TUTTOSCIENZE 21 ottobre 92


IL SATELLITE LAGEOS La sentinella dei terremoti Tutto italiano, parte domani con lo shuttle
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TERREMOTI, TECNOLOGIA
NOMI: BALTUCK MIRIAM
ORGANIZZAZIONI: NASA, ASI, LAGEOS 2
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 065

SI riuscirà mai a prevedere i terremoti? E' certo, ad ogni modo, che quando entrerà in funzione il satellite Lageos 2, crescerà enormemente la possibilità di sorvegliare gli spostamenti della crosta terrestre di cui i terremoti sono la manifestazione più dirompente. Lageos 2, satellite interamente «made in Italy» progettato nell' ambito di un programma concordato tra la Nasa e l' Asi, l' agenzia spaziale italiana, sarà portato nello spazio (salvo imprevisti) giovedì 22 ottobre dallo shuttle «Columbia». Il lancio era stato a lungo rinviato dopo l' esplosione in volo della navetta «Challenger» ed era stato poi ancora brevemente spostato il 24 settembre e il 15 ottobre. Nel giro di pochi mesi sarà la seconda volta, dopo il «Tethered», che un satellite italiano sale alla ribalta internazionale. Lageos 2, costruito da un gruppo di imprese italiane di cui Alenia Spazio era la capocommessa, è simile a Lageos 1 lanciato dall' ente spaziale americano nel 1976. Una sfera di alluminio con un cuore di ottone di 60 centimetri di diametro e 410 chilogrammi di peso, sulla cui superficie sono incastonati 426 prismi cubici riflettenti (422 di silice fusa e quattro di germanio questi ultimi non saranno impiegati subito ma sono stati predisposti per l' impiego dei laser del futuro). Non vi sono apparecchiature a bordo poiché si tratta di un satellite passivo, nè vi saranno sistemi di propulsione; una volta collocato nella sua orbita a 5900 chilometri dalla Terra la sua vita operativa sarà praticamente senza limiti. Come funzionerà Lageos 2? una serie di stazioni a terra, situate in varie parti del globo, indirizzeranno un raggio laser verso il satellite; il raggio sarà riflesso da uno dei prismi verso la stazione di partenza. Ogni spostamento superiore a 2 centimetri l' anno del terreno su cui è situata la stazione di partenza potrà essere rilevato misurando gli angoli di azimuth e di elevazione calcolando con estrema precisione il tempo che il raggio avrà impiegato per compiere il suo tragitto Terra satellite Terra. I prismi riflettenti appaiono all' esterno con una superficie circolare del diametro di 3, 8 centimetri mentre sul retro sono sfaccettati in modo da formare un angolo retto con la superficie. Con l' arrivo in orbita di Lageos 2 il programma di geodesia spaziale iniziato sei anni fa con il lancio del suo predecessore raddoppierà il suo grado di precisione (e un terzo satellite la accrescerebbe ulteriormente). Inoltre l' orbita del nuovo satellite consentirà di migliorare in particolare la copertura dell' area del Mediterraneo, una delle più sensibili ai movimenti tettonici, come mostra anche il recente terremoto che ha colpito il basso Egitto. A terra vi saranno 10 stazioni permamenti, tra le quali quella di Matera del Cnr, oltre a circa 16 mobili. La possibilità di misurare spostamenti anche minimi della crosta terrestre consentirà, se non di prevedere quando una scossa tellurica avverrà, di sapere quanto meno che se ne stanno creando le condizioni, e ciò sarà di grande importanza per una tempestiva azione di prevenzione. Per questo avrà grande importanza la fase della raccolta, gestione e diffusione dei dati. Questi saranno raccolti nel «Crustal dynamics data information system» (Cddis), un archivio basato su un computer situato al Goddard space flight center, negli Usa, e saranno accessibili da tutti i Paesi del mondo 24 ore su 24 attraverso una serie di canali informatici; in ogni caso Nasa e Asi li distribuiranno a chi ne farà richiesta. Il lavoro sarà coordinato da un team di 27 ricercatori, selezionato fin dal 1988 insieme da Nasa e Asi, che rappresenta Italia, Usa, Germania, Francia, Olanda e Ungheria. Secondo quanto ha spiegato recentemente Miriam Baltuck, responsabile del programma per conto della Nasa, oltre allo studio dei movimenti della crosta terrestre e al monitoraggio delle regioni sismicamente più attive del pianeta, dal Mediterraneo alla California, alla Cina centrale, Lageos 2 sarà utilizzato per misurare la velocità di rotazione della Terra e per capire meglio il caratteristico «ondeggiamento» del suo asse di rotazione come risultato dei due moti detti di precessione e di nutazione; altro oggetto di studio sarà la forma stessa della Terra, figura irregolare (per la quale si usa il termine geoide) simile a un globo schiacciato ai poli e, come hanno mostrato satelliti precedenti, con un rigonfiamento nell' emisfero settentrionale. Tutto ciò dovrebbe portare, infine, ad una più precisa determinazione della durata del giorno e della notte. Il programma Lageos precede a sua volta un altro programma, denominato Earth observation system (Eos) che ne capovolgerà i termini ma sfrutterà gli stessi elementi: la fonte laser sarà posta nello spazio mentre le stazioni riflettenti saranno situate al suolo. Vittorio Ravizza


IL LANCIO Come una pallina da golf E per mandarlo in orbita un trampolino chiamato Iris
Autore: RIOLFO GIANCARLO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TERREMOTI, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: NASA, ASI, LAGEOS 2
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D
NOTE: 065

LAGEOS 2 partirà dal Kennedy Space Center a bordo dello Shuttle Columbia, che lo depositerà nello spazio a trecento chilometri d' altezza. La spinta per raggiungere l' orbita operativa, a una distanza dalla Terra venti volte superiore, sarà impressa al satellite (una sfera del diametro di 60 centimetri, che pesa 410 chili e ha l' aspetto di una pallina da golf) da un modulo di propulsione made in Italy: lo stadio Iris, impiegato per la prima volta. Nato come programma dell' Asi, Iris (Italian Research Interim Stage) è concepito per trasferire verso orbite superiori carichi fino a novecento chili trasportati nella stiva dello Space Shuttle. La navetta americana, infatti, raggiunge le orbite «basse» situate cioè tra i 200 e i 500 chilometri da Terra. Per lanciare un satellite artificiale in un' orbita più lontana (per esempio quella geostazionaria, che si trova a 36 mila chilometri) si deve ricorrere a uno «stadio superiore», cioè a un motore a razzo che lo acceleri, allontanandolo dal nostro pianeta. In pratica, il lancio si svolge in due tempi. Dapprima il satellite, a bordo della navetta, raggiunge l' orbita bassa. Poi, con la spinta dello stadio superiore, viene sospinto verso quella operativa, che nel caso di Lageos è situata a 5900 chilometri dalla Terra. Lo stadio Iris, concepito per collocare piccoli satelliti in orbita di trasferimento geostazionaria, si pone come alternativa meno costosa ai sistemi di propulsione finora impiegati dalla Nasa, che sono progettati per carichi di massa superiore. Iris è stato realizzato da un gruppo di aziende italiane, guidate da Alenia e dalla Divisione Spazio della Bpd, responsabile dello stadio di propulsione. Questo impiega un motore a razzo a combustibile solido che, grazie al ricorso a materiali compositi avanzati, pesa appena 1500 chili. Oltre allo stadio vero e proprio (Iris Spinning Stage), il sistema di lancio comprende l' equipaggiamento di supporto (Airborne Support Equipment), collocato nella stiva dello Shuttle e riutilizzabile. Si tratta di un alloggiamento a temperatura controllata formato da pannelli ripiegabili e munito di uno speciale sostegno, che imprime al veicolo spaziale un movimento di rotazione (serve per assicurare la stabilità giroscopica). Sullo Shuttle in orbita attorno alla Terra la sequenza di lancio inizia mezz' ora prima del momento previsto per il rilascio del carico. A meno venti minuti, si aprono i pannelli della struttura di supporto e la piattaforma inizia a ruotare. Dopo gli ultimi controlli, al termine del conto alla rovescia, il modulo Iris con il carico utile viene espulso e proiettato nello spazio da quattro potenti molle. Tre quarti d' ora dopo questa spinta iniziale, ormai lontano cinquanta chilometri, lo stadio accende il motore a propellente solido, che funzionerà per 76 secondi, inserendo il veicolo spaziale nell' orbita di trasferimento. La separazione del satellite dal modulo Iris avverrà due minuti dopo l' esaurimento del combustibile. Il Lageos 2 sarà il primo carico a utilizzare questa sorta di ascensore spaziale italiano. Raggiunta l' altezza di 5900 chilometri, il satellite riceverà dal motore d' apogeo (è il Mage della Bpd) l' ultima spinta necessaria per entrare nell' orbita operativa e sarà così pronto a riflettere, con i suoi 426 prismi, i raggi laser inviati da Terra. Giancarlo Riolfo


ESPERIMENTO RUSSO Lampada spaziale per illuminare la Siberia Lancio il 28 ottobre, sarà «accesa» a metà novembre dalla Mir
Autore: SQUILLANTE FABIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, RICERCA SCIENTIFICA, ENERGIA
NOMI: GROMOV SERGHEJ
ORGANIZZAZIONI: PROGRESS, MIR
LUOGHI: ESTERO, KAZAKHSTAN, BAJKONUR
NOTE: 065. Illuminazione, solare, sole, riflessi, luce

GLI abitanti delle città dell' estremo Nord siberiano, afflitti da una notte lunga sei mesi, potrebbero in un futuro non lontano godere di una «normale» alternanza di buio e luce diurna anche nei mesi invernali. Il 28 ottobre infatti, dal cosmodromo di Bajkonur, nella repubblica asiatica del Kazakhstan, partirà una delle navi cargo Progress che ogni mese portano rifornimenti alla stazione Mir, con a bordo però una grossa novità: un enorme «ombrello» destinato a riflettere i raggi solari, illuminando una zona non piccolissima della Terra. Della possibilità di utilizzare specchi per deviare i raggi del Sole ed illuminare così i tristi giorni dell' inverno polare, gli scienziati parlano da tempo. Ma come dice Serghej Gromov, portavoce del «complesso scientifico produttivo» Energhija, «questa è la prima volta che qualcosa del genere viene concretamente sperimentato». L' «ombrello», costruito appunto dalla Energhija, sarà avvolto attorno al fuso della nave spaziale, e le sue «stecche» , lunghe 20 metri, saranno collegate ad una pellicola plastica dello spessore di 5 micrometri, rivestita da alluminio riflettente. «Siamo ancora al livello di sperimentazione dice Gromov ma abbiamo motivi per essere ottimisti». Se lo «specchio spaziale» si rivelerà efficace, i suoi futuri derivati potrebbero non solo illuminare le città della Russia settentrionale, ma anche, ad esempio, le zone colpite da disastri naturali e non, in modo da facilitare le operazioni di soccorso nelle ore notturne. Con una simile attrezzatura a «portata di mano» le squadre di soccorso accorse sul luogo del recente disastro aereo in Olanda, avrebbero avuto assai meno difficoltà a recuperare i corpi delle vittime, e salvare i superstiti. E' una prospettiva ancora di là da venire, ma se l' esperimento funzionasse, vista l' esistenza di una stazione orbitante permanentemente abitata (la Mir ), ed i voli di collegamento che regolarmente la raggiungono, i russi potrebbero ben commercializzare i propri servizi. Il cargo spaziale Progress resterà agganciato alla stazione orbitante Mir per una decina di giorni, quanto basta per espletare le operazioni di carico e scarico. Due settimane dopo la sua partenza dalla Terra però, la nave si staccherà dalla stazione, iniziando l' esperimento con la Znamja (bandiera: così è stato battezzato l' «ombrello» ). Dodici minuti dopo essersi staccata dalla Mir, alla distanza di 160 metri dalla stazione, la nave inizierà a roteare su se stessa ad una velocità di 570 gradi al secondo. La forza centrifuga prodotta dalla rotazione farà così aprire l' «ombrello». Qualche minuto dopo, a una distanza di 320 metri dalla stazione, la nave rallenterà la rotazione fino ad una velocità di 84 gradi al secondo, quanto basta a tenere l' «ombrello» aperto in posizione stabile. Se tutto andrà bene, resterà però un problema, capace di mettere in dubbio la realizzazione dell' idea: neanche i tecnici della Energhija sanno quanto è venuto a costare l' «ombrello» spaziale. «A causa delle continue fluttuazioni del rublo, non siamo purtroppo riusciti a calcolare i costi». L' economia russa, con le sue brusche oscillazioni, si dimostra così assai più imprevedibile delle rigide leggi della meccanica. Fabio Squillante


LINGUAGGI ALTERNATIVI Macchine per comunicare E il Bliss aiuta chi non può parlare
Autore: GIORCELLI ROSALBA

ARGOMENTI: INFORMATICA, DIDATTICA, COMUNICAZIONI, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: AICA, BLISS
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D
NOTE: 066. Computer

lIL linguaggio che si impara da bambini è naturale perché utilizza strumenti come la voce, e anche le mani quando «parlano». Quando per malattie o traumi è impossibile acquisire il linguaggio naturale o se ne perde la facoltà, ma sono salvi l' intelligenza e la volontà di esprimersi, è possibile usare linguaggi alternativi artificiali, che si servono di mezzi diversi e hanno analogie con la comunicazione uomo macchina. Le possibilità che si stanno aprendo in questo campo sono state valutate in un convegno a Milano organizzato dall' Associazione Incremento Comunicazione Alternativa (Aica). Gli ideogrammi cinesi hanno ispirato il linguaggio «Bliss » che si va diffondendo tra i disabili motori con distrurbi della parola proprio grazie all' Aica. I suoi simboli sono ideogrammi moderni: il vulcano, una «v» capovolta, simboleggia l' azione; un cuore trafitto sormontato da un «vulcano» non può che essere il verbo «amare». Si tratta di un potente strumento per il recupero delle capacità comunicative, ma per ora la sua candidatura a linguaggio grafico universale è ostacolata dalla difficoltà di tradurre termini scientifici in simboli semplici. E' perciò notevole il lavoro di due laureandi in ingegneria del Politecnico di Milano, che sono riusciti a programmare un complesso robot saldatore usando i simboli Bliss. Dapprima utilizzabile solo con l' aiuto di un educatore, ora la tabella Bliss è trasferibile su un pc grafico il che consente ai disabili di comunicare autonomamente in maniera scritta e persino verbale grazie a un sintetizzatore di voce. Nonostante i benefici che derivano ai suoi utenti (miglioramento della motivazione all' impegno, dell' attenzione, della memorizzazione, del rendimento) il computer è spesso guardato con sospetto, quasi fosse un manipolatore di pensieri. Eppure, a differenza del televisore, il computer è uno strumento «interattivo» , con cui è possibile dialogare. Del dialogo il professor Roger Schank della North Western University, studioso di intelligenza artificiale, ha una visione quasi cinica: chi ascolta non farebbe altro che pensare a una risposta, con la fortissima tentazione di interrompere l' interlocutore. Ognuno di noi si costruirebbe un repertorio di storie e di risposte per qualunque domanda: talvolta scegliamo una risposta poco pertinente, che però tra quelle memorizzate è la più adatta a toglierci d' impaccio. Procediamo cioè per confronti con le precedenti esperienze: più conosciamo, meglio rispondiamo. E' questa la direzione di ricerca sui «sistemi esperti», programmi di organizzazione della conoscenza e di aiuto alla decisione che dovrebbero servire a scegliere rapidamente tra un' enorme quantità di informazioni immagazzinate. Per rispondere a ogni domanda il libro si trasformerà in un «collage» di storie indipendenti; sono pronti i «libri multimediali» composti da testo, suono, immagine fissa e in movimento, da leggere sul videoterminale. Intanto il computer sta superando se stesso: speciali sensori, caschi e guanti danno l' impressione di entrare nel video, camminando in un giardino o pilotando un aereo, in una realtà finta che sembra vera: la «realtà virtuale». Un futuro affascinante e spaventoso insieme, proprio per la passività di cui malgrado tutto c' è il rischio: il rischio di innamorarsi di una realtà artificiale, di un uomo o di una donna che non esistono; di perdere interesse per le realtà vere. E allora? Per capire come andrà a finire ci vorrebbe un sistema molto, molto esperto. Rosalba Giorcelli


FISICA Nell' atomo i segreti della materia Le applicazioni dei nuovi materiali magnetici
Autore: BERTOTTI GIORGIO

ARGOMENTI: FISICA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: FEYNMAN RICHARD
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 066

RICHARD Feynman, premio Nobel per la fisica scomparso qualche anno fa, all' inizio della sua raccolta di lezioni universitarie tenute negli Anni 60 e nota come la «Fisica di Feynman», afferma che se l ' intera conoscenza scientifica stesse per andare distrutta e si dovesse salvare un' unica nozione contenente in una frase quanta maggior informazione possibile, questa sarebbe sicuramente l' ipotesi atomica, ossia il fatto che la materia è composta di atomi di pochi elementi fondamentali in continuo moto e in reciproca interazione. E' un fatto che la descrizione atomica è così profondamente radicata nei metodi che fisici, chimici, tecnologi seguono per studiare il comportamento della materia e sfruttarne le proprietà che la sua importanza rischia a volte di sfuggirci. Eppure, la comprensione di come la straordinaria varietà del mondo che ci circonda possa emergere dall' intrico caotico dei fenomeni atomici rappresenta una sfida concettuale tra le più ardue ed avvincenti della scienza moderna. Basti pensare che il numero di atomi che tipicamente compongono una quantità macroscopica (diciamo alcuni grammi) di una qualsiasi sostanza è dell' ordine del numero di Avogadro, il cui valore è di circa sei seguito da 23 zeri, un numero così grande da annebbiare la mente. Le nostre concezioni di calore e temperatura offrono un buon esempio di proprietà a tutti familiari di cui i fisici sono riusciti, a prezzo di grandi sforzi, a dare una interpretazione atomica. Gli atomi sono in incessante moto disordinato, ed è l' energia associata a questo moto che fa sì che noi percepiamo un corpo come più o meno caldo. Gli urti causati dall' agitazione termica degli atomi sono il meccanismo attraverso il quale ogni sistema macroscopico (pensiamo alla bottiglia di vino tolta dal frigorifero e messa in tavola) scambia energia, nella forma che chiamiamo calore, con l' ambiente circostante (o bagno termico, come spesso vien detto) fino a raggiungere, in un tempo più o meno lungo, uno stato finale di equilibrio, termodinamico ad una certa temperatura (il vino servito a «temperatura ambiente» ). La difficoltà principale è che i fenomeni termodinamici obbediscono a leggi estremamente generali, in cui il fatto che la nostra bottiglia contenga vino od acqua o qualcos' altro è per molti versi del tutto essenziale. Obbiettivo della meccanica e termodinamica statistica è riuscire a scoprire quale struttura teorica accomuna tutti questi casi ed è in grado di rendere conto dei comportamenti osservati. Per questa via, si sono raggiunti risultati di grande profondità e bellezza, che purtroppo rimangono un po' nascosti al profano dalla presenza di una matematica poco familiare come quella della teoria della probabilità e del considerevole grado di astrattezza di molte argomentazioni. Un esempio con una sua particolare bellezza è il metodo, detto di Gibbs, con cui in meccanica statistica si affronta lo studio di un sistema (la nostra bottiglia di vino) all' equilibrio termodinamico. I fisici sanno che la struttura teorica a cui prima accennavamo è la conoscenza dei diversi stati in cui il sistema si può trovare e dei valori che l' energia del sistema assume in ognuno di essi. E' in queste proprietà che si riflette la struttura atomica della materia. Dopodiché si segue una strategia che, da Galileo ad Einstein, si è mostrata di straordinaria fecondità concettuale, ossia quella di considerare un esperimento immaginario, il quale, pur non essendo realizzabile materialmente in laboratorio, possa essere eseguito, per così dire, mentalmente, illuminandoci sulle conseguenze fisiche della nostra descrizione. Nel nostro caso, immaginiamo di avere un numero molto grande, diciamo N, di copie perfette del nostro sistema. Dove prima avevamo una sola bottiglia di vino, ora ne abbiamo N, tutte perfettamente identiche. Le copie sono in debole contatto termico, sufficiente a permettere un continuo scambio di energia tra di esse. Se forniamo all' insieme delle copie una certa quantità di energia, sarà altamente improbabile che essa si concentri tutta in un' unica copia: tenderà piuttosto a distriburisi in maniera alquanto uniforme un po' tra tutte. Naturalmente vi è un gran numero di modi in cui questa ripartizione di energia può, in linea di principio, realizzarsi, ma, per quanto stupefacente possa sembrare, quando N è molto grande (e nel nostro esperimento ideale possiamo considerarlo grande quanto vogliamo) una sola tra le distribuzioni possibili domina ed ha praticamente la certezza di verificarsi. Questa distribuzione è universalmente nota come distribuzione di Boltzmann e può essere calcolata in maniera relativamente semplice con tecniche di calcolo combinatorio: in effetti il problema è del tutto analogo a quello che dovrebbe affrontare un giocatore di dadi con ambizioni matematiche che volesse prevedere come il risultato totale del lancio simultaneo di N dadi sarà ripartito tra i singoli dadi. La potenza di questo esperimento ideale sta nel fatto che i suoi risultati possono essere estesi ben al di là delle condizioni immaginarie in cui sono stati ottenuti. A ben guardare, infatti, ogni singola copia rappresenta il nostro sistema immerso in un curioso bagno termico formato dalle restanti N 1 copie. Ma, poiché nulla viene specificato sulla natura dei meccanismi che permettono alle copie di scambiarsi energia, giungiamo alla conclusione che la distribuzione di Boltzmann si applica a un qualunque sistema di equilibrio termodinamico con un bagno termico di qualunque natura. E' questo un risultato di importanza e generalità difficilmente sopravvalutabili, che interviene in tutti i fenomeni fisici, dal ciclo termico che permette al nostro frigorifero di tenere i cibi in fresco alla composizione e colore della luce delle stelle. Una importante occasione per approfondire questi e altri affascinanti aspetti del comportamento della materia è offerta dalla Scuola nazionale di fisica della materia, organizzata dal Consorzio Infm, in corso a Villa Gualino fino al 23 ottobre. Sabato 17 ottobre, inoltre, un simposio europeo dal titolo «New magnetic materials» è stato dedicato ai più recenti sviluppi nel campo dei materiali magnetici, dove nuovi risultati teorici si stanno traducendo in applicazioni di notevole impatto tecnologico e grande spinta innovatrice. Giorgio Bertotti Istituto Elettrotecnico Galileo Ferraris


RICERCA INDUSTRIA Scienza e tecnologia, nel «parco» è meglio Perché in Italia i cosiddetti Pst sono in ritardo
Autore: PAPULI GINO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, TECNOLOGIA, INDUSTRIA, ECOLOGIA
NOMI: DIOGUARDI GIANFRANCO
ORGANIZZAZIONI: PST PARCHI SCIENTIFICI E TECNOLOGICI
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T
NOTE: 066

NEL corso di questo secolo che volge al termine, il cammino dell' innovazione economico industriale ha avuto inizio con le fabbriche tayloristiche per approdare, nel presente, alla concezione tecnopolitana dei «parchi scientifici e tecnologici» (Pst). Nel mondo si contano, ormai, circa 600 Pst, 400 dei quali aderiscono alla Associazione Europea dei Parchi, che ha tenuto in questo mese, presso la «Tecnopolis» di Bari, il suo congresso annuale dibattendo il tema: «Problemi locali, soluzioni globali». In Italia l' avvento dei Pst è in forte ritardo e, alle poche realizzazioni, si accompagna una scarsa informazione sul loro effettivo significato. In modo molto sintetico, possiamo definire il Pst come una «palestra dell' intelligenza» il cui obiettivo è quello di combinare l' innovazione tecnologica con nuove opportunità di mercato, a favore dello sviluppo del sistema economico locale. Ed è proprio questo legame con la struttura del territorio che rappresenta un potente mezzo per il superamento dei fattori di crisi e per la lievitazione dell' imprenditorialità privata e pubblica. All' estero il motore della trasformazione tecnopolitana è, quasi sempre, la «municipalità », la quale favorisce la nascita e la crescita di società ad economia mista in accordo con la pianificazione regionale e con le strategie industriali, coinvolgendo città di dimensioni diverse, anche al di sotto dei 100. 000 abitanti. Il ritardo italiano è dovuto, per gran parte, alla povertà culturale della «leadership» e degli obiettivi strategici degli enti pubblici locali, nonché alle disfunzioni prodotte dall' economia protetta, non esposta alle ferree leggi della competizione. Un altro ostacolo secondo l' economista e consulente Cee Piero Formica è costituito dalla caratterizzazione «accademica» delle Università, portate più alla ricerca di base che alla scienza applicata. Occorrono, invece, un modo diverso di impostare la ricerca, ed un processo più incisivo e diffuso di rendere usufruibile la tecnologia. Dice Gianfranco Dioguardi, imprenditore e presidente di «Tecnopolis»: «Non tutta la ricerca universitaria è adatta ad essere trasferita nell' industria. Alcune ricerche non hanno concretezza immediata o non rispecchiano le reali esigenze dell' impresa. D' altra parte, non è difficile sviluppare rapporti con le grandi aziende poiché, con il loro contributo, è possibile realizzare, in tempi accettabili, ricerche finalizzate alla risoluzione dei problemi impellenti». Le Università (così come gli istituti di ricerca specializzata) restano comunque un interlocutore indispensabile dei Pst, ma è bene che si adeguino alla filosofia imprenditoriale. Quanto alle tecnologie, l' esperienza ha dimostrato che le esigenze dei Pst guardano poco a quelle «di frontiera» e molto a quelle applicabili a breve termine, capaci di dare un contributo concreto ai processi produttivi ed alle opportunità di mercato. Gli indirizzi prevalenti nel contesto dei Pst si riscontrano nei settori biologico, informatico ed agroalimentare. Citiamo, tra i molti filoni, quelli dell' ingegneria genetica, dei biopolimeri, della strumentazione medica e spaziale, dei nuovi materiali strutturali, del «software» per la pubblica amministrazione, dei «centri di eccellenza». Gino Papuli


PREMI NOBEL E' il turno della biochimica Medicina, il riconoscimento agli studi sui fosfati
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA, PREMIO, VINCITORE
PERSONE: FISHER EDMOND, KREBS EDWIN
NOMI: FISHER EDMOND, KREBS EDWIN
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

IL criterio dell' assegnazione dei Nobel della medicina è da tempo cambiato. La moderna medicina è a livello cellulare, anzi molecolare. La commissione del Premio dà in genere i suoi riconoscimenti a biologi, genetisti, biochimici. Biochimici sono appunto i Nobel 1992, Edmond E. Fisher e Edwin G. Krebs dell' Università di Washington, il primo nato a Shanghai nel 1920, il secondo nello Iowa nel 1918. A tale proposito è inevitabile ricordare la singolare coincidenza di un altro famoso Krebs, di nome Adolf, anch' egli biochimico, anch' egli Nobel della medicina nel 1953 per avere individuato il ciclo metabolico fornitore di energia universalmente conosciuto come ciclo di Krebs. Sono puntate di una stessa storia. Gli attuali premiati si sono dedicati a ricerche sulla fosforilazione reversibile, ossia sulla fissazione oppure liberazione di uno o più gruppi di fosfati in vari composti chimici. Tali reazioni avvengono in numerosi e vari momenti della vita delle proteine cellulari. Nelle cellule vi sono migliaia di proteine con funzioni diverse, che interagiscono fra di loro e l' interazione deve essere regolata con precisione. Uno dei meccanismi essenziali di questa regolazione è appunto la fosforilazione reversibile, la quale interviene a diversi livelli. E' ovvio che la fosforilazione è sotto il dominio di particolari enzimi supervisori delle reazioni chimiche. Nessuna funzione vitale può avvenire senza l' opera degli enzimi. Gli enzimi, anch' essi proteine, attivano le migliaia di reazioni costituenti il metabolismmo cellulare. Fisher e Krebs negli Anni Cinquanta scoprirono appunto un enzima, una proteininasi, che controlla a sua volta un altro enzima, la fosforilasi, individuata (altra puntata della storia) dai coniugi Carl e Gerty Cori, biochimici dell' Università di Washington, a loro volta Nobel per la medicina 1947. Studiando le cellule muscolari, Fisher e Krebs hanno chiarito con la fosforilazione il meccanismo mediante il quale le proteine mettono rapidamente in moto le riserve di energia per il lavoro dei muscoli. Da successive ricerche è risultato poi che la fosforilazione ha influenza sulle funzioni di tutte le cellule, controllando una grande parte delle proteine. La scoperta di Fisher e Krebs ha aperto un esteso campo di ricerche e molte nuove proteininasi sono state messe in evidenza. S' è visto così che la fosforilazione ha fra l' altro grande importanza per lo sviluppo delle reazioni immunitarie e inoltre che da una cattiva regolazione delle proteininasi possono derivare processi tumorali, per esempio la leucemia mieloide cronica. Applicazioni pratiche a proposito dei trapianti e delle terapie anticancro potrebbero essere possibili in futuro. Ulrico di Aichelburg


FISICA& CHIMICA La «ferraglia» di Charpak e gli elettroni di Marcus due idee rifinite negli anni
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: FISICA, CHIMICA, RICERCA SCIENTIFICA, PREMIO, VINCITORE
PERSONE: MARCUS RUDOLPH, CHARPAK GEORGES
NOMI: MARCUS RUDOLPH, CHARPAK GEORGES
ORGANIZZAZIONI: PREMIO NOBEL
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

CON Georges Charpak, premio Nobel per la fisica 1992, sono in molti ad avere dei debiti. Migliaia di colleghi hanno potuto fare le loro ricerche sulle particelle elementari che costituiscono la materia proprio grazie ad una sua invenzione: quella «camera proporzionale multifili» che l' Accademia di Stoccolma ha premiato con 6, 5 milioni di corone, cioè più di un miliardo e mezzo di lire. Tra i debitori di Charpak, alcuni hanno avuto il Nobel prima di lui, e proprio grazie al suo lavoro ora premiato. Uno di questi è Carlo Rubbia, che con la «camera proporzionale multifili» applicata al superprotosincrotrone del Cern di Ginevra ha scoperto i bosoni W e Z, le particelle che trasportano la forza elettrodebole. E poi ci sono Richter e Ting, che nel 1974, sempre con il rivelatore di particelle di Charpak, stanarono il quark Charme. I progressi della fisica subnucleare sono spesso legati allo sviluppo di una tecnologia. Cioè a qualcosa che potrà apparire banale ferraglia rispetto a una raffinata elaborazione teorica o all' impresa intellettuale di escogitare un esperimento per verificare quella elaborazione. Fatto sta che in fisica fondamentale la ferraglia e parliamo in ogni caso di ferraglia nobilissima è essenziale perché le intuizioni possano tradursi in verifiche concrete. Fu un rivelatore a gas di Wilson che permise di scoprire il positrone, prima particella di antimateria, per la quale Anderson ebbe il Nobel nel 1936. Fu ancora una «camera di Wilson» a permettere a Blackett le ricerche che gli diedero il Nobel, fu la tecnica delle emulsioni a procurare il Nobel a Powell, e la «camera a bolle» di Glaser a consentire le ricerche di Alvarez, anch' esse coronate dal Nobel. Come funziona la «camera proporzionale multifili» di Charpak? Alla base c' è il «contatore proporzionale»: un tubetto dal diametro di un centimetro nel quale passa un filo su cui si applica una tensione di qualche migliaio di volt. Quando una particella subnucleare attraversa il tubetto, ionizza il gas che esso contiene, cioè libera degli elettroni che vengono attratti dal filo. Nella loro corsa, liberano altri elettroni. Si crea così un flusso di queste particelle che può essere misurato, permettendo di rivelare la particella e la sua posizione. Charpak ha ideato un rivelatore in cui anziché un solo filo ce ne sono migliaia, sottilissimi e ad appena un millimetro l' uno dall' altro. Inoltre i segnali dovuti alle particelle da rivelare vengono inviati direttamente a un computer, così da rendere mille volte più veloce l' analisi dei dati. Bisogna infatti ricordare che in un esperimento come quello di Rubbia si creano miliardi di miliardi di particelle, tra le quali quelle interessanti si contano sulle dita di una mano. Soltanto una analisi elettronica permette quindi di distinguere la particelle interessanti in mezzo a tutte quelle da buttare. Nato il 1 agosto 1924 in Polonia, ora cittadino francese, Charpak lavora al Cern di Ginevra dal 1959. L' idea per la quale gli è stato assegnato il Nobel risale al 1968 ma essa è stata sviluppata e perfezionata nei vent' anni seguenti. Con il Nobel per la chimica, assegnato al canadese Rudolph A. Marcus, 69 anni, ora cittadino americano e professore all' Istituto per la tecnologia della California, siamo ancora nel mondo degli elettroni, ma in questo caso viene studiato il loro trasferimento da una molecola all' altra durante le reazioni chimiche. Tra il 1956 e il 1965 Marcus ha messo a punto una formula matematica per calcolare i cambiamenti di energia che si verificano quando un elettrone salta tra due molecole senza rompere legami chimici. Può sembrare un lavoro astratto, ma non è così. Fenomeni di grande interesse pratico come la corrosione e la fotosintesi clorofilliana non si comprendono senza la formula di Marcus. Piero Bianucci


ELEFANTI Troppi figli, ti faccio abortire Una pillola per evitare l' abbattimento selettivo
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
NOMI: SHORT ROGER, MOSS CYNTHIA
ORGANIZZAZIONI: CITES
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

UNA pillola contraccettiva per l' elefante africano? E' la proposta lanciata da Roger Short, docente di Biologia riproduttiva alla Monash University di Melbourne. Sembra quasi una boutade, in tempi in cui si leva da ogni parte un grido d' allarme per il calo numerico del grande proboscidato, e si indicono dovunque campagne per salvare l' elefante dall' estinzione, ora che la sua popolazione si è più che dimezzata. E' l' avorio delle zanne che fa gola ai bracconieri e alimenta un fiorente commercio. Ed è per questo che la Cites ( «Convention on International Trade in Endangered Species » , Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate) ha deciso di bloccare il commercio dell' «oro bianco» Non è un controsenso parlare di pillola per il controllo delle nascite in una specie che rischia di scomparire a breve termine dalla scena del mondo? Occorre fare un distinguo. L' elefante è presente in 36 Paesi africani. Nella maggior parte di questi, la sua situazione è pessima. Le autorità locali non riescono a combattere efficacemente il bracconaggio che ha drasticamente ridotto le popolazioni. Qualche esempio. In Tanzania gli elefanti si sono ridotti in dieci anni da 184. 872 a 87. 088. Nel Parco nazionale Tsavo, in Kenya, nel febbraio ' 88 rimanevano solo 4327 elefanti, cioè il 75 per cento in meno di quanti ce n' erano nel 1982. Nei parchi dell' Uganda, ai tempi del dittatore Amin, i 9000 elefanti del Parco delle Cascate Murchison si ridussero a 1700. E così via. Viceversa in cinque Paesi africani Sud Africa, Namibia, Malawi, Botswana e Zimbabwe è successo esattamente l' opposto. Anziché diminuire, la popolazione delle riserve locali è aumentata nella misura di circa il cinque per cento all' anno. Grazie a una efficace repressione del bracconaggio. Anche questo successo in materia di conservazione della fauna ha però il suo risvolto negativo. In natura, quando una popolazione di elefanti esaurisce le risorse del suo habitat, si sposta in cerca di nuovi territori. Ma gli elefanti confinati in una riserva, sia pur ampia, non hanno questa possibilità di spostamento. E allora martellano la riserva, abbattendo alberi, facendo terra bruciata di ogni tipo di vegetazione, rendendo il territorio inabitabile alle altre specie ma anche a se stessi. Quando una riserva può contenere solo un certo numero di elefanti, il surplus va eliminato e il sistema attualmente in uso per arginare la sovrappopolazione prima che provochi danni irreparabili all' habitat è il cosiddetto «culling», cioè l' abbattimento dei capi in soprannumero. Nello Zimbabwe e nel Sud Africa è una pratica che si fa regolarmente ogni anno. Si sparano dagli elicotteri proiettili anestetici che addormentano gli individui colpiti, rendendo così più facile la loro uccisione a terra. Tutto questo avviene in presenza degli altri membri del branco. Figli, fratelli, sorelle, zie sono testimoni oculari della morte dei loro congiunti. E gli elefanti sono soggetti straordinariamente sensibili e intelligenti, dotati di ottima memoria. Rimangono letteralmente sconvolti dalla strage che si compie davanti a loro. La reazione dei grossi proboscidati salta agli occhi. Mentre nei Paesi dove non viene praticato il «culling» gli elefanti non temono l' uomo e hanno con lui un buon rapporto, nei Paesi dove è in vigore questa barbara pratica, i bestioni evitano la presenza umana, diffidano chiaramente da quello che ritengono a ragione il loro peggior nemico. Si è parlato dello spinoso argomento al simposio tenutosi recentemente in Kenya sul tema «Demografia e controllo sulla fertilità dell' elefante». E si è cercato di trovare soluzioni alternative al sistema disumano dell' abbattimento, così come lo si pratica attualmente. Si è presa in considerazione l' eventualità di sterilizzare i maschi. Ma la vasectomia è impossibile nell' elefante, che ha i testicoli nascosti entro la cavità addominale, in prossimità dei reni. Altri metodi contraccettivi usati per la specie umana non sono applicabili per ovvie ragioni a un bestione di quella fatta. E allora ecco che salta fuori la proposta di Roger Short. Perché non somministrare alla femmina una pillola abortiva? Naturalmente la cosa va studiata accuratamente. Si è notato che in natura, quando avviene l' aborto spontaneo di un feto quasi a termine, l' elefantessa ne rimane stravolta. Se ne sta per giorni e giorni accanto al cadaverino, tentando di sollevarlo con le zanne, quasi per ridargli la vita. Di norma, la gestazione dura 22 mesi e il piccolo pesa alla nascita 120 chilogrammi. La strategia ideale quindi sarebbe quella di consentire a una giovane femmina di venir fecondata a circa undici anni, appena raggiunta la pubertà, e di provocare l' aborto a metà gravidanza circa undici mesi dopo il concepimento, quando le mammelle non incominciano ancora a ingrossarsi e l' embrione è un affarino che pesa soltanto undici chili. In questo caso il feto abortito sarebbe troppo piccolo per provocare nella madre la crisi di angoscia. E' probabile che debba passare circa un anno prima che l' elefantessa sia di nuovo incinta e il primo elefantino nascerebbe 22 mesi dopo, quando la madre ha circa 15 anni, vale a dire due anni dopo la norma. Secondo Cynthia Moss, una delle maggiori esperte di elefanti, l' intervallo medio tra due nascite successive è di quattro anni e mezzo. Il che significa che passano 32 mesi da un parto al successivo concepimento. Questo intervallo è dovuto all' azione contraccettiva dell' allattamento, che blocca l' ovulazione femminile. Quando non sia facile stabilire la data del concepimento, ci si può arrivare per via indiretta dall' età del cucciolo che cammina accanto alla madre. La soluzione «pillola» è ancora soltanto teorica. Ci vorranno studi più approfonditi prima che venga messa in atto. Far abortire un elefante non è una cosa che piaccia, ma è sempre meglio del barbaro massacro degli adulti. Isabella Lattes Coifmann


XENOTRAPIANTO Il maiale è salvo: non serve Fallito l' esperimento con il fegato
Autore: RAINERO FASSATI LUIGI

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, ANIMALI, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: MAKOWKA LEONARD
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067. Trapianti fegato di maiale

ALCUNI giorni fa il professor Leonard Makowka, direttore del dipartimento di chirurgia del Cedars Sinai Medical Center di Los Angeles (Usa), trapiantò a Susan Fowler, una signora californiana di ventisei anni in coma epatico, il fegato di un maiale con l' intento di farlo funzionare come organo ponte, fino a quando non si fosse trovato un fegato nuovo. Il fegato del maiale venne messo in una parte dell' addome diversa dalla naturale dimora del fegato, lasciando al suo posto il fegato nativo. L' intervento chirurgico fu portato a termine senza particolari difficoltà; ma la paziente morì il giorno dopo senza che ci fosse il tempo di trapiantarle un fegato umano che, nel frattempo, era stato trovato. Una delle principali cause del fallimento è stata la grande discrepanza genetica tra uomo e maiale, che determina come inevitabile conseguenza una violenta reazione di rigetto, con irreparabile danno del fegato di maiale trapiantato. Danno epatico che io stesso avevo già avuto modo di constatare più di vent' anni fa aiutando il professor Dinangelo Galmarini nelle sue sperimentazioni cliniche di trattamento dell' insufficienza epatica acuta. Nel 1971, presentammo il caso di una donna di 38 anni (Anna B. ) alla quale avevamo innestato il fegato di un maiale nel tentativo di depurare il suo sangue gravemente intossicato dall' epatite virale, dando tempo al fegato nativo di riprendere la sua funzione. A differenza però di quanto ha fatto pochi giorni fa Makowka, noi innestammo il fegato del maiale al di fuori dell' addome; l' organo fu sistemato in sede inguinale destra, collegando l' arteria che nutre il fegato del maiale (arteria epatica) con l' arteria della coscia del paziente (arteria femorale) e le vene del fegato del maiale (vena porta e vena cava sovraepatica) con le vene della coscia della paziente (vena femorale e vena iliaca esterna). Il fegato funzionò bene per le tre prime ore, poi assunse un colorito vinoso, aumentò di volume diventando infine nerastro. Dopo sei ore e quaranta minuti decidemmo di staccarlo dalle connessioni con i vasi femorali della paziente. La donna cominciò a svegliarsi dal coma e, dopo un mese di degenza, fu di nuovo in grado di camminare. La signora Anna è viva e sta bene. Incoraggiati da questo successo, facemmo un secondo xenotrapianto eterotopico con fegato di maiale nel ' 71; e altri quattro nel 1974, utilizzando in due casi il fegato di maiale e in due il fegato di babbuino. Dei sei pazienti, due sopravvissero e quattro morirono. La metodica fu definitivamente abbandonata. Oltre al rigetto ci sono altri fattori che possono essere ritenuti responsabili del fallimento degli xenotrapianti eterotopici con fegato di maiale. Uno è l' alterazione dell' emodinamica in quanto l' organo non viene a ri trovarsi nella sua posizione naturale; un altro è legato al fatto che il fegato eterotopico non riceve il sangue portale, che è ricco di elementi nutritivi indispensabili alla sopravvivenza dell' organo. Per tutte queste ragioni il fegato di maiale, allo stato attuale delle conoscenze, non può funzionare come organo ponte per più di dodici ore. Un tempo certamente utile per trovare un donatore umano ma ottenibile anche con un' assistenza di terapia intensiva capace di supplire agli squilibri creati dalla mancata funzionalità epatica. Il trapianto di Makowka potrebbe sembrare assurdo se non ci fosse la drammatica constatazione dei malati che muoiono ogni giorno in lista d' attesa. In Italia più di un terzo dei possibili candidati al trapianto muore aspettando un fegato che non arriva mai. E allora qualsiasi tentativo di prolungare la vita può avere un finalismo apprezzabile. Sono convinto però che, se si è costretti a ricorrere allo xenotrapianto, non si può che utilizzare il fegato di babbuino, come ha fatto recentemente il professor Thomas Starzl a Pittsburgh. La compatibilità genetica tra uomo e primate è molto più accettabile di quella con il maiale e ciò consente di avere maggiori garanzie di dominare il rigetto con i farmaci immunosoppressivi, dando al malato una reale opportunità di sopravvivere. Luigi Rainero Fassati Università di Milano


SCALA MOBILE Su e giù senza fatica Il segreto è una doppia coppia di binari
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D
NOTE: 068

I L nome di «scala mobile» venne coniato nel 1900 per una scala automatica presentata all' Esposizione di Parigi. Dopo un secolo di aggiustamenti e modifiche, le scale mobili attuali salgono alla velocità di 45 metri al minuto e possono portare fino a seimila persone l' ora. Una fila ininterrotta di scalini collegata a un' ampia catena si muove a velocità costante, guidata da due accoppiate di binari. La metà discendente della scala fa da contrappeso alla metà ascendente, in modo che il motore elettrico che spinge la scala deve alzare solo il peso dei passeggeri. La catena di scalini passa attraverso due ruote dentate, poste ognuna a un' estremità della scala: la ruota in alto viene detta «motrice» quella in basso «di ritorno». Il meccanismo è analogo a quello della catena di una bicicletta, ovviamente di dimensioni molto maggiori. La ruota motrice viene spinta da una catena più piccola, a sua volta azionata da un motore elettrico. E' il cambio che commuta la velocità sostenuta del motore in quella più lenta degli scalini. Ogni scalino ha la forma di un triangolo, con due ruote per lato. Una di queste ruote è collegata a ciascuno scalino grazie alla catena degli scalini e corre su un suo binario. Un assale attraversa sia la catena degli scalini sia la ruota dello scalino e mantiene in posizione ogni scalino. L' altra ruota, detta «traente» è attaccata alla parte anteriore della scala e corre su di un binario separato. Quando gli scalini si muovono non importa se in su o in giù i due binari corrono fianco a fianco. Questo fa inclinare la parte superiore, formando la piattaforma orizzontale. Ogni volta che arriva sulla piattaforma, il binario della ruota traente si inclina in modo da passare sotto la catena di scalini. In questo modo gli scalini formano una sorta di sentiero piatto e mobile.


NUOVE MISURE Quanto è alto l' Everest? E l' Himalaya continua a crescere
Autore: R_G

ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA, MONTAGNA
NOMI: DESIO ARDITO, DA POLENZA AGOSTINO
ORGANIZZAZIONI: CNR
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C G
NOTE: 068

TENIAMOCI pronti a correggere gli atlanti geografici: ancora qualche mese e sapremo quanto è veramente alto l' Everest. Ce lo dirà Ardito Desio, coordinatore della spedizione italiana che il 29 settembre ha raggiunto la cima nell' ambito del progetto «Ev K2 Cnr». In vetta, insieme a un treppiede alto tre metri con i prismi rivolti ai versanti nepalese e tibetano, è stato portata una stazione Gps con la quale si potrà ottenere una misura finalmente precisa della cima più alta del mondo. Le misurazioni angolari sono state compiute in collaborazione di un centinaio di tecnici sui due versanti. Desio, conquistatore del K2 nel 1954, con i suoi inossidabili 95 anni ha accompagnato idealmente i venti italiani alpinisti, medici e tecnici. «E' stato il nostro capo spirituale» scherza Agostino Da Polenza, responsabile della spedizione per il Cnr. Sull' Himalaya nell' ambito dello stesso progetto è stata installata negli anni scorsi una "Piramide laboratorio" attrezzatissima e non inquinante alla quale si appoggiano ormai ricercatori di tutto il mondo. Ma perché queste nuove misurazioni ? Spiega il professor Desio: «L' Everest fu scoperto "a tavolino " nel 1852 dai tecnici indiani che elaboravano le misure indirette dell' Himalaya: all' epoca l' ingresso in Nepal era proibito e le uniche misure erano quelle trigonometriche dalla pianura indiana, da oltre 150 chilometri di distanza. La misura più nota, 8848 metri fu ottenuta successivamente dai cinesi, ma altre dodici spedizioni riportarono valori diversi. Oltre alle misure angolari con raggi laser, «Ev K2 Cnr» ha effettuato misurazioni dirette, dalla cima, con il Gps: il «Sistema Globale di Posizionamento», elaborando i segnali ricevuti da alcuni dei 24 satelliti geostazionari del sistema, determina con esattezza latitudine, longitudine e altitudine del punto di rilevazione. Un sistema analogo fece annunciare qualche tempo fa agli americani che la montagna più alta del mondo era il K2; ma, ricorda Desio, «fu una montatura: lo stesso tecnico che aveva compiuto le osservazioni mi disse di aver fatto presente che il suo strumento non era del tutto affidabile». Quanto è alto l' Everest secondo lei, professor Desio? «Un po' di pazienza] Secondo la nostra misura provvisoria, del 1987, è 8872 metri. Potrebbe però essere più alto: per movimenti geologici naturali, l' India si sta spostando verso Nord». Si pensa che tutto l' Himalaya cresca ancora. (r. g. )


STRIZZACERVELLO Virus in azione
Autore: PETROZZI ALAN

ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 068

Virus in azione Marco stava giocherellando con il suo computer e aveva appena scritto un breve programmino che produceva casualmente gruppi di 5 numeri, ciascuno di 7 cifre, controllando se tra essi ci fosse un quadrato perfetto. Dopo alcune schermate che non avevano presentato alcun quadrato, ecco apparirne una che aveva provocato il «beep» rivelatore della presenza di un quadrato perfetto. Ma proprio in quell' istante entrava in azione un curioso virus, che progressivamente faceva scomparire i caratteri dallo schermo e ne invertiva altri. Prontamente Marco aveva richiesto la stampa del video (il famoso «print screen» ), ottenendo questo risultato: 1) 3 5 5 8 7 3 2 2) 3 0 8 7 8 2 1 3).......... 7 5 4).... ....... 8 5).... .......... Sapendo che le cifre dei primi due numeri sono mischiate tra loro e che i puntini rappresentano le cifre già «mangiate» dal virus, sapreste indicare quale dei cinque numeri era il quadrato perfetto originale? A domani la soluzione, accanto alle previsioni del tempo. (A cura di Alan Petrozzi)


LA PAROLA AI LETTORI Pirata zoppo, malloppo doppio
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 068

L A domanda sull' uovo e la gallina ci ha portato ancora molte risposte. Ne abbiamo scelte tre: «E' chiaro che uovo e gallina sono una metafora dell' evolversi della vita su questo pianeta: la primissima forma di vita è stato un essere unicellulare, che poi si è evoluto. Se paragoniamo questo essere unicellulare all' uovo e la forma di vita complessa alla gallina, possiamo affermare che l' uovo è venuto prima della gallina. Questa spiegazione vale per ogni forma di vita esistente sul pianeta». Giuseppe Teobaldo, Pecetto, TO «Ebbene sì, è nato prima l' uovo. E chi ha fatto l' uovo? Un animale che non era una gallina come se ne vedono oggi, ma un po' diverso. L' uovo che ha dato origine alla «nostra» gallina aveva un difetto, un errore nei cromosomi, ma anziché andare a male, è sopravvissuto. E' questo il concetto di evoluzione: errori di copia nei cromosomi causano mutazioni, poi l' ambiente seleziona gli individui più adatti alla sopravvivenza e quindi alla riproduzione » . Lisa Greppi, Vercelli «Per una risposta completa, è necessario formulare la domanda in modo più preciso, cioè: «E' nato prima l ' uovo di gallina o la gallina stessa? ». Infatti, se per «uovo di gallina» intendiamo un uovo deposto da una specifica gallina, allora è nata prima quest' ultima, in quanto l' uovo proveniente dalla «non gallina» non può essere considerato. Se, al contrario, con «uovo di gallina» consideriamo un uovo dal quale verrà alla luce una futura gallina, è corretto dire che è nato prima l' uovo. Andrea Savojardo, Torino Le vespe hanno una struttura sociale e riproduttiva simile alle api? Tutte le vespe vivono in società, che però sono meno popolose ed evolute di quelle degli insetti sociali per eccellenza: le termiti, le formiche e le api. Le società delle vespe contano infatti un numero limitato di individui, generalmente poche decine e mai più di alcune centinaia che solo nei paesi tropicali vivono più di un anno. Da noi, le società di vespe si formano sempre all' inizio della bella stagione, per poi sciogliersi all' inizio dell' inverno. Come nelle api e nelle formiche, anche nelle vespe la maggior parte dei lavori sociali sono compiuti da una casta di individui sterili, le operaie che però non differiscono, nell' aspetto, dalla regina. Il nido è formato all' inizio dell' inverno da una vespa femmina, che sarà poi la futura regina e il cui compito si limiterà alla deposizione delle uova (che genereranno operaie). Davide S., Torino Perché i pirati sono sempre indicati con una benda sull' occhio e una gamba di legno? Le menomazioni agli occhi erano frequenti specialmente tra i bucanieri: i loro fucili, che si chiamavano «bucan» a volte, al momento dello sparo, lanciavano scorie dal caminetto di accensione contro il viso. Le menomazioni agli arti erano invece frequenti perché, per evitare la cancrena delle ferite da arma da fuoco, l' unica soluzione era l' amputazione. Tutte queste menomazioni venivano ricompensate, al momento della spartizione del bottino, in modo proporzionale alla gravità, seconda un' apposita tabella. Giuseppe Brignolio, Rivoli TO Riproponiamo due quesiti della settimana scorsa, le cui risposte non ci hanno soddisfatti: & Sarebbe possibile far decollare lo Shuttle come un aereo? & Chi inventò il «passo dell' oca» ? A che scopo? & Perché i pesci di mare, che vivono nell' acqua salata non hanno la carne salata? Paola Fadini, Varallo P. & Perché quando si tagliano le cipolle, si avverte un senso di bruciore agli occhi? Carlotta Pavese, Nizza M. _______ Risposte a: «La Stampa Tuttoscienze», via Marenco 32, 10126 Torino. Oppure al fax 11 65. 68. 688 indicando «Tuttoscienze» sulla prima pagina.


LE DATE DELLA SCIENZA Piero della Francesca: il pittore che affiancò arte e matematica
Autore: GABICI FRANCO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
PERSONE: PIERO DELLA FRANCESCA
NOMI: PIERO DELLA FRANCESCA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 068

CINQUE secoli fa, il 12 ottobre 1492 (lo stesso giorno della scoperta dell' America), moriva ultraottantenne Piero della Francesca, grande pittore ma anche grande matematico. L' artista, infatti, è ricordato nella storia della matematica perché portò a compimento i lavori sulla prospettiva avviati da Leon Battista Alberti e, ancor prima, da Filippo Brunelleschi. Lo studio della prospettiva si rendeva necessario perché negli anni in cui Piero della Francesca lavorava, la pittura viveva un importante momento di passaggio. Nel Medioevo, infatti, era astratta e simbolica, mentre nel Rinascimento gli artisti intesero rappresentare fedelmente la natura e quindi dovettero appropriarsi di tutti quegli apparati matematici e geometrici necessari per trasferire nella tela bidimensionale il mondo reale a tre dimensioni. Per questi loro interessi (che tuttavia non si limitavano alla sola pittura, ma venivano applicati anche alla architettura, alle fortificazioni, alla costruzione di macchine da guerra... ) tutti gli artisti quattrocenteschi furono i migliori matematici del loro tempo. Piero della Francesca scrisse il trattato «De perspectiva pingendi» che, manoscritto, per molti anni fu oggetto di consultazione di tutti i pittori. L' artista scrisse anche due opere matematiche, il «De quinque corporibus regularibus» e il «Trattato d' abaco», con il quale insegnava l' uso di questa «macchi na» progenitrice dei moderni calcolatori. Curiosità: per ribadire la stretta connessione fra arte e matematica, Leonardo da Vinci mise in apertura del suo «Trattato della pittura» questo ammonimento: «Non mi legga chi non è matematico». Franco Gabici




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