TUTTOSCIENZE 17 giugno 92


TRAPIANTARE ORGANI DI ANIMALI? Cuore di scimmia La proposta di innestare su un ragazzo il muscolo cardiaco di un babbuino è provocatoria ma realistica, e solleva il problema della scarsità di donatori
Autore: GARATTINI SILVIO

ARGOMENTI: BIOETICA, MEDICINA E FISIOLOGIA, SANITA'
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 089. Trapianti

LA situazione dei trapianti in Italia è disastrosa. Siamo il Paese europeo che ha il minor numero di donatori; abbiamo pochi centri attrezzati per prelievi d' organo ma ben 4 centri di coordinamento (2 a Roma] ). Molti ospedali vogliono fregiarsi del prestigio che deriva dall' avere un centro trapianti, ma poi pochi eseguono realmente questi interventi. Su 29 centri, 21 compiono un numero di trapianti inferiore al minimo necessario per tenersi in esercizio. Lo spreco di risorse che ne deriva è evidente. Che fare? Sensibilizzare l' opinione pubblica affinché prevalga la solidarietà rispetto ai «diritti» del cadavere. Ma anche non moltiplicare i centri di trapianto, privilegiando invece il potenziamento di quelli che funzionano, compito che spetta al ministero della Sanità e alle Regioni. Tuttavia i progressi tecnologici e farmacologici che hanno reso il trapianto un intervento quasi di routine determinano una maggiore richiesta. Succede così che le liste d' attesa diventino lunghe. Si calcola che vi siano in Italia seimila pazienti in attesa di un rene, mentre i trapianti realizzati in un anno sono solo 600. E va ricordato che per il rene si può attendere perché esiste la dialisi, mentre per il cuore e il fegato le liste d' attesa sono poco numerose perché i pazienti muoiono prima di trovare un donatore. Di qui gli sforzi per una soluzione definitiva. Due sono le vie percorribili: la messa a punto di organi artificiali e la possibilità di trapiantare nell ' uomo organi di animali, il cosiddetto xenotrapianto. Gli organi artificiali sono in via di sviluppo ma la strada sembra essere ancora lunga, soprattutto per il fegato. Lo xenotrapianto presenta una serie di problemi biologici da superare, ma il momento in cui si tenterà questo intervento sembra non essere molto lontano. In questo quadro deve essere visto l' appello del professor Marcelletti riportato recentemente da giornali e Tv che ha proposto un trapianto di cuore di scimmia nei bambini, non come soluzione definitiva, ma come soluzione ponte in attesa di trovare un donatore. Lo xenotrapianto pone tuttavia alcuni problemi tecnici perché nell' uomo sono presenti anticorpi preformati nei confronti di proteine tipiche della specie animale donatrice. Questi anticorpi si fissano a un antigene (una proteina) presente nelle cellule che tappezzano i vasi dell' organo trapiantato e generano una serie di reazioni che portano al rigetto acuto. Esistono però vari modi per opporsi, almeno nel breve termine, sia neutralizzando gli anticorpi sia proteggendo la proteina a cui si attaccano. Rimane poi il problema della risposta immunologica indotta dalle proteine dell' organo estraneo, ma questa si può dominare sia impiegando i classici farmaci immunodepressori sia inducendo una tolleranza attraverso una iniezione di linfociti del donatore nel timo del ricevente. La strada sembra quindi tracciata, anche se saranno necessari probabilmente diversi tentativi prima di trovare le condizioni ottimali. E' certo che qualcosa bisogna fare perché è straziante veder morire dei bambini mentre il ricambio di un organo potrebbe salvarli. Alle difficoltà tecniche si uniscono le difficoltà psicologiche indotte dai gruppi animalisti che si battono contro il sacrificio degli animali per questi scopi. In realtà la vita di un bambino deve pur valere la vita di un animale Poiché si utilizzano ogni giorno milioni di animali per l' alimentazione, non si vede perché non si possano sacrificarne alcuni per salvare vite umane. E infatti alcuni esperti in bioetica hanno dato via libera allo xenotrapianto. Silvio Garattini Istituto Mario Negri, Milano


Trent' anni di progressi Oggi il rigetto è controllabile
AUTORE: RAINERO FASSATI LUIGI
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, SANITA'
NOMI: BABY FAE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 089. Trapianti, organi scimmia, babbuini

LO xenotrapianto non è qualcosa di nuovo: i primi tentativi risalgono all' inizio degli Anni 60. In quel tempo l' esperienza aveva dimostrato che solo i reni prelevati da donatori consanguinei viventi davano risultati accettabili, mentre quelli dei cadaveri funzionavano male perché ancora non era legalmente riconosciuta la «morte cerebrale» e l' obbligo di eseguire il prelievo dopo l' arresto cardiaco rendeva praticamente inutilizzabili gli organi. L ' unica alternativa per salvare qualche malato in più consisteva nel ricorrere all' animale come donatore. Reemstma, nel 1964, per ben 12 volte trapiantò sull' uomo un rene di scimpanzè e ottenne una sopravvivenza addirittura di 9 mesi. Nello stesso periodo, Starzl fece 6 trapianti di rene da babbuino e ottenne una sopravvivenza di 2 mesi. Tentò anche 3 trapianti di fegato da scimpanzè, con una sopravvivenza massima di 14 giorni. In Italia Stefanini eseguì il primo e unico xenotrapianto di rene uomo/scimpanzè, ma il paziente morì dopo qualche settimana per complicazioni infettive. L' impossibilità di dominare il rigetto con l' insufficiente terapia immunosoppressiva di quegli anni e il successivo riconoscimento della «morte cerebrale» che consentiva di disporre di un maggior numero di organi in buone condizioni, furono determinanti nel limitare lo xenotrapianto, riservandolo solo a casi disperati e urgentissimi. Nel 1977, Barnard fece due xenotrapianti di cuore utilizzando come donatori lo scimpanzè e il babbuino. La sopravvivenza più lunga fu di 4 giorni. Infine Bailey, nel 1985, trapiantò il cuore di un babbuino alla piccola Baby Fae, che sopravvisse per 4 settimane. Lo xenotrapianto si ripropone oggi per due motivi fondamentali: 1) l' aumento vertiginoso delle richieste di trapianto a fronte di una stazionarietà, se non addirittura diminuzione, dei donatori; 2) la possibilità di disporre di farmaci immunosoppressori molto più potenti e sicuri. Nello stesso tempo si è sentita la necessità di fare una nuova e più attenta valutazione dell' animale da usare come possibile donatore. Pur essendo lo scimpanzè il primate più simile all' uomo (Dna identico al 98 per cento) non si ricorrerà al prelievo dei suoi organi in quanto la razza è in estinzione e quindi deve essere protetta. Il babbuino è geneticamente più lontano dall' uomo (Dna identico al 92 per cento) ma non corre rischi di estinzione: nel solo Sud Africa ce ne sono almeno 500 mila esemplari. La loro prolificità è elevata e ne nascono più di 50 mila all' anno. Di qui la scelta di questa scimmia per lo xenotrapianto. Mi sembra importante sottolineare, inoltre, come il prelievo degli organi presupponga una anestesia generale che esclude ogni sofferenza: una situazione sicuramente meno barbara del macello dove ogni giorno, con il consenso di tutti, vengono sacrificati milioni di animali. In Italia i trapianti eseguiti sono soltanto un decimo del reale bisogno. Dalla lista di attesa del nostro Centro di trapianto di fegato viene escluso chi ha una prognosi di vita inferiore ai due anni perché tanti ne passano prima di poter essere operati. Non rimane allora che chiedersi quale sia la strada eticamente più giusta fra le tre possibili: perpetuare la situazione attuale assistendo passivamente alla morte dei pazienti; farsi fare il trapianto in India utilizzando i reni di chi è costretto a venderli per non morire di fame; ricorrere allo xenotrapianto. Luigi Rainero Fassati Università di Milano


Babbuini sotto il bisturi Gli esperimenti in corso a Milano
Autore: GRIDELLI BRUNO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA, SANITA'
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 089. Trapianti, organi scimmia, babbuini

LA maggior parte dei pazienti a cui viene trapiantato il fegato ritorna spesso, dopo anni di terribile malattia, a una vita normale Se poi i pazienti sono bambini nati già con un fegato malato, per loro il trapianto è l' inizio di una vita normale che non avevano mai conosciuto e per le loro famiglie la fine di un incubo. Ma per ogni paziente che riesce a ottenere un trapianto, grazie alla donazione degli organi di una persona deceduta per cause cerebrali, molti altri muoiono in attesa di un organo che non arriva. E' il dramma di tutti questi altri pazienti che alimenta la ricerca sugli xenotrapianti, cioè i trapianti nell' uomo di organi di animali. Nel laboratorio di chirurgia sperimentale dell' Università di Milano, che costituisce una fondamentale appendice del Centro per il trapianto di fegato dell' Ospedale Maggiore di Milano, ormai da anni sono in atto ricerche sulla possibilità di utilizzare il fegato di babbuino per trapianto in pazienti. Già negli Anni 70 il professor Galmarini aveva usato il fegato di babbuino, connesso temporaneamente alla circolazione sanguigna, per curare malati con epatite fulminante. Il principale ostacolo al successo dello xenotrapianto da babbuino a pazienti è costituito dal rigetto, molto più difficile da controllare rispetto al rigetto del trapianto da uomo a uomo. Per capire come prevenire il rigetto dello xenotrapianto di fegato, da oltre un anno è iniziata una ricerca nella quale vengono realizzati trapianti prelevando il fegato da una scimmia di una specie e trapiantandolo a un' altra di specie diversa. Le tecniche di anestesia e chirurgia usate in questi esperimenti sono identiche a quelle applicate in campo pediatrico. Si lavora quindi con un modello sperimentale per vedere ciò che succederà quando verrà trapiantato il fegato di un babbuino a un paziente e imparare a prevenirne il rigetto. La ricerca, a cui collaborano immunologi, epatologi, virologi e veterinari italiani e stranieri, è tuttora in corso ma già alcuni risultati indicano la validità del progetto. Babbuini con fegato di scimmie di altra specie sono sopravvissuti oltre un anno. La terapia immunosoppressiva antirigetto usata si basa principalmente sulla somministrazione della Ciclosporina, il farmaco che ha consentito i maggiori progressi nella chirurgia dei trapianti degli ultimi dieci anni. Quando si passerà alla fase clinica sarà quindi possibile continuare a usare un farmaco ben collaudato e facilmente disponibile. Sono inoltre allo studio aspetti virologici di grande importanza. Una delle cause più frequenti di malattie del fegato che richiedono il trapianto sono le infezioni croniche da virus dell' epatite B e dell' epatite C. Nei trapianti da donatore umano questi due virus possono riprodurre rapidamente la stessa malattia nel fegato trapiantato. Il fegato di babbuino invece sembra resistere all' attacco dei virus dell' epatite B e C. Un ulteriore vantaggio è la possibilità di selezionare con accurati test immunologici il babbuino che meglio si adatta al paziente da trapiantare. Il trapianto di fegato da babbuino, conclusa la necessaria verifica sperimentale, potrà diventare una realtà clinica. I primi candidati a ricevere lo xenotrapianto di fegato saranno probabilmente pazienti con epatite fulminante o con malattie epatitiche croniche giunte in fase terminale, per i quali non sia possibile reperire per tempo un donatore umano. Bruno Gridelli Università di Milano


BIODIVERSITA' Specie uniche e irripetibili Il punto più controverso di Rio
Autore: BOZZI MARIA LUISA

ARGOMENTI: ECOLOGIA, BIOLOGIA, VERTICE, ZOOLOGIA, ANIMALI
NOMI: WILSON EDWARD, ERWIN TERRY
LUOGHI: ESTERO, BRASILE, RIO DE JANEIRO
NOTE: 089

E' una parola di dodici lettere che sui nostri vocabolari non c' è ancora, eppure in suo nome si stanno conducendo trattative serrate e si aprono profonde divergenze. Biodiversità (dall' inglese biodiversity, che forse sarebbe più corretto tradurre con «diversità biologica» ) è il neologismo che la Conferenza di Rio ci ha reso familiare. Indica in modo sintetico la straordinaria varietà di forme nelle quali la vita si esprime, cioè le specie di animali, vegetali, funghi, protozoi e batteri. Secondo i calcoli di Edward O. Wilson, lo zoologo statunitense che si batte con tutto il suo prestigio di scienziato in difesa della conservazione della biodiversità, sono 1, 4 milioni le specie finora descritte e a cui è stato assegnato un nome, su 5 milioni di esistenti. Una stima per difetto, se ascoltiamo Terry L. Erwin, l' entomologo che in 60 metri quadrati di foresta pluviale contò ben tremila differenti tipi di scarafaggi: estrapolando questo dato, il totale diventa 30 milioni e anche più. Gli ambienti terrestri più ricchi di specie sono le savane, le barriere coralline e le foreste: anzi, la maggior parte degli studiosi è concorde nel ritenere che più della metà delle specie esistenti si trova nelle foreste pluviali tropicali, che solo da pochi anni incominciarono a essere esplorate e con grande difficoltà, perché si sviluppano in un intrico di vegetazione, fino ai trenta metri di altezza degli alberi più alti. Questo ecosistema, che occupa soltanto il 6 per cento della superficie terrestre, si trova nelle zone più calde e piovose della Terra: irrorate da 2000 millimetri di pioggia all' anno e favorite da una temperatura costante, le piante latifoglie sempreverdi sono gli organismi dominanti e racchiudono fra le foglie, le liane, le radici aeree e i fiori una incredibile varietà di microambienti, dove vivono migliaia di creature diverse, soprattutto insetti. Una ricchezza di specie che è controbilanciata da una grande fragilità . Sottoposta al taglio e al fuoco da alcuni decenni, ormai ridotta al 55 per cento della estensione originaria, la foresta viene distrutta al ritmo di centomila chilometri quadrati all' anno. Le strette correlazioni fra specie e specie, e l' adattamento di ognuna a un particolare microambiente, fanno sì che la distruzione della foresta porti, secondo i calcoli di Wilson, a perdere come minimo da quattro a seimila specie all' anno. Un tasso che è diecimila volte superiore a quello precedente la comparsa dell' uomo, e che porterà , se non diminuisce, alla perdita di un quarto delle specie terrestri nei prossimi trent' anni: una estinzione di massa, come quella della fine del Cretacico, quando scomparvero i dinosauri. A differenza di allora, però, travolge sia le piante sia gli animali. Se la foresta pluviale è l' ambiente più colpito dall' estinzione, il resto del mondo non ne è immune. Le foreste degli Stati Uniti occidentali, per esempio, sono ugualmente protagoniste di un' ecatombe di specie. La riduzione della biodiversità dovuta alla distruzione dell' habitat è un problema economico, oltre che etico. Ogni specie racchiude un potenziale altissimo di conoscenze scientifiche e di opportunità per il nostro stesso benessere. Un quarto dei farmaci usati nel mondo deriva da piante o da animali della foresta pluviale. Se il chinino è il più noto, l' epibatidina è il più recente: un analgesico 200 volte più potente della morfina, estratto da una rana velenosa (Epipedobates tricolor ) dell' Ecuador. Antivirali, anticancerogeni e prodotti sostitutivi del petrolio sono le altre sostanze che ci arrivano dalla foresta pluviale: una ricchezza che è in mano alle popolazioni più povere del mondo, incapaci di gestirla ma decise a chiedere che per il suo sfruttamento sia riconosciuto loro il pagamento di una sorta di diritti d' autore. Si può obbiettare che la riduzione della biodiversità non è che uno dei processi che accompagnano la trasformazione ambientale dovuta alla presenza dell' uomo, e che comunque la natura ha una capacità di rigenerazione per cui le cose andranno sicuramente a posto da sole. Il problema è che questo processo è assolutamente irreversibile. Ogni specie è unica in quanto è il prodotto di un lunghissimo processo di evoluzione. Non illudiamoci, quindi: dopo l' estinzione dei dinosauri, occorsero dai 5 ai 10 milioni di anni perché il numero delle specie tornasse ai valori di prima. Maria Luisa Bozzi


SE NE PARLA DOMANI A TORINO Così ascolteremo E. T. In progetto un' antenna vela solare che potrebbe captare segnali extraterrestri sfruttando la «lente gravitazionale» creata dalla massa della nostra stella
Autore: MACCONE CLAUDIO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, CONGRESSO, AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: SETISAIL
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 090

SI chiama Setisail, cioè «vela per la ricerca di vita intelligente extraterrestre», ed è uno dei più originali progetti spaziali che siano stati concepiti. Ne parleranno domani nell' aula magna del Politecnico di Torino ricercatori italiani, americani e francesi. Il programma Setisail punta a costruire la prima antenna spaziale che sia anche una «vela» spinta dalla radiazione del Sole, per inviarla a ben 550 unità astronomiche (A. U.; 1 unità astronomica = 150 milioni di chilometri), cioè circa 12 volte più lontano dell' orbita di Plutone. A quella distanza si trova il fuoco della «lente gravitazionale» del Sole, previsto dalla teoria della relatività generale. Perché questo progetto? Le equazioni che descrivono la lente gravitazionale creata da ogni stella, e in particolare quella creata dal nostro Sole, vennero pubblicate per la prima volta nel 1936 da Albert Einstein. La prima lente gravitazionale fu osservata nel 1978 dall' astronomo britannico Dennis Walsh: è costituita da una galassia interposta fra la Terra e un quasar, in modo che l' immagine del quasar, vista dalla Terra, ci appare doppia. Successivamente, gli astronomi identificarono molti altri casi del genere, per cui l' esistenza delle lenti gravitazionali è ormai un fatto certo. Nel 1979, Eshleman, della Stanford University, pubblicò un lavoro sulla lente gravitazionale del Sole dove mise in chiaro gli enormi guadagni d' antenna, cioè gli enormi ingrandimenti, che la lente gravitazionale del Sole può dare sulle onde elettromagnetiche che l' attraversano. Non è in alcun modo possibile ottenere ingrandimenti di questo genere rimanendo sulla superficie della Terra. Va sottolineato che qualsiasi distanza al di là delle 550 A. U. andrebbe ugualmente bene per ricevere le onde radio focalizzate, in quanto esistono alcuni effetti particolari del fascio deflesso, dovuti alla forma di corona circolare della sua sezione, che mantengono inalterato il guadagno d' antenna con la distanza. Di conseguenza, non è necessario fermare la corsa della sonda spaziale esattamente alla distanza di 550 A. U.: essa può invece proseguire liberamente ben oltre, e continuerà a ricevere le onde radio con lo stesso ingrandimento. Anzi, fra le 550 e le 1000 A. U. la situazione sarà perfino migliore, perché gli effetti distorcenti della corona solare si ridurranno progressivamente. La distanza di 550 A. U. dal Sole appare enorme se paragonata alle dimensioni del sistema solare, circa 12 volte più piccole. Tuttavia, la stessa distanza di 550 A. U. è molto inferiore alle 1000 A. U. che gli esperti del Jet Propulsion Laboratory (Jpl) di Pasadena, California, avevano progettato di raggiungere con la loro missione Tau (Thousand Astronomical Units), concepita come la prima missione spaziale interstellare azionata da propulsione ionica anziché chimica. La motivazione scientifica principale della missione Tau era lo studio del vento solare (flusso di protoni emessi di continuo dal Sole) e dell' eliopausa (zona molto al di fuori del sistema solare dove questo flusso di protoni viene a scontrarsi e mescolarsi col vento interstellare, cioè col flusso di particelle proprio della galassia). I progettisti americani della missione Tau, tuttavia, non parlarono mai della lente gravitazionale del Sole. Questo poté accadere perché, nel decennio 1980 1990, l ' idea stessa di lente gravitazionale del Sole non era stata compresa al di fuori della stretta cerchia di studiosi della relatività generale. Si noti inoltre che, applicando esclusivamente la meccanica di Newton e l' elettromagnetismo classico di Maxwell, senza ricorrere alla relatività generale, il fuoco della lente gravitazionale del Sole risulta trovarsi a una distanza esattamente doppia, cioè a 1100 A. U.: dunque è soltanto grazie alla relatività generale se oggi noi possiamo nutrire delle speranze di vedere realizzata un giorno la missione Setisail. Fra tutte le possibili frequenze radio su cui sintonizzare i ricevitori della nostra sonda, ne esiste almeno una privilegiata: è la frequenza di 1420 MHz detta comunemente «riga dell' idrogeno». A questa frequenza, il guadagno d' antenna fornito dalla lente gravitazionale del Sole è di oltre 57 dB, cioè di 600. 000 volte. Ad esso va aggiunto il guadagno proprio dell' antenna della sonda: ad esempio, per un' antenna parabolica di 55 metri di raggio, come potrebbe essere la prima vela solare/antenna, il risultato è l' incredibile guadagno totale di 118 dB, cioè 767 miliardi. E' appunto questa la motivazione scientifica fondamentale per avviare il programma Setisail. Claudio Maccone


NUOVI MATERIALI Ceramiche che nascono dal laser Un giro di affari da 30 mila miliardi
Autore: CASTIGLIONI MARIO

ARGOMENTI: CHIMICA, TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 090

OTTOMILA anni fa, a cavallo fra l' età della pietra e quella del bronzo, un nostro progenitore incominciò a sottoporre all' azione del fuoco oggetti plasmati impastando argilla e acqua: nascevano così i primi materiali ceramici. Oggi si definiscono ceramici quei materiali ottenuti a partire da materie prime inorganiche, non metalliche, mediante formatura e successivo trattamento termico. Le moderne materie prime sono ossidi solidi di metalli e di non metalli, ma anche gas: metano, ammoniaca, composti volatili del boro e del silicio. I materiali ceramici di avanguardia vengono oggi formati sottoponendoli a pressioni che possono anche raggiungere le decine di migliaia di atmosfere e a temperature superiori a 1600 C. Benché la tecnologia si sia enormemente affinata e i materiali di partenza non siano soltanto più argilla e acqua, il metodo di preparazione rimane essenzialmente quello di 8000 anni fa. I materiali ceramici sono entrati profondamente nell' uso quotidiano. Senza di essi non sarebbe pensabile il nostro modo di vivere: dalle pignatte delle nostre bisnonne, alle stoviglie e agli apparecchi igienico sanitari delle nostre case, ai laterizi, alle piastrelle per pavimenti e per rivestimenti, soltanto per citare i ceramici di uso più comune. Ma bisogna anche ricordare gli strati isolanti dei microprocessori, le palette dei compressori per motori a reazione, alcuni catalizzatori e sensori, fra i quali quelli delle marmitte catalitiche. I materiali ceramici, contrariamente al legno e a molti metalli, resistono bene all' azione disgregatrice del tempo, degli agenti atmosferici e di molti agenti chimici, sono duri, certuni durissimi, alcuni di essi sono biocompatibili, altri resistono molto bene alle alte temperature, molti sono isolanti elettrici e termici, altri ancora conduttori, alcuni sono superconduttori, certuni sono trasparenti, altri opachi. Sfortunatamente sono tutti piuttosto fragili. Tuttavia le applicazioni scientifiche e tecnologiche dei ceramici sono in continuo aumento. Si prevede che il mercato mondiale passerà dai 14. 500 miliardi di lire di fatturato del 1988 a più di 30. 700 miliardi nel 1998. Un giro d' affari più che rispettabile. Per produrre materiali ceramici ad elevate prestazioni è necessario che le particelle dei componenti siano tutte delle stesse dimensioni, con diametro inferiore ad un millesimo di millimetro e pressoché sferiche. Al fine di ottenere polveri con queste caratteristiche si usano sostanzialmente due metodi: l' uno richiede che sostanze gassose quali idruri, alogenuri o composti metallorganici vengano fatte reagire fra loro o con ossigeno in una fiamma o mediante un raggio laser per essere trasformate in una finissima polvere ceramica. Si è calcolato che un impianto funzionante a laser, capace di raggiungere temperature di reazione superiori a 1900 C, sarebbe in grado di produrre 40 50 tonnellate all' anno di carburo di silicio in polvere formato da particelle aventi un diametro dell ' ordine di un decimillesimo di millimetro, a prezzi competitivi. L' altro metodo sfrutta la proprietà delle soluzioni acquose degli alcossidi (composti dei metalli con gli alcoli) di formare dei geli (dispersioni di liquidi in solidi) costituiti da polimeri di ossidi idrati, i quali, per eliminazione di acqua, danno origine a polveri caratterizzate da particelle di forma e diametro controllabili. Recentemente sono iniziati studi per migliorare entrambi i metodi sfruttando la proprietà delle radiazioni elettromagnetiche ionizzanti (raggi gamma o raggi X ad alta energia) di indurre reazioni in fase gassosa anche a bassa temperatura e di accelerare certe reazioni di polimerizzazione in fase liquida. Mario Castiglioni Università di Torino


TELECOMUNICAZIONI Una voce ad alta fedeltà ma compressa in poche migliaia di bit
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ACUSTICA, COMUNICAZIONI, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: PHILIPS PASC
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 090

COME «Tuttoscienze» ha annunciato qualche settimana fa, a settembre arriveranno nei negozi di Hi Fi i lettori e i registratori per la cassetta digitale (in sigla, Dcc), un matrimonio tra la vecchia cassetta magnetica analogica (nata nel ' 63) e la tecnologia dei compact disc. Questa cassetta, frutto di anni di ricerche nei laboratori della Philips, ha il vantaggio, rispetto a una sua consorella della Sony già in circolazione da un paio d' anni, di essere compatibile con i tradizionali lettori e registratori analogici in quanto il nastro magnetico ha la stessa altezza e scorre alla stessa velocità. Naturalmente ottenere la compatibilità non è stato facile. Su un esiguo spazio di nastro altezza 3, 7 millimetri, velocità 4, 75 centimetri al secondo si è dovuto concentrare un enorme numero di informazioni elementari (bit) corrispondenti alla traduzione del suono in cifre binarie. In che modo? Il trucco a cui si è fatto ricorso è quello della «compressione» dei dati. In pratica, si è riusciti a ridurre le informazioni del 75 per cento: da un milione e 536. 000 byte al secondo (1 byte = 8 bit) ad appena 384 mila byte. Il processo escogitato in casa Philips è il Pasc (codifica di precisione adattativa a sotto bande). Grazie ad esso, vengono eliminati tutti i segnali sotto la soglia di udibilità e tutti i segnali «mascherati», cioè sovrastati da segnali simili in frequenza ma di maggiore intensità. Questi tagli, secondo le teorie psicoacustiche, non sono avvertibili, e quindi non abbassano la fedeltà della riproduzione sonora. La compressione dei dati è molto importante non soltanto nel caso della nuova audiocassetta ad alta fedeltà ma in tutta la tecnologia digitale: è chiaro, per esempio, come sia conveniente, per occupare un minor numero di canali, ridurre il numero delle informazioni quando si trasmettono comunicazioni telefoniche o immagini televisive. In questo campo lo Cselt, il Centro studi e laboratori Telecomunicazioni della Stet con sede a Torino, ha molto lavorato negli ultimi dieci anni e, per ciò che riguarda l' elaborazione della voce, i risultati sono ora ben documentati su un compact disc prodotto dallo stesso centro di ricerca torinese. La prima parte del Cd è dedicata ai progressi nella sintesi della voce tramite il computer. La seconda parte tratta la compressione dei dati nella codifica del segnale audio. Si è lavorato in particolare sulla voce così come viene trasmessa per telefono, cioè entro una banda che non va oltre i 3. 400 Hz (una maggior fedeltà non servirebbe a nulla). Un suono che sta entro i 3400 periodi al secondo può essere trasmesso in forma numerica alla velocità di 64 mila bit al secondo mantenendo la stessa qualità del segnale analogico. Bene, già nel 1984 allo Cselt si era trovato il modo di comprimere le informazioni in metà spazio: 32 mila bit al secondo. Dell' anno scorso è un passo ulteriore: una nuova tecnica di codificazione ha permesso di ridurre i bit necessari a 16 mila al secondo. E' chiaro che così si riduce di un quarto anche il numero delle linee telefoniche necessarie. Il risparmio è tanto più importante nel caso del telefono cellulare perché sappiamo come si stiano ormai esaurendo le frequenze disponibili. Ma in questa tecnologia si aggiungono altre difficoltà: i disturbi e la necessità di tutelare la segretezza della comunicazione. Con l' occhio al telefono cellulare, allo Cselt si è dunque cercato di andare oltre. Il compact disc ci fa sentire alcune frasi codificate con 11. 400 bit al secondo, di cui soltanto 6. 550 sono dedicati al segnale vocale, mentre gli altri servono a proteggere l' informazione trasmessa. Il risultato è molto buono. Dicevamo che il telefono si accontenta di una banda sonora di 3. 400 Hz. Una maggior fedeltà richiede che si passi a una banda di almeno 7. 000 Anche in questo caso i ricercatori dello Cselt sono riusciti a comprimere fortemente il segnale: prima l' hanno costretto a stare in 64. 000 bit al secondo, poi addirittura in 16 mila, con una perdita di qualità quasi inavvertibile. Morale? Quando ascolteremo le cassette digitali ad alta fedeltà, inviamo un pensiero riconoscente ai tanti tecnici che hanno lavorato per comprimere il segnale fino a limiti che soltanto dieci anni fa sembravano irraggiungibili. Piero Bianucci


SCAFFALE Nespor, Santosuosso, Satolli, «Vita morte e miracoli», Feltrinelli
AUTORE: VERNA MARINA
ARGOMENTI: BIOETICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 090

VIVERE e morire sono sempre meno fatti privati: avvengono per lo più in strutture pubbliche e implicano molto spesso una scelta. C' è di mezzo il denaro, con il quale si può accedere a cure speciali e limitate, ma anche la morale, che fa accettare o respingere non poche prassi. In questo labirinto che ormai ci coinvolge tutti si sono addentrati simultaneamente tre specialisti: un avvocato, Stefano Nespor; un giudice, Amedeo Santosuosso (uno dei fondatori della Consulta di Bioetica); e un medico giornalista, Roberto Satolli. Il risultato è un libro molto importante e molto bello, «Vita morte e miracoli». Sottotitolo: «Medicina, genetica, diritto conflitti e prospettive». Ci sono tutti i problemi che la ricerca scientifica ha aperto in questi anni: i bambini in provetta la donazione di organi, il rifiuto delle cure, la definizione di morte. Sviscerati e analizzati in ogni risvolto, con la chiarezza e l' acutezza di chi ci riflette da anni e, per nostra fortuna, ha qualcosa di saggio da dire.


SCAFFALE Zullini Aldo, «I giochi della natura», La Stampa; Stella Enrico, «Elogio dell' insetto», La Stampa
AUTORE: VERNA MARINA
ARGOMENTI: ZOOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 090

Sulla Terra c' è, in media, un insetto ogni centimetro quadrato: mosche, formiche, farfalle ma soprattutto collemboli, l' ordine più numeroso benché praticamente sconosciuto alla maggior parte delle persone. Sono insetti lunghi meno di un millimetro, privi di ali e perciò zampettanti nel terreno fino a dieci centimetri di profondità. Noi leggiamo sui libri di scuola che la Terra «brulica» di vita, ma non abbiamo le idee chiare su quali siano queste forme di vita. La grande maggioranza, infatti, non raggiunge i due centimetri di lunghezza: la vita che domina la Terra è fatta di insetti, funghi e batteri. Ed è governata dalla selezione ambientale, che lentamente fa evolvere tutte le specie. In che direzione? Non certo verso un supposto perfezionamento, spiega lo zoologo Aldo Zullini nel suo bel libro «I giochi della natura»: rispetto al suo obiettivo, anche una mosca è perfetta. L' evoluzione è una caratteristica costante di tutte le strutture dinamiche gli organismi viventi, ma anche le lingue e le culture. Zullini analizza questi meccanismi in modo molto sofisticato, e dalla diversità biologica arriva ai conflitti sociali e politici che hanno al centro l' uomo. Gli insetti sono al centro anche di un altro libro della stessa collana, «Elogio dell' insetto» dell' entomologo Enrico Stella. Diametralmente diverso nello stile e nei contenuti, ma ugualmente affascinante. Qui regna la meraviglia (a cominciare dalle splendide fotografie a colori dello stesso autore) e il gusto di raccontare nel dettaglio a quali eleganti soluzioni sia approdata nel tempo l' evoluzione.


SCAFFALE «Nuovo Mondo: gli italiani, 1492 1565» a cura di Paolo Collo e Pier Luigi Cravetto, Einaudi
AUTORE: VERNA MARINA
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 090

Il 18 marzo 1523 Piero Pomponazzi esponeva, davanti ai suoi allievi di Bologna, le quattro ragioni addotte da Aristotele nel secondo libro delle Meteore per dimostrare l' inabitabilità delle terre collocate a Sud del Tropico del Capricorno. Subito dopo contrappose alla teoria le ragioni dell' esperienza: da un amico veneto, al seguito del nunzio papale presso il re di Spagna, aveva infatti saputo di un viaggio nell' emisfero australe. L' esperienza si misurava così con il sapere tradizionale e progressivamente lo smantellava. La storia di quegli anni e delle grandi scoperte che portarono alle Americhe viene raccolta ora, in occasione dei cinquecento anni del viaggio di Colombo, in una trilogia di forte impegno «Nuovo mondo documenti della storia della scoperta e dei primi insediamenti 1492 1640» di cui è uscito ora il volume dedicato agli italiani. Niente di inedito, ma tutto molto organico e ovviamente appassionante.


IL LOESS Quella sabbiolina che fa la terra avara E' la testimonianza geologica del più recente periodo glaciale. Sarebbero terre ideali per lo sviluppo urbano, che però le disdegna
Autore: BIANCOTTI AUGUSTO

ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA, ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C
NOTE: 091

LA sabbiolina limosa bianco giallastra affiora in Ossetia, al bordo delle vallate che solcano i contrafforti del Caucaso; nella Cina settentrionale, drenata dal Fiume Giallo; nel Michigan, sulla riva meridionale dei Grandi Laghi del Nord America. E anche a Trofarello ai piedi della collina di Torino. Si chiama loess: è un deposito di antico deserto freddo, sempre uguale in tutto il mondo, testimone di ambienti che non sono più, di un passato geologico neppure troppo lontano. Ancora ventimila anni fa i ghiacciai del Wurm, il più recente dei periodi freddi che si sono succeduti nell' ultimo milione di anni, coprivano un terzo delle terre emerse. Il Wurm veniva dopo un lungo periodo tiepido e umido, durante il quale gran parte dei continenti si era ammantata di boschi. Quando il clima cambia, chi ne fa le spese per prima è la vegetazione. Le piante non sopportano mutamenti radicali nel regime termico e pluviometrico: lo stress da gelo fu causa della scomparsa delle foreste di gran parte dell' emisfero settentrionale. Il terreno si trovò privo del feltro protettivo delle radici, dell' erba e degli arbusti. Diventò preda dell' erosione del vento: la deflazione eolica, madre di tutti i deserti. Il suolo denudato si disgregò, i materiali più fini si levarono in nuvole gigantesche di polvere densa che venne trasportata lontano e infine depositata là dove le correnti d' aria si chetavano. In Europa gran parte della Puzta, la pianura ungherese al centro del bacino pannonico, si trasformò in un campo mobile di dune desertiche, così come le altre depressioni delle zone che oggi sono temperate. Accadde anche nella pianura Padana, chiusa fra le Alpi nella morsa del gelo, l' Appennino settentrionale a sua volta glacializzato, e aperta verso Est, dove si prolungava fino all' altezza di Ancona congiungendo Italia e Dalmazia. L' acqua sottratta agli oceani e immobilizzata sui continenti in masse gelate aveva infatti portato il livello marino ad abbassarsi ovunque di oltre cento metri. Del tutto esclusa dagli influssi di un Mediterraneo diventato minuscolo, insignificante come fattore di mitigazione climatica, la Padania viveva una cruda stagione boreale. Venti impetuosi si incanalavano nei corridoi delle vallate lastricate di ghiacci, setacciavano gli accumuli morenici asportandone i limi e le sabbie più leggere, e le sedimentavano là dove andavano a investire la muraglia costituita dalla collina di Torino, dal Monferrato e dall' Appennino Emiliano. Ancora oggi la piana tra Moncalieri e Cambiano, a Sud dell' estremo saliente collinare, è cosparsa di ondulazioni lente, quanto resta delle vecchie dune del deserto subartico di 20. 000 anni fa. La coltre di loess vi è spessa fino a 8 metri: le morene del bordo alpino sono vicine, il soffio del fohn spira gagliardo, con una energia capace di trasportare volumi enormi di sabbia. La copertura è ancora profonda due metri alla falde delle alture che si levano dietro le spalle di Piacenza; continua con un velo sempre più tenue dal Taro al Sillaro, fino alla Romagna. A Forlì le placche deposte non superano pochi decimetri di spessore, in ragione della distanza dalle Alpi, che cresce progressivamente, e costringe la polvere glaciale a un cammino troppo lungo per arrivare tutta fino all' altra sponda dell' alveo padano. Le tempeste di sabbia dovevano essere l' ossessione dell' uomo che viveva nel Paleolitico superiore. Nubi pervasive spargevano il loess ovunque: oggi lo troviamo nelle grotte allora abitate, nei ripari sotto roccia, sui plateau carsici, da Campo dei Fiori ai Lessini, al Cansiglio. Ambienti del tutto simili esistevano lungo la spina dorsale della Penisola, nelle conche del Mugello, del Casentino, del Fucino, fino all' altopiano garganico, e, più a Est, in Istria, ormai a un passo da quello che era il gran deserto magiaro. Oggi i contadini chiamano quei depositi «terre bianche» e non ne sono affatto entusiasti, visto che l' esposizione millenaria agli agenti atmosferici li ha dilavati dei sali minerali necessari per le coltivazioni. Inoltre il limo che contengono li rende quasi impermeabili, tanto che quando piove si trasformano in palude e quando è secco induriscono fino ad acquisire la consistenza della pietra. Sono suoli poveri, come le «terre rosse» e le «terre d' ombra» alle quali si alternano sugli altopiani e sui terrazzi che emergono dalla piana, lembi residuali di antiche forme disseccate dall' incisione secolare dei fiumi. Ragione vorrebbe che quelle superfici, ben alte sull' attuale livello del reticolo idrografico, coperte da terreni inadatti all' agricoltura, ma al sicuro da inondazioni proprio per la loro altitudine, fossero destinate a spazio urbano, a ospitare città e fabbriche, aeroporti e servizi. Mentre il livello più basso della pianura, facile a irrigarsi perché alla stessa quota dei fiumi che vi scorrono, coperto da terre grasse e giovani, avesse come suo naturale destino l' essere coltivato. Invece i terreni avari del loess come pure gli altri suoli antichi sono abbandonati dall' uomo che si assiepa invece sul bassopiano a ridosso dei corsi d' acqua Da Torino a Ferrara in Padania, Firenze nella sua conca, fino a Budapest in Ungheria, tutte le metropoli si espandono inarrestabili sulle superfici più giovani, a consumare le terre più ricche. E' uno dei tanti sbagli nell' uso delle risorse naturali. Più ancora che stupido, è un comportamento egoista. Perché il conto sarà pagato dalle generazioni future, quando vedranno che dal cemento e dall' asfalto non può crescere il frumento. Augusto Biancotti Università di Torino


IPERTRICOSI & IRSUTISMO Se la peluria è troppa, c' è uno squilibrio ormonale Meglio l' endocrinologo dell' estetista
Autore: TRIPODINA ANTONIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, GENETICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 091

DONNA barbuta è sempre piaciuta: un vecchio proverbio dal chiaro scopo consolatorio, ma che non ha mai goduto di grande credibilità Tanto meno oggi, con le splendide fanciulle levigate continuamente proposte dai settimanali. Per adeguarsi a tali glabri modelli moltissime donne si sottopongono alle più estenuanti fatiche: si radono (con rasoi a mano o elettrici), si depilano (con cerette calde, fredde, alle alghe, al miele), si affidano a mani esperte per un' elettrolisi o per una diatermocoagulazione «definitiva». Ma i peli ricrescono. E' una lotta di cui spesso fanno le spese anche peli innocenti, quelli normali, che avrebbero tutto il diritto di stare nelle zone fisiologicamente loro assegnate. Il problema diventa ancora più grave quando esiste un reale eccesso di peluria una pelosità anomala che viene definita ipertricosi quando conserva una distribuzione tipicamente femminile (ascelle, pube, avambracci e gambe: peli ambosessuali) e irsutismo quando invece interessa zone che nella donna dovrebbero essere libere da peli (volto, addome, solco intermammario, zone areolari della mammella, dorso delle mani, cosce, braccia). Spesso è un' espressione genetico costituzionale di qui la definizione di irsutismo idiopatico o essenziale diffusa soprattutto fra le donne del bacino mediterraneo. Non è raro, tuttavia, che l' eccesso di peluria sia la parte emergente, la più evidente, di una sottostante disfunzione ormonale, per la quale è consigliabile che il terapeuta sia l' endocrinologo e non l' estetista. Alla base può esservi una patologia ovarica (policistosi ovarica, ipertecosi stromale, tumori androgeno secernenti) o una patologia surrenalica (sindrome di Cushing, difetti della biosintesi degli ormoni per carenze enzimatiche congenite, adenomi o adeno carcinomi) o, ancora, un' alterazione enzimatica (eccesso di 5 alfa reduttasi, che a livello di pelle provoca una maggiore conversione del testosterone in diidro testosterone, ormone molto più attivo). In tutte queste situazioni, elemento essenziale e comune è un' aumentata azione degli ormoni maschili (o androgeni, normalmente prodotti anche nella donna in piccola quantità da ovaio e surrene) sulla radice del pelo, in particolare sulla matrice del bulbo pilifero. Tali ormoni, stimolano, oltre al bulbo pilifero, anche le ghiandole sebacee: un loro eccesso provoca un' aumentata produzione di sebo (seborrea) e acne. L' acne giovanile, che compare durante la pubertà, è infatti un esempio di esagerata risposta a un improvviso stimolo androgenico e anch' essa, a volte, può essere la spia di un disturbo ormonale. Se la «androgenizzazione» è di grado notevole, si assiste al manifestarsi di altri segni, quali lo stempiamento dei capelli, l' abbassamento del tono della voce, l' aumento delle masse muscolari, l' ipertrofia clitoridea, che alterano la normale silhouette femminile e configurano il quadro del «virilismo». Questi casi, piuttosto rari, sono espressione di una patologia ovarica o surrenalica seria. Una forma di androgenizzazione piuttosto marcata può aversi in donne particolarmente sensibili in menopausa, quando gli estrogeni (ormoni femminili) in netta diminuzione non bilanciano sufficientemente gli androgeni prodotti da ovaio e surrene. Anche una carenza proteica (per squilibri alimentari, anoressia nervosa, nefropatie, ipotiroidismo, difetti congeniti nella formazione delle proteine) può essere causa di ipetricosi, in quanto diminuendo le «proteine di trasporto» (la Shbg, Sex hormone binding globulin, e la albumina), a cui sono legati in circolo gli androgeni, viene ad aumentare la quota «libera» di questi, quella biologicamente attiva. Esiste infine una ipertricosi iatrogena, provocata cioè dall' uso di farmaci che hanno azione androgenizzante, quali gli anabolizzanti o i progestinici derivanti dal 19 nor testosterone. Solo quando gli accertamenti clinici e di laboratorio escludano disfunzioni ormonali si può parlare di un irsutismo essenziale. Ma anche per queste forme è stata dimostrata di recente un' aumentata attività a livello cutaneo dell' enzima alfareduttasi. La terapia, medica o chirurgica secodo i casi, può essere veramente risolutiva. Anche nelle forme genetico costituzionali si sono ottenuti buoni risultati con trattamenti ormonali a base di estrogeni e anti androgeni. In definitiva, il problema dei peli va affrontato non solo dalla parte del fusto, ma soprattutto da quella della radice. Antonio Tripodina


ANTITUMORALI Taxolo, piccolo successo al seno Solo 23 casi, troppo pochi per essere significativi
Autore: BUMMA CESARE

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA, SANITA'
NOMI: MITCHELL EDITH
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 091

AL recente Convegno dell' Asco (American Society of Clinical Oncology), che si è tenuto a San Diego, in California, è stata presentata una nuova sostanza per la cura dei tumori: il taxolo, estratto dal Taxus braevifolia, una pianta a crescita molto lenta che si incontra nelle foreste americane. Per ottenere un chilogrammo di farmaco ne occorrono diecimila di corteccia e questa difficoltà ha allarmato gli ecologisti, che temono un disboscamento. I ricercatori si sono però impegnati a ripopolare le foreste. La storia è cominciata negli Anni 70 con l' identificazione di una sostanza chimica estratta dalla pianta, capace di attività antitumorale. Gli studi sperimentali del National Cancer Institut Americano sono iniziati nel 1983. I primi risultati, ottenuti su colture di cellule tumorali e su trapianti di tumore nel cosiddetto «topo nudo», perché senza difese immunitarie, sono stati così promettenti da avviare ricerche cliniche anche in campo umano. Il nuovo farmaco si è dimostrato particolarmente attivo nel carcinoma ovarico, in quello della mammella e nel tumore polmonare. Vediamo questi diversi casi in modo più approfondito. Carcinoma ovarico. In tre studi clinici sono stati analizzati i dati di 110 pazienti che non rispondevano alle comuni terapie con il platino e le farmorubicina (i farmaci sperimentali infatti sono ammessi quando le normali terapie non hanno più successo). La ricercatrice Edith P. Mitchell (Usa) ha dichiarato incoraggianti e soddisfacenti i risultati con un 37% di risposte in pazienti già pretrattate. Carcinoma della mammella. Uno studio importante ha messo in evidenza risposte utili del 56 per cento in 23 pazienti trattate, con un 12 per cento di risposte complete e scomparsa della malattia. Infine, è stato riferito che 6 pazienti su 25 trattati hanno risposto alla terapia in casi di carcinoma del polmone non a piccole cellule. Il dosaggio del farmaco oscillava tra 125 e 250 milligrammi per metro quadrato di superficie corporea del paziente; lo si somministra mediante infusione continua per alcune ore, ma non più di 24. Tra un ciclo di terapia e l' altro, deve esserci un intervallo di 21 giorni. La tossicità registrata è stata soprattutto a carico dell ' apparato ematopoietico, con riduzione dei globuli bianchi circolanti. Più rara la comparsa di nausea e vomito. Possibile la caduta dei capelli. Particolare importanza è stata data ad allergie dovute non tanto al farmaco, ma alle sostanze impiegate per la sua estrazione dalla pianta. Come precauzione, è stato proposto l' impiego preventivo di cortisonici. Nonostante questi primi risultati incoraggianti, il taxolo ha bisogno di una sperimentazione più allargata. C' è una proposta per svolgerla contemporaneamente in più Centri di Oncologia altamente specializzati, in modo da valutare le possibili risposte terapeutiche e le eventuali tossicità. Le sperimentazioni devono avvenire secondo le indicazioni dei Comitati etici che controllano le modalità applicative delle terapie, dopo aver ottenuto il «consenso informato» dei pazienti, che solo accettando le terapie e conoscendone i rischi possono essere sottoposti a terapie sperimentali. Cesare Bumma Primario di Oncologia Ospedale S. Giovanni, Torino


IN BREVE Cibi biotecnologici via libera in Usa
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 091

La Food and Drug Administration, l' ente statunitense che esamina la qualità dei cibi e dei farmaci, ha adottato il principio di valutare i prodotti alimentari soltanto in base alle loro proprietà e non in base al fatto di essere o meno frutto di biotecnologie e manipolazioni genetiche. La decisione, annunciata dal vicepresidente Dan Quayle, ha già sollevato la protesta di alcune associazioni di consumatori. Nel 1991 gli alimenti biotecnologici hanno avuto in Usa un mercato di 200 milioni di dollari.


IN BREVE Politica sanitaria progetto europeo
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 091

Dopo le frontiere economiche, la Comunità europea si prepara ad abbattere anche quelle sanitarie. Di qui l' esigenza di armonizzare i diversi sistemi e di fissare gli obiettivi di un «progetto salute » su scala continentale. Se ne parlerà il 27 28 giugno a Trento. Interverranno il cardiochirurgo americano Debakey, l' economista Nino Andreatta, il presidente del Cnel De Rita. Il ruolo dello psicologo accanto al medico negli ospedali per migliorare la qualità dell' assistenza è stato invece tema di un seminario organizzato il 15 giugno da Diabasis al «Luigi Gonzaga» di Orbassano.


IN BREVE Palermo: due secoli di astronomia
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 091

L' Osservatorio astronomico di Palermo, diretto da Salvatore Serio, celebra i suoi 200 anni di attività scientifica con un convegno sulla fisica della corona solare in ricordo di Vaiana e con una mostra di strumenti e documenti storici a Palazzo Steri, sede dell' Università (aperta fino al 4 luglio). Tra gli strumenti, un telescopio Merz che appartenne al «Gattopardo», Giulio Tomasi di Lampedusa.


IN BREVE Un satellite per guidare i Tir
ORGANIZZAZIONI: IVECO, IMMARSAT
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 091

L' Iveco (Gruppo Fiat) ha in progetto di dotare i suoi autocarri di terminali per tenere in contatto continuo via satellite i conducenti e gli uffici da cui essi dipendono. I sistemi satellitari cui si farà ricorso sono l' Immarsat e il Gps.


IN BREVE Genoma del lievito un passo avanti
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 091

Il cromosoma III del lievito (un fungo unicellulare con 16 cromosomi) è stato analizzato per intero. All' impresa hanno collaborato 35 laboratori europei.




La Stampa Sommario Registrazioni Tornén Maldobrìe Lia I3LGP Scrivi Inizio