TUTTOSCIENZE 18 novembre 92


ENERGIA CHI SI RIVEDE: IL NUCLEARE A 5 anni dai referendum scade la moratoria
Autore: GADIOLI ETTORE, P_B

ARGOMENTI: ENERGIA, NUCLEARI, PRODUZIONE, REFERENDUM
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D Per un reattore supersicuro
NOTE: 081

A quali condizioni la produzione di energia nucleare con reattori a fissione costituisce un rischio accettabile? E queste condizioni oggi potrebbero essere soddisfatte? Gli aspetti politici, economici, giuridici non sono meno rilevanti di quelli tecnologici e, a mio parere, poco si è fatto per approfondirli. Qui vorrei discuterne alcuni che mi paiono preminenti. Gli effetti della catastrofe di Cernobil, che per molti aspetti fu un evento eccezionale e ben difficilmente ripetibile, sono risultati tragici più di quanto si era temuto all' inizio. Ciò ha molto colpito l' opinione pubblica. Tuttavia la gente non appare ugualmente scossa dai danni derivanti da altre cause che, in una nazione come l' Italia, possono essere non meno rilevanti di quelli dovuti a un grave incidente nucleare. Esempi tipici di queste cause sono il fumo, abitudini alimentari errate, la crescita incontrollata del traffico. In questi casi si pensa che il danno subito e l' accettazione del rischio derivino da un atto di libera scelta. Nessuno impone di fumare, di avere una dieta troppo ricca di grassi Un incidente nucleare dovuto a una centrale che altri hanno deciso di porre in una certa località e che può essere la conseguenza di errori di progettazione o di negligenza di altri non è invece tollerabile. E' quindi chiaro che l' accettazione da parte dell' opinione pubblica di una fonte di energia come quella nucleare potrà avvenire solo quando ciascuno sarà convinto che i rischi sono effettivamente ridotti a un livello accettabile e, a fianco di questi, vi siano vantaggi che li giustificano. E' molto probabile che questo risultato non possa essere ottenuto solo con sviluppi di tipo tecnologico, ma richieda anche l' adozione di una normativa giuridica opportuna. Per dimostrare l' inevitabilità di una fonte di energia quale la nucleare andrebbe innanzitutto perseguita con la massima fermezza la politica della riduzione degli sprechi energetici a livello industriale, pubblico e privato. E andrebbe incoraggiato o addirittura imposto (come si fa in certe nazioni) l' uso di dispositivi che permettano lo sfruttamento di fonti rinnovabili come quella solare ed eolica o disponibili nel luogo di utilizzo come l' energia geotermica. Inoltre si dovrebbe introdurre un principio di equità che faccia sì che il possibile danno legato all' esistenza di una centrale per la produzione di energia o di ogni altro impianto produttivo sia direttamente compensato dal vantaggio che consegue chi subisce o può subire questo danno. Una politica di questo tipo porterebbe all' adozione di centrali più piccole e distribuite più capillarmente mentre le attuali scelte in quasi tutte le nazioni sono per megacentrali spesso raggruppate come a Cernobil. Centrali più a misura d' uomo sarebbero inoltre più controllabili e si sa che potrebbero essere intrinsecamente sicure, costruite cioè in modo tale che il rischio di un grave incidente con fusione del nocciolo sia totalmente assente per l' intervenire di un fenomeno fisico che ne impedisca il verificarsi, indipendentemente dalle misure poste in atto dall' operatore o, meglio, malgrado gli errori compiuti dall' operatore. Un rilancio della costruzione di centrali nucleari è sostanzialmente legato allo sviluppo di questi reattori. C' è poi l' aspetto ambientale. In effetti si può dimostrare che, in assenza di gravi incidenti, l ' inquinamento prodotto da una centrale nucleare è molto minore di quello dovuto a centrali a carbone o petrolio di pari potenza. Tuttavia il danno all' ambiente non è dovuto solo alla fase di funzionamento della centrale; esso è legato anche alla produzione del combustibile nucleare, allo stoccaggio definitivo del combustibile irradiato e delle scorie, allo smantellamento delle centrali che abbiano terminato il ciclo di funzionamento. Questo problema è stato praticamente ignorato nella maggior parte delle nazioni e solo poche tra esse (ad esempio Inghilterra e Francia) l' hanno affrontato nella sua complessità, sia costruendo impianti di ritrattamento del combustibile esaurito e delle scorie adeguati al numero di centrali in funzione, sia iniziando lo studio di possibili siti di stoccaggio delle scorie altamente radioattive. Lo smantellamento di centrali che abbiano terminato il periodo di funzionamento presenta anche in queste due nazioni problemi assai complessi sia di carattere tecnico che economico così che, per fare solo un esempio, il costo di smantellamento delle centrali Magnox in Inghilterra appare almeno doppio di quello preventivato. Nella maggior parte delle altre nazioni non si è in grado di far fronte in modo ragionevole a questa fase del ciclo del combustibile nucleare. La politica adottata va dall' inviare il combustibile esaurito e le scorie per il ritrattamento in centri come quello di Windscale in Inghilterra, allo stoccaggio del combustibile e delle scorie ritrattati, o addirittura non ritrattati, in miniere abbandonate o in luoghi poco accessibili (o ancor peggio inviandolo di nascosto, sulla base di accordi vergognosi, in Paesi poveri che si accollano i danni e i rischi conseguenti). Quanto alle centrali che hanno terminato il ciclo di funzionamento, vengono semplicemente sigillate. Una seria politica nucleare richiede anche uno studio di questo aspetto del problema e la costituzione di organismi che possano attuare le disposizioni necessarie. Non ultimo, si deve tener conto in modo realistico di tali costi quando si valuta la convenienza economica dell' energia nucleare. Ettore Gadioli Università di Milano IL 18 dicembre scade la moratoria nucleare di 5 anni decisa in seguito ai referendum. In Italia negli ultimi tempi quello energetico sembra un problema rimosso: se ne parla poco, si lascia diffondere nell' opinione pubblica l' idea che non sia più così grave, nè urgente. E' però opportuno ricordare alcuni dati essenziali: l' Italia importa il 16 per cento dell' elettricità di cui ha bisogno e in buona parte è energia di fonte nucleare; all' estero sono in funzione 420 reattori che producono il 16, 5 per cento dell' elettricità mondiale. In Francia la percentuale sale al 75. Le alternative alle fonti attuali di energia non sono dietro l ' angolo: per la fusione nucleare controllata si parla del 2040, lo sviluppo dell' energia solare sarà inevitabilmente lento; e le riserve stimate di metano e di petrolio sono di quarant' anni. Il «no» al nucleare in Italia, benché deciso sotto lo choc di Cernobil, è espressione di una volontà popolare che va rispettata il nucleare che ha avuto il rifiuto degli italiani non può essere riproposto. Tuttavia, di fronte al quadro energetico nazionale e internazionale, ha senso domandarsi a quali condizioni la fonte nucleare potrebbe essere riconsiderata con la probabilità di ottenere un consenso sociale. L' Ansaldo in Italia e molte altre aziende all' estero stanno sviluppando nuovi tipi di reattori «a sicurezza intrinseca». Si sta affermando anche il concetto di «sicurezza evolutiva», in base al quale il perfezionamento del reattore continua per tutto il suo periodo di produzione. Soluzioni si stanno delineando per seppellire le scorie e smantellare le vecchie centrali. A mezzo secolo dalla «pila di Fermi», l' energia da fissione è a una svolta tecnologica. Lo suggeriscono anche la corsa al nucleare in Giappone e la vicenda della nave carica di plutonio di cui parliamo qui sotto: sullo sfondo c' è la questione enorme del materiale fissile reso disponibile dal disarmo nucleare. E' quanto basta per riaprire uno spazio prima di informazione e poi di dibattito sul nucleare in Italia.


E la nave del plutonio va Progetto giapponese, il male minore
Autore: REGGE TULLIO

ARGOMENTI: ENERGIA, TRASPORTI, NAVALI, NUCLEARI
ORGANIZZAZIONI: PNC, STA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 081

LA Nuclear Fuel Develop ment Corporation (Pnc) è una potentissima organizzazione giapponese in parte controllata dal governo ed è affiliata alla Science and Technology Agency (Sta), da cui riceve annualmente circa 1, 25 miliardi di dollari; altri 400 milioni di dollari li riceve dalle compagnie produttrici di elettricità. In un simposio svoltosi a Tokyo il suo presidente ha delineato una nuova strategia nucleare di pace per il Giappone basata sull' uso massiccio di plutonio non purificato e reso deliberatamente inadatto alla costruzione di bombe (la Costituzione giapponese e i trattati internazionali vietano ogni ricerca su ordigni nucleari). Qualsiasi reattore nucleare finisce con il sintetizzare vari isotopi del plutonio a partire dall' uranio 238 che forniscono il 30 per cento dell' energia prodotta dal reattore. Solamente il plutonio 239 è adatto a fare bombe e deve essere separato dagli altri isotopi con particolari accorgimenti. Esistono ormai sul mercato ingenti quantitativi di plutonio sia impuro, ossia proveniente dal riciclaggio delle barre di combustibile dei reattori, sia puro, proveniente dallo smantellamento di ordigni nucleari. Il plutonio è estremamente tossico e infiammabile, per cui deve essere manipolato con estrema cautela. Inoltre il suo decadimento è lentissimo, dell' ordine di centinaia di migliaia di anni, per cui è vana la speranza di vederlo dileguare in pochi secoli. I giapponesi intendono sviluppare una nuova tecnologia basata sull' uso di plutonio appositamente contaminato con impurità altamente radioattive, come l' americio 242, che è un intenso emettitore di raggi gamma. La proposta della Pnc si è già concretata nell' acquisto di oltre una tonnellata di plutonio francese e nel viaggio della Akatsuki Maru che tante proteste ha sollevato tra gli ambientalisti. La strategia del plutonio viene rinforzata dal prossimo varo del reattore autofertilizzante Monju e in effetti fra circa 20 25 anni il Giappone dovrebbe disporre di circa 100 tonnellate di plutonio destinato ad uso civile. Questa strategia ha suscitato, come prevedibile, le ire degli ambientalisti, che già detestano i reattori nucleari convenzionali ma doppiamente detestano gli autofertilizzanti come il Phenix e il Superphenix francesi. D' altra parte dobbiamo pagare il prezzo di oltre 40 anni di escalation nucleare selvaggia e dissennata che ha sparso nel mondo ingenti stock di materiale fissile di prima qualità. Ma a poco valgono le recriminazioni e le lamentele. Siamo giunti a un bivio e dobbiamo prendere una decisione molto dura: custodire il plutonio oppure bruciarlo? Ambedue le scelte presentano gravi inconvenienti. Se lo bruciamo, come vogliono fare i giapponesi e come è probabile che si faccia anche in Europa, aumentano i rischi intrinseci alla tecnologia nucleare. Se non lo bruciamo dobbiamo garantire che esso non venga usato per scopi militari o anche terroristici per il prossimo milione di anni, un compito immane al cui confronto quello dello stoccaggio delle scorie nucleari è gioco da ragazzi. Io ho già scelto: preferisco bruciare il plutonio con tutti i pericoli e gli inconvenienti che questo comporta. Non temo l' impopolarità e vado oltre. Quasi tutti i governi si sono premurati di impedire il passaggio della Akatsuki nelle loro acque territoriali. Come unico risultato la nave deve ora seguire una rotta molto più lunga che la porterà in acque infide aumentando i rischi del trasporto. Gli stessi dimostranti che si sono affannati per impedirne la partenza sembrano indifferenti al problema dello stoccaggio del plutonio sul loro territorio. Tutto ciò fa parte di un copione già logoro. Gli stessi gruppi di opinione si oppongono duramente alla costruzione di impianti di riciclaggio delle barre di combustibile forse convinti che tali barre scompaiono da sole nei siti in cui sono custodite. Nella Csi la carenza di energia costringe a mantenere in funzione ben 15 centrali di tipo Rbmk, come quella di Cernobil, ma la comprensibile opposizione popolare impedisce l' avvio di altre centrali molto più sicure che potrebbero sostituirle. L' importante è prendere misure che diminuiscano globalmente i rischi ed evitare di cadere in trappole fondamentaliste. Mi rendo conto che l' energia nucleare fa paura a molti ma purtroppo non vedo modo di uscirne onorevolmente. Lo spegnimento immediato delle centrali nucleari avrebbe un impatto economico e sociale gravissimo e non risolverebbe il problema del plutonio. Non sono uno di quelli che pensano che i mal di testa scompaiano proibendo la vendita di aspirine. Tullio Regge Università di Torino


A 12 ANNI DALLA DATA PREVISTA Arriva la cometa ritardataria Sue le «stelle cadenti» di S. Lorenzo
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
NOMI: SCHIAPARELLI GIOVANNI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 081. Cometa Swift Tuttle

GLI astronomi pensavano che si fosse perduta o disintegrata. Invece era solo in ritardo. La cometa Swift Tuttle, scoperta nel 1862 e invano attesa di ritorno dalla sua lunga orbita verso il 1980, dodici anni dopo si presenta finalmente all' appuntamento. Arriverà nel punto più vicino al Sole il 12 dicembre, quando passerà a 144 milioni di chilometri dalla nostra stella. Sarebbe una storia di ordinaria astronomia riservata a pochi specialisti se questa cometa non fosse la madre di un fenomeno molto popolare: la «pioggia di stelle» che si ripete ogni anno intorno al 10 agosto, festa di San Lorenzo, quelle «lacrime» del cielo che una poesia del Pascoli ha reso famose. Le «stelle cadenti» scientificamente meteore che vediamo in quelle sere d' estate sono infatti piccoli detriti che la cometa Swift Tuttle sparge sul suo percorso. Quando la Terra incrocia la scia di detriti, alcuni penetrano nell' atmosfera a velocità di decine di chilometri al secondo, si arroventano, e vaporizzano in un lampo di luce. Il ritardo, di 12 anni, è ancora più grave di quelli a cui ci hanno abituato le ferrovie italiane, ma diventa abbastanza giustificabile se si aggiunge che il viaggio della cometa Swift Tuttle (cioè il tempo che impiega a completare la sua orbita) dura 120 anni ed è lungo circa 15 miliardi di chilometri. Rimane tuttavia il problema di spiegare perché soltanto adesso la Swift Tuttle torni ad affacciarsi nel nostro cielo (a riavvistarla per primo è stato, alla fine dell' estate scorsa, l' astronomo dilettante giapponese Tsuruhiko Kiuchi). Le spiegazioni possono essere tre. La prima ipotesi è che la cometa abbia subito l' influsso gravitazionale di qualche pianeta. La sua orbita, infatti, attraversa tutto il sistema solare esterno alla Terra, giungendo a oltre 7 miliardi di chilometri, al di là di Plutone, il più lontano dei pianeti. Un' altra possibilità è che la colpa sia dell' «effetto razzo»: quando le comete passano vicino al Sole, dal loro nucleo ghiacciato si liberano getti di gas che possono modificare la velocità della cometa (basta poco, perché la massa cometaria è paragonabile a quella di una montagna). La terza spiegazione è che ci sia stato un piccolo errore nel valutare la velocità della cometa quando fu osservata per la prima volta nel 1862. Quest' ultima ipotesi è la più probabile. La cometa rediviva fu avvistata per la prima volta vicino all' Orsa Minore nel 1862 dall' astronomo dilettante Lewis Swift e poco dopo da un altro appassionato di cose celesti, Horace Tuttle: donde il suo doppio nome. Un astronomo professionista italiano, il saviglianese Giovanni Schiaparelli, notò che l' orbita della cometa coincideva con quella delle meteore di metà agosto, chiamate «Perseidi» perché sembrano irradiarsi dalla costellazione di Perseo. Per la prima volta veniva dimostrata la stretta parentela tra comete e meteore. Poiché la Swift Tuttle non si era vista tra il ' 79 e l' 82, anni nei quali era attesa, molti avevano pensato che si fosse dissolta, fine non rara per questi piccoli corpi celesti fatti di ghiaccio e polveri. Il fatto che invece sia ritornata fa ritenere che l' anno prossimo il fenomeno delle «lacrime di San Lorenzo» sarà molto più spettacolare del solito. Intanto possiamo incominciare a guardarci la cometa, che all' inizio di dicembre dovrebbe essere a portata di binocolo, non lontano dall' Orsa Maggiore. Piero Bianucci


CITTA' INQUINATE Un inverno a rischio Dalle marmitte catalitiche un contributo importante ma non risolutivo Da sole non basteranno ad evitare le limitazioni alla circolazione
Autore: NATALE PAOLO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, TRASPORTI, INQUINAMENTO, AUTO
LUOGHI: ITALIA, TORINO
TABELLE: G Livelli di inquinamento atmosferico
NOTE: 082

QUANDO, e fino a che punto, le marmitte catalitiche potranno risolvere il problema dell' inquinamento atmosferico nelle grandi città ? Quesito di stretta attualità alla luce dei provvedimenti che i Comuni si apprestano a prendere contro l' inquinamento durante il prossimo inverno. Gli inquinanti che più spesso superano i limiti di qualità dell' aria sono il biossido di azoto e il monossido di carbonio; superamenti episodici si hanno per biossido di zolfo e pulviscolo. Poiché le restrizioni al traffico si applicano al superamento dei limiti di uno qualsiasi dei parametri è ragionevole concentrare l' attenzione su quello di maggiore diffusione geografica e più elevata probabilità di superamento: il biossido d' azoto. Questo composto compare in atmosfera in prevalenza come effetto dell' ossidazione fotochimica del monossido d' azoto: il problema di stimarne le concentrazioni si può quindi ricondurre a quello di valutare le concentrazioni ed emissioni del monossido. Da stime indirette fatte a Torino, ma estensibili ad aree urbane di caratteristiche simili sotto il profilo climatico e socio economico (Milano, Bologna, Firenze), emerge che l' origine del monossido d' azoto, nei mesi a più elevati consumi termici di energia, è imputabile per almeno un 25 30 per cento agli impianti di riscaldamento. Il residuo 70 75 è quasi esclusivamente dovuto alla circolazione. L' apporto di centrali termoelettriche o di sorgenti industriali, rilevante come valori globali su tutto il territorio nazionale, nelle città è contenuto al massimo entro il 5 10 per cento. Tenendo conto dell' aliquota di veicoli Diesel, intorno al 10 15 per cento ma con cilindrata media e percorrenza nettamente più elevate di quelle dei veicoli a benzina se pure con emissioni nettamente inferiori, si può stimare che le emissioni veicolari derivino per almeno un 25 per cento dai veicoli Diesel e per il restante 45 50 per cento da veicoli a benzina. Poiché le marmitte catalitiche sono attualmente applicate solo ai motori a benzina esse trattano, proprio nei mesi caratterizzati dalle concentrazioni più elevate, meno della metà delle emissioni. Anche ammettendo che le auto di nuova immatricolazione siano tutte dotate di marmitta catalitica, cosa completamente vera solo dal 1993, e determinino non un incremento, ma un rinnovamento del parco veicolare, poiché sono necessari da un minimo di 8 a un massimo di 13 anni, a seconda delle aree regionali, per la sostituzione del parco esistente con uno completamente «catalizzato», ne consegue che nella migliore delle ipotesi e con le marmitte funzionanti alla massima efficienza teorica (90 per cento), si avrà una riduzione annua di circa il 5, 6 per cento delle emissioni attuali. L' efficienza della marmitta catalitica è molto elevata quando opera a temperatura di regime, mentre si riduce sensibilmente quando i tragitti del veicolo sono brevi e, tra uno e l' altro, la marmitta torna a raffreddarsi. Da analisi svolte in Torino risulta che il percorso medio cittadino non supera i 5 6 chilometri e la durata i 18 20 minuti; durante i primi 3 5 minuti del percorso l' efficienza è molto inferiore al nominale. E' quindi più realistico stimare, in città, un abbattimento intorno al 70 per cento, con una riduzione annuale pari al 4, 3 per cento. Ora, anche ipotizzando che a causa delle approssimazioni introdotte, della variabilità del parco e delle diverse modalità di circolazione nei vari ambiti urbani, l' insieme delle stime effettuate possa essere affetta da un' incertezza del 30 per cento, in ogni caso la riduzione ipotizzabile risulta compresa tra il 3 e il 5, 6 per cento annuo, con un valore complessivo finale del 50 per cento. Il periodo di tempo necessario per raggiungere questa percentuale è compreso tra 9 e 16 anni (il grande economista inglese Keynes, certo non ignaro di modelli di previsione e pianificazione, ironizzava sulla insicurezza delle stime troppo spinte in avanti: «Odio le previsioni a lungo termine, a lungo termine saremo tutti morti» ). Poiché nell' inverno scorso le concentrazioni di biossido d' azoto hanno superato di molto i livelli di attenzione per un considerevole numero di giorni, si può concludere che, salve tutte le premesse, non saranno rispettati i livelli più restrittivi sino a quando tutto il parco a benzina non sarà catalizzato e a maggior ragione negli anni immediatamente prossimi, quando le riduzioni delle emissioni saranno ancora molto modeste. Le marmitte catalitiche appaiono dunque come un passo necessario, ma forse non definitivo, per la soluzione del problema, che richiede una diversa organizzazione urbana della mobilità oltre a un uso più razionale dell' energia. E' invece certo che per effetto dell' introduzione delle marmitte catalitiche si otterranno risultati più incisivi e più rapidamente per quegli inquinanti per i quali l' apporto dei veicoli a benzina è di gran lunga prevalente (idrocarburi volatili ), o quasi esclusivo (monossido di carbonio). La complessità del problema degli ossidi d' azoto, autentico nocciolo duro tra tutti gli inquinanti citati, è legato alla pluralità delle sorgenti e alla sostanziale indipendenza di questo tipo di emissioni dalle caratteristiche dei combustibili e parzialmente dei carburanti utilizzati. In conclusione, le marmitte catalitiche sono un contributo rilevante al miglioramento della qualità dell' aria, ma con ogni probabilità non saranno sufficienti da sole a evitare blocchi o restrizioni e soprattutto a restituire ai centri urbani di dimensioni medio grandi un' aria che rispetti, per tutti gli inquinanti, i limiti più restrittivi oggi adottati. Paolo Natale


UNA PROPOSTA Autostrade in cemento? Ecco i vantaggi del calcestruzzo
Autore: R_S

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, TRASPORTI
NOMI: GIANNATTASIO PIETRO
ORGANIZZAZIONI: CNR, ANAS
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 082

I N Italia sono praticamente sconosciute ma in altri Paesi, a cominciare dalla Germania, strade e autostrade in cemento sono assai diffuse. In effetti fino a pochi anni fa i tentativi di impiegare questo materiale, assai più durevole del conglomerato bituminoso, si sono scontrati con una difficoltà tecnica insormontabile rappresentata dalle giunzioni trasversali che creavano sotto le ruote delle auto in corsa un tambureggiamento continuo molto fastidioso. Per l' Italia la scarsa diffusione del calcestruzzo nella pavimentazione stradale ha anche motivazioni storiche specifiche: le difficoltà economiche del dopoguerra, insieme con la mancanza di adeguate conoscenze tecniche, hanno fatto sì che negli anni della grande crescita delle costruzioni stradali si ricorresse alla tecnica più facile e più conosciuta, quella che prevede l' impiego del conglomerato bituminoso. Oggi si torna a parlare di autostrade in cemento perché la tecnologia è maturata e i giunti non sono più un problema; inoltre la crescente intensità del traffico, e quindi la necessità di interventi di manutenzione del tradizionale manto di bitume sempre più ravvicinati, spingono alla ricerca di soluzioni alternative. Con la vecchia tecnica le pavimentazioni stradali in calcestruzzo risultavano formate da un seguito di lastre separate le une dalle altre; in queste fessure a poco a poco si insinuava il materiale sottostante che veniva a costituire una serie di «cordoni» stesi attraverso la carreggiata e che erano i responsabili del continuo tum tum durante la corsa. Secondo il professor Pietro Giannattasio, che presiede la commisione di studio sui materiali per la pavimentazione stradale del Cnr, il problema viene oggi superato con la cosiddetta «pavimentazione composita polifunzionale» che costituisce un «felice connubio tra la particolare durevolezza della struttura in calcestruzzo ad armatura continua e le doti di sicurezza, comfort e facilità di manutenzione del sottile strato di conglomerato bituminoso drenante fono assorbente che la ricopre». Queste considerazioni fanno parte della prefazione che Giannattasio ha scritto per uno studio appena pubblicato dall' Associazione italiana tecnico economica del cemento (Aitec). Esse si basano anche sulle esperienze acquisite con la costruzione, avvenuta nel 1988, della «bretella» tra le autostrade A1 e A2 Fiano San Cesareo. La nuova tecnica costruttiva consente di ottenere una lastra continua in calcestruzzo armato, realizzata con macchine a casseforme scorrevoli, priva di giunti e con una durata di oltre quarant' anni. Al di sopra della lastra di cemento viene steso uno strato di alcuni centimetri di conglomerato che svolge una serie di funzioni: protegge la superficie di calcestruzzo dalle intemperie e da elementi aggressivi (per esempio il sale antighiaccio), assorbe il rumore, drena l' acqua evitando il pericoloso fenomeno dell' aquaplanning. «Le moderne tecniche di progettazione dicono all' Aitec garantiscono una buona regolarità superficiale e un efficiente sistema di drenaggio favorendo una maggiore aderenza tra pneumatico e pavimentazione». Queste tecniche, sempre secondo lo studio dell' Aica, possono essere usate non solo per costruire strade «ex novo» ma anche per rifare strade già esistenti senza doverle demolire. I vantaggi di strade e autostrade in calcestruzzo? Economici e di sicurezza. La durata molto maggiore del calcestruzzo rispetto al conglomerato bituminoso dilata molto gli intervalli tra un rifacimento e l' altro con evidenti risparmi; anche il rivestimento bituminoso superficiale si deteriora meno rapidamente dato che poggia su una base solida e regolare. Complessivamente e considerate nella loro durata complessiva, comprendendo cioè costi di costruzione e costi di manutenzione, afferma lo studio dell' Aitec, la strada in calcestruzzo costa dal 9 al 13 per cento meno di quella tradizionale. Vi sono poi, sempre secondo i fautori di questa soluzione, altri costi che la nuova tecnica consente di ridurre drasticamente, costi difficilmente valutabili ma non per questo meno reali. Minore necessità di manutenzione significa anche meno cantieri, quindi meno rallentamenti, meno code per gli utenti, meno spreco di carburante (considerazioni particolarmente evidenti per i costi del trasporto merci); e infine vi è il discorso sicurezza: meno cantieri significano circolazione più fluida e meno pericolo di incidenti. (r. s. )


TECNOLOGIA E AFFARI Ricchi col supercomputer Diventa possibile prevedere i cambi
Autore: FOCARDI SERGIO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, INFORMATICA, ECONOMIA, BORSA, LAVORO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 082. Agenti di cambio

SE conosceste in anticipo il corso dei cambi non c' è dubbio che sapreste fare buon uso di questa nozione. Al Politecnico di Zurigo un gruppo di ricercatori guidato da Wuertz, in collaborazione con la Union des Banques Suisses, ha applicato nuovi metodi della teoria della previsione allo studio dell' andamento delle valute. E' stato simulato il ritorno sull' investimento che sarebbe possibile ottenere nel cambio franco svizzero dollaro con una semplice strategia di investimento che consiste nell' acquistare valuta in caso di previsione di aumento dei cambi e nel vendere in caso contrario. Su un periodo di simulazione di tre anni, dal 1987 al 1989, si è ottenuto un ritorno sul capitale del 23 per cento annuo valore che dà una idea chiara della efficacia di questi metodi. Sostenute dalle grandi potenze di calcolo oggi disponibili, le tecniche di previsione stanno emergendo come strumento di supporto alle decisioni nella finanza, nell' economia e nell' industria mentre nuove e insospettate possibilità si aprono in campi tecnici e scientifici. In che cosa consiste la teoria della previsione e come viene applicata? In termini semplici, essa consiste in metodi matematici che consentono di prevedere i valori futuri che avranno certe quantità, come i cambi delle valute, solamente sulla base dei valori che queste stesse quantità, ed eventualmente altre quantità correlate, hanno avuto nel passato. Nel caso dei cambi, quantità correlate possono essere i tassi di interesse, la bilancia dei pagamenti, l' inflazione e molti altri fattori più riposti. Queste tecniche cercano di cogliere i tratti essenziali di come le quantità sono variate e li proiettano nel futuro. Mentre la scienza classica vuole descrivere fedelmente la natura, la teoria della previsione trascura tutti i dettagli e riproduce solo gli andamenti e le variazioni più significative. E' una importante scoperta scientifica che sia possibile fare questo in modo matematicamente rigoroso. L' applicazione della teoria della previsione consiste nello scegliere come modello matematico funzioni semplici che possano essere adattate con opportuni criteri di approssimazione. La teoria fornisce i criteri di scelta ed approssimazione ed i metodi per adattare le funzioni scelte come modello e verificare la bontà dei risultati. I criteri di approssimazione possono tener conto della effettiva differenza fra i dati calcolati e quelli misurati oppure delle caratteristiche statistiche dell' insieme dei dati. Tuttavia non tutti i processi possono essere previsti. La roulette, ad esempio, rimane un processo casuale in quanto l' informazione contenuta nelle uscite passate non è sufficiente a prevedere che cosa accadrà in futuro. Secondo le idee di Chaitin e Kolmogorov, sono casuali quei processi che non possono essere descritti con un procedimento sostanzialmente più corto che la semplice enumerazione di tutti i loro valori. I metodi di previsione riescono a dare senso a sequenze di fatti che prima potevano solo essere ritenuti casuali tuttavia alcuni processi rimangono casuali in modo irriducibile. La teoria della previsione è una disciplina scientifica resa possibile dagli elaboratori ad alte prestazioni. Mentre i principi generali della previsione sono noti da alcuni decenni, la novità portata dai supercomputer sta nell' uso di modelli più complessi, in più raffinate tecniche di approssimazione e, soprattutto, nella possibilità di eseguire un accurato studio delle correlazioni. Solamente con grandi potenze di calcolo è possibile costruire modelli realistici ed eseguire le simulazioni ripetute richieste per determinare la migliore approssimazione e trovare le correlazioni significative. Ad esempio per la previsione degli andamenti dei cambi del franco svizzero contro il dollaro sono stati eseguiti oltre 2500 test di correlazione, compito che è stato possibile solo usando i supercomputer Cray e Nec in dotazione al Politecnico di Zurigo e al Centro Svizzero di Calcolo Scientifico di Lugano. Qual è oggi l' uso della teoria della previsione? Modelli previsionali come quello del cambio delle valute sono usati come supporto alle decisioni delle banche centrali e da alcune grandi banche e società finanziarie. Le aziende petrolifere li usano per prevedere l' andamento dei prezzi del greggio e le aziende fornitrici di energia per prevedere il fabbisogno energetico a breve termine. Metodi simili sono usati negli studi sull' ambiente per la previsione di fenomeni critici e nell' analisi di fenomeni epidemiologici. Vi sono applicazioni in ingegneria per ridurre il numero di prove sperimentali e prevedere potenziali difetti e rotture ed applicazioni nell' analisi di dati medici. Con le potenze di calcolo offerte dagli odierni supercomputer e dai futuri elaboratori paralleli, la teoria della previsione si avvia a diventare una metodologia fondamentale, capace di portare nell' ambito del trattamento scientifico fenomeni che prima ne erano esclusi, poiché il loro trattamento matematico secondo le linee di approccio della scienza classica era troppo complicato. Sergio Focardi


SCAFFALE Bozzi Maria Luisa, Durante Annalisa: «Animali, la vita in comune e il linguaggio», Edizioni Paoline
AUTORE: VERNA MARINA
ARGOMENTI: ETOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 082

Non è per caso che il lombrico marino vive solitario nella sua tana e l' ape invece convive con ottantamila sorelle. E neppure che un coniglio isolato faccia una brutta fine o che le farfalle siano profumate. In natura, i comportamenti vincenti sono il risultato di una lunga selezione che ha premiato i più adatti ad affrontare il mondo, eliminando i deboli e gli incapaci. Una regola dura da accettare per chi ha il cuore tenero, ma inesorabile. Per guardarla in faccia fin da ragazzi, ecco il bellissimo «Animali: la vita in comune e il linguaggio», scritto dalla biologa Maria Luisa Bozzi, con disegni di Annalisa Durante. Una risposta a tutti i «Perché ? » che frullano per la testa, ma anche incantevoli storie che magari non si conoscono ancora.


RISCHIA L' ESTINZIONE Il lemure con il paracadute Una membrana fra braccia e tronco per volare da un albero all' altro
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 083

SE dai da mangiare a un lemure diventerai ricco. Se invece te lo mangi, ti ammalerai e morirai. Questa è la massima in voga tra gli indigeni malgasci dell' isola di Nosy Komba secondo quanto racconta Richard Bangs, che ha recentemente visitato il Madagascar. Eppure, nonostante ciò, ad Antananarivo, la capitale dell' isola, Bangs ha scoperto un ristorante in cui, pagando sottobanco un supplemento, si può gustare la carne di lemure cucinata in salsa piccante. Segno evidente che il bracconaggio fiorisce nel Madagascar, anche se le 29 specie e le 40 sottospecie endemiche di lemuri sono legalmente protette e i bracconieri rischiano cinque anni di galera se vengono colti in flagrante. Quando i primi esploratori indonesiani giunsero con le loro canoe alle spiagge del Madagascar, intorno al sesto secolo, l' isola grande due volte l' Italia era tutta ricoperta da un' immensa, lussureggiante foresta vergine. Da allora è incominciata e si è intensificata nel tempo la distruzione sistematica del manto arboreo, con il risultato che si sono estinte moltissime specie vegetali, ma anche molte specie animali, come l' ippopotamo pigmeo, l' oritteropo, due specie di tartarughe giganti terrestri, quattordici specie di lemuri, tre specie di uccelli, tra le quali l'uccello più grande del mondo, l' Aepyornis maximus, un gigante incapace di volare che pesava fino a 450 chili. Si trovano ancora sulle spiagge o nei greti dei fiumi le sue uova intere o in frammenti: uova lunghe oltre trenta centimetri, che pesano una decina di chilogrammi. I lemuri superstiti vivono oggi un' esistenza precaria in un habitat discontinuo rappresentato dalle residue oasi forestali. Per salvare dall' estinzione queste straordinarie creature che hanno qualcosa di magico negli occhi frontali dallo sguardo vagamente umano, è stato fondato a Yale, negli Stati Uniti, nel l958, il Centro Primati della Duke University, trasferitosi dieci anni dopo a Durham nella Carolina del Nord, dove si trova tuttora. Un successo strepitoso. Quella dozzina di lemuri che rischiavano l' estinzione nel loro Paese hanno trovato una seconda patria in terra d' America e si sono moltiplicati in misura insperata, diventando oltre seicento. Gli studiosi, che seguono con grande interesse il processo di acclimatazione e di adattamento di queste scimmie tropicali in un Paese della zona temperata, sperano di poterle un giorno reintrodurre nel Madagascar Ma intanto hanno modo di studiarne da vicino comportamento e struttura sociale. I catta (Lemur catta) si trovano a meraviglia nel centro americano. Si riconoscono da lontano per quella loro lunga coda tutta ad anelli bianchi e neri. Sembra che parlino un linguaggio misterioso quando agitano nell' aria la coda vistosissima. Ma la comunicazione tra i membri del gruppo è più olfattiva che visiva. Il lemure catta è profumatissimo. Possiede tre gruppi di ghiandole odorifere che sfociano rispettivamente nella zona del carpo, nella regione anale e, soltanto nei maschi, nell' avambraccio. Può capitare di vedere un catta intento a frizionarsi la coda. E' uno spettacolo buffissimo. Se la fa passare tra le gambe e se la strofina energicamente contro le ghiandole dell' avambraccio. E lo fa soprattutto quando sta per affrontare in duello un rivale. E' quello il momento in cui, per sbandierare ai quattro venti i suoi diritti territoriali, si dà ad agitare freneticamente la coda impregnata del suo odore personale. E mentre infuria il combattimento, tra assalti e ritirate strategiche, ciascuno dei due contendenti trova modo di sfregare la regione anale contro il tronco degli alberi vicini, per ribadire il proprio diritto di proprietà Ma presto la contesa si placa e ciascuno ritorna alla vita pacifica del gruppo. Quando fa freddo, i catta si stringono l' uno all' altro per riscaldarsi a vicenda. Ma se la giornata è soleggiata, allora è il momento di sedersi a gambe aperte e a braccia distese per incamerare quanto più sole è possibile. I catta afferrano vegetali e frutta con le mani e se ne scolano il sugo in bocca, tenendo la testa ben piegata all' indietro per non insudiciarsi la pelliccia. Hanno la mania della pulizia. Passano ore intere a ravviarsi e pulirsi il pelo, usando a mò di pettine l' artiglio del secondo dito delle zampe posteriori. Nel gruppo c' è sempre una netta prevalenza di maschi. Sembra che la predominanza numerica maschile faccia da stimolo alla sessualità femminile. Nel corteggiamento i due partner si leccano reciprocamente con ardore. Ad accoppiamento avvenuto, ci vogliono quattro o cinque mesi prima che nasca il bebè, in genere uno solo. E allora è festa grande, perché il piccolo, pur succhiando per cinque mesi il latte materno è un po' figlio dell' intera comunità. Tutti se lo coccolano con grandi leccate affettuose e non è raro che le madri si scambino i cuccioli. Il piccolo impara presto ad aggrapparsi alla pelliccia materna, ma a un mese di età se ne distacca, pur continuando a tornare regolarmente dalla madre per la poppata. I suoi occhi azzurri alla nascita si fanno man mano giallognoli come quelli dell ' adulto. A un anno e mezzo il catta è ormai un individuo sessualmente maturo, pronto a convolare a nozze. Si è acclimatato magnificamente in America anche il Vari (Lemur variegatus) dal mantello screziato di bianco e di nero. Anche lui ama il bagno di sole. Sembra che se la goda un mondo a farsi accarezzare dai raggi solari. Per questo suo amore per il sole era considerato animale sacro, una leggenda che in passato gli ha salvato la vita, ma non è valsa a risparmiargli il massacro indiscriminato in tempi recenti Per questo i vari sono oggi tra le specie più minacciate nel Madagascar. Sorte non migliore hanno nella patria d' origine i Sifaka del genere Propithecus, i graziosi lemuri che volano da un albero all' altro grazie a un paracadute naturale, una membrana cutanea che si estende tra braccia e tronco. Sembrava che si fossero acclimatati anche loro in terra d' America, ma fattori negativi, tra cui l' elevatissima mortalità infantile, un po' alla volta li hanno decimati. Oggi ne è rimasto uno solo, l' unico superstite della specie, in cattività in terra straniera. Isabella Lattes Coifmann


FUMATORI PENTITI La sindrome da astinenza non basta a spiegare perché si torna alla sigaretta
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, PSICOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 083. Fumo, sigarette

AI fumatori che di colpo smettono di fumare può capitare di esser colpiti da vari sintomi nervosi: maggiore irritabilità, ansia, difficoltà a concentrarsi, senso di fame e agitazione. Tale stato può perdurare per diversi giorni o addirittura settimane. E' proprio in questo periodo che l' uso del cerotto alla nicotina dovrebbe aiutare il fumatore a compiere il difficile passaggio. La nicotina assorbita attraverso la cute attutisce infatti i sintomi meno spiacevoli. Riducendo progressivamente la dose di nicotina assorbita si dovrebbe arrivare più facilmente all' astinenza totale. Questo trattamento però non sempre ha successo. In un lavoro pubblicato sulla rivista americana «Journal of Consulting and Clinical Psychology», il professor Huges, psichiatra dell' Università del Vermont, si è chiesto se una delle ragioni per cui si torna al fumo non sia proprio l' astinenza da nicotina, una questione da tempo dibattuta tra gli specialisti. Studi precedenti indicavano che quanto più severa era la sindrome da privazione, tanto più frequente era il fallimento della cura. Altri studi però contestavano questa conclusione. Il primo dato rivelato dalla nuova ricerca è che solo un 5 per cento circa di fumatori ricorre a un trattamento medico vero e proprio (cerotti o gomme da masticare alla nicotina, ipnosi, condizionamento, psicoterapia). Questo piccolo gruppo di fumatori raggiunge un buon livello di coscienza del problema e allo stesso tempo soffre di una dipendenza maggiore dal fumo. Appellandosi proprio a questo gruppo di «pentiti» ma non guariti, Huges riuscì a reclutare per mezzo della radio e della tv ben 178 fumatori, che restarono trenta giorni senza toccare il tabacco. Come gruppo di controllo e paragone, Huges si servì di 56 ex fumatori (astinenti da più di un anno) e di 67 fumatori attivi. Dei 178 fumatori, solo 78 riuscirono ad astenersi dal fumare per sei mesi, l' intera durata dello studio. I sintomi più frequenti e più pronunciati furono, come previsto, un aumento dell' appetito e del peso corporeo. Dopo un paio di settimane questi sintomi cominciarono a perdere progressivamente d' intensità e e dopo quattro settimane erano spariti quasi completamente. Alla fine dello studio, i fumatori pentiti avevano perso mediamente circa sei chilogrammi. E' interessante notare che il desiderio di fumare (dipendenza psicologica) continuò a farsi sentire in alcuni casi per tutti i sei mesi dello studio. Il dato più interessante è il fatto che non si sia constatata alcuna relazione tra l' intensità dei sintomi provati dopo l' abbandono del tabacco e l' abilità ad astenersi dal fumare. Una sola eccezione indica tuttavia che non si può stabilire una regola assoluta. In un gruppo di fumatori si svilupparono infatti dei sintomi depressivi che continuarono a crescere anche dopo la fine della ricerca. Questo gruppo dimostrò pure una tendenza maggiore a una ricaduta rispetto agli individui che presentavano costanza di sintomi o addirittura una loro scomparsa. Lo studio suggerisce che il vero colpevole del fallimento di una terapia anti fumo non sia la sola sindrome da astinenza, perché la relazione fumo fumatore è assai complessa. Non sappiamo infatti rispondere a una domanda di fondo: perché qualcuno smette di fumare più facilmente di altri? Gettar luce su questo aspetto aiuterebbe ovviamente a formulare una terapia più efficace. Ezio Giacobini Università del Sud Illinois


LABORATORIO Quant' è difficile fare ricerca in Italia Scarsi gli investimenti, inesistente la selezione
Autore: MARCHISIO PIERCARLO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, FINANZIAMENTO, STATO, UNIVERSITA', INDUSTRIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T
NOTE: 083

IN questi tempi di gravi problemi per le finanze dello Stato si parla troppo poco di ricerca scientifica e di investimenti a breve e a lungo termine. In particolare, l' Italia, a causa della congenita debolezza dell' economia pubblica e per le sue tradizioni scientifiche ancora fragili rispetto ad altri Paesi europei, investe nella ricerca biomedica frazioni irrisorie delle finanze statali. La carenza di investimenti pubblici nella ricerca biomedica, certamente molto inferiori a quelli di Francia, Gran Bretagna e Germania, provoca una serie di difficili problemi. Innanzitutto, l' asfissia della ricerca universitaria, che dovrebbe essere la sede istituzionale del progresso scientifico. E' difficile reclutare alla vita scientifica i giovani più validi perché a essi l' Università ha poco da offrire in termini di carriera e di finanziamenti. Questo è un male sottile ma non ancora malattia comatosa perché qualche giovane ricercatore valido e motivato ancora si trova; certo è che molti giovani scienziati, troppi, vanno a cercare fortuna altrove. Se si considera soltanto lo scambio di giovani ricercatori nell' ambito dei programmi scientifici della comunità europea si scopre che è molto grande il flusso di giovani ricercatori italiani verso i Paesi vicini e minuscolo quello da questi verso l' Italia. Perché ? La prima ragione è certamente lo stato di depressione della ricerca biomedica italiana. Non che tutto sia da buttar via, ché sarei autolesionista. Una dozzina di centri di ricerca eccellenti o quantomeno a livello europeo esistono anche in Italia, ma sono isolati in un ambiente generalmente mediocre. I ricercatori italiani bravi sono bravi almeno come i loro colleghi tedeschi o francesi: la differenza sta nel livello medio di quelli meno bravi. In Francia o in Germania non esiste la palude deprimente di ricercatori che non ricercano e di insegnanti culturalmente modesti selezionati a far ciò dal sistema radicalmente sbagliato che vige in Italia. La seconda ragione è il modo in cui sono stati erogati finora i finanziamenti pubblici per la ricerca biomedica. Di nuovo si tiene in poco conto la produttività scientifica. Lo stesso meccanismo perverso che porta ad alimentare la palude di mediocri ricercatori porta a essi fondi di ricerca che sono ovviamente sprecati. Già ora ricercatori bravi vengono finanziati un poco di più dei mediocri, ma lo sarebbero a livelli decenti se molto denaro distribuito a pioggia senza alcun criterio di merito venisse convogliato sui laboratori che producono conoscenza. Questa è più o meno la situazione dei fondi pubblici destinati alla ricerca biomedica. Ma veniamo alla terza ragione che spiega la depressione dei nostri laboratori. In Italia, a differenza di altri Paesi europei, non esiste quasi finanziamento privato. Poche e povere sono le fonti di denaro di fondazioni di ricerca create su lasciti e donazioni. Modesto è anche il contributo dell' industria farmaceutica e biotecnologica al finanziamento della ricerca di base, mentre i nostri colleghi europei contano moltissimo su investimenti industriali. Nullo in pratica il mecenatismo che, negli Stati Uniti e altrove, convoglia verso la ricerca biomedica parte dei profitti industriali. Quali i rimedi? Dobbiamo cambiare mentalità, cambiare il sistema di reclutamento dei docenti universitari e dei ricercatori degli enti pubblici in maniera rapida e radicale. Il primo provvedimento è andar contro la mentalità vigente e abolire la stabilità del posto. Il giovane ricercatore deve sapere che la sua posizione non è un vitalizio e che la carriera dipende solo dalla qualità della sua ricerca e dall' acquisizione di un alto livello culturale. Solo così si riuscirà a salvare università e ricerca e, anche partendo subito, ci vorranno due generazioni per aver risultati. Meritocrazia selvaggia, quindi, ma anche certezza di carriera per quelli che dimostreranno di saperci fare. Esattamente come accade nel resto d' Europa, dove le carriere accademiche sono periodicamente vagliate sulla base della produttività scientifica. Se passa questa rivoluzione culturale, si risolve anche il punto numero due. Finanziamenti non più distribuiti in base a immeritati e inamovibili galloni ma erogati solo ai gruppi di ricercatori che dimostrino di produrre conoscenza scientifica degna di essere apprezzata e citata dalla comunità scientifica internazionale. Solo così saremo in grado di recuperare gli sprechi di denaro ora gettato al vento e di alimentare ricerca degna di questo nome senza nemmeno dover aumentare in maniera significativa gli attuali stanziamenti di denaro pubblico. Come corollario di questa riforma per ora utopica si verrebbe forse a risolvere anche la crisi di impegno degli investimenti privati. La logica del profitto si farebbe strada e l' industria, che ora ha poca o nulla fiducia del nostro assetto culturale e scientifico, forse sosterrebbe scienza di base e scienza applicata. Scoperta di nuovi farmaci e brevetti di nuove tecnologie ridarebbero respiro a un nuovo patto di collaborazione tra ricerca di base e mondo della produzione. Infine, ne deriverebbe un miglioramento di immagine che farebbe della ricerca oggetto di mecenatismo pubblicitariamente più produttivo di uno spot o di un' auto coperta di adesivi. Fin qui ho parlato della ricerca biomedica, che conosco meglio. Non mi sembra che tutto vada così male in Italia. Nella fisica, per quel poco che so, le cose sono organizzate meglio e i fisici italiani godono all' estero di ottima fama, tanto che sono numerosi nelle organizzazioni di ricerca europee e internazionali. Ci vorrebbe poco perché si rinforzasse nella gente l' idea che anche biologia e medicina producono buoni cervelli. Basta saperli scegliere con oculatezza e rigore e favorire il loro lavoro. Alle soglie del 2000 il nostro Paese non può permettersi di disperdere ingegni e di diventare dipendente da altri per la sfida biotecnologica che i fisici lungimiranti dicono essere simile a quella che ha portato al controllo dell' energia nucleare. Debellare cancro, malattie cardiovascolari, Aids, malaria, diabete, morbi tropicali e la fame stessa dipende da ricercatori che devono potersi aggregare in strutture distinte dalla massa di chi occupa sterili posizioni nella burocrazia della ricerca. Piercarlo Marchisio Università di Torino


BIOTECNOLOGIE Vaccino anticolera Nuovi test
Autore: MORETTI MARCO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 083

IL miglior rimedio contro il colera (Vibrio cholerae) era stato individuato, già nel secolo scorso, in adeguati impianti idrici, capaci di fornire acqua potabile e di scaricare i rifiuti organici lontano dai centri abitati. Soluzioni apparentemente semplici, che diventano però problemi insormontabili nelle traballanti economie del Terzo Mondo dove l' igiene è spesso sinonimo di lusso. Così il colera continua a uccidere. Ha causato migliaia di morti negli ultimi anni in America Latina e continua a essere un problema nell' Africa Nera e in molti Paesi dell' Asia Meridionale. Il vaccino impiegato da decenni contro il colera offre una debole protezione che svanisce in pochi mesi (l' efficacia dura ufficialmente sei mesi secondo il regolamento delle vaccinazioni internazionali): è quindi utile a chi visita le aree infette, ma insufficiente per evitare la malattia alle popolazioni locali. Un nuovo vaccino è stato ora messo a punto all' Università di Maryland a Baltimora. Il vecchio vaccino era ricavato da batteri morti, e questo ne limitava l' efficacia. I vaccini infatti funzionano stimolando il sistema immunitario attraverso il contatto con una micro dose infetta: in caso di contagio, il corpo saprà riconoscere i batteri e reagire. Sfortunatamente la proteina di superficie del Vibrio, quella che il sistema immunitario impara a riconoscere e respingere, muta quando un batterio vivo s' introduce nell' intestino. I ricercatori di Baltimora hanno così deciso di usare germi vivi, un esperimento considerato pericoloso prima dell' avvento delle biotecnologie. L' innocuità del vaccino è stata accertata con esperimenti su 3 mila persone in sette diversi Paesi. La sua reale efficacia sarà provata nel 1993 in una regione dell' Indonesia flagellata dal colera. I risultati si conosceranno a fine anno: se saranno positivi, il nuovo vaccino verrà prodotto immediatamente e nel 1995 sarà disponibile ovunque a basso costo. Marco Moretti


COME FUNZIONA LO SFIGMOMANOMETRO Hai la pressione alta? Misurare il flusso del sangue nelle arterie
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D
NOTE: 084

L A pressione idrostatica esercitata dal sangue sulle pareti arteriose è la forza che spinge il sangue dal cuore (la pompa) ai tessuti periferici. Questa pressione arteriosa (PA) è determinata da tre fattori: la contrazione cardiaca (la pompa), il letto vascolare (la resistenza) e il volume del sangue circolante (volemia). Quando il muscolo cardiaco (il miocardio) perde colpi e il volume del sangue diminuisce, la pressione scende (ipotensione) Quando invece il volume del sangue e la resistenza aumentano, la pressione sale (ipertensione). La PA si misura in millimetri di mercurio (mmHg), con un apparecchio detto sfigmomanometro. Un manicotto viene avvolto attorno al braccio e gonfiato finché il polso periferico scompare, cioè non si avverte più il battito cardiaco. La ricomparsa del polso, che si percepisce con un fonendoscopio posto sull' arteria brachiale, alla piega del gomito, dà la pressione massima. La successiva scomparsa del polso dà invece la pressione minima. E' difficile stabilire quali siano i valori normali di PA, perché ogni individuo ha un suo equilibrio. In genere però si ritiene che, per la massima, non si debba andare oltre i 150 mmHg nè scendere al di sotto dei 100. Quanto alla pressione minima, non dovrebbe salire oltre i 90 mmHg.


LE DATE DELLA SCIENZA Così fu chiarito il meccanismo dell' insidioso choc anafilattico
Autore: GABICI FRANCO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
PERSONE: RICHET CHARLES
NOMI: RICHET CHARLES
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 084

NOVANT' ANNI fa il fisiologo francese Charles Richet scopriva l' anafilassi. Il fenomeno fu osservato la prima volta durante alcuni esperimenti per immunizzare i cani da certi agenti «urticanti». Mentre una prima somministrazione di tossine non provocava nessuna reazione, una seconda, anche a dosi molto ridotte, induceva invece una serie di disturbi che in alcuni casi poteva condurre anche alla morte. Il meccanismo della anafilassi può essere schematizzato in questo modo: dopo la prima somministrazione non si osservano reazioni perché l' organismo non ha difese. Nel frattempo, però, alcune cellule dell' organismo imparano a riconoscere gli «aggressori» e pertanto, dopo la seconda, vengono prodotti anticorpi in gran quantità. Ciò determina la liberazione nel sangue di particolari sostanze (serotonina, istamina, bradichina) che turbano l' equilibrio fisiologico, fino a provocare lo shock anafilattico. Curiosità: all' inizio, l' anafilassi venne interpretata in maniera sbagliata. Si pensò, infatti, che la prima iniezione annullasse le difese dell' organismo e che le reazioni dopo la seconda fossero una conseguenza dell' assenza di difese. Il nome stesso dato al fenomeno richiama l' errore di interpretazione. Richet, infatti, ritenne che il fenomeno fosse l' opposto della «reazione immunitaria» e per questo lo chiamò anafilassi, dal greco ana (contro) e phylaxis (difesa). Franco Gabici


TROPPE INCOMPRENSIONI Professione psicologo un difficile identikit
Autore: BLANDINO GIORGIO

ARGOMENTI: PSICOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 084

SI parla tanto di psicologia, del gran numero di studenti che affollano i corsi di laurea e del moltiplicarsi di coloro che ricorrono all' aiuto psicoterapeutico: eppure sembra che nell' opinione pubblica, come nei media, le idee non siano chiare. Così si sentono, spesso, affermazioni non solo riduttive, errate o disinformate sulla psicologia, le sue tecniche e i suoi settori di intervento, ma anche veri e propri attacchi che vengono dalle fonti più disparate: ambienti professionali contigui che temono di perdere «quote di mercato»; replicanti di Sgarbi che in Tv sparano affermazioni tanto aggressive quanto ridicole nei confronti di questa scienza; personaggi che si sentono in dovere di dire la loro senza la minima conoscenza di causa; opinion makers che confondono disinvoltamente psicologo, psichiatra, sessuologo e psicoanalista in una grande psicoinsalata. Per conto loro gli psicologi non sempre fanno il possibile per combattere certi pregiudizi, ma spesso li incrementano con discutibili comportamenti: tra di loro infatti non c' è molta identità di vedute, ma posizioni conflittuali seguite talvolta da reciproci e pubblici attestati di disistima che creano incertezza anche nel pubblico più disponibile. Ultimamente poi, ha preso piede un nuovo tipo di psicologia: la psicologia spettacolo. La si può osservare in certe uscite pubbliche, scientificamente discutibili, che hanno come unica motivazione quella di farsi pubblicità a buon mercato a spese di qualche evento di cronaca, senza nessuna preoccupazione critica nè per il danno che affermazioni avventate o ricerche fatue infliggono all' intera categoria. La psicologia spettacolo si incontra anche in certe trasmissioni televisive che, volendo parlare della sofferenza mentale, in realtà servono soprattutto, attraverso il comportamento dei loro conduttori, a mostrarci cos' è e come funziona il narcisismo. Per questi e altri motivi la psicologia non sempre ne esce con una «immagine» brillante. Tutto questo però non significa che la professione di psicologo sia una professione «impossibile», per mutuare un' attribuzione che Freud dava al compito dello psicoanalista (che con lo psicologo è, per ovvi motivi, imparentato), o addirittura che non esista, come ancora recentemente ha sostenuto qualche illustre accademico, ma che siamo di fronte a una professione e a una scienza che, per poter essere definita, compresa e correttamente utilizzata, ha bisogno di una serie di chiarimenti e distinzioni iniziali per evitare di incrementare la confusione che la attraversa sia nella autopercezione di identità, sia nella percezione del pubblico. Il quale tende a ridurre (spesso in compagnia degli studenti e di non pochi tra gli psicologi) la psicologia alla psicoterapia e la psicoterapia alla psicoanalisi, che ne è una ulteriore specializzazione: lo psicologo diventa così quello che interpreta i sogni, e l' immaginario collettivo lo vede col lettino incorporato. Nella realtà, invece, la figura dello psicologo può essere diversissima a seconda del campo in cui opera ma, soprattutto, in relazione all' orientamento teorico e metodologico che segue. Questa situazione nasce perché all' interno della psicologia ci sono molteplici e diversissimi punti di vista per cui parlare di «psicologia», e di «psicologo», è generico mentre sarebbe più opportuno parlare di «psicologie» e di «psicologi», cioè definire sempre di quale psicologia si tratta. Ciò che definisce il lavoro dello psicologo non dipende tanto dal fatto che si occupa di psicologia, nelle sue varie branche, quanto dall' orientamento teorico cui fa riferimento nell' occuparsene. Per esempio uno psicologo sperimentalista che lavora nel suo laboratorio a studiare la percezione non ha molto a che fare allo stato attuale della ricerca con uno psicologo dinamico che opera, poniamo, in un servizio di neuropsichiatria infantile a contatto con bambini psicotici. C' è affinità professionale tra uno psicoterapeuta della famiglia, uno psicologo del lavoro e uno psicologo scolastico se tutti e tre condividono un analogo orientamento concettuale e metodologico, ad esempio di tipo sistemico. Se invece prendiamo tre psicoterapeuti degli adulti che usano tre modelli teorici diversi, ad esempio cognitivo, psicoanalitico, o della «programmazione neurolinguistica», allora vediamo che, pur operando nello stesso settore, hanno poco in comune e quando si incontrano quasi non si intendono. Questo non significa che non possano esserci importanti punti di convergenza tra le varie teorie, ma che, prima di arrivarci, occorre individuare le differenze. Teoriche, metodologiche e anche bisogna pure avere il coraggio di dirlo di serietà professionale la quale è difficile da definire in questo campo, ma almeno un indicatore sicuro ce l' ha: non segue le mode o le banalità salottiere ma le vie della ricerca. Perciò non bisognerebbe parlare genericamente di psicologia mentre nell' interazione professionale tra psicologi e utenza ciò che va dichiarato è l' opzione metodologica di partenza. Anzi potremmo dire che ogni psicologo dovrebbe far seguire al titolo professionale la specificazione dell' orientamento seguito. Giorgio Blandino Università di Torino


STRIZZACERVELLO Tangentopoli insegna
Autore: PETROZZI ALAN

ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 084

Per molti anni dopo il ciclone «mani pulite» che spazzò l' intero Stivale, un' eccessiva prudenza nell' assegnare gli appalti per lavori pubblici creò grandi problemi. Esemplare è ciò che accadde a un Comitato Interregionale composto da 16 persone, 4 per ciascuna delle 4 Regioni interessate. Nel formare una commissione interna di 6 membri delegata all' esame delle varie offerte, si decise che essa dovesse comprendere almeno un rappresentante di ogni Regione e che nessuna Regione potesse avere più di due rappresentanti. Uno dei membri del Comitato propose di analizzare una per una le possibili Commissioni che si potevano formare. Impiegando mezz' ora per ogni esame e lavorando per 8 ore al giorno, quanto tempo impiegò il Comitato a ultimare i lavori? La risposta domani, accanto alle previsioni del tempo. (A cura di Alan Petrozzi)


LA PAROLA AI LETTORI Se l' orecchio fischia, ascolta un bel disco
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 084

UN pittore ha mandato alcune osservazioni interessanti sui camici verdi in sala operatoria. Eccole: Non sono assolutamente d' accordo con la lettrice di Savigliano che afferma che il sangue a contatto con il verde perde il suo caratteristico colore rosso. Esperimenti sul rosso sovrapposto a campo verde dimostrano il contrario. Si tratta infatti di colori complementari: il rosso assume maggior vigore. Il motivo dei teli verdi operatori è un altro. La lunga concentrazione dello sguardo sul sangue porta a una «immagine residua» se le ferite sono circondate da teli bianchi. Anche le operaie addette alla fabbricazione dei rossetti da labbra avevano questo problema, accompagnato da nausee e capogiri. L' immagine residua è stata bloccata dipingendo di verde i macchinari e le pareti delle fabbriche. Sulla psicologia del colore verde, poi, i pareri sono discordi. In genere non è un colore amato da noi artisti. Piero Philippi, Torino Perché a volte l' orecchio percepisce un breve fischio? Alcune persone sono particolarmente sensibili a quel rumore che si definisce «ronzio auricolare» e che, in casi gravi, può portare alla pazzia. La causa è un disturbo del nervo acustico. Può essere associata ad altre manifestazioni morbose come la sordità e la perdita di equilibrio. Sfortunatamente non vi è molto da fare perché la cura del nervo per eliminare il ronzio comporterebbe anche la perdita dell' udito. Alcune persone possono trovare distrazione, e quindi sollievo, nell' ascolto di dischi, radio e televisione. Agnese Suno, Novara Che cosa c' è nella formula chimica dei detersivi concentrati? E perché ne basta poco? Nei detersivi liquidi per bucato a mano viene ridotta l' acqua, in quelli in polvere si toglie una parte del materiale inerte (solfato e silicato di sodio). Per ottenere questo scopo, si modifica l' insieme dei tensioattivi, che vengono quasi raddoppiati Infine si aggiungono amminossidi e alcoli solfati, che consentono una resa maggiore. Maurizio Barolo, Torino Insetti, rettili e uccelli talvolta sono verdi. Perché i mammiferi no? In realtà, ci sarebbero due mammiferi verdi: il colepo e il bradipo. Il loro verde non è però autentico, in quanto prodotto da un' alga verde blu (la cyanophyta) che si annida tra i peli della loro pelliccia e dà quella particolare colorazione. Finora nessuno ha trovato una spiegazione adattativa per questa assenza di mammiferi verdi. Al massimo, si è ipotizzato un ostacolo fisiologico a questo tipo di pigmentazione. Annarita Lotti, Genova Il verde dei rettili e degli uccelli è un miscuglio di giallo e di blu: il giallo è un pigmento, il blu un effetto di rifrazione che compare negli occhi, le squame, le piume e la pelle ma non nel pelo. Il verde è il colore della mimetizzazione, e dunque serve proprio nel pelo. Quello dei mammiferi però non ha l' uniformità e la trasparenza necessarie perché avvenga la rifrazione del blu. Pietro Rossetti, Alba (Cn) E' proprio vero che gli uomini preferiscono le bionde? Un tempo questo era certamente vero: le bionde di carnagione chiara erano preferite alle more, soprattutto nelle regioni nordiche con lunghi periodi di scarsa illuminazione, perché la loro pelle assorbiva una quantità maggiore di raggi ultravioletti, che sono alla base di una corretta formazione ossea. Erano quindi più adatte ad avere figli rispetto alle brune di carnagione scura, che spesso andavano incontro a quella deformazione dello scheletro nota come «rachitismo» . Questo, oltre a farle apparire assai poco attraenti, con gambe storte e difetti alla dentatura, determinava una grave alterazione del bacino che le rendeva inadatte alla gravidanza. Oggi, grazie a una corretta alimentazione, all' assunzione di vitamine e alla possibilità di esporsi al sole con viaggi e lampade, il problema è stato superato. Ciò nonostante in alcuni uomini è rimasta questa inconscia preferenza come ricordo del comportamento dei loro progenitori. 2 A, ITC Ferrini Verbania Pallanza (No)




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