TUTTOSCIENZE 14 aprile 99


NON PROFUGHI MA «DISLOCATI» L'antropologo analizza il dramma del Kosovo
Autore: SALZA ALBERTO

ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA ETNOLOGIA, CONFLITTO ETNICO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, JUGOSLAVIA, KOSOVO, SERBIA
TABELLE: C. Movimento dei rifugiati kosovari T. Migrazioni forzate
NOTE: CRISI NELLA REGIONE DEL KOSOVO / LA GUERRA NEI BALCANI

LA linea dell'orizzonte è subdola: differisce da quella solita, impressa negli occhi da una vita, solo per pochi particolari alieni, che variano con il passo. Il sole viene dalla parte sbagliata del cielo. Il cibo ha gusti alieni. Neppure gli abiti, o le scarpe, sono gli stessi: devono appartenere a qualcuno che li ha lasciati sulla strada, o forse ve li hanno messi addosso, di fretta. Se incontrate delle case, le loro forme vi appaiono strambe. Gli esseri alle finestre emettono suoni per voi incomprensibili, ma che, in modo disturbante, ricordano il linguaggio di casa. Poi, lungo la via, una fila di creature maculate, con maschere sul viso e fucili, comincia a dirvi cosa dovete fare, per sempre. Siete divenuti, finalmente, dei dislocati. Questa è una categoria nuova di umanità, nota sola a militari, operatori statistici e antropologi. Non si tratta di profughi, in quanto non sono partiti verso un altro Stato nazionale. Non si tratta di rifugiati, il cui status è riconosciuto dall'Onu e dà diritto a congrui rimborsi spese. Spesso non sono neppure deportati, in quanto lasciano la loro terra sotto pressioni indirette. I dislocati non sono vittime di catastrofi, ma fuggono (o vengono spostati) a causa di fenomeni prodotti dall'uomo, quali la guerra o la carestia (spesso indotta artificialmente, come ho osservato più volte in Africa). In Sudan meridionale i dislocati sono milioni, di etnie così varie che una mappa antropologica della zona non avrebbe oggi alcun senso. In Etiopia, al tempo della grande illusione umanitaria occidentale modello rock'n'roll, i dislocati erano merce strategica: i contadini di montagna venivano portati a coltivare le piane più umide e fertili, di cui, però, essi nulla sapevano; i nomadi venivano sedentarizzati nei luoghi impervi, da altri abbandonati forzosamente. Su tutti gli spostamenti dei dislocati vigilano i militari, multietnici come le varie alleanze difensive interstatali. Tra i dislocati, un antropologo ha un laboratorio di dinamica culturale. In tempi brevi, egli è in grado di osservare le trasformazioni dell'identità etnica. Qui il discorso si fa fangoso, come le piste del Ruanda o del Kosovo. Le somiglianze tra gli uomini, genetiche e comportamentali, sono di gran lunga superiori alle differenze oggettivamente osservabili tra le varie popolazioni e culture. Non esiste traccia di concetti quali ««legami di sangue»», ««linguaggio»», ««territorio»» che non siano autoprodotti artificiosamente per evidenziare le differenze e attutire l'unicità della specie umana. In questo senso, l'identità etnica è fenomeno esclusivamente culturale, basato sul nulla delle parole. Come scrive Epstein (1978), ««la percezione che un gruppo ha di sè prende forma in relazione agli altri»». E' interessante notare, inoltre, come l'antropologia utilizzi la parola ««identità»» a due livelli: per il singolo, essa esalta le differenze che rendono unico l'uomo e lo fanno persona culturale; per i gruppi, invece, si fa ricorso alle somiglianze tra individui, per formare gruppi riconoscibili e riconducibili a una qualche fasulla forma di origine comune. L'etnicità è invece situazionale: la si invoca e la si costruisce con significati differenti a seconda delle circostanze, in modo flessibile. Lo scopo è l'uso strategico dell'identità etnica: essa viene nascosta, variata o rivendicata, a seconda dei contesti. Come ai tempi del colonialismo, l'antropologia riconosce il discorso sul relativismo culturale e sull'identificazione etnica in modo strumentale, al servizio di una metodologia (e di un potere) riduzionistico. Occorre tenere ben presente che ogni discorso più o meno scientifico sull'identità etnica prevede al suo interno il concetto di pulizia etnica. Nel mondo giuridico globale, il diritto delle vittime si scontra ancora alla pari con il diritto dei carnefici. Se divieni un dislocato, il problema non è la perdita di identità etnica ma la perdita della carta d'identità. Questo è il vero momento di annullamento sociale: la vostra esistenza viene negata in modo totale, nelle società complesse, quando cessa la corrispondenza tra l'essere umano e la sua rappresentazione, un pezzo di carta da bollo con su una fotografia, dove l'immagine e il numero, per chi vi fornisce servizi di sopravvivenza, valgono assai più della persona reale. All'angolo della strada o a una frontiera, voi non sarete mai voi stessi, ma quello che c'è scritto sulla carta d'identità. Senza, siete nel limbo degli apolidi. Probabilmente vi metteranno su una chiatta, come i rifiuti tossici, e vi faranno girare per il mondo, un po' come previsto per le genti del Kosovo. E' il metodo della diluizione attiva; un tempo avveniva per mezzo dello stupro etnico (offesa e immissione dei geni); oggi si cerca lo stemperamento indolore per dislocamento. A questo punto, il dislocato ha esperienza di un collasso percettivo, un deterioramento delle capacità di discernimento della realtà e, come esito, di un'apatia assoluta. Il mondo gli è sottosopra e l'unico rifugio diventa il campo. Qui, almeno, le facce sono familiari e le parole comprensibili. I dislocati mostrano tendenze centripete: in Africa, dove le proporzioni sono sempre bibliche (e la tragedia del Kosovo appare lieve, senza braccia mozzate dal machete, o ventri gonfi d'aria e liquidi dissenterici, o pelli color melanzana tese su ossa di fame), le strategie di sopravvivenza dei dislocati sono simili a quelle che si utilizzano nei deserti (e di un deserto culturale si tratta): la mobilità permanente o la tana, l'oasi o la carovana. Così si assiste, senza alcuna possibilità di arrestare il flusso, a colonne umane che tracciano nuove piste nella foresta pluviale del Congo o tra i papiri del Nilo sudanese, nei fiumi secchi del Mali settentrionale o a fianco delle strade asfaltate di Nigeria, Sierra Leone, Guinea Bissau, Liberia, Angola eccetera. Oppure, in luoghi reietti, sorgono accumuli umani di proporzioni e forme innaturali alla socialità. Qui il cibo arriva dal cielo e l'acqua da un tubo: perché cercare altrove? Per un dislocato, il passo lento della colonna e l'attesa delle razioni sono l'unico universo in cui si possa vivere. Alla velocità del buio. Se, come dicono i fisici teorici, l'universo non è fatto di atomi, ma di storie a diversa grana, quella dei dislocati è una storia quantisticamente visibile solo a grana grossa. Eppure i danni seri avvengono nelle microstorie, in quanto ai dislocati viene negato il confine etnico (l'interfaccia tra le varie culture), attraverso cui si ha la permeabilità di comportamenti, relazioni, rapporti, invenzioni, modelli, sensibilità e tutto ciò che, per sfioramento come una carezza, consente a un individuo, o a un gruppo, o a un'etnia, di scambiare con l'alieno e di divenire altro. Il dislocato è nella terra di nessuno, in mezzo alle frontiere. A e non-A insieme, contraddizione e impossibilità logica. Il dislocato è fuzzy, incerto, vago; e anche arruffato, nel senso della parola inglese. Il dislocato fa saltare la scientificità antropologica (inventata) dell'identità etnica. Per questo lo manderemo presto su un'isola deserta. A Timbuktu, in Mali, un dislocato tuareg mi ha detto recentemente: ««Nessuno sa dove va, solo da dove viene»». L'etnocidio non esiste: sono le persone a morire. Alberto Salza Antropologo


TERAPIE ALTERNATIVE Quando l'ipnosi può aiutare l'intervento del medico I nuovi metodi diagnostici permettono di studiare un fenomeno spesso ridotto a spettacolo
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: MEDICINA FISIOLOGIA, PSICOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: AMERICAN MEDICAL ASSOCIATION
LUOGHI: ITALIA

I clamori e le fantasie sugli effetti magici (nei teatri) dell'ipnosi che si leggono da cent'anni a questa parte hanno certo danneggiato l'immagine di una tecnica seria che può avere un suo limitato ma legittimo posto come coadiuvante di alcune terapie. Così almeno la pensano i medici che la usano di routine per il trattamento del dolore. L'Ordine dei medici americano (American Medical Association) ha riconosciuto da anni formalmente l' applicazione dell'ipnosi come tecnica medica ausiliaria nel trattamento di certe forme di dolore. A un suo più recente riconoscimento ha giovato la scoperta del meccanismo neurobiologico che sta alla base di questo fenomeno cerebrale. La spiegazione è meno suggestiva di quanto fosse nei salotti europei di cent'anni fa il fluido misterioso irradiantesi dall'ipnotizzatore, ma più affidabile come applicazione. Si parla spesso di sonno ipnotico (perché il soggetto tiene gli occhi chiusi) ma si non si tratta affatto come si crede comunemente di un fenomeno legato al sonno. Al contrario si tratta di un risveglio attivo ed intenso di determinate regioni cerebrali. Il mistero è stato facilmente svelato con la registrazione dell'attività cerebrale di persone in stato di ipnosi mediante un'indagine eseguita utilizzando il metodo di scansione cerebrale Pet (tomografia a emissione di elettroni). La Pet permette di registrare in tempo reale nel soggetto sveglio e cosciente sia il flusso di sangue che i consumi di ossigeno e glucosio nelle diverse regioni cerebrali. Lo studio (sul ««Journal of Cognitive Neuroscience»») riguarda soggetti in fase di rilassamento ipnotico variando la temperatura di un bagno di acqua calda nel quale essi tenevano immerse le mani. Si suggeriva nel corso dell'esperimento di variare la propria percezione (sensibilità) al calore (senti meno caldo, senti più caldo). Si riscontrò così una notevole differenza di attività cerebrale a seconda che il soggetto reagisse o meno al calore dopo aver ricevuto il suggerimento dello sperimentatore. In particolare, le aree posteriori (dette occipitali) del cervello erano più attive nello stato di semplice rilassamento ipnotico. L'attività cerebrale si spostava però alle aree frontali non appena il soggetto si sforzava di seguire il suggerimento (senti meno caldo, senti più caldo). I risultati di questo studio dimostrano che lo stato ipnotico è diverso dallo stato di piena coscienza e da quello di sonno e che la cosidetta trance comporta lo spostarsi dell'attività da una regione all'altra del cervello. Nello stato di ipnosi viene favorita la suggestione in modo tale che il soggetto cosciente preferisca seguirla quasi automaticamente. Si è pure dimostrato che sotto ipnosi il soggetto tende a comportarsi sulla base di quanto egli crede o prevede possa accadere. E' quindi praticamente impossibile ipnotizzare una persona che non sia consenziente e tanto meno imporle di compiere di fare ciò che non vuol fare. E' quindi erroneo credere che l'ipnotizzatore abbia un potere quasi assoluto sull'ipnotizzato e pensare a un fluido che parta dall'ipnotizzatore. Da parte dell' ipnotizzatore si origina semplicemente un suggerimento verbale a compiere un'azione che il soggetto decide o meno di eseguire. Come dimostrato dall'auto-ipnosi, si utilizza sistematicamente l'abilità dello stesso paziente aiutandolo a esprimere quanto egli ha già deciso di fare. A prescindere dal fatto che si tratti semplicemente di un stadio di rilassamento (però attivo) o di uno stato ipnotico profondo (trance), la tecnica ipnotica può favorire un effetto ritenuto utile dal terapeuta e come tale essere di utilità in clinica. Supponiamo si tratti di un paziente che in seguito all'asportazione di un tumore vescicale necessiti regolarmente di una cistoscopia di controllo ogni 3 mesi nel corso dei prossimi 5 anni. In tali condizioni il paziente che non voglia sottoporsi ad anestesia generale o epidurale è soggetto a una manipolazione spiacevole e talvolta molto dolorosa. Con l' aiuto dell'ipnosi e spesso della auto-ipnosi (insegnata dal terapeuta ed eseguita dal paziente in pochi minuti) il soggetto è in grado da solo (come i soggetti sottoposti alla prova dell'acqua calda) di far aumentare la soglia del dolore (cioè di abbassare la sensibilità) a un livello tollerabile. In questo caso egli non deve più essere tenuto a forza dagli infemieri e l'esame può essere fatto in 10 sopportabili minuti. L'auto-ipnosi facilita il controllo delle proprie reazioni di fronte al dolore e aumenta l'efficenza e la praticabilità di interventi particolarmente dolorosi (ad esempio l'estrazione di un dente). Rimanendo ancora nell'ambito dell'oncologia si prospettano altre applicazioni dell'ipnosi, ad esempio nel caso di nausea e vomito incoercibili in seguito a chemoterapia. Si ritiene che non si tratti di una cura magica ma di una tecnica che può essere utile a determinati pazienti. Altre applicazioni sono quelle dei centri per grandi ustionati quando la medicazione quotidiana delle ferite possa essere perfino più dolorosa dell' ustione iniziale. Questi pazienti richiedono in genere alte dosi di morfina, mai sufficenti a calmare totalmente il dolore. L'ipnosi trova quindi la sua migliore applicazione clinica nella cura del dolore provocato da ustioni, traumi, piccoli interventi chirurgici o altre cause. Talvolta l'ipnosi può esser usata per altre indicazioni come nel caso di difficoltà respiratorie e paura di soffocamento provate da pazienti per cause svariate. Anche certi casi di dolore cronico possono esser trattati coll'ipnosi rendendo il dolore più sopportabile. Alla luce dei dati neurobiologici moderni è importante che sia medici sia pazienti si rendano conto che in seguito a un problema fisico reale il dolore provato è anche esso reale. Un risultato positivo ottenuto coll'ipnosi non dimostra affatto che l'origine del dolore sia solo psicologica e come tale forse immaginaria. I fattori psicologici che alterano la percezione del dolore hanno sede in quelle stesse localizzazioni cerebrali poste in evidenza dalla Pet e possono esser modificati dal processo ipnotico. E' infatti la corteccia cerebrale a renderci coscienti della sensazione del dolore. L'uso dell'ipnosi non farà certo da sola un buon medico, occorre invece essere un buon medico per saper usare l'ipnosi per il giusto male nel paziente giusto al momento giusto. Ezio Giacobini


SCIENZE FISICHE LA FRONTIERA DELLA FISICA Oltre i quark c'è una stringa Minuscole cordicelle vibranti sarebbero all'origine delle particelle elementari Il libro di Brian Greene che spiega questa ardita teoria è un best seller in America
Autore: CERU' MARTA

ARGOMENTI: FISICA, LIBRI
PERSONE: GREENE BRIAN
NOMI: EINSTEIN ALBERT, GREENE BRIAN
ORGANIZZAZIONI: COLUMBIA UNIVERSITY
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.

CON il titolo ««L'universo elegante»», un libro edito da Norton a New York, promette di spiegare ai profani la teoria delle superstringhe. L'autore, Brian Greene, un giovane professore di fisica alla Columbia University, guida l'uomo della strada alle frontiere della fisica e alla nuova teoria che promette la spiegazione ultima dell'universo: la teoria delle superstringhe. Già best seller negli Stati Uniti, ««L'universo elegante»» sarà presto tradotto in italiano per Rizzoli. La ««teoria del tutto»», come viene chiamata tra fisici teorici, è ancora un lavoro in corso, ma sembra possa dare risposta ai grandi interrogativi della fisica di fine millennio. Secondo Edward Witten, il famoso fisico londinese fondatore e guru di questa ««religione»», la teoria delle stringhe ««è una parte della fisica del ventunesimo secolo che cade per caso nel ventesimo»», rivoluzionando la comune intuizione dello spazio e del tempo. ««La stoffa microscopica dell'universo»», spiega Greene, ««è un labirinto multidimensionale in cui stringhe anziché particelle si attorcigliano e vibrano, al ritmo delle leggi del cosmo»». Se si potessero esaminare le particelle con sempre maggiore precisione, infatti, si scoprirebbe che esse non sono puntiformi ma consistono di un microscopico anello di energia unidimensionale. Ogni particella è il riflesso dei vari modi in cui una stringa può vibrare, come le corde di un violino o di un piano hanno diversi modi di vibrazione che noi percepiamo come le note e le loro armoniche. La teoria nasce negli Anni 80 per risolvere uno dei più grossi conflitti della fisica di questo secolo: quello tra il mondo microscopico delle particelle e l'universo macroscopico. Se da una parte il comportamento dei corpuscoli che costituiscono la materia, come gli atomi, gli elettroni, i protoni e i quark, è spiegato dalla teoria della meccanica quantistica, dall'altra l'interazione tra le masse è spiegato dalla teoria della relatività generale di Einstein. Il problema è che questi due pilastri della fisica moderna hanno leggi separate e incompatibili tra loro. Ma come spiegare il Big Bang che ha originato l'universo da una situazione in cui tutto il cosmo era concentrato in dimensioni microscopiche? Un contesto in cui il matrimonio tra le leggi del micro e del macro sembra inevitabile è offerto dalle superstringhe. La novità più difficile da intuire è che questi oggetti esistono in uno spazio multidimensionale. Non ci sono solo tre dimensioni spaziali e una temporale ma 10 o forse 11 dimensioni nascoste alla nostra percezione. ««Guardando un filo del telefono da lontano»» spiega Greene ««si è portati a credere che sia un oggetto unidimensionale. Solo da vicino si colgono le altre due dimensioni. Qualcosa di analogo succede alla nostra percezione dello spazio-tempo: quattro è il numero massimo di dimensioni che siamo abituati a vedere, ma nulla vieta che ve ne siano altre nascoste ai nostri sensi»». Non è la prima volta che ci troviamo di fronte a una rivoluzione dell'idea di spazio-tempo. Agli inizi del secolo Einstein con la teoria della relatività ristretta ha presnetato spazio e tempo come valori elastici che dipendono dalla velocità dell'osservatore. Più tardi la teoria della relatività generale ci ha introdotto a uno spaziotempo che si può curvare in presenza di massa ed energia. La dolce curvatura che si ha nel macroscopico sembra però del tutto in contrasto con le continue vibrazioni e i moti veloci e caotici dello spaziotempo a livello microscopico. Il conflitto tra la gravità e la meccanica quantistica sembra risolto dalla teoria delle stringhe. Nel descrivere il mondo delle particelle subatomiche, la nuova teoria va oltre il Modello Standard, un quadro generale in cui vengono classificati i mattoni della materia e della radiazione. Gli atomi sono composti da elettroni e da un nucleo a sua volta formato da protoni e neutroni composti di quark. Ogni particella ha una sua antiparticella che possiede la stessa massa ma ha carica opposta e questa varietà può essere ordinata in tre famiglie fondamentali. Gli oggetti microscopici interagiscono tramite quattro forze: elettromagnetica, forte, debole e gravitazionale. La prima tiene legati gli atomi, la seconda è tipica dei quark e delle interazioni nucleari, la terza è responsabile dei decadimenti radioattivi e la quarta è responsabile a livello macroscopico dei moti dei corpi celesti. Anche le forze sono trasmesse da particelle, come i fotoni nel caso dell'elettromagnetismo. Ma perché le particelle hanno queste e non altre proprietà? La teoria delle stringhe offre un modo per rispondere a questa domanda. E in un approccio riduzionista alla fisica sembra essere la via per una comprensione del tutto. Marta Cerù


SCIENZE FISICHE AMBIENTE ED ENERGIA Piattaforme petrolifere in pensione Le nuove norme per demolirle rispettando il mare
Autore: PAVAN DAVIDE

ARGOMENTI: ENERGIA, ECOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: SHELL
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C. DISTRIBUZIONE NELMONDO DELLE PRINCIPALI PIATTAFORME D. ALCUNE PIATTAFORME RAPPORTATE A COSTRUZIONI FAMOSE PER LA LORO ALTEZZA

RICORDATE la storia della ««Brent Spar»», la piattaforma petrolifera che nel 1995 fu occupata da un gruppo di militanti di ««Greenpeace»» che si incatenarono a bordo per impedirne l'affondamento ad opera della Shell? A distanza di 4 anni, gli ambientalisti hanno vinto. La Shell, dopo aver rimorchiato la piattaforma in un fiordo norvegese, ha annunciato che entro fine anno ne completerà lo smantellamento (o decommissioning, nel linguaggio internazionale del petrolio), riutilizzando buona parte della struttura come fondazione nel nuovo molo di Mekjarvik, presso Stavanger. Non sarà un caso episodico. Recentemente i 15 Paesi europei che aderiscono alla Convenzione per la protezione dell'ambiente marino nell'Atlantico nord-orientale (Ospar) hanno approvato il divieto di affondare in mare le strutture petrolifere off-shore. Oggi nel mondo ci sono oltre seimila piattaforme. Solitarie o raggruppate in arcipelaghi, piccole o gigantesche (alcune superano le 70.000 tonnellate), a pochi metri dal fondo marino o a diverse centinaia, sono ormai parte integrante del paesaggio: dal Golfo del Messico al Mar dei Caraibi, al Mar Nero, ai Mari della Cina, al Mare del Nord, al Mediterraneo. Ogni giorno immettono nel circuito dell'energia 2,5 milioni di tonnellate di petrolio e 1,7 miliardi di metri cubi di gas naturale. La prima piattaforma fu installata nel Golfo del Messico nel 1948. Da allora si è verificato, specialmente dopo le crisi energetiche degli Anni 70 seguite ai conflitti mediorientali, uno straordinario incremento quantitativo e qualitativo di queste ««isole metalliche»». Le più diffuse sono quelle in acciaio a pali infissi. Sono costituite da una sovrastruttura (deck) che ospita gli impianti, gli eventuali alloggi, l'eliporto e altre infrastrutture; da una sottostruttura (jacket) e da pali di fondazione. Operano fino a 100 metri di profondità d'acqua. Negli ultimi anni sono nate le piattaforme galleggianti, operanti tra 100 e 600 metri d'acqua, costituite da uno scafo in acciaio o in cemento, ancorato al fondo mediante un sistema di cavi, catene o pali. Almeno un quarto delle piattaforme in funzione stanno per terminare la loro vita produttiva. I moderni metodi di diagnostica strutturale consentono di monitorare lo stato di salute della piattaforma e quindi prevedere un eventuale prolungamento di vita sullo stesso giacimento, o in altra località oppure decretarne la fine. Una soluzione interessante è quella di destinare la piattaforma a scopi scientifici, trasformandola in laboratorio o osservatorio marino. In certe situazioni le strutture possono essere anche utilizzate come scogliere artificiali per creare un habitat per la flora e la fauna marine. E' il caso dell'area intorno al relitto della piattaforma ««Paguro»», affondata per un incidente al largo di Ravenna nel 1965 e diventata nel 1995 ««zona di tutela biologica»», dove, grazie al divieto di qualsiasi forma di pesca, si danno appuntamento ricercatori, studenti di biologia marina e subacquei amanti della fotografia. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, al termine dell'attività le piattaforme devono essere rimosse. Il deck viene sempre smantellato e trasportato a terra, finendo per l'80% nel circuito dei rottami riciclabili. Molto più problematica è la rimozione del jacket e dei pali di fondazione (il vero e proprio decommissioning). Per le piccole piattaforme la soluzione più adottata è quella di rimuoverle e trasportarle a terra. Questa soluzione non è però facilmente trasferibile alle grandi piattaforme che, fino a poco tempo fa, venivano generalmente ribaltate sott'acqua e lasciate sul posto oppure affondate in acque profonde. Oggi l'attività di decommissioning è sempre più regolamentata da protocolli internazionali come l'Ospar (Mare del Nord), la Convenzione di Barcellona (Mar Mediterraneo), le linee-guida dell'International Maritime Organisation (Imo) e la Convenzione delle Nazioni Unite sulla legge del mare (Unclos). L'orientamento per il futuro è di rimuovere, trasportare a terra e riciclare tutta la struttura della piattaforma, cercando di risolvere anche i problemi tecnici più complessi, come il taglio delle strutture, effettuato da sommozzatori muniti di dischi diamantati o getti abrasivi ad altissima pressione. Un problema a parte è rappresentato dalle piattaforme a gravità in cemento, la cui rimozione comporta grosse difficoltà sia per i pesi (centinaia di migliaia di tonnellate) sia per il materiale (difficilmente riciclabile). Per fortuna non sono molte (ce ne sono una ventina nel Mare del Nord). Per ora, l'unica soluzione è lasciarle dove sono. Davide Pavan


SCIENZE FISICHE VIDEOCAMERE Nuova parola d'ordine: ««digitale e compatibile»»
Autore: ARPAIA ANGELO

ARGOMENTI: OTTICA FOTOGRAFIA, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: SONY
LUOGHI: ITALIA

IL mondo del digitale offre al consumer sempre più qualità, più versatilità e miniaturizzazione degli apparecchi. Sony, ad esempio, ci presenta ««la rivoluzione digitale nel segno della continuità» ». Propone in contemporanea mondiale il nuovo formato ««Digital 8»» : sei modelli di camcorder compatibili con i nastri tradizionali analogici realizzati nei formati Video 8 e Hi 8. Inoltre, con la presenza nei nuovi apparecchi dell'uscita DV out (con incorporato l'esclusivo sistema i.link), è possibile trasferire audio e video per l'editing immediato, nonché immagini fisse su personal computer, mediante le schede di acquisizione. Le caratteristiche video sono di oltre 500 linee di risoluzione orizzontale come lo standard DV e Digital Video, migliore stabilità dell'immagine grazie al Time Base Correction, sistema di correzione degli errori e la dimensione del nastro di 8 mm contro 6,35 del formato DV. I dati tecnici per l'audio confermano la registrazione in digitale Pcm - Pulse Code Modulation con 96 dB di gamma dinamica e due modalità di registrazione: 16 bit con campionamento a 48 kHz e 12 bit, non lineare, campionamento a 32 kHz. Le nuove Digital 8 montano lo stesso supporto del formato Hi 8 e hanno un ottimo rapporto qualità prezzo. I consumer più esigenti hanno poi a disposizione su tutti i modelli effetti speciali (Slim, Stretch, Mosaico, Solarizzazione, b/n, Seppia) e dissolvenze (Nero, Mosaico, Rimbalzo, Monotono, Sovrapposizione, che servono a incorniciare le riprese con più creatività. Nuovi traguardi anche per le fotocamere digitali. Al recente Photoshow di Milano la Nital, distributore ufficiale Nikon per l'Italia, ha presentato in anteprima europea l'evoluzione delle compatte digitali: Coolpix 950. Offre al consumatore un Ccd da 2Mpixel e un nuovo sensore che immagazzina 2.11 milioni di pixel. Le caratteristiche di rilievo: obiettivo zoom Nikkor 3x ottico, 7-21 mm f/2,8-4,4 con 9 lenti multi coated, autofocus ttl a contrasto di fase o cummutabile, monitor Lcd 2 pollici e memorizzazione con supporto Compact Flash card (immagini 6 in Fine, 12 in normal e 24 in basic con CF card 4MB). In questo caso la Coolpix si presenta come prima compatta d'uso professionale. Anche il marchio Kodak dà punta sul digitale collocando sul mercato tre nuovi prodotti megapixel: fotocamera DC200 Plus a 665.000 lire, come entry level, con scheda di memoria che può incorporare fino a 60 immagini, già pronta anche per il calendario del 2000 e in più maggiore durata delle batterie. Il secondo modello, siglato DC240 zoom, offre un sensore da 1.3 megapixel, quindi 1280x960, accensione veloce, rapida messa a fuoco automatica, effetti digitali migliorati e una scheda CF da 8 MB standard che è in grado di memorizzare anche 56 immagini. Al top di gamma la Kodak DC265 con scheda CF da 16 MB standard (120 immagini memorizzabili). Veloce e potente questa nuova fotocamera triplica la ripresa a raffica tra 6 e 24 immagini /s. Tra i prodotti digitali di fascia alta il gruppo tedesco Agfa propone la nuova ePhoto CL50 caratterizzata dallo zoom 6x, monitor Lcd con Suncatcher, sensore CCD da 1.3 milioni di pixel, che può raggiungere 1.9 grazie alla tecnologia PhotoGenie, le funzioni audio, modalità burst. y. Angelo Arpaia


SCIENZE DELLA VITA UNIVERSITA' DEL TEXAS La lingua al silicio ««usa e getta»» Fatta di centinaia di microsensori
Autore: VALERIO GIOVANNI

ARGOMENTI: CHIMICA
ORGANIZZAZIONI: TEXAS UNIVERSITY
LUOGHI: ITALIA

RICONOSCE sempre quando la pasta è salata al punto giusto. Sa distinguere tra infinite gradazioni di dolce. Non si scotta mai, anche quando ««assaggia»» cibi caldissimi. Le manca solo la capacità di leccare i francobolli: sembra essere questa l'unica differenza tra la vera lingua, sede principale del gusto, e quella ««elettronica»», progettata da alcuni ricercatori dell'Università del Texas. Costituita da centinaia di microsensori chimici, la lingua elettronica riesce a distinguere tra un'incredibile gamma di sapori usando una combinazione dei quattro elementi del gusto: amaro, dolce, salato e acido. E supera anche Madre Natura, perché ha pure la capacità di analizzare la composizione chimica di una sostanza. Come riporta il Journal of the American Chemical Society, le ricerche dell'Università del Texas sulla lingua elettronica sono iniziate nel 1996. Gli scienziati coinvolti nel progetto, ingegneri elettronici e chimici, sono andati a scuola di biologia per ««copiare»» i segreti dell'organo umano del gusto. La controparte elettronica imita infatti il comportamento della vera lingua. Invece dei corpuscoli gustativi, piccoli bottoncini che trasmettono gli stimoli sensoriali al cervello, nella lingua elettronica ci sono centinaia di microsensori chimici, posti su un wafer di silicio. Come i corpuscoli gustativi sulla lingua, anche i microsensori sono in grado di rispondere a diverse sensazioni. Ma qui l'informazione raccolta non finisce ai centri cerebrali superiori, come nell'uomo. I sensori reagiscono cambiando colore: ad esempio, se riconoscono un'alta acidità, diventano gialli. Il risultato di un ««assaggio»» della lingua artificiale è quindi una combinazione di quattro colori (giallo, rosso, verde e blu) che corrisponde nella miscela dei quattro elementi fondamentali del gusto. Tutto viene osservato dai ricercatori sul monitor di un computer, che visualizza il gusto come un'opera d'arte astratta, quasi una pop art del sapore. La lingua artificiale può essere usata per analizzare il livello del colesterolo nel sangue, la cocaina nelle urine o le tossine nelle acque. Il National Institutes of Health americano ha finanziato l'Università del Texas per sviluppare una nuova versione della lingua elettronica che sostituisca i numerosi esami effettuati sui prelievi di sangue e sulle urine con un solo test veloce. A questo scopo, i ricercatori sperano di costruire lingue al silicio più economiche, magari da porre su un rotolo di carta, pronte per essere usate e poi gettate via. Ma anche l'industria alimentare vuole utilizzare il nuovo dispositivo. La lingua artificiale verrà anche usata per confrontare i sapori di nuovi cibi e bevande da proporre sul mercato con un data base di gusti preferiti dai consumatori. Se questi ultimi prediligono una certa combinazione chimica, la lingua ne svelerà il segreto per imitarne il gusto (e il successo economico). Chissà se riuscirà a scoprire la composizione della Coca-Cola per mettere sul mercato una bevanda dallo stesso sapore? Giovanni Valerio


SCIENZE DELLA VITA MEDICINA TRADIZIONALE CINESE Con la bile dell'orso... Animali usati come fonte di medicinali
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, MEDICINA FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, ASIA

IL miliardo di uomini che vive in Cina rappresenta un sesto abbondante dell'intera popolazione mondiale. Se a questo miliardo si aggiungono i Coreani, i Giapponesi e i Cinesi sparsi per il mondo, si arriva, grosso modo, a un quarto della popolazione mondiale. Ebbene, questa fetta così imponente di umanità si cura in gran parte con la medicina tradizionale cinese, che attinge abbondantemente alla natura. Per l'ottantacinque per cento infatti utilizza piante selvatiche, il tredici per cento fa ricorso agli animali selvatici e il due per cento ricorre ai minerali. Bisogna dire che l'orizzonte della farmacopea cinese tradizionale si va sempre più allargando. Se in tempi lontani, diciamo, nel primo secolo avanti Cristo, si usavano poche centinaia di piante e animali, oggi si calcola si utilizzino più di undicimila specie diverse, tra vegetali e animali. La richiesta di questi farmaci o presunti tali è crescente, anche grazie al maggiore benessere economico delle popolazioni che abitano l'Asia sudorientale. Ed è proprio la crescita della domanda che potrebbe portare a un disastro ambientale, come temono giustamente i protezionisti. L'idea che ci siamo fatti in occidente della medicina tradizionale cinese è comunquepiuttosto contraddittoria. Da un lato la consideriamo frutto di antiche superstizioni, dall'altro però dobbiamo ammettere che alcuni principi terapeutici sono realmente validi. Tanto per dirne una, l'efedrina, che si prescrive in occidente per curare l'asma, proviene da una pianta che si usa in Cina da millenni. Il grosso problema è invece quello degli animali selvatici. E' fuori dubbio che la richiesta crescente delle ossa di tigre, ad esempio, incida sulla consistenza numerica della specie anche più della perdita dell'habitat. Allo stesso modo, ha falcidiato i rinoceronti l'impiego medicinale dei corni - usati non tanto per le loro proprietà afrodisiache, come comunemente si dice - quanto per la loro funzione di antipiretico, cioè per abbassare la febbre. Ai tradizionali mercati asiatici se ne è aggiunto un altro, che importa da solo il quaranta per cento della produzione annua e contribuisce pesantemente al rialzo dei prezzi. E' lo Yemen del Nord, dove è tradizione che i giovani, dal momento in cui raggiungono la maggiore età, portino alla cintola il 'djambià un pugnale dal manico intagliato nel corno di rinoceronte. In passato lo Yemen era un paese povero in cui ben poche famiglie potevano permettersi il lusso del djambia per i loro figli. Ma con l'aumento della produzione petrolifera circola molto più denaro nel paese e aumenta di pari passo la richiesta di corno di rinoceronte. L'aumento dell'esportazione ha causato la scomparsa del 95 per cento della popolazione mondiale di rinoceronti neri e ha portato sull'orlo dell'estinzione il rinoceronte di Giava e quello di Sumatra. Ma molte altre specie animali sono seriamente minacciate dall'eccessivo sfruttamento umano. Lo sono gli ippocampi, i graziosissimi cavallucci di mare. Costituiscono l'ingrediente fondamentale di farmaci che curano malanni vari, dai problemi respiratori all'arteriosclerosi, dall'impotenza alla frigidità sessuale. Senza dire che i cavallucci disseccati sono molto ricercati anche come bibelot e quelli vivi come animali da acquario. Si calcola che ne vengano pescati più di venti milioni di esemplari all'anno. Sta di fatto che nell'ultimo decennio la popolazione di ippocampi del Sudest asiatico è crollata del settanta per cento. A questo crollo ha contribuito pesantemente l'inquinalmento delle coste marine che ha stravolto il loro ambiente naturale. E non è solo diminuita la consistenza numerica delle popolazioni. E' diminuita anche la taglia degli animali pescati. Si pescano cavallucci di mare sempre più piccoli. Minacciato è anche l'orso asiatico, da quando si è scoperto che la sua bile contiene uno speciale acido, l'acido ursodesossicolico che evita la formazione dei calcoli biliari. E sì che si è riusciti a produrre questo acido sinteticamente in laboratorio. Ma la gente preferisce comprare il prodotto naturale, perché lo ritiene più efficace. Per salvare capra e cavoli, le autorità cinesi hanno cercato di creare coltivazioni di piante officinali e allevamenti di alcuni animali in via di estinzione. L'iniziativa ha avuto qualche successo per quel che riguarda le piante. Ma non sempre. Vi sono specie vegetali che crescono così lentamente tanto che il gioco non vale la candela. Per quanto riguarda gli animali, si sono creati ad esempio allevamenti di cervo rosso. Le corna di quest'animale si usano da secoli nei paesi del Sudest asiatico per combattere l'impotenza e la debolezza fisica. Ma l'allevamento di questi cervidi ha incontrato non poche difficoltà e si è dimostrato non conveniente dal punto di vista economico. Si è tentato di allevare i cavallucci di mare, ma anche in questo caso le cose non sono andate bene per l'insorgere di malattie epidemiche che hanno falcidiato gli allevamenti. Comunque, anche quando funzionano, gli allevamenti artificiali non riescono a soddisfare la richiesta del mercato. Le piante coltivate in Cina ad esempio riescono a produrre soltanto il venti per cento del quantitativo annuale di sostanze medicinali richiesto, che si aggira su un milione e mezzo di tonnellate. Si cercano anche prodotti sostitutivi a quelli che mettono in pericolo determinate specie. Così, per salvare i rinoceronti, si cerca d'incentivare l'uso delle corna di antilope saiga, che avrebbero su per giù gli stessi effetti terapeutici. Ma si direbbe che il rimedio sia peggiore del male. Perché adesso si sta mettendo a rischio anche la sopravvivenza di questa specie di antilope. Solo in qualche caso si registra un successo. Come accade per l'orso asiatico. Se ne allevano in Cina circa settemilaseicento esemplari e si ««munge»» la loro bile - che contiene il principio medicinale - mediante tubi inseriti nella cistifellea. Secondo gli esperti, per produrre un quantitativo equivalente di bile, si dovrebbero uccidere diecimila orsi selvatici. Così, una volta tanto, l'uomo riesce a salvare una specie dallo sterminio. Isabella Lattes Coifmann


SCIENZE DELLA VITA LA VETIVERIA ZIZANIOIDES Una graminacea per bonificare le cave Positivi risultati di esperimenti in Spagna e in Piemonte. Le radici dell'arbusto, originario dell'Asia, sono profonde fino a cinque metri e robuste come l'acciaio. Inoltre la parte aerea della pianta si comporta come un filtro aereo
Autore: ACCATI ELENA, FERRO LAURA

ARGOMENTI: BOTANICA, ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, ITALIA

SECONDO una recente indagine le cave aperte sono nel nostro Paese oltre 5 mila e continuano a proliferare, venendo soltanto raramente (quattro sono le Regioni: Piemonte, Lombardia, Liguria ed Emilia in cui vi sono leggi specifiche) risanate ad attività conclusa. Dall'estrazione emergono problemi per quanto riguarda la stabilità, l'erosione superficiale, la percolazione e lo scorrimento delle falde. Inoltre sono alterati i sistemi naturali vegetali e animali, vengono turbate le relazioni tra l'uomo e l'ambiente e viene snaturato il paesaggio. Quindi occorre con una specifica progettazione ambientale ricostruire l'equilibrio alterato su tutto il territorio dal Nord al Sud, anche perché l'Italia sembra essere lo Stato europeo più recidivo nell'attuazione delle direttive comunitarie. Il recupero ambientale si opera attraverso scelte fondamentali che dovrebbero essere effettuate già al momento dell'apertura dello scavo. Occorre che chi opera in questi siti abbia una profonda conoscenza della vegetazione perché è con questa (seguendo le tecniche dell'ingegneria naturalistica) che si interviene in modo che riprendano i cicli vegetazionali tipici dell'area di ««coltivazione» », evitando materiali inerti convenzionali (tipo cemento). Interessanti sono i risultati di alcuni progetti effettuati in Spagna e in Piemonte, per citare solo alcuni tra i numerosi studi esistenti. A Murcia (Spagna) per realizzare terrazzamenti, terrapieni, argini capaci di annullare l'effetto erosivo è stata impiegata per un periodo di tre anni una pianta originaria delle regioni asiatiche indicata per zone calde e aride (come potrebbe essere l'Italia meridionale) la Vetiveria zizanioides, una graminacea con radici profonde fino a cinque metri e robuste come l'acciaio, in grado di consolidare il terreno impedendone il cedimento. Inoltre, la parte aerea della pianta, che può raggiungere un'altezza di circa due metri, si comporta come un filtro vegetale rallentando il corso delle acque, trattenendo i fanghi e i detriti trasportati dalla corrente. Si tratta di una tecnica a basso costo, priva di spese di manutenzione e non impattante sul territorio.Estese coltivazioni di vetiveria sono presenti sull'isola de La Reunion in quanto dalle radici della pianta si estrae un olio usato per produrre profumi, dopobarba, saponette, essendo una delle specie vegetali su cui si basa l'economia dell'isola insieme alla produzione di essenza di geraniolo. Inoltre, avendo la vetiveria un'alta efficienza di conversione dell'energia nel processo fotosintetico, fornisce alte rese per ettaro di biomassa, da 20 a 60 tonnellate all'anno di sostanza secca con un potere calorico pari a circa il 60 per cento del carbone.Lungo la strada Torino-Saluzzo, a Ceretto, una cava di sabbia e ghiaia di 75 ettari ha dato luogo ad un'oasi botanico-ricreativa con boschetti di querce, carpini, frassini, pioppi bianchi, strade campestri e sentieri, stagni didattici, laghetti e un miniarboreto. Nella zona di Moncalvo, nel Monferrato, una cava di calcare da cemento è stata rimodellata con operazioni di colmata, rifacimento di pendici e dossi, e sono stati impiantati vigneti di grignolino, frutteti e boschi. Un esempio di uso intelligente e razionale del territorio riguarda anche le cave situate nei Comuni di Roccavione e Robilante (Cuneo) in cui ormai da tre anni con la collaborazione della Comunità montana si stanno confrontando moduli di recupero che si pensa verranno trasferiti in altre parti del Paese avendo la ditta attività estrattive anche nell'Italia centro-settentrionale e meridionale, adeguando ovviamente la vegetazione alle condizioni pedologiche e climatiche. L'insediamento delle associazioni vegetali avviene secondo un ordine ben preciso: è bene assicurare la contemporanea presenza di specie pioniere, aggressive, a rapido accrescimento epigeo e ipogeo e a ciclo breve.Poiché tra i fattori limitanti lo sviluppo vegetale in aree soggette a degrado grande importanza riveste la carenza di sostanza organica, è stato impiegato compost ottenuto da rifiuti solidi urbani indifferenziati difficilmente utilizzabili per attività agricole perché possono contenere a volte sostanze inquinanti. Inoltre si è proceduto alla idrosemina di specie erbacee come Lolium, Agrostis, Lotus, Festuca, Trifolium, Dactilys (il miscuglio varierà da una zona all'altra). Altri moduli sono stati ottenuti con associazioni vegetali composte da arbusti autoctoni come salici, prunus, ginestre, berberis. Operando in condizioni climatiche dell'Italia centrale e meridionale tali associazioni verranno sostituite con piante della macchia mediterranea come corbezzoli, cisti, ginepri, fillirea, rosmarini, coronilla. Elena Accati Laura Ferro Università di Torino


SCIENZE A SCUOLA FESTE, MOSTRE E CONVEGNI I 90 anni della Montalcini Nata a Torino, una vita in Usa, il Nobel nell'86
AUTORE: CALISSANO PIETRO
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, BIOLOGIA, GENETICA
PERSONE: LEVI MONTALCINI RITA
NOMI: COHEN STANLEY, LEVI MONTALCINI RITA
ORGANIZZAZIONI: CNR, PREMIO NOBEL
LUOGHI: ITALIA

IL 22 aprile del 1909 nasceva a Torino Rita Levi Montalcini. Considerato l'arco di tempo che ci separa da quella data e la notorietà mondiale di questa scienziata (alla quale chi scrive è legato da una collaborazione iniziata più di trent'anni fa e che negli anni si è consolidata in una profonda amicizia) si sono organizzati due eventi per onorare le sue doti più peculiari di scienziata e scrittrice. A Milano, nell'ambito dell'annuale manifestazione ««Dieci Nobel per il Futuro»», il 17 aprile sarà presentato l'ultimo suo libro dal titolo ««La galassia mente»» edito da Baldini e Castoldi. Nell'occasione sarà aperta al pubblico una mostra allestita con i più significativi quadri della sorella Paola, alla quale sono mancati gli onori e la notorietà di Rita ma non di certo doti di creatività comparabili nel campo dell'arte. A Roma, con la sponsorizzazione della Fondazione Sigma Tau, presso l'Istituto Treccani, del quale la Levi Montalcini è stata presidente per 5 anni, si terrà la mattina del 29 aprile un simposio dedicato al contributo della scienziata nel campo delle neuroscienze. In questa occasione sarà anche presentata l'enciclopedia edita dalla Treccani e da lei diretta sulle ««Frontiere della Vita»». La storia della scoperta delle sostanze che, circolando nell'organismo, ne regolano tutte le più importanti funzioni, può essere riassunta in poche grandi tappe: per primi sono stati scoperti vitamine e ormoni, poi sono venuti i mediatori chimici che svolgono il ruolo specifico di neurotrasmettitori nell'ambito del sistema nervoso, infine sono stati identificati, a partire dagli Anni Cinquanta in poi, i fattori di crescita e le citokine. Ciascuna di queste sostanze svolge, di solito, funzioni così importanti che anche la mancanza di una sola può causare malattie invalidanti e talvolta mortali. L'individuazione del primo fattore di crescita, denominato Nerve growth factor o Ngf, si deve al lavoro sperimentale di Rita Levi Montalcini, alla quale si unì presto Cohen, che portò a termine la caratterizzazione del Ngf e isolò un nuovo fattore denominato Epidermal growth factor o Egf. Nel 1963 la Levi Montalcini fu invitata in Italia a proseguire gli studi sul Ngf e su altri problemi neurobiologici nell'ambito di un centro di ricerche che in seguito fu ufficializzato dal Cnr come Istituto di Neurobiologia e nel quale ancora oggi lavorano diversi ricercatori arruolati in quegli anni pionieristici. Da allora numerosissimi altri fattori di crescita sono stati identificati ed isolati in forma pura in diversi laboratori. La scoperta di questi fattori costituisce un avanzamento delle nostre conoscenze nel campo biologico paragonabile a quello che si è verificato con l'identificazione del primo ormone o del primo neurotrasmettitore. Il ruolo biologico di molti fattori di crescita, inoltre, è fortemente interconnesso con l'insorgenza di vari tipi di tumori; una mutazione nel gene che codifica la sintesi del fattore di crescita o del recettore corrispettivo può indurre una proliferazione incontrollata della cellula bersaglio con conseguente trasformazione neoplastica. Per la scoperta del Ngf e del Egf, l'Accademia delle Scienze Svedese ne l986 insignì la Levi Montalcini e Cohen del premio Nobel. Nell'ultimo decennio numerosi studi hanno dimostrato che l'azione trofica che molti ormoni, vitamine e fattori di crescita compreso l'Ngf esercitano sulle loro cellule bersaglio deve essere interamente rivista ed inserita in una nozione che non è azzardato definire rivoluzionaria nel campo biologico. Il termine trofico, infatti, era stato coniato numerosi decenni or sono, ed era attribuito ogni qualvolta una determinata sostanza permetteva la sopravvivenza di una popolazione di cellule. Il termine vitamine, cioè ammine vitali, ad esempio, sottointendeva in modo esplicito questa funzione. Negli ultimi anni è emerso in modo inequivocabile che questa funzione trofica o vitale non sempre si esplica in modo ««attivo»» ma, al contrario, consiste in un'azione inibitoria; nel tenere cioè bloccato un programma mortale che è presente nel Dna di ogni cellula: se questo programma viene acceso, perché viene a mancare il segnale inibitorio, numerosi geni e le corrispettive proteine intracellulari vengono attivate ed in breve la cellula, per così dire, si suicida. Il termine scientifico che identifica questo processo è apoptosi. La funzione apparentemente ««contro natura»» dell'apoptosi, è in realtà fondamentale per la vita di tutti gli organismi pluricellulari. Non appena, infatti, una cellula dimostra segni di anarchia, come la tendenza a proliferare senza controllo (primo ed inequivocabile segno di una tendenza neoplastica) oppure invecchiamento irreversibile, di solito in essa si attiva questo programma di morte che porta alla sua eliminazione, senza che questo evento provochi danni al resto delle cellule vicine come accade nel caso della morte cellulare per necrosi che si verifica in seguito ad un trauma o ad un ustione. Anche nel sistema nervoso il programma di morte per apoptosi svolge un ruolo fondamentale sia nello sviluppo che nell'adulto e tra i fattori che lo tengono bloccato ci è anche il Ngf. Secondo un'ipotesi condivisa da molti neurobiologi, una delle cause di numerose malattie degenerative fra le quali si annoverano anche le demenze senili ed il morbo di Parkinson è la carenza, per motivi vari, di una o più neurotrofine come l'Ngf. La scoperta del Ngf, in sostanza, ha aperto alcune strade di fondamentale importanza nella moderna biologia: ha portato alla luce l'esistenza di una classe di molecole dotate di un'azione specifica nel promuovere il differenziamento e la sopravvivenza delle cellule bersaglio. Questa scoperta, a sua volta, ha permesso di identificare taluni meccanismi molecolari che scatenano la trasformazione neoplastica e ha contribuito in modo altrettanto essenziale nel delucidare il meccanismo che tiene sotto controllo l'apoptosi: questo meccanismo consiste nell'inibire un programma intrinseco di morte, che ogni cellula porta con sè come una bomba ad orologeria e che viene attivato come ultima risorsa quando la cellula non obbedisce più alle regole dell'organismo. Pietro Calissano Istituto di Neurobiologia, Cnr, Roma


SCAFFALE Tagliasco Vincenzo: «Dizionario degli esseri umani fantastici e artificiali», Mondadori
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA

TAGLIASCO, professore di bioingegneria all'Università di Genova, è uno dei più noti esperti italiani di Intelligenza Artificiale. A furia di progettare macchine umanoidi, la sua passione si è allargata anche agli esseri artificiali di pura fantasia. Ed ecco questo singolare «Dizionario», nel quale reale e virtuale, letteratura e tecnologia, sono mescolati dalla casualità dell'ordine alfabetico. I due aspetti talvolta slittano l'uno nell'altro, e quando il lettore se ne accorge può essere un trauma: la voce «trapianto» parte dai primi esperimenti su animali di Ulman (1907), passa per i chirurghi Starzl e Barnard, presenta un tariffario degli organi e approda al personaggio dei fumetti dottor Blackjack, assistito da una «bambina» che non può crescere perché i suoi organi (umani) sono inseriti in un corpo sintetico.


SCAFFALE «Oceani. Il nostro futuro», Editoriale Giorgio Mondadori
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Il mare come risorsa dell'umanità e nuova frontiera dello sviluppo ma anche come ecosistema fragile e già gravemente compromesso. E' il Rapporto della Commissione mondiale indipendente per gli oceani curato da Mario Soares:la più avanzata e coerente proposta per un governo delle acque planetarie nell'interesse dell'umanità.


SCAFFALE Autori vari: «Comprendere il paesaggio: studi sulla pianura lombarda», Electa
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: GEOGRAFIA GEOFISICA
LUOGHI: ITALIA

Il paesaggio è una realtà complessa, frutto della geologia, della biologia, dell'intervento umano e del nostro modo di guardarlo: lo si comprende bene attraverso questi saggi dedicati da una decina di docenti universitari e ricercatori al paesaggio della pianura lombarda.


SCAFFALE Fabris Franca e Zanetti Silvia: «I temi della scienza», 6 volumi, Trevisini Ed.
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA

Non solo un «nuovo testo» ma un «testo nuovo» per spiegare le scienze ai ragazzi delle medie dell'obbligo: sei volumetti tematici, chiari e con esercizi di verifica sperimentale.


SCAFFALE Barbieri Cesare: «Lezioni di astronomia», Zanichelli
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA

Di solito i libri di astronomia si fermano all'aspetto descrittivo. Barbieri (Università di Padova) ci fa compiere il passo successivo: quello che richiede un po' di formule e qualche fatica, ma porta a una conoscenza non superficiale e non illusoria.


SCAFFALE Sarti Carlo: «190 miliardi di anni dopo», Zelig
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA

Michele Sorvino supera la barriera della morte e spazia su 190 miliardi di evoluzione. Un romanzo, ma intriso di nozioni scientifiche, scritto dal curatore del Museo di paleontologia dell'università di Bologna.


SCAFFALE Fasolo Franco: «Psichiatria generale e dell'età evolutiva», Ed. La Garangola
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: PSICOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

L'umorismo nella cura della mente è uno dei temi serpeggianti nell'ultimo numero del trimestrale «Psichiatria generale e dell'età evolutiva», che raccoglie gli atti del convegno «La sofferenza e il sorriso» sotto una introduzione acuta e allusiva di Franco Fasolo. A cura di Fasolo e Cappellari è da segnalare, presso lo stesso editore (tel. 049-87.51.743), «Psichiatria di territorio - Almanacco 1999».


SCAFFALE Comazzi Alessandra: «Schermi», Utet Libreria
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: COMUNICAZIONI
LUOGHI: ITALIA

Che ne è del cinema quando diventa televisione? Come si inscrive il grande schermo pubblico in quello piccolo e privato? Più in generale, in che modo il nostro cervello reagisce alle immagini in movimento, incluse quelle del computer? Alessandra Comazzi affronta questi temi da varie prospettive: critica, storica, psicologica, tecnologica. Quest'ultima, con le promesse della tv interattiva, è un tuffo nel nostro futuro (forse abbastanza vicino). Un libro denso di informazioni (quasi 100 pagine sono dedicate a schede dei principali programmi tv), di nomi, di considerazioni intelligenti.




La Stampa Sommario Registrazioni Tornén Maldobrìe Lia I3LGP Scrivi Inizio