TUTTOSCIENZE 14 ottobre 92


LA PAROLA AI LETTORI Prima è nato l' uovo, poi la gallina
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 064

Ma allora, è nato prima l' uovo o la gallina? Prima l' uovo] Nella ideale linea evolutiva che dai più primitivi antenati porta alle specie differenziate, la gallina venne dopo qualcosa che possiamo chiamare una «non gallina», già molto simile alla «gallina vera» ma ancora non completa per via di mutazioni evolutive non ancora intervenute. Queste possono avvenire solo a livello delle cellule germinali, per cui il primo organismo degno di essere chiamato gallina... è un uovo, figlio di una «non gallina». (Alberto Buson, Padova) Nelle toilettes di molti locali pubblici ci sono asciugamani di carta e asciugatori ad aria calda. Qual è il migliore, dal punto di vista ecologico? Sotto l' aspetto dell' igiene ambientale, l' asciugatore è apparentemente favorito, in quanto non lascia residui. Tuttavia l' aria forzata solleva il pulviscolo, dannoso agli occhi e alle vie respiratorie. L' asciugamano, interamente biodegradabile, presenta il vantaggio di non consumare energia, almeno nella fase del suo utilizzo, e di essere composto di materiali meno inquinanti dell' asciugatore. Dal punto di vista ecologico, quindi, mi sembra vincente. (Gualtiero Ponti, Biella) Gli elefanti hanno davvero una memoria fantastica come vuole il proverbio? L' elefante ha effettivamente doti eccezionali di memoria e di apprendimento, grazie a un cervello che supera i quattro chilogrammi e mezzo. In Thailandia, dove c' è una «scuola per elefanti», si insegna ai pachidermi ad abbattere e trasportare i tronchi d' albero e loro riescono ad apprendere fino a 24 ordini diversi. (Attilio Novelli, Pescara) Perché qualche volta, uscendo dalla macchina e chiudendola a chiave, si prende la scossa elettrica? Come una penna stilografica, strofinata con un panno, si elettrizza, così l' automobile, isolata da terra dai pneumatici, mentre viaggia subisce uno strofinio con l' aria esterna che riempie di cariche elettriche lo strato di vernice della carrozzeria. Scendendo, la persona si trova con i piedi per terra e toccando la serratura scarica l' elettricità statica accumulata. (Franco Cavallero, Rivalta, To) In tutte le città della Francia c ' è sempre una via importante dedicata a Gambetta. Chi era? Un celebre statista francese, di famiglia genovese ma nato a Cahors. Avvocato a Parigi, si batté per i repubblicani contro l' Impero, sempre al centro delle agitazioni elettorali e dei processi politici. Nel 1869 fu deputato di Marsiglia, l' anno dopo ministro dell' Interno nel governo provvisorio. Nell' ottobre dello stesso anno, abbandonò Parigi assediata a bordo di un pallone aerostatico e assunse a Tours, sede provvisoria del governo, i ministeri della Guerra e delle Finanze. Organizzò la resistenza nelle province ma, concluso l' armistizio, si dimise. Eletto deputato per l' Alsazia, depose il suo mandato dopo aver stipulato i preliminari per la pace Rieletto alla Camera, fu il capo della sinistra repubblicana. Presidente della Camera nel 1877 e dei ministri nel 1881, costrinse il presidente Mac Mahon a sottomettersi alla maggioranza repubblicana, e poi a dimettersi. Cadde però dopo soli 66 giorni. (Umberto Rigazzi, Brusasco, To) & Sarebbe possibile far decollare lo Shuttle come un normale aereo, dotandolo di motori adatti all' atmosfera, come i jet? (Andrea Valente) & Perché i pirati sono sempre indicati con una benda sull' occhio e una gamba di legno? Era solo un vezzo? & I nidi di vespe hanno una struttura sociale e produttiva simile agli alveari delle api? & Chi inventò il «passo dell' oca» ? C' era una ragione logica per introdurlo? _______ Inviare le risposte a: «La Stampa Tuttoscienze», via Marenco 32, 10126 Torino. Oppure al fax 011 65 68 688, indicando chiaramente «Tuttoscienze» sulla prima pagina.


ECOLOGIA Una foresta di carta Scandinavia, boschi coltivati per la cellulosa I boschi «industriali» sempre rinnovati hanno moltiplicato il verde in Europa
Autore: VERNA MARINA

ARGOMENTI: ECOLOGIA, BOTANICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T Ciclo di vita di un albero. Come si prepara la carta riciclata. Struttura del cartone riciclato
NOTE: 061

E' rinnovabile, riciclabile, biodegradabile. E' abbondante, almeno in Europa. Dopo una vita lunga e varia, può finire in un inceneritore e fornire ancora energia. E' una materia prima perfetta per moltissime produzioni, eppure incontra resistenze emotive che le argomentazioni tecniche non riescono a smantellare. Abbattere alberi per farne carta piace poco: c' è qualcosa di sacro, nelle foreste, che impedisce di trattare i tronchi come un qualsiasi giacimento minerario. Nella pratica, però, la richiesta di cellulosa è alta, soprattutto nei Paesi che guardano con sospetto alla plastica E dato che nessun giornale e tantomeno un imballaggio può essere riciclato più di tre quattro volte (a questo punto la fibra è ormai ridotta a polvere), si ritorna alla casella di partenza: l' albero. Le foreste di conifere del Nord Europa formano una fascia assai prospera, anche se di formazione recente: i boschi storici sono stati infatti abbattuti per scaldarsi durante le varie guerre e, soprattutto, per la ricostruzione di questo dopoguerra. Al loro posto, ci sono boschi giovani, in larga parte coltivati come piantagioni. Per questa ragione le risorse non sono mai state tanto abbondanti come ora, nè di qualità altrettanto buona. Superiori al passato sono però anche i problemi: di inquinamento, di clima, di produzione industriale. Entrare in una di queste foreste, per quanto addomesticate, è una gioia per tutti i sensi: ci sono odori di legno e di resina, rumori e canti di animali, una bella varietà di piante perché non c' è monocultura, anche se prevalgono abeti e betulle. Nel sottobosco, bacche, funghi, frutti. A mezz' aria, nidi e licheni. La vita media di un bosco ceduo di questo genere è di un' ottantina di anni, naturalmente non per tutti gli esemplari. Per ogni ettaro di terreno, vengono piantate circa tremila piantine, che subiscono tre sfoltimenti successivi. A partire da un diametro di sette centimetri, i tronchi finiscono nei grandi macchinari che producono la carta. Gli alberi lasciati al loro ciclo completo sono destinati invece all' industria del mobile. Un bosco sempre giovane ha un valore ecologico per certi aspetti assai superiore a quello di una foresta antica: per diventare adulti, gli alberi assorbono una quantità di anidride carbonica molto alta, assai di più di quanta non ne occorra per invecchiare. E questo, in un' epoca attenta a tutto ciò che può assorbire l' iperproduzione di anidride carbonica, non è un dettaglio irrilevante. Vicino alle foreste, ci sono spesso le cartiere, almeno in Scandinavia. Fino a qualche anno fa, i tronchi arrivavano in fabbrica scivolando sulla corrente dei fiumi. Oggi questo mezzo, all' apparenza economico, non è più conveniente perché richiede molti uomini appostati sulle rive, a controllare e dirigere il traffico del legname. I tronchi arrivano quindi su grandi camion e finiscono dentro complessi macchinari lunghi decine di metri: una trasformazione dopo l' altra, alla fine della corsa sono diventati enormi rotoli di carta. L' impatto ambientale dell' intero ciclo non è indifferente: eutrofizzazione delle acque per il carico di fosforo e sostanze azotate, emissioni di cloro e dei derivati di zolfo usati per sbiancare la polpa di legno, residui pesanti. Sebbene molti valori siano stati dimezzati rispetto ai decenni precedenti, l' impatto negativo delle reazioni chimiche è ben visibile nell' acidificazione dei suoli e nell' ingiallimento fuori stagione di larghe chiazze di bosco. Per questo, la soluzione ideale sembra il riciclaggio della carta. Che effettivamente è una pratica assai più diffusa di quanto non sembri a noi italiani, quasi tutti sprovvisti di campane specifiche per la raccolta dei giornali. Nel 1990, la Cee ha prodotto 37, 6 milioni di tonnellate di carta e cartone: 18, 4 milioni erano fibra riciclata. Alcuni imballaggi possono addirittura essere completamente fatti di materiale di seconda o terza mano sono ovviamente quelli che non debbono reggere pesi. L' elenco tedesco dei vari tipi di carta riiclata indica ben quarantun qualità diverse. Naturalmente, per trattare questo tipo di fibre occorrono cartiere attrezzate per la depurazione un procedimento chimico tutt' altro che indolore per l' ambiente. A ogni passaggio, la qualità di carta e cartoncino peggiora sempre di più. L' aggiunta di fibre vergini, in quantità sempre più alte, permette al massimo quattro riciclaggi, poi la fibra perde forza e diventa polvere. Ma anche così può servire: il cartoncino di quarta mano diventa un combustibile biologico, che produce vapore e corrente elettrica. Dalla ciminiera uscirà solo anidride carbonica, che rientra nel ciclo vegetale. Ingombrante, ma pur sempre biodegradabile. In Italia, il 22 per cento dei rifiuti domestici è formato dalla carta: giornali e imballaggi. I primi in genere non inducono sensi di colpa, i secondi invece sì. Anche perché sono più diffiili da mettere da parte, stropicciati e pieni di odori come sono. Una grande catena di supermercati svizzeri ha provato a mettere in commercio alcuni prodotti senza scatola di cartone dentrifici, biscotti, pasta, cosmetici. Ha avuto successo: il fastidio per l' inevitabile ammaccatura era ampiamente compensato dalla soddisfazione di un comportamento «verde». Oggi la loro parola d' ordine è: ecocompatibilità. Giudice spassionato, la bilancia: vince l' imballaggio più leggero e meno ingombrante. Con queste regole, il cartone perde e la plastica vince. Cambiandole, i giochi si riaprono: se si analizza l' intero ciclo di vita della materia prima, dalla nascita alla morte, il cartone si rivela superiore. Purché si tenga alla larga da pessime compagnie, come nel caso di un celebre formaggio impacchettato in ben sei strati. Marina Verna


ALTERNATIVE Ma c' è chi usa alghe e ortaggi
Autore: VERNA MARINA

ARGOMENTI: ECOLOGIA, BOTANICA
ORGANIZZAZIONI: ECOLMARE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 061. Carta riciclata, riciclaggio

L A prima sorpresa è l' odore: sa vagamente di mare. Anche il colore è inusuale, un avorio pallido puntinato di verde scuro. E' liscia, molto raffinata ma ancora poco conosciuta, questa carta alle alghe che si affaccia sul mercato alternativo. L' idea è venuta a un gruppo di società che cercavano idee per utilizzare le alghe in esubero nell' Adriatico, in particolare nella laguna veneziana. Tra le proposte, quella di farne una farina da miscelare alla pasta di legno per carte pregiate si è rivelata vincente. Così una società armatrice napoletana, la Ecolmare, si è messa a raccogliere con speciali battelli le alghe, con le quali rifornisce uno stabilimento di Marghera che le strizza, le disidrata e le passa in speciali forni fino a che non sono completamente asciutte. A questo punto vengono trinciate e ridotte a farina. Una cartiera vicentina, la Favini, la utilizza, nella misura del 20 per cento (il resto è cellulosa), per carte da scrivere e da stampare di grande qualità. Certo, non sono bianche come vuole il gusto dominante. In compenso, non sono trattate al cloro, con grande vantaggio per l' ambiente. Ancora più interessante è il progetto, sempre Ecolmare per una carta completamente «tree free», cioè prodotta senza alberi. La fibra forte, da miscelare alla farina di alghe, viene fornita dagli scarti di frutta e verdura che restano per terra dopo i mercati e dai rami di albero eliminati con la potatura. Un ciclo vegetale che si rinnova molto rapidamente e che promette materia prima a volontà e a basso costo. Il procedimento, per il momento sperimentato solo in laboratorio ma probabilmente pronto già per la primavera, è sempre il medesimo: i vegetali vengono essiccati, trinciati e ridotti a una farina dalla quale si ricava una carta vagamente verdolina, puntinata di colore più scuro, sempre molto bella da vedere e da toccare. Con una caratteristica in più, però , che la rende ideale per libri stampati pensando all' eternità completamente priva di acidi (ha un pH neutro), non andrà incontro all' inesorabile degrado che nel giro di un secolo colpirà i libri stampati in questi anni, bianchi ma fragili. (m. ver. )


LABORATORIO In orbita solo liti amministrative Agenzia spaziale italiana, scienziati in rivolta
Autore: REGGE TULLIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, RICERCA SCIENTIFICA, LEGGI, FINANZIAMENTO
NOMI: GIACCONI RICCARDO
ORGANIZZAZIONI: ASI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 061

LA storia italiana, e non solo italiana, in questi ultimi anni è ricca soprattutto di cattive notizie, di delusioni e del meno peggio proposto e accettato come isola di salvezza. Purtroppo non posso fare eccezione alla regola e debbo occuparmi, con scarso entusiasmo e residuo senso del dovere, della politica spaziale italiana. L' Agenzia Spaziale Italiana (Asi) è stata istituita con la legge 186 del 30 maggio 1988 e si articola su tre organi: il Consiglio di amministrazione, il Comitato scientifico e il Comitato tecnologico, quest' ultimo con funzioni consultive. Il Comitato scientifico può esprimere proposte vincolanti per un ammontare non inferiore al 15 per cento dei finanziamenti corrisposti all' Asi per attività di ricerca scientifica fondamentale. Il restante 85 per cento, dedicato ad attività industriali, è a discrezione del Consiglio di amministrazione. Se il Consiglio non accoglie le proposte del Comitato scientifico, il Comitato formula nuove proposte. Fino a questo punto la legge pare chiara e inequivocabile ma purtroppo il meccanismo, fatto all' italiana, si è inceppato quasi immediatamente su alcuni punti fondamentali riguardo ai quali Comitato scientifico e Consiglio di amministrazione sono in disaccordo profondo. In sostanza il Consiglio riconosce la percentuale del 15 per cento ma solamente e riduttivamente sui fondi destinati alla ricerca in campo nazionale. Il Comitato ritiene invece che la percentuale vada calcolata su tutti i finanziamenti corrisposti all' Agenzia spaziale. Nel 1991 questa cifra corrispondeva a 106 miliardi di lire. Dei 74 miliardi proposti dal Comitato scientifico solamente 20 miliardi sono stati assegnati dal Consiglio di amministrazione e cifre di poco superiori sarebbero in ballo per il 1992. Il primo e vistoso effetto del taglio dei fondi è uno stato di estrema tensione tra i due organi preposti all' Asi tensione che ha generato un fiume di carta e di precisazioni ma che di certo non giova alle attività dell' ente. Per loro natura le attività spaziali richiedono una perfetta intesa tra ricerca e produzione, tra università e industria. Ove questa venga a cessare è tempo di cambiare rotta. Una buona intesa è oggi un ricordo del passato: e a questo proposito ho preso visione di alcune lettere e documenti che meritano attenzione. La prima è una lettera al ministro della Ricerca scientifica Fontana scritta da Riccardo Giacconi, creatore del telescopio «Einstein» a raggi X, direttore dello Space Telescope Institute ed uno dei più illustri rappresentanti della scienza italo americana. Al momento Giacconi opera in Italia e ha anzi accettato una cattedra di fisica presso l ' Università di Milano. Nella sua lettera dice fra l' altro che « (le sue) iniziative hanno sofferto molto per mancanza di un chiaro indirizzo e per carenze manageriali dell' Asi», che «... l' Asi sembra continuare ad agire al di fuori delle norme e della razionalità scientifica... con la sopraffazione e con attacchi personali». Giacconi chiede infine al ministro di... «intervenire con tutta la sua autorità ». Mi risulta molto difficile ignorare la lettera di Giacconi. Come se non bastasse, sentiamo che cosa dice in proposito Massimo Severo Giannini, uno dei massimi esperti della nostra pubblica amministrazione. Secondo una lettera di Giannini indirizzata all' allora ministro Ruberti, la posizione del Consiglio di amministrazione dell' Asi è «tutta fuori legge: unilateralmente ha modificato lo stanziamento per la ricerca» e potrebbe aprire la via a un futuro intervento della Corte dei conti. In un' altra lettera indirizzata all' attuale ministro Fontana, Giannini rileva come « (nell' Asi) si è venuta a creare una situazione così incresciosa»; «credo sia un atto dovuto rivolgermi a Lei»; poco dopo si legge: «Il Consiglio di amministrazione di tale Ente non solo viola in modo aperto e sfacciato le norme amministrative regolative dell' Ente, ma in alcuni dei suoi componenti propone ed agisce in violazione anche di norme penali». Parole dure. Non sono un esperto di questioni di scienza dello spazio e meno ancora di amministrazione e non ho mai avuto a che fare con l' Asi; al momento sono più che altro un privato cittadino irritato e depresso dalle ondate di scandali che periodicamente travolgono il Bel Paese. Come tale ritengo che, a questo punto, il Consiglio di amministrazione dell' Asi abbia non solo il diritto ma anche il dovere di replicare e di difendersi da accuse quanto mai preoccupanti e qualificate che provengono da direzioni diverse. A sua volta il ministro Fontana deve intervenire al più presto e con decisione per fare chiarezza su tutto l' operato dell' Asi. Tullio Regge Università di Torino


INQUINAMENTO Cura chimica per il mare E' possibile pulire le acque di scarico Contro il petrolio in campo i batteri
Autore: BERTINI IVANO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, CHIMICA, MARE, INQUINAMENTO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C L' inquinamento nei mari d' Italia
NOTE: 062

QUANDO la petroliera «Exxon Valdez» ricoprì di greggio la baia di Prince William in Alaska nel 1989 i ricercatori della Exxon con l' assistenza dell' Agenzia per l' ambiente degli Stati Uniti svilupparono tecnologie capaci di rimuovere il petrolio dalle rocce bagnate dal mare. Il Mediterraneo soffre per la presenza cronica di petrolio dovuta a incidenti e all' infrazione delle leggi che vietano di sciacquare le cisterne al largo. Questo porta alla dispersione di catrame sulle spiagge, il quale ne diminuisce il valore turistico. Il Mediterraneo è da qualche anno minacciato anche da un eccesso di alghe che, quando muoiono, consumano gran parte dell' ossigeno disciolto nell' acqua togliendolo ad altre specie animali e vegetali. Queste alghe sono dovute a sostanze contenenti carbonio, azoto e fosforo che attraverso le acque superficiali vanno a finire in mare. In altre parole, se noi fossimo capaci nella prassi, come lo siamo dal punto di vista scientifico e tecnologico, di purificare le acque sporche prima che esse siano rilasciate nell' ambiente, toglieremmo il nutrimento alle alghe e il fenomeno piano piano scomparirebbe. I chimici sanno capire le trasformazioni delle sostanze, e vedere tali trasformazioni come variazioni delle posizioni reciproche degli atomi. Un po' come le vedeva Lucrezio nel De rerum natura, ma ovviamente con una base scientifica adeguata. Insieme ai microbiologi, che conoscono i microorganismi, e ai genetisti, che ne controllano il codice genetico, i chimici e i biochimici studiano le trasformazioni sia del petrolio sia delle sostanze di scarico di origine civile e industriale presenti nell' ambiente. Noi sappiamo oggi di poter pulire le acque di scarico civile riducendo il loro contenuto in azoto e fosforo fino a livelli tali che il loro danno sia trascurabile. Sappiamo anche che, se sintetizziamo nutrienti per microorganismi e li mescoliamo al catrame e al petrolo in modo tale che essi non siano dilavati dalle acque, i microorganismi si sviluppano mangiando petrolio e nutrienti fino alla completa mineralizzazione di queste sostanze, cioè alla loro trasformazione in biossido di carbonio, acqua e azoto. Questi nutrienti sono un po ' come integratori di dieta per i microorganismi. E' affascinante vedere scomparire petrolio e catrame come successe nella baia di Prince William ad opera di microorganismi che non si vedono] Naturalmente ulteriori problemi sorgono quando il recupero ambientale deve essere assolutamente completo, perché è difficile eliminare l' inquinamento, quando esso è a livello di tracce. Questo è un problema generale quando si voglia recuperare un ambiente inquinato: una tendenza della ricerca è, oggi, quella di progettare enzimi, biocatalizzatori, più efficaci di quelli presenti nei microorganismi naturali e poi di farli diventare patrimonio genetico di quegli organismi. Tali biocatalizzatori, più efficaci, dovrebbero essere capaci di incontrare molecole di inquinanti e degradarle anche quando di queste ce ne sono poche. Un approccio più complesso è necessario per i tensioattivi e microinquinanti di natura industriale. I tensioattivi stanno sulla superficie delle acque e ne impediscono l' ossigenazione. Inoltre i venti li trasportano sulla terra e in particolare sulle foglie degli alberi causando danni alle piante stesse. L' abbattimento dei tensioattivi richiede una loro raccolta separata e un trattamento biotecnologico o termico che li elimini. Una volta immessi nell' ambiente essi sono rimossi con difficoltà. Lo stesso vale per i microinquinanti di natura industriale. Fra questi hanno particolare rilievo i prodotti usati in agricoltura. L' agricoltura è fonte di sostentamento e (forse] ) di ricchezza. Ad essa si chiede raccolto abbondante e di alta qualità. In attesa di altri passi in avanti delle biotecnologie, c' è una pesante immissione di pesticidi nell ' ambiente. Occorre valutare quanti di questi prodotti vanno a finire in mare e qual è il loro destino geobiologico. Infine, proponiamo di usare le alghe tuttora presenti nel mare come sorgente di biomassa per ottenere sostanze utili dalla loro fermentazione e perché no, addirittura plastiche... magari compatibili con il mare, cioè in esso degradabili. Per questo i chimici, insieme con altri scienziati, stanno stendendo un documento per valutare le cause del degrado del Mediterraneo e per iniziarne il risanamento. Su iniziativa del Comitato Nazionale Scienze Chimiche del Cnr e della Società Chimica Italiana, dal 22 al 24 ottobre si terrà a San Miniato (Pisa) un seminario sui progetti di disinquinamento del Mediterraneo, al quale parteciperanno una quarantina di scienziati europei e di altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Anche se la conoscenza scientifica e tecnica ha fatto negli ultimi anni passi da gigante, per ottenere risultati sempre migliori è necessario incentivare la ricerca. Il comitato di consulenza delle scienze chimiche del Cnr, sotto la presidenza di Romano Cipollini, è ben conscio del ruolo che la chimica può giocare su temi di grande importanza e urgenza per il Paese. E per questo, oltre a promuovere iniziative di studio e di divulgazione (ieri i fitofarmaci, oggi il Mediterraneo, domani l' Aids, i nuovi materiali. .. ), sta lavorando intensamente per invertire una tendenza che penalizza finanziariamente la ricerca scientifica. Certo, non sono questi i momenti migliori per chiedere più soldi; ma, non dimentichiamolo, è in gioco la vita dell' umanità e del nostro pianeta. Ivano Bertini Presidente eletto della Società Chimica Italiana


TECNOLOGIA SPAZIALE Una cannonata alla Luna Usa, inconsueto sistema di lancio
Autore: PAPULI GINO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: PROGRAMMA SHARP
LUOGHI: ESTERO, USA, CALIFORNIA
NOTE: 062

UN «cannone» per sparare un satellite sulla Luna, proprio come immaginavano il Barone di Munchhausen e Jules Verne; un lunghissimo cannone, simile al «Centipede» con il quale i tedeschi tentarono, durante la seconda guerra mondiale, di raggiungere Londra sparando dalla costa francese (l' impresa non riuscì e Hitler ricorse alle V2); o come il «supercannone» che Saddam Hussein stava per costruire alla vigilia della guerra del Golfo per colpire Israele. Il cannone di cui parliamo è in costruzione al Lawrence Livermore Laboratory, in California. Si tratta del programma Sharp ( «Super High Altitude Research Project» ), per il quale gli Usa hanno stanziato quattro milioni di dollari. La prima cosa da rilevare è la stretta parentela concettuale che questo sistema ha non soltanto nella sigla con il programma Harp (High Altitude Research Project) ideato dall' ingegnere canadese G. V. Bull; costui fu assassinato in circostanze misteriose due anni fa, dopo aver lavorato proprio alla costruzione del cosiddetto «supercannone» per Saddam Hussein. In realtà, il progetto Harp era stato sviluppato negli anni Sessanta e venne sospeso, prima della fase finale, per la cessazione dei finanziamenti da parte dei governi americano e canadese. Ma evidentemente, l' idea di Bull non era priva di contenuti, visto che è stata rivitalizzata, sia pure con una innovazione sostanziale che consiste nell' aver sostituito la carica esplosiva di lancio (fonte di limitazioni di natura fisica nella velocità iniziale del proiettile) con un gas compresso. Come gas è stato scelto l' idrogeno in quanto esso si espande più rapidamente di gas meno leggeri. Nelle prove in corso proiettili inerti di 5 chili vengono sparati contro un muro di sacchetti di sabbia a 30 metri di distanza. Il tubo di lancio è lungo 47 metri e ha un diametro interno di 100 millimetri; ad angolo retto vi è un secondo tubo, lungo 82 metri e con diametro di 360 millimetri, che costituisce la pompa e al tempo stesso il serbatoio del gas propellente. Partendo dall' estremità periferica di questo tubo, vi è una prima zona contenente metano misto ad aria, cui segue un grosso pistone di acciaio che può scorrere liberamente. Provocando la deflagrazione della miscela metano aria, il pistone viene spinto lungo il tubo, comprimendo istantaneamente l' idrogeno caricato nel tratto principale della condotta. La pressione che si genera raggiunge valori altissimi oltre 4000 atmosfere e frantuma un diaframma posto alla base del tubo di lancio, imprimendo al proiettile velocità di uscita dell' ordine dei 4000 metri il secondo (circa 4 volte quella di un cannone moderno). Le spinte di reazione vengono ammortizzate mediante dispositivi viscosi e masse inerziali da 100 tonnellate ciascuna, scorrevoli su rotaie. Dopo queste prime prove l' impianto saro trasferito nella base aerea Vandemberg, in California, per prove di lancio nello spazio, con la canna inclinata di 45. Per superare i 450 chilometri di altezza si farà uso di proiettili autopropulsi il cui motore entrerà in funzione in un punto avanzato della traiettoria balistica. Passare a lanciatori di dimensioni maggiori come era già nelle intenzioni di Bull che, per gli iracheni, aveva richiesto tubi di un metro di diametro comporta notevoli difficoltà tecniche ma è tra gli obiettivi prioritari del programma Sharp allo scopo di aumentare la massa del carico pagante dalle poche decine di chili a qualche tonnellata. Con ciò si avrebbe una maggiore concorrenzialità del sistema rispetto al vettore razzo. Non va dimenticata, però, la limitazione rappresentata dalla necessità di resistenza del carico (prevalentemente apparecchiature scientifiche) alle enormi accelerazioni dei primi istanti del lancio: accelerazioni che raggiungono i 1500 g, cioè 1500 volte l' accelerazione di gravità Gino Papuli


LA MISSIONE «GIOTTO 2» Ritratto della cometa da vecchia I primi risultati ottenuti dalla sonda europea
Autore: COSMOVICI CRISTIANO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 062

IL secondo incontro della sonda spaziale europea «Giotto» con una cometa periodica, la Grigg Skjellerup (10 luglio ' 92), ha superato le aspettative tecniche e scientifiche. Pur mancando dello strumento fondamentale, la telecamera, la sonda è riuscita a passare a circa 200 chilometri dal nucleo, superando l' avvicinamento con la Halley (600 chilometri). Il controllo della traiettoria si è basato su misure fatte con telescopi al suolo, mentre per la Halley ci furono i dati forniti dalle sonde russe Vega 1 e 2, passate a 6000 e 9000 chilometri dal nucleo cometario. L' incredibile precisione ottenuta è merito dei tecnici dell' Agenzia spaziale europea, che hanno compiuto presso il centro operativo di Darmstadt un vero «esercizio da manuale». Mancando la telecamera, la misura della distanza è data da misure indirette fatte con il fotopolarimetro, uno strumento che misura la luce emessa a varie lunghezze d' onda dal gas e dalla polvere della chioma cometaria, e dal magnetometro, lo strumento che misura l' intensità dei campi magnetici a varie distanze dal nucleo. Da queste e altre misure indirette sembra che la sonda non sia passata, come per la Halley, dal lato diurno, cioè quello diretto verso il Sole, ma lateralmente (parte pomeridiana). Così avremo misure del plasma cometario in tre posizioni distinte: la sonda americana Ice infatti passò nel 1985 nella coda della cometa Giacobini Zinner (parte notturna). Anche se sarà necessario almeno un altro anno per avere i risultati completi degli 8 esperimenti funzionanti (sugli 11 del 1986), possiamo già riassumere alcuni risultati significativi, presentati ad agosto a Washington. I 7 strumenti funzionanti erano i seguenti (l' asterisco indica la partecipazione di ricercatori italiani): magnetometro*, analizzatore di plasma Johnstone*, analizzatore di particelle di polvere*, analizzatore di plasma Reme, analizzatore di particelle energetiche, fotopolarimetro, spettrometro di massa per ioni. L' ottavo esperimento, quello di radioscienza, era «passivo»; non aveva cioè bisogno di strumentazione ausiliaria, ma si serviva dei dati radio trasmessi dall' antenna di «Giotto». Gli analizzatori di plasma (per plasma si intende l' insieme di elettroni e ioni) hanno misurato la presenza di ioni cometari già a 600. 000 chilometri dal nucleo, mentre a circa 18. 000 chilometri si è constatata la presenza di un' onda d' urto molto più marcata di quanto si potesse prevedere per una cometa così poco attiva. Il magnetometro ha scoperto la presenza di fenomeni all' interno del plasma cometario mai visti prima in un plasma naturale. Le prime particelle di polvere sono state misurate a circa 20. 000 chilometri dal nucleo soltanto 20 secondi dopo il massimo avvicinamento: tre sole particelle di cui una «grande» di circa 30 milligrammi, che ha causato una modifica del periodo di rotazione di Giotto di 0, 003 rotazioni al minuto e due piccole, dell' ordine del milionesimo di grammo. Questo numero molto basso (per la Halley alla stessa distanza vi erano già migliaia di impatti sul rilevatore) è dovuto al fatto che uno dei rilevatori, quello più sensibile, era fuori uso, ma anche al fatto che questa cometa conteneva solo lo 0, 75 per cento della polvere della Halley. La produzione di gas è stata invece circa tre volte maggiore di quanto osservato da Terra, ma ciò può essere dovuto al fatto che tale produzione, come abbiamo visto nella Halley, varia considerevolmente in dipendenza del tempo L' esperimento di particelle energetiche ha rivelato sorprendenti differenze strutturali fra le due comete nelle regioni dove le particelle vengono accelerate. I dati dello spettrometro di massa ionico, data la complessità della procedura di identificazione delle componenti chimiche, necessitano di ulteriori elaborazioni. Non dimentichiamoci che proprio grazie a questo strumento fu scoperta nella Halley la molecole organica più complessa mai osservata nello spazio extraterrestre: il poliossimetilene, un polimero della formaldeide. Nella Grigg Skjellerup, dato lo stato di esaurimento del suo combustibile volatile superficiale composto da polvere frammista a gas di radicali semplici come il CN e OH, non penso che vi saranno sorprese dal punto di vista chimico, ma il paragone fra la cometa periodica più attiva e quella meno attiva sarà estremamente utile. Il 23 luglio di quest' anno, a missione ultimata, la sonda «Giotto» è stata «ibernata» per la seconda volta e posta in un' orbita che le permetterà di ritornare nelle vicinanze della Terra nel 1999. Restano appena 4 chilogrammi di propellente a bordo e, malgrado le ottimistiche previsioni di alcuni tecnici dell' Esa, non penso che permetteranno una terza missione cometaria, ma basteranno per compiere manovre di «swing by», cioè di utilizzazione del campo gravitazionale sia terrestre sia lunare per porre la sonda su un' orbita che forse un giorno non lontano ne permetterebbe il recupero per l' analisi nei laboratori terrestri di materiale cometario. Nel caso che gli americani rinuncino definitivamente alla loro missione cometaria denominata Craf, l' unica speranza di una missione che preveda il prelevamento di materiale cometario rimane, per i prossimi 20 anni, la missione europea «Rosetta», che però non è stata ancora approvata dall' Esa, dati i costi molto elevati e la necessità di una tecnologia estremamente sofisticata. «Giotto» rimane la missione scientifica che ha dato i maggiori risultati scientifici nella storia della ricerca spaziale a costi veramente limitati: 200 miliardi per la prima missione e 8 per la seconda. Un esempio da seguire per la nostra Agenzia spaziale che, malgrado i cospicui finanziamenti del governo, non è riuscita ancora a portare a termine una sola missione scientifica nazionale (penso al recente fallimento della missione Tss 1 con lo Shuttle, e alla spesa di oltre 700 miliardi per il satellite Sax programmato 10 anni fa per 32 miliardi e ancora in officina). Cristiano B. Cosmovici Cnr, Istituto di fisica dello spazio


OSSERVARE GLI ANIMALI IN LIBERTA' Sulle tracce degli scoiattoli Il linguaggio di zampe e denti
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 064

S E siete pazienti e fortunati, non vi sarà difficile osservare il comportamento di piccoli mammiferi nei parchi o negli spazi verdi non lontano dalla città. Molti, è vero, sono assai timidi ed escono per mangiare solo all' imbrunire. Lo scoiattolo, invece, ci assomiglia: come noi, è attivo durante il giorno. Per appostarsi con successo, occorre ricordare che hanno vista, odorato e udito molto acuti. E' bene perciò vestirsi con colori scuri e rimanere nel nascondiglio prescelto zitti e fermi. L' attesa non è mai breve: gli impazienti faranno meglio, perciò, a dedicarsi alle impronte. I periodi migliori per osservarle e magari farne uno stampo sono proprio l' autunno e l' inverno, quando le orme restano bene impresse nel fango o nella neve. La sabbia invece non dà lo stesso risultato nemmeno quand' è umida. Seguendo le istruzioni qui a fianco, è possibile fare un calco delle orme che incuriosiscono e poi controllare su qualche libro a quale animale appartengano. Per conservarle nel tempo, è meglio passarvi sopra una vernice chiara. Può essere interessante prendere le impronte di qualche animale domestico e poi paragonarle a quelle dei mammiferi selvatici. I piccoli roditori lasciano raramente tracce sul terreno, in compenso le lasciano su tutto ciò che sgranocchiano, in particolare le nocciole di cui sono ghiottissimi. Ma per raggiungere l' interno, devono prima spaccare il guscio. In genere amano farlo in un posto tranquillo: se trovate uno di questi nascondigli, arriverete a contare anche trecento gusci vuoti.


NUOVO ATLANTE Il fascino dell' Europa vista dal cielo Carte, tabelle e anche 33 immagini riprese con i satelliti
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA, LIBRI
ORGANIZZAZIONI: DE AGOSTINI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 064. «Grande Atlante d' Europa»

L' EUROPA, almeno quella sulle carte geografiche, è fatta. Ci ha pensato De Agostini: il suo «Grande Atlante d' Europa» è nelle librerie. Non soltanto quelle italiane. Anche quelle francesi e tedesche, mentre in quelle spagnole arriverà nel 1993: un' operazione coraggiosa per le dimensioni editoriali ma non soltanto per questo. L' Europa che oggi si può consegnare alle carte geografiche è precaria. La disgregazione sovietica forse non è ancora finita, quella jugoslava è drammaticamente in atto. Da quando il muro di Berlino si è trasformato in macerie vendute come souvenir, i confini sono diventati instabili, vecchi equilibri quasi ogni giorno lasciano il posto a equilibri nuovi e non definitivi. Ma mentre c' è un' Europa che si sfilaccia e che sembra camminare a ritroso nella storia, c' è anche un' Europa, quella del trattato di Maastricht, che va avanti e tende all' unità. E il «Grande Atlante d' Europa» uscito dalla redazione della De Agostini guarda soprattutto a questa marcia nella direzione della storia, pur registrando accuratamente la dissoluzione in corso in altre parti del Vecchio Continente. E' consuetudine, in questi casi, fornire qualche cifra dell' impresa compiuta: per esempio i 26 mila toponimi elencati nell' indice, le 38 immagini da satellite, le 63 schede enciclopediche. E' più importante, però, entrare nel merito della sostanza dell' atlante. Sostanza che, come già per l' «Atlante d' Italia», è atipica rispetto agli atlanti convenzionali. La concezione dell' atlante come un insieme di carte geografiche fisiche e politiche è oggi superata. Le mappe, senza una miriade di altri dati di tipo geologico, demografico, culturale, agricolo, industriale, ambientale e sociale, hanno ben poco da dire. Ed è proprio su questo terreno che il «Grande Atlante d' Europa» gioca le sue carte migliori. Terre geologicamente antiche e terre recenti, la formazione delle catene montuose, i maggiori bacini fluviali, la circolazione delle acque nel Mediterraneo, i climi sono alcuni degli aspetti fisici ottimamente approfonditi. La pelle di leopardo etnica è tra gli aspetti antropologici più efficacemente trattati: si capisce di più da uno sguardo alla cartina dei gruppi etnici delle Repubbliche jugoslave che da tanti complicati discorsi dei quotidiani e dei telegiornali. D' altra parte, se i particolarismi delle regioni e delle etnie, con le loro tensioni, rappresentano un elemento di grande attualità di questo atlante, è anche vero che la sua «filosofia» complessiva è orientata a individuare i fattori unificanti sul piano geografico, storico e culturale. In ciò si può anzi riconoscere, sotteso all' «Atlante», un progetto politico in senso lato, disegno che ne fa una fonte di informazioni indispensabili per chi desidera conoscere l' Europa in cui ci troveremo a vivere nei prossimi anni. Ci sono poi la sezione delle immagini da satellite e la sezione propriamente cartografica. Qui forse si sarebbe potuto fare qualcosa di più. Considerate la mole e l' ambizione dell' atlante, un numero di mappe maggiore, con alcune sezioni a scala più grande per le regioni di particolare interesse, si fa desiderare. Quanto alle 38 immagini da satellite, coprono senza dubbio zone peculiari, dove la visione da satellite fornisce informazioni preziose: il delta del Danubio, per esempio, il golfo di Danzica, la città di Mosca, lo stretto di Messina. Anche in questo caso però rimane il desiderio di vedere l' intera Europa in un mosaico di immagini da satellite omogenee. Qui invece abbiamo riprese dei «Landsat» americani, dello «Spot» francese e dell' «Ers 1» europeo, che hanno caratteristiche di risoluzione e di «lettura» del suolo in bande diverse (specialmente «Ers», che è un satellite attivo, cioè rileva il suolo inviando fasci di microonde). In ogni caso con questo atlante ci troviamo tra le mani uno strumento culturale utilissimo. Che potrà evolversi, così come si evolverà l' Europa. Grande Atlante d' Europa, De Agostini, 272 pagine, 130 mila lire Piero Bianucci


LE DATE DELLA SCIENZA Ma come è generoso questo robot: dà la vita per il bene dell' uomo
Autore: GABICI FRANCO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
PERSONE: ASIMOV ISAAC
NOMI: ASIMOV ISAAC
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 064

LE leggi della robotica di Isaac Asimov hanno cinquant' anni. La loro formulazione, infatti, apparve per la prima volta nel racconto Runaround, uscito nel 1942. Le leggi costituiscono un vero e proprio codice morale per queste creature artificiali che la letteratura fantascientifica ha sempre presentato come nemici potenziali dell' uomo. Incarnando la vicenda dell' apprendista stregone, infatti, il robot prima o poi si ribellava al proprio costruttore e tendeva a prendere il sopravvento. Con le sue tre leggi, invece, Asimov ribalta completamente questo punto di vista presentando i robot come creature artificiali al servizio dell' uomo. Ecco le tre leggi: 1) un robot non deve danneggiare un essere umano nè, attraverso il suo mancato intervento, permettere che un essere umano sia danneggiato; 2) un robot deve ubbidire agli ordini di un essere umano eccetto quando tali ordini entrano in conflitto con la prima legge; 3) un robot deve proteggere la propria incolumità fino a quando questo comportamento non entra in conflitto con le prime due leggi. Curiosità: il termine robot è di origine cecoslovacca ed è comparso per la prima volta nel dramma di Karel Capek intitolato «Rossum' s Universal Robots» (R. U. R. ) pubblicato nel 1920. Il termine, oggi usato in tutto il mondo, deriva da robota, che significa «duro lavoro». I robot di Capek sono esseri meccanici con caratteristiche umane che la moderna terminologia classificherebbe come androidi. Franco Gabici


STRIZZACERVELLO La questione morale
Autore: PETROZZI ALAN

ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 064

La questione morale Questo problema prende spunto da una triste realtà: spesso, quando chiamiamo un artigiano per qualche lavoretto, ci rendiamo conto che questo si protrae ben al di là del previsto, comportando una richiesta economica più elevata. Partendo da questa amara riflessione, estremizziamo il caso: c' è una fila composta da un numero dispari di pali equidistanti tra loro da dipingere. La cosa più breve e più ovvia sarebbe dipingere il primo, passare al secondo, al terzo e così via, ma come eseguirebbe questo lavoro nel modo peggiore un garzone pagato non a ore ma a strada percorsa e quindi interessato a percorrere il tragitto più lungo possibile? Naturalmente supponiamo che il garzone in questione, sensibile alla «questione morale», non compia viaggi a vuoto e quindi cambi verso di percorrenza solo dopo aver finito di dipingere un palo qualunque. La soluzione domani, accanto alle previsioni del tempo. (a cura di Alan Petrozzi)


TORNA LA RABBIA SILVESTRE Volpi e caprioli allo sbando La Jugoslavia in guerra non dispone più degli abituali servizi veterinari Allarme in Friuli, esche con dentro un vaccino che agisce per via orale
Autore: VALPREDA MARIO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 063

RICOMPARE la rabbia silvestre nel Friuli-Venezia Giulia: dall"inizio dell'anno sono già quindici le volpi, abbattute o trovate morte, risultate infettate dal virus. La presenza del patogeno è stata diagnosticata anche in un capriolo che, perso il senso dell'orientamento per i devastanti effetti del morbo, è stato travolto da un'auto nei pressi di Moggio Udinese. Questa pericolosa recrudescenza dell'epidemia rapida, che ora si teme possa dilagare nelle regioni vicine, è una delle conseguenze minori ma non irrilevanti della drammatica guerra che infuria in Jugoslavia. I servizi veterinari di quel Paese, infatti, ormai privi di direzione centrale e tatalmente assorbiti dai problemi dell'emergenza, hanno dovuto necessariamente rallentare gli interventi profilattici contro la rabbia silvestre, peraltro mai definitivamente eradicata dal teritorio dell'ex-confederazione, Anche in assenza di comunicazioni epidemiologiche ufficiali, i continui sconfinamenti di volpi infette sono un chiaro indicatore della gravità della situazione al di là dei nostri confini orientali, soprattutto se si pensa che nella rabbia silvestre si riesce a rilevare non più del 10 per cento dei casi reali. Tra i mammiferi, la volpe è di gran lunga il più recettivo del virus rabido. Per infettarla bastano infatti 12-14 dosi-ratto di virus patogeno, iniettate nei musculi cervicali. Nel cane, al secondo posto della scala di sensibilità all'infezione, occorrono ben 8600 dosi, e inoculate direttamente nel cervello. Inoltre tra i vari carnivori che possono trrasmettere la rabbia con il morso, la volpe è quella che presenta con maggior frequenza (oltre il 90 per cento dei soggetti rabidi) il virus nella saliva e in forti concentrazioni: fino a diecimila volte la quantità che si riscontra nel tessuto nervoso di un cane infetto. Per questo la rabbia silvestre si combatte soprattutto intervenendo sulle volpi. Fino all'inizio degli Anni Ottanta si operava nelle aree infette cercando di ridurre il numero delle volpi a non più di un esemplare ogni 4-5 chilometri quatrati, valore considerato sufficiente a estinguere l'infezione. Ma i sistemi impegnati (caccia, introduzione di gas venefici nelle tane, esche tossiche e trappole), oltre a essere duramente contestati dagli animalisti, erano di ridotta efficacia nelle zone montane. Infatti, spostando l'equilibrio tra il numero delle volpi e la disponibilità di alimenti, di tane e di zone rifugio, si stimolava un rapido ripopolamento, per migrazione di nuovi individui o intensificata riproduzione dei superstiti. La strategia di lotta è radicalmente cambiata con l'impiego dei vaccini attivi per via orale. Stabiliti a temperatura ambientale, altamente immunogeni anche a dosi ridotte, innocui per altri animali domestici e selvatici, questi si sono rilevati decisivi per la vaccinazione in massa delle volpi. Il virus vaccinale viene introdotto in esche naturali (teste di pollo) o sintetiche (miscele di grassi e farine di carne o pesce). Le esche sono disseminate nei pressi delle tane e dei passaggi o,come in Canada, lanciata da piccoli aerei. All'esca può venire aggiunta tetraciclina, una sostanza che funziona come spia dell'avvenuta ingestione; infatti, poiché questo antibiotico si fissa stabilmente al tessuto osseo, esaminando piccole sezioni di osso si può documentare l'assunzione del vaccino. L'efficacia della vaccinazione per via orale è già dimostrata, oltre che dagli eccellenti risultati ottenuti in vari Paesi, Italia esclusa, dalla possibilità di controllare il livello degli anticorpi delle volpi vaccinate. Grazie agli anticorpi monoclonali è infatti possibile distinguere tra risposte da stipiti vaccinali e selvaggi. Se la distribuzione delle esche è sufficiente (12-20 per chilometro quadrato) almeno il 60 per cento delle volpi è protetto dal vaccino. Nel Nord America, oltre che per le volpi, la vaccinazione orale è stata usata anche per il procione, altro riconosciuto serbatoio di infezione. In questo caso le capsule con il vaccino venivano introdotte in hotdog, caramelle gommose e frittelle dolci. I bocconi venivano poi avvolti in fogli di poliestere o alluminio, che attirano particolarmente la curiosità dei procioni. Mario Valpreda


MALATTIE EREDITARIE La Corea di Huntington Quando il corpo si scuote in una danza involontaria
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 063

LE coree costituiscono un gruppo di manifestazioni morbose caratterizzate da movimenti involontari improvvisi, irregolari, incoordinati, variabili. Il termine deriva dal greco khoreia, danza. Ci sono molte forme, per esempio le corea minor o di Sidenham, dovuta al reumatismo articolare acuto, la corea maior a carattere isterico, la post-emiplegica, la post-traumatica. La più importante, oggetto di studi continui ma non ancora definitivi nonostante sia stata descritta per la prima volta ben 120 anni fa, è la corea di Huntington, con carattere ereditario, dovuta a un gene dominante, per cui metà dei figli d'un genitore malato, maschi o femmine che siano, sono a loro volta malati, ben inteso in termini di probabilità. Una caratteristica del morbo di Huntington è di manifestarsi in molti casi tardivamente, fra i 35 e i 45 anni, anche se può cominciare a quaulunque età. Vi è infatti una forma giovanile, con un inizio prima dei 20 anni o addirittura nell'infanzia, e una senile con inizio dopo i 60 anni. Si hanno anche forme così lievi da passare inosservate. Non esiste alcun mezzo per sapere se il morbo si manifesterà. Si aggiunga che una corea dei vecchi può esserci senza alcun rapporto col morbo Huntington, dovuta ad una alterazione cerebrali senili. Un tempo si riteneva che la malattia si presentasse nelle successive generazioni in età sempre più giovane, ma questa anticipazione è stata poi smentita. Se la trasmissione non avviene nei discendenti, la malattia si estingue con la scomparsa del portatore del gene. I movimenti coreici all'inizio sono modesti e transitori, localizzati in una data zona del corpo, poi aumentano di densità e si estendono agli arti, al tronco e al viso. I movimenti involontari del morbo di Huntington sono meno bruschi e repentini di quelli della corea minor, e meno violente le scosse muscolari. I movimenti diminuiscono di ampiezza quando il soggetto è tranquillo e a riposo, e scompaiono nel sonno. La forza muscolare non è compromessa nello stretto senso della parola. Alle alterazioni dei movimenti si aggiungono poi disturbi psichici: dapprima irritabilità, disattenzione, alterazioni del carattere, quindi, anche a distanza di anni, decadimento mentale, indebolimento della memoria, affievolimento dell'affettività. L'unico mezzo di profilassi è evidentemente evitare la procreazione quando esistano prove concrete che nella famiglia vi siano stati casi di morbo di Huntington. Quanto alla terapia, si ricorre a rimedi che attenuano i movimenti anormali, non essendo possibile agire sulla causa nè sui meccanismi biochimici eventualmente responsabili. Numerosi studi sono in atto per individuarne significative alterazioni. Ulrico di Aichelburg


CERVELLO La biologia dello zen Stimoli e inibizioni, ritmo dei neuroni
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: BIOLOGIA, PSICOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 063

IL buddismo, in particolare quello della scuola Zen, ha esercitato una profonda influenza sulla cultura giapponese, incluse le manifestazioni artistiche e letterarie. Recentemente è stato perfino proposto in psicoterapia. La parola Zen è la versione giapponese del termine cinese Ch'an, che deriva a sua volta dal sanscrito Dhyana, tradotto come "meditazione". La parola definisce una regola di concentramento mentale e innalzamento della coscienza fisica all'esclusione degli stimoli e dei pensieri esterni, onde raggiungere un livello di "illuminazione" interiore. Per arrivare alla massima concentrazione sono necessari una disciplina e un allenamento che portino l'individuo a un livello di calma e di rilassamento tale da abolire quasi completamente gli stimoli dell'ambiente. La concentrazione necessaria è raggiunta mediante tecnuiche che controllano la respirazione. A mano a mano che la meditazione diventa più profonda, aumenta anche la separazione degli oggetti e degli stimoli esterni e interni della sfera del conscio. Tale processo è ben diviso in dieci stadi, diversi da quelli di una trance senza percezione del mondo esterno. Al contrario di questa, lo Zen è diretto verso uno stato di coscienza ottimale, particolarmente nei primi quattro stadi (Zazen). Studi compiuti in Giappone hanno dimostrto che durante la meditazione Zen si verifica un abbassamento del metabolismo corporeo di circa il 20 per cento, specie nel cervello (che è il grande consumatore di ossigeno e glucosio). Diminuiscono anche vari riflessi scatenabili mediante stimolazioni sensoriali. L'elettroencefalogramma (Eeg), misuratore dei potenziali elettrici del cervello, presenta variazioni del tracciato caratteristiche per ogni stadio Zen. Stranamente il ritmo cambia dalle onde beta a quelle alfa anche a occhi aperti, iniziandosi dalle regioni frontale e temporale. Con il progredire della meditazione, l'attività rapida alfa aumenta in ampiezza e diminuisce in frequenza fino a trasformarsi in quel ritmo lento chiamato teta nelle fasi finali della meditazione. Dal punto di vista della fisiologia del cervello, la meditazione Zen pare essere una tecnica volontaria atta a potenziare i meccanismi di ibizione normalmente esistenti e che sono fondamentali per la sua funzione. Miliardi di cellule nervose del nostro cervello sono costantemente in stato di attività; tuttavia l'informazione tra cellula e cellula è trasmessa non solo attraverso i processi attivi. Assai importanti sono i processi detti di inibizione a freno. Per rendere i margini di una figura ben delineati è necessario che il contorno sia chiaro. Analogamente per vedere, sentire o percepire un qualsiasi stimolo è necessario che le cellule nervose eccitate da quello stimolo siano circondate da altre che inibiscono i propri. Tale processo di inibizione è presente a ogni livello del sistema nervoso, dal midollo spinale alla corteccia cerebrale. In questo modo il cervello ha la capacità di imparare a ignorare ogni stimolo poco chiaro che lo potrebbe confondere e di filtrare i segnali giunti dall'ambiente. Secondo l'interpretazione più recente di alcuni neurofisiologi americani, la meditazione Zen non sarebbe altro che un'esaltazione volontaria e appresa dei processi di inibizione che sono fondamentali per il funzionamento del cervello. Convergendo l'attenzione sui movimenti respiratori, il meditante Zen non farebbe altro che fornire delle scariche ripetute e prolungate al cervello (provenienti dall'interno) abolendo quelle che arrivano dall'ambiente e che potrebbero distrarlo. L'aumento dell'inibizione è denunciato dalla diminuzione del metabolismo (consumo di ossigeno e glucosio) cerebrale e dal caratteristico passaggio delle onde Eeg da beta ad alfa a occhi aperti. Poiché l'inibizione cerebrale è parte essenziale del processo di informazione, non c'è da stupirsi che la coscienza sia perfettamente mantenuta durante lo Zen, anzi addirittura esaltata. L'esperienza dello Zen insegna dunque che le nostre percezioni e le nostre azioni sono continuamente condizionate e influenzate non solo dall'attività nostra e del cervello, ma altrettanto controllate da processi di inibizione e di freno. Tali meccanismi frenati possono a loro volta essere modificati e influenzati da mezzi psicologici o da tecniche come quella dello Zen giapponese. Sotto questo punto di vista la pratica Zen, le arti marziali che richiedono alta concentrazione e le tante espressioni artistiche giapponesi possono essre compresi in chiave psicologica e perfino neurofisiologica. Ezio Giacobini Università del Sud Illinois


AREE PROTETTE Un invito alle cicogne in volo Nidi artificiali su tetti e tralicci per farle restare e riprodursi
Autore: OSTOLANI MARISA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ECOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: CICOGNOPOLI
LUOGHI: ITALIA, BOLOGNA
NOTE: 063

NEL cielo di Bologna ritorneranno a volare le cocogne bianche. Due coppie di trampolieri, inserite in un'area protetta a Mezzolara di Budrio, alle porte della città, daranno vita a "Cicognopoli", la seconda in Italia dopo quella creata dalla Lipu a Racconigi, nel Cuneese. La città dei trampolieri sorgerà in una delle più belle zone umide della bassa bolognese, che si estende per mille ettari, di cui 70 ricreati a palude e 8 a bosco. Le due coppie fungeranno da richiamo naturale per le cicogne che sorvolano Bologna durante le migrazioni che si svolgono tra agosto e ottobre e febbraio-aprile. Tra il verde e gli specchi d'acqua dell'area protetta - messa a a disposizione da un privato - le cicogne potranno stare in nidi artificiali sui tetti e tralicci. Qui le coppie potranno far nascere e crescere in pace i loro piccoli (il periodo produttivo è tra aprile e luglio) e incrementare così la popolazione della tipica città. Il progetto di reintrodurre la cicogna bianca nel territorio bolognese è sostenuto dalla Provincia di Bologna, dall'Istituto per i beni artistici culturali e naturali e dall'Istituto nazionale per la fauna selvatica. I trampolieri nidificano in tutto il bacino del Mediterraneo e in gran parte dell'Europa del Nor, ma trovano in Italia una pessima accoglienza, a cominciare dalla barbara usanza di sparare sui migratori allo Stretto di Messina. In compenso ci sono oasi protette finanziate da privati, come quella di Faenza che oggi, dopo più di trent'anni, conta una folta colonia tra cicogne svernanti e migrate. Provengono di lì anche le due coppie pioniere inserite a Mezzolara di Budrio a cui è affidato il compito di fare crescre la nuova città dei trampolieri. Oltre all'alimentazione che potranno trovare nel grande recinto attraversato anche da un corso d'acqua, le quattro cicogne potranno contare su un pastone di pesce, pollame e vitamine che alcuni volontari a turno forniscono loro quotidianamente. Marisa Ostolani


SESTO SENSO E' l'intuito che fa la scienza Soprattutto in matematica
Autore: LEONCINI ANTONELLA

ARGOMENTI: PSICOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: FABBRI PAOLO, ROSENSTIEHL PIERRE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 063. Extrasensoriale

L'INTUITO, il presentimento di avere individuato la giusta soluzione, è un importante motore della ricerca: una particolare premonizione sembra aiutare le menti di scienziati e studiosi. Ma questo "sesto senso" non è qualcosa di tangibile come il gusto, il tatto, la vista, l'olfatto: è una particolare facoltà che non ha una spiegazione razionale e rimane al di fuori della coscienza obbiettiva. A Siena nei giorni scorsi si sono incontrati scienziati e studiosi per parlare dei cinque sensi e dell'extra sensoriale, inteso come sesto senso. "E' un comletamento delle altri funzioni umane - osserva Paolo Fabbri, docente di teoria delle forme all'Università di Bologna -, una modalità specifica della conoscenza, che non passa per gli schemi logico-intellettuali ma è il risultato di un apprendimento immediato. L'intuizione finisce per scavalcare i ragionamenti usuali, deduzione, induzione, con manifestazioni più rapide e specifiche". Gli esempi non mancano. " Uno dei casi più interessanti è quello dell'acido acetilsalicilico - continua Fabbri -. Sicuramente l'intuito è stato di grande aiuto agli scienziati hanno ritenuto che l'antidoto alle malattie da raffreddamento dovesse essere ricercato nelle piante che vivono in ambienti molto umidi: i salici, dalle cui foglie si estrae l'acido salico". Soprattutto nella matematica, il sesto senso è grande protagonista. Per Pierre Rosenstiehl, direttore dell'Istituto Ehess di Parigi, molti risultati in matematica sono frutto dell'intuito. Lui lo definisce "metis", l'intelligenza dei furbi, e chiama in causa addirittura Dedalo e il suo mitologico labirinto: "Anche il filo di Arianna è una costruzione che non può essere spiegata se non con l'intuito, che rimane una scienza dello spirito e non del corpo, la vera follia che non risponde a nessuna regola". L'intuito si manifesta attraverso gli altri sensi, ma rimane senza una identità neurologica. "Il cervello è l'elemento privilegiato per le rappresentazioni concettuali e ogni modalità ha una sua regione cerebrale ben distinta - conclude Fabbri -. Il sesto senso, invece, di volta in volta utilizza l'una o l'altra delle capacità sensoriali". Cioè la vista, il tatto, l'udito. l'olfatto, il gusto, che assieme hanno animato un dibattito davvero inconsueto. Antonella Leoncini




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