TUTTOSCIENZE 9 settembre 92


APPELLO DEI PREMI NOBEL PER L' EUROPA Scienziati nella mischia Rita Levi Montalcini: ai politici proponiamo il modello della ricerca Carlo Rubbia: l' unione europea al Cern è già una realtà da molti anni
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, POLITICA, FINANZIAMENTO
PERSONE: LEVI MONTALCINI RITA
NOMI: RUBBIA CARLO, LEHN JEAN MARIE, ALLEGRE CLAUDE, LEVI MONTALCINI RITA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 041

MENTRE i sondaggi in Francia fanno temere un no agli accordi di Maastricht al referendum che si terrà il 20 settembre, i Premi Nobel della scienza si mobilitano per sostenere la marcia dell' Europa verso l' unità. L' iniziativa è partita da Jean Marie Lehn, premio Nobel per la chimica e Claude Allegre, dell' Istituto di geofisica che ha la sua sede a Parigi, in piazza Jussieu. L' istituto è diventato il quartier generale degli scienziati europeisti: qui continuano ad arrivare adesioni e si elabora una strategia per contrastare le spinte nazionaliste francesi e non solo francesi che minacciano di fermare il cammino verso l' unione politica e monetaria. «Noi riteniamo dice il manifesto degli scienziati che la costruzione dell' Europa porti in sè il seme della pace, della fraternità e della prosperità per i popoli del nostro continente. La costruzione dell' Europa, già troppo lenta, non deve essere nè fermata nè ritardata. Ecco perché, al di là delle diversità filosofiche o politiche e delle riserve che si possono avere su aspetti particolari dell' unificazione, noi facciamo appello ai cittadini d' Europa perché approvino in massa il trattato di Maastricht». Tra le prime sono arrivate le firme dei francesi Pierre Gilles de Gennes (Nobel '91 per la fisica) e Francois Jacob (Nobel per la medicina), del tedesco Rudolf Mossbauer (Nobel per la fisica) e degli italiani Rita Levi Montalcini (Nobel per la medicina) e Carlo Rubbia (Nobel per la fisica). Raggiungiamo Rita Levi Montalcini al rientro da un viaggio negli Stati Uniti, dove, nello Stato di New York, si è svolta una conferenza internazionale in suo onore. Signora Levi Montalcini, perché è importante che gli accordi di Maastricht si realizzino? Unire l' Europa significa andare nella direzione della storia. E' venuto il momento di superare per sempre i vecchi nazionalismi, che spesso poi nascondono qualcosa di peggio: il fanatismo e il razzismo, come purtroppo vediamo in questi giorni in Germania e nella ex Jugoslavia. Soltanto unita l' Europa può far valere nella comunità mondiale i valori di cui è custode. Non sembra però che questo ideale sia molto diffuso a livello popolare I sondaggi d' opinione mettono in evidenza una diffusa paura che l' unione europea, oltre a una penalizzazione economica per i Paesi più deboli, comporti una perdita di identità. Questo è un errore di valutazione. Le differenze tra i popoli, culturali ma anche etnologiche, devono essere riconosciute e conservate perché sono una ricchezza. Lo sono, però, soltanto se sapremo guardare a queste differenze in un ambito universale, senza chiuderci in esse. Torniamo all' appello che lei ha sottoscritto. Con questo documento gli scienziati intendono assumere un ruolo trainante anche sul piano politico? E' un' ambizione giustificata dal fatto che la comunità scientifica europea, e non solo europea, opera già come se l' unità a livello continentale, e anche a livello planetario, fosse una realtà. La scienza ha una lingua comune, che è l' inglese. Ha un metodo universale, che è il metodo scientifico. E ha un valore di fondo, che è la fiducia nella razionalità. I successi della scienza si devono a questi punti di riferimento universali. Mi sembra giusto trasferirli anche nella politica internazionale. In questa direzione va anche una mia iniziativa che ho lanciato recentemente a Trieste: una Magna Charta dei Doveri nella quale si afferma che lo scienziato ha anche il compito di dare un esempio di razionalità al contesto sociale in cui lavora. L' adesione di Carlo Rubbia all' appello per l' approvazione del trattato di Maastricht era scontata. Il Cern, di cui è direttore generale, è un esempio concreto dei grandi risultati a cui può portare uno sforzo comune: il centro di ricerca di Ginevra, a cui ogni Paese contribuisce in proporzione al prodotto interno lordo, è oggi il più avanzato nel mondo, le sue scelte scientifiche vengono armonizzate con quelle dei Paesi membri, i laboratori sono uno spazio aperto non solo agli europei ma agli scienziati di tutto il mondo. «L' Europa unita conclude Rubbia i fisici l' hanno già fatta». Jean Marie Lehn, Nobel 1987 per aver sintetizzato molecole capaci di compiere le stesse funzioni di alcune proteine, insiste sugli aspetti culturali: «L' Europa ha detto al "Nouvel Observateur" per me è quella della ricchezza delle culture, scienze incluse, naturalmente. Il trattato di Maastricht è una tappa da superare. Ce ne saranno altre. Ora si tratta di non mancare questo appuntamento. Il nostro è un richiamo ai cittadini, ma anche ai politici, perché guardino più lontano e più in alto». Piero Bianucci


SCOPERTA IN ROMANIA Nella grotta che produce mostri Ventisette nuove specie in un inferno di zolfo
Autore: VERNA MARINA

ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA, ZOOLOGIA
LUOGHI: ESTERO, ROMANIA, DOBROGEA
TABELLE: C D
NOTE: 041

L' HANNO scoperta per caso, alla fine degli Anni 80, mentre trivellavano il terreno calcareo alla ricerca del sito ideale per una centrale termica. Sotto l' altipiano semi arido della Dobrogea, nel Sud Est della Romania, c' era un' immensa grotta, completamente isolata dall' esterno da almeno due milioni di anni. Dentro, ventisette nuove specie animali, alcune imparentate con la fauna della zona, altre con gruppi tropicali, sopravvissuti ai cambiamenti climatici grazie all' isolamento in fondo della grotta. Tra le curiosità, una nepa, un insetto carnivoro che vive sulla superficie dell' acqua e respira l' aria attraverso un tubo addominale: è la prima versione sotterranea di questa specie. E poi batteri, funghi, protozoi, invertebrati, tutti incredibilmente attivi in quell' ambiente umido e saturo di acido solfidrico, dove gli uomini si sono avventurati soltanto con maschere e bombole di ossigeno. L' isolamento che ha permesso questo incredibile fiorire di specie uniche è stato confermato dalle misure di cesio radioattivo: ci sono tracce dell' incidente di Cernobil in tutte le falde freatiche della regione, ma non nella grotta di Movile. Oggi dopo cinque anni di studi, l' Istituto di Speleologia di Bucarest dà l' incredibile notizia insieme a qualche dato sul funzionamento chimico di questo originalissima nicchia ecologica sotterranea. Il perno è costituito dall' acqua che risale in superficie attraverso una faglia profonda più di 400 metri e, nel suo cammino, raccoglie l' acido solfidrico (un gas di zolfo e idrogeno). Insieme, inondano chilometri di gallerie, scavate sotto la superficie di calcari che vengono datati a 13 milioni di anni fa, alla fine del Terziario. L' acqua ricompare in superficie attraverso fonti solforose dislocate in diversi punti: ai bordi di piccoli laghi, vicino a una torbiera e sul litorale sotto il livello del Mar Nero. Il labirinto di gallerie è in larga parte sommerso dall' acqua. La volta è costellata di «campane», vere e proprie sacche d' aria sospese sopra uno strato di acque calme. L' atmosfera è irrespirabile: c' è pochissimo ossigeno (una percentuale che va dall' 1 al 5 per cento), un po' di metano e molto azoto. La catena della vita parte da un velo di batteri e funghi spesso qualche millimetro, disteso sulla superficie dell' acqua e sulle pareti di roccia. Questo velo forma una specie di spugna, nelle cui cavità si sviluppano abbondanti colonie di tiobatteri autotrofi, che decompongono l' acido solfidrico, così come fanno altre otto specie di protozoi ciliati che fanno parte della compagnia. Queste colonie di batteri servirebbero, una volta morte, allo sviluppo di particolari funghi, sui quali vivono due specie di vermi nematodi e diverse specie di collemboli insetti primitivi, senza ali nè metamorfosi che rappresentano i cosiddetti «consumatori primari» della catena alimentare. L' anello successivo è costituito da ragni e coleotteri che vivono negli anfratti della roccia e vanno a catturare le loro prede sul velo di batteri che ricopre le pareti. La fauna acquatica bizzarra e orrenda a vedersi, vive a poca profondità non più di cinquanta centimetri in una zona dove c' è ancora un po' di ossigeno. Questa grotta è un' eccezione o ce ne sono altre, sotto l' altipiano della Dobrogea? La forte porosità dei calcari e l' esistenza di molte gallerie piene d' acqua fanno pensare che questo sistema chiuso si allarghi ben oltre le grotte di Movile. In Europa e in America ci sono molte zone con caratteri simili, cioè acque solforose a contatto con calcari. E d' altra parte, la sintesi chimica da parte di batteri a partire dall' acido solfidrico è già stata provata nelle sorgenti calde sul fondo del mare, lungo le grandi dorsali oceaniche. Marina Verna


LE PAGELLE DEI SETTE GRANDI Italia bocciata in ecologia Ma c' è chi sta peggio di noi
ORGANIZZAZIONI: GRUPPO DEI SETTE
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T I dati d' inquinamento per nazione
NOTE: 041

LA sufficienza piena non la raggiunge nessuno: ognuno dei Paesi industrializzati del «Gruppo dei sette» (Italia, Usa, Gran Bretagna Giappone, Canada, Francia e Germania) ha più di un punto debole nella sua pagella ambientale. Le tabelle, che pubblichiamo parzialmente, appaiono nell' ultima edizione dell' annuario statistico dell' Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). L' Italia spunta cinque primi posti, ma anche tre ultimi. Gli Stati Uniti fanno peggio: tre ultimi posti e un solo primo. Quelli che un tempo erano indicatori di benessere, sbandierati con orgoglio a indicare una crescita inarrestabile, oggi sono resi pubblici con qualche imbarazzo: il consumo di materie prime sta diventando una colpa. Intanto una serie di indagini americane indicano un profondo disincanto per le attuali condizioni di vita. Negli ultimi quarant' anni i Paesi occidentali, di fronte alla scelta tra più denaro e più tempo libero, hanno sistematicamente optato per il denaro. Senza ottenerne, a fronte del disastro ecologico, almeno la felicità. Come si legge nell' ultimo libro del Worldwatch Institute, «How much is enough? » (Quanto è sufficiente? ), gli americani e per estensione coloro che ne hanno assimilato lo stile di vita sono intrappolati in una routine di più lavoro, più oggetti e quindi più distruzione della Terra. Ma questa società dei consumi sarebbe solo una fase transitoria nella storia dell' umanità, ormai chiaramente spinta dalle circostanze verso la frugalità.


CONGRESSO DI RELATIVITA' Per Einstein un matrimonio difficile Si lavora a conciliare gravità e meccanica dei quanti
Autore: REGGE TULLIO

ARGOMENTI: FISICA, CONGRESSO, SCIENZA, ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 042

SI è appena conclusa a Bardonecchia la decima Conferenza italiana sulla Relatività Generale e sulla Fisica della gravitazione. Non è facile spiegare in parole semplici i risultati ottenuti, le speranze e i punti salienti dell' incontro. Non penso che la relatività generale sia più difficile di tante altre discipline. Per apprenderla occorre seguire un piano di studi della durata di alcuni anni esattamente come accade per chi studia il violino oppure il codice ecclesiastico. Ma in ogni caso non la si può spiegare in pochi minuti. La relatività generale ha tre quarti di secolo: apparve nella sua forma quasi definitiva in un lavoro di Einstein del 1917. La gravità newtoniana è un' approssimazione della relatività generale valida per corpi che si muovono con velocità molto inferiore a quella della luce (che nel vuoto è di 300 mila chilometri al secondo). Fino agli Anni 50 esistevano tre prove osservative della relatività generale: l' avanzamento del perielio di Mercurio, la deviazione della luce lungo il bordo del Sole, lo spostamento gravitazionale verso il rosso delle righe spettrali. L' evidenza empirica fu rafforzata dalla scoperta del modello cosmologico del Big Bang e dell' espansione cosmica. Negli anni seguenti il lancio di satelliti e il rapido progresso tecnologico hanno aumentato a dismisura i dati empirici a favore della teoria, che poggia ormai su basi solidissime. Alcune pulsar binarie sono costituite da una coppia di stelle neutroniche con orbite molto ravvicinate misurabili con estrema precisione le cui caratteristiche richiedono la relatività generale per essere spiegate. Il telescopio spaziale «Hubble» ha scoperto una miriade di lenti gravitazionali, lo spostamento gravitazionale verso il rosso è stato confermato da misure molto precise fatte mediante raggi gamma altre conferme provengono dalla triangolazione accurata del sistema solare fatta mediante radar e sonde planetarie. Rimangono molti problemi aperti. La prova dell' esistenza delle onde gravitazionali, predette dalla teoria, è solamente indiretta e poggia sulla lenta perdita di energia da parte di una pulsar binaria. La supernova del 1987 nella Grande Nube di Magellano è esplosa per colmo di sfortuna in un momento in cui tutte le grandi antenne gravitazionali erano ferme per lavori di varia natura. Le previsioni dicono che le onde gravitazionali saranno rivelate entro una decina di anni. Altri contributi di alto interesse dell' incontro di Bardonecchia riguardavano fenomeni vari di astrofisica relativistica. La relatività generale diventa molto importante quando si trattano oggetti molto vicini al collasso gravitazionale come i pulsar (stelle a neutroni) o il nucleo centrale delle galassie o i buchi neri. Infine parte dell' incontro è stata dedicata alla gravità quantistica, ossia al difficile matrimonio tra teoria dei quanti e gravitazione. Questa classe di teorie diventa rilevante quando si tenta di analizzare la geometria dello spazio tempo fino a dettagli spaventosamente piccoli e dell' ordine di 10 alla meno 33 centimetri (zero virgola 33 zeri un centimetro, detta lunghezza di Planck), ossia un miliardesimo di un miliardesimo della scala a cui opera la «luce pesante» scoperta da Rubbia. Per vedere un oggetto qualsiasi occorre utilizzare radiazione (ad esempio raggi gamma) la cui lunghezza d' onda sia dell' ordine del diametro dell' oggetto. Secondo la meccanica quantistica l' energia dei quanti è inversamente proporzionale alla loro lunghezza d' onda. Ne segue che più piccolo è il dettaglio che si vuol vedere più alta deve essere l' energia della radiazione. Per osservare sulla scala di Planck occorrono quanti di energia elevatissima, curiosamente dell' ordine dell' energia chimica di un pieno di benzina ma depositato su di una singola particella (metti un Planck nel tuo tank] ). Un quanto così pesante è in pratica un minibuco nero che crea un campo gravitazionale tale da deformare o distruggere l' oggetto che si vuole osservare rendendo impossibile l' esperimento. Per questa ragione si pensa che sia concettualmente impossibile estendere la geometria ordinaria a lunghezze così evanescenti. Molti fisici e non fisici obiettano che si tratta appunto di una scala dimensionale così piccola da annullare ogni speranza di ottenere un riscontro sperimentale alla teoria. Eppure nel secolo scorso fisici autorevoli come Mach, Ostwald e Kelvin usavano gli stessi argomenti per ridicolizzare la teoria atomica della materia. Mai dire mai. Tullio Regge Università di Torino


SUPERCONDUTTORI «CALDI» La ceramica risparmiosa Nuove tecniche di produzione
Autore: MANFREDOTTI CLAUDIO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, ENERGIA
ORGANIZZAZIONI: SAT
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 042

POCHI campi della fisica e della chimica hanno registrato nel passato un' attività così frenetica come quella che si sta verificando nelle ricerche sui superconduttori ad alta temperatura (che indicheremo con la sigla Sat). Dal 1986, anno in cui Mueller e Bednorz riuscirono a sintetizzare il primo di questi superconduttori, ottenendo il Premio Nobel, il numero di lavori di ricerca pubblicati mensilmente non ha mai smesso di crescere. Al di là delle futuribili applicazioni, la scoperta dei Sat ha portato un nuovo modo di pensare nel campo della scienza dei materiali. I nuovi superconduttori non sono metalli, ma materiali ceramici, ossia i migliori isolanti conosciuti. Si tratta infatti (ma non esclusivamente) di perowskiti, sostanze che, in un campo molto ristretto di composizione chimica, possono passare dallo stato normale (isolante) a uno stato superconduttore e poi a uno stato metallico. Nei Sat, la quasi bidimensionale struttura dei piani reticolari rame ossigeno ha certamente un ruolo fondamentale nell' innesco dei processi superconduttivi, dovuti (pare) alla presenza di stati elettronici liberi in prossimità dei siti ossigeno, legati alla possibilità di variazione di valenza degli ioni rame. Questi stati elettronici liberi, o «lacune», sono essenzialmente i portatori della supercorrente e la loro concentrazione è legata, oltre che alla concentrazione degli ioni rame, alla concentrazione degli ioni ossigeno, che «modula» la conducibilità con un meccanismo molto fine e molto critico. La variazione totale di resistività elettrica, passando da temperatura ambiente a 190 C, è di ben 30 ordini di grandezza e non ha altri riscontri nella fisica. Contrariamente alla superconduttività classica, connessa alla interazione elettrone fonone, non molto sensibile al tipo di struttura, nei Sat la superconduttività è strettamente legata a questa, particolarmente a variazioni di lunghezza di legame di pochi decimi di Angstrom, ossia molto meno di un decimo della distanza interatomica. Sono note da molto tempo le possibili applicazioni dei superconduttori e alcune di queste, come i magneti superconduttori, le giunzioni Josephson, gli Squid, sono ormai di uso più o meno comune. Molte di queste applicazioni sono legate a superconduttori del primo tipo e ad elevate correnti critiche, aspetti oggi non completamente riscontrabili nei Sat. Ma la possibilità di poter operare alla temperatura dell' azoto liquido, facile da ottenere, unita alla non tanto segreta speranza di raggiungere in futuro temperature di funzionamento vicine a quella ambientale, rendono i Sat estremamente attraenti. Questi materiali sono normalmente ottenuti per sinterizzazione delle polveri degli ossidi relativi, almeno per dispositivi di volume o, come si dice, di «bulk». Gli strati sottili o «film», che presentano attualmente attrattive molto più concrete dei materiali di bulk, vengono ottenuti con altre metodiche come coevaporazione, sputtering, laser ablation. Una tecnica particolare (messa a punto presso i Dipartimenti di fisica sperimentale e di chimica generale e organica applicata della Università di Torino) può essere usata in entrambi i casi con successo. Questa tecnica, chiamata in sigla Mod Metal Organic Deposition fa uso di soluzioni di composti metallorganici in solvente organico. Sono molte le possibilità che materiali con resistenza elettrica nulla possono offrire alla tecnologia. Quando i Sat saranno prodotti con facilità, si otterrà un risparmio energetico usando linee elettriche senza dispersione, evitando i trasformatori e le loro dissipazioni; saranno d' uso comune supermagneti con un' infinità di applicazioni, tra cui la diffusione dei treni a levitazione magnetica; saranno disponibili strumenti sensibilissimi come gli Squid (Supercondu cting Quantum Interference Devices) capaci di rilevare campi magnetici da un milione a un miliardo di volte più tenui nel campo magnetico terrestre, che aumenteranno enormemente le possibilità di diagnosi mediche. Meno evidenti sono le spiegazioni della superconduttività ad alta temperatura. Il fenomeno nasconde ancora molti e profondi segreti. Speriamo che siano già nati i successori dei famosi Bardeen, Cooper e Schrie fer che spiegarono la superconduttività a bassa temperatura, 46 anni dopo la sua scoperta. Non possiamo aspettare altrettanto: il nostro mondo corre molto più velocemente di quello dell' inizio ' 900. Claudio Manfredotti Università di Torino


NUOVE LEGHE Le ricette per cucinare metalli Materiali che «ricordano» la loro forma
Autore: PAPULI GINO

ARGOMENTI: CHIMICA, RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 042

PER far fronte alle richieste sempre più esigenti degli ingegneri, la ricerca scientifica è impegnata non soltanto nello studio di materiali completamente nuovi, ma anche nello sviluppo avanzato di sostanze strutturali già note. E' quanto sta avvenendo per le leghe metalliche, ove le più recenti conoscenze sulla loro natura intima hanno aperto prospettive di grande interesse. Il materiale metallico più comune l' acciaio è una lega di ferro e carbonio. Se a questa lega binaria uniamo, ad esempio, cromo e nickel, possiamo ottenere un acciaio che non si ossida. Usando altri metalli e variando le loro percentuali si possono avere leghe adatte a usi particolari. Al di là di queste e di altre ricette della cucina metallurgica tradizionale, vi è la categoria ancora poco esplorata delle «leghe intermetalliche» ottenute dall' unione di elementi che danno luogo a strutture interne «ordinate» anziché «disordinate». Per dare un' idea sia pure sommaria di questo risultato, va premesso che, così come avviene per molte sostanze liquide, la solubilità di un metallo in un altro può variare da percentuali trascurabili (ad esempio piombo e alluminio) a valori totali (oro e argento). Nella maggior parte dei casi la solubilità sta tra i due estremi appena ricordati in relazione alla «affinità » tra gli atomi dei due (o più ) elementi, e può essere influenzata profondamente dalla temperatura. Quando l' affinità è elevata allo stato solido la struttura cristallina della lega assume un ordinamento regolare nel quale le «dislocazioni» (ossia le posizioni) degli atomi se sottoposte a sollecitazioni esterne subiscono scorrimenti senza che si generino fratture. Dunque, a differenza di altre leghe di alta resistenza e dei composti ceramici, questi materiali non sono fragili. A questa caratteristica si aggiungono il peso specifico notevolmente contenuto, la bassissima ossidabilità e l' elevata resistenza alle alte temperature. I primi esperimenti nel settore risalgono al 1959, quando alcuni ricercatori americani scoprirono che alcuni composti di nickel e alluminio, sottoposti a riscaldamento, aumentavano progressivamente la loro resistenza sino a 700C per poi diminuirla. Nel 1977 studiosi giapponesi migliorarono il comportamento della stessa lega «drogandola» con piccolissime quantità di boro. Studi successivi provarono che il boro aveva benefici effetti anche su leghe di ferro alluminio e di nickel silicio, come se agisse da catalizzatore per l' assetto strutturale ordinato. In tempi recenti la ricerca si è allargata a composti intermetallici destinati agli impieghi più svariati e caratterizzati dall' uso di varie altre «droghe» tra cui hafnio e zirconio. Oltre alla già citata prolifica famiglia nickel alluminio con tracce di boro, sono stati messi a punto intermetallici di nickel titanio (capaci di «ricordare» e riprendere la forma loro impressa ad una certa temperatura) e di titanio alluminio, la cui resistenza alle sollecitazioni si mantiene inalterata sino a temperature elevatissime. Quest' ultima famiglia risulta particolarmente adatta alla costruzione di dischi e palette per turbine a gas, ed anche di parti strutturali alle quali si richiedano garanzie di sicurezza in ambiente di lavoro meccanicamente gravoso e chimicamente aggressivo: centrali nucleari impianti chimici, celle di combustione, parti di elicotteri. In prospettiva, gli intermetallici potranno costituire la matrice di compositi con filamenti di carburo di silicio, raggiungendo caratteristiche di resistenza sconosciute ai materiali oggi disponibili. Questo traguardo significherà per fare un esempio banale che potremo avere motori che, a parità di prestazioni con quelli attuali, saranno molto più piccoli, più leggeri, più parchi nei consumi e meno inquinanti. Gino Papuli


A VENEZIA Basilica di San Marco Un laser e un radar ne sorvegliano la salute
Autore: RUSSO SALVATORE

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, EDILIZIA
LUOGHI: ITALIA, VENEZIA
NOTE: 042. Raggio per misurare l' usura

RICORDATE quella specie di pistola laser usata dall' equipaggio del «Moro» per misurare con esattezza la distanza dall' imbarcazione americana? Qualcosa di simile tutelerà il pavimento di San Marco a Venezia. Per fronteggiare l' usura dovuta all' afflusso continuo di visitatori che a migliaia entrano nella famosa basilica, il ministero dei Beni culturali ha deciso di verificare eventuali abbassamenti del delicato piano di calpestio con un sistema laser: il raggio di luce coerente misurerà con estrema precisione il percorso tra l' apparecchio e il suolo. Questa sofisticata attrezzatura resterà in funzione per un anno intero come un «occhio» fisso sul pavimento. Nell' autunno del prossimo anno si avranno i primi risultati. Oltre alla strumentazione che terrà sotto controllo al centesimo di millimetro il grado di usura dei marmi e delle pietre, le fondazioni della basilica saranno ispezionate sino a tre metri di profondità con onde radar: il Gpr, Global Probing Radar, che si serve appunto dell' invio di onde elettromagnetiche sul terreno per verificarne la consistenza. Le informazioni raccolte in 12 mesi con queste tecniche saranno elaborate da un computer per definire gli interventi di restauro. I pavimenti della basilica di San Marco, che presentano oggi diverse crepe, risalgono al XII XIII secolo. E' la prima volta, dopo innumerevoli proposte di intervento, che viene deciso un piano di restauro. Salvatore Russo


A COURMAYEUR Fenomeni esotici nell' atomo
ORGANIZZAZIONI: FERMILAB, CERN
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 042

NON è vero che per sviluppare una fisica nucleare d' avanguardia è sempre necessario disporre di acceleratori capaci di raggiungere altissime energie, come avviene con il Lep al Cern di Ginevra o, negli Stati Uniti, al Fermilab di Chicago. Al contrario, c' è tutta una fisica delle basse energie che continua a dare risultati di grande interesse. Se ne parlerà dal 14 al 19 settembre a Courmayeur, in Valle d' Aosta, alla «Seconda Conferenza biennale sulla fisica degli antiprotoni a bassa energia», che sarà presieduta da Carlo Guaraldo dell' Infn di Frascati. Tra i temi che verranno affrontati, la violazione della simmetria destra sinistra nel microcosmo subnucleare, l' interazione neutroni antineutroni, l ' annichilazione tra quark e antiquark con fenomeni esotici.


AD ANCONA Diagnosi a risonanza magnetica
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 042

LA risonanza magnetica è una tecnica messa a punto di recente che permette di ottenere immagini di organi interni del corpo umano senza danno per il paziente, e di ricavarne informazioni sui processi biochimici che in essi avvengono, informazioni che non sarebbe possibile ricavare da altri tipi di esami, per quanto sofisticati (Tac, Pet). I campi di applicazione diagnostica riguardano soprattutto il cervello e, grazie allo sviluppo di nuove macchine costruite dalla Siemens, lo studio dell' ischemia e dell' infarto miocardico, delle lesioni tumorali e delle patologie addominali in genere. Alla diagnosi di queste ultime tramite risonanza magnetica sarà dedicata una «Scuola di medicina» dell' Università di Ancona che si terrà a Monte Ago dal 10 al 12 settembre.


COPPIE FISSE Tu non basti, meglio lui L' adulterio è largamente praticato anche dalle femmine degli uccelli monogami che per generare i loro figli cercano i maschi con i geni migliori
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ANIMALI
NOMI: BIRKHEAD TIM, MOLLER ANDERS, WESTMAT DAVID
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 043

SECONDO due ricercatori, Tim Birkhead dell' Università di Sheffield e Anders Moller dell' Università di Upp sala, Darwin era un ingenuo. Era convinto che la maggior parte delle femmine fossero strettamente monogame vita natural durante. Per lui, il verbo «tradire» si coniugherebbe solamente al maschile. Le ricerche più recenti, però, gli danno torto: si è scoperto che l' adulterio è largamente praticato dalle femmine degli uccelli, anche da quelle che formano coppia fissa per tutta la vita, come le urie, i germani reali, i topini, i ministri, le cinciarelle, le rondini, i diamanti mandarino. Prendiamo le urie, ad esempio, i tipici uccelli marini, che vengono in terraferma solo nel periodo della cova. Formano coppia fissa e i due partner sembrano indissolubilmente legati. Invece, se mentre il maschio si trova lontano, magari in viaggio di approvvigionamento, alla sua partner viene la voglia di accoppiarsi e lo fa chiaramente intendere mettendosi bocconi per terra e lanciando un grido carico di significato i maschi vicini si precipitano verso di lei, ben lieti di soddisfare i suoi desideri. Appare chiaro da questi e da altri esempi che le femmine non vanno più considerate come vittime passive dell' adulterio, ma lo cercano coscientemente e ne sono attive partecipi. Lo scricciolo australiano Malurus splendens dalla livrea accesa e variopinta è un magnifico uccello che alleva i figli in gruppi comunitari di cui fanno parte un maschio, una femmina e vari aiutanti di sesso maschile che collaborano con la coppia. Sembrerebbe che tutto si svolga regolarmente nell' ambito del gruppo. E invece una ricerca effettuata da Jan Row ley ha rivelato che la paternità del 65 per cento della prole va ascritta a maschi completamente estranei al piccolo gruppo comunitario. A un risultato analogo è giunto David Westmat dell' Università del Kentucky. Ha scoperto che almeno un terzo dei piccoli di quel passeriforme noto con il nome di «ministro» sono figli di maschi vagabondi. Ma che cosa ci guadagna la femmina a commettere adulterio? Lo si può capire negli insetti, nei quali c' è spesso l' offerta di un dono commestibile da parte del maschio. E allora le femmine più si concedono, più cibo ne ricavano. Ma questo generalmente non succede tra gli uccelli e nemmeno le femmine ricevono qualche aiuto nella cova delle uova o nell' allevamento dei piccoli dai maschi vagabondi, i quali, una volta ottenuto il loro scopo, diventano «uccel di bosco». L' ipotesi più attendibile è che a spingerle all' adulterio sia il desiderio di procurarsi geni di migliore qualità per la prole nascitura. Non si concedono, cioè, al primo venuto, ma fanno un' accurata scelta dell' amante. Lo conferma la ricerca di Bart Kempenaers dell' Università di Antwerp sulle cinciarelle (Parus caeruleus), una ricerca condotta per dodici anni su una colonia che aveva fatto il nido in un bosco del Belgio. Le femmine appaiate con i maschi meno attraenti erano quelle più propense ad avere rapporti clandestini con i maschi geneticamente migliori che, guarda caso, erano anche i più longevi. La longevità sembra essere infatti indicativa di buoni geni. Anche le femmine socialmente monogame hanno dunque la tendenza a cercarsi amori extraconiugali, da cui pensano di ottenere buoni geni per la discendenza. Ma debbono fare i conti con i partner legittimi, i quali fanno di tutto per non farsi soffiare la paternità della prole. I maschi delle gazze ricorrono al sistema della sorveglianza ravvicinata. Nel periodo in cui la femmina è fertile, diventano la sua ombra, la seguono dovunque vada e le stanno così vicino che riescono facilmente a intercettare qualunque rivale tenti di accoppiarsi con lei. Ma è dura, per il maschio: seguire passo a passo la femmina significa rinunciare a mangiare. E infatti spesso il marito geloso cala di peso. Ma non sempre una tale sorveglianza corpo a corpo è possibile. Vi sono uccelli, come le urie o gli astori, nei quali esiste una netta divisione dei compiti. A turno uno dei due partner rimane di guardia al nido, mentre l' altro compie un volo di approvvigionamento a largo raggio. Una periodica separazione è quindi di prammatica. Negli uccelli rapaci, non c' è alternanza dei ruoli. Tocca sempre alla femmina rimanere nel nido a covare le uova, mentre spetta al maschio andare in giro in voli di perlustrazione per fare incetta di cibo. Quando il volatore torna a casa, non può mai essere del tutto sicuro che la moglie gli sia rimasta fedele durante la sua assenza. C' è però un modo efficace per garantirsi la paternità della prole: accoppiarsi a più riprese. Centinaia di accoppiamenti consecutivi, con lo scopo preciso di sovrapporre il proprio sperma a quello di un eventuale rivale. I maschi di altri uccelli ricorrono a un diverso stratagemma, quando perdono il contatto con la femmina nel periodo in cui lei è feconda: lanciano alte grida d' allarme. Succede immediatamente un fuggi fuggi generale e anche il rivale che magari in quel momento sta tentando di copulare con la loro compagna se la batte spaventato, lasciando libero il campo al marito legittimo. Capita talora che il maschio, di ritorno da un' escursione, colga la femmina in flagrante adulterio. Ma anche in questo caso non tutto è perduto. Se tempestivamente si accoppia con lei, dopo aver scacciato naturalmente il rivale, vi sono buone probabilità che il suo sperma riesca a trionfare su quello del maschio che l' ha preceduto. Da una ventina d' anni, associata con gli accoppiamenti promiscui, si è affermata la teoria di «competizione spermatica», una vera e propria gara tra gli spermatozoi dei vari maschi (ma anche tra quelli dello stesso individuo), per raggiungere l' ovulo femminile. Negli uccelli, che sono i più studiati da questo punto di vista, è senza dubbio l' ultimo maschio che si accoppia con la femmina prima che lei deponga le uova quello che diventa padre del maggior numero di figli. Isabella Lattes Coifmann


TARLI Intrusi incorreggibili resistenti a tutto anche agli insetticidi
Autore: MONZINI VITTORIO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 043

MORTE agli intrusi] Nelle nostre case, ciò che conta è l' igiene a tutti i costi: non c' è posto per germi, batteri e soprattutto insetti. Gli intrusi però, ben lungi dall' essere sterminati, continuano a coabitare liberamente con noi umani. Formiche, scarafaggi, pesciolini d' argento, tarme e tignole, per non parlare di mosche e zanzare, non sembrano proprio in via d' estinzione. I più tenaci, numerosi e resistenti simbionti delle abitazioni umane sono ancora una volta i coleotteri. A quest' ordine appartengono i principali distruttori di mobili come gli Anobidi, le cui larve sono tristemente note come «tarli». Sono loro in gran parte i responsabili del deterioramento di mobili antichi, soprattutto di quelli costruiti con legno di conifere. Una specie in particolare, l' anobio punteggiato, è conosciuta con l' appellativo di orologio della morte, perché il martellio regolare che produce scavando le sue gallerie nel legno ricorda il battito dell' orologio. Inoltre, un tempo, se il martellio si verificava nella camera di un ammalato grave, veniva interpretato come presagio di morte. Un altro diffuso coinquilino poco gradito è lo ptino ladro: di piccole dimensioni, come tutti i più comuni coleotteri domestici, è simile a un ragno e conduce un' esistenza discreta, mimetizzato tra polveri e pulviscoli depositati negli angoli più appartati. E' attivo di notte e si nutre di sostanze organiche secche di varia natura. Produce danni notevoli a indumenti di pelle e alle pellicce. I Dermestidi, abili simulatori, restano immobili fingendosi morti se appena si sentono oggetto di attenzione. Le specie di questa famiglia frequentano gli ambienti più svariati e le loro larve sono purtroppo molto comuni in tutte le abitazioni, facilmente riconoscibili per un ciuffo di lunghi peli sulla parte posteriore del corpo; d' inverno non è difficile vederlo vagare sui muri o sulle tende alla ricerca di ogni tipo di detrito commestibile. All ' inizio della primavera sfarfallano gli adulti. E' il momento più delicato perché, trascorsi pochi giorni dalla comparsa, cominciano a deporre le uova proprio su quelle sostanze che poi serviranno da primo nutrimento per le future larve. Tristemente noto fra i Dermestidi è l' antreno dei musei (e dei collezionisti di insetti) un vero flagello per le collezioni naturalistiche che, malgrado tutte le precauzioni, vengono letteralmente decimate da questi piccoli coleotteri, resistenti a tutto, anche agli insetticidi. Vittorio Monzini


RISERVA NATURALE SULL' APPENNINO Un abete fuori posto E' il rosso, tipico delle Alpi
Autore: BUONCRISTIANI ANNA

ARGOMENTI: BOTANICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 043

NELL' ALTA valle del torrente Sestaione, sull' Appennino tosco emiliano, è nato un grazioso orto botanico. Mulattiere e sentieri attraversano gli scenari più diversi: rocce, foreste, pascoli, laghi e zone paludose, con una flora molto particolare in suggestive ambientazioni. Esclusiva dell' Appennino settentrionale è una rara specie di primula rosa (Primula apennina). Nelle radure delle faggete e sugli alti pascoli, in luoghi rocciosi e su terreni acidi si trova il sisimbrio di Zanoni (Murbeckiella zanonii), che appartiene alla stessa famiglia del cavolo (crocifere); il caratteristico fiore ha i quattro petali bianchi disposti appunto come una croce. I terreni calcarei sono invece preferiti dalla Globularia incanescens, i cui fiori azzurro pallido sono riuniti, come dice il nome, in globi. Su alcune cime si trova l' Armeria marginata dalle infiorescenze rosa poste sulla sommità di steli molto lunghi. Oltre a queste specie non rintracciabili altrove, la zona ne ospita alcune molto diffuse sulle Alpi ma rare sull' Appennino. Tra di esse il bellissimo Rhododendron ferrugineum dalle foglie inferiormente di color ruggine, che ammanta di rosa le pendici dei monti, la Cicerbita alpina, dai capolini azzurri, la Saussurea discolor, o cardo di Saussure, con foglie senza spine e fiori profumati rosa violetti; infine, della famiglia dei garofani, la licnide (L. alpina) dalle vistose infiorescenze. Tutte queste piante vivono normalmente in ambienti più freddi, sulle Alpi, sui Pirenei e nell' Europa settentrionale. In questo tratto d' Appennino rappresentano, per dir così, ricordi di epoche passate. Lo stesso si può dire dell' abete rosso (Picea abies), dal tronco rosso bruno, che si distingue facilmente dall' abete bianco (Abies alba) per la direzione dei coni: nel primo essi puntano verso il basso, nel secondo verso l' alto. L' abete rosso abbonda sulle Alpi e nell' Europa centrale, ma sull' Appennino si trova solo al passo del Cerreto e nell' alta valle del Sestaione. Questa presenza così lontana dall' habitat naturale ha costituito per molto tempo un enigma; nel 1936 Alberto Chiarugi, botanico dell' Università di Firenze, affrontò il problema attraverso lo studio dei pollini fossili, dimostrando che queste colonie sono i residui delle grandi foreste che nell' ultima epoca glaciale, ventimila anni fa, arrivarono fino al piano. Per proteggere gli ultimi esemplari è stata istituita la riserva naturale di Campolino, non lontana dall' orto botanico: circa cento ettari tra i 1400 e i 1900 metri di quota. Nata vent' anni fa, è stata, in Italia, la prima riserva «orientata», cioè creata per conservare un aspetto particolare della natura legata a un certo territorio. A. Buoncristiani


PIANTE VARIEGATE La chimica che colora le foglie Bianche o verdi secondo il contenuto in plastidi
Autore: ACCATI ELENA

ARGOMENTI: BOTANICA, CHIMICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 043

NON solo verdi, ma anche bianche, con striature o macchie chiare, con i margini o il contorno delle nervature più chiare. Se si osserva un albero o un arbusto a foglie variegate, si nota che non ci sono due foglie uguali. La foglia è una struttura assai complesssa, un vero laboratorio chimico. Sezionandola, si incontra uno strato di epidermide al di sotto della quale si trova un tessuto denominato mesofillo, più o meno sviluppato secondo la quantità di luce che colpisce la foglia. Le variegature sono state notate per la prima volta sull' edera da Plinio il Vecchio, straordinario osservatore della natura, ma si è cominciato a studiarle soltanto a partire dalla metà del secolo scorso, quando i botanici hanno scoperto i cloroplasti (piccoli organi che si trovano nella cellula vegetale, capaci di compiere la fotosintesi), i cromoplasti (plastidi incapaci di compiere la fotosintesi) e le loro relazioni reciproche. Oggi si conoscono molte centinaia di piante a foglie variegate: dall' Acer negundo, al Ficus benjamina, dall' evonimo alla «Silver Queen», coltivata per per farne composizioni assai originali, dalle tuje all' Eleagno. Le parti bianche, gialle, giallo verdi delle piante variegate differiscono per contenuto in plastidi In alcune piante come nella Selaginella, una felce delle regioni tropicali, le cellule bianche non contengono affatto plastidi. In altri casi le cellule bianche contengono plastidi senza colore (leucoplasti). Molte cellule di varietà con foglie screziate di giallo mancano di cloroplasti e hanno cromoplasti contenenti soltanto carotene o xantofilla come, per esempio, alcuni genotipi di Nicotiana, un tabacco ornamentale. In altre specie a fogliame dorato il colore è dovuto alla presenza contemporanea di cellule con cloroplasti e cellule con plastidi bianchi, come avviene nel mais. Nella petunia a foglie variegate, nella stessa cellula ci sono plastidi verdi, giallo verdi e bianchi. Altre volte, come accade nella Hosta sieboldi, una pianta largamente impiegata nei giardini per le bordure delle zone in ombra, vi sono cellule miste con plastidi normali e mutanti. In molte piante la variegatura è dovuta a una degenerazione più o meno pronunciata e talvolta alla distruzione completa dei cloroplasti. Alcuni tipi di variegatura sono influenzati dalle condizioni ambientali, come la temperatura e la luce. Nella Hosta e nella Lunaria annua (conosciuta con il nome di monete del Papa perché a maturità forma grandi, trasparenti silique) la variegatura dipende dalla temperatura. Ci sono piante in cui la bassa intensità luminosa riduce la variegatura, mentre l' elevata illuminazione induce i plastidi a divenire bianchi. Anche la qualità della luce ha la sua importanza: la luce blu e verde causa l' inverdimento, mentre quella gialla e rossa agisce in modo opposto. Nel caso di alcuni pelargoni (conosciuti erroneamente come gerani), soltanto in presenza di luce fioca le foglie divengono verdi. A 32 C le foglie della segale diventano clorotiche. Gli stress ambientali possono alterare l' espressione del genoma stimolando la formazione di nuove proteine o la repressione di proteine normalmente presenti. Grazie al microscopio elettronico, i botanici hanno potuto conoscere la struttura interna dei cloroplasti e vedere che contengono il loro specifico Dna; sono perciò corpi geneticamente indipendenti. L' ultrastruttura dei plastidi «difettosi», come si incontrano nelle piante variegate, differisce da quella dei normali cloroplasti in quanto i primi non posseggono l' amido e hanno le lamelle semplici nei tilacoidi. Nel caso in cui la variegatura sia dovuta a plastidi completamente degenerati, si verifica l' accumulo della clorofilla sotto forma di goccioline, seguito dalla distruzione dei tilacoidi, dalla comparsa dei vacuoli (cavità ) e, alla fine, dalla demolizione e lacerazione della membrana esterna. In alcuni casi le piante variegate hanno un accrescimento stentato, altre volte crescono bene se non addirittura meglio di quelle completamente verdi. Esiste una Hosta a foglie gialle che si accresce assai più rapidamente di quella normale, a foglie verdi. Per spiegare questi comportamenti è stata proposta una affascinante teoria: una specie di parassitismo, per cui la presenza di cellule bianche stimolerebbe l' attività fotosintetica delle cellule verdi, compensando l' incapacità delle bianche di svolgere il processo fotosintetico. Sono i mutui scambi, gli aiuti reciproci a cui si assiste in natura. Che cosa fa sì che una cellula rimanga verde o diventi bianca? Alla fine dell' 800 si diceva che il destino di una cellula dipendeva dalla sua posizione; oggi, invece si ritiene sia il frutto di processi di sintesi, diffusione, reazione di molte sostanze ormonali e di sintesi e di accumulo di enzimi specifici. Elena Accati Università di Torino


DIABETE Un nuovo reo, il latte vaccino Meno colpiti i bambini nutriti dalle madri
Autore: PORTA MASSIMO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, SANITA', BAMBINI, RICERCA SCIENTIFICA, STATISTICHE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 044

CON «malattia autoimmune» si intende una situazione nella quale il nostro organismo non riconosce più come proprie alcune sue celule o strutture ma, ritenendole estranee, scatena contro di esse i propri meccanismi di difesa immunitari. Una quindicina di anni fa l' identificazione di particolari anticorpi nel siero dei diabetici rafforzò l' ipotesi autoimmune anche nel caso del diabete insulino dipendente, dove il bersaglio sarebbero le cellule «beta», raggruppate in particolari strutture del pancreas, dette «insulae» che producono, appunto, l' insulina. Rimangono però molti punti oscuri: non sappiamo quale particolare molecola, o gruppo di molecole, l' organismo improvvisamente disconosca, nè quando o come ciò avvenga. Tutti gli anticorpi riconoscono strutture, in genere proteine o parti di esse, estremamente specifiche: quelli anti insula sono diretti contro proteine che si trovano non alla superficie delle cellule beta, dove sarebbero direttamente a contatto con il sistema immunitario, ma nascoste al loro interno. Non sappiamo, infine, perché a un certo momento della vita si scateni questo meccanismo nefasto. E' possibile che certe malattie virali, soprattutto la parotite e le infezioni da virus del gruppo Coksachie, coinvolgano anche le cellule beta, danneggiandole e portando a contatto del sistema immunitario molecole che, in condizioni di salute, rimangono da esso separate. Una pubblicazione di ricercatori finlandesi e canadesi, comparsa di recente sul prestigioso New England Journal of Medicine, sembra fare nuova luce Secondo quei ricercatori, l' avvio della reazione autoimmune che conduce al diabete andrebbe ricercato nientemeno che nel consumo di latte di mucca durante la primissima infanzia. Partendo dalle osservazioni che certi ceppi di roditori geneticamente predisposti al diabete non sviluppano la malattia se non vengono nutriti con diete contenenti latte di mucca e che, in Finlandia, l' incidenza del diabete è molto più bassa negli individui alimentati esclusivamente con latte materno, essi hanno identificato anticorpi diretti contro l' albumina bovina nel siero dei bambini diabetici. Nell' albumina bovina, ma non in quella umana o di altre specie animali, esiste infatti una sequenza di 17 aminoacidi identica a quella contenuta in un' altra proteina, denominata con la sigla p69 che si trova all' interno delle cellule beta. Ricordiamo che le proteine rappresentano unità funzionanti di tutte le cellule viventi e sono formate da catene composte da venti unità base, unite fra loro in combinazioni e quantità praticamente inesauribili: gli aminoacidi, appunto. Non è perciò impossibile che due proteine, benché appartenenti a specie animali diverse, possano condividere brevi sequenze identiche. Il problema sorge quando anticorpi diretti contro una determinata sequenza finiscono per riconoscerla all' interno di più proteine. E' appunto il caso di molte malattie autoimmuni e, sembrerebbe, anche del diabete. L' uso di latte di vacca nelle preparazioni in polvere per la primissima infanzia esporrebbe, nell' intestino ancora immaturo del lattante, l' albumina bovina al sistema immunitario, che la riconoscerebbe come estranea e produrrebbe anticorpi diretti contro di essa. Successivamente rimarrebbe nella «memoria immunologica» la capacità di sintetizzare gli anticorpi che riconoscono la sequenza di 17 aminoacidi contenuta anche nella proteina p69. Particolarmente interessante è che la p69 si trova costitutivamente all' interno delle cellule beta ma viene esposta alla loro superficie per opera del gamma interferon, una sostanza prodotta dall' organismo in risposta a infezioni virali. Ecco che, in soggetti geneticamente predisposti, la comparsa di una o più malattie da virus potrebbe presentare al sistema immunitario la proteina p69, risvegliando la memoria immunitaria anche anni dopo la prima infanzia e innescando la progressiva distruzione delle cellule beta. Concentrazioni elevate di anticorpi anti albumina bovina sono state effettivamente trovate nel siero di tutti i 142 bambini diabetici esaminati ma in nessuno dei 79 soggetti di controllo. Per di più, circa due terzi di questi anticorpi riconoscevano specificamente sia la sequenza di 17 aminoacidi contenuta nell' albumina bovina che la proteina p69. Infine, mentre gli anticorpi erano presenti nel 100% dei bambini all' esordio del diabete, la loro prevalenza si riduceva a meno del 40% dopo uno due anni di malattia, quando ormai le cellule beta sono del tutto distrutte e, causa la mancanza di un bersaglio, la memoria immunologica torna ad assopirsi. Non c' erano invece differenze fra i due gruppi di soggetti per quanto riguarda gli anticorpi diretti contro altre proteine del latte di mucca. E' affascinante come sia stato possibile dimostrare una serie di passaggi logici con esperimenti eleganti e rigorosi. Tuttavia è d' obbligo la prudenza prima di incriminare il latte vaccino per strage di beta cellule. L' unico anello mancante nel lavoro del New England Journal of Medicine è proprio la dimostrazione che i bambini diabetici esaminati fossero stati nutriti con latte di mucca nei primi mesi di vita. In secondo luogo, non tutti gli individui che, per vari motivi, sono stati nutriti con latti artificiali sviluppano poi il diabete e ciò lascia presupporre l' esistenza di una larga componente genetica ancora tutta da esplorare. I dati hanno per ora superato il vaglio del controllo sperimentale e poi quello dei revisori di una rivista scientifica nota per rigore e serietà. Se sarà possibile riprodurre i risultati in altri laboratori potremo, forse, considerarli un altro passo importante nella faticosa strada verso l' identificazione delle cause del diabete. Massimo Porta Università di Torino


IMMUNOLOGIA Sono triste, e mi ammalo Il sistema nervoso influenza le difese
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: PSICOLOGIA, MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 044

IL progresso delle conoscenze e delle tecniche immunologiche permette oggi di approfondire lo studio delle modificazioni immunitarie nelle psicosi, sì da fare dell' immuno psichiatria una disciplina nuova. Si tratta d' un complesso di ricerche nel quadro delle interrelazioni fra sistema nervoso centrale e sistema immunitario. O, meglio, per usare un' espressione attuale, siamo nel campo della neuro immunomodulazione: il sistema nervoso, attraverso molteplici vie, «modula» le reazioni immunitarie. Nella sintomatologia depressiva questo ruolo modulatore è evidente. Buona parte dei pazienti presenta auto anticorpi anti nucleari, anti Dna, anti Rna e anti istone, questi ultimi una varietà di anticorpi contro l' istone, proteina basica associata al Dna. Si è dimostrata inoltre una diminuzione della capacità proliferativa dei linfociti cellule del sangue della cui importanza per l' immunità è superfluo dire. Ci si può domandare se tutte queste alterazioni implichino necessariamente una diminuzione delle capacità di difesa contro eventuali aggressioni infettive o tumorali. La risposta non è semplice. In realtà è raro osservare altre sintomatologie associate alla depressione, tuttavia è logica l' ipotesi che queste alterazioni rappresentino una potenzialità per lo sviluppo di una contemporanea patologia somatica. Riguardo alla schizofrenia si sono intensificate le ricerche su un' eventuale eziologia immunitaria o virale. In 285 schizofrenici si è dimostrato un nettissimo aumento di anticorpi contro il virus herpes simplex tipo 1. Successivamente sono stati trovati anticorpi anticytomegalovirus Si riscontrano anche autoanticorpi, che non si esclude possano essere la conseguenza di infezioni virali. A parte ciò, risulta che gli schizofrenici abbiano reazioni immunitarie particolari, per esempio forti reazioni di ipersensibilità all' iniezione intradermica di estratti di cervello umano. Talora aumentano i linfociti B (produttori di anticorpi) e diminuiscono i linfociti T, che hanno compiti difensivi diretti. Infine si è vista una forte diminuzione dell' interleukina 2, prodotta dai linfociti T con un ruolo importante nel sistema immunitario. In complesso si può ravvisare nella schizofrenia un particolare profilo immunologico, pur non essendo confermata finora nè l' ipotesi virale nè quella autoimmune. Profonde anomalie immunologiche si osservano nei casi di demenza. Valga l' esempio del morbo di Alzheimer: studi anatomici e bichimici del cervello hanno dimostrato modificazioni immunologiche da ritenere importanti per la patogenesi. La neuro immunomodulazione ha avuto un' evoluzione rapida. Il suo primo intento è stato quello di conoscere le interazioni fra sistema nervoso centrale e immunità, poi è nata l' immuno psichiatria, la quale ha dimostrato che molte malattie mentali si accompagnano con modificazioni dell' immunità. I futuri studi dovranno chiarire il ruolo del sistema immunitario nell' origine di tali malattie: potrebbe nascere un modo nuovo di concepire la psichiatria. Ulrico di Aichelburg


ORMONE SOMATOTROPO Ma ha davvero senso curare la vecchiaia come fosse una malattia?
Autore: TRIPODINA ANTONIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, GENETICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 044

AUMENTA l' interesse scientifico per quello che viene ancora definito «ormone della crescita», o GH (Growth Hormone). L' interesse deriva dalla sempre più chiara evidenza dell' importante ruolo che questo ormone svolge anche al di fuori del periodo dell' accrescimento. Ruolo che si esplica, in ogni fase della vita, sulla regolazione del metabolismo degli zuccheri, dei grassi e delle proteine, sull' equilibrio idro elettrolitico e sulla risposta immunitaria, con un' influenza da protagonista sulla nutrizione dei tessuti adiposo, muscolare e osseo. Si comprende pertanto come possa essere più appropriato l' altro termine con cui è anche indicato, quello di «somatotropo». Notevole impulso alla ricerca deriva dall' avere finalmente a disposizione grandi quantità di GH bio sintetico, per cui è possibile la sperimentazione di nuove e suggestive applicazioni, diverse dal ritardo dell' accrescimento. La più stimolante è senza dubbio la prevenzione e la cura di alcuni aspetti dell' invecchiamento. L' ormone della crescita, o somatotropo, è sintetizzato dall' ipofisi sotto la modulazione del sistema nervoso centrale, tramite la liberazione di due neuro ormoni, uno stimolante (il «releasing hormone» GH RH) e uno inibente (l' «inhibiting hormone» somatostatina). La complessa interazione fra questi due neuro ormoni fa sì che il GH (analogamente a quanto avviene per gli altri ormoni ipofisari) sia liberato in maniera intermittente nel corso delle 24 ore, con un picco nelle prime fasi del sonno notturno. Il GH RH e la somatostatina sono a loro volta controllati da una complessa rete di neuro trasmettitori (catecolamine, serotonina, acetilcolina) sollecitati da modificazioni ambientali, metaboliche, endocrine. Una volta messo in circolo, il GH svolge la sua azione biologica mediante la sintesi (da parte del fegato e di altri tessuti periferici) di una famiglia di peptidi, la più nota delle quali è la somatomedina C o IGF I (Insulin Growth Factor I), che agisce da effettore finale. Nel corso della vita la secrezione di GH va progressivamente riducendosi, fino a essere pressoché nulla nei soggetti anziani, con una parallela netta riduzione dei livelli di somatomedina C. Di pari passo si verifica un aumento della massa grassa, una riduzione della massa magra, una riduzione di forza e capacità di lavoro muscolare, un indebolimento delle ossa. La non estraneità della carenza di HG in tale declino fisico è dimostrata dall' efficacia del trattamento con tale ormone nell' indurre la normalizzazione dei livelli di somatomedina, la riduzione della massa grassa, l' aumento della massa magra, con un conseguente miglioramento morfologico e funzionale di tutto l' organismo. Qualcuno forse ricorderà l' esperimento di ricercatori americani che, avendo somministrato HG biosintetico a un gruppo di persone di oltre 60 anni per un periodo di tempo superiore ai sei mesi, hanno potuto constatare un aumento del 9% della massa magra, una riduzione del 14% del tessuto adiposo un aumento del 7% dello spessore della pelle e un aumento della densità ossea nella colonna vertebrale dell' 1, 6%. Il dato veramente nuovo è che gli anziani che conservano una discreta escrezione di HG presentano segni di invecchiamento minori rispetto agli anziani che ne emettono di meno, probabilmente per una alterazione funzionale dell' ipotalamo. Ricerche condotte presso la Divisione universitaria di endocrinologia di Torino hanno messo in evidenza come la capacità di sintetizzare GH da parte dell' ipofisi non vari con l' età, essendo quella di un anziano del tutto simile a quella di un giovane. L' insufficiente secrezione che si verifica nella maggior parte degli anziani è l' espressione di un' alterazione dei meccanismi di controllo da parte dell' ipotalamo, per un' esagerata inibizione da parte della somatostatina o un ridotto stimolo da parte del GH RH. Questi risultati fanno intravvedere la possibilità molto futuribile di «sbloccare» con adeguate manipolazioni farmacologiche il somatotropo inibito, in modo da contrastare gli aspetti dell' invecchiamento dovuti a una sua carenza. Alcuni contestano in linea di principio la liceità di queste «aspirazioni», dato che la vecchiaia andrebbe considerata una condizione fisiologica e non patologica. Ma in base a questi presupposti non avremmo neanche le terapie sostitutive ormonali in menopausa, essendo anch' essa una condizione fisiologica. Antonio Tripodina


LABORATORIO L' aspra gara per i fondi Documento Usa decide le priorità
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, STATISTICHE
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T Dati sulla ricerca in Usa e in Italia
NOTE: 044

UN documento di 314 pagine, 700 note e oltre 1000 citazioni influenzerà la ricerca americana per i prossimi anni. E' il rapporto della commissione del Congresso chiamata Office of Technology Assessment (Ota) dal titolo «Fondi federali per la ricerca: decisioni per un decennio». Uno dei compiti principali del documento è quello di fissare le priorità. Seguono l' esame della spesa per la ricerca, la preparazione dei bilanci per i fondi l' analisi degli uomini a disposizione. Il rapporto riconosce che il criterio dominante nella scelta dei campi scientifici da finanziare dev' essere il merito scientifico, pur non trascurando l ' aspetto educativo e il potenziamento della produttività scientifica. Uno dei compiti più difficili è quello di assegnare la precedenza ai vari campi scientifici. La comunità scientifica è tenuta a indicare e suggerire le proprie priorità, ma spetta al Congresso scegliere tra aree altamente meritorie dal punto di vista scientifico, megaprogetti (specie nel campo della fisica nucleare) e varie branche e agenzie statali, come l' Istituto per i tumori o quello per la senescenza. Ovviamente l' aspetto finanziario domina il documento. La ricerca diventa sempre più costosa a causa di un aumento progressivo del costo delle apparecchiature. L' attrezzatura di un laboratorio medio di biologia negli Anni 50 consisteva di pochi strumenti che costavano pochi milioni di lire, mentre oggi ne occorrono centinaia. La spesa della ricerca negli Usa è quasi triplicata negli ultimi trent' anni, da 7 miliardi di dollari nel 1960 a oltre 21 nel 1990. Il numero dei ricercatori è cresciuto del 60 per cento in un decennio (1977 1987). Poiché l' aumento del numero di ricercatori e di laboratori è stato maggiore dell' incremento dei fondi, è più difficile ottenere un finanziamento oggi che non dieci o vent' anni fa. Anche in Italia è aumentato il numero dei ricercatori, ma proporzionalmente assai meno che altrove Risultato: l' Italia ha oggi la metà dei ricercatori francesi e un terzo di quelli tedeschi. I contributi dello Stato al Cnr (Centro Nazionale Ricerche) sono rimasti fermi al livello di dieci anni fa. Anche negli Stati Uniti la situazione si è fatta più difficile e su cento domande di finanziamento rivolte alla maggiore agenzia federale, l' Nih (National Institute of Health), solo dieci ottengono dei fondi. La percentuale di successo è caduta anche per Università come Stanford o Harvard. Bisogna tenere presente che il 90% degli stipendi dei professori di università private in Usa non sono sostenute (come in quelle statali) dall' Università, ma con autofinanziamenti su fondi personali di ricerca. E' tipica la storia di quel professore di Harvard a cui venne tolto l' uso del telefono per due mesi tra un finanziamento e l' altro. L' 80 per cento dei ricercatori laureati (Ph. D. ) in Usa è impiegato presso una università e ha l' ambizione di formarsi un proprio laboratorio. Questo porta ovviamente a una forte concorrenza e alla difficoltà di procurare fondi adeguati per tutti. Di qui la selezione dei campi scientifici e l' importanza delle scelte fatte a livello del Congresso. Oggi in testa c' è lo studio della senescenza, perfettamente comprensibile se si pensa che gli americani oltre i 65 anni sono 33 milioni e assisterli costa 170 miliardi di dollari all ' anno. E l' Italia? Secondo i dati ufficiali, nel 1988 è stato speso circa l' 1, 2 per cento del prodotto nazionale lordo nella ricerca, contro il 2 per cento in Francia e in Inghilterra e il 3 in Germania. La spesa per la ricerca sul cancro è stata ridotta e non è stato più rinnovato il relativo progetto finalizzato del Cnr, dato che non ci sono i 35 miliardi di lire che servirebbero. Ezio Giacobini Università del Sud Illinois




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