ARGOMENTI: ECOLOGIA, RIFIUTI, RICICLAGGIO, PROGETTO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 013
LA prima fu la carta: nel 1976, le cartiere erano disposte a pagare imballi e giornali vecchi anche più di cento lire al chilo. Sembrava un affare per tutti, ambientalisti e cartiere. Durò poco. I prezzi del macero crollarono, oggi la carta vecchia vale al massimo dieci lire al chilo. Se la si continua a raccogliere, è per ridurre il volume dei rifiuti, più che il numero degli alberi abbattuti per farne cellulosa. La ragione? La carta riciclata costa troppo cara e non è abbastanza bella per competere ragionevolmente con quella di fibre vergini. La raccolta del vetro va un po' meglio, anche perché alle spalle ha un' organizzazione già solida Prima delle campane per le bottiglie domestiche, infatti, si raccoglievano i rottami industriali, che venivano utilizzati nel circuito produttivo. I prodotti di vetro riciclato hanno un loro mercato: non sono, ovviamente, bottiglie e vasetti trasparenti, impossibili da ottenere con quel misto colorato che finisce alla rinfusa nelle campane, ma sono prodotti scuri di seconda scelta. Dopo queste due esperienze dagli esiti incerti e quelle, ancora più catastrofiche, del ritiro di pile usate e farmaci scaduti è ora la volta della plastica. Città pilota come Parma la organizzano fin dal 1987, ma ora un accordo nazionale la impone praticamente a tutti i Comuni. Negli Anni 70, la metà dei rifiuti delle nostre case era costituita da scarti vegetali. Oggi questi sono appena il 30 per cento il resto sono tutti imballaggi: vetri plastiche, cartoncini, latte di alluminio, scatole di legno. Ogni prodotto è avviluppato nel suo contenitore, raggruppato in confezioni da più di un pezzo, a loro volta riunite in uno scatolone più grande. Un gioco di incastri che ha fatto consumare in Europa, nel 1990, più di 12 milioni di tonnellate di imballaggi Una montagna che costa miliardi distruggere e che aumenta a vista d' occhio: nel 1980, ognuno di noi produceva 271 chili di rifiuti l' anno, oggi 360, per il Duemila se ne ipotizzano 400. Siamo comunque molto al di sotto della media europea e particolarmente virtuosi rispetto ai canadesi (625 chili l' anno) e agli americani (864). Ma chi paga lo smaltimento? Finora, siamo stati quasi sempre noi, attraverso la cartella della tassa rifiuti. Gli imballaggi, finita la loro funzione, diventavano scarti di cui i produttori si liberavano a costo zero. Oggi sono diventate «materie prime seconde» e siccome la tendenza delle leggi europee è quella di addebitarne il recupero ai produttori, eccoli ingegnarsi a creare un mercato alternativo che le assorba. Perché non è possibile riciclare se non c' è nessuno che compera il prodotto del riciclo. E siccome le materie prime vergini costano tutto sommato poco e danno risultati migliori, la sfida è tosta. Ne sanno qualcosa i produttori tedeschi, dal giugno ' 91 alle prese con un problema drammatico: per legge sono obbligati, insieme ai distributori, ad accettare indietro dai clienti qualunque imballaggio. Però non sanno che cosa farne e sono costretti a far viaggiare i loro Tir attraverso l' Europa carichi di cassette vuote, fustini, bottiglie. Severissima è anche la Francia: un decreto dell' aprile ' 92 concede otto anni di tempo per valorizzare il 75 per cento dei rifiuti da imballaggi. Per far quadrare i conti, sono scese in campo squadre di volontari. L' Olanda vuole, nello stesso periodo, arrivare a riciclare il 60 per cento degli imballaggi e ridurne il peso del 10 per cento rispetto alle quantità del 1986. La Comunità Europea, per evitare che le differenze tra i Paesi creino ostacoli ai commerci e situazioni di privilegio, sta lavorando a una direttiva che regoli ogni aspetto dei rifiuti da imballaggio. L' Italia affronta ora gli scarti di plastica con una mentalità industriale completamente nuova: prima di organizzare la raccolta, infatti, si è individuato un mercato. Poi si è messo a punto il ciclo industriale. Ora i Comuni aggiungeranno ai cassonetti per la carta e il vetro anche quelli per la plastica. Con la speranza che la gente legga attentamente le istruzioni. Il riciclaggio non è infatti una sorta di magia, che inghiotte ciarpame e restituisce oggetti nuovi di zecca. E' un procedimento complesso, che dà in funzione di quello che riceve. Nel caso del nuovo esperimento, raccoglie i contenitori per liquidi (flaconi di detersivo, shampoo, bagno schiuma) e li trasforma in un granulato con il quale si possono fabbricare sedie, tavoli, condutture, pali, pavimentazioni, contenitori. Fino a qualche anno fa, nessuno immaginava che si potesse arrivare a tanto. Marina Verna
ARGOMENTI: ECOLOGIA, RIFIUTI, RICICLAGGIO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 013
I rifiuti, per legge, non esistono più. Da qualche tempo si chiamano «materie prime secondarie», hanno un prezzo e un valore, una legislazione a cui adeguarsi e un mercato con cui fare i conti. Il ciclo di recupero e riciclaggio, dicono tutti, deve potersi reggere su criteri economici. Impresa quasi impossibile, anche se il passivo è mitigato dai benefici ambientali, dal mancato costo di smaltimento, dalla maggior durata delle discariche. E' dei giorni scorsi la notizia del primo accordo su scala nazionale per il ritiro e la trasformazione della plastica limitato per ora ai contenitori per liquidi. Lo hanno siglato i Comuni, i servizi pubblici di igiene ambientale, le imprese e Replastic, il consorzio obbligatorio per legge che raggruppa tutti gli industriali del settore. Le parti sono state distribuite in modo equo: i Comuni organizzano la raccolta differenziata, Replastic manda i suoi camion a ritirare la merce e la trasforma, secondo un sistema industriale unico al mondo. Ai cittadini il compito di selezionare i rifiuti domestici, infilando con buona volontà ogni contenitore nel foro giusto. Fatti i conti si è giunti alla conclusione che il pareggio viene raggiunto con quaranta recipienti di plastica a testa. Presto vedremo nuovi cassonetti in tutte le città, uno ogni settecento abitanti. Recuperare un chilo di plastica costa fra le 1300 e le 2000 lire, ma sul mercato la nuova plastica vale al massimo mille lire, quando non scende intorno alle cinquecento. D' altronde, solo il prezzo conveniente le rende appetibili. Come si risolve, allora, il problema? Con un sistema industriale inedito, che almeno sulla carta funziona magnificamente. Replastic recupererà energia, con inceneritori particolari collegati alle industrie. Con macchinari originali separerà i contenitori in base alla famiglia di polimeri cui appartengono e li frantumerà fino a ottenerne una «base» nuova che ha le stesse caratteristiche della plastica vergine. Tratterà anche tutte le plastiche insieme, creando un materiale «eterogeneo» che sembra poter sostituire materiali tradizionali come il legno, il metallo e il cemento. Gli stessi risultati si otterranno anche con procedimenti chimici, una tecnologia ancora sperimentale, su cui però scommettono in molti. (m. ver. )
ARGOMENTI: TECNOLOGIA, TRASPORTI, MILITARI, AEREI
NOMI: BONSIGNORE EZIO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Immagine dell' Orlionok «il mostro del Caspio»
NOTE: 013
I servizi segreti occidentali lo avevano battezzato «Mostro del Caspio» per le sue dimensioni enormi e la figura assolutamente fuori da tutti i canoni; ma le notizie su questa macchina rivoluzionaria costruita dai sovietici, in pratica una nave con le ali, capace di sollevarsi al di sopra delle onde e di viaggiare a velocità «aeronautica», erano sempre state scarse e vaghe. Solo oggi il velo sulle «aeronavi» (ekranoplani in russo) viene sollevato e molti dettagli vengono svelati; merito di un articolo scritto per il numero di gennaio di «Rid Rivista Italiana Difesa» dal redattore capo della pubblicazione, Ezio Bonsignore, che per primo ha potuto approfittare della collaborazione delle autorità russe. La tecnologia delle aeronavi, sviluppata per usi prevalentemente militari, è oggi controllata dalla Russia, la quale, tuttavia, appare pronta a metterla a disposizione del miglior offerente. Le aeronavi si presentano come «un' evoluzione delle normali navi a dislocamento» secondo Bonsignore; in qualche modo somigliano agli aliscafi e agli overcraft, ma sono concettualmente macchine del tutto diverse e con prestazioni molto più spinte. Le navi incontrano un limite alla propria velocità a causa del «muro» d' acqua che, avanzando, formano davanti alla prua e la cui resistenza cresce in proporzione geometrica al crescere della velocità. Un problema che si è tentato di superare con gli aliscafi, i quali in effetti hanno consentito di raggiungere velocità doppie o triple (55 65 nodi) rispetto alle navi tradizionali, e con gli ovecraft, che viaggiando sul cuscino d' aria «statico» generato da apposite ventole orientate verso il basso sono arrivati a 80 100 nodi. Con le aeronavi i sovietici sono riusciti a superare ampiamente questi limiti. Queste macchine sfruttano il cuscino d' aria «dinamico» (quello che in aeronautica viene definito effetto suolo) che si forma tra due superfici in rapido movimento l' una rispetto all' altra (ad esempio tra un aereo in atterraggio e la pista). Il cuscino d' aria, cioè, non viene creato dalle ventole ma dal movimento stesso della macchina che forma uno strato d' aria più densa «schiacciata» tra la sua «pancia» e la superficie del mare (e in alcune varianti, anche del terreno). «A parità di peso afferma Bonsignore le aeronavi richiedono un' apertura alare ridotta rispetto a quella di un aereo, e hanno consumi specifici di gran lunga inferiori», il 25 30 per cento in meno; inoltre «se necessario sono perfettamente in grado di volare come un normale aereo (cioè fuori effetto suolo) anche se la tangenza massima è limitata a poche migliaia di metri». In questo caso, però, l' efficienza di funzionamento (consumo specifico, carico utile) si riduce fortemente. La quota ideale è dunque tra i 6 e i 30 metri sulla superficie del mare, dove è possibile raggiungere velocità comprese tra i 350 e i 500 chilometri l' ora. Il sistema propulsivo è duplice: motori per il decollo e motori per la crociera. I primi situati a prua e inclinati verso il basso in modo che il getto sia diretto sotto le ali, hanno il compito di creare il cuscino d' aria alle basse velocità e di accelerare l' aeronave fino al momento in cui non si sia formato il cuscino d' aria dinamico in grado di sostenerla; a questo punto questi motori vengono spenti ed entrano in funzione quelli da crociera. Nell' ex Unione Sovietica gli studi e gli esperimenti sulle aeronavi furono guidati fino alla morte, nel 1980, da Rostislav Evghenievic Alekseye, che aveva riunito nel suo ufficio di progettazione sia architetti navali sia ingegneri aeronautici; questi lavorarono in grande segretezza sulle esperienze svolte a partire dagli Anni 20 sia in Unione Sovietica sia all' estero (la prima aeronave funzionante era stata costruita dall' ingegnere finlandese Kaario, nel 1935) e provarono varie configurazioni prima di trovare quella più efficiente. Il vero e proprio programma industriale fu lanciato nel 1960 e a partire dagli Anni 70 furono costruite dieci aeronavi sperimentali, tra cui appunto il «Mostro del Caspio» per il quale la definizione di nave volante è davvero giustificata: lungo oltre 100 metri, con un' apertura alare di 40, peso al decollo 540 tonnellate. Per 15 anni esso è servito come banco prova di tecnologie sperimentali molto avanzate. Negli Anni 70 80 furono costruite aeronavi da combattimento, tra cui quella che nel codice Nato fu denominata «Utka»: peso al decollo 350 tonnellate e sei missili antinave collocati sul dorso. La realizzazione più avanzata è l' Orlionok (aquilotto): due turboventole per il decollo a prua, una turboelica per la crociera sistemata in cima all' alto timone verticale, peso al decollo 140 tonnellate, capacità di carico 20 tonnellate, autonomia 1400 chilometri, velocità 400 chilometri l' ora, ampio impiego di tecnologie aeronautiche nei sistemi di controllo e comando. Può operare in mare anche con onde alte due metri e grazie alla possibilità di deviare i getti delle turboventole sotto la fusoliera è in grado di muoversi anche sul terreno. L' improvvisa disgregazione dell' Urss e il marasma economico che ne è seguito hanno impedito di esplorare fino in fondo le possibilità (e l' economicità ) della tecnologia delle aeronavi; una tecnologia che, comunque, sembra ora interessare anche l' industria occidentale: la Aerocon, una società americana con sede in Virginia, ha già stipulato un accordo di sfruttamento con le autorità russe ed ha ottenuto dal Darpa, l' organismo del Pentagono preposto alla sperimentazione degli armamenti, un contratto per proseguire gli studi. La Aerocon ha in progetto di sottoporre alle forze armate americane un gigante da 5000 tonnellate da impiegare per il trasporto rapido di truppe e mezzi da combattimento. Vittorio Ravizza
ARGOMENTI: ASTRONOMIA
ORGANIZZAZIONI: MARS OBSERVER
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 014
DOPO una pausa di sedici anni, il 25 settembre dell' anno scorso gli americani hanno ripreso l' esplorazione di Marte con il lancio della sonda «Mars Observer» che raggiungerà il «pianeta rosso» il 24 agosto. Trascorsi 118 giorni, la sonda raggiungerà la sua orbita circolare definitiva e la missione scientifica durerà altri 687 giorni. Questi gli obiettivi principali, da ottenere tramite sette sofisticati esperimenti: determinare la natura mineralogica del materiale della superficie marziana, stabilire la natura del campo magnetico planetario, determinare la distribuzione spaziale e temporale, l' abbondanza, le sorgenti di materiale volatile e polvere nell' arco di un ciclo stagionale, e infine esplorare le strutture e gli aspetti della circolazione dell' atmosfera. Le tre telecamere del satellite hanno una risoluzione spaziale mai raggiunta precedentemente in una missione planetaria: si possono osservare i più reconditi particolari della superficie e certamente si potrà svelare il mistero della «Sfinge marziana», una ciclopica struttura che mostra una faccia umana, come fu vista dalla telecamera del «Viking» con una risoluzione di 50 metri nel 1976 e sulla quale si sono fatte le più svariate fantascientifiche ipotesi. Alla missione Mars Obsever seguiranno le missioni russe Mars 94 e 96 e l' americana Mars Rover, tutte in preparazione della complicatissima e costosissima esplorazione umana che dovrebbe avvenire verso il 2030, crisi economiche permettendo. Dal punto di vista scientifico Marte è fondamentale per la bioastronomia (o esobiologia), cioè per la ricerca di forme di vita primitive al di fuori del nostro pianeta. Secondo le nostre attuali conoscenze qualsiasi forma di vita nell' universo dovrebbe essere legata alla presenza di acqua e degli elementi biogeni (ossigeno, idrogeno, carbonio, azoto, fosforo, zolfo). Il Mariner 9 nel 1971 scoprì vasti sistemi di canali scavati nella superficie marziana simili a quelli che troviamo in Arizona e Colorado. Ciò ha portato alla conclusione che in un remoto passato l' acqua doveva essere molto abbondante anche su Marte e che per ragioni ancora sconosciute essa è venuta man mano scomparendo. L' unica riserva di acqua, scoperta spettroscopicamente dalla sonda Viking nel 1976, si trova nella calotta polare Nord, che contiene però solo una piccola frazione dell' acqua originaria. Il resto si è volatilizzato nello spazio o è nascosto al di sotto della superficie allo stato di permafrost? A causa delle forti tempeste di polvere che hanno imperversato e imperversano su Marte, le tracce lasciate dall' acqua in passato sono per la maggior parte scomparse. Vi sono però molti crateri con diametro superiore ai 30 chilometri che una volta dovevano contenere acqua stagnante. Questi «laghi» dovevano esistere nello stesso periodo dei grandi corsi d' acqua che hanno scavato i canali marziani. L' umidità, le essiccazioni e/o i congelamenti possono aver contribuito a concentrarvi del materiale prebiotico. Poiché la vita ha avuto origine sulla Terra circa 3, 5 miliardi di anni fa e poiché le condizioni iniziali su Marte erano probabilmente molto simili a quelle terrestri, vi è una buona probabilità che nello stesso periodo la vita abbia avuto origine anche su Marte. Non bisogna però, nel cercare di comprendere le ragioni per la scomparsa dell' acqua e dell' eventuale vita su Marte, trascurare una considerazione di carattere astronomico. Il nostro Sole, una stella di tipo G5, ha aumentato negli ultimi 4, 5 miliardi di anni la quantità di energia incidente sulla Terra di circa un terzo. E' come se la Terra si fosse avvicinata nel suo moto di rivoluzione intorno al Sole di circa il 15 per cento. Quindi la «vecchia» Terra e quella attuale verrebbero ad essere come due pianeti a differenti distanze dal Sole. Le quantità di energia solare incidenti su Venere, Terra e Marte stanno nel rapporto 4: 2: 1, una differenza molto maggiore del 15 per cento. Ma è lecito trascurare questa percentuale di flusso energetico nel calcolo dei fattori che hanno originato la vita sulla Terra e su Marte? Anche se i risultati chimico biologici delle sonde Viking sono stati negativi, vi sono valide ragioni per ritornare su Marte e cercare altrove l' evidenza di forme di vita primordiale. Bisognerà solo cercare nei punti giusti, come nelle calotte polari, e con i metodi giusti, vale a dire inviando delle «rover» capaci di riportare campioni di materiale marziano a terra. Sarà certamente un' impresa difficile e costosa, ma il ritorno scientifico sarebbe così importante da giustificare lo sforzo: trovare un secondo esempio di vita nel sistema solare e sapere se questa incredibile proprietà della materia sia in effetti qualcosa che nasce da cause materiali riproducibili un numero illimitato di volte nell' universo. Scoperte di questo tipo giustificherebbero esaltanti prospettive per l' esplorazione futura della Galassia. Cristiano Batalli Cosmovici Istituto di Fisica dello Spazio Cnr, Frascati
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
NOMI: GREGORY RICK, PEARSON JEREMIAH, RUNCO MARIO, HARBAUGH GREG
ORGANIZZAZIONI: NASA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 014
CON il lancio della «Endeavour» avvenuto il 13 gennaio, è cominciato un anno intenso per le attività spaziali della Nasa. A sette anni dall' esplosione del «Challenger» e a cinque dalla ripresa dei lanci, i voli della navetta attraversano un buon momento. Nonostante la riduzione annua del cinque per cento al bilancio, Jeremiah Pearson, Amministratore associato voli spaziali, e Rick Gregory, responsabile sicurezza lanci, guardano avanti; ora hanno deciso di aumentare il numero di attività extraveicolari per gli uomini e le donne dello shuttle, in modo da fargli acquistare esperienza e sicurezza necessarie per la costruzione della stazione spaziale «Freedom», la quale richiederà 26 «passeggiate spaziali» a partire dal 1996. Inclusa quella dei giorni scorsi di Mario Runco e Gregory Harbaugh nella missione dell' «Endeavour», sono venti le «passeggiate» svolte in dieci anni dagli shuttle, per un totale di 111 ore. Per assemblare «Freedom» saranno necessarie 150 ore in due anni. Nella missione di gennaio, durante la quale è stato rilasciato il grande satellite per telecomunicazioni Spazio Terra «Tdrs F», Harbaugh e Runco hanno effettuato un' uscita extraveicolare di cinque ore per collaudare e installare equipaggiamenti nella stiva, in preparazione delle future operazioni di assemblaggio in orbita. C' era un po' d' Italia in questa nuova «uscita spaziale» americana: Mario Runco, 40 anni, capitano dell' US Navy, è di origini italiane; i genitori sono nativi di Aria dei Lupi, una frazione in provincia di Cosenza. Quest' anno sono previste altre sette missioni: il 25 febbraio sarà la volta della «Columbia», che porterà nella stiva il laboratorio europeo Spacelab «noleggiato» dalla tedesca Dasa, con a bordo Ulrich Walter e Hans Schlegel, entrambi ricercatori. Il 23 marzo dovrà decollare Discovery per una missione di sei giorni dedicata quasi interamente a studi e osservazioni atmosferiche. Verrà anche rilasciato e recuperato dal braccio robot della navetta lo «Spartan», piattaforma strumentale per osservazioni astronomiche. Il 28 aprile prenderà il via un volo che riguarda da vicino l' industria italiana: per la prima volta la stiva dello shuttle ospiterà il modulo Space Hab, nato da un' iniziativa commerciale, e destinato ad ampliare lo spazio abitabile e per esperimenti sulla navetta. L' italiana «Alenia Spazio» è sottocontraente del programma, e costruisce la struttura, sistemi termici e altri apparati di Space Hab. Nei sette giorni di volo dovrà essere recuperata la piattaforma scientifica europea «Eureca 1», messa in orbita nell' agosto ' 92 durante la missione che vide tra i protagonisti il primo astronauta italiano, Franco Malerba. Il 9 luglio, «Discovery» tornerà in orbita per collocare a 300 chilometri dalla Terra il satellite per comunicazioni Acts, mentre gli «specialisti» Bursh e Newmann si tengono pronti sin d' ora per una probabile «passeggiata spaziale». Il 25 agosto la «Columbia» riporterà in orbita per un volo di 13 giorni lo Spacelab carico di esperimenti sulle scienze della vita. Poi ci saranno i due «botti finali» del ' 93. Il 16 novembre è prevista una missione storica: per la prima volta partirà dal centro Kennedy un veicolo spaziale Nasa con a bordo un cosmonauta dell' ex Unione Sovietica (Vladimir Titov o Sergheij Krikaliev). La «Discovery», con il secondo minimodulo «italiano» Space Hab, dovrà restare in orbita sette giorni. E' invece prevista per dicembre una delle più complesse e spettacolari missioni spaziali della storia, vale a dire il recupero e la riparazione in orbita del grande telescopio «Hubble» il quale, nonostante il difetto di costruzione allo specchio primario, fornisce da due anni immagini sensazionali del cosmo. Una volta sostituiti gli apparati difettosi, e aggiunti altri strumenti di potenziamento da parte degli astronauti, la comunità scientifica potrà finalmente disporre dello strumento che consentirà di rivoluzionare l' astronomia, ampliando di dieci volte i confini dell' universo osservabile. Per la complessa operazione, si sta addestrando l' equipaggio più esperto della storia spaziale. «In orbita ha detto Randy Brinkley, direttore della missione avremo un equipaggio di sette astronauti con esperienza pari a un totale di 23 missioni shuttle già accumulate». Il veterano è Story Musgrave, poco meno di sessant' anni. Antonio Lo Campo
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: NASA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 014
SE lo Space Shuttle della Nasa si può considerare attualmente l' unico mezzo spaziale pienamente operativo per l' invio di uomini nello spazio, l' Agenzia Spaziale Russa Rsa non sta a guardare e si accinge ad un 1993 meno intenso ma non per questo meno interessante Sono tre le navicelle «Soyuz Tm» pronte a partire: la prima in gennaio con i cosmonauti Manakov e Polishkuk. I due, nei sei mesi di permanenza sulla stazione Mir, dovranno tra l' altro collaudare il «sistema di aggancio alternativo», valido per un «rendez vous e docking» tra la Mir e lo shuttle americano. E' infatti previsto entro il ' 95 lo spettacolare aggancio in orbita vent' anni dopo il primo, quello tra Apollo e Soyuz del 1975. In luglio partirà la Soyuz Tm 17 con un equipaggio cui prenderà parte il francese Jean Pierre Haignerè, per una missione commerciale franco russa di tre settimane. La missione più importante è però prevista per novembre: due cosmonauti raggiungeranno la Mir con la Soyuz Tm 18 per restarvi 504 giorni] L' attuale record di permanenza nello spazio, del 1988, è di 366 giorni, stabilito da Titov e Manarov. Forse dal maggio ' 95, quando i due recordmen del cosmo saranno rientrati nella steppa del Kazakhstan, potremo conoscere con più precisione quanti anni ci separano, almeno dal punto di vista scientifico, dal volo umano su Marte. (a. lo c. )
IL provocatorio intervento di Roberto Jona sull' attendibilità delle informazioni che si ottengono dalle reti di misura dell' inquinamento pubblicato su «Tuttoscienze» del 20 gennaio mi obbliga come responsabile di una di queste, a qualche precisazione. Secondo Jona i dati vanno valutati con cautela, se non con scetticismo, perché possono: 1) essere inficiati da anomalie strumentali; 2) avere scarsa rappresentatività della situazione reale; 3) ignorare le concentrazioni a livelli più elevati del suolo; 4) riflettere emissioni anomale, ma locali, industriali e veicolari; 5) non avere un rapporto convincente con le sorgenti; 6) essere presentati in forma troppo semplificata. Qualche osservazione sintetica per ogni punto. 1) Gli strumenti sono tarati sistematicamente, e in casi dubbi prevale il criterio di cassare il dato piuttosto che fornire un' informazione non certificata; esistono inoltre criteri di validazione incrociata per cui si rimanda a pubblicazioni specialistiche. 2) La collocazione delle stazioni, oltre a rispettare numericamente e qualitativamente la normativa dello Stato in materia, tiene conto delle diverse tipologie urbanistiche (dalle vie canyon ai parchi), oltre che della topografia cittadina; un' indagine svolta nel corso di tre inverni nell' area centrale di Torino ha dimostrato buone correlazioni tra le indicazioni di una stazione fissa e le misure integrate in un' area vicina abbastanza ampia (zona blu); infine gli inquinanti secondari (ossidi di azoto) non riflettono affatto le emissioni in prossimità della stazione di misura, ma anche quelle distanti molti chilometri ed evidenziano quindi situazioni abbastanza omogenee. 3) Le concentrazioni in quota hanno rilevanza modesta ai fini dell' esposizione degli individui, dal momento che la maggior parte delle attività lavorative, di studio, di svago, di trasferimento avviene a livello del suolo, dove sono collocate le stazioni di misura; comunque campagne di misura estive ed invernali di confronto delle concentrazioni a vari livelli hanno dimostrato che, proprio nei casi in cui si rilevano le concentrazioni più elevate, le differenze sia sulla verticale di una stazione sia in orizzontale tra varie stazioni tendono ad attenuarsi. 4) L' analisi di 1. 500. 000 misure orarie ha mostrato che valori anormali di emissione immissione sono possibili, ma assolutamente sporadici per una singola stazione, di fatto irrilevanti sul quadro generale che tiene conto di diverse aree indagate, e sui provvedimenti di restrizione che sono attivati solo in presenza del superamento dei livelli di attenzione o allarme nel 50 per cento o più delle stazioni di misura. 5) L' aspetto della ricerca delle fonti è per gli inquinanti in discussione del tutto irrilevante; infatti le sorgenti veicolari sono responsabili delle emissioni del monossido di carbonio per oltre il 95 per cento, e delle emissioni del monossido d' azoto, da cui deriva il biossido, tra il 50 e l' 80 per cento a seconda delle città o delle singole aree (Enea progetto Corinair). 6) Una comunicazione più ampia ai cittadini, oltre a quella già esistente su televideo, sarà probabilmente in futuro disponibile nell' ambito del progetto 5T, anche se i professionisti della comunicazione avvertono che molti dati di comprensione dubbia per la maggioranza degli utenti forniscono un' informazione peggiore di quella con pochi dati ma comprensibile ai più. In definitiva mi pare che l' articolista abbia peccato di superficialità. Sarò lieto di porre tutte le nostre conoscenze a disposizione del professor Jona. Paolo Natale Usl 1, Torino
ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI
NOMI: PAPI FLORIANO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C. Le rotte
NOTE: 015
VIVONO in Irlanda, ma per fare il nido preferiscono le regioni polari. Così ogni anno, quando è ora di riprodursi, migrano nelle isole a Nord del Canada, proprio al limite della banchisa polare. Secondo una rotta che non è nè codificata da geni, nè basata sui normali sistemi di orientamento: una rotta «intelligente» adatta alla configurazione dei luoghi, imparata con l' esperienza e tramandata dagli adulti ai giovani di generazione in generazione. L' impresa, che ha dell' eccezionale, è portata a termine da animali che non godono di grande considerazione presso noi uomini: le oche. Precisamente Branta bericla hrota, meglio nota come oca colombaccio. Lo ha scoperto, dotando alcuni animali di radio trasmittenti e seguendoli con il satellite, una equipe italo norvegese guidata da Floriano Papi, ordinario di etologia all' Università di Pisa, un' autorità nello studio delle migrazioni, cui ha dedicato anni di ricerche magistrali insieme a Leo Pardi, lo zoologo che introdusse lo studio del comportamento animale in Italia. Le nostre oche, dunque, abitano le coste dell' Irlanda dove si nutrono di una pianta marina, la zostera, che le mareggiate portano ad ammassarsi sulle rive. Ma quando è ora di mettere su famiglia, si trasferiscono nelle isole della Regina Elisabetta, in prossimità del Polo Nord, al di là della Groenlandia, attirate dall' abbondanza di cibo e dall' assenza di predatori. Appena giunta, una coppia le oche sono monogamiche si cerca sulla spiaggia un posticino libero dalla neve dove in settanta giorni deve deporre le uova, allevare i figli e istruirli nel volo in modo che siano sufficientemente abili e robusti da affrontare il ritorno, prima che arrivi l' inverno. Il viaggio di andata dall' Irlanda inizia ai primi di maggio. Prima tappa: le coste occidentali dell' Islanda, dove il programma prevede tre o quattro settimane a rimpinzarsi di cibo per far provvista di grasso il carburante necessario per la grande trasvolata fino a raddoppiare di peso. Qui nel giugno scorso sono stati catturati cinque esemplari una coppia, due maschi adulti, un giovane che, equipaggiati di una piccola trasmittente e seguiti mediante il satellite, hanno permesso di tracciare parte della rotta della migrazione nelle regioni polari, che presentano particolari difficoltà di orientamento per un animale. Non funziona infatti l' orientamento sulle stelle che, a causa della persistenza della luce nel lungo giorno estivo, non sono visibili. Non è utilizzabile il campo magnetico terrestre, perché la bussola non funziona in prossimità del polo magnetico, che cade proprio dove le oche vanno a nidificare. E non può essere preso come punto di riferimento il Sole, perché questi uccelli si spostano rapidamente di ben sei fusi orari a occidente e ogni passaggio richiederebbe loro del tempo che non hanno per riassestare l' orologio biologico interno sincronizzato sui movimenti diurni della nostra stella. Non rimane quindi che affidarsi all' esperienza, volando in gruppi familiari di una ventina di individui: adulti che hanno compiuto più volte la trasvolata, insieme a giovani più inesperti. Seguiamo quindi le nostre cinque oche nei loro diversi destini. Per i due maschi adulti, il viaggio finì appena attraversato l' oceano (è probabile che siano stati uccisi dai bracconieri che anche da queste parti allignano). Invece la coppia (che ha sempre viaggiato assieme) e il giovane hanno raggiunto le coste occidentali della Groenlandia, dove sono stati seguiti finché il segnale radio non è cessato. Un' occhiata alla carta, ed è subito evidente che le oche, apparentemente senza concedersi soste, seguono una rotta adatta alla configurazione dei luoghi, che riduce al minimo le difficoltà. Anziché puntare decisamente a Nord in linea retta verso la destinazione (che comporta un lunghissimo percorso sull' inospitale Groenlandia), le oche si dirigono verso Nord Ovest, attraversando l' Oceano Atlantico nel punto più stretto. Quindi trasvolano la Groenlandia nella parte meridionale, evitando le zone di maggiore altitudine (oltre i 3000 metri) e riducendo al minimo il percorso della traversata. I tracciati indicano variazioni individuali in risposta alle diverse condizioni ambientali: il giovane (e la sua famiglia, naturalmente), spinto sull' oceano verso Nord da forti venti meridionali, corresse la rotta virando verso Sud Ovest, per atterrare in Groenlandia nella zona più idonea all' attraversamento. Quanto alla velocità, la coppia attraversò i 280 chilometri dell' oceano in cinque ore, mentre ne impiegò una ventina per superare la Groenlandia: più lente nella prima parte forzatamente in salita per sorvolare la calotta a 2550 metri, più veloci nella discesa verso la costa. Tra fermate e voli, in tutto tre giorni per coprire circa metà del percorso. Per i limiti propri del radiotracking (che peraltro è una tecnica straordinaria per seguire un animale in migrazione) dovuti alla durata delle batterie e all' orbita del satellite, è ancora ignota la seconda parte del viaggio che questi uccelli compiono regolarmente due volte all' anno, da migliaia di anni. Altro che oche] Maria Luisa Bozzi
ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA, DEMOGRAFIA E STATISTICA
NOMI: LIAUTAUD JEAN MARC, CHICHLO BORIS
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C. Il precorso della spedizione
NOTE: 015
OTTOMILA chilometri tra i ghiacci della Siberia e i popoli più settentrionali della Terra. La spedizione si chiama «Transsibering Longines». Da metà febbraio per tre mesi una equipe di quattordici persone, tra scienziati e tecnici, attraverserà la tundra a Nord del Circolo polare artico raggiungendo diverse tribù di eschimesi siberiani, Yakuti, Samoiedi e Dolgani in particolare. Verranno utilizzati speciali mezzi cingolati equipaggiati per resistere fino alla temperatura di 60 gradi sotto zero e capaci di trasportare ciascuno quattro persone più alcuni quintali di materiale. Il viaggio ricerca, che si propone di approfondire la conoscenza di regioni remote e popoli sempre vissuti nel più totale isolamento, è organizzato dall' associazione ambientalista francese Defi Terre in collaborazione con l' Università di Parigi, il Centro di studi siberiani di Mosca, e con il patrocinio delle Nazioni Unite, che ha decretato il 1993 come «Anno internazionale delle Popolazioni tribali». «Le diverse etnie di eschimesi siberiani che abitano le regioni oltre la frontiera geografica dell' Europa», spiega Jean Marc Liautaud, capo della spedizione e presidente di Defi Terre, «devono oggi confrontarsi con un problema nuovo, quello dell' inquinamento delle loro aree causato dallo sconsiderato sfruttamento delle ricchezze naturali da parte degli uomini cosiddetti civilizzati. Molto spesso, inoltre, l' Artico è stato usato come una comoda pattumiera». «Transsibering Longines» partirà ufficialmente il 19 febbraio da Nouyi Ourengoi, nella Siberia occidentale, farà sette soste di alcuni giorni in coincidenza con i villaggi abitati dagli eschimesi siberiani (il 26 aprile toccherà Schmity, il punto più a Nord del percorso) e giungerà a Quelen, sullo Stretto di Bering, il 5 maggio. Ad ogni tappa gli studiosi verificheranno le condizioni di vita degli indigeni: la conservazione dei costumi e l' utilizzo della lingua, le condizioni igienico sanitarie, l' educazione dei bambini, l' autonomia di gestione delle tribù e l' integrità ambientale delle riserve di caccia e pesca. «Accanto agli obiettivi geografici e ambientali», spiega Boris Chichlo, responsabile del Centro studi siberiano, «questo viaggio si pone come incontro fra due culture, una più tradizionale e antica, originale e fragile, l' altra, la nostra, più arrogante, moderna, tecnocrate e fin troppo fiera di sè. Sarà importante verificare quanto l' economia dell' ex Unione Sovietica e la sua politica di sfruttamento delle risorse energetiche dell' Artico abbiano danneggiato o limitato lo sviluppo di queste popolazioni». I dati raccolti saranno via via comunicati a una base di supporto logistico (coordinata da Boris Chichlo, che è direttore scientifico della «Transsibering Longines» ) tramite un telefono e un fax satellitari. L' equipaggio è composto da due antropologi, uno francese e uno statunitense, due etnologi russi, un cartografo, un altro antropologo svizzero, un medico, un fotografo e un cameraman e alcuni tecnici. Solo due donne, una biologa e un' etnologa. Andrea Vico
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 015
E' stata una missione molto breve; la prevista spedizione antartica italiana (doveva essere l' ottava) quest' anno non c' è stata, vittima delle difficoltà del bilancio dello Stato; ci si è dovuti accontentare di un blitz compiuto da un ristretto gruppo di scienziati e tecnici che hanno soggiornato per quaranta giorni nella base permanente di Baia Terra Nova. In questi giorni sono già sulla via del ritorno. Davanti alle limitazioni della spesa pubblica si è atteso fino a ottobre; a questo punto l' Enea, l' ente che ha la responsabilità di coordinare i programmi italiani nel continente antartico, ha proposto al ministero della Ricerca scientifica un intervento ridotto all' essenziale con un obiettivo circoscritto: da un lato proseguire le collaborazioni internazionali in corso e dall ' altro svolgere alcune attività indispensabili nella base di Baia Terra Nova per mantenerla efficiente e consentirle di «lavorare» anche in assenza degli scienziati. E' stato in questo modo che diciotto tra tecnici e ricercatori, usufruendo del supporto logistico tedesco e americano, hanno raggiunto la base permanente italiana; altrettanti hanno trovato ospitalità in basi di altri Paesi. Una soluzione necessaria, se non altro per mantenere in efficienza la base, acquisire i dati raccolti nel frattempo dalla strumentazione, rimettere le attrezzature in condizioni di funzionare per un altro anno. Ma è stato un evidente ripiego, che non ha potuto soddisfare tutte le aspettative della comunità scientifica nazionale che da tempo partecipa al programma di ricerche in Antartide. Una delusione tanto più cocente dal momento che, dopo l' approvazione a fine ' 91 della legge che stanzia 390 miliardi per le ricerche nel continente di ghiaccio fino al 1996, si poteva sperare che l' attività scientifica italiana in Antartide avesse ormai superato la fase di precarietà e si fosse messa definitivamente alla pari con quella degli altri Paesi avanzati. A questo punto non resta che puntare alla prossima spedizione; nessuno vuol prendere in considerazione l' ipotesi che anche questa missione possa saltare, vorrebbe dire uscire dalla pattuglia di Paesi all' avanguardia dell' attività scientifica che si svolge in Antartide, in particolare su un tema cruciale come quello del cambiamento globale del pianeta nella geosfera e nella biosfera. In effetti la Commissione scientifica nazionale per l' Antartide sta già lavorando per la migliore preparazione dei programmi e per l' organizzazione generale della nuova missione. In ottobre, se tutto andrà bene, un' ottantina di persone dovrebbe partire per Baia Terra Nova; dapprima un «Hercules» C 130 dell' Aeronautica militare atterrerà sulla pista della grande base americana di Mc Murdo portando i primi tecnici e due elicotteri; questa avanguardia avrà il compito di preparare una pista di atterraggio nei pressi della base italiana per consentire collegamenti diretti con la Nuova Zelanda. Poi in dicembre, cioè all' inizio della breve estate antartica, quando comincia a frantumarsi la banchisa che in inverno circonda per molti chilometri le coste del continente, arriverà via mare il grosso della spedizione. (v. rav. )
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 015
ECCO una molecola di cui diventeremo amici per la pelle: colpita da raggi ultravioletti, cambia forma degradandoli a radiazione infrarossa: un ottimo filtro per chi vuole abbronzarsi senza scottature. Creme solari che la utilizzino non ce ne sono ancora. Ma è soltanto questione di mesi. Intanto i laboratori della Vichy Oreal, che hanno messo a punto la molecola dopo dieci anni di ricerche, hanno brevettato in tutto il mondo la loro creatura, battezzata Mexoryl SX. Si è partiti dal benziliden canfora. Come in un gioco con il Lego, i biochimici hanno aggiunto un atomo qua e un atomo là alla molecola preesistente e ne hanno ottenuta un' altra che, colpita da un fotone ultravioletto con una lunghezza d' onda intorno ai 320 340 nanometri (miliardesimi di metro), ruota in parte su se stessa cambiando struttura e rilascia il fotone a un' energia più bassa, che non gli permette di penetrare in profondità nella pelle. La radiazione solare è composta, oltre che dalla luce visibile, da luce invisibile fredda (ultravioletti) e luce invisibile calda (infrarossi). A loro volta gli ultravioletti si dividono in vari tipi: il tipo C, più energetico, è fermato dall' ozono nella stratosfera; il tipo B, con lunghezza d' onda intorno a 290 nanometri e in grado di penetrare fino al derma, può causare eritemi e anche tumori della pelle, ma da esso ci possiamo difendere con creme già disponibili; il tipo A, infine, comprende due componenti, quella con lunghezza d' onda maggiore (400 nanometri) è meno dannosa, quella più breve (320 340 nanometri) è assai insidiosa. Finora contro quest' ultima non avevamo protezioni adeguate: i filtri solari esistenti sono poco efficaci alla loro lunghezza d' onda e poco stabili. Le cose cambieranno quando si potrà utilizzare la nuova molecola. Le ricerche più recenti hanno portato novità interessanti sull' invecchiamento della pelle causato dalla luce solare. In un gruppo di coltivatrici dirette della provincia di Pavia con età superiore a 70 anni che avevano passato gran parte della loro vita al sole si è misurata l' elasticità della pelle esposta e di quella protetta (zona sottoclavicolare). L' ecografia a ultrasuoni ha messo in evidenza la minore elasticità del derma nella zona esposta. Mentre l' invecchiamento della pelle protetta procede al ritmo del 3 per cento ogni dieci anni, quello della pelle esposta risulta tre volte più veloce. Nel corso della nostra vita, la pelle che prende sole invecchia trent' anni di più. Una delle cause principali dell' invecchiamento è costituita dai radicali liberi, molecole con un forte potere ossidante che, grazie alla loro attività chimica, possono modificare la struttura delle proteine cellulari e del Dna. E' ormai accertato che alcune vitamine la A, la E, la C svolgono una funzione antiossidante, saturando i radicali liberi. Aggiunte a una crema solare possono quindi renderla più efficace nella protezione da quell' invecchiamento della pelle che è il pedaggio pagato da molti di noi pur di esibire una bella abbronzatura. La difesa naturale dalla luce solare varia molto da persona a persona. In genere i bruni sono ben protetti, chi ha capelli rossi non lo è quasi per niente. Il pigmento protettivo è la melanina, emesso dai melanociti che si trovano nello strato basale germinativo della pelle. Ci sono però due tipi di melanina, una buona e una cattiva: la eumelanina, quella buona, è efficace al 90 per cento contro gli ultravioletti B ma poco può fare contro gli A, i più colpevoli dell' invecchiamento; la feomelanina, quella cattiva, non solo non protegge, ma produce radicali liberi. Chi per motivi genetici è privo di eumelanina deve quindi stare ancora più attento. Ormai una cosa è chiara: la salute della pelle è un capitale che inesorabilmente si consuma con il tempo e l' abbronzatura, se non si prendono precauzioni adeguate, è uno stupido sperpero di questo capitale. Piero Bianucci
QUANDO un bambino nasce prematuro o sottopeso, è indispensabile che acquisti grammi molto rapidamente. Per questo, nei reparti di maternità, viene subito messo nell' incubatrice. La funzione di questo apparecchio è soprattutto quella di mantenere caldo il corpo, in modo che tutto il cibo venga convertito in peso anziché in calore. L' incubatrice è costruita in modo da far circolare aria calda, ma sempre nuova. Inoltre il bambino deve poter respirare bene e le infermiere devono poter accedere facilmente per nutrirlo e pulirlo. Si può perdere calore in quattro modi: per convezione, se la temperatura è bassa e l' aria circola troppo in fretta; per radiazione, quando ci si trova a diretto contatto con una superficie fredda, ad esempio una finestra; per evaporazione, se si suda; per conduzione, attraverso il contatto diretto con le superfici solide. I neonati prematuri presentano una superficie molto ampia rispetto al loro peso e possono quindi perdere molto calore per evaporazione In un ambiente esposto alle correnti d' aria, questo può portare all' ipotermia (abbassamento della temperatura sotto i 35 gradi, con conseguenze gravissime). L' incubatrice serve a minimizzare tutti questi effetti. Il bambino viene adagiato su di un materasso in una «teca» trasparente, in una sorta di bagno d' aria calda a temperatura costante, dove le possibili «sacche» di aria calda e fredda sono state eliminate e le perdite di calore per evaporazione ridotte al minimo. Le infermiere possono sorvegliare il bambino facilmente anche da lontano e accedono all' interno attraverso due oblò mascherati. La temperatura è regolata da un termostato, corredato di dispositivi di sicurezza: quando c' è uno scarto superiore a un grado rispetto alla programmazione, suona l' allarme
SECONDA tappa del nostro viaggio tra le unità di misura fondamentali del Sistema Internazionale. Ci occupiamo, oggi, dell' unità di massa, il cui nome è kilogrammo e il simbolo kg. Per definizione il kilogrammo è uguale alla massa del prototipo internazionale conservato presso il BIPM (Bureau International des Poids et Mesures, o Ufficio Internazionale dei Pesi e delle Misure di Parigi III Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure, 1901) Il kilogrammo è l' unica unità fondamentale la cui definizione è ancora oggi, a più di 90 anni dalla sua adozione, legata ad un campione materiale: il prototipo internazionale costruito nel 1889 è custodito a Sevres nei sotterranei del Bureau International des Poids et Mesures. A tutt' oggi non si è trovato un campione che permetta di definire l' unità di massa con miglior precisione, anche se molti sforzi vengono compiuti in vari laboratori metrologici per superare questa situazione. Il prototipo internazionale è un cilindro di platino iridio, di altezza eguale al diametro (cilindro di minima superficie totale a parità di volume), conservato al riparo da contaminazioni e manipolato con cura estrema. In Italia il campione nazionale è la copia n. 62 del Kilogrammo Prototipo Internazionale ed è conservato presso l' Istituto di Metrologia «G. Colonnetti» di Torino. La massa del campione nazionale è determinata per confronto con il Kilogrammo Internazionale ed è pari 0, 999 999 051 kg. Sono inoltre conservate altre copie del Prototipo Internazionale, tra cui la copia n. 5 costruita nel 1890 che è custodita presso l' Ufficio Centrale Metrico ed è base della metrologia legale; la loro massa è periodicamente confrontata con quella del campione nazionale. I campioni di lavoro, in acciaio inossidabile o leghe speciali, costruiti con particolare cura presso l' Istituto Colonnetti e qui conservati e caratterizzati, vengono periodicamente confrontati con il kilogrammo campione nazionale mediante un comparatore di massa. Inoltre viene realizzata, per derivazione dal campione nazionale, la scala dei campioni di massa tra 1 mg e 500 kg con incertezza compresa tra 0, 3 microgrammi, cioè 0, 3 milionesimi di grammo, per una massa di 1 mg (milligrammo) e 15 microgrammi, cioè 15 milionesimi di grammo, per una massa di 1 kg. L' utilizzazione di bilance che consentono di raggiungere incertezze migliori di un milionesimo di grammo ha messo in evidenza il fatto che il prototipo internazionale del kilogrammo può presentare variazioni di 1 milionesimo di grammo al mese in un periodo di qualche mese dopo che è stato pulito (e lavato) secondo particolari procedure che sono oggetto di continuo studio e revisione. Ciò pone naturalmente il problema della conservazione e della manipolazione per questo campione materiale, fintanto che non si troverà un fenomeno fisico in grado di rappresentare questa unità, riproducibile nel tempo e nello spazio, come già capita per i campioni delle altre unità fondamentali.
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
NOMI: HARRISON JOHN
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 016
TRE secoli fa, nel 1693, nasceva a Foulby (Yorkshire), John Harrison, al quale si deve la costruzione di un cronometro che consentì di calcolare con sufficiente margine di precisione la longitudine, coordinata indispensabile per i lunghi viaggi in mare. L' orologio, conservato in un museo di Greenwich, ha il quadrante di 13 centimetri di diametro ed è stato recentemente definito «il più celebre cronometro mai realizzato e che mai sarebbe stato realizzato in futuro». La determinazione della longitudine è basata sul confronto dei tempi misurati in due diverse località e relativi allo stesso fenomeno (ad esempio, il passaggio del sole al meridiano). La misura, però, deve essere molto precisa, perché un errore di 4 minuti si tradurrebbe in un errore di un grado; e un grado, all' equatore, corrisponde a circa 110 chilometri, quanto basta per mandare una nave fuori rotta. Harrison, autodidatta settantenne, per questa realizzazione si aggiudicò anche un premio del Parlamento inglese, che aveva messo in palio 20 mila sterline per chi avesse costruito un orologio di precisione per il calcolo della longitudine. Un modello di Harrison (denominato H4) ritardò di un decimo di secondo al giorno durante un viaggio di cinque mesi dall' Inghilterra alla Giamaica. Riscuotere il premio, però, non fu facile, perché i membri del Parlamento non erano intenzionati a pagare la somma a uno sconosciuto artigiano. Intervenne perfino il re per difendere la causa di Harrison, e alla fine sembra che quest' ultimo ottenesse solamente la metà del premio. Harrison morì a Londra nel 1776, all' età di 84 anni. Franco Gabici
Una famiglia sportiva La famiglia Correndo è composta da tre persone (padre, madre e figlio) particolarmente sportive. Correndo padre sta sciando a una velocità costante di 5, 5 km all' ora mentre sulla stessa pista, ma in senso contrario, si sta muovendo Correndo madre a una velocità, anch' essa costante, di 4, 5 km all' ora. Correndo figlio è assieme al padre, ma essendo più veloce (6 km all' ora costanti) decide di staccarlo e di andare da solo incontro alla mamma. In quel momento i due genitori distano tra loro esattamente 5 km. Se, dopo aver raggiunto la madre, il figlio inverte la marcia e torna verso il padre e quindi di nuovo, una volta raggiunto il padre, torna incontro alla madre e va avanti così fino a che padre e madre si incontrano, sapreste dire quanti chilometri avrà alla fine percorso l' infaticabile pargolo? La soluzione domani, accanto alle previsioni del tempo. (A cura di Alan Petrozzi)
Perché gli elefanti hanno orecchie così grandi? L' elefante, come gli altri grossi mammiferi che vivono nei Paesi caldi, ha il problema di dover abbassare la temperatura corporea, soprattutto nelle ore torride. Normalmente questo processo di raffreddamento avviene attraverso la pelle. Un animale grande, però, ha una superficie esterna relativamente piccola: il peso di un elefante adulto, ad esempio, è pari a quello di tre rinoceronti, ma la sua superficie esterna corrisponde solamente a quella di due rinoceronti. Nel corso dell' evoluzione l' elefante ha sviluppato quindi due eccezionali organi di raffreddamento: le orecchie, appunto. Con i loro 180 centimetri di altezza e 150 di larghezza formano un' area complessiva di circa cinque metri quadrati. Sono inoltre particolarmente flessibili e ciò permette, con il loro sventolio, uno scambio termico ancora maggiore. Il raffreddamento avviene attraverso il sangue: quando la temperatura corporea è troppo alta, esso fluisce nelle grosse vene delle orecchie dove si raffredda, quindi rifluisce nel corpo. La differenza di temperatura può arrivare ai 9. Alessandro Bee Moncalieri (TO) Nell' elefante, la produzione di calore interno (proporzionale alle dimensioni lineari) è superiore alla capacità di disperderlo, che dipende invece dalla superficie esposta all' aria. All' aumentare della dimensione dell' animale nasce quindi il problema di smaltire il calore interno. E' un problema geometrico (la superficie esterna cresce con il quadrato di una dimensione lineare caratteristica, il volume, invece, con la dimensione lineare elevata alla terza potenza), acuito dalla temperatura ambientale. Il problema termico viene brillantemente risolto dall' elefante utilizzando i padiglioni auricoari come grandi radiatori (ovviamente il liquido refrigerante è rappresentato dal sangue che vi circola all' interno), la cui efficienza viene, quando necessario, aumentata con la «ventilazione forzata», quel continuo scuotere le orecchie nelle ore più calde. La fama dell' animale è arrivata anche negli ambienti tecnici, dove un tipico problema di smaltimento del calore è stato appunto chiamato «problema dell' elefante» Enrico Busto, Cavour (TO) Perché, se ci esponiamo al sole, la pelle si scurisce ma i capelli si schiariscono? Nel processo abbronzante gioca un ruolo fondamentale la melanina, un pigmento bruno contenuto in speciali cellule tegumentarie, presente nella pelle e nei peli dell' uomo. Una prolungata esposizione ai raggi del sole fa aumentare la pigmentazione per proteggere il derma e l' epidermide. In questi casi la pelle si scurisce ma i capelli si schiariscono perché non risentono del condizionamento del derma provocato da reazioni interne del corpo che escludono i peli. Federica Montobbio Capriata d' Orba (AL) Il fatto che la melanina aumenti negli individui che si espongono alla luce solare la fa ritenere un mezzo difensivo organico contro la luce stessa e specialmente contro la frazione ultravioletta dello spettro lu minoso. Liliana Cimiero Savigliano (CN) Perché lo stesso odore, ad esempio quello del vino, appare gradevole a qualcuno e sgradevole a qualcun altro? Perché un profumo è squisito sulla pelle di una persona e magari acido su un ' altra? Sulla percezione dell' odore (meglio sarebbe dire: profumo ) di un bicchiere di vino giocano almeno un paio di fattori. C' è un elemento di «memoria acquisita» presso popolazioni tradizionalmente consumatrici di vino, come i Paesi latini, e c' è un problema di olfatto legato ai cosiddetti «recettori di profumo» Secondo recenti studi americani, esiste un effetto chiave toppa per cui chi è provvisto di questi recettori assorbe il profumo in maniera diversa rispetto a chi ne è privo. Un altro esempio è la carne frollata: alcune popolazioni amano e ricercano questo sentore mentre per altre diventa un elemento di rifiuto. Massimo Martinelli La Morra (CN) & Perché quando si è contenti, si ride? & Quanti sono gli Stati in tutto il mondo? & Perché quando sturiamo un lavandino pieno d' acqua, il vortice che si forma gira sempre dalla stessa parte? & Perché alcune persone sono sensibili a particolari rumori, come lo strisciare delle unghie sulla lavagna? & Perché specchiandoci nella parte concava di un cucchiaio, vediamo la nostra immagine rovesciata? Mirko Ballarini, Torino _______ Risposte a: «La Stampa Tuttoscienze», via Marenco 32, 10126 Torino Oppure al fax 011. 65. 68. 688, indicando «TTS» sul primo foglio.