TUTTOSCIENZE 15 luglio 92


AL SOLE MA... Estate, salviamo la pelle Gli Uv deprimono le difese immunitarie Favorita la proliferazione di cellule anormali
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T
NOTE: 009

I L 56 per cento delle radiazioni solari che giungono a noi è costituito da raggi infrarossi che riscaldano la Terra, il 39 per cento da raggi visibili, e soltanto il 5 per cento da raggi ultravioletti (Uv). Le parti principali dello spettro Uv sono i raggi Uvc (100 290 nanometri; un nanometro = un miliardesimo di metro), i raggi Uvb (290 320 nanometri) e i raggi Uva (320 400 nanometri). Dello spettro solare gli Uv sono i più importanti dal punto di vista biologico poiché inducono varie reazioni fotochimiche nelle strutture biologiche. Gli Uvb, e anche gli Uva, causano anomalie nelle sequenze dei nucleotidi del Dna. Non v' è dubbio sugli effetti nocivi dell' eccessivo assorbimento di Uv, e infatti siamo dotati d' una fotoprotezione naturale. La pelle umana ha anzitutto una barriera cornea, che assorbe i fotoni Uvb grazie a lipidi di superficie costituenti il sebo, all' acido urocanico presente nel sudore, e soprattutto agli aminoacidi della cheratina. Così nella pelle bianca il 90 per cento degli Uvb è arrestato dallo strato corneo e dall' epidermide, e soltanto il 10 per cento arriva al sottostante derma. Dopo esposizioni solari ripetute le cellule cheratiniche si moltiplicano determinando un ispessimento dell' epidermide, e un aumento di 2 4 volte della dose eritomatosa minima, ossia della dose di radiazione producente un eritema indolore (nel classico colpo di sole, che si ha dopo un' irradiazione solare importante, l' arrossamento o eritema è accompagnato da edema e dolore). Inoltre nell' epidermide hanno azione protettiva le melanine, pigmenti sintetizzati da cellule chiamate melanociti. Le melanine comprendono due famiglie, le eumelanine, brune o nere, presenti nei soggetti bruni o neri, e le feomelanine, rosso brune, predominanti nei soggetti con capelli rossi, con capacità filtrante molto scarsa. Le eumelanine rappresentano il sistema fotoprotettivo di base. Nella pelle nera il 98 per cento degli Uvb è arrestato dall' epidermide. Nell' abbronzatura, o pig mentazione melaninica acquisita, vi è un' accresciuta sintesi delle melanine, che può innalzare da 2 a 5 volte la dose eritematosa minima. Essa assorbe specialmente gli Uvb poco gli Uva, per niente i raggi visibili. Ogni pelle è un caso a sè Non esistono due persone con uguale comportamento di fronte all' aggressione degli Uv. La qualità della melanina dell' epidermide, determinante essenziale della sensibilità alle radiazioni, è un carattere genetico. Questa variabile capacità di adattamento della pelle, questo «capitale sole» proprio di ognuno, deve essere conosciuto, gestito ed economizzato opportunamente poiché gli effetti a lungo termine sono cumulativi lungo tutta la vita e compaiono quando viene superata una dose soglia. Può esserci anche una fotosensibilità eccessiva, anormale, dovuta all' interazione fra le radiazioni e una sostanza fotoattiva, il cromoforo, portato nella pelle per via interna, dal sangue, o da applicazioni esterne locali. Numerosi farmaci o creme sono stati incriminati, per azione diretta, tossica, o per un meccanismo allergico. L' agente fotosensibilizzante può anche formarsi per un ' alterazione enzimatica congenita o acquisita: le porfirie e le deficienze di vitamine Pp ne sono un esempio. Nonostante le suggestioni della moda si dovrebbe adottare un comportamento istintivo di difesa anti solare. Le malattie cutanee prodotte o aggravate dalla luce (fotodermatosi) sono sempre più frequenti, forse a causa di modificazioni foto climatiche (alterazione della fascia di ozono? ), senza dubbio a causa di cambiamenti del nostro modo di vita, e della presenza nell' ambiente di molecole potenzialmente foto sensibilizzanti, per esempio in taluni farmaci. Gli Uv deprimono le difese immunitarie della cute. La nozione di questo effetto è recente, ma da tempo lo si sospettava constatando le eruzioni erpetiche legate al sole, l' aumento di infezioni eresipeloidi e fungine estive. A causa di modificazioni dell' acido urocanico, della liberazione di citochine da parte delle cellule cheratiniche e di altri meccanismi, nelle ore successive ad un' esposizione agli Uv si instaura una paralisi immunitaria perdurante alcune settimane e aprente il campo all' invasione di virus, batteri, miceti. Questa immuno tolleranza della cute favorise la proliferazione di cellule anormali e la genesi di tumori. Ma non parliamo soltanto di aspetti negativi. Un effetto benefico degli Uvb, in realtà praticamente l' unico, è la sintesi della forma attiva della vitamina D da parte della pelle. I preparati antisolari Le conoscenze si sono affinate negli ultimi tempi, a fianco dell' azione antirachitica nota da decenni si è accertato un ruolo importante dei vari metaboliti della vitamina D nei processi di moltiplicazione e differenziazione cellulare. Sempre più si considera la D un ormone piuttosto che una vitamina. La fotoprotezione non riguarda soltanto la cosmetologia, entra nel campo della medicina preventiva e curativa. Un preparato antisolare contiene molecole filtranti, assorbenti l' energia dei fotoni (selettive degli Uvb e/o degli Uva) e polveri minerali schermanti, disciolte o disperse in un eccipiente. Vi si uniscono eventualmente agenti protettivi anti radicali liberi, molecole antinfiammatorie, melanina biosintetica. I fotoprotettori esterni vengono classificati in quattro famiglie ad attività crescente: debole, media, elevata, massima. La protezione solare del soggetto sano richiede, oltre al semplice buon senso, la scelta d' un protettore in funzione del rischio dermatologico secondo la fotosensibilità, le condizioni d' esposizione, le zone cutanee esposte. Ulrico di Aichelburg


TUMORI I giovani i più esposti al pericolo
Autore: U_D_A

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 009. Sole, abbronzatura

UN gruppo di scienziati di varie nazioni, esperti in discipline come la fisica, l' epidemiologia e altre, si è riunito per una settimana al Centro internazionale di ricerca sul cancro a Lione, per discutere i rischi dei tumori della pelle in rapporto ai raggi ultravioletti (Uv) emessi dal Sole o da altre sorgenti. La frequenza dei melanomi cutanei in molti Paesi è in aumento di circa il 5 per cento l' anno, e anche gli epiteliomi sono in aumento, specie in persone giovani, dai 17 ai 40 anni. I lavoratori all' aria aperta come gli agricoltori, i marinai, i maestri di sci, sono più colpiti. Le ricerche si sono svolte in due direzioni: su persone esposte ai raggi solari e su animali di laboratorio. La conclusione è che l' insorgenza dei tumori della pelle, siano essi melanomi maligni o epiteliomi, ha un innegabile rapporto di causa effetto con l' esposizione al sole. Il processo di cancerizzazione cutanea è conseguenza dei danni prodotti dagli Uv accumulatisi nelle cellule dell' epidermide, e si svolge in uno o due decenni. La parte più pericolose dello spettro Uv è situata tra 250 e 350 nanometri. Proteggere i bambini e i giovani almeno fino a 18 anni, su tutto il corpo e a ogni esposizione, con preparati antisolari filtranti, permetterebbe di evitare l' 80 per cento degli epiteliomi: gli studi dimostrano che i tumori della pelle sono associati a un' eccessiva esposizione al sole nell' infanzia e nell' adolescenza. Alcuni indizi fanno anche ritenere che certe sorgenti artificiali di Uv possano favorire i tumori della pelle. Le attuali lampade solari sono però cambiate rispetto a quelle d' un tempo, emittenti quantità importanti di Uvb e Uvc: oggi emettono principalmente Uva con piccole variabili quantità di Uvb. Siamo poi tutti esposti a Uva e Uvc provenienti dalle lampade a fluorescenza e dalle lampade ad alogeni (al sodio) per l' illuminazione domestica, ma si tratta di dosi modeste, che non destano preocupazioni. (u. d. a. )


LABORATORIO E' nettamente sotto la media il peso internazionale della ricerca made in Italy
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 009

FINANZIAMENTI per la ricerca. Come vengono determinati? Quali sono i risultati? Nuovi istituti sono sorti negli Stati Uniti e altrove per valutare, controllare e pianificare l' impresa scientifica. Chi sono i clienti? Principalmente tre: i governi, le università e le grandi industrie. Se si pensa che solo il governo americano spende più di dieci miliardi di dollari nella ricerca medico biologica l' anno, si comprende facilmente questo interesse. Non esistono sistemi facili e «scientifici» per misurare la produzione di un ricercatore basti pensare che una scoperta di base fatta oggi e ritenuta poco significativa al momento può essere di cruciale importanza dieci anni dopo. Perché misurare la produttività scientifica? Ormai tutti i governi e tutte le società accettano il principio che senza investimenti sostanziali non c' è ricerca e senza ricerca non abbiamo vita intellettuale ed economica. D' altra parte esistono dei limiti nei finanziamenti dettati dai bilanci nazionali. Tra i criteri usati per misurare la produzione scientifica di un Paese le pubblicazioni hanno un' importanza fondamentale. Ovviamente non si tratta qui di contare il numero degli articoli e le pagine pubblicate ma di misurare l' impatto scientifico delle scoperte comunicate alla comunità scientifica da un dato laboratorio. Chi legge queste pubblicazioni? Quanti le citano? Chi applica queste scoperte? Come si arriva dalla comunicazione sulla rivista specializzata alla realizzazione tecnologica? Esistono già sistemi piuttosto complicati per misurare questi fattori chiamati «cluster analysis». La parola cluster in inglese si può tradurre come grappolo, mazzo o gruppo; nel caso particolare indica una rappresentazione grafica fatta dal computer mettendo assieme tutte le relazioni possibili tra un articolo scientifico, le riviste, gli autori, la frequenza d' uso dei dati, e l' impatto bibliografico. Da questa analisi si arriva a circoscrivere un numero limitato di articoli chiave. Questo dato risale dalla scoperta originale e dai suoi autori alle successive diramazioni della comunicazione scientifica. Più alto è il numero di tali articoli chiave originato da una università, un laboratorio o da un' industria, tanto maggiore ne è l' importanza. A livello internazionale si possono confrontare tra di loro Paesi diversi per la qualità della loro produzione scientifica. Questi dati possono essere utili nel determinare aree scientifiche deficitarie e la necessità di finanziamenti. Da essi si può anche risalire a quello che viene chiamato il fronte della ricerca, cioè la linea più avanzata della scienza. Si determina così se una università o un Paese sia «al fronte» o nelle retrovie a godere delle scoperte degli altri. Non si può stare troppo a lungo nelle retrovie senza decadere al rango di Paese tecnologicamente ed economicamente sottosviluppato. Un altro prodotto dell' analisi è l' identificazione dell' articolo più citato, detto «hot paper», cioè l' articolo caldo, che si mantiene in testa alla classifica internazionale allo stesso modo in cui un disco di rap si mantiene tra i primi dieci. Da una statistica mensile di circa 30. 000 articoli si scelgono i primi mille, quelli che si mantengono ai primi posti mondiali per almeno due mesi di fila. Si determinano così pure l' età e la velocità di invecchiamento della notizia scientifica. L' «hot paper» ha attratto da solo l' attenzione di molti altri autori più che altre migliaia di articoli. Viene così fatta una lista, chiamata la «hot article database», pubblicata ogni due mesi come la lista del libro del mese o del disco più venduto. Come esistono osservatori politici o militari, i cosiddetti «wat chers», così esistono i «science watchers» con la loro rivista dal nome analogo. Il dipartimento della ricerca di «Science Watch» ha analizzato recentemente l' impatto della produzione scientifica dei sette Paesi più sviluppati in campi diversi, dall' immunologia, alla chimica, alla medicina (clinica), all' ingegneria elettronica. L' analisi rivela che gli Stati Uniti sono in testa e in avanzata dal 1981 fino al 1990 con un fattore di impatto 7 (percentuale della produzione mondiale di articoli di alta qualità ). L' Italia purtroppo è a livello 0, 6. A quando maggiori investimenti e distribuzioni più razionali? Ezio Giacobini Università del Sud Illinois


DOPO IL SUCCESSO DI «GIOTTO» Forse comete e asteroidi sono parenti stretti «Rosetta» dovrà accertarlo
Autore: P_B

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 009

LA sonda europea Giotto ha sette vite: scampata il 14 marzo 1986 all' incontro con la cometa di Halley, venerdì scorso è sopravvissuta anche all' appuntamento con la cometa Grigg Skjellerup, tanto che ora si valuta la possibilità di ridirigerla verso un' altra cometa nel 2002. Il successo di questa navicella rende ancora più attraente l' ambizioso progetto dell' Agenzia spaziale europea battezzato Rosetta. Come quella stele permise di decifrare i geroglifici egizi, questa sonda dovrebbe trovare la chiave dell' origine del sistema solare prelevando campioni da una cometa e riportandoli a terra. La lezione più importante fornita dagli incontri con la Halley e la Grigg Skjellerup è che il confine tra comete e asteroidi è molto più sfumato di quanto si pensasse. Queste categorie di oggetti celesti possono forse essere riportate alla classe più ampia dei planetesimi, cioè dei primi corpi condensatisi dalla nebulosa solare che poi, unendosi, hanno dato origine ai pianeti. Lo prova la somiglianza tra la Halley e l' asteroide Gaspra, lo confermano i dati su polveri e ioni registrati intorno alla Grigg Skjellerup. Anche alla luce dei costi, si sta quindi riesaminando la missione Rosetta per vedere se non si possa inviare la sonda verso un asteroide con caratteristiche cometarie, prendendo i classici due piccioni con una fava. «Il candidato dice Vincenzo Zappalà, dell' Osservatorio di Torino è l' asteroide Oljato, che mostra deboli segni di attività, come se fosse una cometa dormiente. La decisione verrà presa entro la fine dell' anno» . (p. b. )


COSTRUITO A MILANO Il robot va in cielo Farà esperimenti su Columbus
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: TECNOSPAZIO, FIAR, ESA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 010

IN un laboratorio delle periferia industriale milanese, quello della Tecnospazio, è nato il primo robot progettato per fare automazione nello spazio. Un braccio capace di muoversi come quello di un uomo, in grado di compiere a bordo delle future stazioni spaziali qualsiasi operazione necessaria per la gestione degli esperimenti scientifici imbarcati. Comandato da terra dagli scienziati (è già stato coniato un nuovo termine, «telescienza» ) può trovare impiego in operazioni ripetitive, faticose o pericolose su stazioni spaziali abitate, dove gli astronauti si limiterebbero a controllarlo, ma soprattutto su quelle senza equipaggio. Il robot di Tecnospazio (società nata nell' 87 dalla partecipazione della Fiar Finmeccanica e il Comau Fiat, appena una trentina di dipendenti ma tutti qualificatissimi) si chiama Cat, che significa Columbus Automation and Robotics Ground Testbed perché è stato progettato pensando principalmente al suo impiego a bordo del modulo europeo che sarà agganciato alla stazione spaziale americana Freedom. Accettato dall' Esa, l' Agenzia spaziale europea, l' 8 luglio, è stato presentato alla stampa il giorno dopo prima di partire per i laboratori tedeschi dell' Estec, l' European space research and technology centre, a disposizione dei progettisti del sistema Columbus e degli esperimenti di bordo. Cat è un «dimostratore» destinato a restare a terra; servirà per simulare le operazioni da ripetere poi in volo; rispetto a quello che andrà nello spazio è solo un po' più massiccio (120 chili dellaversione volante che in assenza di peso potrà assere alleggerita). Gli esperimenti sui quali dovrà operare riguardano biologia, fisica dei fluidi, fisica dei materiali. Come funzionerà il robot nello spazio? Il braccio, collegato alla parete del Columbus contenente gli esperimenti da manipolare, sarà manovrato da terra dagli stessi scienziati, che agiranno sulla tastiera di un computer. Gli ordini saranno filtrati da un centro di controllo tecnico quindi inviati a un satellite per comunicazione, che a sua volta li invierà al modulo Columbus (il satellite ponte è necessario perché la stazione spaziale essendo situata su un' orbita bassa non è sempre raggiungibile direttamente). Il braccio può spostarsi orizzontalmente e verticalmente davanti ai contenitori degli esperimenti, e muovendosi lentamente (una lentezza voluta per non provocare vibrazioni), prelevare materiali, sollevare pesi (fino a 10 chilogrammi), spostare provette, compiere analisi, aprire e chiudere contenitori. Con questo robot manipolatore Tecnospazio diventa leader europeo in un segmento delle attività spaziali che al momento in cui la società è stata costituita era ritenuto da molti marginale mentre oggi appare destinato ad avere un forte sviluppo; è significativo che su Cat abbiano lavorato sotto la guida della società milanese società di grande prestigio come Dornier, Matra, Mbb Erno, Alenia Neppure in America, a parte la Martin Marietta che ha costruito il braccio esterno per lo «shuttle» e la Spar (canadese) che lavora per la Nasa, non esiste nulla di simile mentre in Giappone la Mitsubishi si limita per il momento ad un' attività di studio. D' altra parte Tecnospazio è giunta a Cat attraverso un percorso che comprende, tra l' altro, la partecipazione agli studi per il braccio robotico della navetta europea Hermes, la realizzazione del cosiddetto «cacciavite spaziale» utilizzabile dagli astronauti per lavori all' esterno delle navette, la partecipazione allo studio di fattibilità del progetto Cnrs, un sistema ideato per portare a terra frammenti di comete, di cui ha studiato in particolare il braccio manipolatore. Senza dimenticare le ricadute nel campo dei robot industriali, che hanno già fruttato cinque brevetti e che dovrebbero diventare consistenti, con una serie di soluzioni totalmente nuove, nei prossimi 4 5 anni. Vittorio Ravizza


TRUCCHI O REALTA' ? Paranormale cercasi... Scienziati americani ed europei a Saint Vincent da venerdì discuteranno di astrologia, telepatia, telecinesi. Ma ci saranno anche maghi e prestigiatori
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, INCONTRO
NOMI: FERLUGA STENO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 010

IL manico del cucchiaio, accarezzato dolcemente, si spezza per azione di una invisibile energia. Il corpo di una fanciulla levita a mezz' aria. Un tavolino si anima e cammina. Eventi apparentemente casuali, o lasciati all' arbitrio del soggetto da esperimento, vengono divinati a colpo sicuro dal veggente, come si diceva una volta, o dal paragnosta, come si dice oggi. E ancora: una mappa astrale permette di tracciare il destino di una persona, che si riconosce alla perfezione in ciò che le dice l' astrologo; malati si ristabiliscono grazie all' imposizione delle mani di un pranoterapeuta; orologi fermi da anni si rimettono in moto sotto la forza del pensiero... L' elenco potrebbe essere lungo ed eterogeneo. Fermiamoci qui. Sono alcuni dei fenomeni paranormali più comuni e più chiacchierati. Ma che cosa c' è di vero? L' interrogativo dura da decenni, anzi dal secolo scorso, quando lo spiritismo ebbe il primo momento di gran voga e trascinò sul suo friabile terreno anche scienziati illustri, come il fisico inglese William Crookes, l' ideatore del tubo a raggi catodici. Intanto intorno al paranormale, all' astrologia e affini è cresciuto un mercato di migliaia di miliardi, in minima parte alla luce del sole (riviste di astrologia, oroscopi in tv o sui giornali) ma in prevalenza sommerso, anche per il fisco (maghi che predicono il futuro, eseguono fatture, mettono in contatto con l' aldilà, liberano dal malocchio; terapeuti che vantano poteri soprannaturali astrologi che svolgono il ruolo di psicoanalisti per clienti subacculturati). Da una quindicina di anni, in 70 Paesi, e tra questi l' Italia, sono sorti comitati di scienziati che si propongono di verificare sperimentalmente i fenomeni paranormali per riportarli nel campo delle conoscenze razionali, se esistenti, o per relegarli in quello dell' imbroglio, o più semplicemente dello spettacolo, se risultassero semplici (o, più probabilmente, complicatissimi) trucchi. Il Cicap, Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale, fondato, tra gli altri, da Silvio Garattini, Margherita Hack, Giuliano Toraldo di Francia e Piero Angela, con l' adesione dei premi Nobel Rita Levi Montalcini e Carlo Rubbia, venerdì 17 (evidentemente non si tratta di gente superstiziosa) terrà a Saint Vincent il suo secondo congresso nazionale. Sabato e domenica sarà la volta del quarto convegno di Euroskeptics, associazione che riunisce gruppi di ricercatori simili al Cicap esistenti in quasi tutti i Paesi d' Europa. Al Centro congressi dell' Hotel Billia saranno presenti fisici (Tullio Regge, Università di Torino), chimici (Luigi Guarlaschelli, Università di Pavia), astronomi (Steno Ferluga, Università di Trieste), linguisti (Ugo Volli), psicologi, antropologi e filosofi, ma anche maghi e prestigiatori, tra i quali il celebre James Randi, noto al grande pubblico per aver contestato i pretesi poteri paranormali di Uri Geller, per aver smascherato numerose truffe, anche scientifiche, come quella della «memoria dell' acqua» con cui qualche anno fa si cercò di accreditare la medicina omeopatica, e per aver messo in palio 10 mila dollari da consegnare a chiunque realizzi effettivamente sotto controllo, in laboratorio, un fenomeno paranormale (somma che è tuttora al sicuro sul conto corrente di Randi). Ci sarà quindi anche una serie di eventi spettacolari, con un talk show condotto da Piero Angela e una serata di «numeri magici» presentata da Maria Giovanna Elmi. «Paranormale: quali prove? » è il titolo delle tre giornate di Saint Vincent. «Il tema che abbiamo scelto spiega Steno Ferluga, che è anche presidente del Cicap è volutamente limitato. Sono in programma relazioni sull' astrologia, sulla percezione extrasensoriale, sulla psicocinesi. Ma sempre il discorso sarà centrato sulle verifiche sperimentali. Non abbiamo preconcetti. A tutt' oggi nessuno può dire che i fenomeni paranormali esistano, ma neppure si può dire il contrario. Noi chiediamo semplicemente che il metodo scientifico e l' approccio razionale accertino ciò che finora è soltanto un insieme di affermazioni non controllate». Qualche anticipazione. Ian Nienhuys, dell' Università di Eindhoven Olanda, presenterà una relazione circa l' influsso della Luna piena sulle nascite basato su 171 mila parti dove si vedrà che molto più decisivo della fase lunare è il desiderio di weekend dell' ostetrico, dato che nei giorni festivi le nascite calano del 20 per cento). James Alcock, York University, affronterà i fenomeni di psicocinesi in termini sperimentali. Henri Broch, Università di Nizza, riprodurrà chimicamente il miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro, impresa già realizzata anche da due chimici dell' Università di Pavia e annunciata sulla prestigiosa rivista inglese Nature il 10 ottobre ' 91. Insomma: i motivi d' interesse non mancheranno. Nè per i credenti del paranormale nè per gli scettici. Piero Bianucci


ASTROFISICA L' enigma di Geminga E' una pulsar che emette raggi gamma: come due italiani in vent' anni di lavoro sono riusciti a comprendere la natura di uno dei più strani oggetti celesti
Autore: GROSSO GIORGIO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, FISICA, AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
NOMI: BIGNAMI GIOVANNI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 010. Satellite Rosat

QUALCHE settimana fa, in contemporanea con «Nature», La Stampa ha annunciato le nuove scoperte che chiariscono il mistero di Geminga, una stella molto speciale, che emette un' enorme quantità di raggi gamma. La vicenda, iniziata vent' anni fa, dice le difficoltà che il progresso della scienza incontra e come si possa superarle con tenacia e intuito. Nel 1972 Giovanni Bignami e altri scoprirono con osservazioni del satellite astronomico Sas 2 una sorgente di raggi gamma straordinaria, sia perché è la seconda del cielo per potenza, sia perché i raggi gamma sono la radiazione più energica e penetrante. Oggetti di questo tipo erano già stati ipotizzati in seguito a un' altra scoperta precedente: quella delle pulsar, che emettono impulsi periodici di onde radio; il periodo è così breve che essi debbono provenire da un oggetto rotante molto piccolo e compatto: una stella di neutroni, che nel raggio di 10 chilometri concentra una massa equivalente a quella del Sole (densità di 10 milioni di tonnellate per centimetro cubo). Ma nel 1976 Bignami osservò la zona della sorgente gamma al radiotelescopio con esito negativo; la battezzò allora Geminga, in dialetto milanese. Tuttavia continuò la caccia alla preda elusiva. Nel 1977 il satellite europeo per raggi gamma Cos B riuscì a identificare meglio la posizione della sorgente. Bignami, Patrizia Caraveo e altri osservarono la zona di Geminga con il satellite per raggi X Einstein e identificarono una sorgente probabile controparte di quella gamma. Inoltre questi scienziati cercarono l' oggetto misterioso con i telescopi migliori del mondo e scoprirono una debolissima sorgente nella posizione richiesta: forse è stata vista una stella di neutroni nell' ottico. Ma le osservazioni decisive sono quelle pubblicate in maggio da «Nature»: vi si annuncia la scoperta, fatta con il satellite per raggi X Rosat, che la controparte X di Geminga ha un' emissione pulsata con un periodo di 0, 237 secondi. Ciò conferma quanto suggerito dai nostri scienziati fin dal 1983, cioè che si tratta di un pulsar a raggi gamma come quello della Vela. Subito dopo «Nature» annuncia un' altra scoperta sensazionale: il nuovo satellite per raggi gamma Compton registra radiazioni pulsate provenienti dalla controparte X di Geminga aventi lo stesso periodo: è la conferma della scoperta di Bignami e Caraveo. Una verifica dei vecchi dati di Cos B permette loro di dare una conferma del periodo e del fatto che la sorgente è molto vicina: forse a 100 anni luce. Il modello di questo oggetto straordinario, ispirato dalle osservazioni, è il seguente: una piccola densissima sfera ruotante a velocità vertiginosa e dotata di un campo magnetico di 1000 miliardi di Gauss, con i poli sfalsati rispetto l' asse di rotazione: dai poli esce la radiazione gamma, che ci giunge solo quando l' asse della gigantesca calamita è orientato verso di noi. Il fatto che non riceviamo impulsi radio come dalle altre pulsar si spiega ipotizzando un cono di emissione molto stretto o una zona di assorbimento vicino alla stella. Lo studio di Geminga continuerà. Bignami la osserverà con il telescopio spaziale Hubble quando esso sarà stato riparato. Inoltre si impiegherà il satellite Extreme Ultraviolet Explorer. L' emissione ultravioletta dovrebbe essere maggiore di quella ottica perché una stella di neutroni nasce con una temperatura altissima e si raffredda lentamente. Avremo quindi modo di scrivere altre puntate di questa avventura astronomica. Giorgio Grosso


SCAFFALE Hobson Allan: «La macchina dei sogni», Giunti
Autore: P_B

ARGOMENTI: PSICOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 010

ALLAN Hobson, della Harvard University, respinge l' interpretazione dei sogni sia che essa si rifaccia alle superstizioni degli antichi sia che si avvalga della simbologia psicoanalitica inaugurata da Freud e sviluppata dai suoi seguaci ortodossi e no. Partendo dalla scoperta del sonno Rem (quello caratterizzato dai rapidi movimenti oculari, associato al sogno), Hobson esplora il substrato neuronale dell' attività onirica giungendo alla conclusione che in essa non bisogna vedere alcun messaggio annidato nel profondo dell' io: il sogno, al contrario è un linguaggio trasparente, interamente spiegabile sulla base delle condizioni fisiologiche in cui si trova l' organismo del sognatore.


SCAFFALE Bellone Enrico: «Saggio naturalistico sulla conoscenza», Bollati Boringhieri
Autore: P_B

ARGOMENTI: DIDATTICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 010

Storico della fisica dagli interessi ampi e fortemente interdisciplinari, Enrico Bellone (Università di Genova) analizza in questo libro i linguaggi e i criteri di verità riproponendo alcuni problemi fondamentali della filosofia (il rapporto sensazioni linguaggi, la questione dei significati, la logica delle argomentazioni) ma in modo del tutto nuovo: cioè sulla base delle acquisizioni più recenti delle neuroscienze, rigettando come prescientifico il concetto di «mente» (equiparato al flogisto e all ' etere) contrapposto al cervello e accettando come scrive egli stesso un «robusto realismo».


SCAFFALE Autori vari: «Animali nel mondo», Mondadori
Autore: P_B

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 010

Quasi mille animali, cioè tutte le specie più note e rilevanti, costituiscono lo straordinario zoo su carta che Alessandro Minelli ha messo insieme con testi suoi e di Jiiri Felix affiancati dai disegni di quattro bravi illustratori. L' impostazione è molto intelligente. Per evitare l' arido elenco enciclopedico, le specie sono state ambientate nel loro continente e nel loro habitat (foresta, savana, deserto, mari, fiumi e così via). Il volume si rivolge ai ragazzi, ma si presta alla consultazione di chiunque abbia curiosità zoologiche.


SCAFFALE «Professioni nel sociale», a cura di Roberto Maurizio e Dario Rei Ed. Gruppo Abele
Autore: P_B

ARGOMENTI: DIDATTICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 010

Sei professioni sociali, tutte «nuove», tutte «di moda», tutte con una componente «scientifica», almeno in senso lato. Sono lo psicologo, il sociologo, l' educatore, l' assistente sociale, l' assistente domiciliare e l' animatore. In questo libro a ognuna di queste professioni è dedicato il saggio di uno specialista: Giorgio Blandino per lo psicologo, Lucio Luison per il sociologo, Paolo Marcon per l' educatore e così via. Un libro utile a chi opera già nei settori presi in considerazione ma più ancora a chi pensa di inserirvisi, tanto più che si tratta di profili professionali parzialmente ancora in via di definizione e sui quali esistono anche infondate mitologie.


SCAFFALE Corbellini Giancarlo e Diemberger Hildegard: «Himalaya e Karakorum» Zanichelli
Autore: P_B

ARGOMENTI: ECOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 010

Le vette più alte non sono soltanto un traguardo di sfide sportive ma anche, con le terre polari, le ultime regioni del pianeta dove è possibile compiere osservazioni inedite di tipo geologico, climatico, biologico ed etnografico. Questo libro dedicato alle 14 montagne dell' Himalaya e del Karakorum che superano gli ottomila metri, è tutto puntato sugli aspetti scientifici dell' esplorazione delle alte quote, e specialmente su quelli antropologici: non a caso uno degli autori, Giancarlo Corbellini, è il responsabile di geografia umana del progetto EV K2 del Consiglio nazionale delle Ricerche presieduto da Ardito Desio, progetto che si è concretato in un laboratorio a forma di piramide collocato a più di cinquemila metri sul livello del mare e capace di resistere a venti a 150 chilometri all' ora e a escursioni termiche di 70 gradi.


FARFALLE Primo, non farsi mangiare Ingegnose strategie per sfuggire alla cattura Alcune mangiano piante velenose per assumere un gusto sgradevole E le specie più appetite hanno imparato a volare a zig zag
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 011

NESSUN insetto sembra più fragile e indifeso della farfalla. Non possiede armi naturali: nè il pungiglione delle vespe o delle api, nè la dura corazza dei coleotteri. Sembra assolutamente alla mercè dell' appetito altrui. E invece ne esistono sulla terra 150 mila specie, rappresentate ciascuna da un numero astronomico di individui, che se la cavano brillantemente, nonostante la loro presunta vulnerabilità. Come fanno? Quando un nemico la insegue, la coloratissima Kallima asiatica elude l' inseguimento posandosi su un mucchio di foglie secche. E improvvisamente scompare. Rimane invisibile anche all' occhio dell' osservatore più esperto, perché la faccia inferiore delle ali riproduce con una perfezione che ha dell' incredibile la forma, il colore, l' aspetto di una foglia avvizzita. E la rassomiglianza non si limita all' imitazione del contorno, delle nervature e del peduncolo. Giunge a riprodurre nelle false foglie le macchiette o i forellini prodotti in quelle vere da funghi o da muffe parassite. Anche le nostre vanesse dalle ali fulve macchiate di nero sul cui margine spiccano tante piccole falci di un bel celeste cielo, lasciano in asso l' inseguitore quando si posano sul tronco di un albero. In posizione di riposo, le ali combaciano perfettamente, nascondendo la faccia colorata e mostrando invece la pagina inferiore che ha lo stesso colore di una corteccia rugosa. La selezione naturale imposta dai predatori ha portato poi alcune farfalle ad evolvere una particolare strategia vincente: la capacità di ricavare sostanze di sapore repellente, spesso tossiche, dalle piante di cui si nutrono allo stato larvale. Così i bruchi delle monarca nordamericane (Danaus plexippus) si cibano di asclepiadacee, piante assai velenose, e gli adulti risultano immangiabili. Se un uccello ne addenta una, la sputa immediatamente e impara che quella è una specie da evitare. Ma c' è una farfallina inerme (Limenitis archippus) che copia alla perfezione forma, disegni e colori della monarca. Come ha detto il naturalista inglese Henry Bates che per primo ha scoperto il fenomeno, diventa «una pecora in veste di lupo». Resta da scoprire come diavolo facciano a sopravvivere le farfalle incapaci di mimetizzarsi o di secernere sostanze tossiche. Una prima risposta la dà una ricerca fatta da Peng Chai e da Robert Srygley, da cui risulta che farfalle commestibili e farfalle non commestibili (per gli uccelli) hanno forma diversa e un diverso modo di volare. Le specie commestibili sono più robuste e hanno un volo più erratico. Lo zoologo americano James H. Marden trascorre vari mesi nel Corcovado National Park nel Costa Rica, acchiappando farfalle, sezionandole e pesando con certosina pazienza le varie parti del loro corpo con una bilancina elettronica. E' un lavoraccio, ma dà i suoi frutti. Egli conferma che esiste effettivamente una differenza, tra specie commestibili e non commestibili, per quanto riguarda la distribuzione della massa corporea. Nelle prime, che hanno maggior bisogno di fuggire rapidamente, la massa corporea investita nei muscoli del volo è veramente considerevole: 35 per cento nelle femmine, 41 nei maschi. Mentre nelle seconde, protette naturalmente dalla colorazione mimetica, c' è un minor investimento nei muscoli del volo: soltanto il 22 e il 28 per cento rispettivamente. Si tratta ora di stabilire se il maggior investimento nei muscoli del volo nelle farfalle commestibili consenta effettivamente a queste specie di sottrarsi alla cattura. Le farfalle hanno indubbiamente a loro vantaggio il singolare modo erratico di volare, per cui l' inseguitore, se vuol tenere loro dietro, è costretto a compiere continuamente brusche virate. Lo studioso ricorre ad una serie di calcoli applicando il secondo principio della dinamica e riesce a scoprire che il novantacinque per cento delle farfalle più vulnerabili ce la fa, ossia riesce ad accelerare il volo più degli uccelli insettivori che le inseguono. L' accurata misurazione delle varie parti del corpo delle farfalle rivela che le specie non commestibili sono cattive volatrici in confronto a quelle commestibili, perché sono più pesanti. Le femmine infatti hanno grossi ovari, in grado di ospitare più uova, mentre i maschi posseggono una maggior massa intestinale. Un' ultima scoperta di Marden. Le colorazioni brillanti non sono monopolio esclusivo delle specie repellenti, che sembrano lanciare agli uccelli il messaggio «Non ti conviene mangiarmi. Ho un pessimo sapore». Ci sono anche specie commestibili in Costa Rica che hanno particolari colorazioni e iridescenze. Ma sono quelle più veloci degli uccelli che, con il loro volo estremamente erratico, costringono a un inseguimento difficilissimo con continui cambiamenti di direzione. Anche in questo caso gli uccelli finiscono per riconoscerle. Ma il messaggio che proviene da queste creature imprendibili si può interpretare come un: «E' inutile che sprechi tempo ed energia, tanto non riesci a raggiungermi». Isabella Lattes Coifmann


AMAZZONIA L' isola delle scimmie Ospita in semi cattività esemplari giovani di specie in pericolo di estinzione Intorno ai cinque anni di età sono rimessi in libertà per ripopolare la foresta
Autore: VIZIOLI GIORGIO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI
NOMI: VON ROSEMALEN MARC
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 011

NEL cuore dell' Amazzonia, a poco più di mezz' ora di barca dalla città di Manaos, c' è una riserva ecologica unica nel suo genere. Diretta da un biologo olandese, Marc van Rosemalen, uno dei massimi esperti di primatologia, la Fondacao Floresta Viva è stata costituita tre anni fa su un' isola del Rio Negro, un affluente del Rio delle Amazzoni. Nella riserva vengono raccolte, ospitate e studiate decine e decine di scimmie, alcune delle quali sono esemplari unici al mondo, in condizioni di temporanea semi cattività. La maggior parte delle scimmie, infatti, non può essere addomesticata (anche se, come in questo caso, può vivere benissimo vicino all' uomo) nè tantomeno può essere tenuta prigioniera: dopo poco tempo smette di accettare il cibo e si lascia morire. Quasi tutte le scimmie che vivono sull' isola sono state raccolte a pochissimi mesi di età. Nella regione la caccia alle scimmie è diffusissima, sia per ragioni alimentari sia per vendere gli esemplari a giardini zoologici e a negozi di animali. A praticarla sono prevalentemente le popolazioni indigene, che originariamente vivevano nel cuore della foresta e che sono state spinte sulle rive dei fiumi dall' avanzata dei bianchi. Poiché il ciclo di riproduzione di questi animali è piuttosto lungo (meno di un parto all' anno, un figlio per volta, otto mesi di gestazione e diversi anni prima che il piccolo raggiunga l' autosufficienza) la caccia ha portato molte specie di scimmie all' estinzione. Trasferite nella riserva, al sicuro, le scimmie più piccole in un primo tempo vengono tenute tutte insieme in una grandissima gabbia una specie di «nursery» dove sono nutrite una per una, a seconda delle esigenze di ogni specie. Sono animali molto delicati e possono facilmente ammalarsi di tubercolosi o broncopolmonite: molte scimmie provengono infatti da zone in cui la foresta è più fitta e il loro habitat naturale più riparato. All' età di circa cinque mesi, i piccoli vengono lasciati liberi sull' isola, dalla quale non si allontanano in quanto non sanno nuotare. Non essendo rappresentati più di tre o quattro individui per ogni specie, le scimmie non si incrociano tra loro e non riproducono le dinamiche di difesa e di aggressività che sono tipiche delle comunità che vivono in branco Al riparo da ogni pericolo (sull' isola vi sono solo uccelli) le scimmie instaurano un rapporto eccezionalmente socievole, sia tra loro che con gli uomini, dei quali si contendono l' attenzione, manifestando affetto nei loro confronti e associandoli a giochi senza sosta. E' un' esperienza unica ed emozionante per chi sbarchi per la prima volta nella riserva. A cinque anni le scimmie sono finalmente autosufficienti e vengono rimesse in libertà nella foresta, avendo cura, nei limiti del possibile, di ripopolare le varie zone con le specie tipiche di quelle stesse aree. Senza difficoltà i nuovi arrivati vengono integrati nei branchi, nel cui ambito vanno a occupare i diversi ruoli. In particolare, i maschi che hanno la responsabilità della difesa del branco, all' avvicinarsi dell' uomo si fanno avanti, ma questa volta con forte aggressività, giungendo ad attaccare gli stessi ricercatori che li avevano allevati e con i quali avevano vissuto a strettissimo contatto per diversi anni. «Nella foresta spiega Marc van Rosemalen le scimmie recuperano tutti gli istinti e i comportamenti che servono alla loro sopravvivenza. Pur essendo animali di intelligenza vivace e ricettiva, dimenticano immediatamente le cose imparate dall' uomo (come ad aprire porte e finestre o addirittura a utilizzare alcuni utensili) semplicemente perché nella selva non hanno alcuna utilità e alcun senso. La loro intelligenza è rivolta altrove: esse ad esempio conoscono benissimo i cicli di maturazione delle piante da frutto e riescono ad avere un' alimentazione variata, andando a scegliere di volta in volta frutti diversi». La Fondacao Floresta Viva ha sede a Manaos: una piccola ma attivissima istituzione a scopo scientifico, di cui lo stesso von Rosemalen è promotore. La visita della riserva è aperta a tutti ma non sono accettati più di dieci visitatori al giorno: un numero maggiore di presenze influenzerebbe gli equilibri comportamentali delle scimmie, rendendo impossibile l' attività di ricerca. Giorgio Vizioli


AMBIENTE Una agricoltura corretta è la miglior difesa contro l' erosione del suolo
Autore: STEINMAN FRANCESCA

ARGOMENTI: ECOLOGIA, AGRICOLTURA
NOMI: SAOUMA EDOUARD
ORGANIZZAZIONI: FAO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 011

STIAMO perdendo nelle varie forme di erosione più o meno la stessa quantità di terre che riusciamo a bonificare, afferma il direttore generale della Fao, Edouard Saouma. Dei tre elementi che compongono la biosfera, il suolo è il più complesso e quello che più facilmente può essere distrutto. Eppure quella che è la risorsa naturale per eccellenza (senza suolo non vi sarebbe «crescita» ) viene spesso trascurata o non valutata nella giusta dimensione. La perdita degli elementi nutrienti dei terreni agricoli non riduce soltanto i raccolti, ma aumenta i rischi della siccità, poiché ad essa si accompagna la distruzione della materia organica ed una inferiore capacità dei suoli di ritenere le acque. All' agricoltura vengono troppo spesso addebitate colpe ingiuste per l' inaridimento dei suoli. Essa può invece contribuire a mantenerli fertili usando tecniche adeguate e rotando i raccolti, integrando l' uso dei fertilizzanti minerali a quello della massa organica disponibile localmente. Ma bastano poche scelte sbagliate per causare reazioni a catena che si tramutano in erosione, desertificazione o salinizzazione fino a ridurre la terra in polvere. Un raccolto medio di grano, sottolinea la Fao, toglie al terreno da 100 a 150 chilogrammi di sostanza nutriente per ettaro ogni anno. Nutrienti che vanno rimpiazzati. Un rapido sguardo al consumo mondiale di fertilizzanti indica che il loro consumo medio si aggira sui 90 chilogrammi di azoto, fosfato e potassio per ettaro. Alcuni Paesi industrializzati ne usano dosi massicce, fino a 700 chilogrammi per ettaro, contro gli 11 dell' Africa (esclusi i Paesi nordafricani), i 48 dell' America Latina ed i 62 dell' Asia. L' uso massiccio di questi fertilizzanti minerali può provocare il degrado dei suoli negli ecosistemi particolarmente fragili e pone un altro grave problema, quello dell' inquinamento delle falde acquifere. Fino a una decina di anni fa le conoscenze sul potenziale produttivo dei suoli erano schematiche. Una stima semplicistica suddivideva le terre in un 20 per cento troppo fredde, 25 per cento troppo secche, 20 per cento troppo in alto o in conche troppo basse, 5 per cento troppo umide e 10 per cento troppo poco fertili per la produzione agricola. Del 20 per cento considerato adatto all' agricoltura, soltanto la metà era coltivata. Un inventario globale delle risorse dei suoli arrivò agli inizi degli Anni 80, con la pubblicazione della mappa mondiale dei suoli, che avrebbe aperto la strada ad una serie di ulteriori importanti ricerche sulla desertificazione ed altre forme di degrado, incluso l' impatto della pressione demografica. Dal 1950 in poi, in quasi tutto il Terzo Mondo i terreni adibiti all' agricoltura sono andati aumentando nonostante l' impoverimento e l' infertilità dei suoli e benché l ' inurbamento abbia continuato ad ingoiare terreni agricoli per fare spazio a strade e ad altre infrastrutture. Costrette a trovare nuovi spazi per l' agricoltura, le popolazioni rurali hanno occupato i pendii e le terre meno favorevoli, spesso ricorrendo al disboscamento. Ma non vi è soltanto l' azione dell' uomo a minacciare il territorio; vi è spesso il problema dell' intrusione delle acque marine o fluviali che tendono ad impossessarsi di sponde e coste. Il mare che si infiltra nelle terre e nelle acque costiere costituisce un grave problema per la produttività dei terreni agricoli. Se il livello del mare dovesse aumentare, questo significherebbe un ulteriore sconfinamento delle acque saline, con serie ripercussioni per le attività agricole e per l' inquinamento dei corsi d' acqua dolce. Un problema tanto serio quanto inesplorato che la Fao ha intenzione di approfondire cominciando con il bacino del Mediterraneo e Paesi come il Marocco, la Tunisia, l' Egitto e la Siria. Entro la fine di questo secolo la produzione alimentare sarà aumentata del 39% in America Latina, del 26% nell' Africa sub sahariana, dell' 11% in Asia (esclusa la Cina) mentre non aumenterà affatto nel Medio Oriente e nel Nord Africa. Il totale del territorio agricolo ai primi degli Anni 80 ammontava a 770 milioni di ettari ed entro il 2000 si sarà dovuto espandere dell' 11% cioè di 83 milioni di ettari; di questi, la metà dovrà sostenere il fabbisogno alimentare dell' America Latina. «E' possibile dice Wim Sombroek, direttore della divisione che alla Fao si occupa dei suoli e delle acque avere uno sviluppo agricolo compatibile con l ' ambiente, valido tanto dal punto di vista ecologico quanto sotto gli aspetti economico e sociale, praticando sistemi di nutrimento integrato delle piante che assicurino i raccolti, oggi e domani». Francesca Steinman


NUTRIZIONE Il veleno è verde Sono numerosi gli alimenti vegetali che contengono tossine: come evitarle
Autore: CALABRESE GIORGIO

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE
NOMI: PIVA GIANFRANCO
ORGANIZZAZIONI: SCIENZE DELLA NUTRIZIONE
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T Micotossine e micotossicosi
NOTE: 012

CI nutriamo con alimenti che sono, forse, più ricchi di sostanze tossiche che non di nutrienti. Lo rivela Gianfranco Piva, Direttore dell' Istituto di Scienze della Nutrizione della Facoltà di Agraria dell' Università Cattolica di Piacenza, in un lavoro pubblicato su Doctors: «La maggior parte delle derrate alimentari, soprattutto vegetali, comporta rischi enormemente superiori al consumo di quelle animali», spiega Piva. Negli alimenti c' è una serie di fattori antinutrizionali e antimetabolici che sfuggono, in quanto non considerati nel normale controllo di qualità, e che si riscontrano con maggior frequenza nei cibi cosiddetti «naturali». Queste tossine possono essere divise in due categorie: 1) fattori antinutrizionali intrinseci, propri dell' alimento; 2) fattori antinutrizionali estrinseci, acquisiti dagli alimenti in funzione delle tecniche di coltura, delle modalità di conservazione e della eventuale contaminazione microbica. In tutti gli alimenti di largo impiego, specie se di origine vegetale, si possono identificare i seguenti fattori antinutrizionali intrinseci, cioè sostanze ad azione indesiderabile: le antivitamine, gli antienzimi, gli alcaloidi, i glucosidi cianogenetici, gli aminoacidi tossici, le saponine, le emoagglutinine, le amine, le nitrosamine, i tannini, gli estrogeni. Per fattori antinutrizionali esterni intendiamo quelli non specifici dell' alimento, ma derivanti da una contaminazione esterna. Ultimamente sono insorte speciali malattie legate alla contaminazione esterna da micotossine. Ad esempio le dermatiti, oppure malattie ormonali di tipo estrogenico a manifestazione di tossicità acuta, oppure gravi malattie a carattere tumorale. Quali alimenti possono essere contaminati da queste micotossine? Tutti indistintamente; alcuni però sono a rischio più elevato, come la frutta secca, certi succhi di frutta, alcuni cereali o derivati. Più a rischio del frumento sono la segala, l' orzo e il mais; anche la crusca è ad alto rischio perché le micotossine si localizzano nella parte esterna della cariosside. Gli alimenti di origine animale sono più protetti di quelli di origine vegetale perché gli animali, che pure possono ingerire alimenti con micotossine, esercitano un' efficientissima azione di filtro. In uno studio eseguito dalla Food and Drug Administration, che ha il compito di controllare gli alimenti in Usa, si è visto che l' americano medio ingerisce in un anno da 2, 7 a 9 nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo di Aflatossina B 1, ritenuta responsabile dell' insorgenza di tumori del fegato. Le micotossine più frequentemente riscontrate dai ricercatori sono: Aflatossine B 1, B 2, G 1, G 2, M 1 ad azione tossica per il fegato e in parte cancerogena e mutagena. Le prime quattro sono prodotte da miceti del genere Aspergillus, mentre la M 1 è prodotta dal metabolismo animale a seguito dell' ingestione di alimenti contaminati, soprattutto dall' Aflatossina B 1. Il rischio da micotossine si è molto attenuato grazie all' evoluzione delle tecniche di produzione, trasformazione e conservazione delle derrate e soprattutto per l' impiego razionale dei farmaci fitosanitari, anche se ancora il pericolo è sottovalutato con la conseguente insorgenza di malattia ignote che spesso vengono definite «malattie in cerca di micotossine». Giorgio Calabrese


PRONTO SOCCORSO Il killer infarto ha un alleato nel ritardo delle cure che potrebbero sconfiggerlo
Autore: CASACCIA MICHELE

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 012

TRE verità vengono spesso predicate dagli esperti ma difficilmente raggiungono la gente comune: 1) la scienza ha fatto molto per la terapia dell' infarto riducendo la mortalità all' 8 9 per cento in pochi anni; 2) la malattia coronarica ha la più alta mortalità tra le malattie cardiovascolari, che, a loro volta, sono la più frequente causa di morte nei Paesi industrializzati. In Italia abbiamo 120 150. 000 nuovi infarti per anno, con 46 morti ogni 100. 000 abitanti (dati Oms); 3) la maggior parte delle morti per malattie coronariche avviene prima che il paziente raggiunga un ospedale. Vi è tuttavia una quarta verità: la cardiopatia ischemica falcidia vite quanto le grandi epidemie di un tempo. In Italia ogni ora muoiono 5 6 persone per infarto, senza peraltro preoccupare più di tanto la pubblica opinione: sembra quasi una morte «accettata», a differenza delle morti per cancro o Aids, probabilmente ritenute «maligne» o «vergognose». A quanto pare, la morte per infarto non sollecita gli organismi sanitari alla verifica dei programmi per prevenirla, solennemente scritti e poco o nulla attuati. Ma quali sono i fattori che più incidono sulla mortalità da infarto e quali i rimedi? I risultati dei numerosi studi sul trattamento trombolitico dell' infarto (cura a base di farmaci in grado di sciogliere il trombo responsabile dell' occlusione di un' arteria coronarica), estesi ormai a centinaia di migliaia di pazienti, hanno documentato in modo inequivocabile il ruolo chiave della trombolisi. Alcuni punti meritano un commento: i pazienti trattati entro un' ora dall' inizio dei sintomi presentano una mortalità dimezzata rispetto a coloro che vengono trattati dopo la dodicesima ora; questo beneficio si attenua progressivamente con il ritardo della terapia trombolitica: più si tarda e più il danno del muscolo cardiaco è esteso ed irreversibile; più si è tempestivi e precoci nella terapia (1 2 ore dall' inizio dei sintomi) minore è la compromissione del miocardio, fino all' abolizione del danno. Un ritardo prolungato di ospedalizzazione lascia il paziente esposto alla maggiore mortalità caratteristica delle prime ore dall' inizio dei sintomi: la metà delle morti per infarto, per lo più dovute a fibrillazione ventricolare, si verifica prima di raggiungere l' ospedale. Attualmente nel nostro Paese soltanto una minoranza dei pazienti infartuati (qualche migliaio per anno) raggiunge l' ospedale entro 1 2 ore dall' inizio dei sintomi. Inoltre i sintomi dell' attacco cardiaco non sono per lo più conosciuti (dolore costrittivo retrosternale di durata variabile oltre i 15 20 minuti, spesso irradiato al braccio sinistro e accompagnato da sintomi quali sudorazione, intensa stanchezza e mancanza di fiato) e quando lo siano, come accade nel caso di pazienti già colpiti da infarto, vengono spesso «rifiutati» a livello psicologico, con un notevole ritardo del soccorso. La Divisione cardiologica delle Molinette ha condotto un' indagine in Piemonte nei Dipartimenti di emergenza e di pronto soccorso, estesa alla quasi totalità delle strutture regionali. I dati non sono incoraggianti: il tempo medio di ricovero per l' infarto miocardico è risultato superiore a tre ore, in gran parte dovuto al tempo decisionale, che supera addirittura le due ore. Il paziente trascorre così a domicilio il periodo di massimo pericolo per la propria vita. I dati di un analogo studio su oltre 2000 pazienti condotto in tutta Italia dall' Associazione nazionale cardiologi ospedalieri, hanno confermato questi dati, che richiedono assolutamente misure correttive. Solo un terzo dei pazienti arriva in ospedale entro due ore dall' inizio della sintomatologia, mentre circa il 40 per cento giunge dopo sei ore. Per quanto riguarda il ritardo del paziente (tempo decisionale) si è visto che i fattori che contribuiscono all' indugio nel chiedere soccorso sono rappresentati da: un' età superiore a 65 anni, il vivere da soli, la presenza di diabete che tende a ridurre la percezione del dolore e le caratteristiche fluttuanti della sintomatologia. Particolarmente interessante è il fatto che la presenza del coniuge o dei familiari può costituire un elemento di ritardo rispetto alla presenza di amici, come pure il fatto di trovarsi in casa piuttosto che sul lavoro o in strada. Il ritardo aumenta ulteriormente se l' infarto avviene di notte; la personalità del paziente e il suo grado di cultura possono influenzare in modo negativo il tempo decisionale. Si è anche verificato che il ricorso al medico di famiglia comporta un ritardo rispetto al recarsi direttamente in un pronto soccorso; l' impiego dell' ambulanza riduce i tempi rispetto all' uso dei mezzi privati. Un amaro commento a questi dati ci porta a pensare che le morti per infarto sembrano essere «accettate » , quasi come un calmiere alla crescita demografica, proprio come è accaduto per le antiche epidemie di peste. Considerazioni più realistiche ci fanno concludere che esistono due modi di affrontare questo problema: o portare presto i pazienti a un pronto soccorso, dove però vanno abbattuti i tempi di attesa per diagnosi e terapia spesso troppo prolungati, oppure far giungere la diagnosi e la terapia al domicilio del paziente. Pretendere di ottenere dei risultati modificando solo a parole gli attuali modelli organizzativi e di comportamento, è quasi come omettere il soccorso. Anche se è faticoso rimuovere attitudini e abitudini da tempo contratte, bisognerà proiettarsi verso il territorio e non pretendere di aspettare l' infarto nelle strutture ospedaliere: la malattia infartuale comincia a domicilio. Michele Casaccia Primario di Cardiologia, Torino


MICRORGANISMI I batteri calunniati Non sempre significano malattie: alcuni sono usati per produrre rame e uranio quelli termofili, resistenti a temperature di 100 C, utilizzati nell' industria
Autore: BUONCRISTIANI ANNA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 012

DI solito, quando pensiamo ai microbi, li associamo alle malattie: perciò ci riesce difficile immaginare che possano essere impiegati utilmente. Eppure fin dai tempi antichi l' uomo ha prodotto, servendosi di essi anche se non li conosceva, birra, vino e pane. L ' industria è già ricorsa a vari processi di questo tipo, e ora gli scienziati cercano di sfruttare la resistenza di certi microrganismi a condizioni estreme. Per esempio, quelli che si trovano nei laghi molto salati, come il Mar Morto, devono aver escogitato un trucco per non disidratarsi: la concentrazione delle sostanze sciolte nei liquidi fisiologici, infatti, di solito è inferiore alla concentrazione esistente in quei laghi, sicché le cellule normali, trovandosi lì, cederebbero acqua per osmosi all' ambiente esterno. Certi batteri e alghe microscopiche reagiscono accumulando dentro di sè una gran quantità di piccole molecole organiche, come il glicerolo. Poiché la tendenza migratoria dell' acqua non dipende dal tipo di sostanze sciolte, ma solo dalla loro concentrazione, il liquido interno a queste cellule, essendo molto concentrato, non cede dunque acqua all' ambiente esterno. All' 80 per cento del suo peso secco, l' alga unicellulare Dunaliella è costituita da glicerolo. Inoltre, nelle acque fortemente saline e poco profonde, in cui la Dunaliella vive, l' elevata luminosità induce una grande produzione di beta carotene, che serve da protezione contro i danni causati dalla luce ai sistemi fotosintetici. Il glicerolo è molto richiesto dall' industria (farmaci, cosmetici, alimenti, materie plastiche, esplosivi). Esso è principalmente prodotto dal petrolio e quindi risente delle fluttuazioni del prezzo di quest' ultimo. Per il momento non sarebbe economico cercare di produrlo da altre materie prime; in futuro, chissà che un forte rincaro del greggio non cambi la situazione. Invece non vale lo stesso discorso per il beta carotene, che già viene prodotto industrialmente sfruttando la Dunaliella. Esso è una sostanza usata tradizionalmente come colorante di margarina e formaggi, ma ora è molto richiesto anche nei prodotti dietetici e le sue proprietà antitumorali ne fanno prevedere una grande domanda nel futuro. Alcuni organismi, come gli archeobatteri, reagiscono all' ambiente salato ricorrendo allo stesso principio, ma con una differenza: mantengono al loro interno una concentrazione salina molto elevata, come quella del mezzo in cui vivono, e producono enzimi in grado di funzionare in condizioni così insolite. Proprio questi enzimi particolari, che potrebbero ben resistere agli ambienti aggressivi dei reattori industriali, rendono interessanti i batteri che li producono. Tuttavia gli studi al momento sono ancora rozzi, perché tali batteri sono facilmente soggetti a mutazioni genetiche, e quindi i loro enzimi possono avere caratteristiche variabili. Forse i progressi dell' ingegneria genetica rimedieranno in avvenire a questo inconveniente. Altri microbi che si adattano a condizioni estreme sono i termofili, quelli cioè che vivono a temperature elevate, perfino oltre i 100 C, che sono spesso associate anche ad alte pressioni. Si trovano nelle sorgenti termali sia di superficie sia sottomarine e, secondo alcuni, anche nel fondo dei pozzi petroliferi. L' uso industriale dei loro enzimi offrirebbe molti vantaggi perché l' operare ad alte temperature, fra l' altro riduce i rischi di contaminazioni da parte di organismi indesiderati, rende più veloci molte reazioni chimiche, e permette la distillazione diretta di prodotti finali volatili come l' etanolo e l' acido acetico. Si possono usare, per esempio, le proteasi del Bacillus thermoproteolyticus nella lavorazione della birra, dei prodotti da forno e dei formaggi, e nella formulazione dei detergenti. Le amilasi, invece, sono utili nella preparazione di cibi amidacei. Altri enzimi prodotti da batteri che vivono alle alte temperature appartengono alla classe delle idrogenasi e sono attivi in certi processi che coinvolgono l' idrogeno. Sono promettenti, da un lato, per produrre questo gas fotochimicamente; dall' altro, per sfruttarlo invece come reagente nella sintesi di composti organici partendo dall' anidride carbonica. Infine potrebbero essere impiegati per rimuovere dalle acque contaminate il trizio, isotopo radioattivo dell' idrogeno. Nel campo ecologico crea molto interesse l' uso dei batteri termofili nella trasformazione anaerobica dei rifiuti per ottenere gas metano e nella desolforazione del carbone. Quest' ultima applicazione potrebbe prevenire il fenomeo delle piogge acide, sfruttando la capacità che alcuni batteri del genere Pyrococcus hanno di trasformare lo zolfo più rapidamente di altri che vivono alle temperature ordinarie. Esistono anche microrganismi che proliferano in ambienti molto acidi, e vengono già sfruttati in metallurgia: almeno il 10 per cento del rame prodotto nel mondo viene estratto, grazie e essi, da minerali poveri. A un livello inferiore, ma tuttavia non insignificante, si colloca la produzione dell' uranio con un processo dello stesso tipo. Anna Buoncristiani


NUOVA MOLECOLA Speranze nei traumi neurologici Usa, alcuni pazienti autorizzati all' uso del GM1
Autore: VISOCCHI MASSIMILIANO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 012

QUALCHE mese fa su «The New England Journal of Medicine» è stato pubblicato un interessante articolo sull' impiego nel trauma vertebrale dei «monosialoganglioside» (GM1), una molecola complessa situata nella membrana delle cellule nervose. Questo studio pilota ha messo a confronto l' efficacia del GM1 con il placebo (sostanza senza effetto terapeutico). I pazienti studiati sono stati seguiti per circa un anno e il successo terapeutico è stato quantificato con opportune scale di valutazione (ASIA motor score e Scala di Frankel) attraverso il miglioramento delle funzioni neurologiche compromesse osservate già subito dopo il trauma. I dati ottenuti hanno dimostrato un' efficacia significativa del GM1 sia nei pazienti trattati chirurgicamente che conservativamente; inoltre è stata ribadita l' assenza di effetti collaterali che, per questi pazienti già così compromessi dalla malattia e predisposti a complicanze generali, costituisce senz' altro un vantaggio importante. Alcuni giorni dopo la pubblicazione dell' articolo la Food and Drug Administration, massimo controllo statunitense in materia sanitaria, ha concesso a una casa farmaceutica l' autorizzazione all' uso «compassionevole» del GM1 su pazienti lesi da non più di 72 ore. Già da alcuni anni numerosi gruppi di studio hanno enfatizzato l' impiego del GM1 nell' ictus cerebrale e nel trauma cranico, sottolineando non solo i suoi effetti terapeutici nei confronti del danno cellulare, ma di prevenzione nei confronti della sua evoluzione. Più sinteticamente il GM1 aumenta la sopravvivenza delle cellule nervose portatrici di un danno biomolecolare. Certamente il problema della terapia del trauma midollare rimane ancora aperto, soprattutto per l' incidenza di lesioni anatomiche complete che, ovviamente, non trovano alcuna possibile indicazione. Massimiliano Visocchi Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma




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