TUTTOSCIENZE 27 gennaio 99


IN BREVE Aeronautica su Cd-rom
ARGOMENTI: DIDATTICA
ORGANIZZAZIONI: VOLARE, EDITORIALE DOMUS
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

L'annata 1998 del mensile "Volare" è ora disponibile anche su Cd-rom della Editoriale Domus: contiene 2000 pagine, 20 prove di volo dagli executive agli ultraleggeri, le inchieste sugli incidenti, la connessione diretta ai siti Internet, gli aerei e i reparti dell'Aeronautica militare. Per Pc (Windows) e Mac.


SCIENZE DELLA VITA. OSSERVATORIO AMERICANO Alla moviola il virus dell'Aids Per sconfiggere il suo abile trasformismo
Autore: LUCENTINI MAURO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: ISTITUTO MEDICO HOWARD HUGHES, BAYLOR COLLEGE
LUOGHI: ITALIA, AMERICA, USA, TEXAS, HOUSTON

LA nanotecnologia, che è l'arte di intervenire meccanicamente sulla materia a livello molecolare e atomico, avanza anche nel campo della medicina e della genetica. L'ultima applicazione è quella appena annunciata da tre centri di ricerca americani che sono riusciti a bloccare il microscopico virus dell'Aids, noto per la sua infernale abilità di trasformarsi continuamente per sfuggire alle difese naturali dell'organismo, durante una delle sue velocissime contorsioni. In questo modo è stato possibile rivelarne uno dei veri "volti", scoperta che fa sperare nella possibilità di esporlo alla controffensiva dell'apparato immunologico del malato: un altro passo verso il primo vaccino contro l'Aids. Molti tentativi di realizzare un vaccino si sono basati fino ad oggi sul fatto che lo Hiv, il virus della malattia, si serve come chiave per penetrare nelle cellule della persona aggredita di una delle sue proteine o catene molecolari, quella tecnicamente indicata come GP 120. La speranza degli scienziati è di mobilitare contro questa proteina gli anticorpi prodotti dall'apparato immunologico; privato della chiave d'ingresso, lo Hiv sarebbe costretto ad arrestarsi. Il problema è che gli anticorpi, per qualche misteriosa ragione, non sembrano neppure accorgersi della presenza di GP 120. Gli sperimentatori si sono ora chiesti se questa invisibilità non sia dovuta al fatto che avvicinandosi alle cellule la proteina riesce, trasformandosi, a nascondere nelle sue stesse pieghe il suo aspetto, cioè quei particolari lineamenti o epitopi da cui un anticorpo può riconoscere una sostanza nemica all'organismo. I ricercatori sono riusciti a sviluppare in provetta "al rallentatore" la proteina e a fermarla in determinati punti in una soluzione di formaldeide, nella speranza di coglierla in uno dei momenti in cui gli epitopi sarebbero risultati esposti; poi hanno iniettato le strutture molecolari così prodotte in topi di laboratorio infetti con Hiv. I risultati sono molto incoraggianti. Gli anticorpi prodotti dai topi in risposta ad alcuni aspetti della proteina risultano capaci di inibire il progresso dell'infezione nell'organismo, e non soltanto nel tipo di Hiv impiegato nell'esperimento ma in un ampio numero di sottotipi genetici dello stesso. E' necessario aggiungere, come sempre, che il successo di un esperimento sui topi non significa necessariamente che esso possa essere trasposto con facilità sugli esseri umani; e anche se ciò sarà possibile, occorreranno anni perché un vaccino possa essere disponibile. Il rapporto sull'esperimento appare sull'ultimo numero della rivista Science, a firma del capo del gruppo, R.A. La Casse dell'Università del Montana, e dei suoi collaboratori dell'Università di New York e dell'Istituto medico Howard Hughes di New York. In questi stessi giorni, su un'altra pubblicazione specialistica, i Proce dings of the National Academy of Science, un gruppo di microbiologi del Baylor College di Houston nel Texas e colleghi dell'Università di Colonia annuncia un altro spettacolare successo di laboratorio al livello molecolare: la manipolazione meccanica e l'introduzione nell'organismo umano di geni a fini di terapia, rivolti cioè a curare difetti genetici e le relative patologie, attivabili mediante la successiva somministrazione di una sostanza chimica. Una delle difficoltà della terapia genetica, una tecnica molto promettente ma che è nella sua infanzia, è di far sì che l'attività benefica di un gene "artificiale" si esplichi nell'organismo nel punto voluto e nel momento voluto. La possibilità di attivarlo dall'esterno aiuterebbe a superarla. Come veicolo per l'introduzione del gene benefico gli studiosi si sono serviti di un adenovirus, un virus del raffreddore, svuotato del materiale che normalmente scatenerebbe la reazione immunitaria. Il gene, in precedenza, era stato modificato con l'aggiunta di un "ricettore" molecolare per una determinata sostanza chimica. Nel caso specifico tale sostanza, da somministrarsi per bocca in minime dosi, era il farmaco RU486, lo stesso che in dosi molto più forti agisce da anticoncezionale nella "pillola del giorno dopo". Mauro Lucentini


SCIENZE FISICHE. FISICA DELLE PARTICELLE Anche l'atomo invecchia? Due test per la freccia del tempo
Autore: DEL ROSSO ANTONELLA

ARGOMENTI: FISICA
NOMI: PAVLOPOULOS NOULIS, FIDECARO MARIA
ORGANIZZAZIONI: CERN
LUOGHI: ITALIA

COSA c'è di più stupefacente di un bicchiere che, rottosi in mille pezzi, si ricompone andando indietro nel tempo? Le leggi che regolano il mondo macroscopico mostrano chiaramente come lo scorrere del tempo avvenga lungo un'unica direzione: dall'attimo 0, il Big Bang, il tempo non ha mai cessato di aumentare e non si è mai fermato. Fino ad oggi, però, l'ineluttabilità dello scorrere del tempo svaniva alle scale delle particelle elementari. Questi sistemi sembravano infatti essere privilegiati dalla natura, che mostrava di governarli con leggi che non distinguevano affatto tra le due direzioni temporali: le leggi delle particelle erano ugualmente valide per un tempo crescente e decrescente. La legge di Einstein, quelle di Newton, quelle di Galileo e i vari esperimenti condotti finora non erano riusciti a mettere in evidenza alcuna differenza tra un tempo positivo ed uno negativo per le particelle elementari. E così, un processo come la trasformazione di due particelle A e B in altre due M e N risultava essere ugualmente possibile e completamente equivalente al processo inverso che porta i prodotti M e N a ricomporsi per dare le particelle iniziali A e B. Se pensiamo al bicchiere rotto, la differenza salta immediatamente agli occhi. Il passo successivo è considerare la trasformazione, più rara in natura e più complicata da studiare, di una particella nella sua antiparticella la quale differisce dalla precedente per la carica elettrica o per altre caratteristiche intrinseche che risultano essere opposte nei due casi. I ricercatori dell'esperimento Cplear del Cern di Ginevra hanno approfittato della capacità dei kaoni neutri di trasformarsi nelle loro antiparticelle e viceversa per studiare le probabilità rispettive dei due processi. L'elevata quantità di dati raccolti ha messo in evidenza come, in questo particolare sistema, il processo di formazione della materia sia privilegiato rispetto al processo inverso. Cplear è un esperimento nato 12 anni fa dalla collaborazione di 17 istituti in più di 9 nazioni per un totale di circa 100 fisici. La presenza italiana non è trascurabile: la più stretta collaboratrice di Noulis Pavlopoulos, capo dell'esperimento, è Maria Fidecaro di Roma. Scopo dell'esperimento è lo studio delle principali leggi di conservazione tra cui il teorema Cpt che stabilisce che nessuna legge fisica o processo debba variare se sottoposta alle seguenti operazioni effettuate una dopo l'altra in qualunque ordine: inversione di carica C (da particelle a antiparticelle), inversione del tempo T (immaginate di guardare una pellicola all'indietro) e inversione di parità P (immaginate di osservare l'intero processo allo specchio invertendo poi alto e basso). Nel 1964 si trovò che proprio i kaoni neutri, nella loro reciproca trasformazione da particella in antiparticella, violavano le operazioni combinate di inversione di carica e di parità (Cp). Data l'alta precisione con la quale era stata misurata la non violazione di Cpt, risultava chiaro che si dovesse cercare la prova sperimentale della violazione di T. Solo adesso, 44 anni dopo la scoperta di Cronin e gli altri, i fisici della collaborazione Cplear sono riusciti ad effettuarne una misura diretta provando in tal modo che una volta che l'antikaone si sia trasformato in kaone non è altrettanto probabile che si possa riavvolgere la pellicola per ritrovare l'antiparticella di partenza. "Già nel 1995 - dice Pavlopoulos - avevamo presentato risultati preliminari durante una conferenza ma i dati definitivi sono stati confermati e resi noti solo recentemente e verranno pubblicati nel prestigioso giornale Phisics Letters B il prossimo 18 dicembre. Altri esperimenti come l'americano BaBar - aggiunge ancora Pavlopoulos - potranno prendere il testimone della nostra ricerca e investigare lo stesso tipo di violazione in altri sistemi le cui caratteristiche sono però alquanto sconosciute attualmente". Il risultato di Cplear è di fondamentale importanza nella comprensione di un'altra asimmetria presente, questa volta, a grandi scale. Se pensiamo al Big Bang da cui tutto si è originato, è logico attendersi che ci fosse un'uguale distribuzione di materia e di antimateria ma è altrettanto evidente come oggi ci sia nell'Universo più materia che antimateria. Finora, non avendo mai riscontrato alcuna direzione privilegiata da parte delle leggi fisiche, tale asimmetria era per i fisici un paradosso irrisolvibile. Oggi, dopo la conferma che anche a piccole scale la natura sembra privilegiare la formazione della materia, questo paradosso sembra dissolversi anche se, come precisa Pavlopoulos, "il risultato di Cplear può attualmente fornire solo una stima qualitativa e non quantitativa di una tale asimmetria". Quale sarà dunque il prossimo passo? "Entro il 1999 presenteremo ufficialmente i nostri ultimi risultati che permetteranno di esplorare il ruolo della gravitazione in rapporto alla freccia macroscopica del tempo". Antonella Del Rosso Università di Friburgo


SCIENZE DELLA VITA. NEGLI ABISSI OCEANICI Cimiteri di microrganismi L'origine biologica delle melme subacquee
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ECOLOGIA, BIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

DA quando è iniziata la grande avventura, l'esplorazione degli abissi sottomarini, si sono fatte scoperte davvero straordinarie. Una di queste è il fatto che una melma finissima, quasi impalpabile, riveste tutto il fondo degli oceani come un morbido materasso. Se volessimo camminare su questa palude di fango - a prescindere dalla spaventosa pressione che ci schiaccerebbe - saremmo inghiottiti dalla melma, come avviene nelle sabbie mobili. Non è facile misurare lo spessore di questo rivestimento melmoso. Ma ci hanno rivelato almeno in parte i segreti degli abissi le cosiddette " carote", i massicci cilindri di acciaio inossidabile che, calati sul fondo, imbrigliano masse di fango alte anche venti metri. Qual è l'origine di questo immenso sedimento marino che continua insensibilmente ad accrescersi ora per ora, giorno per giorno? Una parte dei materiali proviene dalla terra. Sono le rocce terrestri disgregate, polverizzate dagli agenti atmosferici e trascinate in mare dalle correnti dei fiumi. Sono il prodotto di demolizione delle coste sferzate dalla violenza delle onde. Ma la maggior parte del sedimento proviene dal mare stesso. E' la pioggia ininterrotta di piccole particelle organiche e di organismi marini morti che discende lentamente verso la tomba degli abissi. Nel lungo viaggio le parti molli degli organismi si polverizzano, si putrefanno, si dissolvono, ma le parti silicee o calcaree offrono maggior resistenza all'usura del tempo e dell'acqua. Saremmo delusi se pensassimo di trovare laggiù le grandi carcasse delle balene o gli scheletri dei grossi squali, dei tonni e di altri giganti dei mari. In effetti poche e sporadiche sono le spoglie dei vertebrati. Il maggior contributo alla formazione del fango abissale lo danno gli organismi piccolissimi, invisibili a occhio nudo. Sono in massima parte protozoi, animaletti unicellulari, provvisti di uno scheletro solidissimo che resiste mirabilmente all'azione dissolvente dell'acqua marina. Sono soprattutto foraminiferi e radiolari, esseri microscopici ignoti alla maggior parte delle persone, ma straordinariamente interessanti. I foraminiferi hanno un guscio calcareo non privo di eleganza, formato da varie camere disposte l'una dietro l'altra in linea retta oppure secondo una linea curva o avvolta a spirale. Nell'animale vivo, la parte molle, cioè il protoplasma, è racchiusa entro la teca calcarea e da essa si irradiano all'intorno una quantità di esili filamenti che costituiscono un apparato di galleggiamento. Mantengono l'esserino in sospensione nell'acqua e al tempo stesso servono per la cattura del cibo. Ma, dopo la morte, lo scheletro, non più sostenuto dai filamenti, cade verso il fondo. Miliardi innumerevoli di foraminiferi del genere Globigerina si sono depositati nell'arco dei millenni nell'Oceano Atlantico e hanno formato i vastissimi "fanghi a globigerine" che tappezzano il fondo di questo oceano a tre o quattromila metri di profondità. A profondità maggiori, il calcare dei gusci finisce per dissolversi. I radiolari invece hanno un guscio siliceo che resiste magnificamente anche e otto o novemila metri di profondità. Da vive, queste splendide creature microscopiche popolano a miriadi le acque di superficie - qualche specie, come le feodarie, vive anche in acque profonde fra i tre e i settemila metri - mantenendosi in sospensione con lo stesso sistema dei filamenti protoplasmatici protesi all'intorno. Quei filamenti, come nei foraminiferi, servono non solo per il galleggiamento, ma anche per la cattura del cibo. I radiolari si nutrono, oltre che di zooxantelle, anche dei piccoli esseri planctonici che restano impigliati negli pseudopodi raggiati o a forma di rete. Nelle cinquemila specie viventi (se ne conoscono anche mille fossili), la fantasia della natura si è sbizzarrita a creare una stupefacente varietà di strutture scheletriche, formate da un armonioso intreccio di spicole che fanno di questi protozoi dei veri gioielli viventi. Il loro corpo ha dimensioni minime: da meno di un decimo di millimetro fino ad un massimo di qualche millimetro. Ma in uno spazio così angusto c'è una straordinaria ricchezza di forme e di strutture architettoniche. Le sottili spicole silicee formano artistiche gabbie e delicati cestini che sembrano sbalzati a cesello, strani tripodi e trasparenti cupole, splendidi diademi ed eleganti bottiglie, dischi o sfere finemente lavorate, diafane trame di filigrana. Nessun artefice umano saprebbe costruire così stupende architetture in scala microscopica. La teca è formata da una sostanza simile all'opale e dell'opale, la nota gemma, ha anche le belle iridescenze, alle quali si aggiunge il fulgore di tanti puntolini dorati che brillano entro il protoplasma dell'animaletto vivo, minuscole alghe color d'oro che vivono in simbiosi entro il corpo dei radiolari. Sono le zooxantelle. Proprio per favorire la fotosintesi delle zooxantelle, i radiolari quando il tempo è buono si portano vicino alla superficie dove giungono i raggi del sole. Sono infatti in grado di regolare il proprio peso specifico. Se è uguale a quello del liquido circostante, rimangono in sospensione, se è superiore affondano, se è inferiore salgono verso l'alto. Al termine della loro brevissima esistenza, i gioielli silicei cadono verso il fondo, raggiungono il pavimento oceanico e vi si accumulano, mescolati con altri materiali, a formare i "fanghi a radiolari". Questi fanghi nel Pacifico orientale a Nord dell'Equatore formano una fascia estesa da Est a Ovest per 750 mila chilometri quadrati. Anche i sedimenti marini dell'era terziaria (che risalgono a circa quaranta milioni di anni fa), attorno alle Isole Barbados e ad Haiti sono composti quasi esclusivamente da scheletri di radiolari. La sedimentazione continua con ritmo inarrestabile non solo per radiolari e foraminiferi, ma per moltissimi abitanti della conca oceanica che danno il loro contributo post mortem alla formazione delle sterminate distese di limo abissale. Isabella Lattes Coifmann


SCAFFALE Collana "Le guide a occhi aperti", AdnKronos Libri
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: DIDATTICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

"Guide a occhi aperti" è il titolo di una nuova intelligente collana per ragazzi curata da Elena Alleva e Simona Petruzzi. La ricetta è fatta di testi brevi e semplici con svincoli ipertestuali, di continui riferimenti al gioco (ma al gioco che insegna, al gioco attivo), di inviti all'osservazione e di semplici ma efficaci disegni didattici. Inoltre i volumetti della collana sono monografici: così, nonostante il livello divulgativo, un buon approfondimento è sempre garantito. Tra i primi titoli segnaliamo " La macchia mediterranea", "La duna", "La città".


IN BREVE Con le arance contro il cancro
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, MEDICINA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

Sabato su 1127 piazze italiane l'Associazione italiana per la ricerca sul cancro celebra la Giornata per la prevenzione dei tumori (specie nei bambini), tramite una corretta alimentazione. Saranno in vendita sacchetti di arance: il ricavato andrà alla ricerca. Per altre informazioni: 02-779.7214.


SCIENZE A SCUOLA. LA LEZIONE / RITRATTO DI ROSALIND FRANKLIN Dalla struttura del carbone al Dna La vita di una delle più grandi scienziate del secolo
Autore: PATERLINI MARTA

ARGOMENTI: GENETICA
NOMI: FRANKLIN ROSALIND
LUOGHI: ITALIA

ROSALIND Franklin è stata uno dei più grandi scienziati di questo secolo. Fondamentale è il suo contributo alla comprensione della struttura del Dna. Eppure poco si sa di questa donna scienziato, personaggio crepuscolare, che morì nel 1958 prima di ottenere i meritati riconoscimenti ufficiali. In realtà Rosalind trascorse solo due anni della sua vita lavorando sul Dna al King's College di Londra e diede contributi alla scienza anche in altri campi. Ma la sua fama rimane legata al primo periodo londinese. Rosalind Franklin proveniva da una brillante e colta famiglia ebrea trapiantata in Inghilterra da generazioni, e negli Anni 30, durante le persecuzioni naziste, aveva fatto attivamente parte della Commissione dei rifugiati ebrei-tedeschi. Rosalind cominciò la sua carriera a Cambridge, presso il College femminile Newnham. Nel 1942 lasciò la città universitaria per dedicarsi ad un progetto di guerra, Bcura (British Coal Utilization Research Association), per cui doveva seguire una ricerca sulla struttura dei carboni. Ricerca che durò fino al 1946, anno in cui si mise in contatto con un'amica francese, alla quale chiese se ci fosse qualcuno che avesse bisogno di "una chimica fisica che sa molto poco di fisica chimica, ma molto di buchi nel carbone". Fu così che Rosalind entrò in contatto con Marcel Mathieu. Costui aveva il controllo di grossa parte della ricerca francese e si accorse immediatamente del talento della giovane, che cominciò a lavorare al Laboratoire Central des Services Chimique de l'Etat nel febbraio del 1947. Rosalind visse a Parigi quattro anni in una misera stanza in affitto, dove le era permesso fare il bagno una sola volta a settimana. La stanzetta era uno stridente contrasto se confrontata con la bella casa a Pembridge Place dove la studiosa inglese era cresciuta. Eppure furono anni felici e scientificamente produttivi. Rosalind era principalmente una cristallografa ed era fortemente attratta dalla sfida di poter studiare sostanze biologiche tramite la cristallografia a raggi X. Fu questo il motivo che la riportò in Inghilterra, quando le venne offerta la possibilità di portare avanti lo stesso di lavoro al King's College di Londra, all'avanguardia in questo campo. Ma le cose per Rosalind, tornata in terra natia, cominciarono ad andare male, quando, ad esempio, scoprì disgustata che la Senior Common Room del College non ammetteva le donne, qualunque fosse il loro stato socio-culturale. Una condizione che la Franklin non accettò di buon grado e la cui reazione spiegabilmente aggressiva la rese immediatamente indigesta ai colleghi. Rosalind era stata chiamata in Inghilterra per un incontro da Sir John Randal, professore di Fisica e direttore del Medical Research Council, perché continuasse la sua ricerca e espandesse una nuova unità. Fu così che l'unità di cristallografia ai raggi X sarebbe diventata sua. Peccato che il giorno dell'appuntamento Maurice Wilkins fosse in vacanza. Wilkins era il secondo nella scala gerarchica del College e stava già lavorando sulla struttura del Dna. Durante il colloquio con Randal, venne chiesto di presenziare anche a Raymond Gosling, studente di Wilkins, che di lì a poco sarebbe passato sotto la giurisdizione di Rosalind. Al suo ritorno Wilkins trovò la collega già trasferita e Raymond che lavorava con lei come suo studente. Un esordio che non rese le cose facili a nessuno. Solo anni più tardi capitò tra le mani di Wilkins la lettera che stabiliva, in modo abbastanza mal definito, le mansioni e responsabilità di Rosalind, non chiarendo se per volere di quest'ultima o del direttore. Rosalind era convinta di essere al King's per lavorare ad un suo progetto e di poter avere un fecondo scambio di idee con i colleghi, ma tutt'altra era l'atmosfera che la accolse. E' inutile cercare di capire ora perché e come crebbe inizialmente l'incomprensione tra i due scienziati. Anche in questo caso Rosalind reagì in modo aggressivo buttandosi anima e corpo sul lavoro e abbandonando la speranza di avere relazioni interpersonali. Scientificamente, Rosalind arrivò in Inghilterra al momento giusto. La ricerca sull'ereditarietà era sulla cresta dell'onda; molto lavoro era già stato fatto. Risolvere la struttura della molecola del Dna in questo momento sarebbe stato cruciale, sebbene finora la connessione tra Dna ed ereditarietà fosse solo una teoria che mancava di qualsiasi prova. Non era chiaro se le successive ricerche si fossero dovute basare sull'analisi cristallografica o in combinazione con la modellistica molecolare. Agli inizi del 1953, Rosalind aveva già scoperto due forme di elica, che battezzò A e B. Ci lavorò usando la laboriosa tecnica di Patterson, un lungo e tedioso processo di analisi matematica dei motivi di diffrazione generati. Una tra le fotografie più rappresentative ai raggi X capitò tra le mani di Wilkins. E nello stesso arco di tempo Watson e Crick, a Cambridge, incapparono in un lavoro appena pubblicato da Linus Pauling sul Dna, a un passo dalla risoluzione. Watson decise di andare a Londra per consultarsi con l'amico Wilkins. Essendo costui impegnato altrove, Watson si soffermò nello studio di Rosalind. Cosa esattamente successe a questo punto non è chiaro: un lato oscuro della storia della scienza. Si racconta che Watson e la Franklin arrivarono quasi alle botte e solo l'arrivo di Wilkins pose fine alla violenta diatriba. Fu allora che, Wilkins, in buona fede mostrò le fotografie fatte da Rosalind a Watson. Rosalind in realtà gliele aveva date per uso personale, non pensando che le avrebbe mostrate alla presunta concorrenza. La situazione si deteriorò. "Nell'istante in cui vidi la fotografia - scrive Watson - rimasi a bocca aperta, il cuore mi stava esplodendo... la croce nera dei riflessi che dominavano la fotografia poteva derivare solo da una struttura ad elica... il semplice sguardo dell'immagine ai raggi X diede diversi parametri fondamentali della doppia elica". Grazie a questa furtiva visione, Watson e Crick pubblicarono il lavoro sulla doppia elica su Nature il 25 aprile del 1953 - diventando una pietra miliare della biologia molecolare - prima che Rosalind potesse finire la stesura del suo lavoro che arrivava alle stesse conclusioni dei due colleghi, affermando la sua convinzione che la forma B fosse elicoidale e comprendesse due catene coassiali, cioè la doppia elica. Nel frattempo Rosalind, quasi a voler rimuovere la brutta esperienza, si era trasferita al Birkbeck College, dove a capo c'era Desmond Barnal, anziano professore anticonformista. Rosalind fu attratta, al di là della competenza indiscussa, dal grande supporto che dava alle studentesse e al mondo scientifico femminile. Qui, in una mansarda-laboratorio al quinto piano di un vecchio edificio di Torrington Square, Rosalind continuò il lavoro sul virus del mosaico del tabacco iniziato da Barnal nel 1935. La macchina ai raggi X era nel seminterrato. Scomodo, ma Rosalind aveva in un certo senso recuperato l'atmosfera parigina. Quattro anni prolifici in cui contagiò i colleghi con il suo entusiasmo, nonostante le avessero diagnosticato un cancro maligno, che la uccise nell'aprile del 1958. Quattro anni più tardi il premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia veniva assegnato a Francis Crick, James Watson e Maurice Wilkins. E' innegabile che Watson e Crick abbiano scoperto la struttura del Dna. Loro e nessun altro meritano pieno credito per aver interpretato correttamente l'appaiamento delle basi di nucleotidi che vanno a formare la doppia elica; dal punto di vista biologico è questo ciò che conta ed è già di per sè rappresentata un'eguagliabile conquista di gloria. Ma il testo della struttura sta nei dati di Rosalind che Watson e Crick ricevettero probabilmente in modo ortodosso, in quella semplice immagine di cui Watson ha parlato attonito. Eppure nessun ringraziamento è mai andato alla dark lady della scienza. Marta Paterlini Laboratory of Molecular Biology Cambridge (UK)


SCAFFALE De Duve Christian: "Polvere vitale", Longanesi
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: BIOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

LO sapevate che nell'uomo la proteina citocromo c, che ci permette di utilizzare l'ossigeno, differisce per un solo amminoacido su 100 dalla stessa proteina del macaco, per 11 amminoacidi da quella del cane, per 18 dalla rana, 21 dal tonno e 45 dal lievito? Ecco la prova evidente di una radice comune. Ma l'origine e l'evoluzione della vita sulla Terra rimangono uno dei problemi scientifici più aperti e appassionanti. Ad affrontarli questa volta è il premio Nobel belga Christian De Duve, biochimico con ottime doti di divulgatore.


SCIENZE DELLA VITA. BIOTECNOLOGIE Emoglobina ricavata dal tabacco
Autore: FURESI MARIO

ARGOMENTI: BIOLOGIA
NOMI: CORTESINI RAFFAELE
ORGANIZZAZIONI: UNIVERSITA' LA SAPIENZA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA

ITALIA e Francia hanno concluso tre notevoli ricerche di ingegneria genetica. Iniziamo da quelle italiane. Le hanno dirette due ricercatori del Cnr e dell'Università "La Sapienza" di Roma. Quella del Cnr è una pluriennale ricerca condotta nel quadro del progetto finalizzato Biotecnologie II, diretto da Roberto Defez dell'Istituto internazionale di genetica e biofisica. Si voleva utilizzare un batterio, il Rhizobium, capace di fornire un supplemento di azoto alle piante prescelte: piselli, ceci e fagioli. Quel batterio, insediato nelle loro radici, vive in simbiosi con queste leguminose, ricevendo da esse lo zucchero necessario per vivere e dando in cambio composti a base di azoto, basilare componente delle loro cellule. Risultato finale: raccolti molto più abbondanti dei tre legumi, risparmio di fertilizzanti e ridotto inquinamento ambientale. Di non minore rilievo i risultati dell'altra ricerca biotecnologica svolta dall'Università "La Sapienza". Obiettivo: un vaccino antirigetto esente da effetti collaterali negativi. Diretta da Raffaele Cortesini, è già in corso di sperimentazione con esito così positivo da farne prevedere l'estensione sperimentale all'uomo. Probabilmente di importanza ancora maggiore è la ricerca francese diretta da Bertrand Merot e Claude Poyart. Il loro obiettivo era far produrre dalla pianta di tabacco una proteina di vitale importanza per l'uomo, facendo parte del suo sistema sanguigno. Più precisamente si tratta dell'emoglobina, componente dei globuli rossi che funziona da veicolo di trasporto dell'ossigeno dai polmoni a tutti gli altri organi del corpo. Per rendere la pianta una fabbrica di emoglobina è stato introdotto nel suo genoma un batterio, l'Agrobacterium tu mefaciens, in cui era stata introdotta una particola di Dna umano che conteneva il gene della produzione di emoglobina. Come risultato si è ottenuto che il 60 per cento dei semi prodotti dalla pianta trattata conteneva la proteina desiderata, facilmente estraibile e utilizzabile. Chi vive a contatto con il mondo delle trasfusioni sa quanto sia importante oggi disporre di sangue o di suoi componenti, tra cui l'emoglobina, da cui può dipendere la vita di un uomo. Mario Furesi


ENERGIA Fusione nucleare, il futuro Come accendere il Sole in un laboratorio
Autore: REGGE TULLIO

ARGOMENTI: ENERGIA, FISICA
ORGANIZZAZIONI: CITIF, FIAT, ANSALDO, ENEA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

LA fame di energia oggi viene soddisfatta ricorrendo a combustibili fossili, all'idroelettrico e al nucleare. Le prime due fonti derivano dall'energia solare ricevuta dalla Terra, il nucleare utilizza invece uranio formatosi miliardi di anni fa nell'esplosione della supernova che originò il sistema solare. Da tempo si sperimenta anche la produzione di energia tramite la fusione nucleare. Vediamone i principi. Gli atomi sono costituiti da una nuvola di elettroni legata a un nucleo centrale dalla attrazione elettrostatica. A loro volta i nuclei sono stati legati di due tipi di particelle, protoni e neutroni, tenuti assieme da forze nucleari molto intense che decrescono rapidamente con la distanza. Protoni e neutroni hanno più o meno la stessa massa, circa 1840 volte quella dell'elettrone ma differiscono nella carica elettrica, i protoni hanno carica uguale ed opposta a quella elettronica, i neutroni sono invece neutri. Questo fa sì che tra protoni esista una forza elettrostatica repulsiva che tende a rompere il legame nucleare e a destabilizzare il nucleo di cui fanno parte. Per questa ragione i nuclei degli elementi stabili hanno di regola un numero di protoni inferiore a quello dei neutroni; il massimo è toccato appunto dall'uranio, che ha 92 protoni e ben 146 neutroni. I nuclei più pesanti possono considerarsi come piccole gocce di fluido nucleare rese instabili dalla repulsione tra protoni. L'impatto di un neutrone lento su uno di questi nuclei provoca la fissione, lo spezza in due gocce più piccole espellendo 2 o 3 neutroni di alta energia. La fusione funziona nella direzione opposta fondendo assieme nuclei piccoli in modo da formarne altri più grandi in cui la repulsione elettrostatica rimane comunque trascurabile rispetto alle forze nucleari. Per illustrare il ruolo di queste forze ricorrerò a un paragone. Alla fine di un pranzo i convitati si salutano stringendosi la mano e ci si chiede quante sono le strette di mano. Un breve calcolo mostra che per gruppi di 2, 3, 4, 5... persone occorrono 1, 3, 6, 10... strette di mano e che il totale cresce più in fretta del numero dei convitati. Se la stretta di mano tra persone corrisponde alla forza tra nucleoni, ne segue che aumentando il numero dei convitati otteniamo nuclei sempre più stabili o almeno fino a quando non interviene la repulsione tra protoni. I nuclei più stabili, tra cui quello del ferro, si trovano quindi a metà strada e possono considerarsi ceneri nucleari. In entrambi i casi scompare una piccola parte della massa totale, circa lo 0,1% per la fissione e lo 0,7% per la fusione che si ritrova convertita in energia secondo la formula di Einstein E = mc2. E' il meccanismo che genera energia nel Sole e nelle stelle. La tecnologia della fissione è ormai matura, quella della fusione è agli inizi. Ma se riuscissimo a controllarla potremmo utilizzare come combustibile praticamente inesauribile il deuterio dei mari e non ci sarebbero più monopoli delle fonti energetiche ma piuttosto dei brevetti relativi alla fusione. Le reazioni di fusione sono difficili da ottenere; affinché avvengano occorre convincere i nuclei atomici ad avvicinarsi fino a distanze molto più piccole di quelle interatomiche superando la forte repulsione dei loro protoni. Per farlo si riscalda una mistura di due tipi di idrogeno pesante, deuterio e tritio, fino a temperature di oltre 100 milioni di gradi. In queste condizioni gli urti tra atomi sono così violenti da ionizzarli ossia da separare gli elettroni dai nuclei formando il plasma. Nell'urto tra nuclei può avvenire la fusione di un nucleo di deuterio con uno di trizio con formazione di uno di elio (particella alfa) e di un neutrone isolato che porta con sè quasi tutta l'energia della reazione. La reazione è già stata osservata nei reattori da ricerca. Non è però possibile confinare plasma portato a temperature così estreme entro pareti fatte di materia ordinaria che evaporerebbero inquinando il plasma e spegnendo immediatamente la reazione. Si usano invece bottiglie magnetiche, dette tokamak, in cui la parete è sostituita da un campo magnetico molto intenso che funziona come specchio riflettente per le componenti del plasma. Possiamo paragonare il plasma confinato a un caminetto pieno di legna umida e molto difficile da accendere ma che una volta acceso dovrebbe mantenersi in funzione e riscaldarci senza bisogno di fiammiferi. Il progetto Iter, concepito al vertice di Ginevra del 1985 da Reagan e Gorbaciov, si proponeva appunto di raggiungere l'ignizione del plasma, ossia una reazione controllata di fusione così intensa da mantenere acceso il caminetto. Caduta l'utopia planetaria che aveva caratterizzato l'accordo, anche per i costi elevati della macchina - 15 miliardi di dollari - il progetto iniziale è stato in pratica accantonato. Molto meno costoso, circa 300 milioni di dollari, risulta invece il progetto Ignitor ideato dall'italiano Bruno Coppi. Sia Iter sia Ignitor prevedono l'uso di tokamak, ma Ignitor richiede l'uso di campi magnetici molto intensi che confinano il plasma in spazi molto ristretti. L'obiettivo da centrare rimane l'ignizione, paragonata anche, come impatto tecnologico, al primo volo di aeroplano o alla prima valvola termoionica. L'abbandono del gigantesco progetto Iter ha risvegliato l'interesse dei tecnici per l'Ignitor. Il consorzio Citif, Fiat e Ansaldo ha operato sin dagli Anni 80 su contratti dell'Enea e ha redatto un rapporto di progetto. I campi magnetici molto intensi richiesti dall'Ignitor generano forti tensioni meccaniche interne e pongono stringenti vincoli strutturali. Negli ultimi anni Enea e ministero dell'Università e della ricerca non hanno più erogato i fondi stanziati dal parlamento bloccando di fatto la ricerca in questo settore, ma si spera che essi vengano riattivati a breve termine. Non dobbiamo guardare alla fusione come a una soluzione a breve termine dei nostri problemi energetici e meno ancora come risposta agli impegni di Kyoto. Di certo essa pone problemi di sicurezza molto diversi da quella dei reattori convenzionali a fissione. In primo luogo la reazione di fusione tende a spegnersi con estrema facilità e comunque anche nel caso di rottura non verrebbero rilasciati nell'ambiente isotopi radioattivi con vita media molto lunga. Più realisticamente la fusione potrà avere effetti importanti a lungo termine, in un panorama energetico e politico profondamente mutato. Potrebbe rivelarsi decisiva nel rifornire di energia delle stazioni spaziali lontane dal Sole. E' quindi prematuro farla bersaglio di critiche ambientaliste o inversamente osannarla come la soluzione ideale dei nostri problemi energetici. Lo studio di campi magnetici intensi e di soluzioni innovative dal punto di vista tecnologico aggiunge elementi di alto interesse al progetto Ignitor in aggiunta alla produzione di energia. Vorrei che il Piemonte non perdesse il tram come è già accaduto in troppe occasioni e si inserisca da protagonista in questo filone di ricerca. Tullio Regge Politecnico di Torino


SCAFFALE Gasparetti Mauro: "Computer e scuola: guida all'insegnamento con le nuove tecnologie", Apogeo
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: DIDATTICA, INFORMATICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Il Piano Berlinguer sulla multimedialità sta svecchiando la scuola italiana. L'arrivo nelle aule del computer e della possibilità di collegarsi a Internet rappresenta effettivamente una importante occasione per far uscire dal provincialismo e dall'arretratezza il nostro sistema di insegnamento. Inoltre, imparando a maneggiare i sistemi multimediali, i ragazzi apprendono anche quello che sarà sempre più un nuovo modo di comunicare, qualcosa di analogo e parallelo allo stesso apprendimento della lingua. Perché questa grande opportunità non vada perduta, Marco Gasparetti ha scritto un libro di grande utilità, che può servire certamente agli insegnanti, ma che risulterà ben comprensibile anche agli studenti e ai loro genitori. Alla fine della lettura ci si saprà orientare (e divertire) tra ipertesti, cd-rom, software di vario tipo e Internet.


IN BREVE Gli uccelli in estinzione
ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

Per una svista, in un articolo del 20 gennaio a pagina 4 abbiamo scritto che in Italia ci sarebbero 9615 specie gli uccelli in estinzione. In realtà la cifra si riferisce al mondo intero.


SCIENZE FISICHE. NEGLI STATI UNITI Il robot benzinaio Fa il pieno in 90 secondi, con soluzioni tecniche ispirate alle corse di Formula 1 e al rifornimento in volo degli aerei
Autore: VALERIO GIOVANNI

ARGOMENTI: ELETTRONICA
NOMI: BRUENING JOSEPH
ORGANIZZAZIONI: AUTOFILL, BRITISH PETROLEUM
LUOGHI: ITALIA

VI fermate alla stazione di servizio, abbassate il finestrino, schiacciate un bottone e scegliete l'importo desiderato: il robot benzinaio fa il pieno. Lo ha progettato la svedese Autofill e, dopo il self-service degli Anni 70 e il pagamento con carta di credito del decennio scorso, potrebbe rappresentare il futuro dei distributori di benzina. Costruito con la stessa tecnologia utilizzata nei rifornimenti in volo degli aerei, il robot benzinaio è un braccio meccanico capace di aprire il portellino del serbatoio e di erogare il combustibile. Tutto in 90 secondi: un rifornimento quasi da Formula Uno. I progettisti di Autofill (e della società controllata, l'americana Trans Robotic) hanno costruito un sistema di guida a microonde, con un'antenna e un meccanismo di ricerca, che individua il serbatoio grazie a un microchip fissato sul portello, con una precisione di pochi millimetri. Per usare il robot benzinaio, ora in prova in alcune stazioni di servizio della British Petroleum a Cleveland, negli Stati Uniti, l'automobilista non deve far altro che equipaggiare la sua vettura con uno speciale adesivo contenente i circuiti elettrici che danno l'esatta posizione del serbatoio. E il gioco è fatto, risparmiando tempo (e scocciature) rispetto al tradizionale rifornimento self-service. Secondo Joseph Bruening, professore di Storia della Scienza all'Università del Mississippi, la tecnologia Autofill sarà adottata nel prossimo decennio del 40 per cento delle stazioni di servizio del Nord America. E in Italia? Alle difficoltà tecnologiche si aggiungono quelle psicologiche: a differenza di altri Paesi europei, da noi il self- service incontra ancora qualche resistenza. E molti benzinai continuano a essere in carne e ossa. Salutano, fanno il pieno e puliscono anche i vetri. La comodità del robot-benzinaio dovrebbe comunque affermarsi anche in Italia. Ma certo non servirà a consolarci della "carbon tax", travestimento dei soliti aumenti della benzina, così comodi per il fisco e così scomodi per il cittadino. Giovanni Valerio


SCIENZE A SCUOLA. LA GAZZA NOSTRANA Ladra e opportunista Ma si può addomesticare facilmente
Autore: GROMIS DI TRANA CATERINA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ETOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. Caratteristiche della Gazza Pica Pica

"La gazza: Cacacacaca. La rana: Che diamine c'è? La gazza: Io non dico: io canto. La rana: Quac! La talpa: Silenzio, costassù; non ci si sente a lavorare!" Renard - Storie naturali -------------------------------------------------------------------- LINNEO la chiamava Corvus pica e la descriveva così: Corvus pennis abdominali bus et scapularibus albo-niveis coeterum atroviridis, vel atro- violaceus. (Penne delle scapolari e dell'addome bianco-nivee: quelle dell'altre parti nere cangianti in verdone, o in violetto). La gazza bianca e nera che popola campagne e città riempie di colore l'inverno, con la sua livrea sfacciata, un po' da pinguino, come da pinguino è l'incedere a piedi, goffo e ondeggiante. Nascosti nel nero della coda e del collo ci sono i verdi, gli azzurri e i violetti che appaiono a brevi lampi nei voli attraverso la luce, o sopra un ramo durante il riposo o la vedetta al sole. E nelle nostre caotiche città sempre più spesso la sua gazzarra da un albero interrompe per qualche istante il rumore del traffico. E' un'opportunista la gazza, non solo una ladra. Ama la compagnia dell'uomo non per intesa, ma perché le fa comodo ricevere protezione, cibo e rifugio in giardino. Rimanga pure lontana la cugina cornacchia, più selvatica. Si accontenti delle monotone distese di stoppie in squallide periferie, con solo una fila di pioppi per costruire il nido. Viverci assieme è difficile perché preda uova e pulcini, è più forte, più grossa, più affamata e ha gli stessi gusti. Per forza è vincente. E allora la gazza, con il suo bell'aspetto da corvide elegante, si trasferisce in città, a costruire fantastici nidi sugli alberi dei parchi e dei viali: una grande coppa di rami, pagliuzze, radici, tenuti assieme da fango rappreso, con una tettoia di ramaglie come copertura. E in campagna cerca i posti del suo abitare con buon gusto e attenzione. E' stanziale e, inverno ed estate, i suoi territori non cambiano. Meglio allora se può permettersi di scegliere la varietà nel paesaggio: siepi, alberi frondosi, macchie e boschetti sono preferiti ai campi di granturco e alle risaie, regni della cornacchia. La gazza che conosciamo (il suo nome attuale è Pica pica e "Pica" dice Petronio di donna pettegola) è confinata nell'emisfero Nord, con un territorio vastissimo in Europa e in Asia. In Italia manca nelle isole dell'Arcipelago Toscano, tranne che per una segnalazione del maggio 1994 all'Elba. In Piemonte la sua regolare distribuzione in pianura e in collina si arresta bruscamente ai piedi della catena alpina. Penetra solo le più ampie vallate: oltre alla Val d'Aosta anche la Val Susa, la Val Stura, la Val Chisone, la Val d'Ossola. Disdegnati i fondovalle umidi e ombrosi, sale in quota alla ricerca di luoghi aperti e soleggiati, dove trova oltre al sole, di nuovo l'inconsapevole aiuto dell'uomo: le risorse di cibo fornite indirettamente dai turisti invernali. Ai 2050 metri del colle di Sestriere raggiunge una delle massime quote di nidificazione segnalate in Europa. Nel suo nido vistoso, così riconoscibile che i metodi di censimento della gazza si basano sul conteggio dei nidi dell'anno precedente, a primavera depone da sei a nove uova puntinate che hanno bisogno di 18 giorni per schiudere. Una volta era questo per l'uomo il momento di fare giustizia, tirando una fucilata al nido durante la cova. Oggi non è più ben visto chi agisce così, soprattutto in città, però l'aumento delle gazze, come quello delle cornacchie, ha elevato negli ultimi anni le due specie al rango di "selvaggina" e in autunno si possono cacciare. Non sono bocconi prelibati dei buongustai, a causa delle abitudini alimentari onnivore, però mantenere sotto controllo la densità delle popolazioni serve a salvare qualche nidiata degli uccelletti canori, vittime predestinate. Le cornacchie, oltre che profanare nidi, non disdegnano scorpacciate di carogne, mentre le gazze, più raffinate, preferiscono succhiare uova altrui e sgranocchiare nidiacei implumi ma vivi. Se si prende dal nido una piccola gazza in fasce si addomestica e si affeziona, tanto da diventare una compagnia indimenticabile. Una di loro, quasi parlante, per un po' ha esilarato gli avventori di un bar che si trova accanto al Museo di Storia Naturale in una città di provincia. Rubava i cucchiaini con un'aria avida e prendeva con il becco le monete dalle mani di chi gliele offriva. Due saltelli, uno sguardo sfrontato e via a nascondere, mentre al museo c'era una sorta di coprifuoco continuo per salvare pinzette e spilli entomologici. Un giorno è sparita e chissà dove finirà i suoi giorni da "diversa", infelice giullare derubato della sua vita selvatica e incapace di stare con i suoi simili. Sembra che la notorietà come ladra della gazza le arrivi da un dramma popolare: la storia vera di una servetta che, accusata di avere rubato le posate d'argento, giudicata colpevole, venne impiccata e più tardi, ma ahimè, troppo tardi, fu riconosciuta innocente. Successe a Parigi in casa di un fonditore di campane e la ladra era la gazza di casa. La "gazza ladra". Caterina Gromis di Trana


UN PATRIMONIO GENETICO "ESEMPLARE" Medici e biologi a lezione da un verme Formato da appena 1000 cellule, ci aiuterà a capire le basi della vita
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: GENETICA, BIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Il Caenorhabditis elegans

LA possibilità di decifrare la molecola di Dna che contiene il patrimonio genetico di un essere vivente ha rivoluzionato la medicina. La mappa genomica è infatti una specie di catalogo che riporta non solo le caratteristiche di ogni gene ma anche la sua collocazione esatta nei singoli cromosomi. Conoscevamo finora il genoma di 141 virus, di 51 organelli cellulari e di due batteri, uno dei quali è il lievito di birra (Saccharomyces cerevisiae). La mappa dei geni umani, - circa 100.000 - sarà completata per il 2005. Fino a cinque anni fa i geni umani identificati erano meno di 2000. Il genoma del lievito è stato letto completamente con uno studio di 5 anni, grazie alla collaborazione di 600 scienziati. Fino a pochi mesi fa era il maggiore genoma conosciuto (6000 geni). Prima di arrivare all'uomo la ricerca si è cimentata con specie più semplici. Su quale animale hanno lavorato per otto anni due grossi gruppi di ricercatori in Usa e nel Regno Unito? Scimmia? Topolino di laboratorio? No. Hanno lavorato su un piccolo verme che misura solo un millimetro di lunghezza, formato da poco meno di mille cellule: il Caenorahabtidis elegans (accorciato in C. elegans). Il C. elegans è ora l'essere vivente geneticamente meglio conosciuto. Oltre 1200 specialisti sono in attesa in tutto il mondo di conoscere attraverso il suo genoma una quantità enorme di dati biologici. Non si tratta solo della curiosità di scoprire i segreti di un organismo così distante nella scala animale dai mammiferi in generale e dall'uomo in particolare. La sequenza delle basi del nematode promette di insegnarci come la natura utilizzando un genoma che contiene "solo" un trentesimo delle basi del genoma umano abbia sviluppato con l'evoluzione un essere vivente multicellulare già così complesso. Il costo dell'operazione è stato inferiore a 20 milioni di dollari (una decina dei missili lanciati su Baghdad!). Esiste una straordinaria somiglianza tra i geni necessari per la duplicazione del Dna e la sintesi di molte proteine della cellula non solo tra i diversi nematodi ma perfino con specie molto più evolute, fino ai mammiferi. Si possono ora decifrare a livello genetico meccanismi finora poco conosciuti, come il ruolo dei geni nell'invecchiamento, nella morte cellulare programmata e nella memoria. Si calcola infatti che il numero delle proteine potenzialmente riproducibili dai geni del verme rappresenti oltre il 50 per cento delle proteine presenti in altre specie, uomo compreso. Malgrado il sistema nervoso del C. elegans sia costituito da sole 300 cellule (paragonato ai molti miliardi del cervello umano) il verme concentra nei suoi 19.000 geni tutta l'informazione necessaria per fabbricare la maggior parte dei componenti fondamentali del cervello umano. Il sistema nervoso del C. elegans costituisce certamente un modello molto più semplice di quello dei vertebrati (ad esempio del topolino) tuttavia le analogie sono sorprendenti. Gli stessi tipi di trasmettitori chimici e di ricettori, di componenti (canali ionici) delle membrane cellulari e delle giunzioni tra cellule nervose (le sinapsi) sono già presenti. Per fare un esempio, il sistema del trasmettitore chimico acetilcolina che è selettivamente leso nella malattia di Alzheimer è presente nel sistema nervoso del C. elegans ed è controllato da geni assai simili a quelli del cervello umano. La distruzione sperimentale di questi geni produce effetti disastrosi anche sul nematode. Si tratta quindi di un sistema nervoso già sofisticato, e tale da farci supporre che il verme sia in grado non solo di imparare ma anche di ricordare. Il comportamento del nematode è sotto intenso studio da parte degli specialisti. Già note sono alcune proprietà possedute dal C. elegans, come quella di reagire prontamente a stimoli chimici, termici e meccanici. Negli animali il processo di apprendimento e memorizzazione è guidato a livello chimico dalla presenza di speciali enzimi chiamati chinasi e da ricettori del glutamato entrambi presenti nel nematode. La memoria cosiddetta a lungo termine (ore, giorni o anni) è legata alla presenza di un fattore chiamato Creb. Il nematode possiede il gene del Creb. Possiamo quindi facilmente comprendere l'interesse dei neuroscienziati verso questo organismo. Lo scoprire quali siano i geni che presiedono a funzioni come la memoria in un parente così distante dall'uomo quale il C. elegans potrebbe aprire uno spiraglio sulla conoscenza di funzioni complesse nell'uomo. Quale sarà l'impatto dell'interpretazione del genoma di questo verme? Come influenzerà la conoscenza dell'evoluzione degli organismi più complessi? Lo sapremo presto. Ezio Giacobini


IN BREVE Radar per elicotteri una precisazione
ARGOMENTI: ELETTRONICA, ELICOTTERI
NOMI: BERNARDI MARIO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

A proposito dell'articolo apparso il 13 gennaio "Un'antenna virtuale per evitare i cavi aerei", l'autore, Mario Bernardi, ci invia questa precisazione: "Per sottolineare l'interesse ai fini della sicurezza di un radar che consenta agli elicotteri di evitare i cavi aerei, dando credito a scenari e ipotesi di stampa, ho fatto riferimento a un incidente avvenuto di recente presso Padova, attribuendone la causa a difficoltà di avvistamento di un elettrodotto. Successivamente informato che le circostanze del sinistro sono tuttora all'esame di apposita Commissione, ritengo che l'affrettato giudizio sul ruolo dei cavi debba essere rinviato alla conclusione delle indagini. Intanto, a sostegno della soluzione tecnica presentata nell'articolo, ricordo gli amici piloti e specialisti Paludi, Dotti, De Ronzo, Orazi, Barutti, Marchisio, tutti periti, senza dubbio di causa, nella subdola trappola dei cavi aerei".


SCIENZE DELLA VITA. ISTITUTI ONCOLOGICI Ricerca e cure, meglio insieme Un'interazione positiva per i pazienti
Autore: GAVOSTO FELICE

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: COMPREHENSIVE CANCER CENTER
LUOGHI: ITALIA

UN pregiudizio ancora diffuso nel nostro Paese è rappresentato dalla convinzione che, se in un Istituto medico adeguatamente attrezzato viene svolta ricerca scientifica impegnativa, lo stesso Istituto non dovrebbe estendere la sua attività a regolari prestazioni cliniche. La realtà sta invece all'estremo opposto: i Centri dove si fa ricerca di buon livello rappresentano, proprio per questo fatto, l'ambiente più idoneo per una migliore attività di diagnosi, cura e prevenzione. Questa interazione positiva (fertilizzazione reciproca) tra i due grandi settori storici della medicina - ricerca scientifica e cura degli ammalati - ha trovato, a partire dagli Anni 80, una chiara e convincente dimostrazione proprio nell'oncologia. Si stanno, infatti, costruendo e attrezzando in tutto il mondo - e sono ormai alcune centinaia - Istituti Oncologici denominati Comprehensive Cancer Center, che comprendono laboratori per la ricerca di base e strutture per l'indagine applicativa e per l'erogazione di servizi diagnostici e terapeutici. La contestualità di ricerca e di assistenza favorisce un interscambio, immediato nel tempo e nello spazio, tra operatori attivi in una stessa sede, migliorando l'efficacia delle prestazioni, consentendo un più agevole trasferimento alla clinica delle acquisizioni ottenute dalla ricerca fondamentale e creando una fascia di operatori clinici molto attenti alle informazioni che continuamente provengono dalle scienze fondamentali. Sull'esperienza di questi istituti è sorto un nuovo indirizzo di ricerca medica, la "ricerca traslazionale" sviluppata da ricercatori i quali, seguendo e/o partecipando alla ricerca fondamentale, ne individuano gli aspetti applicativi e curano il trasferimento dei risultati alla ricerca pre-clinica e, successivamente, alla clinica arricchendola di nuove procedure diagnostiche e di farmaci, monitorandone gli sviluppi. Altri vantaggi dei Centri oncologici integrati sono rappresentati dalla possibilità di formare giovani ricercatori costantemente attenti ai problemi e alle necessità degli ammalati ed all'etica dell'assistenza medica, di costruire metodi di lavoro e linguaggi più affini alle esigenze culturali ed operative dell'attività medica e di formare clinici costantemente informati e talvolta partecipi al progresso della ricerca. E' negativa, infatti, l'esperienza di ospedali oncologici senza laboratori di ricerca o di Istituti di ricerca senza attività clinica. Lo prova uno studio fatto a Londra e uscito sull'"European Journal of Cancer". L'indagine ha coinvolto un migliaio di donne affette da tumore al seno, operate e seguite per cinque anni in due ospedali della stessa zona. In entrambi i centri venivano effettuati l'atto chirurgico, la radioterapia e la chemioterapia, ma soltanto in uno, accanto alle procedure assistenziali si svolgeva ricerca fondamentale e applicata di buon livello, nonché insegnamento a studenti e specializzandi. Le donne trattate in quest'ultimo Centro hanno avuto soppravvivenza media e periodo libero da malattia significativamente superiore alle donne trattate nel primo. Altre indagini svolte nello stesso periodo hanno indicato che gli ammalati di tumore, inseriti in protocolli di studi clinici controllati, sono seguiti con più attenzione e meglio curati. Questo messaggio è molto chiaro, soprattutto se si considera che l'Italia è tuttora, tra i Paesi sviluppati, il fanalino di coda nella costruzione ed avviamento di tali Istituti oncologici: soltanto sette sono presenti nel Paese e di essi nessuno è ufficialmente operativo come tale in Piemonte. Felice Gavosto Università di Torino


SCAFFALE Sagan Carl: "Miliardi e miliardi", Baldini & Castoldi
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Carl Sagan, morto tre anni fa, è stato un astronomo di valore, un pioniere dell'esplorazione del sistema solare con sonde spaziali, un ottimo divulgatore e un appassionato profeta del pensiero razionale. Lo ritroviamo in tutti questi ruoli nel libro curato dalla sua seconda moglie Ann Druyan, dove compaiono anche significative testimonianze biografiche e autobiografiche. Riunendo saggi, articoli e documenti, "Miliardi e miliardi" finisce con il disegnare una meditazione di fine millennio e un testamento culturale dell'autore.


SCAFFALE Smolin Lee: "La vita del cosmo", Einaudi
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Un testo che presenta la moderna cosmologia alla luce di una concezione evolutiva dell'universo. L'autore è molto onesto nel distinguere tra le acquisizioni della comunità scientifica (peraltro sempre provvisorie) e le sue idee personali.


SCIENZE FISICHE. TECNOLOGIA SPAZIALE Un'eurobussola satellitare In progetto un nuovo sistema di navigazione
Autore: MALERBA FRANCO

ARGOMENTI: TELECOMUNICAZIONI
ORGANIZZAZIONI: ESA, UE UNIONE EUROPEA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, FRANCIA, STRASBURGO

IL Parlamento di Strasburgo ha approvato il piano per il sistema di navigazione satellitare europeo e ha chiesto una riunione del Consiglio per decidere il finanziamento della rete satellitare di navigazione. Tre scelte sono sul tavolo: lavorare a un nuovo sviluppo congiunto in ambito civile con gli Stati Uniti, non fare nulla e limitarsi a sviluppare applicazioni e servizi sul sistema americano (opzione "zero"), sviluppare un sistema europeo. Dopo le discussioni con i rappresentanti degli Stati Uniti sembra ormai esclusa la possibilità di lavorare insieme ad un unico sviluppo; da una parte gli americani intendono mantenere la gestione del loro sistema di navigazione satellitare Gps (Global Positioning System) nel settore militare, dall'altra la disponibilità di due sistemi compatibili aumenterebbe la sicurezza per l'utente mentre gli studi di mercato indicano che le applicazioni per il traffico aereo e di superficie sono potenzialmente così numerose che la disponibilità di due sistemi satellitari farebbe raddoppiare il mercato delle apparecchiature di terra e dei servizi (da 50 miliardi di euro a 100). A queste considerazioni si aggiunge quella dell'indipendenza strategica dell'Europa, che non vuole essere solo un cliente di un sistema tecnologico che sarà domani il cuore dei trasporti sull'intero pianeta. Scartata l'opzione zero perché non soddisfa l'ambizione europea, e sfumata la possibilità di un lavoro comune con gli Stati Uniti, l'Europa deve imbarcarsi nello sviluppo di un proprio sistema satellitare di navigazione. Dalla discussione parlamentare è venuto anche un segnale di urgenza: ormai i ricevitori Gps appaiono ovunque, le auto più moderne offrono l'opzione del navigatore satellitare, insomma cominciano ad apparire le prime applicazioni di massa e ritornano alla memoria gli Anni 80 e l'apparizione del personal computer con il sistema Ms-Dos, che non piaceva a nessuno ma che tutti cominciavano a usare. Così nacque il miracolo Microsoft e poi il suo monopolio nel software. Se l'Europa esita ancora sulla navigazione satellitare, difficilmente la nostra industria potrà poi recuperare parti di mercato significative. Come potrebbe essere dimensionato il sistema europeo? L'Esa (Agenzia spaziale europea) sta valutando assieme alla Commissione e all'industria le diverse opzioni, ma la configurazione più accreditata è quella della costellazione di 24 satelliti in orbita intermedia (Meo, Me dium Earth Orbit, con 12 ore di periodo di rotazione) completata da un sistema di supervisione fatto di alcuni satelliti in or bita geostazionaria (24 ore di periodo di rotazione). Questa soluzione ci porterebbe a un servizio operativo nel 2008. In alternativa si potrebbero usare orbite più basse (Leo, Low Earth Orbit) con evidenti vantaggi sulla trasmissione e ricezione verso Terra e con un utilizzo innovativo di comunicazioni tra satelliti (una tecnologia in cui l'industria italiana è particolarmente avanzata). Quest'architettura ci differenzierebbe rispetto alle soluzioni esistenti americana e russa e la sua realizzazione è valutata anche per questo come tecnicamente più rischiosa e più lunga da realizzare. Punto delicato rimane il finanziamento; fintanto che il segnale Gps americano sarà fornito gratuitamente agli utenti civili, non sarà possibile parlare di vero mercato e di far decollare commercialmente un servizio civile europeo pagante. La Commissione deve quindi valutare e proporre al Parlamento europeo e all'insieme delle parti interessate (controllo del traffico aereo, trasporti di superficie, diporto nautico) degli scenari di finanziamento pubblico-privato e dei modelli di ricupero sull'investimento che possano far decollare il mercato dei servizi. Si potrebbe richiedere un contributo "una tantum" all'acquisto di un ricevitore satellitare, ma meglio sarebbe arricchire e differenziare il segnale (come accade per la tv satellitare) lasciando libero l'accesso "in chiaro" al segnale di base ma facendo pagare all'utente commerciale più esigente un abbonamento per un segnale criptato corredato di ulteriori informazioni utili a ciascuna applicazione. Una partnership tra pubblico e privato è necessaria, considerato il costo dell'ordine di 2 milioni di euro nell'arco di dieci anni. Il programma di ricerca europeo prevede nell'ambito delle infotecnologie un capitolo dedicato alla navigazione satellitare che proietta una disponibilità di 120 milioni di euro nei prossimi dieci anni e assicura la prima tranche per il periodò 99-04, ma la maggior parte del finanziamento pubblico all'infrastruttura satellitare deve venire dal programma comunitario delle reti trans-europee che dovrebbe disporre di 5,6 miliardi di euro per il periodo 2000-2006: di qui un 10% potrebbe andare ai satelliti di navigazione. Al finanziamento di circa 750 milioni di euro dal bilancio comunitario si deve aggiungere il finanziamento dell'Esa di circa 500 milioni di euro per arrivare attorno alla cifra di 1,2 miliardi di euro considerata sufficiente per mettere in cantiere l'operazione. Non è da escludere che il Giappone, che per ora si è concentrato nelle applicazioni al suolo basate sul sistema americano, non decida di partecipare all'alternativa europea. Mentre da più parti si reclama maggiore visibilità dell'Eu ropa dei cittadini, mi sembra - dall'osservatorio del Parlamento europeo - che i nostri concittadini potrebbero facilmente riconoscersi in un progetto comune che rende più efficienti e sicuri tutti i trasporti, pubblici e privati, dall'Atlantico agli Urali al Mediterraneo, il più avanzato e universale dei "progetti prioritari" delle reti trans-europee. Le infrastrutture di trasporto della società del futuro non sono soltanto i tunnel, gli aeroporti, le rotaie: sempre più importanti sono le reti invisibili dell'informazione che rendono più sicuro e veloce ogni veicolo. Franco Malerba Astronauta e deputato europeo




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