TUTTOSCIENZE 5 agosto 92


CETACEI DEL MEDITERRANEO Balene e compagnia bella Nel Tirreno a spiare i giganti del mare
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI, MARE, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: MARINI LUCA, NOTARBARTOLO GIUSEPPE
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C
NOTE: 021

Q UANDO il battello esce dal porticciolo di Sa Petra affondato tra gli oleandri il sole è ancora basso sull' orizzonte, grande disco rosso che annuncia un' altra giornata torrida. Ora, mentre il potente motore fa impennare la barca e il molo frangiflutti diventa in pochi istanti un tutt' uno con la costa di granito rosa Luca Marini prepara binocolo e registratore ed affronta una nuova giornata di lavoro. Il lavoro di Marini, 31 anni, naturalista del Dipartimento di biologia animale e dell' uomo dell' università La Sapienza di Roma, consiste nel cercare i delfini nel mare della Costa Smeralda. Prima che gli yacht dei vacanzieri lascino i moli di Porto Rotondo e di Porto Cervo esce a scrutare il mare, a parlare via radio con i pescherecci che lavorano al largo per individuare i branchi, raggiungerli, contare gli individui, esplorarne le abitudini, studiarne i rapporti con la pesca; tutte cose che, nonostante il gran parlare che se ne fa, restano ancora in gran parte sconosciute. Marini e la sua equipe di studenti e giovani laureati hanno già al loro attivo una campagna di avvistamento di cetacei nel Tirreno Centrale, svolta sotto la direzione del professor Carlo Consiglio tra l' 89 e il ' 90, sui cui risultati è stato appena pubblicato un libro. Allora avevano trovato la collaborazione delle Ferrovie, che per tre anni hanno consentito ai ricercatori di viaggiare sui traghetti che collegano Civitavecchia al Golfo Aranci per studiare in particolare la balenottera comune. Per questa nuova impresa hanno trovato l' appoggio del porto di Sa Petra; i responsabili del moderno porto incastrato nella costa di Portisco hanno messo a disposizione il supporto logistico; con la partecipazione a questa ricerca scientifica vogliono sottolineare la vocazione ecologica del porto e il collegamento con la comunità locale, in cui la pesca e le attività marittime conservano un peso notevole. A mano a mano che le conoscenze aumentano ci si rende sempre più conto che il Mediterraneo ospita un numero ragguardevole di cetacei, anche di grandi dimensioni. Per tracciare la mappa della loro presenza sono al lavoro numerosi gruppi. A Milano, al Museo di storia naturale, lavora il professor Luigi Cagnolaro, figura carismatica della cetologia italiana, che dall' 85 ha organizzato lungo le coste della penisola una efficiente rete per la registrazione degli spiaggiamenti e per studiarne le cause; c' è inoltre l' organizzazione Tethys di Giuseppe Notarbartolo di Sciara attiva ormai da alcuni anni; c' è infine Greenpeace e ci sono molte associazioni locali. Il lavoro da fare è ancora enorme: poiché in Mediterraneo i cetacei non sono mai stati oggetto di caccia industriale non sono mai state fatte indagini su di essi, come invece è avvenuto nei mari soggetti a sfruttamento intensivo. Solo in questi ultimi anni nel libro della cetologia mediterranea sono stati messi alcuni punti fermi. Si è stabilito, per esempio, che la balenottera comune (dopo la balenottera azzurra è l' animale più grande che sia mai vissuto sulla Terra; lunghezza massima nel Mediterraneo 21 22 metri, un po' di più negli oceani) è piuttosto frequente; proprio sulla base della ricerca svolta con la collaborazione delle Ferrovie, Marini si è convinto che sia stanziale e che si riproduca nei nostri mari, ma quando e dove ciò avvenga (basso Tirreno? ) ancora non si sa; è stato accertato invece che le balenottere risalgono il Tirreno in maggio dirette nel Mar Ligure e nel mare della Provenza; grazie ad un fenomeno chiamato «upwelling», consistente nella risalita dal fondo di acque fredde e ricche di sali minerali, questo mare è assai ricco di fitoplancton questo è alla base della produzione di zooplancton, cioè dei minuscoli crostacei (in particolare copepodi) che costituiscono il cibo principale delle balenottere, cetacei appartenenti al sottordine dei misticeti in cui i denti sono sostituiti dai fanoni. Più rare sono la balenottera minore e la balenottera boreale; in passato è stata segnalata anche qualche gigantesca balenottera azzurra; c' è anche qualche orca, ma rara perché nei nostri mari mancano le grosse prede (in particolare le foche) di cui si nutrono Sembra invece del tutto scomparsa la balena franca boreale, l' ultima delle quali fu vista nel Golfo di Taranto alla fine dell' 800. Nel Tirreno meridionale è frequente il capodoglio, il più grande (fino a 18 metri) degli odontoceti, cioè dei cetacei muniti di denti; mentre negli oceani vive in grandi branchi, nel Mediterraneo si incontrano perlopiù individui solitari che si dedicano alla pesca di polpi e calamari immergendosi fino a due tremila metri. Sono spesso le vittime predestinate delle spadare, le lunghe reti derivanti, in cui rimangono impigliati senza poter più risalire in superficie per respirare. Tra i delfinidi la specie più comune nel Mediterraneo è la stenella striata, lunga circa due metri, slanciata, dorso scuro, fianchi con strisce longitudinali e ventre bianco; vive al largo in branchi consistenti. Il delfino comune, molto simile alla stenella, frequente nel Mediterraneo centrale fino a trent' anni fa, per qualche motivo ancora sconosciuto sembra ora confinato al mare di Alboran, tra Spagna e Algeria, dove probabilmente arriva dall' Atlantico insieme ad altre specie come la megattera. Scomparsa anche la focena comune, avvistata le ultime volte alla fine del secolo scorso; vi è tuttavia una popolazione di focene che vive nel Mar Nero, dove è rimasta completamente isolata tanto da meritarsi dai cetologi russi una propria denominazione specifica, phocena phocena relicta. Infine il tursiope. E' sicuramente il delfinide più noto perché è quello, intelligente e curioso, che popola i delfinari, lungo fino a quattro metri, dorso scuro (grigio o marrone, ventre più chiaro) che si affianca alle imbarcazioni, confidente con l' uomo (spesso si lascia avvicinare dai subacquei); vive in prossimità della costa e non di rado si spinge molto vicino a terra: nel ' 91 un esemplare risalì il Tevere fino a Roma. Vittorio Ravizza


UNA RICERCA E in Sardegna si tenta di portare la pace tra pescatori e delfini
Autore: V_RAV

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI, MARE
NOMI: MARINI LUCA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 021

I pescatori non amano i tursiopi. E si capisce perché. Questi delfinidi, dotati di un centinaio di denti e di una notevole forza, si nutrono di pesci e cefalopodi e hanno scoperto da tempo immemorabile che si può avere un buon pasto senza troppa fatica visitando il momento giusto le reti tese in mare: uno strattone e via, con il pesce e un pezzo della rete, nella quale resta un buco rotondo che richiederà una mattinata di riparazioni. Ma questa guerra è proprio inevitabile? Luca Marini crede di no, così come i responsabili del porto di Sa Petra che lo hanno invitato in Sardegna a studiare i tursiopi. Quanto ai pescatori collaborano ospitando a bordo Marini e i suoi, chiamandoli per radio quando incontrano branchi di tursiopi, segnalando gli avvistamenti. La ricerca nel mare della Costa Smeralda ha infatti anche un obiettivo pratico immediato: capire in quale modo gli animali danno l' assalto alle reti, dare una dimensione al fenomeno, valutare i danni, vedere se sia possibile costruire qualche efficace mezzo che tenga i cetacei lontano dai pescherecci. Abbiamo già detto come i tursiopi ripuliscono le reti da posta, strappando via insieme pesce e rete; più misterioso il loro comportamento con i pescherecci che pescano a strascico: stanno di poppa e di tanto in tanto si immergono per circa due minuti; i pescatori dicono che in questo tempo riescono a scendere a 90 100 metri fino al «sacco», la parte terminale della rete nella quale si raccoglie il pesce, e a farsi una scorpacciata; i cetologi ne dubitano, pensano piuttosto che si piazzino tra la barca e la rete per catturare il pesce che tenta di sottrarsi alla minaccia avanzante; Marini progetta di mettere una telecamera sotto il peschereccio, ha già preso contatto con ricercatori dell' università tedesca di Kiel esperti in acustica e trasmissione subacquea, e con i colleghi spagnoli alle prese con lo stesso problema alle Baleari, con i quali cerca di mettere in piedi un gruppo di ricerca europeo. I tedeschi si stanno occupando in particolare di mettere a punto un sistema di dissuasione acustica utilizzando gli ultrasuoni. Problema non semplice. I delfini, si sa sono animali molto intelligenti; di fronte a un fatto sconosciuto sono portati ad analizzarlo e una volta stabilito che non rappresenta una minaccia non ne hanno più paura. Di più: negli Usa un sistema usato per far allontanare le megattere dalle reti derivanti è stato memorizzato dai delfini come un segnale inequivocabile di «tavola imbandita», un invito al saccheggio tanto che è stato necessario rimuoverlo. Marini pensa a due strade: individuare un rumore che per i delfini esprima pericolo e riprodurlo in mare; oppure disturbare il loro apparato di bio sonar in prossimità delle reti. Tutto ciò con l' obiettivo di servire agli interessi della pesca ma anche alla spravvivenza dei delfini. Non si sa che cosa avviene al largo quando ci sono incontri ravvicinati tra pescatori e cetacei ma certo non si può pretendere che i derubati abbiano sentimenti amichevoli per i ladri. Probabile che in questi scontri lontano da occhi indiscreti più di un animale ci rimetta le pinne. In più, come dice Marini, è importante tutelare la pesca tradizionale con le reti da posta, la più selettiva e rispettosa del mare, per evitare che i pescatori siano costretti a passare ad altri tipi più distruttivi, come le famigerate spadare. Non dimentichiamo (ed è inutile nasconderselo) che alla scomparsa della foca monaca proprio da queste zone hanno contribuito i pescatori, che difendevano il loro lavoro. (v. rav. )


VITA DI COPPIA L' inganno amoroso Le ragioni inconsce dietro le scelte
Autore: VERNA MARINA

ARGOMENTI: PSICOLOGIA, LIBRI
NOMI: BALDARO VERDE JOLE
ORGANIZZAZIONI: RAFFAELLO CORTINA EDITORE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 021. «Illusioni d' amore: le motivazioni inconsce nella scelta del partner»

U NO sguardo, un sorriso, magari un' inflessione della voce e l' attrazione scatta irresistibile. Al volto che piace si attribuiscono ogni sorta di virtù: bontà, dolcezza, una risolutezza che promette protezione, una malinconia che risveglia la propria, gratificante, dedizione. Pochi dettagli, che altri troverebbero insignificanti, bastano a scatenare fantasie e proiezioni spesso illusorie e ingiustificate: per far corrispondere l' innamorato all ' immagine ideale interna, gli si cuciono addosso vestiti magici, ma assolutamente inesistenti. E quando ci si accorge dell' autoinganno pur di non perdere l' investimento affettivo ci si convince che l ' altro cambierà, perché l' amore fa miracoli. E' vero? Assolutamente no, come dimostra la psicologa Jole Baldaro Verde in un libro molto bello e istruttivo, «Illusioni d' amore: le motivazioni inconsce nella scelta del partner» (Raffaello Cortina Editore). L' innamoramento, scrive, è un fortissimo desiderio di entrare nello spazio psicologico e fisico dell' altro e scatta ogni volta che i bisogni fondamentali identità sessuale, attaccamento autonomia e autostima non vengono soddisfatti, o se ne presentano di nuovi. Per raggiungere l' obiettivo, non si lesina nulla, nemmeno l' autoaccecamento sulle reali caratteristiche dell' amato e l' autoinganno sulle proprie: una trappola inesorabile, che nella maggior parte dei casi farà a pezzi tutti i due. Per piacere si finisce per compiacere, svalutando la propria identità e acquisendone una nuova, ma posticcia. Eppure, già al momento dell ' incontro sono presenti quasi tutte le caratteristiche che segneranno il destino della coppia, evidenti agli estranei ma non ai protagonisti. Il luogo stesso, ad esempio, non è mai casuale ma sebbene tutti gli innamorati lo ricordino perfettamente, nessuno pensa che già quello rispondesse a un bisogno. Ogni luogo è infatti la promessa di qualche cosa. Conoscersi a una festa galeotta per eccellenza, secondo un' inchiesta su 130 studenti genovesi è un segnale di continuità: stesso gruppo sociale, stesso livello di studi, nessuna rottura con la vita precedente. Incontrarsi in vacanza (al secondo posto) promette gusti simili e nessuna lite sul tempo libero. Il vicino di banco o di scrivania fa sperare in una comunanza di interessi che potrebbero riempire il tempo che resta dopo le coccole e l' amore. E le persone che si conoscono da sempre (all' ultimo posto) si promettono reciprocamente una vita senza scossoni, nel segno della similarità. Nei giovani il ruolo sociale ha poca importanza. Da grandi, invece, le cose cambiano. E la professione esercita un' attrattiva non certo marginale nello scatenare le fantasie: all' uomo d' ordine o di legge, al collaudatore o al pilota d' aereo vengono attribuite le qualità dello stereotipo paterno. Di conseguenza molte donne tendono a proiettare su questi uomini tutte le caratteristiche positive che avrebbero desiderato nel padre o che il padre ha effettivamente avuto. Non è detto, però, che a queste professioni corrispondano le qualità sognate. Uomini e donne hanno, a livello inconscio, un modello ideale di partner che confrontano con tutte le persone che incontrano. Ma per decodificare i segnali in arrivo, ricorda la Baldaro Verde, occorre saper esaminare spassionatamente la realtà cosa che non molti sanno fare, come dimostrano le inchieste alle quali si rifà nel suo libro. I bisogni insoddisfatti cercano infatti una riparazione e l' innamoramento è l' occasione buona per ottenerla. Il «pulcino bagnato», ad esempio, in genere cercherà un genitore e per sedurlo utilizzerà la strategia della sottomissione e dell' infelicità. A questi segnali reagisce di solito il «generoso», cioè l' individuo che ha un compulsivo bisogno di prendersi cura degli altri. La coppia che si forma è complementare ognuno dei due riceve qualcosa in cambio di quello che dà ma traballante: se il pulcino bagnato cresce e diventa adulto, che se ne farà di un genitore? E se i segnali erano illusori? E' probabile che la coppia, sebbene delusa, resti insieme prigioniera del gioco innescato, tanto è forte il bisogno di sicurezza dell' uno e il timore di affrontare un' immagine di sè svalutata dell' altro. C' è anche una terza possibilità: i bisogni iniziali vengono soddisfatti, i due crescono e si evolvono nella stessa direzione fino a diventare una coppia adulta. E' questa la coppia più solida, perché fondata sullo scambio non dei bisogni, ma dei doni. Ma anche questo rapporto indubbiamente felice può deteriorarsi se non si continua a cambiare insieme e non si condividono interessi che diventano fondamentali. Soddisfatti i bisogni fondamentali, ne nascono infatti degli altri. E una risposta negativa apre inevitabilmente la porta al desiderio di un nuovo amore. Marina Verna


UCCELLI E AEREI In cielo il silenzio è d' oro Dal 2002 stop ai velivoli fracassoni
Autore: BERNARDI MARIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, ACUSTICA, TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T Tendenza generale del rumore
NOTE: 022

CHI fa rumore non mangia] Nell' habitat dei rapaci notturni una affondata a «volo felpato» rappresenta da sempre un' esigenza essenziale per sorprendere la preda e assicurarsi un buon pasto. Ma anche nell' aggressivo mondo del trasporto aereo la silenziosità delle macchine è divenuta da tempo un elemento critico e discriminante per l' utilizzazione di cieli e piste sempre più affollati: un elemento con peso diretto e incisivo sull' economia delle compagnie. Prova ne sia una recente deliberazione dell' Icao (l' Organizzazione Internazionale dell' Aviazione Civile) che fissa al 2002 la data per il ritiro dalla circolazione di tutte le macchine più rumorose, tra cui i B. 707, B. 727, B. 747 100 e 200, F. 28, DC8 e DC9. Da tempo i più importanti aeroporti impongono tasse d' atterraggio supplementari e drastici coprifuoco agli aerei acusticamente più inquinanti. Per realizzare il volo silenzioso, la natura ha dotato i rapaci notturni di mezzi singolari e raffinati. E' tipico il caso della civetta: le sue penne primarie quelle che si innestano nella parte esterna dell' ala, tra il gomito e l' estremità hanno la parte superiore coperta da una fine peluria: serve a smorzare a un tempo il rumore aerodinamico e quello derivante dallo scorrimento delle penne le une sulle altre durante la battute alare. Sul bordo d' attacco delle penne quello anteriore, esposto al vento relativo si nota una sorta di «pettine» : è destinato ad aumentare la forza portante dell' ala alle basse velocità e a ridurre i vortici e quindi il rumore aerodinamico. Prove effettuate in galleria trattando il piumaggio con un fissatore da capelli hanno consentito di rilevare un corrispondente aumento della rumorosità. E anche la frangia frastagliata presente in corrispondenza al bordo d' uscita il bordo posteriore delle penne agisce con effetto smorzante dei vortici e del rumore. Anche la tecnologia aeronautica, sotto la pressione ecologica degli insediamenti esposti all' impronta acustica degli aerei, è impegnata da anni a ridurre la rumorosità delle macchine. L' attacco si sviluppa su tre fronti principali: motori, aerodinamica, procedure di volo e regole di traffico. L' inquinamento acustico dovuto ai propulsori è divenuto particolarmente importante a cominciare dagli Anni 60 con l' avvento delle flotte a getto. Il rumore dei turboreattori dipende in modo preponderante dalla turbolenza che si instaura nella superficie di interfaccia tra il getto propulsivo e l' atmosfera circostante. Per contenere questo effetto, si fece inizialmente ricorso all' impiego di ugelli «globati» in sostituzione degli originali ugelli di scarico circolari; modificando la struttura aerodinamica del processo di miscelazione si riusciva a ottenere uno scarico meno rumoroso. Contemporaneamente si cercava di attenuare il rumore delle prese d' aria, dei compressori e delle camere di combustione mediante schermature e materiali fonoassorbenti. Va subito detto che questi provvedimenti «di ripiego» risultarono pesanti, costosi e scarsamente efficaci. Il vero progresso fu invece introdotto in sede di progetto della nuova generazione di motori che vide la luce negli Anni 70. A quell' epoca, abbandonati i motori «a getto puro» si passò ai motori «a diluizione» o «turbofan». Per quanto attiene il rumore, il vantaggio di questa formula si riconduce a una semplice considerazione di meccanica: la spinta del turboreattore è data dal prodotto della massa d' aria che lo attraversa moltiplicata per la velocità di efflusso del getto. Nel «turboreattore puro» nel prodotto che esprime la spinta prevaleva il fattore velocità del getto, mentre nel «turboreattore a diluizione » la stessa spinta viene ottenuta aumentando la portata del getto e riducendone la velocità. E poiché il rumore è proporzionale all ' ottava potenza di questa grandezza, è ovvio il beneficio che ne risulta agli effetti dell' inquinamento acustico. Il rapporto di diluizione dei propulsori, e corrispondentemente la riduzione della velocità del getto, è andato aumentando nel tempo sicché l' impronta acustica degli attuali «turbofan» risulta fortemente ridotta ed in continua diminuzione. Anche se meno rilevante di quello dei motori, non può essere ignorato il rumore aerodinamico della cellula. Quello delle ali e delle superfici di governo è dovuto alla vorticosità che distacca dalle estremità e dai bordi d' uscita proprio in relazione alle forze portanti che tali elementi devono sviluppare per vincere il peso e controllare la traiettoria della macchina. Grazie all' impiego di materiali avanzati, gli aerei sviluppati nel corso degli ultimi dieci anni a parità di carico pesano di meno, richiedono il 10 per cento in meno di potenza e quindi minore è il rumore proveniente dai propulsori e dalla vorticosità aerodinamica. Oltre che dal progresso della tecnologia motoristica e aerodinamica, la lotta all' inquinamento acustico trae beneficio da variazioni introdotte e in corso di introduzione nelle procedure di volo: instradamenti speciali del traffico per evitare zone particolarmente sensibili (agglomerati urbani, zone ospedaliere ecc. ) sia nelle fasi di avvicinamento che in quelle di decollo; avvicinamenti a potenza ridotta negli atterraggi e riduzioni di potenza dopo il decollo; angoli e velocità di discesa appositamente studiati per gli aerei Stol (a decollo accorciato) e per gli elicotteri; distribuzione dei movimenti su aeroporti adiacenti in base alla tipologia del traffico (trasporto di linea, lavoro aereo, scuola e turismo). Sulla base del progresso tecnologico in atto, ci si pone l' obiettivo di scavalcare la soglia del 2000 e del forte aumento del traffico atteso per quegli anni senza aumentare, anzi riducendo, l' attuale situazione di inquinamento acustico generato dal traffico aereo. Mario Bernardi


HANDICAP Il computer mezzo ideale per «colloquiare» con i bambini sordi
Autore: CONTIGIANI BRUNO

ARGOMENTI: INFORMATICA, HANDICAP, TECNOLOGIA, ELETTRONICA
NOMI: PAPERT SEYNOUR
ORGANIZZAZIONI: SEMELE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 022

ANCHE se le aspettative continuano ad essere molto superiori ai risultati, non si può negare che uno dei settori in cui l' uso del computer è riuscito a dare miglior prova di sè in campo educativo è quello dell' handicap. Buona parte del software è stato sviluppato nell' area di supporto alle difficoltà nel leggere e scrivere. Il materiale a disposizione comincia ad essere abbondante e, se usato con attenzione dagli insegnanti, può essere graduato sui livelli di difficoltà incontrati dai bambini. Naturalmente il ruolo dell' insegnante resta determinate e l' uso del computer deve essere inserito in un' attività sperimentale continuamente verificata. Ma poiché il rapporto affettivo non può essere sostituito (e in particolare nell' handicap il repporto docente discente deve basarsi su un rapporto interpersonale non usurato) il computer può intervenire nei momenti più faticosi e ripetitivi liberando tempo ed energie per nuovi apprendimenti. Sperimentato per alcuni anni in scuole milanesi e all' Istituto di psicologia dell' università di Milano, il programma Semele è giunto alla sua seconda versione. Semele (SEMantica ELEmentare) è un software nato per insegnare a scrivere frasi strutturate in modo corretto ai bambini sordi, ma oggi la sua sperimentazione è stata estesa a bambini che hanno gravi difficoltà nella scrittura. La prima versione di Semele era stata sviluppata utilizzando il linguaggio Logo e risale ad un' epoca per così dire artigianale dell' informatica nella scuola, quando si pensava che gli insegnanti avrebbero dovuto saper programmare in Logo per produrre di giorno in giorno nuovi esercizi da utilizzare in classe (Logo è il linguaggio che Seymour Papert ha sviluppato al Mit di Boston, particolarmente indicato per essere utilizzato con i bambini). Semele II consiste in una serie di esercizi manuali che possono essere svolti utilizzando un personal computer Ibm compatibile che dispone di 640 K di memoria, di un disco rigido, di una scheda VGA e di monitor a colori. Il lavoro viene svolto in classe con bambini di 8 anni e parte dalla rilevazione che spesso i bambini sordi costruiscono la propria frase senza il predicato. Questo deficit non è tipico della sordità anche se è stato rilevato con maggiore frequenza nei bambini sordi. Il meccanismo per cui si instaura questo errore ha spesso origine nell' apprendimento dalla madre. In molte situazioni il bambino si rivolge con frasi senza predicato alla madre, che cerca di interpretare quanto detto e continua ad adeguare il gesto fino a che non coglie il significato espresso dal bambino. Interrompere questo tipo di comunicazione non è facile poiché in molte occasioni se la madre insiste nel non adeguarsi al messaggio incompleto ricevuto il bambino rinuncia a farsi capire. Se dalla casa si passa alla scuola il bambino si trova di fronte a un adulto che non interpreta la sua frase incompleta, la comunicazione si interrompe e il bambino rinuncia a esprimersi. Per questi motivi uno strumento neutro come il computer può essere utile. Semele II è un software che funziona come un semplicissimo gioco d' avventura in cui il giocatore può procedere solo se supera i vari ostacoli incontrati riuscendo a scrivere una frase completa e corretta sintatticamente. Il vantaggio che il computer comporta è dato dal fatto che si opera nell' area del gioco elettronico, un' area in cui i bambini si sentono particolarmente a proprio agio, addirittura più sicuri degli insegnanti. Il lavoro si articola in unità didattiche di mezz' ora l' una e per la massima parte si avvale di una forte interazione con i maestri, ai quali non richiede un cambiamento di stile comunicativo. I primi risultati sembrano confortanti: si è notato che i bambini dialogano molto di più con gli adulti, fanno grandi sforzi per costruire le frasi e non soltanto per farsi comprendere in modo approssimativo. Bruno Contigiani


SCAFFALE Weisskopf Victor: «Le gioie della scoperta», Garzanti
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: FISICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 022

LA palazzina che ospita i fisici teorici al Cern di Ginevra ha l' aspetto poco attraente di un prefabbricato. Le stanze sono piccole, ci stanno appena una scrivania, un paio di sedie, una lavagna sempre piena di segni astrusi. Difficile immaginare uffici più dimessi. Ma se si dà uno sguardo ai nomi che compaiono sulle targhette delle porte si ha l' impressione di sfogliare una storia della fisica contemporanea. Al primo piano, tra le stanze di Fubini e di Majani, c' è quella di Victor Weisskopf. In effetti a un fisico teorico per lavorare bastano un foglio di carta e una matita. Ora però Weisskopf ha scritto qualcosa di diverso da una serie di formule: ha scritto un' autobiografia di quasi 400 pagine, spaziando anche sui problemi generali della ricerca. E' una testimonianza di grande interesse perché Weisskopf è un osservatore privilegiato: viennese, dopo aver lavorato in Germania, Danimarca e Svizzera, a causa del nazismo è emigrato negli Stati Uniti, dove ha partecipato al Progetto Manhattan per la bomba atomica. Tornato in Europa, al Cern ha vissuto la stagione esaltante delle ricerche che hanno portato all' unificazione della forza elettromagnetica e dell' interazione debole. Sullo sfondo, oltre alla fisica, quasi tutti i problemi culturali del nostro tempo, visti con l' occhio di uno scienziato che è anche un umanista.


SCAFFALE Attenborough David: «Le sfide della vita», De Agostini
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 022

Dell' ultimo libro di Attenborough dedicato alle mille tecniche messe in atto dalle forme viventi per colonizzare l' ambiente e garantirsi la sopravvivenza, abbiamo già parlato proprio in questa rubrica. Torniamo a segnalarlo, ora che sulla Rete 1 della Rai, presentati da Piero Angela in «Quark speciale», vanno in onda in 12 puntate i documentari girati da Attenborough che sono alla base del volume.


SCAFFALE Overbye Dennis: «Cuori solitari del cosmo», Rizzoli
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 022

Di libri dedicati alla cosmologia ne abbiamo letti tanti. La produzione di questi anni è stata massiccia, e anche di ottimo livello: basti pensare al saggio di Stephen Hawking. Ma un libro di cosmologia come questo mancava. Qui non sono esposte le teorie cosmologiche. Queste sono il sottofondo, la trama, il sottinteso. Al centro dell' attenzione, invece, sono i cosmologi, con la loro vita privata, le loro ambizioni, le loro rivalità. Hubble, Sandage, Zwicky, Baade, Shapley sono alcuni di questi personaggi, spesso così coloriti da trasformare il saggio di Overbye (un fisico che fa il giornalista) in un romanzo.


SCAFFALE Chelidonio Giorgio: «Apprendimento, ambiente, origini», La Nuova Italia
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: PALEONTOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 022

«Far riflettere sulla conoscenza del passato (individuale e comunitaria) come premessa necessaria ad adeguare la capacità di adattamento (nelle relazioni uomo ambiente) ai rapidi cambiamenti culturali e tecnologici del nostro tempo»: così Giorgio Chelidonio, attivo da molti anni nell' archeologia sperimentale, delinea l' obiettivo del suo libro. Un testo ricco di informazioni paleontologiche ma presentate in chiave didattica e orientate a promuovere una ricerca originale.


SCAFFALE Gil Juan: «Miti e utopie della scoperta. Oceano Pacifico: l' epopea dei navigatori», Garzanti
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 022

Nato a Madrid 53 anni fa, docente di filologia latina e medievale all' Università di Siviglia, Juan Gil è sempre stato affascinato dalle grandi esplorazioni. Dopo «Cristoforo Colombo e il suo tempo» Garzanti presenta ora un volume dedicato alle imprese dei grandi navigatori che per primi tracciarono le rotte dell' Oceano Pacifico Magellano, prima di tutti, ma anche Cook e Bougainville. Le loro avventure qui sono narrate con grande rigore storico ma anche in modo efficace e diretto, spesso attraverso i diari degli stessi navigatori.


LA COMPLESSITA' DELLA CRESCITA I geni non sono tutto Due ricercatori mettono in dubbio il dogma su cui si fonda il sapere moderno Le connessioni neuronali sarebbero stabilite soprattutto dall' esperienza
Autore: SCARUFFI PIERO

ARGOMENTI: BIOLOGIA, GENETICA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: EDELMAN GERALD, KAUFFMAN STUART
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 023

QUANDO la biologia chiarì il rapporto fra genotipo e fenotipo, cioè tra il codice genetico e l' organismo, parve che uno dei misteri più fitti della scienza, quello della vita, fosse stato per sempre chiarito. In realtà oggi sappiamo che la biologia era soltanto all' inizio di una lunga strada. E' vero che il codice genetico contiene la sequenza di istruzioni che l' organismo userà per crescere, ma occorre molto di più affinché emerga la forma dell' organismo così come la vediamo quotidianamente. Due ricercatori di fama mondiale hanno addirittura avanzato dubbi sul fatto che il codice genetico sia poi così importante ai fini della crescita e dello sviluppo, attaccando in tal modo un dogma che sembrava essere una delle poche certezze del sapere moderno. Ha cominciato Gerald Edelman, premio Nobel per le ricerche sul sistema immunologico e ancor più famoso per la teoria del «darwinismo neurale», secondo la quale un principio di selezione naturale è alla base anche dello sviluppo del cervello: a competere sono i neuroni, le cui connessioni non sarebbero che in minima parte stabilite dal codice genetico, mentre il grosso del condizionamento verrebbe dall' esperienza (e questo spiegherebbe perché ogni cervello è diverso dagli altri). Più recentemente Edelman ha esteso questa teoria alla «morfogenesi», ovvero alla genesi della forma di un organismo, ipotizzando che gli organismi assumano la forma che hanno per effetto di meccanismi regolatori a livello di molecole. Questi meccanismi, attivi durante le prime fasi dello sviluppo, avrebbero origine dall' interazione della cellula con le cellule vicine. Sarebbe insomma la posizione della cellula, o il suo «indirizzo», a determinare la sua evoluzione, piuttosto che il codice genetico. Edelman parla di reazioni molecolari «topobiologicamente vincolate» per esprimere il concetto che dipendono dal punto in cui si verificano. Edelman simula al computer, tramite «automi», ogni sua ipotesi e tali simulazioni hanno dimostrato che effettivamente i meccanismi topobiologici sarebbero sufficienti a rendere conto della complessità della crescita. Al tempo stesso si sono accumulati indizi sempre più forti che il codice genetico da solo non basterebbe mai a fornire una descrizione dettagliata di un organismo: anche se riuscissimo a decifrare tutto il genoma di un animale, non saremmo ancora in grado di immaginarci com' è fatto] Ciò che la teoria «topobiologica» di Edelman implica è che l' organismo sia (almeno in una fase preliminare dello sviluppo) un sistema in grado di «auto regolarsi» di evolvere senza bisogno di troppe informazioni esterne. Lo scambio di messaggi fra le cellule supplirebbe alla mancanza di informazioni nel codice genetico. «Parlando» con le cellule vicine, una cellula riuscirebbe a stabilire la propria funzione nel sistema globale. Sta per uscire un altro libro rivoluzionario «The Origins of Order», scritto da Stuart Kauffman per la Oxford University Press. Anche Kauffman è convinto che il codice genetico sia soltanto un pezzo della spiegazione e che occorra postulare qualche altro meccanismo; e, soprattutto, che questo meccanismo aggiuntivo sia interno al sistema stesso. Solo che il sistema esaminato da Kauffman non è un singolo organismo, ma la vita nel suo insieme. Secondo Kauffman, la selezione naturale non potrebbe dar luogo alle specie che conosciamo se non agisce in concomitanza con un' altra forza. Kauffman identifica questa forza in una tendenza di tutti gli organismi verso l' «auto organizzazione» (o «anti caos» ). L' evoluzione nel tempo delle specie sarebbe dovuta in parte alla selezione naturale e in parte a questa tendenza all' «auto organizzazione» o all' «anti caos». Tanto l' evoluzionismo quanto la genetica hanno assunto che il «caso» avesse una qualche parte nel dirigere i loro affari. Forse non è il «caso», ma un principio intrinseco della vita: la capacità di auto organizzarsi. Questo sarebbe però un principio assai singolare: la seconda legge della termodinamica asserisce che il disordine di un sistema debba sempre aumentare (un po' come in una stanza chiusa i mobili tendono a impolverarsi, e non a spolverarsi da soli); ma gli organismi viventi (a detta di Edelman e Kauffman) sarebbero in grado di aumentare il proprio ordine, e pertanto violerebbero un altro dogma della scienza moderna. In realtà non deve necessariamente essere così: negli Anni Quaranta Schrodinger fece notare che l' esistenza dei sistemi viventi dipende dalla loro capacità di aumentare l' entropia (il disordine) dei loro ambienti. Infatti assorbono energia dall' ambiente e dissipano energia nell' ambiente. La seconda legge della termodinamica varrebbe ancora, ma a livello di ambiente. Se venisse confermato, il fatto che ogni fenomeno del vivente sia in grado di «auto regolarsi» semplificherebbe di molto lo studio della vita in quanto limiterebbe i tipi di vita possibili. E semplificherebbe la vita dei tanti Frankenstein che stanno cercando di «dar vita» (letteralmente) a un automa. Piero Scaruffi


STANCHEZZA CRONICA La spossatezza che uccide una malattia oscura forse di origine virale
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: SMITH DAVID, AIUTI FERNANDO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 023

MOLTE infezioni da virus, una volta superate, lasciano una sequela di stanchezza che si estingue a poco a poco. E' tipica, per esempio la stanchezza dopo un episodio d' influenza. Ma la «malattia della stanchezza cronica», se così vogliamo chiamarla, che preoccupa i medici di tutto il mondo per la crescente diffusione, l' entità dei sintomi, l' oscurità che l' avvolge, la mancanza di terapie, è tutt' altra cosa. L' unico punto fermo, o almeno che appare quasi indiscutibile, è che sono implicati uno o più virus. Si tratta di una forma estremamente varia, che colpisce uomini, donne, bambini, di tutte le razze e di tutti i ceti sociali. Può avere un inizio subitaneo, spesso successivo a un' infezione, oppure graduale, senza che si possa identificarne l' origine. I sintomi sono: una profonda prostrazione fisica e mentale, grande faticabilità muscolare con dolori, perdita della memoria recente e della capacità di concentrazione, disturbi gastrici, dolori alle articolazioni, mal di capo, alterazioni del sonno. Alcuni devono stare a letto ogni tanto durante il giorno, altri in permanenza, alcuni hanno forme meno severe, ma per molti il ritorno alla normalità richiede perfino qualche anno, determinando un traumatico impatto nei riguardi della vita familiare e sociale e della carriera. L' interpretazione più corrente è che si tratti d' una sindrome post virale. Si è visto che sovente vi sono persistenti infezioni da enterovirus, per esempio Coxsackie, Echo e altri. Ma che cosa mantiene la sintomatologia così a lungo? Presumibilmente qualche virus, quello iniziale o altri. Il virus di Epstein Barr, già ben noto perché causa della mononucleosi infettiva e del tumore di Burkitt, è sospetto. Numerosi pazienti dichiarano che nel momento dell' inizio della malattia erano sotto stress di natura psicologica o finanziaria, di carriera, di salute. Soggetti con depressioni hanno forme più severe rispetto a quelli psicologicamente ben equilibrati. Si può escludere un' origine genetica. E si può escludere anche che il malato sia contagioso. Ci sono di mezzo i virus, d' accordo, ma virus con i quali più o meno tutti veniamo in contatto durante la vita senza conseguenze manifeste. In questo caso, invece, i virus sono causa d' una anormale reazione immunitaria: questo sembra essere il punto essenziale. Ricaviamo questo succinto elenco di notizie da un volume di David G. Smith, Understanting M. E., Robinson Publishing, Londra, 1991. Da oltre vent' anni questo medico studia la M. E., Myalgic Encephalomyelitis (uno dei tanti nomi attribuiti a questa misteriosa sindrome della stanchezza cronica) e ne ha osservati ormai tremila casi. Il governo degli Stati Uniti ha stanziato ora 2, 2 milioni di dollari per affrontare questa nuova emergenza sanitaria. Anche in Italia gli studi sono attivi. Al convegno di immunologia del marzo scorso a Roma se ne è occupato il professor Fernando Aiuti, immunologo dell ' università. I primi casi sono stati individuati nel gennaio del 1991 dal dottor Umberto Tirelli, del Centro di riferimento oncologico di Aviano (Pordenone), il quale fino ad oggi ne ha segnalati circa 200, come si rileva dal suo libro «Sindrome da stanchezza cronica, malattia degli Anni 90» (5A. S. Macor editori, 1992). Secondo il professor Mauro Moroni, direttore della Clinica di malattia infettive dell' Università di Milano, la sindrome da stanchezza cronica è una vera e propria situazione di immunodeficienza, per cui infezioni virali croniche latenti divengono attive. Particolare importanza avrebbero i virus erpetici A Udine si è costituita la Cfs Associazione italiana (Cfs Chronic Fatigue Syndrome), che raccoglie pazienti e amici dei pazienti per sensibilizzare i medici e l' opinione pubblica. Centri di riferimento medico sono stati istituiti ad Aviano, Bari, Chieti, Milano, Roma, Verona. L' unità di coordinamento è presso l' Istituto superiore di sanità di Roma. Non esiste alcun farmaco, però vi è tendenza a un graduale miglioramento. Cardine della terapia è il riposo assoluto, programmato almeno per alcune ore al giorno. La ripresa dell' attività deve essere prudente e graduale. Ulrico di Aichelburg


FITOFARMACI & SISTEMA NERVOSO Spasmi e tremori tra orto e frutteto Irrorazioni scorrette: la denuncia dell' Oms
Autore: BOZZI MARIA LUISA

ARGOMENTI: ECOLOGIA, MEDICINA E FISIOLOGIA, INQUINAMENTO, AGRICOLTURA, ALIMENTAZIONE
ORGANIZZAZIONI: EPA, OMS
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 023

ESTATE, stagione di pesticidi. La guerra chimica contro gli afidi, la cocciniglia, la cidia, la ruggine, l' oidio, è in pieno corso. Irroratori a terra ed elicotteri in cielo spandono su frutteti, vigneti, campi di colture e zone limitrofe insetticidi, fungicidi e diserbanti sotto forma di cloroderivati, carbammati e organofosfati Tutti i viventi sono investiti dallo spray venefico: gli insetti dannosi come quelli utili, gli animali domestici, gli uomini. In guerra, si sa, non si va tanto per il sottile. All' esposizione diretta va aggiunta poi quella dovuta alla persistenza di questi prodotti e dei loro residui nell' ambiente, negli alimenti e nell' acqua potabile: una forma di inquinamento su cui sono carenti normative e controlli, e non solo nel nostro Paese. L' Epa (Enviromental Protection Agency) ha stabilito soltanto per una ventina di prodotti (su centinaia riscontrati nelle acque potabili) i limiti compatibili con la salute umana. Ma i carbammati (Mancozeb Thiram, Ziram) e organofosfati (Parathion, Malathion) agiscono a livello delle connessioni fra le cellule nervose (sinapsi). Una sinapsi è una zona di contiguità fra due fibre nervose (o fra una fibra e un organo periferico), attraverso la quale un impulso viene trasmesso mediante un messaggero chimico, l' acetilcolina. Passa così, per esempio, «l' ordine» a un muscolo di entrare in contrazione. Una volta trasmesso, il messaggio deve essere cancellato e a ciò provvede un enzima, la colinesterasi, che rompe la molecola di acetilcolina. I pesticidi agiscono proprio bloccando questo processo, così che l' impulso nervoso continua a essere trasmesso e i muscoli, volontari e involontari, si contraggono spasmodicamente. L' avvelenamento da organofosfati e carbammati porta a tremore delle mani e dei piedi, crampi addominali, disfunzioni cardiache, mal di testa e indebolimento generale, fino alla morte nei casi più gravi. A tutto ciò va aggiunta la sterilità negli uomini e la tendenza all' aborto nelle donne. L' effetto a lungo termine, poi, è poco conosciuto, ma si sa per esempio che il prodotto di decomposizione dei ditiocarbammati (l' etiniltiourea) è cancerogeno, può alterare lo sviluppo del feto ed essere tossico per la tiroide. Anche i cloroderivati (di cui i più noti sono il Ddt, ancora largamente usato in molti Paesi, e l' atrazina) agiscono sul sistema nevoso, ma il meccanismo non è concosciuto. Secondo i dati della Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni anno tre milioni di persone vengono avvelenate dai pesticidi e una su 14 ci rimette la vita. La maggior parte di questo esercito in disfatta si trova nel Terzo Mondo, vittima della concomitanza di due fattori: l' uso di sostanze altamente tossiche ormai bandite dai Paesi occidentali e l' ignoranza degli utenti, che spesso non sanno capire le istruzioni nè hanno gli strumenti adatti per manipolare sostanze così velenose. Potremmo a questo punto egoisticamente pensare che quello che accade nell' orto dei vicini non ci riguarda, se non fosse che le importazioni di frutta e verdura da quei Paesi ci riportano sulla tavola i loro prodotti contaminati: così il ciclo dei veleni si chiude. Nè la questione si esaurisce qui perché, seppure in percentuale minore, anche i nostri agricoltori e le persone che vivono in zone intensamente agricole sono esposti all' avvelenamento da pesticidi. Il pericolo maggiore si ha quando il trattamento viene eseguito con l' elicottero: un mezzo inadeguato, se si analizzano i risultati. Il fitofarmaco è meno efficace di quando viene somministrato a terra e in compenso è più inquinante, poiché per l' «effetto deriva» penetra nei territori limitrofi per 150 200 metri. Le direttive ministeriali a questo proposito (circolare del ministero della Sanità n. 705 del 19 7 84) autorizzano l'uso dell' elicottero solo su monocolture di sette otto ettari, a 150 metri dalle aree con abitazioni, orti e corsi d' acqua. Disposizioni largamente disattese, come è sotto gli occhi di tutti. Quanto alle vittime, in genere il silenzio circonda questi casi, sia perché una buona parte non associa i disturbi ai pesticidi, sia perché le denunce si scontrano contro un muro di forti interessi economici. Eppure chi è stato contaminato deve evitare di esporsi nuovamente, rimanendo chiuso fra le pareti domestiche nei mesi «caldi»: in caso contrario lo aspettano convulsioni, vomito e difficoltà di respiro. In Gran Bretagna queste vittime hanno trovato una voce di protesta, quella di Enfys Chapman, che ha fondato la Pegs (Pesticide Exposure Group Sufferers). La Chapman, colpita nel luglio del 1977 da triazophos e dimethoato irrorati da un elicottero sulla sua fattoria, soffre ancora oggi, dopo 14 anni, i postumi di quell' incontro ravvicinato E' paralizzata per l' 80 per cento nella parte sinistra del corpo è cieca di un occhio e il cuore non può sopportare sforzi. Per lei una riesposizione sarebbe fatale. Infine non si deve dimenticare che l' agricoltura è costretta a ricorrere a prodotti sempre più velenosi per combattere i meccanismi di resistenza del nemico. Se nel 1938 le specie di insetti che avevano sviluppato resistenza ai pesticidi erano solo 7, nel 1984 arrivavano a 447. Ben vengano quindi tutte quelle iniziative volte a promuovere, anche in Italia, un uso limitato di queste sostanze. Certamente avremo frutta meno appariscente, ma in compenso vivremo in un ambiente più sano. D' altronde, lo sanno anche i bambini: la mela con cui fu ingannata Biancaneve bellissima, rossa e lucida era avvelenata. Maria Luisa Bozzi


Temporali d'estate, come e perché METEOROLOGIA Quando si scontrano aria atlantica e africana
Autore: MINETTI GIORGIO

ARGOMENTI: METEOROLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Come si forma un temporale
NOTE: 022

DI solito si associa il bel tempo all'alta pressione e il brutto tempo alla bassa pressione. Ma questi termini sono troppo vaghi e generici poiché in effetti ciò che provoca sulla nostra testa pioggia, temporali, acquazzoni, bufere di vento e nevicate non è la bassa pressione ma sono i fenomeni che ne conseguono, cioè le perturbazioni. Cerchiamo allora di approfondire questa situazione meteorologica per renderci conto della sua genesi e dei fenomeni ad essa associati. L'area di bassa pressione, o area depressionaria, è un vortice ciclonico (con moto rotatorio antiorario) di masse d'aria provocato dallo scambio di correnti fredde provenienti da Nord e correnti calde che risalgono dalle zone equatoriali. Il vortice ci viene spesso mostrato sui teleschermi durante i servizi di previsioni del tempo; le immagini in movimento ci mostrano sovente una girandola di nubi che dalle aree atlantiche occidentali si sposta verso l'Europa. Questa depressione durante il suo moto rotatorio richiama dalle regioni subtropicali aria calda che, entrando nel vortice e scontrandosi con quella fredda proveniente dalle regioni polari, provoca per contrasto termico quegli ammassi nuvolosi che sono la struttura principale delle pertubazioni. Queste sono costituite da un ramo (o fronte) freddo e da un ramo (o fronte) caldo cui sono associati i fenomeni piovosi (o nevosi) di maggiore o minore consistenza ed intensit in funzione di una tipologia di nubi molto svariata. Di norma l'arrivo di una perturbazione è segnalato dall'abbassarsi più o meno repentino della pressione barometrica e dalla comparsa nel cielo di nuvolosità sottile molto sfrangiata, tipicamente cirriforme o cirrostratiforme. Seguirà il fronte caldo, costituito dal ramo più caldo della pertubazione che, estendendosi per 300-800 chilometri, si sposterà lentamente con nubi molto dense e pioggia continua o intermittente che potrà perdurare anche alcune ore. Vi sarà successivamente un intervallo più o meno lungo (ore o giorni) con cielo poco coperto, pressione livellata, assenza di precipitazioni con temperature piuttosto elevate. In seguito giungerà il ramo più freddo della pertubazione, dovuta all'afflusso dell'aria continentale che allontana quella calda tropicale. Il cielo si oscurerà nuovamente per nubi alte e molto dense (cumuli-nembi) e, ora che siamo in estate, giungeranno anche temporali, molto intensi ma di breve durata, seguiti da cielo sereno con aria fresca scarsamente umida. In inverno la perturbazione provocherà invece nevicate per la presenza di temperature molto basse sia al suolo sia in quota. Una depressione su una data zona potrà esaurirsi o colmarsi in breve tempo, ma anche stazionare perché alimentata dalle correnti fredde orientali e da quelle calde meridionali, oppure ancora attivata dalla possibile presenza di circolazione anticiclonica in quota. Avremo così una successione di pertubazioni che si ripeteranno a distanza di 24-36 ore. Seguire l'evolversi della situazione meteorologica a larga scala, cioè a livello europeo, attraverso la stampa e la radiotalevisione, potrà essere di aiuto per formulare una previsione personale circa l'approssimarsi di una pertubazione. Cambiamenti di tempo locali e temporanei sono invece difficilmente valutabili. Questi fenomeni sono connessi alle formazioni termoconvettive o orografiche tipiche dell'estate. Un esempio caratteristico di situazione favorevole a fenomeni atmosferici di particolare intensità sia d'inverno sia d'estate sulla pianura padana centro-occidentale è la formazione di un vortice sul mar Ligure; l'umidità marina favorirà ed alimenterà le perturbazioni che si scaricheranno più intensamente sulle zone appenniniche, alpine e sulle pianure interne con temporali pioggia o neve a seconda della stagione. Giorgio Minetti




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