TUTTOSCIENZE 30 giugno 99


ATTENTI AL SOLE Dagli Usa all'Antartide 66 strumenti misurano i raggi ultravioletti non più fermati dall'ozono
Autore: TIBALDI ALESSANDRO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA

IL flusso di raggi ultravioletti (UV) che colpisce costantemente la superficie terrestre esposta al sole, ha importanti effetti per la vita umana, gli animali e le piante. Tra gli effetti negativi delle alte dosi, basta ricordare i tumori della pelle per capire quanto sia utile conoscere eventuali variazioni di radiazione UV collegate agli attuali e futuri cambiamenti climatici. Un grande sforzo internazionale in questo senso è appena stato portato a termine con l'installazione di una rete di monitoraggio delle variazioni del flusso di raggi UV al suolo. Vari enti per la protezione dell'ambiente degli Usa, appoggiati da istituti canadesi e dalla Nuova Zelanda, sotto l'egida del Programma di ricerca sui cambiamenti globali, hanno installato 66 sofisticati strumenti in 55 località, che vanno da zone urbane densamente abitate all'Alaska, all'Argentina, all'Antartide, alle Isole Marshall, Hawaii e Bermude. Questi strumenti hanno iniziato a misurare in continuo il flusso UV, nonché numerosi parametri collegati quali la quantità di ozono, la distribuzione e densità delle polveri in sospensione nell'atmosfera, la sua composizione chimica, e la copertura nuvolosa. Tutti questi parametri saranno monitorati per sempre, in modo da tenere sotto controllo la loro evoluzione che, secondo moltissimi scienziati, è fortemente collegata ai cambiamenti climatici in atto. L'assottigliamento dello strato di ozono, più marcato ai poli terrestri e nell'Europa settentrionale, indotto dall'attività umana, può portare a breve termine ad un aumento del pericoloso flusso di raggi UV. Le osservazioni atmosferiche globali hanno ormai dimostrato in modo conclusivo che la quantità totale di ozono sta diminuendo in risposta all'aumento delle concentrazioni atmosferiche di inquinanti e gas provenienti dalle attività industriali e dagli incendi boschivi. Le apparecchiature finora a disposizione hanno documentato con assoluta sicurezza la diminuzione dell'ozono, mentre il flusso UV, più difficile da misurare, ha richiesto la posa in opera di questi nuovi sofisticati strumenti, conosciuti tecnicamente come radiometri a larga e piccola banda e spettrofotometri ad alta risoluzione spettrale. I dati registrati da questi strumenti vengono elaborati con speciali algoritmi tra i quali è degno di nota quello che simula con ottima approssimazione l'intero range di reazioni della cute umana in risposta alle radiazioni di un'ampia parte dello spettro elettromagnetico che comprende anche i raggi UV. L'Australia, per esempio, ha già manifestato l'intenzione di estendere questa iniziativa ai propri territori, in quanto il forte assottigliamento dell'ozono al di sopra di questo continente è stato accompagnato negli Anni 90 da un incremento dei tumori cutanei. L'Australia in effetti è caratterizzata da una forte insolazione in conseguenza anche della scarsità di giornate nuvolose. La sua popolazione inoltre si espone moltissimo ai raggi solari sia per motivi ludici, in quanto ama molto le ««attività di spiaggia»» (e tra queste purtroppo l'esposizione prolungata al sole per abbronzarsi), e sia comunque per le alte temperature che portano ad indossare indumenti leggeri e limitati. Per ora il governo australiano ha lanciato appelli tramite i mass media che consigliano alla gente di coprirsi di più e limitare la tintarella. E in Europa? Noi abbiamo un diverso tipo di intraprendenza: numerose case produttrici di abbigliamento hanno messo da poco in vendita indumenti che proteggono dai raggi UV. I dati continuamente aggiornati sulla radiazione UV possono essere trovati per esempio al sito Internet http://www.biospherical. com/nsf/index.html. Alessandro Tibaldi Università di Milano


NUTRIZIONE State attenti a salvare le vitamine
Autore: PELLATI RENZO

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE
LUOGHI: ITALIA

QUANDO decidiamo di gustare frutta fresca, spesso, senza rendercene conto, mangiamo frutta conservata. Basta pensare alle banane, che sono raccolte acerbe, trasportate in refrigerazione controllata, immagazzinate in camere di maturazione con gas etilene e mantenute a 5°C per essere vendute al momento giusto. Anche le mele che acquistiamo a maggio-giugno sono state raccolte in ottobre. Altre volte invece mangiamo frutta preparata da diverse ore, sminuzzata, esposta alla luce e a temperature non idonee (esempio: macedonie e spremute dei bar e ristoranti). Per non dire degli alimenti trattati col calore. Recenti indagini di bromatologia effettuate all'Università di Modena (Battistini, Fisiologia della nutrizione) hanno potuto verificare le perdite di micronutrienti che subiscono alcuni alimenti in base alla stagione, all'ambiente, ai trattamenti culinari. Il lavoro pubblicato su ««European Journal of Cancer Prevention»» tiene conto dei recenti progressi tecnologici che consentono misurazioni accurate: spettrometria, determinazioni microbiologiche ed immmunoenzimatiche, rivelatori fluorimetrici. Il risultato è preoccupante. Per quanto riguarda la macedonia (composta da 100 grammi di banane 100 grammi di kiwi, 50 grammi di arance, senza aggiunta di zucchero e limone), a 4 ore dalla preparazione non si rilevano vitamine B-1 - B-2 e acido folico. Il contenuto di vitamina C e PP è calato del 49,1-38,7 per cento. Nei tempi successivi non si riscontrano altre vitamine idrosolubili. Nella spremuta d'arancia la perdita di vitamine aumenta progressivamente a partire dall'ottava ora. A partire dalla quarta ora si ha già una perdita completa della vitamina B-2 e piuttosto contenuta la perdita di Vitamina C - B-1 - acido folico. Nel minestrone si ha una perdita pressoché totale di vitamina C; perdita del 60% di B-6; perdita di acido folico, vitamina PP - B-2 - B-1 variabile dal 17 al 43 per cento. Per i cibi cotti, l'analisi è stata focalizzata su quattro piatti: minestrone, bistecca di manzo alla griglia, sogliola alla griglia, cavolfiore bollito. E' particolarmente significativo che l'acido folico va perso in tutti e quattro i piatti. Nel cavolfiore le vitamine perse con la cottura non erano reperibili nemmeno in parte nell'acqua di cottura; i minerali invece potevano essere rilevati nell'acqua di cottura. Oggi in Italia non esistono carenze vitaminiche perché mediamente mangiamo più del necessario. Tuttavia questi dati creano problemi nel calcolo dei fabbisogni giornalieri dei micronutrienti per la ristorazione collettiva (in notevole aumento), per i gruppi di popolazione che praticano diete scorrette, monotone, per gli anziani e i soggetti che usano farmaci che interagiscono con i princìpi nutritivi oppure fanno uso eccessivo di alcol e sigarette. Renzo Pellati


ABBRONZATURA 1999 Una molecola ferma-raggi Mantiene nel tempo la sua efficacia
Autore: GRASSIA LUIGI

ARGOMENTI: MEDICINA FISIOLOGIA
NOMI: EMANUEL CRISTINA
ORGANIZZAZIONI: L'OREAL
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. COSI' LA PELLE SI DISTRUGGE

FRATELLO Sole, pregava san Francesco. Ma a proposito di fratelli: anche Caino e Abele lo erano, e si sa com'è andata a finire. Mettete i raggi ultravioletti di ««frate Sole»» nella parte del cattivo, e la nostra povera pelle indifesa nel ruolo della vittima predestinata, e avrete una buona illustrazione di quanto ci aspetta in spiaggia o sui monti quest'estate, se non prendiamo precauzioni adeguate. I rischi, in generale, sono piuttosto noti, ma forse non è così diffusa la consapevolezza di quanto siano seri. Un filtro con fattore 6, o soltanto 3, magari senza nemmeno verificare se protegge solo dagli UvB o anche dagli UvA e se dà garanzie di fotostabilità, ci fa già sentire pronti per la tintarella. Pericolosa illusione. Il rapido invecchiamento dell'epidermide è in agguato. Per tutelarsi ci vuole ben altro. Per fortuna sono disponibili, da quest'anno, prodotti che se ben scelti danno una garanzia totale. Fermo restando che lo scotto da pagare, se ci si copre ««troppo»», è un'abbronzatura che tarda o non arriva mai... Insomma costi e benefici vanno ben bilanciati, e farlo resta una questione di scelte personali. Prendiamo dall'armadietto del bagno o dal borsone da mare la crema solare di cui ci siamo dotati e diamo un'occhiata all'etichetta. Non c'è uno standard che permetta di confrontare i vari prodotti, ma almeno un'indicazione è su una scala uguale per tutti: il fattore di protezione dai raggi UvB, che sono quelli con una lunghezza d'onda di 290-320 nanometri, penetrano la pelle solo in superficie e ne provocano l'arrossamento (quando va bene; tumori quando va male). Un fattore 12 significa, ad esempio, che a provocare un eritema equivalente, con quella protezione, ci vuole, a parità di irradiazione, un tempo uguale a quello senza protezione moltiplicato per 12. Facile e intuitivo. Un po' più complicato è indicare la protezione dai raggi ultravioletti più subdoli, gli UvA (frequenza 320-400 nanometri), che penetrano la pelle in profondità e fanno danni che non sono così immediatamente visibili come l'arrossamento; danni comunque seri, alcuni certi (degenerazione e invecchiamento accelerato) altri eventuali (cancro alla pelle, come gli UvB). Esistono due scale su cui misurare la protezione dagli UvA, cioè la Ipd e la Ppd. Ma per non frastornare il consumatore con una cascata di numeri, le case produttrici le segnalano esclusivamente nei prodotti da farmacia, mentre quelli comuni riportano solo (se la riportano) la percentuale di UvA filtrata. Che deve essere almeno del 90 per cento. Il problema è che raggiungere questo risultato ««puntuale»» in laboratorio non è difficile, più complicato è avere la persistenza della protezione nel tempo, perché i filtri vengono progressivamente degradati dalla stessa luce del sole. E senza questa indicazione sull'etichetta non sappiamo se dobbiamo spalmarci di nuovo la crema dopo tre ore, due ore o mezz'ora soltanto. Il centro di ricerca dell'Orèal, che aveva brevettato nel '93 la prima molecola fotostabile anti-UvA (Mexoril Sx), ha lanciato quest'anno - solo in alcuni prodotti - la nuova Mexoril Xl, che filtra insieme anche gli UvB, garantendo la fotostabilità in entrambe le lunghezze d'onda. Che cosa cambia per chi prende il sole? ««I filtri con Mexoril Xl permettono di proteggersi con una sola applicazione»» spiega Cristina Emanuel, responsabile della direzione scientifica del gruppo per l'Italia nei laboratori di Settimo Torinese. Poi, per scrupolo, la scienziata mette in guardia: ««La crema se ne va anche per cause diverse dal diretto degrado del sole: la sabbia, l'acqua del mare o della piscina, il sudore. Quindi, per proteggersi bene, è comunque consigliabile spalmarsi più di una volta. Ma molto più di rado e senza assilli» ». Il suo consiglio è di usare creme con fattori di protezione alti (UvB 35, senza paura, e per il viso addirittura un Ipd 60) e questo sempre, dal primo giorno di esposizione all'ultimo. Naturalmente, così non è garantito che la tintarella risulti intensa... ma sana, sì. La dottoressa Emanuel ha anche partecipato alle ricerche condotte nei laboratori L'Orèal a Parigi sui capelli della mummia del faraone Ramses e su reperti del Louvre, in particolare cosmetici, da cui è risultato che nella difesa dal sole gli antichi egizi avevano già compiuto notevoli passi. Dopo tremila anni, raggiunta la protezione totale, resterà qualcosa da inventare? Luigi Grassia


SCIENZE FISICHE TECNOLOGIA Il walkman compie vent'anni
Autore: VALERIO GIOVANNI

ARGOMENTI: TECNOLOGIA
PERSONE: MORITA AKIO
NOMI: MORITA AKIO
ORGANIZZAZIONI: SONY
LUOGHI: ITALIA

QUALCUNO racconta che l'idea gli venne su un campo da golf, perché voleva ascoltare musica senza dare fastidio agli altri giocatori. I familiari sostengono che fu invece guidando, assordato dall'alto volume del registratore dei figli. Comunque sia, nel mese di luglio di vent'anni fa il giapponese Akio Morita, presidente della Sony, ebbe una grande idea (grande, almeno dal punto di vista commerciale): il walkman, un riproduttore audio di dimensioni ridotte, da tenere in mano o in tasca, con un paio di cuffie per ascoltare musica senza disturbare nessuno. Il nuovo aggeggio elettonico si impose subito, anche come nome. Invece del ««camminatore»», quei puristi degli inglesi preferivano ««Soundabout» » o ««Stowaway»». Ma walkman, parola inventata dai giapponesi, è entrata nell'Oxford Dictionary. L'idea di Morita è stata lautamente ripagata dal mercato. Da allora sono stati venduti più di un miliardo di walkman, nei più diversi modelli. Li si vede ovunque: in tram, per strada, facendo footing nel parco. Nipote del più ingombrante mangiadischi, il walkman è frutto della miniaturizzazione elettronica, di cui i giapponesi sono maestri. Riducendo le dimensioni delle testine di lettura e dell'apparato elettronico per l'ascolto (la registrazione verrà qualche anno dopo), la Sony riuscì a realizzare un riproduttore audio poco più grande della stessa musicassetta, inventata già nel 1963 dalla Philips. Il principio della registrazione su supporti magnetici risale addirittura agli Anni 30, con magnetofono. Dirigendo il suono verso un microfono, le onde sonore vengono convertite in segnali elettrici. Amplificati, scorrono in una bobina avvolta su un elettromagnete, producendo un campo magnetico. Per effetto di quest'ultimo, il nastro di plastica della musicassetta, rivestito di ossido di ferro, si magnetizza a seconda dell'intensità dei segnali, creando così una specie di ««codice»» corrispondente al suono originario. Vent'anni dopo il walkman, la nuova rivoluzione musicale sta tutta in una sigla: MP3, il metodo di compressione dei dati audio digitali. Anche la musica, ovviamente, può essere rappresentata in modo digitale, e cioè con una serie di uno e di zeri. Gli algoritmi di compressione (come MP3) cercano di ««comprimere»», di accorciare questa lunga sequenza, mantenendo però l'informazione originaria. Ridurre le serie digitali che definiscono una canzone significa rappresentarla con un file più piccolo, più ««leggero»», più veloce da scaricare navigando su Internet. E MP3 deve il suo successo proprio alla rete. Consente di distribuire la musica su Internet con una velocità e una qualità fino a poco tempo fa impensabili. Sono oltre quindicimila i siti che contengono brani registrati in MP3. E sono sempre di più anche i lettori portatili per MP3, destinati a soppiantare i vecchi walkman. Negli Stati Uniti sta per essere lanciato ZipMen, a meno di cento dollari, mentre in Italia l'ormai storico Rio di Diamond Multimedia costa circa mezzo milione (ma in rete si trova anche a 300 mila lire). L'ultima novità è MP3-GO, un sistema portatile composto da tre elementi per registrare e produrre brani, e pure per scaricarli da Internet. Anche senza sapere nulla di computer e modem. Giovanni Valerio


SCIENZE FISICHE RASPORTI Test per l'auto volante Decollo verticale, 600 km all'ora
Autore: ROMAGNOLO SALVATORE

ARGOMENTI: TRASPORTI
NOMI: HEIMES FRANK, MOLLER PAUL
ORGANIZZAZIONI: GENERAL MOTORS, MOLLER INTERNATIONAL, SKYCAR
LUOGHI: ITALIA, AMERICA, CALIFORNIA, DAVIS, USA
TABELLE: D. IL PROGETTO «SKYCAR»

L' AUTO del futuro potrebbe volare o avere un pilota automatico. Certo avrà a bordo una ««scatola nera»», come quella degli aerei, per registrare tutte le operazioni di bordo. Un oggetto che risulterà molto utile in caso di incidenti e grazie al quale sarà possibile ricostruirne dinamica e cause. L'immagine dell'auto che vola, quella che abbiamo sempre visto nei film di fantascienza, appare inverosimile. Eppure, un'azienda americana sta sperimentando la Skycar, una rivoluzionaria macchina a decollo verticale del tutto simile a quelle che si aggiravano tra i grattacieli di Los Angeles di Blade Runner. L'azienda è la Moller International di Davis, California: presenterà la Skycar alla stampa in agosto. I primi test si svolgeranno senza superare la quota di 4-5 metri dal suolo. Per capire che non si tratta di uno scherzo è sufficiente andare al sito Internet della società californiana (www.moller. com) dove è anche possibile vedere le prime immagini di quella che potrebbe essere la macchina del futuro. Paul Moller, ingegnere sessantaduenne, titolare dell'azienda, lavora alla macchina volante da 35 anni. Il modello che sta per essere collaudato viene sospinto da due turbine rotanti, simili a quelle che equipaggiano il jet a decollo verticale inglese Harrier. La Skycar potrà trasportare quattro passeggeri e viaggerà a circa 640 chilometri orari utilizzando carburanti tradizionali, compresi alcol e kerosene. I consumi dovrebbero essere intorno ai 12,5 litri ogni 100 chilometri. Non mancano i problemi. La Skycar è molto rumorosa: secondo i primi test pubblicati dal costruttore, a 15 metri di altezza svilupperebbe un rumore di 85 decibel, un terzo di quello creato da un aereo da turismo al momento del decollo. La Moller sta mettendo a punto un sistema elettronico per ridurre questi livelli e rendere l'auto utilizzabile anche in città. I costruttori sono ottimisti e sperano di avviare la produzione in serie di Skycar entro l'anno 2000. Il prezzo di vendita dovrebbe aggirarsi intorno ai 60 mila dollari, poco più di 100 milioni di lire. Il progetto, però, appare troppo ambizioso e non si capisce come gli organismi di controllo aereo potrebbero gestire una miriade di oggetti volanti, soprattutto nelle grandi città. Di certo la polizia italiana, una volta adottati i nuovi mezzi, avrebbe finalmente motivo di chiamare le auto di pattuglia ««volanti» ». Ma l'automobile del futuro potrebbe anche continuare a circolare su strada, però guidando da sola. Frank Heimes, del Fraunhofer Institute di Friburgo, sta infatti lavorando ad un prototipo di auto in grado di destreggiarsi in mezzo al traffico cittadino senza l'aiuto di un conducente. Si tratta di una nuova tecnologia che consente all'automobile di effettuare varie operazioni, tra le quali anche cambiare direzione. Fino ad oggi si era riusciti solo a far mantenere al mezzo una certa distanza dal veicolo che precedeva. L'obiettivo, secondo Frank Heimes, è quello di rendere la guida più facile, soprattutto in situazioni stressanti o complicate come quelle che si vengono a creare nel traffico cittadino. La nuova tecnologia potrebbe essere di grande aiuto per le persone portatrici di handicap. ««La maggior parte degli incidenti - spiega il professor Heimes - sono causati da piccoli errori di valutazione. Anche se una macchina non sarà mai perfetta, potrebbe far meglio di un essere umano in alcune circostanze»». Il sistema funziona grazie a due telecamere poste sul frontale della macchina. Le informazioni visive vengono inviate a due computer che sono in grado di riconoscere le altre automobili, i pedoni e i bivi, confrontando le informazioni ricevute con modelli tridimensionali in memoria. L'auto è in grado di effettuare automaticamente una serie di operazioni come sterzare o rallentare. Il conducente, ovviamente, può intervenire in ogni momento sui pedali o sul volante. Il sistema per il momento è molto complesso e ingombrante e contiene limitate informazioni stradali. E, soprattutto, non è ancora in grado di rispettare i limiti di velocità perché si basa sull'andatura degli altri veicoli. Forse per l'auto che guida da sola dovremo ancora aspettare. Non ci sarà invece molto da attendere per vedere sulle nostre automobili scatole nere simili a quelle degli aeroplani. Anzi, la General Motors ha già iniziato ad installare qualcosa di simile in alcune delle proprie auto di nuova produzione. L'azienda ha anche precisato che l'apparecchiatura verrà montata entro i prossimi anni su quasi tutti i modelli. La scatola nera, che può risultare di grande utilità in occasione di incidenti, registra informazioni sulla velocità alla quale andava la macchina al momento dell'urto, se il guidatore stava indossando le cinture di sicurezza, in quale momento esatto l'airbag si è gonfiato, se il guidatore aveva usato i freni. Bob Lange, direttore del reparto sicurezza della General Motors, ha dichiarato che l'azienda intende utilizzare le scatole nere per raccogliere informazioni sugli incidenti; dati che verranno poi utilizzati per rendere le auto più sicure. Salvatore Romagnolo


SCIENZE FISICHE MACCHINE Bolle di sapone appese a fili di seta
Autore: MARCHIS VITTORIO

ARGOMENTI: STORIA SCIENZA
PERSONE: JENKIN FLEEMING
NOMI: STEVENSON ROBERT LOUIS, JENKIN FLEEMING
LUOGHI: ITALIA

E' raro che oggi gli scienziati e gli ingegneri progettino i giocattoli per i propri figli e nipoti, anche perché gli sviluppi della tecnologia li troverebbero il più delle volte spiazzati. Ci pensano le multinazionali del giocattolo. Con stupore invece le pagine del ««Ricordo di Fleeming Jenkin»», scritto dall'amico Robert Louis Stevenson (Sellerio, Palermo 1996) riportano una cronaca familiare molto suggestiva. ««Quando Frewen, il secondogenito, si imbarcò nell'ambizioso disegno di costruire un motore per una nave a vapore giocattolo, Fleeming lo fece iniziare da un progetto appropriato - senza dubbio disgustando il giovane ingegnere; ma una volta che le fondamenta erano state poste, lo assisteva nel lavoro con gusto instancabile, rabberciando per ore e assisteva alla prova finale nella vasca grande con incanto non minore di quello del fanciullo \ C'era infatti un'ora fissa per i giochi, immediatamente dopo il giornaliero dispaccio delle lettere, e si potevano vedere ogni giorno i ragazzi aspettare sulle scale finché la posta non fosse pronta e il divertimento potesse cominciare»» Si racconta poco oltre di un curioso aneddoto. ««Freewen era impegnato in quel momento con una gru giocattolo, e portò nello studio dov'era il padre un rocchetto mezzo avvolto che faceva in qualche modo parte del suo progetto, e osservò ''Papà, puoi finile di avvolgello pel me; io oggi sono motto occupatò'»». Le frasi che concludono questa breve nota sono tratte dal diario di Fleeming Jenkin e vengono coscienziosamente ritrascritte nel suo Ricordo. ««15 Gennaio 1875. Frewen progetta di appendere delle bolle di sapone a fili di seta per fare un esperimento. Non credo che ci riuscirà. Suo fratello Bernard ha accettato con entusiasmo il compito del soffiatore \ 9 maggio Frewen è immerso nei paracadute. Lo prego di non buttarsi dal tetto con una delle sue invenzioni. \ 18 Giugno. Bernard è molto impressionato dal fatto che io potrei essere utile a Frewen con il suo battello a vapore»». Quel padre affettuoso nel lontano 1858 aveva contribuito alla posa dei cavi telegrafici tra la Sardegna e il continente africano. In un diario dell'8 giugno 1858 redatto al largo di Capo Spartivento si legge ««Questa mattina alle due abbiamo lasciato Cagliari; alle cinque abbiamo gettato l'ancora in questo punto. Mi sono alzato è ho iniziato i preparativi per l'ultima prova \ e poi si era scoperto che il cavo era sepolto quattro o cinque piedi sotto la sabbia così che la barca non poteva portarne fuori l'estremità \ »» Due anni più tardi, in una lettera spedita dal capoluogo dell'isola, il 7 ottobre scrive: ««La città era piena di garibaldini inglesi in camicia rossa. Sono una bella compagnia di ragazzi che si presenta proprio bene: gli ufficiali piuttosto volgari, ma decorati, Crimea e India \ La vista dei bastioni è molto strana e molto bella \ Accidenti al cavo, piuttosto! Non riuscirò mai a ripararlo»». Vittorio Marchis Politecnico di Torino


SCIENZE FISICHE MICROELETTRONICA Occhi e riflessi pronti per i robot del futuro
Autore: CAGNOTTI MARCO

ARGOMENTI: ELETTRONICA
NOMI: ETIENNE CUMMINGS RALPH
ORGANIZZAZIONI: JOHN HOPKINS UNIVERSITY
LUOGHI: ITALIA

PER poter interagire con il mondo, un robot deve poterlo vedere. E, soprattutto, deve poter essere veloce nel rispondere agli stimoli dell'ambiente circostante. L'elaborazione delle immagini è una delle sfide più attuali della robotica moderna. E alla Johns Hopkins University sono riusciti a fornire a un automa occhi migliori e più vicini alle esigenze di un mondo che cambia continuamente e in fretta. ««Il nostro scopo è rivoluzionare la robotica. Non ci siamo ancora riusciti, ma stiamo facendo dei progressi»». Di sicuro a Ralph Etienne-Cummings non manca l'ambizione. Partito dalle lontane Seychelles per studiare ingegneria negli Stati Uniti, ora si occupa di uno dei laboratori più avanzati nelle tecnologie per la visione degli automi. Insieme ai suoi collaboratori ha messo a punto uno speciale microprocessore che si occupa sia di osservare il mondo circostante che di decidere come reagire. Un bel vantaggio, visto che i dispositivi tradizionali si servono di due diversi apparati, uno per funzione. Il guadagno è ovviamente in termini di velocità. Ora un robottino su cui è stata montata una speciale telecamera è guidato da un programma che ha il compito di seguire un ben preciso tracciato. Quando un ostacolo compare improvvisamente, immediatamente lo stesso microchip che guida l'automa lo riconosce, ricorda che evitare un urto è più importante che seguire il percorso prestabilito, e subito modifica la traiettoria del robot. Scansato l'intruso, che scompare dal campo visivo, il processore torna di nuovo alle direttive principali e riprende il tracciato originario. ««Assomiglia un po' al modo di operare degli occhi di animali semplici, come conigli e rane»», spiega Etienne-Cummings, che quindi ammette di essersi ispirato a Madre Natura. Ma senza copiarla: non vuole infatti replicare le cellule nervose o il tessuto cerebrale, ma solo ««imitare le loro funzioni con la migliore tecnologia elettronica oggi disponibile»». Evidentemente tutto questo ha uno scopo: non si parte dalle isole sperdute nell'Oceano Indiano per andare a giocare con un meccano elettronico in America. Così il ricercatore prevede che un giorno questi microchip veloci, che vedono e decidono nel contempo, troveranno applicazioni in moltissimi settori. I cameramen dei concerti diventeranno obsoleti, perché speciali telecamere potranno seguire i cantanti in movimento sul palco. Le sonde sui lontani pianeti vedranno gli ostacoli in rapido spostamento e potranno scansarli. I robot industriali saranno in grado di far fronte agli imprevisti. Strumenti chirurgici automatici penetreranno nell'organismo e troveranno da soli la propria strada, fino al punto in cui intervenire. E tutto questo a partire da un barilotto con una telecamera che oggi si aggira per i laboratori della Johns Hopkins University. Marco Cagnotti


SCIENZE DELLA VITA BIOTECNOLOGIE In crisi la farfalla monarca Guai imprevisti dal mais transgenico
Autore: FRONTE MARGHERITA

ARGOMENTI: ECOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: BRITISH MEDICAL ASSOCIATION
LUOGHI: ITALIA
NOTE: BIOTECNOLOGIE E CIBI TRANSGENICI ALIMENTAZIONE, BOTANICA, ZOOLOGIA, GENETICA, TECNOLOGIA

GRANDINA sui campi di piante transgeniche. I ministri europei dell'ambiente chiedono che i cibi derivati da coltivazioni transgeniche lo dichiarino sulla loro etichetta e che siano sospese nuove autorizzazioni alle coltivazioni. Una nuova direttiva entro un anno dovrà regolamentare tutta la materia. Ma l'attacco arriva anche dal mondo della ricerca, e con argomenti cui solo un'attenta analisi scientifica può ribattere. Ad aprire il fuoco è uno studio che dimostra ciò che gli ecologi sostengono da tempo, e cioè che non tutti gli effetti sull'ambiente delle coltivazioni transgeniche possono essere previsti. L'ecologia è più complessa di una somma algebrica e, curiosamente, è proprio un lepidottero a ricordarci che l'««effetto farfalla»» (termine con cui gli studiosi del caos indicano le conseguenze di grande entità provocate da fenomeni apparentemente insignificanti) non è solo una teoria. A gettare il sasso nello stagno è una ricerca, pubblicata sulla rivista inglese Nature, che ha verificato l'effetto dell'ingestione di polline prodotto dal mais transgenico sulle larve della farfalla monarca, uno splendido insetto dalle ali arancioni venate di nero. Questo lepidottero si nutre delle foglie di una pianta che cresce ai margini dei campi di mais. In primavera, quando il mais fiorisce, il suo polline si deposita sul cibo preferito delle larve, un po' come fa lo zucchero a velo sul dolce. Accade tutti gli anni, ma se il polline proviene da mais transgenico, il condimento è indigesto. Nei campi studiati dagli entomologi della Cornell University di Ithaca crescevano piante modificate geneticamente in modo da contenere una tossina che le rende inattaccabili da certi parassiti. Questa tossina, che permette di non utilizzare i pesticidi, si deposita nel polline in forma di cristalli ed è un veleno per i parassiti del mais, ma anche per le larve della farfalla monarca. La metà degli insetti che se ne nutre muore. L'altra metà mangia poco e cresce male. La farfalla monarca non è una specie in via di estinzione; e persino a un appassionato di entomologia gli effetti del polline sul lepidottero potrebbero sembrare un male acccettabile se confrontato con i disastri che può provocare l'uso di pesticidi. Ma i dati ora pubblicati sono un campanello d'allarme sulle imprevedibili conseguenze dell'introduzione nell'ambiente di specie il cui genoma è stato modificato dall'uomo. Inoltre, il risultato smentisce le dichiarazioni delle industrie che producono alimenti transgenici, secondo cui il gene introdotto artificialmente nel mais nuoce solo al parassita di questa pianta. In effetti, altri studi condotti sulle api e sulle coccinelle sembravano dar loro ragione. Ed è pur vero che una singola ricerca non può determinare una condanna senza appello di tutto il settore. Lo studio deve essere confermato, ma è comunque un segnale da non sottovalutare tanto più se si considera che gli effetti sull'ecosistema delle coltivazioni transgeniche sono (oltre che difficilmente prevedibili) certamente irreversibili. E' proprio questo uno degli argomenti chiave dell'invettiva lanciata dai medici della British Medical Association e che - ironia della sorte - è stata resa nota quasi contemporaneamente all'uscita su Nature della ricerca statunitense. Senza usare mezzi termini, il comunicato chiede che venga istituito un bando di tutte coltivazioni transgeniche finché ««non si sarà chiarito che il livello di rischio cui ci si espone è accettabile»». Un editoriale molto critico apparso sulla rivista New Scientist afferma che i medici inglesi si sono fatti trascinare più dal fervore ideologico che dal lume della ragione. Ma le argomentazioni esposte sono tutt'altro che irrazionali. ««Una volta che questi organismi saranno rilasciati nell'ambiente la loro espansione non potrà più essere controllata»», avverte il comunicato. Per la British Medical Association è necessario fare un'attenta valutazione dei costi e dei benefici derivati dall'impiego massiccio di piante geneticamente modificate per uso alimentare. Bisogna verificare gli effetti a lungo termine sull'ecosistema e sulla salute dell'uomo, in particolare per quanto riguarda le allergie alimentari. Inoltre, auspicando il coinvolgimento dell'Organizzazione mondiale per il commercio nel regolamentare la diffusione degli alimenti transgenici, gli inglesi hanno forse in mente la produzione di semi sterili che, già avviata da alcune ditte, renderebbe i Paesi del Sud del mondo dipendenti da quelli produttori per l'acquisto di nuovi semi alla fine della stagione del raccolto. Infine, la British Medical Association mette in guardia dall'atteggiamento delle aziende che, opponendosi all'etichettatura, di fatto contribuiscono a creare diffidenza. Una diffidenza che, secondo gli inglesi potrebbe estendersi all'intero settore delle biotecnologie e che può portare al rifiuto dei progressi resi possibili dall'introduzione di queste tecniche nella medicina e nella produzione di farmaci. Margherita Fronte


SCIENZE DELLA VITA CARNE, UOVA E LATTE Perché la diossina Una micidiale catena alimentare
Autore: BURI MARCO

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: BIOTECNOLOGIE E CIBI TRANSGENICI TECNOLOGIA, ANIMALI, ZOOTECNIA

CIBO e diossina: siamo di fronte all'ennesimo caso di stupida criminalità da parte dell'uomo verso se stesso e gli animali. Cause e concause - dovute a negligenza o dolose - della presenza di diossina in mangimi e bevande prodotti in Belgio, non sono ancora state chiarite fino in fondo. Sembra comunque accertato, tra l'altro, che per produrre mangimi a costi sempre più bassi, si sarebbero utilizzati, come grassi, oli esausti, i quali con il calore liberano Pcb e da questo la diossina. La diossina appartiene a un gruppo di sostanze molto tossiche contenenti cloro, prodotte appunto da processi di combustione. Può esistere in 17 forme e 75 formule chimiche con tossicità diverse che si svolgono nei grassi e si accumulano nei tessuti. La diossina nell'organismo viene metabolizzata dal fegato ed eliminata attraverso le urine e i cataboliti della pelle. I Pcb sono composti che hanno la stessa origine della diossina, di cui sono i precursori, e sommati all'azione di quest'ultima aggravano sensibilmente i rischi delle patologie collegate. L'ingerimento di cibi che contengano questi residui tossici può causare forme tumorali, malattie della tiroide, del fegato, del sistema genitale, riproduttivo e di quello immunitario. Negli animali la diossina si deposita, accumulandosi nei grassi, per cui maggiore è il tempo di contatto con i mangimi contaminati più alto sarà il livello della diossina concentrata nelle carni. Ovviamente si può dedurre che questi animali vivendo più a lungo saranno più intossicati e così anche i loro derivati, uova e latte, potranno essere inquinati. Nei polli analizzati la quantità di diossina risulta mille volte superiore alla norma. Finora si conoscevano gli effetti negativi della sostanza nell'aria inspirata, ma non ci sono mai stati casi di presenza nei cibi. Ciò che vorrei tentare di esplorare è il motivo per cui l'uomo può arrivare a compiere atti criminali di questo tipo, dove questi atti possono nascere e perché. Viene in mente un libro: ««L'animale tecnologico»» di Ballarini, medico veterinario e docente universitario, edito nel 1983. L'animale tecnologico, dice l'autore, è l'animale costruito e sviluppato dall'uomo ed è il più recente gradino della scala caccia/ammaestramento/addomesticazione/tecnicizzazione. Per una continua necessità del mercato di proteine nobili a basso prezzo, l'uomo è entrato nei meccanismi riproduttivi, alimentari e genetici di molte specie animali, meccanismi regolati dapprima esclusivamente dalla natura sovrana. si sono così create masse di animali-oggetto senza più autonomia di vita e si sono distrutte contemporaneamente le culture create da millenni di selezione. Quando si vuole acquistare un pollo ruspante, sano, tenero e a basso costo si va incontro a una grossa contraddizione tra prezzo e qualità. Tutti coloro poi che esigono carne priva di infezione e parassiti, non possono pretendere allo stesso tempo che non si usino farmaci. Il prof. Ballarini ricorda che ««genuino»» non vuol dire sano e naturale, non vuol dire sicuro. La cultura industriale ha aumentato la potenza dell'uomo sugli animali cambiando l'evoluzione biologica di alcune specie, secondo comodità e necessità proprie, alterandone vistosamente l'intima etologia. Gli animali tecnologici sono l'ultima e a volte più terribile espressione di questo potere. Questi soggetti possono vivere solo in ambienti artificiali creati dall'uomo; si è artefatto anche il sistema alimentare creando un legame habitat-alimento sempre più sganciato dalla natura. Tutto questo alla fine ha distrutto in breve tempo i precedenti rapporti uomo-animale e animale-ambiente cresciuti e selezionati in centinaia di anni. L'industria alimentare per animali formula i mangimi in base alle necessità delle singole specie allevate in cattività. Si tiene conto, quindi, delle varie caratteristiche e del costo delle sostanze semplici che verranno mischiate in base alle esigenze di allevamento. Sono poi aggiunti integratori, farmaci tra i quali antibatterici, antiparassitari, ed auxinici per l'aumento ponderale. Ma il costo dell'alimento dovrà essere sempre il più basso possibile, cosicché attraverso i vari processi di allevamento, si arrivi a un prezzo finale al consumatore concorrenziale per il mercato. Ed è su questo punto che è facile inserirsi nella catena introducendo ad esempio oli alimentari riciclati per aumentare il tasso proteico nelle farine per animali. Ciò che viene immesso in questi alimenti è, a volte, assolutamente vergognoso: si è studiato addirittura un modo di riciclare le feci essiccate degli animali stessi. Una esplicita spiegazione di ciò che sta succedendo è data dal caso di ««mucca pazza»». E' la dimostrazione di cosa succede quando un erbivoro viene costretto a diventare un cannibale che mangia i suoi simili ridotti in farina. L'uomo ha così creato per necessità e per denaro una catena alimentare scorretta nella quale animali, ambienti e alimenti sono in gran parte innaturali e non biologicamente equilibrati. Le nuove tecnologie per la produzione proteica hanno creato questi animali oggetto utili solo per l'elevata capacità di trasformazione degli alimenti in carne, latte e uova. La moderna vacca da latte non potrebbe più vivere in un ambiente naturale, lo dimostrano i tentativi falliti di reintrodurla in Paesi con situazioni di sottosviluppo. Il rapporto quotidiano con la mungitrice automatica ha reso il suo vitello quasi completamente estraneo a causa di uno svezzamento forzato precocissimo. La gallina ovaiola vive in gabbie rialzate da terra con una densità media di 7-9 animali per metro quadrato. Dovrà cercare di produrre circa 300 uova l'anno, con una vita che quasi mai arriva ai 20 mesi. Il totale delle uova depositate è di circa 15 chilogrammi l'anno, cioè 6-7 volte il suo peso. Nelle galline libere, l'ovodeposizione arriva ad alcune decine l'anno. Per produrre circa un uovo al giorno ha bisogno non solo di una ricca alimentazione ma di sali minerali, calcio in special modo, antibiotici per evitare infezioni, e antiparassitari per non depauperare l'organismo. Gli artifici per aumentare la produzione in modo così sproporzionato si basano su super-alimentazione, illuminazione artificiale, poco spazio per il movimento e si è arrivati a pensare di creare geneticamente una gallina nuda, affinché le proteine, invece che essere utilizzate per le inutili piume servano alla iper-deposizione di uova. Marco Buri


SCIENZE DELLA VITA UN FLAGELLO NEL TERZO MONDO La recrudescenza della tbc favorita dall'Aids Nuovi mezzi di biologia molecolare per scoprire la presenza del bacillo di Koch
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

LA tubercolosi non è una malattia del passato, come in genere si crede. Le ultime cifre fornite dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sono impressionanti: nei Paesi in via di sviluppo la tbc permane un flagello, con 20 milioni di malati, 2-3 milioni di morti e 7-8 milioni di nuovi casi ogni anno. Inoltre in tutti i Paesi europei e negli Usa, dove si pensava fosse vinta, la malattia ha ripreso una nuova scalata. La recrudescenza mondiale della tbc è stata accelerata da Hiv, il virus dell'Aids, il quale favorisce le infezioni normalmente tenute a freno dall'immunità (la tbc è una di queste). Nel suo rapporto sulla salute del mondo 1999, arrivato in questi giorni, l'Oms indica appunto fra i più importanti compiti la lotta contro ««le epidemie mondiali dell'Aids e della tbc»», costituenti rispettivamente il 54 e il 22 per cento dei casi delle principali malattie dell'adulto non ancora vinte. Altre ragioni del rincrudimento della tbc sono le migrazioni di popolazioni ed i viaggi internazionali, che facilitano la diffusione dei contagi attraverso le frontiere. Di fronte a questi dati negativi vi sono però anche situazioni positive, in primo luogo la terapia, che si avvale di numerosi farmaci (rifampicina, isoniazide, pirazinamide, etambutolo, ecc.) variamente associati secondo i casi. I risultati sono eccellenti: secondo le ultime statistiche guarigione nel 95 per cento dei pazienti con virus Hiv, e nel 99 per cento dei pazienti non immunodepressi. C'è però una condizione essenziale: il trattamento, deve essere effettuato correttamente secondo norme ormai ben codificate. Altro aspetto positivo è quello dei mezzi di diagnosi miranti a scoprire rapidamente la presenza del Mycobacterium tuberculosis - detto ««bacillo di Koch»», BK - nei materiali patologici. A proposito del più semplice, il quasi secolare esame microscopico dell'espettorato, ecco la conclusione d'uno studio svoltosi per 5 anni in California su 1359 malati: devono essere presenti da 5 a 10 mila BK per millilitro per poterne vedere almeno uno al microscopio; con un numero inferiore l'esame sarà negativo. E' evidente dunque che un esame negativo non garantisce che il soggetto sia inoffensivo, il 27 per cento dei casi californiani era dovuto al contagio da un malato con esame negativo; la contagiosità dei negativi rappresentava il 22 per cento in rapporto a quella dei positivi; secondo un precedente studio canadese era il 28 per cento. Il BK sa dunque essere invisibile. Tutto ciò è preoccupante, si ha troppa tendenza a credere che un malato negativo al microscopio sia inoffensivo. Ora però si lascia meno scampo ai BK che cercano di rimanere ignoti. Negli ultimi tempi è avvenuta in laboratorio una rivoluzione, basata soprattutto sulla biologia molecolare. Per esempio un mezzo per rivelare in pochi giorni la presenza dei Bk nei terreni di coltura è la respirometria radiometrica, basata sulla misura di quantità anche minime di gas carbonico marcato col carbonio 14, prodotto dai BK durante la loro moltiplicazione. Oggi è anche possibile identificare i BK mediante ibridazione con sonde genomiche, sequenze nucleotidiche artificiali aventi la proprietà di fissarsi specificamente su sequenze di Rna del BK. E ancora, si possono prendere le ««impronte digitali»» (impronte genetiche) del BK. La batteriologia della tbc è dunque in piena mutazione tecnologica. Certo il tradizionale esame microscopico dell'espettorato è tuttora l'apportatore classico della prova della malattia, ma le tecniche basate sulla biologia molecolare consentono di identificare immediatamente i BK visti al microscopio, di svelare la presenza anche d'un solo BK in un prodotto patologico, di determinare la resistenza dei BK agli antibiotici. Ulrico di Aichelburg


SCIENZE DELLA VITA LA PROCESSIONARIA Un bruco famelico e urticante Il parassita sta attaccando alcune foreste italiane
Autore: VIETTI MARIO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

LA Processionaria del pino (Thaumetopoea pityocampa, recentemente rinominata Traumatocampa pityocampa, ordine Lepidotteri) è un insetto che può provocare, ma solo allo stadio larvale, notevoli danni alle conifere, principalmente pini (Pinus nigra, P. sylvestris, P. halepensis, P. pinea) e a volte anche larici e cedri; le larve defogliatrici infatti, quando si insediano su un pino, possono in poco tempo divorare un'enorme quantità di aghi indebolendo la pianta e rendendola più soggetta agli attacchi di altri parassiti. Inoltre, in caso di infestazione massiccia, i pini si sviluppano male e più lentamente. Tutto questo a lungo andare può provocare la morte della pianta. Il nome curioso deriva dall'abitudine che hanno le larve di questo insetto di disporsi in lunghe file (in ««processione»») durante gli spostamenti. La processionaria può essere pericolosa anche per uomini e animali: il contatto dei loro peli urticanti con la pelle e con gli occhi provoca fastidiose irritazioni. E' per questo motivo che, se l'attacco di questo parassita avviene su alberi in aree urbane o frequentate da persone o animali, si deve pianificare una lotta. La presenza di questo insidioso parassita è facilmente individuabile dai caratteristici e vistosi nidi - un groviglio di aghi e bava - che possono raggiungere le dimensioni di un melone. Solitamente scelgono le piante situate nei punti più aperti e soleggiati. Il ciclo vitale inizia a luglio con la deposizione delle uova da parte della femmina adulta (un'innocua farfallina di colore grigio-marroncino) intorno a due aghi; al termine dell'ovodeposizione si nota un involucro a forma di ««manicotto»» (ovatura) ricoperto da squame argentate che si sono staccate dall'addome della femmina. Dopo 4-6 settimane nascono larve con il corpo grigio-ocra, ricoperto da peluria rosso-ruggine. Durante l'estate si riuniscono in nidi provvisori, poi, verso ottobre, costruiscono i nidi invernali, dove resteranno fino a primavera; in questa stagione escono dal nido e iniziano l'attacco alle foglie, fino a lasciare molti rami spogli. Alla fine di maggio i bruchi scendono dall'albero, si interrano e si incrisalidano; a luglio incominciano a sfarfallare gli adulti. La lotta contro la processionaria non è semplice, soprattutto se il parassita si insedia in pinete di grandi dimensioni o in ambienti urbani dove non è possibile usare prodotti chimici tossici per l'uomo. Per contrastarne la diffusione si può agire su diversi fronti: meccanico, chimico-microbiologico e biologico. Il primo consiste nell'asportazione dei nidi dall'albero colpito e nella loro distruzione mediante bruciatura; questo intervento si può dall'inizio dell'autunno fino a febbraio-marzo. E' importante prendere delle precauzioni proteggendosi con guanti, tute e mascherine in modo da evitare ogni contatto con i peli urticanti. La raccolta dei nidi è possibile solo se sono facilmente accessibili e se il loro numero è limitato in quanto comporta dei costi alti. E' anche possibile, ma più complicato, asportare le ««ovature»» in estate. La lotta microbiologica si avvale già da diversi anni di un insetticida, non tossico per l'uomo e la maggioranza degli animali, a base di Bacillus thuringiensis var. kurstaki, un batterio che agisce per ingestione. Viene irrorato sulle piante colpite tra settembre e ottobre e può raggiungere, usando apposite pompe, anche le parti più alte della chioma. Un altro metodo atossico consiste nell'uso di ferormoni e trappole sessuali con le quali si catturano i maschi, impedendo così la fecondazione delle femmine. Esistono altri metodi di lotta biologica, ancora in fase di sperimentazione, che sfruttano alcuni virus e parassiti fungini ai quali la processionaria è sensibile. Sarebbe anche bene cercare di rispettare alcuni Ditteri e Imenotteri che sono antagonisti naturali della processionaria: Phryxe caudata, Formica rufa, Erigorgus femoratus, Xanthandrus comptus. In Italia la lotta contro la processionaria del pino è regolata fin dal 1926 da apposite leggi che rendono la difesa da questo parassita obbligatoria. Ora queste leggi sono state aggiornate dal D.M. 17/4/98 con il quale si ribadisce l'obbligo della lotta alla processionaria ««nelle aree in cui la presenza dell'insetto minacci seriamente la produzione o la sopravvivenza del popolamento arboreo o possa costituire un rischio per la salute delle persone o degli animali»». I proprietari di piante attaccate dalla processionaria del pino sono obbligati a comunicarlo al Servizio fitosanitario regionale, che provvederà a ««stabilire le modalità di intervento più idonee»». La nuova legge si è resa necessaria in quanto sta aumentando la diffusione del parassita. Mario Vietti


SCIENZE DELLA VITA VERTICE UNESCO Medio Oriente un laboratorio aiuterà la pace
Autore: P_BI

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: FUBINI SERGIO, MAYOR FEDERICO
ORGANIZZAZIONI: CENTRO INTERNAZIONALE DI TRIESTE, CNR, UNESCO
LUOGHI: ITALIA

UN laboratorio scientifico spianerà il cammino verso la pace in Medio Oriente offrendo uno strumento di ricerca comune a scienziati ebrei, palestinesi, egiziani e di altri paesi arabi. E' un passo importante nella direzione che per primo ha indicato Sergio Fubini, illustre fisico teorico dell'Università di Torino, per molti attivo al Cern di Ginevra. Se ne è discusso a Parigi il 15 e 16 giugno in una riunione consultiva dei paesi del Medio Oriente e del bacino del Mediterraneo. La riunione si è tenuta presso l'Unesco e, dopo il saluto del direttore generale Federico Mayor, è stata presieduta dal fisico Herwig Schopper, già direttore del Cern. Fubini ha organizzato un paio di anni fa il primo convegno tra fisici arabi ed ebrei fondando la ««Middle East Scientific Collaboration (Mesc). Un frutto di questa iniziativa è ora il progetto di collocare in Medio Oriente, tra Egitto e Palestina, una macchina per generare luce di sincrotrone, cioè raggi X di ben determinata lunghezza d'onda e intensità, al fine di esplorare la struttura molecolare e atomica della materia. In particolare, la macchina che dovrebbe andare in Medio Oriente è un sincrotrone attualmente in funzione a Berlino, adatto a ricerche di interesse biomedico e ambientale, e a sviluppare progetti industriali di vario tipo, inclusa la scienza dei materiali. La localizzazione della macchina non sarà semplice ed è attualmente tema di confronto. Anche i tempi dell'operazione non saranno brevi: il sincrotrone sarà in esercizio a Berlino fino alla fine di quest'anno, poi bisognerà smontarlo, imballarlo e inviarlo a destinazione, dove si procederà a rimontare la macchina. Nel frattempo è opportuno addestrare i ricercatori che dovranno seguire l'operazione e poi utilizzare il sincrotrone. L'Italia ha quindi proposto di tenere i corsi di preparazione presso il Centro Internazionale di Trieste, in considerazione della vasta esperienza dell'istituto e dell'esistenza a Trieste di ««Elettra»», una grande e modernissima macchina per luce di sincrotrone. \


SCIENZE DELLA VITA PIPISTRELLI Gli unici mammiferi che volano con le mani
Autore: FABRIS FRANCA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
NOMI: VERNIER EDOARDO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. ANATOMIA DI UN PIPISTRELLO

AL primo crepuscolo escono dalla volte di una chiesa o dai tetti delle case e sfrecciano nel cielo a caccia di insetti. Sono i pipistrelli, gli unici mammiferi che volano con le mani. Ad eccezione delle zone polari si trovano in tutto il mondo. I più grandi, i Megachirotteri o Pteropodi sono diffusi soprattutto ai tropici, dove, da buongustai, divorano i frutti più maturi e buoni. Possono talvolta distruggere un intero raccolto e passare da un'isola all'altra per razziare altri frutti. Ma, sempre ai tropici, vi sono specie ghiotte di polline e di nettare, predatori di pesci, di lucertole, rane, uccelli. In Europa troviamo 30 specie di Microchirotteri. Sono animali puliti, socievoli ed esclusivamente insettivori: utili contro zanzare, mosche, coleotteri, farfalle. Fra i mammiferi che hanno conquistato l'ambiente aereo sono gli unici a volare veramente come gli uccelli; scoiattoli volanti, Dermotteri o Falangerini, come l'acrobata pigmeo, riescono a malapena a lanciarsi in un volo paracadutato o planato. L'arto anteriore è divenuto una vera e propria ala, come già negli Pterosauri o meglio negli Pterodattili. La mano-ala dei pipistrelli è assai diversa dal braccio-ala degli uccelli. In questi ultimi la mano è atrofizzata fino a sparire, mentre il braccio è divenuto l'unico sostegno di tutta l'ala. Nel pipistrello è la stessa mano, con le sue lunghe dita, che sostiene la membrana alare, il patagio, che giunge fino agli arti posteriori e alla coda ed è molto grande rispetto al corpo. Le ossa metacarpali e le quattro dita sono allungate e divaricate. Il pollice è una specie di puntale uncinato, che funziona come un chiodo da roccia. Il patagio, questa larga piega della pelle, priva di peli e morbida come la seta di un paracadute, viene accuratamente lubrificato da alcune ghiandole che il pipistrello possiede sul muso. Ma per volare non bastano le ali: come gli uccelli, i pipistrelli hanno uno sterno carenato, una gabbia toracica incurvata e munita di una robustissima muscolatura pettorale che li aiuta nel volo. Il volo, poi, è così celere che nè le rondini nè il veloce falco lodolaro riescono a batterli. Il pipistrello vola con un lieve movimento oscillatorio del patagio, dilatandolo e tendendolo e procedendo a zig-zag. Tutto il corpo è una poderosa macchina per volare: il muso può essere paragonato a una cabina di pilotaggio, mentre l'apparato boccale a scatto gli consente di acchiappare gli insetti al volo. Prima di decollare i pipistrelli scaldano il motore del corpo, che durante il riposo si è abbassato notevolmente di temperatura, fino a portarlo a 38-40 gradi. Si arrampicano quindi fino al posto del decollo, cominciano ad oscillare, allargano il patagio e si librano nell'aria. Come nei moderni aerei i Chirotteri usufruiscono di un sistema di ecolocalizzazione con onde di ultrasuoni che hanno una frequenza tra le 20.000 e le 150.000 vibrazioni al secondo (ogni specie ha specifiche frequenze). Le vibrazioni vengono riflesse non solo da un muro o un ostacolo grande ma anche da una mosca in volo: registrando gli echi, i chirotteri riescono a ottenere una specie di mappa dell'ambiente. In Germania si è fatto un esperimento. Un giorno è stata posta una parete di legno all'ingresso di una miniera dove abitualmente andavano a rifugiarsi. La maggior parte dei pipistrelli che ritornavano per dormire è andata a sbattere contro la parete, che non era stata localizzata. Il giorno seguente la parte fu rimossa, ma quelli che si erano salvati evitarono di addentrarsi nella miniera anche se la parete era stata smantellata. Per il letargo il pipistrello sceglie un ambiente umido, buio e al riparo dal freddo. La temperatura del corpo scende verso gli zero gradi e così rimangono immobili, appesi per le zampe, per alcuni mesi. Discendenti da un gruppo di insettivori, i più antichi Chirotteri risalgono a 50 milioni di anni fa. I pipistrelli europei si accoppiano sul finire dell'autunno prima di andare in letargo. La coppia si avvinghia con gli arti anteriori avvolta nei patagi. Spesso le femmine si accoppiano con più maschi, ma all'accoppiamento non segue subito la fecondazione. Gli spermatozoi restano nell'utero della femmina fino a primavera. Quando l'ovulo diviene maturo, avviene l'unione dei gameti; come possano gli spermatozoi rimanere vitali così a lungo è ancora un mistero. Quindi le femmine si riuniscono l'una accanto all'altra appese per gli arti posteriori, in un nascondiglio recondito, una specie di sala parto, in attesa del momento. Il parto è generalmente di un solo piccolo, raramente di due. Il neonato è piuttosto grosso e già munito di patagio. Quando viene al mondo, scivola verso la parte caudale in una specie di tasca del patagio materno. La madre recide con i denti il cordone ombelicale e il piccolo, cieco e nudo, si attacca subito al petto villoso materno con particolari dentini da latte e lì rimane anche durante i voli di caccia. E' curioso il fatto che i neonati passino la maggior parte del loro tempo in una specie di nursery dove a volte vengono allattati anche da femmine diverse dalla loro madre. Divenuti più grandi, rimangono soli durante la notte, appesi con le mani, a testa in giù e saranno completamente indipendenti dopo otto settimane. Nel Veneto vi sono persone che, con grande passione, hanno dedicato la maggior parte dei loro studi ai pipistrelli, come Edoardo Vernier, zoologo dell'Università di Padova, autore del libro Manuale pratico dei Chirotteri italiani. Ecco le sue risposte ad alcune domande molto frequenti. Che origine ha la pessima reputazione dei pipistrelli? Forse perché il loro nome è legato ai vampiri dell'America Meridionale e Centrale? I vampiri succhiano veramente il sangue degli organismi con i quali vengono a contatto? ««E' un antico retaggio culturale. Si teme ciò che non si conosce e, per lungo tempo, la vita dei pipistrelli e le loro straordinarie particolarità sono rimaste ignote. Ancor oggi molti hanno un vero terrore di questi piccoli mammiferi, utilissimi e inoffensivi per l'uomo. Essi non hanno nulla a che vedere con i vampiri veri del centro e Sud America, che hanno una dieta a base di sangue, principalmente ricavato dai grossi mammiferi, che vengono attaccati durante il sonno»». A cosa è dovuta la diminuzione dei pipistrelli in Italia? ««I nostri pipistrelli sono fortemente diminuiti nel secondo dopoguerra a causa dell'uso massiccio di pesticidi e fitofarmaci in agricoltura. Sono animali particolarmente sensibili alle variazioni ambientali operate dall'uomo. Oggi si possono aiutare proteggendo gli ambienti tipici di rifugio, eliminando i pesticidi più pericolosi, migliorando con una corretta informazione l'opinione che la gente ha di questi animali»». Quante specie vivono in città come Venezia o Padova? ««Padova è la città più monitorata d'Italia sulla presenza dei pipistrelli in area urbana. La presenza di microambienti, aree verdi e parchi storici permette la presenza di rare specie forestali: a Padova vivono i ferri di cavallo, il pipistrello albolimbato, il p. di savi, il serotino comune, il vespertilio maggiore, la nottola comune e il raro vespertilio di Bechstein.»». Franca Fabris


SCIENZE DELLA VITA LITORALE SALENTINO Divorata dagli insetti una pineta di 400 ettari
Autore: CARTELLI FEDERICO

ARGOMENTI: ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, ITALIA, LE, LECCE

CHE le processionarie del pino fossero voraci di foglie, era cosa nota. Sembrava impensabile, invece, che potessero devastare una vasta area naturalistica protetta del litorale Jonico-salentino, nel Leccese. Il loro nome scientifico è Thaumetopoea pitycampa e, da incredibili predatori, gradualmente hanno cominciato a divorare una pineta di circa 400 ettari che costituisce il parco regionale attrezzato di Porto Selvaggio. L'invasione del bruco si è avuta anche nelle marine (al ridosso della pineta) di Nardò, un grosso centro in cui la processionaria non è comparsa soltanto perché lo smog urbano si rivela efficace arma di difesa. Non è la prima volta che il bruco, lungo appena un centimetro e mezzo, provoca danni al patrimonio boschivo salentino, ma mai così ingenti come in questo caso. Con il loro corpo tozzo e peloso di colore marrone-bruno, si spostano secernendo fili serici che fungono da guida. Vivono in colonie di milioni di esemplari e oltre che delle foglie, sono voracissimi della linfa dei pini giovani. L'infestazione delle pinete del Salento, ricostituite periodicamente proprio con l'innesto di pini giovani, pare sia causata dall'importazione di materiale vivaistico già infetto. Il parassita ha proliferato grazie anche al clima piuttosto mite dello scorso inverno e a cause particolari dipendenti dal suo stessi ciclo biologico. L'invasione è stata segnalata tardi, quando le nidificazioni erano già avvenute, e ciò non ha permesso appropriati interventi biologici con bacilli per distruggere le larve. L'unico intervento da parte del personale forestale consiste nel distruggere i nidi a colpi di fucile e con il fuoco. Federico Cartelli


SCAFFALE Amir Aczel: «Probabilità 1» Garzanti
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA

L' ASTRONOMO Frank Drake calcolò una quarantina di anni fa qual è la probabilità che esistano civiltà extraterrestri. L'««equazione di Drake»» è tuttora il punto di partenza inevitabile per chiunque si occupi del problema. Ma sono molto aumentate le conoscenze su ciascun elemento dell'equazione. Tanto che molti scienziati ritengono praticamente certa l'esistenza di vita aliena, anche intelligente. E' la tesi anche di questo libro, ottimo per completezza e aggiornamento. Amir D. Aczel: ««Probabilità 1»», Garzanti, 206 pagine, 32 mila lire


SCAFFALE Max Perutz: «Le molecole dei viventi», Di Renzo
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: BIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Max Perutz, premio Nobel per la scoperta della struttura dell'emoglobina, la molecola del sangue che scambiando l'ossigeno rende possibile la vita, è un fondatore della biologia molecolare. Genialità e anticonformismo sono le sue doti salienti, ben visibili anche in questa piacevolissima autobiografia scientifica pubblicata dall'editore Di Renzo (tel. in una collana che merita grande diffusione. Tra gli altri volumi recenti, quelli di Dyson, Sciama e Gribbin. Max F. Perutz: ««Le molecole dei viventi»», Di Renzo, Roma, 64 pagine, 16 mila lire


SCAFFALE K.C. Cole: «L'universo e la tazza da té», Longanesi. David Blatner: «Le gioie del Pi greco», Garzanti
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: MATEMATICA
LUOGHI: ITALIA

Si può raccontare la matematica in modo divertente, e questi due saggi lo dimostrano. Cole ci introduce alle sorprese dei grandi numeri, del calcolo delle probabilità, dei rapporti tra formule, fisica, società e verità. Blatner riassume duemila anni di studi sul più sconcertante dei numeri, quel Pi greco che indica l'inafferrabile rapporto tra una circonferenza e il suo diametro. K.C.Cole: ««L'universo e la tazza da té»», Longanesi, 260 pagine, 30 mila lire David Blatner: ««Le gioie del Pi greco»», Garzanti, 130 pagine, 22 mila lire


SCAFFALE Carlo Messini: «Bacco Dottore», La Pagina
AUTORE: BIANUCCI PIERO, BINUCCI PIERO
ARGOMENTI: MEDICINA FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Del vino erano ben note le virtù conviviali. Negli ultimi anni si sono scoperte anche insospettabili virtù terapeutiche: in dosi moderate, il vino protegge dall'infarto e fornisce persino fitormoni preziosi per l'equilibrio endocrino nella seconda e terza età. Questo libro tratta il vino in tutti i suoi aspetti: storici, leggendari e scientifici. Carlo Messini: ««Bacco Dottore»», La Pagina, Roma, 222 pagine, lire 30 mila




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