuovi modelli. Lo scorso anno di grande successo sono state due mini automobili da corsa a pile composte di 5. 000 pezzi, tempo di montaggio 8 ore. Ne sono stati venduti 350 mila esemplari e i giovanissimi amatori si sono riuniti nel Tamiya Club per disputare gare valevoli per il primo campionato italiano mini 4WD». Pia Bassi


INQUINAMENTO Italia e Francia alleate per mettere sotto controllo le acque del Mediterraneo
Autore: VICO ANDREA

ARGOMENTI: ECOLOGIA, INQUINAMENTO, MARE
LUOGHI: ITALIA, MARE MEDITERRANEO
NOTE: 038

ALLEATI per salvare il Mediterraneo. Il Mare Nostrum figura nell' elenco delle quindici aree ambientali del mondo più importanti, interessanti e da studiare, insieme ad Amazzonia, Antartide, Sahara Con la benedizione della Cee, l' Enea, il Cnr e l' Ifremer (Istituto francese per la ricerca e lo sfruttamento del mare) nei prossimi cinque anni uniranno gli sforzi per studiare la variabilità chimico fisico biologica del bacino mediterraneo e combattere l' inquinamento. L' accordo è stato siglato il 20 gennaio, ma il primo atto ufficiale del neonato consorzio si è svolto la scorsa settimana, a Santa Margherita Ligure. Tre intensi giorni di discussioni per raccontarsi a vicenda gli studi fatti in passato e i progetti per il futuro. La tecnologia ambientale sta imboccando due strade, differenti ma parallele: l' automazione del monitoraggio e l' impiego delle biotecnologie. Tenere sotto controllo vasti strati di mare non è tecnicamente complesso; piuttosto è dispendioso in termini di risorse umane. Meglio affidarsi a piccole boe robot, sistemate nei punti strategici della costa o del mare aperto. Una boa del genere costa dai cinque ai trenta milioni, quanto pochi giorni di rilevazioni condotte da una nave oceanografica. Le più piccole misurano appena qualche metro di diametro, funzionano a batteria e contengono una cartuccia densa di sensori che costantemente «assaggia» l' acqua del mare e «annusa» l ' aria. Memorizza tutto (può registrare fino a 4300 dati al giorno ) e perdiodicamente viene riportata in laboratorio e sostituita con una cartuccia vuota. Con la stessa filosofia, ma con maggior capacità, lavorano le boe Odas, boe oceanografiche sistemate in mare aperto. Sono alte 50 metri e vengono alimentate da 8 pannelli solari. Tutti gli strumenti, che possono controllare anche le variazioni atmosferiche, sono sistemati in una cabina, collegata via radio con i laboratori di terra. Per definire con precisione il tipo e la gravità dell' inquinamento di una zona di mare la ricerca sta parallelamente mettendo a punto nuovi sistemi di valutazione a base biologica, i biomarker (che potremmo tradurre con «segnalatore biologico» o con «bioindicatore» ). Quando un composto tossico penetra in un ecosistema provoca una serie di alterazioni strutturali; le alghe reagiscono in un certo modo (cambiano colore, per esempio), alcuni pesci in un altro, il plancton in una maniera ancora differente e così via. Misurando e studiando le risposte che un organismo, una popolazione o una comunità possono generare nei confronti di uno stress chimico si riesce a valutare il danno subito dall' ecosistema. In futuro si potranno studiare microorganismi ad hoc; sentinelle biologiche specializzate che, integrandosi nell' ecosistema, segnalino la presenza di questa o quella sostanza tossica. Andrea Vico


ACCORDI TECNICO SCIENTIFICI Si fa l' Europa delle misure Un «vertice» in corso a Torino
Autore: CALCATELLI ANITA

ARGOMENTI: METROLOGIA, ACCORDO
ORGANIZZAZIONI: CONVENZIONE DEL METRO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 038

NON c' è aspetto della vita quotidiana che non richieda di conoscere il risultato di una misurazione e quindi il ricorso a tutta una catena di riferimenti e procedure più o meno complesse. Tutto ciò sottende un' ampia collaborazione e il confronto continuo tra gli operatori del settore metrologico. Da quando è stata siglata la Convenzione del Metro nel 1875, che ha gettato le solide basi del Sistema Internazionale di unità di misura (SI), il lavoro di armonizzazione è continuato e ha portato a varie ridefinizioni e modifiche. Fanno da riferimento alle misure non solo i campioni che realizzano le varie unità fondamentali e derivate del SI ma anche una serie di procedure di confronto dei campioni di lavoro con quelli di riferimento, il calcolo e definizione dell' incertezza della misura stessa. Per realizzare tutto ciò è dapprima stato fondato l' Ufficio Internazionale di Pesi e delle Misure, ma a poco a poco i vari Paesi si sono dotati di una loro struttura metrologica più o meno complessa. In Europa esistono laboratori che accorpano tutto il complesso lavoro metrologico, come per esempio il Physikalisch Technische Bundesanstalt (Ptb) in Germania, il National Physical laboratory (Npl), che oltre alla attività di ricerca di base svolge tutta la ricerca metrologica in Inghilterra; in Francia invece esistono vari laboratori aventi competenze in specifici settori ma coordinati dal Bureau National de Metrologie (Bnm). In Italia nel 1934 è stato istituito l' Istituto Elettrotecnico Nazionale Galileo Ferraris (Ien) con il compito, tra l' altro, di realizzare la metrologia elettrica cui si aggiunsero poi anche la fotometria e l' acustica; nel 1968 da due preesistenti Istituti del Consiglio Nazionale delle Ricerche fu costituito l' attuale Istituto di Metrologia Gustavo Colonnetti (Imgc) che ha il compito di svolgere ricerche e realizzare campioni delle grandezze meccaniche (massa, lunghezza e grandezze da esse derivate) e termiche. Anche in Spagna è stato di recente costituito il Centro Espanol de Metrologia. L' insieme dell' attività metrologica italiana costituito da Imgc, Ien, Enea (Comitato Nazionale per lo sviluppo dell' energia nucleare e delle energie alternative) è fissato e ben definito dalla legge n. 273 dell' 11 agosto 1991 che istituisce il Sistema Nazionale di taratura. Via via che si venivano costituendo i vari laboratori metrologici e consolidando la loro attività si poneva anche il problema di un coordinamento anche a livello europeo (area della Cee) onde ottimizzare l' attività dei vari laboratori e mettere a disposizione competenze già consolidate con uno scambio continuo di informazioni. E' per questo che nel 1987 è sorta l' organizzazione Euromet ed è stato firmato il Memorandum di intesa. Si tratta di un' organizzazione su base puramente volontaria e non dotata di un proprio bilancio, qindi i laboratori che partecipano provvedono in proprio a coprire la propria parte di spese per le attività svolte in comune. L' Euromet ha come scopo la collaborazione degli Istituti metrologici che vi partecipano per promuovere e coordinare le attività metrologiche e di servizio in genere per raggiungere un più elevato livello di efficienza nel lavoro di definizione e costruzione dei campioni di misura nell' attuale struttura metrologica decentralizzata. All' Euromet partecipano oggi tutti gli Istituti Metrologici Nazionali di tutti gli Stati membri della Comunità Economica Europea, di tutti gli Stati aderenti all' Efta (European Free Trade Association) e la Comunità Economica Europea (in totale vi sono 19 membri). Ogni Istituto può presentare proposte di lavoro che vengono fatte circolare tra gli altri membri e, se accettate da alcuni di essi, inizia la vera e propria attività di collaborazione, che può essere legata a particolari studi metrologici, armonizzazione delle misure e del calcolo delle incertezze, confronti internazionali e formazione di giovani ricercatori. Uno dei gruppi di lavoro, il più numeroso per argomenti e per articolazione si riunirà a Torino all' Istituto Colonnetti dal 9 al 12 marzo. E' il gruppo che si occupa di «Massa e grandezze derivate»: 40 ricercatori provenienti da 14 Paesi europei. Anita Calcatelli Istituto di Metrologia Colonnetti


IL PULCINELLA DI MARE In vacanza ci vado da solo Una volta allevato il piccolo padre e madre si separano Ma si ritroveranno al loro nido per la stagione degli amori
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ZOOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 039

SE i pinguini sono gli uccelli più caratteristici e popolari dell' Antartico, altrettanto può dirsi per i pulcinella di mare del genere Fratercula nell' Artico. Inconfondibili gli uni per la caratteristica livrea bianco nera che li fa assomigliare a curiosi omini in frac, inconfondibili gli altri per la vistosa nota di colore che si accende in primavera nell' alto becco triangolare degli adulti. Nella stagione degli amori è come se l' uccello si mettesse un grosso naso colorato da clown. In cima al becco gli spuntano curiosissime strutture cornee caduche, rosso fuoco all' apice, giallo brillante, poi grigie alla base. E' l' alta uniforme di cui i pulcinella si rivestono per farsi notare più facilmente dal partner dell' altro sesso. I pinguini delle varie specie hanno statura variabile che tocca il metro e venti nel gigante della famiglia, il pinguino imperatore, quello che vive più a Sud di tutti gli altri. Il pulcinella di mare in confronto è un nanerottolo, alto appena trentacinque centimetri. Non raggiunge nemmeno il pinguino più piccolo, l' Eudiptola minore, che ne misura quaranta. Parentela tra pinguini e pulcinella di mare non ce n' è I primi sono Sfenisciformi, i secondi appartengono alla famiglia degli Alcidi (ordine dei Caradriformi). Ma con tutto ciò, qualche lato in comune ce l' hanno. Camminano entrambi in posizione comicamente semieretta. E hanno tutt' e due una straordinaria dimestichezza con l' elemento liquido. Al pari dei pinguini, agilissimi in acqua, i pulcinella nuotano con straordinaria disinvoltura, servendosi delle ali corte e sottili a guisa di remi. E sono anche abili tuffatori. Quando vanno in cerca di prede (pesci crostacei, molluschi) s' immergono fino a 25 metri di profondità I pulcinella hanno però un grosso punto di vantaggio sui pinguini: sanno volare nell' aria, a differenza degli omini in frac che ne sono incapaci. Il dominio dei pulcinella di mare si estende dalla costa orientale del Canadà, attraverso la Groenlandia e l' Atlantico, fino alle isole britanniche e parte della Scandinavia. Ma l' epicentro del loro regno, il luogo più affollato di nidi, è senza dubbio l' Islanda, dove vengono ogni estate a nidificare sulle falesie rocciose a picco sul mare milioni e milioni di pulcinella. E' qui che i cacciatori, avidi della loro tenera carne e delle belle penne, ne uccidono almeno mezzo milione l' anno, senza calcolare quelli che vengono catturati vivi per le voliere dei giardini zoologici. Per quanto siano numerosi, c' è da temere per il futuro di una specie che è strettamente legata per il suo nutrimento alla fauna marina, fauna spesso gravemente minacciata dai disastri petroliferi sempre più frequenti. Per cui i protezionisti hanno varato dieci anni fa il Progetto Fratercula, che vuole tutelare l' esistenza di una delle più graziose creature del mondo ornitologico e fortunatamente sta dando i primi benefici effetti. Sulle ripide pareti rocciose a picco sul mare sorgono l' uno accanto all' altro i nidi delle colonie di pulcinella. Usando gli artigli e il becco a mò di piccone, ogni coppia scava una cavità profonda oltre mezzo metro e la tappezza internamente di morbida erba e di muschio; poi la femmina vi depone un unico uovo ben grosso, corrispondente a quasi un decimo del suo peso. Ci vogliono sei settimane prima che si sviluppi e i genitori si danno il turno alla cova. Finalmente il pulcino viene alla luce. E' un batuffolo di piumino grigio scuro con gli occhietti già aperti alla nascita. Incomincia allora per i genitori una durissima corvee. Volano a turno in mare senza sosta a fare incetta di cibo per l' esigentissimo piccolo. Per fortuna posseggono un dispositivo naturale che consente loro di fare il pieno con relativa facilità. Riescono a trasportare in un solo carico fino a cinquanta pesciolini, solidamente agganciati a speciali spine della lingua e compressi dalle forti mandibole, come sardine in scatola. Con questa dieta supernutriente, il pulcino cresce rapidamente. E giunge il momento in cui deve cimentarsi nella grande avventura: il primo tuffo. Si lancia dalla falesia dove sorge il nido direttamente in mare e se la cava a meraviglia perché nuotare per lui è un istinto innato. Superato il battesimo dell' acqua, gli rimane da superare quello dell' aria. In questo i genitori gli danno una mano e il piccolo pulcinella impara così a spaziare in tutti e tre i regni della natura. Quando compie cinque anni, il giovane diventa sessualmente maturo ed è il momento di cercar moglie. La scelta dev' essere oculata, perché l' unione dovrà durare per tutta la vita, lunga una trentina d' anni. Per trovare l' anima gemella, la cosa più opportuna è ritornare alla falesia dov' è nato. Lì, tra quella moltitudine di pulcinella, non c' è che l' imbarazzo della scelta. Non gli sarà difficile trovare la partner con cui dovrà convivere per il resto della sua esistenza. Stretta monogamia dunque tra i pulcinella di mare. Ma sbaglierebbe chi credesse che i due partner se ne stiano sempre «core a core». C' è nel rapporto di coppia una tacita clausola che è forse la chiave segreta del loro successo coniugale: non appena il figlioletto spicca il volo e diventa indipendente, i due partner si concedono una meritata vacanza. Insieme? Niente affatto. Separati. Ciascuno spicca il volo verso l' ignoto e se ne va per i fatti suoi. Dove vada di preciso non si sa. Sta di fatto però che al sopraggiungere dell' estate, quando arriva la nuova stagione degli amori, i due fanno ritorno dall' avventura di «single» per ritrovarsi assieme. E, come se si fossero dati appuntamento, si ritrovano proprio nel nido sulla falesia, nel loro nido, quello che hanno costruito assieme e in cui hanno allevato il primo figlio. E così il ciclo ricomincia. Isabella Lattes Coifmann


PALEOANTROPOLOGIA Bagarre intorno al primo uomo Tobias: discendiamo tutti da Homo abilis
Autore: MINERVA DANIELA

ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA, PALEONTOLOGIA
NOMI: TOBIAS PHILIP VALENTINE, DART RAYMOND, LEAKEY LOUIS, NAPIER JEROME
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 039

IL grande vecchio storce il naso. E l' opinione di Phillip Valentine Tobias, discepolo del padre della paleoantropologia Raymond Dart e custode geloso di gran parte dei resti fossili dei nostri più antichi antenati, pesa come un macigno sulla nuova bagarre scatenata a proposito delle origini del genere Homo sulle pagine della rivista Nature. Oggetto del contendere è un nuovo albero genealogico della nostra specie proposto da Bernard Wood, scienziato britannico e autorità indiscussa in tema di analisi comparate di ominidi fossili. Wood ha passato anni a studiare e misurare crani, mascelle tibie e altri frammenti di bipedi africani e ha deciso che Homo abilis, ritenuto il più antico esemplare del genere Homo e l' antenato di noi tutti, non era affatto l' unico uomo a cercare di sopravvivere nelle savane dell' Africa Orientale circa due milioni di anni fa. Con lui c' erano non solo gli australopiteci, le scimmie bipedi da cui il nostro genere ha avuto origine, ma anche Homo rudolphensis ed Homo ergaster; ed è da quest' ultimo che, svariati millenni più tardi, si è evoluto Homo erectus. Phillip Tobias, qualche tempo fa a Firenze per il IX Congresso internazionale di morfologia dentale, ascoltava con benevolenza queste argomentazioni sulle quali abbiamo sollecitato il suo parere «Certi studiosi dice hanno una spiccata tendenza a spaccare il capello». E' stato proprio lui, insieme a Louis Leakey e a Jerome Napier, a definire, nel 1969, la specie Homo abilis e a porla al vertice dell' albero genealogico di Homo. E oggi, a pochi mesi dalla pubblicazione della sua monografia su questa specie edita dalla Cambridge University Press dopo quasi quindici anni di lavoro non ama vedere il suo abilis buttato fuori dalla fotografia dei nostri antenati. Non gli piace l' idea di coniare una nuova specie ogniqualvolta si trova un nuovo fossile e ricorda come ogni specie animale, anche l' uomo, goda di una grande variabilità al suo interno. Il suo abilis era l' ominide umano che viveva in Africa Orientale due milioni di anni fa. Poi c' erano gli australopiteci, «i bipedi barcollanti» come vengono chiamati nell' edizione italiana del suo libro ( «Il bipede barcollante», Einaudi 1992). «Gli australopiteci spiega vivevano in Africa nel periodo compreso tra un milione e mezzo e cinque milioni di anni fa. Abbiamo solide prove per dire che questa creatura dal cervello assai piccolo ma dalla dentatura assai simile a quella umana camminasse in posizione eretta. Pare però che invece di camminare portando una gamba dopo l' altra, si spostasse con un' andatura dondolante in cui le gambe, nel portarsi l' una davanti all' altra, compivano un movimento verso l' esterno per poi oscillare nuovamente verso l' interno. Era un bipede, appunto, ma barcollante. E tutto ci dice che l' antenato della nostra specie sia una delle varietà di australopiteco, quella da cui hanno avuto origine Homo abilis e l' umanità ». La paleoantropologia, con pochi fossili e molte congetture, tenta di ricostruire le ascendenze della nostra specie, e Tobias nei pochi frammenti di ominidi lasciatici dal tempo ha ritrovato i caratteri più arcaici di Homo, quelli che ci rendono diversi dagli altri primati. Per lui questi tratti erano tutti in Homo abilis che, dice «popolava la Terra già al tempo degli ultimi australopiteci. Ma il suo adattamento alla posizione eretta è molto migliore di quello dei suoi predecessori: si può dire che camminasse più o meno come noi. Lui è il primo ominide a mostrare l' inizio di un progressivo aumento delle dimensioni cerebrali senza che, a tale aumento, corrisponda una crescita delle dimensioni corporali proporzionabile il suo cervello cresce del 50 per cento rispetto a quello degli australopiteci, ma il suo corpo no. E non è solo una questione di grandezza. Nel cranio di abilis ho identificato le caratteristiche dell' area di Broca e dell' area di Wernicke, le due più importanti aree corticali del linguaggio. Egli parlava, e visto che è il linguaggio a renderci umani, a darci la possibilità di scambi sociali, culturali, fideistici e quant' altro ci caratterizza, io insisto nel dire che è lui il primo uomo. Credo che il linguaggio abbia rappresentato per il pianeta una svolta paragonabile a quella della comparsa della vita sulla Terra». Linneo nella decima edizione del Systema Naturae definiva il genere Homo con la semplice dicitura «Nosce te ipsum». Tobias non vuole parlare di classificazioni e sottoclassificazioni, per lui questa di Linneo è «la più spettacolare diagnosi mai fatta su un genere» e il suo Homo abilis è quello che ha cominciato a conoscere se stesso. Daniela Minerva


COSTA D' AVORIO Inquietanti figli della giungla Allevati da animali, verità o leggenda?
Autore: CENTINI MASSIMO

ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA, ANIMALI, BAMBINI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 039

SIAMO stati tutti abbastanza colpiti dal ritrovamento, a fine gennaio, di un «figlio della giungla» nella fitta foresta della Costa d' Avorio. Pare che il «ragazzo selvaggio» vivesse da 13 anni tra i bufali: è incapace di parlare, si muove a balzi e teme il contatto con l' uomo. E' stato letteralmente «catturato» dopo lunghi appostamenti; condotto nel villaggio più vicino, Bouaflè, tra gli sguardi curiosi e atterriti della folla, timorosa della sua «diversità », è stato riconosciuto per alcune cicatrici come il nipote di un uomo presente alla scena. Nel 1980 era misteriosamente scomparso, a due anni di età, mentre presso la riva del fiume attendeva la mamma intenta al bucato. Poi più nessuna notizia, lunghe ricerche infruttuose, la donna morta di crepacuore. Ora la foresta l' ha restituito. Sembra una vicenda degna della penna di Kipling, lontana dalla nostra dimensione tecnologica quotidiana. In realtà non tutto è chiaro. Altri genitori si sono fatti avanti sostenendo che il ragazzo è un loro figlio affetto da autismo e scappato da casa a fine gennaio. Comunque stiano le cose, esempi altrettanto inquietanti sono noti nella letteratura antropologica, e se pur casi del genere non sono frequenti, rappresentano un corpo sufficientemente definito di esperienze in cui anche la recente vicenda ivoriese si colloca senza attriti. Le testimonianze su bambini allevati da orsi, lupi e altri animali selvatici, mettono in crisi la nostra visione antropocentrica, creando qualche sottile crepa nei nostri principi evolutivi. Dallo studio di Lucien Malson Les enfants sauvages, in cui sono raccolti 53 casi di bambini allevati dalle fiere, una delle poche opere di divulgazione sull' argomento, di fatto scaturiscono problemi antropologici e psicologici che vanno al di là del fatto straordinario in sè. Problemi che non riguardano solo il reinserimento nella società civile del bambino, ma pongono domande sul limite delle nostre conoscenze, sulla nostra capacità di adattamento all' ambiente. Osservare le poche immagini di bambini vissuti nella foresta per molto tempo insieme agli animali come il caso di Ramu, il «ragazzo lupo» trovato nei pressi di Lucknow, in India è un modo per ripensare al nostro passato più antico, quando la definizione dell' Homo non era ancora ben fissata. Studiando le fonti, si può constatare che i casi di bambini vissuti con gli animali sono più frequenti dal 1700 in qua, forse perché fino ad allora casi del genere erano ritenuti fenomeni tipici dell' immaginario medievale. Dal XVIII secolo l' Europa perde la priorità degli avvistamenti, anche in relazione alla diminuzione delle aree «selvatiche», mentre Africa e Asia si contendono il primato. Lupo, orso e scimmia sono generalmente gli animali che più di altri vengono considerati genitori putativi dei bambini selvaggi studiati. Da essi i figli della foresta sembrerebbero aver assimilato le principali caratteristiche di «bestialità »: con intonazioni simboliche che spesso risentono della tradizione mitico religiosa di origine precristiana. Le cronache del XIV secolo ci riferiscono di due casi di ragazzi lupo catturati in Germania, poi gli avvistamenti sembrano spostarsi verso Ovest; in queste zone, fino al XVII secolo, pare che l' animale più disposto ad adottare i cuccioli d' uomo fosse l' orso. Poi il territorio privilegiato divenne l' India, che con i suoi 70 casi attualmente noti, continua a essere il paese dove i bambini trovano una dimensione selvatica che pare chiudersi come un bozzolo protettivo intorno alla loro fragile esistenza. Davanti a questi casi c' è il rischio che l' osservazione sia attratta dai riverberi del mito, c' è la possibilità che riaffiorino i nomi di Romolo e Remo, Mileto, Neleo, o della generosa lupa capitolina e della divina capra Amaltea... Tutto un patrimonio di tradizioni e di credenze che cerca di trascendere l' atavico archetipo dell' animalità, per donarci ancora l' agognato desiderio del primato. Massimo Centini


TECNOLOGIA Scale vertiginose Sono quelle telescopiche: 30 metri
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D
NOTE: 040

L E scale telescopiche installate su autocarri speciali hanno fatto la loro comparsa soltanto qualche anno fa ma si sono rapidamente diffuse in molte attività, dal soccorso a persone bloccate a grande altezza all' intervento anti incendio in edifici molto alti, dall' edilizia dove in molti casi hanno sostituito i costosi ponteggi fino alla manutenzione degli impianti di illuminazione pubblici e privati. Nella specifica versione come montacarichi, poi, le scale telescopiche hanno rivoluzionato l' attività delle aziende che fanno traslochi: sono sempre meno numerose quelle che continuano a trasportare i mobili a spalla su e giù per le scale dei palazzi e sempre di più, invece, quelle che li fanno salire a destinazione dall' esterno, usado appunto le scale montacarichi con grande risparmio di tempo e di dura fatica. Una scala telescopica mobile può arrivare a oltre trenta metri di altezza, dove non arriva neppure la maggior parte delle scale installate sui veicoli dei vigili del fuoco; sono apparecchiature che hanno un' ampia possibilità di ruotare e di orientarsi sia in senso orizzontale sia in senso verticale in modo da raggiungere rapidamente punti molto distanti tra loro; infine il peso dell' autocarro piattaforma, che è munito di quattro o più supporti con la funzione di allargare la superficie di appoggio, offre un' ampia garanzia di stabilità.


METROLOGIA La misura della luce Come si è giunti a definire la candela
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 040

OGGI siamo abituati alla luce elettrica, ma il cammino della ricerca di fonti luminose è stato molto lungo. Le origini possono essere addirittura fatte risalire alla scoperta del fuoco e quindi della torcia. I progressi successivi sono legati all' uso dell' olio o della cera per mantenere acceso uno stoppino, fino alla scoperta dell' acetilene e al grande salto in avanti con la scoperta del gas «illuminante». Dopo vari tentativi di realizzare lampade ad arco, Edison inventò (1879) la prima lampadina elettrica a incandescenza a filamento di carbone. Questo fu il culmine di una serie di tentativi di ottenere sempre migliori sorgenti luminose; tentativi che ebbero inizio con l' invenzione della pila. Il problema era infatti quello di portare all' incandescenza filamenti conduttori per passaggio di corrente elettrica; quando Edison arrivò a questa invenzione quasi tutti i problemi dell' illuminazione elettrica erano già risolti. Il primo filamento che diede i migliori risultati fu quello di bambù carbonizzato. Fu poi necessario risolvere l' apparentemente banale problema di costruire un attacco che rendesse facile il ricambio e si inventò l' attacco a vite, che, con pochi cambiamenti, è ancora usato; inoltre per aumentare la vita del filamento fu necessario racchiuderlo in un ampolla di vetro messa sotto vuoto. Via via che si scoprivano nuovi metodi di illuminazione si presentava la necessità di definire grandezze e unità di misura, basate sul concetto di quantità di luce convenzionale (cioè nel campo di lunghezze d' onda del «visibile» ) e relativi campioni. Nei primi decenni del secolo scorso la fiamma di una candela di composizione e forma normalizzate, fatta ardere in modo predefinito, venne usata in parecchi laboratori come campione di intensità luminosa. Essa fu sostituita in seguito da altri campioni a fiamma. In Francia dal 1802 e per lungo tempo la lampada Carcel a olio di colza fu il campione ufficiale dell' intensità luminosa; nel 1888, in Inghilterra, la lampada (Vernon Harcout) a pentano divenne il campione ufficiale, mentre in Germania e negli Stati Uniti nel 1893 la lampada ad acetato di amile (Hefer Altenek) fu adottata come campione ufficiale. In genere, però, la pressione atmosferica e le dimensioni della fiamma alteravano l' intensità luminosa dei campioni a fiamma rendendoli poco riproducibili. Violle avanzò quindi la proposta di realizzare un campione basato su un fenomeno di incandescenza, e cioè di considerare l' intensità luminosa, in direzione normale, di un centimetro quadrato di superficie di platino puro alla temperatura di solidificazione. Nasceva così il campione Violle, che fu adottato al Congresso Internazionale di Elettrotecnica svoltosi a Parigi nel 1889. In seguito i vari laboratori che avevano realizzato il campione svolsero un confronto e le misure risultarono diverse le une dalle altre del 15 per cento e quindi il campione Violle venne considerato poco adatto, ma intanto si era imposta a livello internazionale la necessità di fare ricorso a un fenomeno fisico per realizzare il campione di intensità luminosa. Le lampade a incandescenza attirarono l' attenzione come possibili campioni di intensità luminosa. Infatti una serie di confronti tra laboratori mise in evidenza una certa stabilità e riproducibilità della lampada a filamento di carbone, che fu quindi adottata nel 1909. Questo campione fu fin dall' inizio considerato provvisorio, in attesa di realizzare un campione basato su un fenomeno fisico stabile e riproducibile nello spazio e nel tempo. Stava infatti facendosi strada l' idea di utilizzare invece dell' irraggiamento della superficie del platino, come nel campione Violle, quella di un «radiatore integrale» immerso nel platino. Si trattava di sfruttare l' idea del «corpo nero», cioè di un corpo che assorbe completamente l' energia raggiante incidente su di esso e che emette una radiazione avente intensità e distribuzione spettrale dipendente solo dalla temperatura del corpo stesso. Questa idea non venne a lungo sfruttata: solo nell' intorno degli Anni 30 venne realizzato un tale radiatore ed il Comitato Internazionale dei Pesi e delle Misure ne raccomandò l' uso come campione; la candela (simbolo cd) fu definita come l' intensità luminosa emessa da un tale campione primario. Tuttavia, in considerazione sia delle difficoltà di attuazione di un corpo nero a quella temperatura sia delle nuove possibilità offerte dalla radiometria, la XVI Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure nel 1979 adottò la seguente definizione: la candela è l' intensità luminosa, in una data direzione, di una sorgente che emette una radiazione monocromatica di frequenza 540 x 1012 hertz e la cui intensità energetica in quella direzione è 1/683 watt allo steradiante. In Italia la metrologia delle grandezze fotometriche è affidata all' Istituto Elettrotecnico Nazionale «G. Ferraris». Il campione nazionale dell' unità di intensità luminosa viene realizzato per derivazione dai campioni nazionali di tensione elettrica e di resistenza elettrica mediante un radiometro assoluto ed è conservato mediante un gruppo di lampade ad incandescenza alimentate in corrente continua e tarate ad intensità di corrente costante. L ' incertezza è di più o meno 5 x 10 3 per intensità luminose comprese tra 100 cd e 500 cd. Ciò significa, per esempio, che si determinano 100 cd con un' incertezza di 0, 5 cd e 200 cd con incertezza di 1 cd.


STRIZZA CERVELLO Un trasporto delicato
Autore: PETROZZI ALAN

ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 040

Un antico villaggio degli Incas, costruito in un luogo inaccessibile agli automezzi, è minacciato da una gigantesca frana che rischia di staccarsi dal fianco della montagna e di seppellirlo. L' elemento più prezioso di quel luogo è rappresentato dalla «Sacra Piazza», un grande spiazzo quadrato pavimentato da centinaia di cubi di pietra che formano uno splendido mosaico decorativo. Viene deciso di trasferire l' intero spiazzo per ricomporlo altrove e per il trasporto viene utilizzata una piattaforma di legno da prelevare con un elicottero. Nell' accatastare i cubi di pietra sul ripiano si è finito per comporre esattamente un grande cubo, senza resti nè «buchi». Sapendo che il lato della «Sacra Piazza» misura il triplo dello spigolo del cubo ricostruito per il trasporto, sapreste dire quanti sono i cubi del mosaico Incas? (A cura di Alan Petrozzi)


LA PAROLA AI LETTORI CHI SA RISPONDERE? Su un letto di pietre il treno corre sicuro
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 040

La domanda era: Perché nel mondo le donne sono, da sempre, più numerose degli uomini e la percentuale (55% donne, 45% uomini) rimane da sempre invariata? Ogni 1000 nati i maschi sono 513, le femmine 487. Questi valori sono riscontrabili in tutte le regioni del mondo. In età adulta le percentuali diventano quelle indicate dal quesito. Questa inversione dipenderebbe da una maggiore mortalità infantile del maschio (il «sesso forte» non sarebbe poi tale), dalle condizioni di lavoro più gravose, dai maggiori rischi di infortuni mortali sul lavoro, sulla strada, dalle guerre ecc. e dalla data media della vita più bassa nel maschio. Michele Limongelli Volpiano (To) A che servono le pietre che vengono messe tra le rotaie dei treni? Tra il binario e la piattaforma stradale viene interposto uno strato di pietrisco roccioso denominato «massicciata»; esso serve a trasmettere alla piattaforma stradale il carico dell' armamento poiché il materiale della piattaforma generalmente è insufficiente a sostenere i carichi concentrati dei binari. Fanno eccezione le piattaforme sui terreni ghiaiosi o rocciosi, abbastanza rare, dove la linea ferroviaria è priva di massicciata. Grazie all' elevata resistenza alla compressione dei materiali usati è possibile ottenere una massicciata che entro certi limiti può reagire come un solido omogeneo ai carichi verticali del binario. Riccardo Cannavina, Torino Oltre a rendere elastico e stabile in ogni senso l' armamento (traverse e rotaie) la massicciata ha il compito di mantenerle asciutte permettendo all' acqua di defluire facilmente. Le «pietre» migliori sono del tipo duro, spezzate in tagli uniformi e di dimensioni non inferiori a centimetri 3 e non superiori a centimetri 7. Luciano Lorenzi, Cuneo Il pietrisco, oltre alle altre funzioni, serve come dispersore di vibrazioni; a tale proposito le Ferrovie dello Stato stanno sperimentando materiali fonoassorbenti da aggiungere a massicciate in cemento armato. Il pietrisco è controllato regolarmente a scadenze fisse e fatto «rincalzare» (da una macchina apposita) sotto le traverse dei binari. Davide Lazzaro Cavagnolo (To) Come riescono alcune persone, ad esempio i rabdomanti, a captare la presenza di acqua sotto terra? «In tutti i tempi le sorgenti e le grotte furono scelte a tempio del sovrannaturale e sembra che, effettivamente, esista una qualche relazione tra l' uomo e le forze sotterranee le quali possono influire benevolmente, e qualche volta anche in modo spettacoloso, sopra le persone malate che si trovano in risonanza con queste forze. Qualche cosa di simile si crede avvenga nei rabdomanti, la cui bacchetta rivelerebbe l' azione di forze sconosciute che emanano dai corsi d' acqua sotterranei e dagli ammassi metallici». Risposta tratta da «Grande dizionario enciclopedico Utet». Maria Teresa Vinci, Torino Ancora una risposta alla domanda relativa ai punti della Terra da cui è possibile vedere contemporaneamente quattro Stati. Dalla vetta del monte Batura, nel Pamir, alto 7785 metri, si può scorgere il Pakistan, la stretta regione del Vakhan in territorio afghano, il Tagikistan (ex Unione Sovietica) e la Cina; inoltre il fiume San Juan, negli Stati Uniti, taglia esattamente il confine dello Utah, dell' Arizona, del Colorado e del New Mexico. Federico Dallera, Torino A proposito del quesisto pubblicato due numeri fa: Quale è il fenomeno che consente alla panna di «montare» ? è arrivata ancora questa risposta, in particolare per quanto riguarda la panna liquida contenuta in recipienti tipo spray. Il protossido di azoto N2O, o gas esilarante è molto solubile nella panna; se in un recipiente si introduce sotto pressione il protossido di azoto questo si scioglie nella panna; se facciamo uscire questa dal recipiente il protossido di azoto che vi era disciolto si espande e ci dà la panna montata. Stefano Siciliano Luca Guazzotto


Scaffale Vittori Ottavio: «L' atmosfera del pianeta Terra», Zanichelli
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: METEOROLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 038

POSSIAMO considerare questo libro come il testamento scientifico di Ottavio Vittori, illustre studioso di climatologia scomparso all' inizio di gennaio, noto ai nostri lettori anche come collaboratore di «Tuttoscienze». Laureatosi in fisica all' Università di Roma nel 1949, Vittori era il rappresentante permanente del Cnr presso il World Climate Researches Project. In Italia era stato il pioniere della fisica dell' atmosfera. Questo saggio si distingue dai tanti che ultimamente gli editori italiani hanno pubblicato seguendo la moda dei discorsi sull' effetto serra e sul buco nell' ozono. Qui non si cerca l' effetto spettacolare ma si fornisce una solida base scientifica per la comprensione dei fenomeni atmosferici: il che ha reso inevitabile il ricorso a qualche pagina di formule fisico matematiche. Divulgazione alta, dunque, quella più rara nel nostro Paese. E anche un richiamo al concetto che senza un po' di sforzo intellettuale non c' è autentica conoscenza.


Scaffale Autori vari: «Uccelli», Ed. Calderini
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ZOOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 038

E' la prima monografia completa sugli uccelli che abitano nel nostro Paese, la versione moderna e aggiornata della classica «Ornitologia » di Arrigoni degli Oddi uscita nel lontano 1929. Un' impresa editoriale imponente e di forte rilievo scientifico. A questo volume, che tratta diffusamente 136 specie dell' avifauna italiana, ne seguiranno altri tre, per un totale di 465 specie. Frutto di un' ampia e qualificata collaborazione, l' opera è coordinata da Pierandrea Brichetti, Paolo de Franceschi e Nicola Baccetti. Belle le 40 tavole a colori.


Scaffale Autori vari: «Enciclopedia Zanichelli»
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: DIDATTICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 038

Il sogno medievale della «summa» del sapere sopravvive nelle moderne enciclopedie. Un sogno che pare quasi irrealizzabile anche quando si tratta di grandi opere in decine di volumi ma che ha addirittura del miracoloso quando l' essenziale del sapere si concentra in un solo volume, come nella celebre «Garzantina» degli Anni 50, poi replicata all' infinito. Ma la Zanichelli ha fatto di più: nello stesso volume, oltre all' enciclopedia ricca di 44 mila nomi propri, ha stipato un dizionario di 52 mila voci di lingua comune sostanzialmente derivate dallo «Zingarelli» e ha arredato il tutto con 1400 illustrazioni a colori e 4500 in bianco e nero. L' opera, frutto di 50 collaboratori, è stata curata dalla Edigeo, una casa editrice nata nel 1984 che ha già sfornato 250 volumi redazionali, ed è stata seguita per Zanichelli da Franco Magiarra. Uno strumento di consultazione agile, assai ben fatto anche nel campo delle scienze.


Scaffale Barbanera De Luca: «Progetto Pitagora», Giunti & Lisciani
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: DIDATTICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 038

Come insegnare la matematica nelle scuole elementari? Dopo decenni di sonno pedagogico e didattico da parte del ministero competente, l' editore Giunti & Lisciani si è preoccupato di rispondere a questa domanda con un' opera di Antonio Barbanera e Liliana De Luca di cui esce ora il quarto volume, dedicato alla classe quarta. Nella stessa collana, «Insegnare storia nella scuola elementare» di Edi Zanchetta e, dedicato all' educazione corporea, «Il grano è maturo».


Scaffale Rowan Robinson Michael: «L' universo», Zanichelli
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 038

Questo di Michael Rowan Robinson non è un libro di astronomia sistematico, che si propone di trattare ordinatamente e organicamente le conoscenze sull' universo. E' invece una sequenza di venti brevi capitoli ognuno dei quali tratta un oggetto celeste peculiare: la cometa di Halley, la stella Alfa del Centauro, la Crab Nebula, la via Lattea, la radiogalassia M 82 e così via. Leggerlo è un po' come visitare lo zoo celeste: alla fine non si avrà una visione cosmica globale ma sarà forte la curiosità di conoscere meglio lo spazio intorno a quella minuscola provincia che è la Terra.




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