Fotografia di Francesco Artico, ripreso mentre suona l'organo nella chiesa parrocchiale di Ceggia Cenni biografici
di
Francesco Artico

Francesco Artico nacque il 28 dicembre del 1911 da una famiglia di modeste condizioni a Sant'Anastasio di Cessalto. Secondo di sette fratelli, era entrato prestissimo nel Seminario di Vittorio Veneto, dove frequentò il ginnasio e il liceo. L'esperienza di quegli otto anni, che egli ricordava sempre con grande gioia, diede alla sua vita l'impronta che ne caratterizzò il percorso etico e spirituale.

Terminati gli studi classici, avrebbe desiderato iscriversi alla facoltà di medicina. Dovette però rinunciarvi per dare un aiuto economico alla famiglia e così divenne maestro elementare. Da allora, a Cessalto, a San Stino, a Torre di Mosto, centinaia di scolari appresero da lui i principi della conoscenza.

Fu infaticabile nell'impegno sociale nella Chiesa. Si dedicò all'Azione Cattolica, di cui fu presidente, alle ACLI, al Centro Sociale...

Per qualche tempo collaborò ad un periodico universitario come autore di una rubrica intitolata Frégoe, «briciole» [di dialetto], e per molti anni pubblicò sul Bollettino parrocchiale di Ceggia «Tornén un pas indrìo!», un'amena serie di raccontini in dialetto.

Non va tralasciato che per tutta la vita, nei paesi dove visse, fu organista, e lo fu con una dedizione e una costanza che non vennero mai meno, fino a pochi giorni dalla morte.

Tornò a Dio il 28 ottobre dell'Anno Santo 1975.


La sua fede e la sua umanità


Francesco Artico non avrebbe mai immaginato, né avrebbe voluto che si parlasse di lui, e le perle della sua grandezza non sono certamente costituite dalle cariche ricoperte, dai suoi scritti, dai riconoscimenti ufficiali.

Schivo com'era, lasciava trasparire il suo carisma nella dimensione misurata, domestica, quella che si svolge a tu per tu. Non lesinò mai la sua parola di conforto, il suo consiglio prezioso, il suo aiuto materiale a nessuna ora del giorno, della sera fino a tardi, e si schermiva quando veniva ringraziato.

Del santo di cui portava il nome aveva la modestia e la semplicità, ma soprattutto l'attitudine alla preghiera di lode, sempre a fior di labbra, insieme con un sorriso che non pareva mai spegnersi. La sua preghiera rivelava una confidenza con Dio che gli veniva da una consuetudine consolidata nel tempo dal colloquio costante con Lui. Raccontano i figli: «...Si alzava prestissimo - in estate di solito alle cinque - pregava con la mamma, beveva il caffè e più tardi svegliava noi con un bacio e con il segno della Croce. Nello stesso modo ci augurava la buona notte. Pregava sempre con noi, tutte le sere. Quando da studenti partivamo per Padova, frettolosi, distratti, indaffarati per il timore di dimenticare qualcosa, c'era sempre il tempo per un'invocazione, ci inseguiva con una preghiera che ci doveva accompagnare nel nostro viaggio, nella settimana di studio, negli esami.
Quando ci lasciò aveva con sé, come sempre, la corona del Rosario: aveva i grani consumati. Non ne volle mai una nuova, continuò per anni a riparare la sua con una piccola pinza che aveva acquistato appositamente.»

Sono trascorsi venticinque anni da quando se n'è andato. Molti certamente lo ricordano con la stessa vivezza e lo stesso affetto; tanti furono presenti alla commemorazione che ne fece Giuseppe Scarpat nel maggio del 1976, in occasione della presentazione del volumetto postumo «Tornén un pas indrìo!» contenente i suoi scritti in dialetto. Rileggendola ci si rende conto che nulla di quel che fu detto in quell'occasione è da considerarsi anacronistico o retorico. Per questo ne abbiamo liberamente ricavato qualche stralcio.
Nel testo che segue i riferimenti al contenuto del libro sono frequenti. Ciò non avviene a caso, perché essi non sono che la trasposizione letteraria della sua umanissima personalità e del suo pensiero religioso.

La fede.
Solo apparentemente Francesco Artico era stato uomo dalla fede semplice; in realtà, prima ancora che le contestazioni della nostra epoca desiderosa di autenticità facessero crollare tutti i miti portando disorientamento e incertezza, egli aveva maturato in sé una fede solida, che rifuggiva da parole ed esteriorità, ma si traduceva concretamente negli atti della vita quotidiana. L'Artico, che pure era religiosissimo, il Dio che aveva dentro di sé lo manifestava innanzitutto nelle azioni. In ciò egli dimostrò la sua modernità.
L'amore per il prossimo.
Le verità che l'Artico con l'esempio della bontà ci insegnava sono verità che ci servono a vivere. Il suo cristianesimo è quello del Cristo che, quando parla di vita eterna, parla di amore, di amore concreto per chi ci è vicino e per chi ci è lontano, per chi ci è amico e per chi ci è nemico, di quella vita eterna, quindi, che comincia e deve cominciare subito e quaggiù.
La pazienza.
Il maestro Artico ci ha dato un esempio di continua ed estrema pazienza, pazienza con i giovani, pazienza con i deboli, pazienza con tutti, per cercare di capire meglio le cose esaminando i fatti e i dati, il suo è stato insomma un richiamo costante ad aver pazienza con sé stessi e con gli altri. La sua spiritualità si fonda anzitutto sulla comprensione per il prossimo, che dobbiamo trattare sempre con rispetto e riguardo, che non dobbiamo sopraffare mai con l'imposizione delle nostre opinioni.
La concezione di Dio.
Ebbe di Dio una concezione agostiniana. Rivolgendosi a Dio, S. Agostino diceva: Tu scis figmentum nostrum, «sai di che pasta siamo fatti»: siamo vasi, ma non di ferro né d'acciaio, tu stesso sai di averci fatto di un materiale fragile. Così l'Artico, a conclusione di un dialogo fra comari: «sperén che 'l Signor 'l tègne conto che sén cussì fiapi, e noantri vardarén de far méjo che podén!». C'è una frase che ritorna continuamente nel suo libro: dobbiamo diventare ogni giorno «'na s-cianta pi boni», un po' più buoni. Non è facile all'atto pratico. Eppure l'unica cosa che conta è fare del bene al prossimo.

...C'è poi, notevolissimo, il racconto sulla settimana santa. Non una parola sul Cristo che muore il venerdì santo, non un accenno neppure fra le righe; domina, invece, la descrizione dei bambini in gioiosa attesa di far baccano con la loro «racoéta», e i riti e le usanze popolari; e l'Artico commenta: «'l véa da èssar anca questo un modo de rendar gloria al Signor, e co 'ndarén par de' a chissà che 'l trovénghe scrit». Siamo proprio come bambini, viviamo tranquillamente senza ricordarci del Padre; del Figlio che muore ci dimentichiamo anche il giovedì e il venerdì santo, figuriamoci gli altri giorni; ma - l'Artico lascia intendere - Dio sa di che pasta ci ha fatti, e prenderà per buono anche questo nostro spensierato modo di rendergli gloria.

Per concludere, con S. Agostino diciamo: «Signore, tu capisci tutto, anche le lagrime, ma noi ti chiediamo scusa per le nostre lagrime. Non ti chiediamo perché ce lo hai tolto, non ci lamentiamo perché ce lo hai tolto troppo presto, noi ti ringraziamo per il tempo che ce lo hai lasciato».

«Signore, io ti ringrazio di avermi fatto conoscere Francesco Artico; ogni volta che l'ho avvicinato, egli mi ha reso migliore» (G. Scarpat).


Ceggia, ottobre 2000.


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«Tornén un pas indrìo!»
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