TUTTOSCIENZE 27 maggio 92


COLESTEROLO L' inutile ossessione I farmaci per ridurne i livelli si dimostrano sempre più efficaci ma intanto crescono i dubbi che tutti debbano tenerlo sotto controllo
Autore: VERNA MARINA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, SANITA'
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T Regressione dell' aterosclerosi
NOTE: 077

HA il record dei Premi Nobel: sette, fra il 1927 e il 1985. Ed è in cima alle ossessioni mediche di gran parte degli italiani. Moltissimi, infatti, conoscono il loro tasso di colesterolo, cosa che non cessa di stupire alcuni stranieri, assolutamente indifferenti a questo tipo di informazione. Solo gli americani ci battono su questo terreno e infatti arrivano da loro tante mortificazioni alimentari che si sono rivelate assai ambigue nei risultati: ridurre il sale o abolire le uova può essere davvero una regola da imporre a tutti, nonostante le esaltanti statistiche sulla riduzione del tasso di mortalità ? Fino a poco tempo fa il colesterolo è stato considerato, insieme con la pressione alta, il principale fattore di rischio dell' aterosclerosi, che a sua volta è la principale causa di morte nel mondo industrializzato. Di qui la demonizzazione di questa sostanza grassa, che insieme ad altre si deposita in forma di placca sulle pareti delle arterie fino a ostruirle. Su di essa si è concentrata un' altissima quantità di studi, molto istruttivi da esaminare a distanza di qualche anno. Nel 1980 vengono pubblicati i risultati di un decennio di ricerche su 12. 763 uomini (sono loro la categoria a rischio, le donne sono relativamente al sicuro fino alla menopausa) in sette Paesi assai diversi fra loro: Finlandia, Grecia, Italia, Giappone, Olanda, Stati Uniti e Jugoslavia. Si scopre che i livelli di colesterolo variano molto da Paese a Paese, ma c' è una stretta correlazione tra colesterolo alto e incidenza di malattie cardiache. Nei villaggi giapponesi e jugoslavi, dove il valore medio del colesterolo è 160 gli infarti sono meno del cinque per mille. In Finlandia, dove il valore è 265, gli infarti sono 14 volte di più. Nello stesso anno viene pubblicato un altro lavoro, il celebre Framingham Study, che, dopo aver seguito qualche migliaio di uomini per 24 anni, arriva alla conclusione che il colesterolo va associato al fumo e all' ipertensione come fattore di rischio cardiaco. L' anno dopo e ' la volta dello studio di Oslo: copre solo cinque anni, ma offre una dimostrazione «conclusiva» che una dieta a basso contenuto di colesterolo e di grassi, associata all' abolizione del fumo, riduce del 47 per cento gli attacchi cardiaci mortali e no. La dimostrazione però non viene affatto considerata «conclusiva» per quanto riguarda il colesterolo, in quanto non si riesce a distinguere quanta parte di merito vada alla dieta e quanta all' abolizione del fumo. Nell' 82, un altro gruppo pubblica i suoi risultati di sette anni di indagini (Mrfit) e cominciano le prime sorprese: tra il gruppo (6. 428 uomini di mezza età ) che non ha cambiato in nulla le sue abitudini e quello (6. 438) che ha smesso di fumare, ha modificato la dieta e ha preso dei farmaci per controllare l' ipertensione, non ci sono sostanziali differenze nella mortalità cardiaca. Nell' 84, altro studio «inequivocabile» l' uso di farmaci per abbassare il colesterolo riduce del 19 per cento gli infarti, rispetto alla sola dieta. L' anno dopo, un organismo ufficiale come l' americano Nih codifica una serie di misure per ridurre il colesterolo in funzione delle malattie cardiache. Nell' 87, un gruppo dell' Università della California dimostra che il restringimento delle arterie causato dall' aterosclerosi non è irreversibile, purché si persegua una riduzione del colesterolo nel sangue. Con questi dati, molti Paesi in particolare gli Stati Uniti, pensano a campagne di salute pubblica mirate alle malattie cardiache per far conoscere a tutti i pericoli delle abitudini malsane. Passano così alcuni slogan, come «Il sale è un killer, abolitelo». Si sa benissimo che fa salire la pressione soltanto ad alcuni individui, ma si pensa che sia comunque positivo ridurlo in tutti. Poi arrivano le sorprese: si scopre che le donne incinte hanno meno complicazioni se mangiano tutto il sale che vogliono e che i cibi per l' infanzia totalmente privi di sale creano ai bambini non pochi problemi. Così si comincia a riflettere se abbia senso proporre a intere popolazioni drastici cambiamenti di vita, con l' abolizione delle sostanze più gratificanti, dato che ognuno in fondo è un caso a sè e assomma caratteri nazionali e personali, abitudini e ambienti ben difficilmente livellabili. Un confronto fra culture diverse dà risultati interessanti e anche divertenti: alcuni americani, ad esempio, trovano perfettamente normale mangiare solo mezzo uovo a colazione e guardano stupefatti gli inglesi che se ne permettono uno intero, convinti che un po' di colesterolo sia positivo per la salute. I farmaci per ridurre il colesterolo sono ormai un' abitudine per chi non ottiene risultati con la sola dieta. L' ultima molecola, la lovastatina, ha dato risultati così brillanti nei primi due anni di studio che il comitato etico di controllo ha deciso di concludere in anticipo questa prima fase, ritenendo immorale somministrare il placebo di verifica all' altro gruppo. Eppure, l' ossessione per il colesterolo sembra aver fatto il suo tempo. Oggi compaiono alcuni studi sugli effetti della riduzione del suo livello in altri ambiti. Ad esempio si comincia a parlare di un aumento dei tumori al fegato, di tubercolosi, di pericolose aggressività (suicidi e omicidi). E si parla del fibrinogeno come indicatore più efficace del pericolo di infarto, ictus e problemi vascolari. Non è un grasso, come il colesterolo e i trigliceridi, ma uno dei principali fattori di coagulazione del sangue e come tale è un campanello d' allarme molto più sensibile del semplice accumulo di grassi. Cambierà qualcosa? E' probabile. Se non si viene da una famiglia a rischio con problemi di obesità e una lunga storia di malattie cardiache non è il caso di farsi tormentare dai valori del colesterolo, correndo a misurarlo in maniera ossessiva. Una dieta ricca di vegetali e povera di carni, poche concessioni al vino e al fumo e un po' di sport sono un viatico più che sufficiente e non solo per il colesterolo. Marina Verna


COLESTANONE Sperimentato in Giappone: fa dimagrire
Autore: CALABRESE GIORGIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, SANITA', RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 077

USANDO un particolare tipo di colesterolo «anti grasso» potremo dimagrire più velocemente e con meno sacrifici: lo dice lo scienziato giapponese, Kunio Suzuki, dell' Istituto per la ricerca fisica e chimica della città di Wako, presso Tokyo. «Gli effetti dimagranti del 4 Colesten 3 One sono affidabili» ha riferito il ricercatore nipponico, dopo aver provato questa molecola, detta «Colestanone», su cavie in laboratorio. Suzuki ha nutrito questi topi con una dieta iperlipidica, cioè molto ricca di grassi, ma inserendo fra questi uno 0, 5 per cento di Colestanone. I risultati sono singolari: si è ottenuto un aumento di peso di molto inferiore alla norma, pari al 20 per cento in meno nei maschi e al 15 per cento in meno nelle femmine, nei confronti di altre cavie nutrite con la stessa quantità di grassi, ma senza Colestanone. Un terzo gruppo di cavie nutrite con una dieta normale ha mostrato di ingrassare in misura quasi uguale o lievemente superiore alle cavie trattate col Colestanone. «Il Colestanone agisce impedendo la formazione di certe lipoproteine responsabili del trasporto di molecole grasse nei tessuti adiposi riferisce Suzuki per cui, oltre a far dimagrire più velocemente è anche ipotizzabile un uso di questo particolare colesterolo endogeno per la cura dell' ipercolesterolemia». Il colesterolo è regolarmente presente nell ' intestino dove subisce l' azione degli enzimi della flora batterica che lo trasformano in altri steroli neutri, escreti successivamente con le feci. Nell' uomo questi steroli sono rappresentati soprattutto dal Colestanone e dal Coprastanolo. Sono stati esclusi dal professor Suzuki eventuali effetti collaterali, grazie alla dimostrazione che non ci sono variazioni per quanto riguarda la vita media e l' incidenza di casi di tumore nei tre gruppi di topi impiegati nell' esperimento. Il Colestanone è facilmente sintetizzabile in laboratorio rompendo le catene di molecole di colesterolo con la colesterol ossidasi, un enzima prodotto dai batteri intestinali di molti animali e, sembra, anche dell' uomo. Giorgio Calabrese


EARTH SUMMIT Rio, tutti i mali della Terra Via al difficile vertice sull' ambiente
Autore: VIZIOLI GIORGIO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, VERTICE, CONFERENZA
LUOGHI: ESTERO, BRASILE, RIO DE JANEIRO
NOTE: 077

Ilavori di preparazione sono durati quasi due anni. Tuttavia, è possibile che gli 11 giorni della Conferenza mondiale sull' ambiente e lo sviluppo che si aprirà mercoledì 3 giugno a Rio de Janeiro non siano sufficienti a discutere tutte le questioni sul tappeto e a prendere decisioni. Non è quindi da escludersi che l' Earth Summit possa essere il primo di una serie di incontri regolari, che si svolgeranno nei prossimi anni. L' agenda della conferenza, alla quale parteciperanno quasi tutti i Paesi del mondo, è fittissima di voci importanti e le posizioni di partenza sono in molti casi assai distanti tra loro. I partecipanti dovranno in primo luogo esaminare un ponderoso documento, che è stato chiamato Agenda 21. Più di 800 pagine che descrivono 120 iniziative da intraprendere entro l' inizio del ventunesimo secolo. Molto (forse troppo) ambiziosa, l' Agenda 21 costituisce un punto di partenza: dovrà essere quindi discussa, tradotta in termini operativi, condivisa e approvata. E soprattutto bisognerà decidere chi e in quale misura, tra i Paesi aderenti, si farà carico di contribuire a trovare ogni anno i 125 miliardi di dollari necessari perché il documento non rimanga un elenco di buone intenzioni. Sarà poi discusso il contenuto di tre accordi multilaterali: un trattato per il contenimento dell' effetto serra, una serie di linee guida per la tutela delle foreste e un accordo per proteggere e tutelare la biodiversità, ossia la molteplicità delle specie vegetali e animali presenti sulla terra. Infine, dovrà essere firmata una Dichiarazione che fissi una serie di principi ai quali i Paesi aderenti dovranno attenersi per raggiungere uno sviluppo sostenibile (questa, in pratica, è la parola d' ordine di tutta la Conferenza): lotta alla povertà, penalizzazione e proibizione delle attività inquinanti, più equilibrato consumo di energia, visione globale del problema ambientale. I partecipanti alla Conferenza si presentano su posizioni molto diverse, spesso assai lontane. Si moltiplicano inoltre, in queste ultime settimane, i contributi prodotti da parte di gruppi di opinione, di organizzazioni internazionali, di aggregazioni di Paesi. Sono stati in primo luogo le organizzazioni non governative (Ong) un vastissimo arcipelago di associazioni a presentare una loro agenda, più ristretta: 13 principi e 20 richieste ai governi, che vanno dal diritto all' informazione al monitoraggio ambientale, dalla riduzione del debito dei Paesi in via di sviluppo alla riforma del commercio internazionale, dalla riduzione dell' effetto serra fino alla conversione delle spese militari e a un' agricoltura ecocompatibile. La connessione tra povertà, sviluppo e questione ambientale costituisce l' argomento sul quale si sono concentrate le organizzazioni economiche internazionali, quali il Gatt e la Banca Mondiale, che hanno preparato studi e documenti volti a conciliare i meccanismi del commercio internazionale e, più in generale, dell' organizzazione economica mondiale con lo sviluppo sostenibile. Anche gli ambienti imprenditoriali sono in fermento: a Rio saranno rappresentati dal Business Council for Sustainable Development, un organismo che riunisce uomini d' affari e aziende d' importanza internazionale. Animatore del Bcsd fin dalla sua creazione, oltre che presidente, è l' industriale svizzero Stephan Schmidheiny, che svolge anche il ruolo di consulente per gli affari e l' economia del presidente della Conferenza, il canadese Maurice Strong. La posizione del Bcsd presentata da Schmidheiny all' inizio di maggio, è condensata in un libro intitolato «Changing course», il cui concetto dominante è che nei prossimi decenni l' efficienza ambientale costituirà sempre più un vantaggio competitivo per le aziende. Poche settimane prima, a Losanna, cinquanta industriali di tutto il mondo hanno riassunto a loro volta in un manifesto le loro posizioni su ambiente e sviluppo e in particolare sull' effetto serra: un documento che ha lo scopo di evitare che l' industria debba sopportare quasi per intero i costi della nuova politica ambientale. Ma sono soprattutto i governi, i principali attori della Conferenza di Rio, che stanno mettendo a punto le rispettive posizioni di partenza. C' è polemica tra Usa, contrari ad accettare vincoli e scadenze, e Comunità Europea, più propensa a fissare limiti e a porre precisi obiettivi Il nodo più difficile da sciogliere è però quello rappresentato dai Paesi del Terzo Mondo, che in molti casi vedono la questione ambientale come un vincolo al proprio sviluppo, per ragioni di cui attribuiscono ai Paesi più ricchi la responsabilità . Cinquanta di essi si sono riuniti alla fine di aprile, sotto la presidenza della Malaysia, per fissare una posizione comune: l' emergenza ambientale, è emerso dalla riunione, deve essere finanziata soprattutto dai Paesi sviluppati. Giorgio Vizioli


TECNOLOGIA Materiali su misura Ceramiche e fibre ottiche, compositi e semiconduttori: si moltiplicano le sostanze progettate in laboratorio. E a Torino e Milano un corso di laurea
Autore: BORELLO ENZO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, CHIMICA, SCIENZA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 078

SEMPRE più spesso, e non soltanto a proposito delle vele e dello scafo del «Moro di Venezia», compaiono sui giornali riferimenti a «materiali innovativi» e alle loro connessioni con lo sviluppo industriale. Basti citare i materiali ceramici, plastici, compositi biocompatibili; i semiconduttori, i superconduttori; i sensori di ogni tipo; le fibre ottiche e così via. Da tre anni sono operativi due progetti di ricerca nazionali finanziati l' uno dal Cnr sui «materiali speciali per tecnologie avanzate» e l' altro dal Murst sui «materiali innovativi avanzati». Inoltre l' ultimo piano triennale di sviluppo dell' Università prevede l' istituzione di un corso di laurea e uno di diploma dei materiali nelle Università di Torino e Milano, concludendo così un' iniziativa partita nel 1985 dalla Facoltà di Scienze dell' Università di Torino con l' Associazione per Tecnocity e la Fondazione Agnelli. E' importante che ci si sia mossi per colmare un ritardo di parecchi decenni nei confronti degli altri Paesi industrializzati: anche il rapporto della Commissione Tecnologie critiche nazionali al presidente Bush nel 1991 considera prioritario lo sviluppo di nuovi materiali e delle tecnologie relative per superare l' attuale debolezza del sistema produttivo americano rispetto alla concorrenza mondiale. A questo punto possiamo domandarci che cosa sia la Scienza dei materiali e quali siano le ragioni dell' enorme interesse che oggi essa suscita. Materiali sono tutte le sostanze di cui si serve l' uomo per fabbricare i suoi manufatti. E' una definizione che non conosce limiti di numero o qualità, ma nemmeno di tempo. Infatti interi periodi nello sviluppo della civiltà prendono il nome dai materiali «innovativi» o «avanzati» che li avevano caratterizzati (età della pietra, del bronzo, del ferro). Ciascuno dei 5 milioni di composti chimici conosciuti è un potenziale materiale, così come lo sono i duecentomila composti nuovi che vengono preparati ogni anno. Oggi grazie allo sviluppo delle conoscenze sulla struttura della materia a livello atomico e subatomico è possibile approfondire i rapporti che legano le proprietà macroscopiche (che determinano le applicazioni: proprietà meccaniche, termiche, elettriche, ottiche... ) alla struttura (atomica, elettronica, molecolare, reticolare) da un lato, agli aspetti tecnologici della produzione, lavorazione e utilizzazione dall' altro lato. La scienza dei materiali coinvolge nozioni e metodi propri di altre discipline Eccone un esempio. Sempre più vengono impiegati quei processi di progettazione delle proprietà e di costruzione su misura, che gli anglosassoni chiamano «tailoring», in scala nanometrica, cioè dell' ordine del miliardesimo di metro. Possiamo cioè preparare strutture molecolari o supermolecolari su misura, strutture cristalline su misura, difetti su misura in strutture cristalline perfette. Per illustrare questo processo di «tailoring», ho scelto un recente articolo apparso sulla rivista «Chemistry in Britain» dell' agosto scorso, il cui autore, Stoddard, è da tempo impegnato con ricercatori di molti Paesi tra cui in prima fila l' Italia, nello studio di sistemi su misura di molecole e supermolecole e delle loro proprietà chimico fisiche. In questo esempio lo scopo è di costruire una «macchina» supermolecolare (rappresentata da una «associazione» di due molecole), nella quale uno dei «soci» possa spostarsi rispetto all' altro su due posizioni prestabilite. Ed ecco la «ricetta»: si prenda una lunga bacchetta, si infili in essa un braccialetto, si pongano agli estremi della bacchetta due grossi tappi sferici in modo da impedire al braccialetto di uscire; la bacchetta deve avere anche due zone distinte che possano esercitare un' azione attrattiva sul braccialetto in modo da provocarne l' arresto. Su scala molecolare il braccialetto è il tetracatione (bis bipiridinio bixililciclofano) 4più schematizzato come in figura; la bacchetta, compresi i due tappi sferici terminali e le due zona di parcheggio, schematizzate da rettangoli, è un lungo polietere dal nome complicato: bis (sililossi etossi etossi etossi fenossi etossi etossi) (fig. 1 A). Lo «shuttle» molecolare, rappresentato dal braccialetto, si muove a temperatura ambiente e in soluzione da una stazione all' altra 500 volte al secondo, come mostrano misure di risonanza magnetica nucleare. Le ricerche sono ora indirizzate a modificare i componenti in modo da consentire di guidare lo «shuttle» con qualche mezzo dall' esterno. Nella figura 1 B è invece schematizzata una «ferrovia» molecolare con due braccialetti e quattro stazioni. La frequenza del moto da una stazione all' altra è 300 volte al secondo e i due «trenini» lasciano sempre una stazione non occupata tra di loro, in modo da impedire incidenti «ferroviari». E' lecito pensare a un futuro non troppo lontano in cui il trenino molecolare possa trasportare da una stazione all' altra qualcosa, magari un' informazione? Gli esperti dicono che per quanto riguarda i calcolatori alla scala molecolare non è più questione di sapere se possano essere costruiti, ma quando e da chi, dipendendo il quando dallo sviluppo delle ricerche fondamentali in chimica e il chi da quale Paese investirà la risorse necessarie. Oggi i più perfezionati chip di silicio immagazzinano 16 milioni di bit in un' area di 1 centimetro. Si prevede che arriveranno nel Duemila a 256 milioni di bit per chip. Alla scala molecolare il limite è dell' ordine del miliardo di miliardi di bit per centimetro quadrato. Enzo Borello Università di Torino


E la barca vola Lo scafo del «Moro di Venezia», in composito, pesa appena 2000 chilogrammi (oltre 7000 se fosse in acciaio). A Modena un salone specializzato
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 078

NONOSTANTE la sconfitta, il «Moro di Venezia» resta una sintesi delle più avanzate tecnologie dei materiali. Lo scopo, ovviamente, è di unire il minor peso alla massima resistenza strutturale dell' imbarcazione. Scafo e coperta, per esempio, hanno una superficie complessiva di circa 250 metri quadrati e pesano meno di 2000 chilogrammi. Grazie ai materiali compositi, un pezzo di barca della superficie di un metro quadrato (come un tavolino) pesa soltanto 8 chili e resiste a tutte le sollecitazioni del mare e del vento. Se il «Moro» fosse costruito in acciaio peserebbe più del triplo: 7000 chili; in legno peserebbe 4500 chili, in alluminio 3700, in fibra di vetro 3500 chili. E parliamo di una categoria di barche lunghe 23 metri, pesanti 20 tonnellate complessivamente, con alberi di 35 metri e una superficie velica di 790 metri quadrati. Nel 1970 il legno e l' acciaio rappresentavano il 50 per cento del peso complessivo delle imbarcazioni; il resto era alluminio con appena il 2 per cento di materiali compositi. Oggi questi sono saliti al 15 per cento, entro il Duemila saranno l' 80. La struttura del «Moro» è stata realizzata al cantiere Tencara della Montedison a Venezia. Scafo e coperta sono costituiti da una struttura a sandwich formata da due «pelli» di fibra di carbonio e da un' anima centrale a nido d' ape in Nomex, altro materiale composito. Le pelli sono costruite con tessuti unidirezionali di carbonio (cioè con fibre orientate nello stesso senso) immersi in resine epossidiche, laminate sottovuoto e polimerizzate in forno a 80 gradi. Ogni pelle è costituita da strati sovrapposti di fibre, orientati in maniera diversa in modo da ottenere il miglior rapporto tra il peso del laminato e le sue caratteristiche meccaniche. Per ogni zona dello scafo e della coperta si usa la struttura e l' orientamento delle fibre più adatti alle sollecitazioni che questa zona dovrà sopportare in regata. Materiali compositi sono impiegati anche per le vele. Quelle del «Moro», le «vele nere», sono fatte con un materiale sperimentale in fibra di carbonio, più leggero e resistente del Kevlar (altro materiale innovativo) usato dalla maggior parte dei concorrenti della Coppa America. Una randa di Kevlar pesa 120 chili, in fibra di carbonio circa 90. Le vele della barca di Bill Koch sono anch' esse realizzate con un materiale sperimentale, una fibra segretissima chiamata «Spectra», basata su fibre di carbonio unite a un misterioso materiale a cristalli liquidi, che permette di concentrare la resistenza del «tessuto» solo nei punti dove se ne ha maggiore bisogno. Una testimonianza dell' interesse che questi materiali nuovi destano negli utilizzatori reali e potenziali è costituita da «Imat ' 92», rassegna ad essi interamente dedicata in programma dal 4 al 6 giugno a Modena, organizzata dall' Ente Fiere di Bologna.


«FLY BY WIRE» Aerei e auto come giochi elettronici: per guidarli ora basta un «joystick»
Autore: PAPULI GINO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 078

ARCHIMEDE disse: «Datemi un punto d' appoggio e solleverò il mondo » . Era l' inizio della meccanica teorica ma anche la legittimazione degli infiniti congegni che, sfruttando le cinque «macchine semplici» dell' ingegneria greca leva, cuneo, vite, puleggia, verricello avrebbero via via cambiato la vita dell' uomo. Tali congegni sono tuttora ben presenti nelle realizzazioni industriali d' ogni tipo; tuttavia le loro funzioni sono andate perdendo il contenuto culturale di «ingenium» (parola latina che significa ingegno, intelligenza, invenzione) per assumere quello meno nobile di «exsecutio» (esecuzione, obbedienza ai comani). Questa perdita di contenuti si è acuita negli ultimi decenni: prima per l' avvento dei servomeccanismi, poi per il dilagare dell' elettronica applicata. E, difatti, oggi è in atto una vera e propria rivoluzione dell' ingegneria «meccanica» (le virgolette sono d' obbligo), i cui effetti sono già evidenti nei settori industriali più avanzati. Unesempio di questa tendenza innovativa è rappresentato dall' aereo civile «Airbus 320», nel quale il movimento dei timoni, degli alettoni e delle altre superfici di governo aerodinamico non è più affidato al sistema volantino leveraggi carrucole funi, bensì ad un corto manico simile al «joystick» dei nostri videogiochi; questo, attraverso cavi elettrici e microprocessori, invia impulsi agli «attuatori», ossia a motori elettrici cui è devoluta la realizzazione del movimento meccanico dei vari organi di governo. Questo sistema di condotta si chiama «fly by wire», letteralmente «pilotaggio per mezzo di fili elettrici». Lo stesso principio è in fase di studio e di sperimentazione presso alcune case automobilistiche per la sterzatura delle ruote dei veicoli: volante, piantone, leveraggi a snodi cardanici, ingranaggi, servosterzo idraulico sono rimpiazzati da un «joystick», da una scheda elettronica e da un motore elettrico che agisce direttamente sulla barra di accoppiamento dell ' asse sterzante. E' facile, con questo schema, realizzare anche la sterzatura differenziata di tutte e quattro le ruote ed inserire, sulla leva di comando, altre funzioni di guida, ad esempio la frenatura e l' accelerazione. I casi citati suggeriscono alcune brevi considerazioni: è evidente, anzitutto, che l' abolizione di connessioni «concrete» tra gli organi di comando e quelli di movimento cambia profondamente il metodo di costruzione in quanto elimina molte lavorazioni meccaniche e riduce le quantità di materiali, manodopera ed energia primaria e di riciclo. Inoltre, il prodotto finale ha minor peso e richiede una manutenzione ridotta anche se più specializzata. Infine, l' incremento del contenuto di funzioni elettroniche permette un accrescimento della sicurezza e della agevolezza. Resta qualche dubbio sull' accettazione del nuovo modo di guidare da parte degli automobilisti. Tuttavia secondo la casa svedese «Saab», la più avanzata nella sperimentazione delle auto a guida elettronica, l' assuefazione è rapida per i vecchi automobilisti e non si pone neppure per le nuove generazioni, già esperte nell' uso del «joy stick» dei videogiochi. Gino Papuli


SCAFFALE Carnot Sadi: «La potenza del fuoco», Bollati Boringhieri; Ageno Mario: «Le origini della irreversibilita ' », Bollati Boringhieri
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: FISICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 078

ECCO due libri legati da un filo tenace: pubblicati contemporaneamente nelle edizioni Bollati Boringhieri, non sarebbe male leggerli insieme. Il primo è un testo classico della fisica: «La potenza del fuoco», scritto nel 1824 da Sadi Carnot. In esso l ' ex ufficiale dell' esercito francese dimessosi per abbracciare la ricerca scientifica si proponeva di analizzare il funzionamento della macchina a vapore con lo scopo pratico di migliorarne il rendimento. In realtà lo studio dell' energia termica come forza motrice lo portò a una prima approssimativa formulazione del secondo principio della termodinamica: non è possibile produrre lavoro meccanico con una macchina termica senza trasferire calore da un corpo caldo a uno freddo. L' altro libro è «Le origini della irreversibilità », un saggio di Mario Ageno, biofisico allievo di Fermi, noto anche per le sue ricerche sulle prime forme di vita. Anche qui il tema è il secondo principio della termodinamica, visto nella prospettiva storica della controversia tra Botzmann e Loschmidt sulla irreversibilità dei processi naturali. Ad Ageno però interessa un obiettivo più generale, epistemologico: dimostrare come il metodo scientifico comporti tutta una serie di semplificazioni, schematizzazioni e astrazioni che alla fine possono far perdere il contatto tra «realtà » e «verità scientifica».


SCAFFALE Tartabini Angelo: «Il mondo delle scimmie», Franco Muzzio Editore
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ETOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 078

«Il mondo delle scimmie» di Angelo Tartabini è un libro teutonicamente sistematico, che non fa concessioni al lettore. Ma è anche un testo che può diventare un punto di riferimento per chiunque voglia seriamente accostarsi all' ecologia e all' etologia dei primati. Tartabini insegna all' Università di Calabria, svolge attività di ricerca a Cambridge e fa anche divulgazione. Dello stesso editore segnaliamo «La grande inversione», il manifesto ideologico di Edward Goldsmith, il controverso estremista del movimento ambientalista che teorizza la de industrializzazione della società, e il volume di Carlo Zanovello «Alla scoperta di cactus preziosi», pubblicato nella collana diretta da Ippolito Pizzetti, un nome ben noto a chiunque sia appassionato di piante.


SCAFFALE Autori vari: «Alla scoperta del cielo», Armando Curcio
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 078

L' editore Curcio alcuni anni fa contribuì notevolmente alla diffusione dell' astronomia con un' opera a dispense di taglio popolare ma anche molto rigorosa grazie al contributo dei maggiori astronomi italiani. Quelle dispense ora tornano radicalmente ristrutturate, aggiornate e anche arricchite da 22 videocassette che documentano i grandi progressi nella conoscenza dell' universo resi possibili dalle sonde spaziali. Piero Bianucci


LA CHIMICA DELL' ALVEARE Api, l' età è uno yo yo Nei momenti di emergenza, le bottinatrici adulte ringiovaniscono chimicamente e tornano a essere nutrici
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, BIOLOGIA, ANIMALI
NOMI: ROBINSON GENE, NEUKIRCH ANGELIKA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 079

SI è sempre saputo che le api operaie, che sono femmine sterili, (solo l' ape regina è feconda e sforna uova a getto continuo) cambiano lavoro secondo l' età. Esercitano cioè diversi mestieri l' uno dopo l' altro, in rigoroso ordine cronologico. Nei primi giorni di vita fanno le spazzine e sono impegnate nel lavoro di pulizia dei favi. Poi, non appena entra in funzione la loro ghiandola sopracerebrale, incominciano a nutrire le larve con la secrezione di questa ghiandola, diventando nutrici. Poco più tardi entrano in attività le ghiandole ciripare e l' operaia si trasforma da nutrice in costruttrice. Servendosi di quella materia prima straordinaria che è la cera, fabbrica nuovi favi, ingrandendo così il nido comune. Sin qui svolge lavori sedentari che durano all' incirca tre settimane. Solo verso il ventesimo giorno l' operaia inizia la frenetica attività di bottinatrice. E' il ruolo più impegnativo, quello che richiede non solo il maggior dispendio di energia, ma anche alcuni requisiti fondamentali. L' ape raccoglitrice deve sapersi orientare con sicurezza nello spazio basandosi sui punti di riferimento del paesaggio, come pure sulla posizione del sole, rispetto al quale deve mantenere un angolo ben preciso. Deve imparare a riconoscere i fiori delle diverse piante, deve ricordare qual è l' ora migliore per raccogliere nettare e polline dall' una o dall' altra. Inoltre deve avere la capacità di comunicare al suo ritorno nel nido dove si trova la zona ricca di cibo, a quale distanza e in quale direzione. E lo fa egregiamente, eseguendo una danza simbolica, con la quale fornisce alle compagne ogni particolare utile al suo ritrovamento. Fare la bottinatrice è anche il lavoro più rischioso. Lontana dai confini relativamente sicuri del nido, l' ape operaia deve compiere una decina di voli al giorno, se non di più, e rischia di finire in pasto a uno dei tanti predatori che le fanno la posta. Questa fase della vita a intenso consumo energetico dura soltanto un paio di settimane. Secondo la biologa tedesca Angelika Neukirch di Wurzburg, le api esauriscono la loro capacità di volare dopo aver percorso all' incirca 750 chilometri, perché si guasta irrimediabilmente la macchina enzimatica che mette in moto i muscoli del volo. Le api operaie dunque lavorano nel nido da giovani e raccolgono cibo all' esterno da vecchie, se di vecchiaia si può parlare in una vita così breve. Ma ecco i sorprendenti risultati delle ultime ricerche degli studiosi in proposito. Non è detto che questa regola di vita sia immutabile. Le api possono anche invertire il loro comportamento, accelerarne o ritardarne lo sviluppo, se mutano le circostanze. Per esempio, se in un nido il ritmo delle nascite ha un' improvvisa impennata dovuta a condizioni climatiche estremamente favorevoli, come succede talvolta nella tarda primavera, può risultarne una carenza di bottinatrici. In altre parole le bottinatrici risultano troppo poche per assicurare alle molte neonate la quantità di cibo necessario. E allora cosa succede? Succede che si ricorre a un provvedimento di emergenza. Le giovani api riducono drasticamente il loro periodo di lavoro sedentario nel nido da tre a una settimana e si trasformano anzitempo in bottinatrici precoci, per far fronte all' insolita situazione. Contemporaneamente, altri membri della colonia ritardano a bella posta il loro sviluppo e, pur non essendo più giovani, rimangono nel nido per alimentare le larve con il nettare e il polline che le bottinatrici precoci vi trasportano. Sperimentalmente si può ottenere anche il risultato inverso. Se lo sperimentatore preleva da una colonia tutte le operaie addette ai lavori del nido, lasciandovi soltanto le raccoglitrici, si può assistere a uno stupefacente fenomeno di ringiovanimento. Le api vecchie impegnate nell' opera di raccolta del cibo ridiventano giovani. Rientrano miracolosamente in funzione le loro ghiandole che producevano cibo per le larve. Le bottinatrici fanno un passo indietro, ridiventano nutrici. L' entomologo Gene E. Robinson, dell' Università dell' Illinois, ha voluto indagare quale sia il meccanismo preposto a questi mutamenti di comportamento e di ruolo. E ha scoperto che il deus ex machina del singolare fenomeno è l' ormone giovanile, uno degli ormoni che maggiormente influenzano lo sviluppo degli insetti. E' una sorta di pacemaker del comportamento. Il suo livello è basso negli individui giovani che lavorano nel nido, è alto invece in quelli che sono addetti ai voli esterni per la raccolta del cibo. Che il suo ruolo sia determinante lo dimostra il fatto che basta iniettare sperimentalmente alle giovani api il suddetto ormone, perché queste si trasformino seduta stante in bottinatrici precoci. Non contento di questo risultato, Robinson, insieme con altri ricercatori, ha voluto dimostrare che per far fronte a condizioni mutate una colonia di api altera essa stessa i livelli di ormone giovanile. Per averne la prova, gli studiosi costituiscono una colonia di sole api giovanissime che si vedono costrette a diventare in parte bottinatrici precoci. Una volta ottenuto questo risultato, i ricercatori misurano i livelli di ormone giovanile. Trovano così che le bottinatrici precoci, che hanno in tutto una settimana di vita, hanno livelli di ormone superiori a quelli delle coetanee rimaste nel nido a far da nutrici e quasi equivalenti a quelli delle bottinatrici vecchie di tre settimane. Quanto a queste ultime indotte a ridiventare nutrici, il loro processo di ringiovanimento è confermato dal basso livello di ormone che posseggono. Si scopre dunque che le società delle api sono entità dinamiche dal comportamento plastico capace di adeguarsi al mutare delle circostanze. E tramonta l' immagine dell' insetto robot prigioniero di uno schema rigido di comportamenti innati. Isabella Lattes Coifmann


INVECCHIAMENTO Un nuovo colpevole: i mitocondri Dopo l' ipotesi di errori nel nucleo della cellula
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: GENETICA, MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 079

IL processo di invecchiamento, comune a tutti gli organismi siano essi costituiti da una sola o da molte cellule, potrebbe esser causato da un accumulo di errori, anche minimi, nel patrimonio ereditario della cellula. Questa ipotesi non è nuova. Di nuovo c' è che il colpevole non sarebbe il nucleo della cellula col suo materiale genetico, i cromosomi e i geni, bensì gli organelli microscopici chiamati mitocondri, che sono le centrali di energia della cellula. Le più importanti trasformazioni dell' energia che serve a sostenere la funzione della cellula hanno luogo in questi organelli intracellulari, che contengono quei complessi sistemi enzimatici che partecipano all' ossidazione dei costituenti alimentari indispensabili. Le cellule utilizzano gli zuccheri e i grassi come sorgente di energia solo dopo la loro trasformazione in composti più semplici e in forme immediatamente utilizzabili. Una delle trasformazioni fondamentali è chiamata fosforolisi ossidativa. Come risultato di questa reazione si arriva a formare nel mitocondrio un prodotto chiamato ATP, la cui energia immagazzinata sotto forma di legami chimici può esser utilizzata in altre parti della cellula per produrre lavoro (muscolare, nervoso, renale). Ogni cellula contiene numerosissimi mitocondri i quali, oltre alle catene enzimatiche devolute alla trasformazione dell' energia, contengono anche materiale genetico, il Dna mitocondriale (mtDna). Per rendersi conto della divisione di lavoro basta ricordare che mentre la cellula contiene (nel nucleo) all' incirca 100. 000 geni (il Dna di 23 paia di cromosomi), ogni mitocondrio ne ha solo una quarantina. Altra differenza: il Dna mitocondriale non deriva da entrambe le cellule sessuali dei genitori ma in modo predominante (99, 9% ) dalla madre. Ricapitolando, ogni cellula contiene centinaia di mitocondri e con essi migliaia di copie del Dna mitocondriale. Quindi ogni cellula può ospitare una mescolanza di mtDna normale e anormale (mutato, cioè variato in una componente più semplice come un aminoacido). Ogni volta che una cellula si divide, il mtDna viene trasmesso a caso alle cellule figlie. Così il materiale ereditato fluttua da una generazione di cellule all' altra. La gravità di un difetto ereditario può essere il risultato di una mutazione del mtDna e della proporzione e della natura del gene mutante. Le mutazioni del mtDna sono disgraziatamente abbastanza comuni. Se si pensa che il processo di fosforolisi rappresenta la sorgente primaria di energia per il cervello, i muscoli, il cuore, il rene, il fegato, si capisce facilmente come un difetto nel mtDna possa dare origine a disturbi quali miopatie (difetti muscolari), aberrazioni del sistema nervoso, sordità, epilessia, insufficienza cardiaca e demenza. La gravità del difetto dipende da due fattori: la percentuale del mtDna mutato e l ' età. Un individuo con una proporzione di mtDna mutato del 15% può avere dei disturbi tollerabili all' età di 20 anni ma insopportabili a 60. Ad esempio una forma di epilessia chiamata mioclonica per i particolari movimenti muscolari che comporta, può esprimersi in una forma blanda nell' infanzia e poi peggiorare nell ' adulto. Parliamo qui solo della forma ereditaria della malattia, trasmessa come abbiamo accennato solo attraverso la linea materna come risultato di una mutazione del mtDna mitocondriale. Lo studio di tali malattie ha suggerito recentemente a specialisti come Wallace della Emory University di Atlanta, (Usa) un' ipotesi che correla il mtDna non solo alle malattie mitocondriali degenerative dipendenti dall' età del paziente ma addirittura all' invecchiamento in generale. Ogni individuo nasce con una capacità geneticamente prefissata del proprio sistema di fosforolisi ossidativa mitocondriale che l' autore denomina Oxphos (fosforilazione ossidativa) ma tale potenziale diminuisce progressivamente coll' età. Quando la capacità del sistema Oxphos cade al di sotto del livello energetico richiesto per il funzionamento di un dato organo, ecco che cominciano a comparire i sintomi. Individui che alla nascita hanno un livello normale di Oxphos muoiono prima che si arrivi a un livello deficitario (e quindi ai sintomi) mentre individui nati con deficienze provocate da mutazioni del mtDna sono già andicappati in partenza. Di qui l' importanza secondo Wallace, che espone la sua ipotesi in un recente articolo di fondo in Science di studiare e decifrare le basi genetiche e molecolari dei difetti derivati dal malfunzionamento dell' Oxphos. Per arrivare a questo traguardo è necessario ottenere la prova che una mutazione nel gene correlato al mtDna dell' Oxphos predispone effettivamente un individuo all' invecchiamento precoce di una determinata funzione. Se tale mutazione può essere precisamente identificata, allora è possibile sviluppare dei test pre sintomatici (cioè prima che si sviluppi la malattia). Poiché terapie basate sulla modificazione del metabolismo dei disturbi di tipo mtDna Oxphos sono già in corso di sviluppo, una terapia preventiva e profilattica applicata agli individui ad alto rischio di malattie ereditarie a carattere degenerativo potrebbe prevenire o ritardare l' esordio dei sintomi. Ezio Giacobini Università del Sud Illinois.


MALARIA Il punto debole del parassita Toccato lì, non riesce più a nutrirsi
Autore: BUONCRISTIANI ANNA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, STATISTICHE
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C La mappa della malaria
NOTE: 079

NEGLI ultimi vent' anni la malaria si è diffusa enormemente. E' presente in ampie zone dell' Asia, nel Centro e Sud America e in quasi tutta l' Africa; si pensa che in quei continenti gli abitanti colpiti siano più di 270 milioni. Inoltre ogni anno qualche migliaio di turisti se la porta a casa dopo un viaggio nei Paesi infestati. La malattia, come si sa, è causata da un parassita unicellulare, un protozoo del genere Plasmodium, iniettato nel sangue con la puntura della zanzara anofele. Entrando nei globuli rossi, esso distrugge la parte proteica dell' emoglobina umana per procurarsi gli amminoacidi che gli servono a vivere. In seguito a questo si libera il cosiddetto eme, un gruppo non proteico che contiene al centro uno ione ferro. Poiché l' eme, non più unito alla proteina, è tossico, il parassita, per non essere avvelenato, lo trasforma in un materiale insolubile e innocuo, noto come emozoina. Si tratta di un polimero cristallino che si forma per azione di un enzima detto polimerasi. E' a proposito di questo stadio che due ricercatori americani hanno fatto un' importante scoperta, descritta recentemente su Nature. Essi affermano che i tradizionali farmaci antimalarici, le cui strutture chimiche sono derivate dalla chinolina, impediscono l'azione della polimerasi. L' eme, non più bloccato in forma innocua, svolge la sua azione tossica inibendo gli enzimi proteolitici che servono al parassita per attaccare l' emoglobina e questo ben presto non riesce più a nutrirsi. Negli ultimi decenni si sono sviluppati plasmodi resistenti ai farmaci antimalarici più usati; questa scoperta potrebbe portare per altre vie a nuove strategie terapeutiche. Anna Buoncristiani


NELLA GROTTA DI OSTUNI Ancora ossa infisse nella roccia Dopo la scoperta della donna in avanzata gravidanza
Autore: CARTELLI FEDERICO

ARGOMENTI: ARCHEOLOGIA, ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, OSTUNI
NOTE: 079

LO scheletro della donna incinta del paleolitico superiore, ritrovato in un blocco di roccia a Ostuni (Puglia), si sta rivelando una clamorosa scoperta archeologica. E' la prima volta che un reperto così remoto, appartenente a una donna in stato di gravidanza, viene trovato in condizioni perfette: il merito è del carbonato di calcio presente nella roccia, determinante per l' ottima conservazione. Dopo la scoperta, l' intero blocco di roccia è stato rimosso e trasportato nella sede del Museo della civiltà preclassica della Murgia meridionale, dove sarà oggetto di minuziosi studi. Gli archeologi intendono stabilire in maniera definitiva l' età del reperto umano che i primi esami fanno risalire a ventimila anni fa. E' stato anche appurato che la donna era già in uno stato avanzato di gravidanza. Attraverso ulteriori esami, che prevedono l' impiego del carbonio 14, si potrà risalire esattamente all' età e a maggiori informazioni relative alla morfologia degli scheletri della donna e del feto. Ma la scoperta archeologica non si ferma qui: altri resti umani sono stati rinvenuti nella grotta di Ostuni. Il fatto alquanto strano è che, mentre gli scheletri di madre e figlio erano perfettamente conservati, negli altri casi si è trattato di ossa sparse incastonate nella roccia. Si ritiene che un' approfondita operazione di scavo nel calcare possa riservare nuove sorprese. Come corredo funebre della donna, a brevissima distanza dal corpo e cementati nella roccia, sono stati scoperti ornamenti e manufatti vari. Federico Cartelli


LAMPADINA FLUORESCENTE La luce che viene dal gas In gioco atomi di mercurio e raggi ultravioletti
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D
NOTE: 080

L A fluorescenza è una forma di luminescenza propria di alcune sostanze sotto l' azione di una radiazione che le colpisce; il fenomeno, a differenza della fosforescenza, cessa allorquando cessa l' effetto della radiazione, che può essere costituita da raggi luminosi, da raggi ultravioletti o di altra natura (raggi X e gamma ). Questa proprietà viene sfruttata da tempo nei tubi fluorescenti per l' illuminazione e, più di recente, nelle lampadine ad alta efficienza. La lampada a fluorescenza è costituita da un tubo di vetro riempito con un gas contenente atomi di mercurio. Agli estremi del tubo vi sono due elettrodi; quando vengono riscaldati dal passaggio di una corrente elettrica gli elettrodi emettono degli elettroni che si muovono ad alta velocità entro il tubo. Gli elettroni si scontrano con gli atomi di mercurio inducendo questi ultimi a emettere raggi ultravioletti, invisibili. Le pareti interne del tubo sono rivestite di un materiale detto «luminoforo»; questo materiale ha la proprietà di assorbire parte dell' energia rappresentata dai raggi ultravioletti e di emettere a sua volta una radiazione luminescente. Le moderne lampadine fluorescenti utilizzano l' energia elettrica in maniera più efficiente delle normali lampadine a filamenti perché a parità di energia assorbita emettono una luce più brillante. Una lampadina a filamenti fornisce 12 lumen (unità di misura della luce) per watt; una lampadina a fluorescenza ne fornisce 50 60. La lampadina Philips PLCE dell' illustrazione utilizza il principio della fluorescenza in un bulbo compatto che può essere inserito in qualsiasi lampada. Il tradizionale tubo a fluorescenza è piuttosto lungo perché l' intensità della luce è proporzionale alla quantità di «luminoforo» che lo riveste; questa moderna lampadina, invece, è compatta perché il tubo è diviso in quattro con un collegamento tra i quattro segmenti; quando è accesa gli elettroni passano attraverso i collegamenti facendo dei quattro segmenti un unico tubo. Il tubo fluorescente convenzionale non può essere avvitato su un comune portalampade, ma richiede uno speciale supporto, voluminoso e pesante, che controlla il passaggio dell' elettricità attraverso gli elettrodi e il gas; nella lampadina a fluorescenza ad alta efficienza questo è sostituito da un circuito elettronico. Il sistema a baionetta usato nella lampadina qui raffigurata consente di inserirla direttamente in molti portalampade utilizzati in precedenza per le lampadine a filamento.


DATE DELLA SCIENZA CORIOLIS Le sue «forze» e il pendolo di Foucault
Autore: GABICI FRANCO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
PERSONE: CORIOLIS GUSTAVE GASPARD
NOMI: CORIOLIS GUSTAVE GASPARD
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 080

DUECENTO anni fa, il 21 maggio 1792, nasceva a Parigi l' ingegnere Gustave Gaspard Coriolis che con i suoi studi contribuì allo sviluppo della meccanica applicata. Negli ultimi anni della sua vita (Coriolis morì nel 1843) insegnò matematica nella prestigiosa Ecole Politechnique. Il nome di Coriolis si incontra in meccanica quando si studiano i sistemi di riferimento «non inerziali», dove con questo termine si intendono sistemi in quiete (rispetto al sistema delle stelle fisse) o in moto rettilineo uniforme. In ogni sistema di riferimento inerziale, come insegna la relatività galileiana, tutti i fenomeni sono identici. Estendendo il discorso ai sistemi accelerati, occorre invece introdurre «forze complementari». In particolare, quando un sistema ruota su tutti i corpi del sistema agisce la «forza centrifuga», mentre sui corpi che sono in movimento rispetto al sistema ruotante agisce anche un' altra forza, detta «forza di trascinamento» o appunto «forza di Coriolis». Accertare, pertanto, che su di un corpo situato sulla superficie terrestre agisce la «forza di Coriolis» significa fornire una prova diretta della rotazione terrestre. E' la «forza di Coriolis» che, nell' emisfero boreale, fa deviare verso Oriente la traettoria di un corpo in caduta libera (nell' emisfero australe, invece, la deviazione sarà verso Occidente) ed è ancora questa «forza» a dar deviare il piano di oscillazione di un pendolo come si verifica nel famosissimo esperimento che Foucault realizzò per la prima volta nel 1851 al Pantheon di Parigi. Curiosità: la «forza di Coriolis» ha importanti conseguenze anche sulla circolazione atmosferica e su quella oceanica, e quindi sul clima. Se, infatti, la Terra non ruotasse, gli spostamenti di masse d' aria dall' equatore al polo Nord avverrebbero lungo i meridiani. La «forza di Coriolis», invece, fa deviare queste correnti e l' effetto della deviazione è una torsione che genera le aree cicloniche. Anche in questo caso le torsioni hanno «segno» diverso: saranno in senso orario per il nostro emisfero, mentre saranno antiorarie per l' emisfero australe. Franco Gabici


COME TROVARE LA BIBLIOGRAFIA Scavare nella miniera dei libri Una guida per gli studenti che fanno ricerche
Autore: MASCI RAFFAELLO

ARGOMENTI: DIDATTICA, SCUOLA, LIBRI
PERSONE: PAVOLINI GABRIELE
NOMI: PAVOLINI GABRIELE
ORGANIZZAZIONI: FRANCO ANGELI ED.
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 080. «Ricercare fra i libri. Suggerimenti per la tesi di laurea e la ricerca bibliografica»

NON c' è ricerca che non parta dai libri: prima di qualunque indagine scientifica bisogna conoscere l' esperienza di chi su quegli stessi sentieri si è avventurato. Alcune ricerche poi, e sono soprattuto quelle degli studenti universitari tesi, tesine, lavori di gruppo sono essenzialmente bibliografiche. Il problema che ci si pone è, a questo punto: ma gli studenti sanno come si fa ricerca con i libri? Ovviamente no, almeno nella maggior parte dei casi. Ma ora un libro di Gabriele Pavolini (Ricercare fra i libri. Suggerimenti per la tesi di laurea e la ricerca bibliografica, a cura di Silvia Bonino, Franco Angeli, 125 pagine, 20 mila lire) spiega loro la via da percorrere. A grandi linee, eccola. Dall' argomento al metodo. Innanzi tutto bisogna stabilire un preciso e circoscritto oggetto di indagine. Ogni ricerca deve esprimere un esplicito obiettivo: può essere la descrizione di un fenomeno, per esempio, o la dimostrazione di un' ipotesi di lavoro. Inoltre deve avere un metodo e anche questo va chiarito (prima di tutto a se stessi). L' argomento della ricerca deve essere correlato alle seguenti variabili: luogo, tempo, mezzi (è inutile spingersi in imprese al di fuori della propria portata). Si giunge così alla fase della ricognizione delle conoscenze sull' argomento dato, e si procede alla consultazione di cataloghi per soggetto, enciclopedie, manuali, opere generali, repertori e riviste bibliografiche, monografie, atti di congressi, eccetera. Il tutto razionalizzando questa operazione: dal generale al particolare. Solo allora si può cominciare a disporre un piano di lavoro, o «scaletta», che consti dei seguenti tre punti: titolo (una specie di traccia analitica del tema), indice (cioè l' elenco degli argomenti), e presentazione (un commento analitico all' indice che fissi una linea di lavoro, da aggiornare poi). La lettura. Ora che sappiamo cosa vogliamo possiamo iniziare la raccolta, la schedatura e il vaglio del materiale bibliografico, sempre con il criterio che va dalla trattazione generale allo specifico che ci interessa. E siamo quindi alla lettura, che deve essere duplice: la prima serve per capire (cioè cogliere l' ossatura portante del trattato), la seconda per interpretare valutare (cioè approfondire ed esprimere giudizi). La scheda bibliografica. La fase successiva è quella della schedatura (su carta o dischetto: cambia lo strumento, non il metodo). Anche la schedatura è di due tipi: bibliografica e di contenuto. La scheda bibliografica riporta: nome e cognome dell' autore, titolo, dati tipografici (editore, città, anno, pagine), un breve sunto ricavato dall' indice, infine commenti e annotazioni In alto a sinistra si scriverà anche l' abbreviazione che consenta di catalogare più in fretta l' opera. Queste schede servono ad avere sottomano la documentazione completa dei testi per una rapida consultazione. La scheda di contenuto. La scheda di contenuto permette, invece, di evidenziare i pensieri dell' autore sul tema che si sta affrontando. Avrà per parola d' ordine non più il nome abbreviato dell' opera ma l' argomento (si chiama infatti anche «scheda per argomento» ), quindi un sottotitolo e un sotto sottotitolo, che consentano di evidenziare la progressiva ramificazione dell' argomento (se l' argomento è «storia moderna» il sottotitolo può essere «storia della Francia moderna», il sottosottotitolo «storia dell' educazione nella Francia del Seicento», e così via). A questi due tipi di scheda si possono aggiungere le «schede di riflessione, di sintesi o di raccordo» che stabiliscono nessi nell' intero corpo schedario. Dominata e catalogata la materia, si è pronti per rivedere il piano di lavoro alla luce delle nuove acquisizioni e stabilire uno schema definitivo della ricerca. Da qui si passa alla stesura del testo, ma a questo punto i problemi sono altri. Raffaello Masci


CHI SA RISPONDERE?
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 080

& Perché non è salutare bere acqua dopo aver mangiato fragole e ciliegie? (Dario Bricco) & Perché è sconsigliabile tenere piante dove si dorme, se assorbono anidride carbonica e rilasciano ossigeno? (Irma Favaro Berghino) & Qual è la definizione di «inquinante» ? & Com' è nata la convenzione di scrivere da sinistra a destra, dall' alto in basso e sfogliando le pagine orizzontalmente, da destra a sinistra? (Marco Miglietti) _______ Risposte a: «La Stampa, Tuttoscienze», via Marenco 32, 10126 Torino, fax 011 6568688.


LA PAROLA AI LETTORI Quelle macchie dei bruchi che sembrano occhi
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 080

LE risposte che abbiamo pubblicato sul problema del carro trainato da un cavallo hanno lasciato perplessi alcuni lettori. Pubblichiamo due nuovi interventi: «La forza Fn, che oltretutto è perpendicolare allo spostamento del carro, non è quella che lo fa muovere. E' invece quella che, per la presenza dell' attrito fra lo zoccolo del cavallo e il terreno, permette al cavallo di esercitare lo sforzo di trazione orizzontale, o comunque parallelo al terreno, che provoca lo spostamento quando raggiunge un livello più elevato delle forze che si oppongono al moto stesso e che, se il terreno è perfettamente orizzontale, sono esclusivamente quelle date dall' attrito, che in questa circostanza si chiama «attrito di primo distacco». Per il movimento del carro non ha alcuna importanza da chi, e come, viene esercitato lo sforzo di trazione, conta solo quello sforzo». Se il carro è fermo e si oppone al moto con una resistenza F, il cavallo, tirando con la stessa forza F, non riuscirà a smuoverlo perché si ha la condizione di equilibrio statico delle due forze uguali e contrarie. Per riuscirci, il cavallo dovrà tirare con una forza appena superiore a F. Se invece consideriamo carro e cavallo già in moto, allora la forza F trainante è sufficiente a tenere in moto il carro (a velocità costante). In questo caso si ha la condizione di equilibrio dinamico delle due forze (trainante e resistente) sempre uguali e contrarie. (E. Bacchetti Torino) Le macchie sul muso dei bruchi del baco da seta sono occhi? No, sono pieghe della pelle di colore più scuro, dalla forma ingannatrice, che non sembrano avere una particolare funzione. Qualcuno però ritiene che servano al bruco per distinguere il giorno dalla notte. (E. S., Roma) Qual è l' origine della parola «scavezzacollo» ? La parola deriva da «scavezzare», cioè togliere la cavezza, la briglia con la quale si tiene l' animale legato alla mangiatoia o lo si conduce per mano. In senso figurato, indica perciò qualcuno talmente recalcitrante da riuscire a togliersi dal collo la cavezza o qualsiasi cosa lo tenga sotto il detestato controllo altrui. (Lisa Spadaro Torino) Perché le piante non crescono perpendicolari al terreno, quando si trovano su terreni ripidi? La risposta più ovvia è: perché le piante tendono alla verticale. Ma a questo punto viene da chiedersi: perché il tronco tende alla verticale? Per mandare il fogliame e gli eventuali frutti il più possibile in alto, in modo che possano prendere luce in modo più uniforme. Si può però aggiungere che il tronco, assumendo una posizione verticale, riduce al minimo gli sforzi per l' autosostentamento. Infatti stando verticale deve vincere la forza di gravità solo lungo il suo asse, mentre stando obliquo subisce una forza di torsione che trasmette alla radice. Quindi, se l' albero piantato in un pendio fosse perpendicolare al terreno e quindi obliquo rispetto alla verticale subirebbe una forza laterale che lo porterebbe a piegarsi ancora di più, o a sradicarsi. Ci sono però delle eccezioni, a questa crescita verticale: non è difficile infatti notare palme o ulivi notevolmente storti rispetto alla verticale. A causa della loro posizione subiscono forze laterali molto forti, alle quali offrono un' incredibile resistenza. Si riscontrano anche notevoli inclinazioni a causa di venti di direzione costante, come avviene su molti litorali. (Giorgio Bracco Torino) Se le piante di un pendio ripido crescessero perpendicolarmente al terreno, precipiterebbero al suolo. Le radici infatti si sradicherebbero per effetto del momento (forza x braccio) causato dal peso della pianta, applicato nel baricentro della pianta stessa, moltiplicato per la distanza di tale baricentro dalla verticale che passa per il punto centrale delle radici. (N. N. )


STRIZZACERVELLO La distribuzione del latte
Autore: PETROZZI ALAN

ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 080

La distribuzione del latte Una strada ha lo stesso numero di portoni sui due lati, posti l' uno di fronte all' altro, con i numeri pari da una parte ed i dispari dall' altra. Due ragazzi, a giorni alterni, distribuiscono il latte a ciascun portone, ognuno seguendo un metodo diverso, così come mostrato in figura: A procede a zig zag (linea tratteggiata) mentre B si muove lungo una «zeta» (linea continua). Sapendo che la strada è larga 21, 6 metri, che ogni portone di un lato dista dal successivo 12 metri e che i due tragitti sono esattamente uguali, sapreste dire quanti portoni ci sono su ciascun lato della strada? (A cura di Alan Petrozzi)




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