TUTTOSCIENZE 29 luglio 98


SCIENZE DELLA VITA LUCCIOLE Scintillanti per amore
Autore: GROMIS DI TRANA CATERINA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ETOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

LUMINI di compagnia, come lanternine per scacciare gli orchi dalle camere dei bambini nelle notti d'estate, le lucciole fanno pensare alle farfalle per come sembrano impalpabili; invece appartengono all'ordine dei Coleotteri, come gli scarabei, i maggiolini, i curculionidi e le coccinelle; e tra questi goffi corazzati occupano il posto dei Lampiridi. In Italia sono rappresentate da una ventina di specie, ma in tutto il Paese sono solo due: la Lampyris noctiluca e la Luciola italica. La Lampyris lu sitanica è dappertutto tranne che in Sicilia, altre specie sono solo del Sud, o solo del Nord, o solo delle isole. Le specie di Lampiridi descritte nel mondo sono circa duemila, con diversi usi e costumi: quelle tropicali lampeggiano ad intermittenza con una sorta di codice Morse che serve a riconoscersi, non solo maschi con femmine, ma anche specie con specie. Le lucciole europee al confronto risplendono in modo quasi continuo per dichiararsi il loro amore quando è il momento: le femmine, prive di ali e non molto diverse dalle loro larve, sono responsabili del nome "vermi luminosi" che in molti paesi viene dato alle lucciole. Poco attraenti nell'aspetto, si sono ingegnate per conquistare il "Lampiride azzurro": hanno imparato ad emettere una luce più forte dagli ultimi segmenti del corpo, e con questa lampadina accesa si arrampicano sugli steli d'erba e si lasciano ondeggiare per essere ben visibili. I maschi, con l'aspetto tipico dei coleotteri, scintillano di luce più tenue ma in compenso hanno buone ali e ottima vista: volano nella notte con lo sguardo fisso al suolo e quando vedono una vermiforme donzella esibirsi in una danza rischiarando le tenebre, non esitano ad avvicinarla e scendono a spirale verso di lei. Ed è qui che si rivela il coleottero, goffo volatore: a volte i maschi vanno a finire su uno stelo sbagliato, oppure possono sbattere contro il sostegno su cui la femmina è aggrappata; la poverina, scossa, rivela un inaspettato pudore e spegne immediatamente il suo lumino, con il rischio di vedere andar via il maldestro cavaliere attratto da altre luci e altri amori. Dopo questi incontri silenziosi e scintillanti, la femmina depone le uova che brillano, come poi anche le larve, della stessa luce verdognola, chissà a che scopo. Il famoso entomologo Fabre già se lo chiedeva nel secolo scorso: "Si com prende l'ufficio del faro femmi nino, ma a che serve tutto il re sto di questa pirotecnica? Lo ignoro. Esso è e sarà per molto tempo ancora e forse per sempre un segreto". Oggi si sa più che in passato non sul perché, ma sul come: la chimica della produzione di luce nelle lucciole è stata svelata. Tre sostanze entrano in gioco nella ricetta: la luciferasi, enzima che catalizza la reazione; la luciferina, sostanza specifica che libera l'energia luminosa quando la reazione chimica scompone e distrugge il composto; e infine l'Atp, adenosintrifosfato, sorgente di energia di ogni cellula vivente e qui essenziale per rendere la luciferina disponibile all'uso. L'ossidazione della luciferina necessita di ossigeno ed acqua, perciò gli organi luminosi, posti sulla faccia ventrale degli ultimi segmenti addominali, sono ricchi di trachee. Pochissima è la produzione di calore durante la reazione, quindi minimo lo spreco: quasi tutta l'energia chimica è convertita nella luce fredda e verdastra che accompagna tutta la vita delle lucciole. Probabilmente la capacità di spegnere volontariamente i lumini dipende dalla riduzione dell'apporto di ossigeno e forse è proprio questa l'abilità acquisita durante l'evoluzione: imparare in questa vita, che altrimenti sarebbe dall'inizio alla fine un'orgia di luce, a regolarne l'intensità, per inventare un linguaggio amoroso. La luciferasi e il precursore della luciferina, estratti dagli organi delle lucciole, una volta depurati, forniscono materiale sensibilissimo per sperimentare con minime quantità di Atp, e sono stati usati in campi molto diversi: dagli esperimenti per ricercare tracce di vita su Marte allo studio di malattie cardiache e distrofie muscolari, all'analisi sull'efficacia di certi antibiotici, al trattamento di acque di scarico. La reazione luciferina-luciferasi, che libera più del 75% dell'energia sotto forma di luce con così poca produzione di calore inutilizzabile, è uno di quei prodigi della natura che l'uomo della società dello spreco ha difficoltà ad imitare e che sembra una sfida alla tecnologia. Una lampada fluorescente funziona con un rapporto di 30% luce e 70% calore, e una lampadina a incandescenza emette solo il 10% di luce nello spettro visibile per l'uomo, mentre il resto è perdita totale. Bisogna salvaguardare le lucciole perché possano rivelarci il trucco nei dettagli, quindi è necessario conoscerne le abitudini e le preferenze. Hanno bisogno di terra calcarea perché le larve si nutrono di lumache a cui serve il calcare per l'accrescimento della conchiglia: le larve predatrici iniettano nelle vittime una neurotossina che le anestetizza e poi usano i succhi digestivi per renderne semiliquide le carni così da digerirle meglio. Se in un terreno calcareo c'è aria pulita senza troppi insetticidi, se ci sono tante appetitose lumache e se il buio non è interrotto dalle luci di troppi lampioni, allora l'ambiente è quello giusto, e le mille fiammelle ammiccanti nell'incanto delle notti d'estate prima o poi ci sveleranno i loro segreti. Caterina Gromis di Trana


SCAFFALE Gallino Davide: "Il libro delle telecomunicazioni", AdnKronos
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: COMUNICAZIONI, TECNOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Libero mercato e Authority delle telecomunicazioni, telefonini planetari, Internet in rapida avanzata verso lidi commerciali, fibre ottiche e satelliti, le lotte in Telecom e attorno a Telecom: questo libro non poteva essere più tempestivo. Davide Gallino (ricercatore all'Università La Sapienza di Roma) analizza ogni aspetto di un settore tecnologico ed economico di importanza strategica, e lo fa con l'occhio all'utente: cioè ai nuovi servizi che si prospettano, alla normativa di controllo del mercato e alla politica tariffaria.


SCIENZE FISICHE. MACCHINE "Cuscinetti guarniti di metallo bianco..."
AUTORE: MARCHIS VITTORIO
ARGOMENTI: FISICA
LUOGHI: ITALIA

IL motore era del tipo ordinario a 4 cilindri fusi per paio di 130 mm di diametro per 140 di corsa, valvole simmetriche intercambiabili, accensione con magnete a bassa tensione e disposizione dei martelletti specialissimi (brevetto Italia), carburatore automatico pochissimo sensibile ai cambiamenti di temperatura e pressione, congiunto al motore mediante una tubolatura cortissima ad evitare ogni possibile condensazione del gas. Fu questa disposizione della tubolatura, oltreché il tipo speciale di carburatore che permise l'uso di benzine molto pesanti. I cuscinetti dell'albero motore e delle bielle erano guerniti di metallo bianco antifrizione... La frizione era del tipo a dischi, con una disposizione speciale, per sopprimere ogni organo delicato, ciò che la rese oltremodo resistente... Il cambio di velocità era a 4 rapporti avanti e uno indietro; la quarta in presa diretta. Venne costruito con materiale al nichelio resistentissimo, materiale che nelle vetture Itala viene appunto adoperato per tutti gli organi soggetti a maggior fatica.... Il telaio venne costrutto in lamiera d'acciaio ad alta resistenza". Nel 1908, ai tempi di Luigi Barzini il mezzo a quattro ruote non era ancora un bene di consumo, ma lo strumento di uno sport estremo. "La vettura che la Società Itala costruì per il Principe Scipione Borghese era del tipo normale da 35/45 HP modello 1907, con delle piccole modificazioni di dettaglio...". Fatta la vettura bisognava fare i piloti. Continua Barzini: "Al presente stadio dell'automobilismo si può dunque dire che l'industria è arrivata vicino alla sua perfezione, e che nuove e infinite applicazioni pratiche dell'automobile sono possibili, per servizi regolari, per comunicazioni in regioni lontane, per trasporti su strada. Ma occorre migliorare lo chauffeur. "Mentre il macchinista ferroviario ha bisogno di dimostrare serietà di studi e superare difficili esami prima di vedersi affidare un così grande capitale e una così forte responsabilità, lo chauffeur si crea in un attimo, s'improvvisa in pochi giorni in un garage. Sono necessarie vere scuole di meccanica automobilistica per la creazione di uomini dai quali dipenderà in tanta parte l'avvenire di questo geniale mezzo di locomozione, rendendolo veramente sicuro". E' accaduto proprio così? Vittorio Marchis Politecnico di Torino


SCIENZE DELLA VITA ANDRE' LE NOTRE Il giardinerie del re Disegnò Versailles e Chantilly
AUTORE: VIETTI MARIO
ARGOMENTI: BOTANICA
PERSONE: LE NOTRE ANDRE'
NOMI: LE NOTRE ANDRE'
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, FRANCIA

NELLA Francia del XVII secolo l'arte dei giardini raggiunse i massimi livelli. I giardini vennero concepiti con lo scopo di dominare la Natura e al tempo stesso valorizzarla ricorrendo a grandiose opere di rimodellamento dei luoghi (canalizzazione di fiumi, creazione o rimozione di colline, spostamento di interi boschi). La natura venne così forzata e plasmata in modo da adattarsi al progetto del giardino. Il disegno di base prevedeva un asse centrale a fianco del quale venivano collocati simmetricamente viali, terrazze, aiuole, vasche, siepi, boschetti potati e sculture. Le aiuole a "mosaico", circondate da siepi di bosso perfettamente potate, avevano la funzione di ingrandire lo spazio a disposizione e nello stesso tempo contenere lo sconfinamento delle piante. I giardinieri che si distinsero in questo periodo furono principalmente i membri della famiglia Le Notre che furono al servizio della Corte per tre generazioni. Il più abile fu senza dubbio Andrè (1613-1700), che mise in pratica i propri studi di pittura e architettura con originali realizzazioni. Il primo dei suoi capolavori fu il giardino di Vaux-le-Vicomte seguito dal Parco di Versailles che lo rese famoso. Suoi sono anche i disegni dei giardini di Chantilly, Saint-Cloud, Sceaux, Fontainebleau, Le Tuileries (uno tra i primi giardini aperti al pubblico); in Italia realizzò i giardini del Palazzo Reale a Torino e del Castello di Racconigi. Andrè Le Notre seppe interpretare e tradurre nei suoi progetti il gusto del potere: le dimensioni dei giardini divennero grandiose e le prospettive infinite. Queste grandi estensioni seguivano sempre precisi canoni architettonici che conferivano all'insieme armonia ed equilibrio. In questo modo Le Notre creò uno stile nuovo, anche se strettamente legato all'arte dei giardini italiani rinascimentali dai quali aveva attinto i criteri progettuali, ma dai quali differiva per le dimensioni e le aperture a "perdita d'occhio" verso il paesaggio circostante. La caratteristica principale dei giardini di Le Notre è dunque la visuale libera che si ha dalla casa, situata sempre in posizione dominante, all'estremità del parco e viceversa lungo il viale principale (l'asse centrale), con volute interruzioni date dai viali trasversali, dai parterres fioriti, dalle siepi, dalle vasche, dalle fontane e dai rettangoli a prato. Tutti questi elementi sono studiati in modo da ottenere comunque una soluzione di continuità affinché sia rispettato il punto di vista globale; il collegamento tra le varie parti del giardino è infatti realizzato gradualmente con l'inserimento di leggere pendenze o di bassi e ampi scalini, gli alberi e i boschetti non sono mai vicini alla casa, ma solo nelle zone più esterne, i giochi d'acqua sono realizzati con dimensioni progressivamente crescenti partendo dall'abitazione. Ma l'idea più nuova è rappresentata dal diverso assetto dato ai parterres, le aiuole decorate, rispetto ai giardini rinascimentali: le dimensioni aumentano e le forme e i disegni danno l'impressione di un grosso ricamo (parterre de broderie), contribuendo all'effetto di continuità. La monumentalità dei giardini creati da Le Notre richiedeva un'area molto estesa e parecchia manodopera: per la costruzione del castello e del parco di Vaux- le-Vicomte furono addirittura demoliti tre villaggi e vennero impiegati circa 18.000 uomini. I lavori iniziarono nel 1656 per volere del ministro delle Finanze di Luigi XIV, Nicolas Fouquet, e terminarono nel 1661. La collaborazione di tre esperti, Le Notre, l'architetto Le Veau e il pittore Le Brun, contribuì a creare un capolavoro. Il progetto del giardino di Vaux-le-Vicomte sfrutta i naturali pendii del terreno; Le Notre li mimetizzò abilmente con due grandi parterres, diversi uno dall'altro, che discendono progressivamente e accolgono tutte le componenti decorative. In corrispondenza dei dislivelli corrono tre grandi viali perpendicolari all'asse centrale. La composizione risulta nello stesso tempo aperta e ordinata, unificata ed equilibrata lungo il viale centrale, e può essere abbracciata in un solo sguardo. Dal centro del castello parte il viale principale che termina davanti ad un enorme bacino quadrato al di là del quale, leggermente più in basso, scorre il fiume Anqueil canalizzato da Le Notre. Quest'ultimo si allarga in linea con l'asse centrale e origina una grande vasca contornata da grotte, movimentata da fontane in miniatura e da piccole cascate. Dietro, oltre una grande terrazza, si estende il parco lasciato a bosco, ad eccezione della fascia centrale tenuta a prato. Le Notre usò abbondantemente i motivi d'acqua, cercando però di contenerne il dinamismo, appena accennato da piccoli getti, e preferendo piuttosto creare giochi di riflessi. Le opere in muratura sono ridotte al minimo e l'ornamento del giardino è affidato alla componente vegetale utilizzando specie che sopportano severe potature (tassi, bossi, tigli, carpini e castagni). Il bosco intorno al parco nasconde piccoli rifugi verdeggianti, cascatelle e scalinate. Non mancano naturalmente statue, vasi e altre decorazioni scultoree. All'inaugurazione del castello di Vaux-le-Vicomte (1661) il giovane re Luigi XIV, vedendo tutto questo splendore, fu colto da una feroce gelosia tanto che fece arrestare Fouquet con l'accusa di aver svuotato le casse reali per costruirsi una così sontuosa residenza. Per non essere da meno il re decise di farsi costruire un castello e un giardino ancora più imponenti; chiamò quindi i tre progettisti (Le Notre, Le Veau e Le Brun) di Vaux-le-Vicomte e affidò loro l'incarico di ampliare la residenza di caccia di Versailles. Il risultato fu sorprendente e veramente grandioso. Il giardino di Versailles si sviluppa sempre lungo un asse centrale, ma con estensioni più grandi (2,5x3,5 chilometri) e maggior ricchezza di decorazioni rispetto a Vaux-le-Vicomte; a differenza di quest'ultimo, Le Notre creò, oltre agli spazi aperti, degli spazi chiusi all'interno dei boschetti, ognuno con una sistemazione paesaggistica diversa (il teatro d'acqua, la sala da ballo, il labirinto). In queste scenografie l'acqua costituiva un elemento importante e largamente usato (in totale funzionavano 1400 fontane), diventando la caratteristica dei giardini di Versailles. Naturalmente, data l'estensione, non è possibile abbracciare con un solo sguardo tutta l'area come a Vaux-le-Vicomte. I lavori iniziarono nel 1662 e durarono più di 50 anni; si dovette intervenire sull'ambiente in modo radicale con opere di drenaggio e movimenti di terra per poter attuare questo imponente progetto. Fu persino deviato un fiume per assicurare l'alimentazione idrica e furono effettuate ingegnose opere idrauliche. In Italia l'opera più significativa realizzata secondo lo stile del "giardino formale francese" è rappresentata dai Giardini del Palazzo Reale di Torino che furono risistemati da Andrè Le Notre nel 1697 per volere di Vittorio Amedeo II e quasi certamente fu uno dei suoi ultimi progetti. L'area irregolare di questi giardini non rese facile il lavoro. Per dare un assetto più ordinato, Le Notre li concepì con tre visioni prospettiche prevalenti. Nella prima, verso Nord, sistemò aiuole piuttosto lunghe e una serie di basse piante in vaso; verso destra, separata da alti tigli e platani, si apriva la seconda vista di forma triangolare e ortogonale alla prima, dove Le Notre aveva previsto due grandi parterres alla cui estremità si trovava una vasca rotonda. I lati erano circondati da due larghi viali che terminavano al primo dei sei viali a raggiera sul bastione di San Vittorio, rivelando la terza vista prospettica. Anche qui a Torino Le Notre usò molto l'acqua; purtroppo attualmente delle 11 fontane previste dal progetto (di cui solo 6 furono terminate) rimane solo il grande bacino, modificato nel '700. Mario Vietti


SCAFFALE Garlaschelli e Polidoro: "I segreti dei fachiri", Ed. Avverbi, Polidoro Massimo: "L'illusione del paranormale", Muzzio
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: PSICOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Mangiare vetro, camminare sui carboni ardenti, trafiggersi con gli spilloni... Occorrono poteri paranormali per affrontare queste (inutili) esibizioni? No, basta applicare bene dei vecchi trucchi, che Luigi Garlaschelli e Massimo Polidoro illustrano molto bene nel loro delizioso libretto "I segreti dei fachiri". Polidoro è anche l'autore di un'ampia e documentata storia del paranormale, con prefazione di Aldo Visalberghi.


SCIENZE DELLA VITA I SITI ARCHEOLOGICI UNESCO Da Abu Simbel a Teotihuacan Ma quanto è protetto il "patrimonio dell'umanità"?
Autore: GIULIANO WALTER

ARGOMENTI: ARCHEOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: UNESCO
LUOGHI: ITALIA

L'eredità mondiale nel settore del patrimonio archeologico assume valore particolare, perché ci testimonia dell'antica presenza dell'uomo e del suo ingegno. Molti siti rappresentano centri di civiltà che per motivi spesso ancor oggi sconosciuti sono decaduti e poi abbandonati. Oggi disabitati, sono il regno dei custodi, delle guide e dei turisti. Ma la loro importanza culturale si è via via radicata nel sentire comune e tutti sono ormai convinti del loro significato. Senza questa presa di coscienza non ci sarebbe certamente stata la mobilitazione che, negli Anni Sessanta, ha contribuito a salvaguardare dalla minaccia delle acque i templi di File e Abu Simbel nell'Alto Egitto. Mobilitazione che è stata alla radice dell'impegno dell'Unesco e della sua successiva politica di salvaguardia del patrimonio mondiale. L'interesse per le civiltà scomparse ha consentito all'Unesco di compilare un consistente elenco di grandi siti archeologici, oggi inseriti nella Lista del patrimonio mondiale. E' così che troviamo, dal 1980, la città morta di Axum, nel Nord dell'Etiopia nella regione del Tigrai, capitale di quello che un testo greco del III secolo descrisse come Terzo regno del mondo, che conserva alcune steli giganti, la più alta delle quali, con i suoi 33 metri rappresenta il più grande monolite conosciuto scolpito ed eretto dall'uomo. Oppure la colonia di Timgad in Algeria, città di struttura urbana romana inserita su un impianto indigeno. Fondata nell'anno 100 sotto il regno dell'imperatore Traiano partendo dall'antico insediamento di Thamugadi, riproduce i rigorosi principi dell'urbanistica romana, con foro, campidoglio, templi, mercati, terme. E' nella Lista dal 1982. Per non dire della notissima Petra, città giordana nata dalla roccia a Sud del Mar Morto, al crocevia dei percorsi carovanieri che commerciavano incenso, spezie, sete cinesi, oro indiano e schiavi di Nubia. Capitale di Nabatea fu edificata in una cavità naturale accessibile solo attraverso uno stretto corridoio di due chilometri e concentra un'architettura rupestre di singolare bellezza stratificatasi attraverso i secoli a partire dal IV a. C. In India, è stata invece individuata sin dal 1986 l'antica città di Vijayanagar nei pressi dell'odierna Hampi, sull'altopiano del Deccan, centro del vasto impero hindu. Difesa da sette cinte fortificate, presenta un centro con oltre 500 edifici di grande valore tra cui la grande torre di accesso al tempio di Qampapati. Ma non mancano siti del Nuovo Mondo, come la messicana Teotihuacan, inserita nella Lista nel 1987. Questa città sacra precolombiana sorge sulle montagne a cinquanta chilometri a Nord di Città del Messico e, intorno all'imponente centro cerimoniale segnato dalla piramide del sole, la piramide della lune e il tempio di Quetzalcoatl, erano disposti 4000 edifici costruiti in pietra vulcanica per una estensione che, nel periodo di massimo splendore, copriva trentasei chilometri quadrati. E' invece in Perù Chan CHan, antica capitale del regno Chimu, nella valle del Moche, di cui rimangono straordinarie rovine a testimoniare la potenza di una civiltà che dominò un impero che si estendeva dal golfo di Guayaquil alla regione di Paramonga. Una città di venti chilometri quadrati, la più grande dell'America precolombiana, suddivisa in nove grandi quartieri a blocchi rettangolari chiusi da muraglie e circondata da terreni resi fertili dall'acqua di irrigazione condotta nella regione da un acquedotto di ottanta chilometri. Inserita nella Lista nel 1986 va protetta dai saccheggi e dall'erosione e necessita del consolidamento sistematico degli edifici. La Lista prosegue, al di là di queste esemplificazioni, comprendendo ad esempio il Tassili n'Ajjer, il grande altopiano del Sahara centrale nel Sud-Est algerino ricco di migliaia di pitture e incisioni che ne fanno il più grande museo preistorico all'aria aperta; oppure le grotte di Mogao nel Nord-Ovest della Cina ai confini del deserto di Taklamakan, straordinario insieme di templi rupestri buddhisti; oppure ancora le rovine del più grande santuario oracolare di Apollo a Delfi, sulle pendici Sud occidentali del Monte Parnaso in Grecia. E' evidente che ognuno di questi siti, meriterebbe un capitolo apposito. Ed è altrettanto evidente la necessità di salvaguardare ad ogni costo questi capolavori. L'inserimento nella lista del patrimonio mondiale è il primo passo, ma da solo non basta. E' necessario l'impegno dei governi locali e della solidarietà internazionale cui l'Unesco fa affidamento. Walter Giuliano


SCAFFALE Humphrey Nicholas: "Una storia della mente", Instar Libri, Torino
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: PSICOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

NICHOLAS Humphrey, psicologo e autorevole studioso di scienze cognitive alla New School of Social Research di New York, sorride di Cartesio: "Il suo "penso, quindi esisto" è l'affermazione di un intellettuale che sottovaluta il maldidenti". Al "Cogito ergo sum" cartesiano, Humphrey sostituisce il suo "Sento, dunque esisto" e in questo libro, per capire i meccanismi fondamentali del cervello analizza soprattutto la percezione visiva. Vediamo attraverso quella speciale periferia anteriore del cervello che è la retina, o attraverso la parte posteriore della corteccia che si attiva in seguito a un segnale luminoso? Dov'è che si forma realmente la percezione di una forma, di un colore, di un movimento? In queste pagine, tradotte con precisione ed eleganza da Benedetta Antonielli d'Oulx, Humphrey propone una originale fenomenologia della mente. Il suo è un tentativo scientificamente all'avanguardia di afferrare la fisicità dell'anima, un po' come, molto ingenuamente, nel 1907 fece il dottor Duncan MacDougall, che l'anima provò a pesarla sistemando i suoi pazienti moribondi su un letto tenuto in equilibrio da contrappesi ben bilanciati. Per la vostra curiosità, in sei casi al momento della morte rilevò una perdita di peso tra i 10 e i 40 grammi; la stessa tecnica di misura, applicata sui cani, non denunciò differenze... Che sia lo stesso Humphrey a rievocare questo curioso episodio, è prova del suo humour e della cautela che egli mette nella sua ricerca scientifica.


IN BREVE Internet: più utenti con un solo modem
AUTORE: A_CON
ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI, TECNOLOGIA, DIDATTICA
ORGANIZZAZIONI: INTERNET, EUTRON
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

Internet è una risorsa. Spesso, soprattutto nelle scuole, è però una risorsa per pochi. I costi degli abbonamenti e soprattutto quelli delle connessioni telefoniche sono infatti una forte limitazione al diffondersi di terminali collegati alla Rete nelle aule scolastiche. Il problema è però risolvibile con il soft ware Eutron IM-Share, che consente di far navigare più utenti su una singola connessione (e quindi con un solo modem), contemporaneamente e senza costi aggiuntivi: software che la Eutron (035-697011) ha deciso di regalare alle scuole medie inferiori e superiori, nonché a tutti gli istituti universitari che, già dotati di un collegamento Internet, ne facciano richiesta. Im Share è un proxy server che consente, all'interno della medesima Lan, l'utilizzo contemporaneo di Internet da parte di un numero illimitato di utenti che condividono lo stesso account del Servive Provider. Le funzioni accessorie di Im Share prevedono una gestione centralizzata delle risorse di comunicazione, permettendo l'inibizione degli accessi a utenti non autorizzati o limitando una parte delle risorse Internet. (a. con.)


SCIENZE FISICHE. LA MATERIA OSCURA Un alone galattico di "nane brune" Gli indizi sugli astri che non si possono vedere
Autore: CAGNOTTI MARCO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, FISICA
NOMI: RONCADELLI MARCO, DE PAOLIS FRANCESCO, INGROSSO GABRIELE, JETZER PHILIPPE, DIXON DAVID
LUOGHI: ITALIA

CHE ci sia, lo sanno tutti. Che cosa sia, ancora non è chiaro. Della materia che compone l'universo al massimo un decimo è osservabile grazie alla radiazione elettromagnetica che emette. Tutto il resto è "materia oscura", invisibile per i nostri strumenti. Capire la sua natura è una delle sfide più affascinanti dell'astrofisica. Ma un passo avanti è stato compiuto recentemente grazie alle conferme sperimentali di un modello proposto da ricercatori italiani e svizzeri. Se non è visibile, come si può essere sicuri che la materia oscura esiste? Grazie ai suoi effetti gravitazionali. Per esempio, le stelle ruotano intorno al nucleo galattico a una velocità maggiore di quella che dovrebbero avere se la massa della galassia fosse solo quella osservabile. L'unica spiegazione possibile è la presenza di materia invisibile, che fa sì che gli astri siano attratti verso il centro con una forza maggiore del previsto. Un altro indizio è dato dalle lenti gravitazionali. Quando un ammasso galattico si frappone tra noi e un oggetto molto lontano, come una galassia o un quasar, la traiettoria della luce di quest'ultimo viene incurvata e noi vediamo un'immagine fortemente deformata. Dalla sua forma si può risalire alla quantità di materia presente nell'ammasso interposto. Ebbene, anche in questo caso si trova un valore superiore a quello della massa visibile. Bisogna però ancora capire da cos'è formata la materia oscura. Un'indicazione molto promettente è arrivata nel 1993 con la scoperta delle microlenti gravitazionali. Osservando la Grande Nube di Magellano, una galassia satellite della nostra, si è trovato che alcune stelle aumentano e diminuiscono la propria luminosità nel giro di un mese. Escludendo una variazione intrinseca, si può solo immaginare che, lungo la linea visuale, si interpongano oggetti scuri e massicci che deviano la luce e generano piccole lenti gravitazionali. Questi astri sono stati chiamati MACHOs (Massive Astrophysical Compact Halo Objects). Nel 1995 Marco Roncadelli e Francesco De Paolis, dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Gabriele Ingrosso, dell'Università di Lecce, e Philippe Jetzer, del Paul Scherrer Institut di Zurigo, hanno proposto come candidati al ruolo di MACHOs le nane brune, astri con una massa troppo piccola per innescare le reazioni termonucleari che rendono luminose le stelle ordinarie. Secondo il loro modello l'alone galattico sarebbe popolato da ammassi di nane brune. Vederli direttamente è impossibile, ma si può avere una prova indiretta della loro esistenza. Infatti le stelle appena nate sono avvolte in una nube di idrogeno molecolare, che successivamente viene dispersa nello spazio dal "vento solare" provocato dalle reazioni termonucleari. Nelle nane brune la fusione nucleare non avviene, ed esse si trascinano dietro il "bozzolo" di idrogeno. Queste nubi contribuiscono dal canto loro alla materia oscura, e inoltre vengono bombardate dai raggi cosmici, emettendo radiazione gamma. Quindi se nell'alone ci sono molte nane brune con le nubi al seguito, si dovrebbe osservare un fondo diffuso di raggi gamma. Recentemente un gruppo di ricercatori guidati da David Dixon dell'Università della California ha analizzato i dati raccolti dal satellite Com pton Gamma Ray Observatory. E ha scoperto proprio quel fondo di radiazione previsto dal modello delle nane brune, con un'intensità tale da essere in ottimo accordo con le previsioni. Ma se una predizione riuscita da sola non bastasse, anche un altro fenomeno può essere spiegato dalle nane brune dell'alone. Molte sorgenti radio esterne alla Via Lattea "scintillano", un po' come fanno le stelle viste attraverso l'atmosfera terrestre. Sembra che la radiazione attraversi delle nubi di gas prima di raggiungere i nostri radiotelescopi. In un articolo comparso nei mesi scorsi su Astrophysical Journal, due astrofisici australiani, M. Walker e M. Wardle, hanno constatato che la presenza di nubi di idrogeno freddo nell'alone galattico è la spiegazione migliore fra tutte quelle proposte finora. Sono proprio le stesse nubi che dovrebbero accompagnare le nane brune. Di sicuro non è un caso che vari indizi completamente scorrelati fra loro, dai MACHOs al fondo gamma diffuso e alla "scintillazione" delle sorgenti extragalattiche, possano essere interpretati in maniera naturale con questo modello di materia oscura. Marco Cagnotti


SOTTO FORMA DI IDRATI Metano nei ghiacci polari Rischi in caso di scioglimento delle calotte
Autore: PALAZZETTI MARIO, PALLANTE MAURIZIO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, METEOROLOGIA, INQUINAMENTO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T., C. Riserve e consumi di gas naturale, 1996 (miliardi di metri cubi)

DELL'effetto serra e delle misure da intraprendere per evitare che si inneschi una mutazione climatica si è parlato a lungo in occasione della Conferenza di Kyoto, in cui i Paesi industrializzati si sono impegnati a ridurre complessivamente entro il 2010 le proprie emissioni di anidride carbonica e di altri gas serra del 5,2 per cento rispetto al 1990. Subito dopo l'attenzione nei confronti di questo problema è caduta verticalmente (chi conosce quali siano le misure con cui il nostro governo conta di mantenere gli impegni che ha assunto in quella sede?), e si risolleva solo di tanto in tanto quando interviene qualche fatto nuovo a riscuoterla. Uno degli ultimi in ordine di tempo è stato il distacco, in conseguenza dell'innalzamento della temperatura terrestre, di un iceberg delle dimensioni della Sicilia dalla banchisa polare antartica. Questo blocco di ghiaccio, procedendo verso l'Equatore ovviamente finirà per fondere. Sul fatto che lo scioglimento dei ghiacciai comporterà un innalzamento del livello degli oceani e la sommersione di interi arcipelaghi e di ampie fasce costiere si è posto a sufficienza l'accento, senza però suscitare eccessive preoccupazioni se non tra le popolazioni che ne subiranno direttamente le conseguenze. Due scoperte recenti impongono tuttavia di riconsiderare questo problema in un'ottica nuova. La prima è una proprietà dell'acqua che fino a poco tempo fa non si conosceva: il ghiaccio alla temperatura di - 15o C e alla pressione di 20 bar forma idrati con il metano. Un metro cubo di idrati di metano può contenere fino a 180 metri cubi di metano gassoso. Sulla base di questa proprietà è stato studiato in Norvegia un sistema per trasportare questo gas in modo più economico dell'attuale. Attualmente il metano viene trasportato in forma liquida sulle navi metaniere. Per farlo passare dallo stato gassoso allo stato liquido deve essere portato e mantenuto alla temperatura di - 180oC. I risparmi energetici ed economici che si avrebbero trasportandolo sotto forma di idrati a - 15oC compenserebbero abbondantemente il costo di dover trasportare anche l'acqua. La seconda scoperta è relativa ai ghiacci profondi, che pare siano permeati di metano, forse in conseguenza del fatto che l'atmosfera terrestre primordiale era ricca di questo gas, come è confermato dalla presenza che se ne riscontra nell'atmosfera di molti pianeti del Sistema solare. Da una prima stima approssimativa sembra che il metano disciolto nei ghiacci polari sia sufficiente a fornire l'energia necessaria al fabbisogno di tutta la popolazione mondiale per i prossimi 7000 anni sulla base dei consumi attuali. Se ciò fosse confermato dagli studi più approfonditi che sono in corso, la notizia sarebbe di estremo interesse non solo per la quantità delle riserve energetiche disponibili, ma anche perché il metano è il più pulito dei combustibili fossili. La sua combustione emette infatti la metà dell'anidride carbonica prodotta dal carbone e il 75 per cento di quella prodotta dal petrolio. Inoltre il gas naturale è un eccellente combustibile per i motori automobilistici, perché ha un numero di ottani eccezionalmente alto (130). Tuttavia, a queste buone notizie se ne affianca una molto preoccupante. Se in conseguenza dell'effetto serra si iniziassero a sciogliere i ghiacci polari, le grandi quantità di metano che essi contengono verrebbero rilasciate in atmosfera. Questo è ciò che sta probabilmente già avvenendo e il distacco dalla banchisa antartica dell'iceberg di cui si è parlato ne è una prova. Il problema è che il metano è 20 volte più opaco all'infrarosso dell'anidride carbonica, ovvero induce un effetto serra 20 volte maggiore del gas su cui ricade la maggiore responsabilità di questo fenomeno. La fusione dei ghiacci polari potrebbe quindi emettere in atmosfera quantità tali di metano da far varcare all'effetto serra la soglia dell'autosostentamento, oltre la quale sarebbe pressoché impossibile effettuare interventi correttivi. Si potrebbe cioè mettere in moto un ciclo in cui le emissioni di metano causate dallo scioglimento dei ghiacciai accrescerebbero l'effetto serra, da cui deriverebbe un innalzamento della temperatura terrestre che accentuerebbe lo scioglimento dei ghiacciai. Questa dinamica può inoltre essere aggravata dal metano che si libera dal sottosuolo nel corso dei terremoti. Cosa si può fare per contrastarne e impedirne l'avvio? Innanzitutto occorre prendere sul serio ogni misura possibile per ridurre le emissioni di gas serra che derivano dalla combustione degli idrocarburi, adottando su larga scala e in tempi brevi le tecnologie che accrescono l'efficienza dei processi di trasformazione energetica in modo da ridurre i consumi di energia alla fonte a parità di servizi finali. A questo proposito ricordiamo che nel nostro libro, L'uso ra zionale dell'energia, abbiamo indicato non solo una sessantina di possibilità tecnologiche (attuali per la maggior parte, con qualche puntata nel futuro prossimo) che consentono di ridurre le emissioni di anidride carbonica in misura molto più rilevante di quanto generalmente si creda, ma anche un sistema di finanziamento che non richiede interventi di denaro pubblico, nè anticipazioni di capitali da parte degli utenti finali, perché trasforma i risparmi sui consumi energetici derivanti dalla maggiore efficienza in quote di ammortamento dei costi di investimento necessari ad adottare le tecnologie che consentono di ottenerla. Se questo sistema di finanziamento, raccomandato dall'Unione Europea e conosciuto col nome di "finanziamento tramite terzi", venisse adottato su larga scala, non solo si potrebbe mettere in moto un volume d'investimenti molto superiore a quello che oggi viene attivato autonomamente dal mercato, ma si potrebbe accrescere l'occupazione in attività veramente utili sia dal punto di vista sociale, sia dal punto di vista ambientale, senza aggravi per la spesa pubblica, e quindi per la collettività, ma anzi con una riduzione dei costi d'importazione dei prodotti petroliferi. In secondo luogo, in relazione al fatto specifico della presenza di metano nei ghiacci profondi, anziché assistere impotenti alla sua dispersione in atmosfera, oltre a prevenire il fenomeno riducendo l'effetto serra, sarebbe utile sviluppare le tecnologie necessarie ad estrarlo dalla banchisa, in modo da provvedere al fabbisogno energetico futuro riducendo contemporaneamente l'uso dei combustibili fossili che emettono maggiori quantità di anidride carbonica. Mario Palazzetti Maurizio Pallante


IN BREVE In Emilia il più potente computer d'Italia
ARGOMENTI: INFORMATICA, ELETTRONICA, TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, CASALECCHIO DI RENO (BO)

Presso il Consorzio interuniversitario Cineca, di Casalecchio di Reno (Bologna), che gestisce il più importante centro di calcolo nazionale, è entrato in funzione il più potente supercalcolatore d'Italia, 29o al mondo, decimo in Europa. La macchina, denominata Cray T3E, modello 1200 a 160 processori, può fare 200 miliardi di operazioni al secondo, pari alla capacità di circa mille moderni pc; sarà accessibile alle Università e al sistema di ricerca pubblica e privata, per studi avanzati ambientali, fonti d'energia e nuovi materiali.


SCAFFALE Campbell A. J.: "Viaggio nello spazio", Ed. Dedalo; Di Donna Valerio: "Quando la Terra si scatena", Ed. Dedalo
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Due libri perfetti per l'iniziazione all'astronomia e alla geofisica, costruiti con l'antico ed efficace "metodo del catechismo", cioè a domanda e risposta, sui grandi temi come stelle, pianeti, vulcani, terremoti. A. J. Campbell: "Viaggio nello spazio", Ed. Dedalo, 200 pagi ne, 22 mila lire Piero Bianucci


IN BREVE La nave Urania del Cnr a Lisbona per Expo '98
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: CNR
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, PORTOGALLO, LISBONA

Il battello oceanografico Urania, del Cnr, rimarrà ormeggiato al porto di Lisbona fino al 30 luglio in occasione della giornata dedicata all'Italia. Dopo la manifestazione tornerà in Mediterraneo per proseguire la sua campagna di ricerche. L'Urania è stata progettata e costruita per la ricerca scientifica in mare, e compie in un anno 18, 20 campagne in Mediterraneo e Atlantico. E' lunga 61 metri, larga 11, ha una stazza lorda di mille tonnellate e ospita fino a 20 ricercatori e 16 persone fra tecnici ed equipaggio. Durante la sosta nel porto lusitano è prevista una visita del Presidente Scalfaro.


SCIENZE DELLA VITA ESPERIMENTI ALL'UNIVERSITA' DI BONN Ma allora non è vero che l'aglio previene l'infarto? Contestato il business delle pillole: nel '97 ne sono state vendute per milioni di dollari
Autore: GIACOBINI EZIO

NOMI: LICHTER KUNO
ORGANIZZAZIONI: JAMA
LUOGHI: ITALIA

LA credenza popolare, sulle virtù dell'aglio nella terapia dei più diversi disturbi, dalle infezioni alla pressione alta, sta alla base dello strepitoso successo commerciale di una delle tante terapie dall'effetto non accertato. Nel 1997 sono state vendute confezioni a base di aglio per decine di milioni di dollari in tutto il mondo. L'ingegnere chimico tedesco Kuno Lichter, un entusiasta consumatore d'aglio allo scopo di tener basso il proprio colesterolo e prevenire l'aterosclerosi, ne consumava chili ma non ne amava l'odore. Nel 1981 Lichter era in grado di produrre una compressa a base di aglio priva dell'odore caratteristico. La chiamò Kwai e nel 1982 ne vendette per 100 mila dollari. L'anno successivo le vendite erano già salite a due milioni di dollari. Oggi la pillola verde rappresenta il best-seller dei prodotti a base d'aglio con una produzione dell'ordine di miliardi di pillole l'anno. Tra le celebrate virtù dell'aglio come rimedio per il trattamento o la prevenzione delle più disparate malattie la più comune oggi è il presunto effetto di protettore del sistema cardiovascolare mediante l'abbassamento della pressione arteriosa, il calo dei grassi nel sangue, gli effetti protettivi antiossidanti, quelli diminuenti l'aggregazione delle piastrine (pericolo di infarti), e gli effetti fibrinolitici (diminuenti il rischio di trombosi). Gli studi clinici utilizzati finora per reclamizzare a scopo commerciale e documentare le presunte proprietà terapeutiche dell'umile "Allium sativum" risultano gravemente contaminati da errori di metodo di indagine, scarse o difettose descrizioni dei pazienti in studio e controlli inadeguati. E' molto difficile per il pubblico, anche il più istruito, accettare il fatto che è sempre più prudente (e meno rischioso) attendere le prove dell'evidenza di efficacia di un determinato rimedio prima di sperimentarlo su se stessi. L'analisi retrospettiva più favorevole dei dati pubblicati sull'effetto dell'aglio suggeriva che solo il 10% dei soggetti che utilizzavano preparati a base d'aglio dimostrava una modesta ma statisticamente significativa riduzione del colesterolo del sangue. Studi più recenti di migliore qualità non furono in grado di dimostrare neppure questo lieve effetto. Tenendo conto della sempre crescente popolarità e del òvasto consumo d'aglio a scopo terapeutico e onde approfondire un problema di interesse clinico ed economico, un gruppo di farmacologhi clinici dell'Università di Bonn decise di indagare il problema a fondo. L'ipotesi era quella di rivelare un possibile meccanismo mediante il quale una o più componenti dell'aglio potessero agire sul complesso metabolismo del colesterolo nell'uomo. A tale scopo un gruppo di individui dall'età media di 58 anni di ambo i sessi non sottoposti a precedente terapia ma aventi un grado moderato di ipercolesterolomia (colesterolo totale entro i limiti tra 250 e 350 mg/dl) vennero arruolati per uno studio di tipo cross-over a doppio cieco (cioè a fasi alternate con una sostanza attiva e placebo). Lo studio contemplava l'assegnazione a caso di una metà degli individui ad un trattamento con la presunta sostanza attiva (in questo caso capsule contenenti soluzioni oleose d'aglio ed alto assorbimento intestinale) corrispondente a circa 5 grammi di aglio fresco al giorno. All'altra metà venivano somministrate capsule dal colore odore e gusto analogo alle prime ma contenenti una sostanza inattiva (placebo). I due gruppi vennero trattati alternativamente e a loro insaputa con uno dei due preparati per 3 periodi di 4 settimane per un totale di 12 settimane. La valutazione del metabolismo colesterolico veniva eseguita secondo i metodi di indagine più avanzati e più sensibili (cromatografia in fase gassosa e spettrometria di massa) allo scopo di indagare su tre diversi aspetti del metabolismo del colesterolo umano. Si misuravano oltre al colesterolo totale anche le sue due componenti, cioè le lipoproteine a cosiddetta bassa ed alta densità, si stimava la capacità dell'individuo di formare il colesterolo e quella di assorbirlo. Analizzando questi tre aspetti in un gruppo rappresentativo di individui si giungeva alla conclusione (pubblicata in un recente numero di Jama, la rivista dell'Associazione di medicina americana) che l'aglio non dimostra possedere un qualsiasi effetto su alcuno dei tre fattori che sono alla base del metabolismo del colesterolo nell'uomo. Basandosi su tali risultati gli autori concludono che non esistono nè presupposti scientifici nè giustificazioni cliniche per raccomandare l'aglio come terapia diretta a far diminuire i livelli dei lipidi nel siero allo scopo di diminuire il rischio di infarto o di trombosi. Ezio Giacobini


DUBBI SUGLI ANTISOLARI Quei maledetti radicali liberi Il biossido di titanio usato nelle creme ha effetti sul Dna?
Autore: FOCHI GIANNI

ARGOMENTI: CHIMICA
LUOGHI: ITALIA

SECONDO le previsioni dei meteorologi quella che stiamo vivendo sarà una lunga estate calda, come nel titolo d'un vecchio film con Orson Welles e Paul Newman. Chi può cerca refrigerio in montagna o nelle acque marine. Sia l'aria tersa delle alte quote o del mare aperto, la quale lascia passare meglio i raggi solari, sia la lunga esposizione al sole mentre non indossiamo altro che il costume da bagno, impongono tuttavia almeno all'inizio il ricorso a buone creme protettive, soprattutto per chi è di pelle chiara. I prodotti antisolari contengono parecchi ingredienti sciolti o dispersi in un fluido. Vanno di moda le vitamine, in particolare la E, contro alcune particelle prodotte dai raggi ultravioletti, cioè contro i cosiddetti radicali liberi, raggruppamenti di atomi nei quali un elettrone è spaiato. In quanto tale, esso ha una tendenza altissima ad associarsi con un altro elettrone fra i tanti delle molecole stabili che si trovano vicine. Se questo succede in un tessuto vivente, i suoi componenti vengono aggrediti e alterati. Quando si tratta del Dna, si hanno mutazioni che possono anche dar luogo a tumori maligni. Non tutti i dermatologi sono però convinti che la vitamina E riesca a penetrare fin dentro al nucleo delle cellule, dove si trova appunto il Dna da proteggere. Esperimenti sui topi sembrano comunque dimostrare un effetto benefico, come se la vitamina distruggesse, almeno all'esterno del nucleo, i radicali in grado di sopravvivere tanto da entrare e minacciare il Dna. Non è detto tuttavia che la pelle dei topi sia un buon modello per il comportamento della nostra. Vitamine a parte, i componenti principali delle creme sono sostanze che filtrano i raggi ultravioletti (li assorbono, e poi riemettono sotto altra forma l'energia da essi trasportata) oppure costituiscono una barriera fisica per le radiazioni solari nel loro complesso. Tra queste ultime figura un comunissimo pigmento bianco, il biossido di titanio. Ridotto a una polvere impalpabile e mescolato alla crema, esso le dà un aspetto lattiginoso e disperde un po' tutto quello che il sole c'invia: quindi anche i raggi ultravioletti e infrarossi, responsabili di scottature, invecchiamento cutaneo e produzione dei malfamati radicali liberi. Il biossido di titanio è un prodotto industriale che ha molte applicazioni, a cominciare dalle vernici bianche. E' resistente e inerte; quest'ultima qualità lo rende perfettamente innocuo per il nostro organismo, tanto da farcelo trovare addirittura come eccipiente nella composizione di pillole medicinali. Eppure quest'anno John Know land, biochimico dell'università inglese di Oxford, ha sollevato un dubbio che, seppure non deve generare timori sproporzionati, dovrà tuttavia essere preso in seria considerazione dall'industria cosmetica. Il biossido di titanio non è insensibile ai cosiddetti Uva, cioè ai raggi ultravioletti di lunghezza d'onda maggiore: per intenderci, quelli più simili alla luce violetta visibile. Quando questi raggi lo colpiscono, il biossido di titanio agisce da semiconduttore, poiché alcuni elettroni diventano mobili all'interno delle particelle solide e al loro posto si generano altrettante lacune. Tale proprietà viene studiata - ricorda Knowland - anche per la bonifica delle acque reflue. Gli elettroni strappati alle loro posizioni normali hanno il potere di trasferirsi sulle molecole dell'acqua, generando radicali liberi ossidrilici o superossidici. Questi poi sono capaci di distruggere molte sostanze inquinanti. Se anche nelle creme solari il biossido di titanio, colpito dagli Uva, generasse davvero radicali liberi, secondo Knowland il nostro Dna sarebbe in pericolo: la stessa crema solare ci esporrebbe al rischio di quei tumori da cui vorrebbe difenderci. Gianni Fochi Scuola Normale, Pisa


SCIENZE DELLA VITA PARLARE CON I PIEDI Quando l'alluce ha un'erezione
Autore: PACORI MARCO

ARGOMENTI: PSICOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

IL piede. Una parte del corpo che in genere non lascia indifferenti; la sua vista o il contatto con esso in alcuni provocano sentimenti di disgusto e repulsione; in altri suscitano attrazione o possono ispirare fantasie feticistiche. Il piede difficilmente viene mostrato; solo il mare o la località turistica forniscono il contesto in cui può essere lasciato nudo o fasciato da calzature aperte. Alle sole donne viene consentito di esibirlo anche in città: scarpe senza punta, sandaletti, scarpe scollate sono prerogativa del gentil sesso; un uomo con i sandali o peggio un individuo che giri in ciabatte è giudicato con disprezzo; il suo comportamento è visto come un segno di sciatteria, di trascuratezza o di ostentato anticonformismo. Il piede è oggi rivalutato nella medicina alternativa: la reflessologia plantare lo "legge" per fare una diagnosi della salute psicofisica della persona; la bioenergetica osserva il modo in cui lo si appoggia al suolo e insegna che il " grounding", il radicamento a terra di questa estremità, è un significativo indice di stabilità e di contatto con la realtà. E' ormai luogo comune nello studio del linguaggio del corpo che la parte dalla cintola in giù è la meno controllata e quindi può divenire una fonte di importanti informazioni sull'atteggiamento, sulle intenzioni e sulle emozioni dell'altro. Quando l'individuo è in tensione, il modo in cui muove, contrae, agita i piedi lascia trapelare il suo stato d'animo anche quando il resto del corpo sembra trasmettere un messaggio di sicurezza e disinvoltura. In posizione eretta l'ansia, la fretta o l'apprensione vengono espresse tenendo un piede nella direzione dell'interlocutore o dell'uditorio e l'altro verso una potenziale via di fuga (una porta, l'atrio, e così via); un altro indice di emotività è il calpestarsi una scarpa o lo sfregarle, poggiando i piedi sul versante esterno. O ancora, chi è in ansia può sollevare i tacchi come per andarsene, ma rimanendo dove si trova, oppure muovere le dita, torcendo le punte delle scarpe. Un altro tipico segno di agitazione è far oscillare il peso del corpo, poggiando ora su un piede ora sull'altro. La comodità dello stare seduti non offre un sollievo sufficiente a inibire queste azioni; anzi, altre se ne aggiungono: chi non vede l'ora di andarsene, accavalla le gambe, tenendo il piede sospeso: quindi lo spinge con moto altalenante avanti e indietro, lo contrae, curvando le dita (o piegando l'estremità della scarpa); infine, può "aggrovigliare" strettamente le estremità. Con i piedi (e quindi non solo "... con le mani..." come dice la famosa canzone di Zucchero) possiamo fare tante altre cose: ad esempio, mostrare impazienza, battendoli sul pavimento o tirandoli all'indietro, da seduti, quando un argomento o altro ci dà fastidio o ci induce un senso di rifiuto; se la situazione ci sta "stretta" possiamo sedere, incrociare le gambe e calciare nel vuoto oppure tenere i talloni sollevati nell'evidente impulso a toglierci di lì (magari portando il busto in avanti e afferrando i braccioli con le mani). La posizione delle nostre estremità inferiori può peraltro indicare anche interesse o attenzione; chi è "preso" da ciò che ascolta o vede, può tenere il piede sollevato, a volte anche a lungo. Se siamo coinvolti in una conversazione e notiamo una terza persona che ci piace, possiamo orientare il nostro piede verso di essa. Uno dei più vistosi segni di eccitazione è un'accentuazione del tono muscolare: fenomeno osservabile soprattutto in una donna che porti la gonna corta: le gambe appaiono tese e scattanti e, se il piede è scalzo o se la calzatura lascia libere le dita, possiamo notare, in circostanze di forte coinvolgimento, una vera e propria erezione dell'alluce. I piedi, come si è accennato, possono indurre forti stimoli sessuali per qualcuno: in particolare, i piedi femminili per l'uomo sono spesso vissuti come attraenti; in parte perché sono più piccoli e sinuosi del piede maschile (le scarpe con il tacco alto servono ad esaltare quest'aspetto) e quindi diventano un "segno distintivo" di femminilità, e in parte perché la pianta del piede produce gli stessi acidi grassi della regione genitale: quindi il suo odore può funzionare inconsapevolmente da richiamo sessuale. Proprio in funzione di queste caratteristiche le donne che vogliano sedurre il compagno possono, più o meno intenzionalmente, dirigere l'attenzione di quest'ultimo su questa parte del corpo: ad esempio, sfilando la scarpa e facendola dondolare sulla punta del piede, accarezzandosi il collo del piede o tenendolo parallelo alla gamba (quest'azione annulla il potenziale simbolismo fallico del piede, identificato da Freud già prima della fine dell'altro secolo). Marco Pacori


SCIENZE FISICHE. PRIMA CHE CADA SULLA TERRA Come distruggere la Mir Verrà fatta precipitare nel Pacifico
Autore: PICCOLO ROBERTO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
NOMI: KRIVALEV SERGEI
ORGANIZZAZIONI: MIR
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. La stazione spaziale Mir

SERGEI Krikalev, l'astronauta che ha totalizzato 600 giorni di permanenza a bordo della Mir, nei giorni scorsi in Francia a Megeve con i suoi colleghi americani e francesi, non si sbilancia sulla data di chiusura della stazione orbitale russa. "Decideremo solo nell'estate prossima, non posso dire altro". Di altro avviso la Nasa, che prevede per giugno del prossimo anno il rientro forzato a Terra della Mir, in coincidenza con il termine della missione dell'ultimo equipaggio russo che sarà lanciato nello spazio a fine febbraio. Più che il "quando", è comunque interessante capire come. "Sarà un'operazione estremamente delicata - precisa Krikalev -. La Mir è un oggetto complesso e tutt'altro che aerodinamico: una grande croce di 30 per 40 metri, 130 tonnellate di peso e 400 metri cubi di volume, oltretutto piena zeppa di pannelli solari. Dovremo distruggerla, lanciandola verso il centro dell'Oceano Pacifico con un margine di errore di pochi chilometri". Perché non lasciarla dov'è? "Se la abbandonassimo a se stessa, cadrebbe comunque sulla Terra nel volgere di due anni, con la sola differenza che non sapremo mai dove; è importante perciò forzarne il rientro con la massima precisione. "Per farlo invieremo verso la Mir una navicella cargo della serie Progress-M1. (All'inizio i russi ne avevano previste cinque poi ridotte ad una per gli elevati costi dell'operazione e per il parallelo impegno con la nuova stazione internazionale, ndr). Agganciata alla stazione fornirà, con il suo propulsore potenziato, la spinta frenante necessaria a farla scendere su orbite più basse". La Mir - spiega Krikalev - gira attorno alla Terra a 380 chilometri di altitudine e ad una velocità di 28.000 chilometri orari, perdendo quota, a quell'altezza, mediamente di un chilometro ogni settimana. Per accelerare l'avvicinamento al pianeta è necessario rallentare la velocità orbitale. All'inizio saranno frenate leggere, piccoli e frequenti impulsi, coordinati direttamente dall'equipaggio di bordo che avrà cura di mantenere la stazione sulla traettoria prevista e di non farla sbandare. "Quando l'abbandoneremo si troverà ad una quota di 130 chilometri con tutte le strumentazioni di navigazione ancora accese. Nel momento in cui arriverà a 110, a contatto con il primo strato dell'atmosfera, da Terra verrà data manetta al propulsore dalla Progress-M1. La spinta che ne deriverà, concentrata in 220 secondi ed al massimo della potenza, accentuerà rapidamen-te l'angolo di caduta, sino ad allora sui 2 gradi, e soprattutto la velocità. In soli 30 minuti la stazione impatterà con le acque dell'oceano. L'operazione di rientro durerà più o meno una settimana". Recupererete qualche strumento di bordo quando lascerete la stazione? "L'unica cosa che porteremo a Terra saranno i ricordi di un'esperienza davvero unica oltre ad un bilancio più che positivo in termini tecnico-scientifici". Da quel momento terminerà anche l'epopea per molti versi leggendaria della conquista spaziale russa. Krikalev non rimarrà però disoccupato. Come ingegnere capo farà parte, dal luglio prossimo, del primo equipaggio della nuova stazione internazionale, dopo che altre missioni russo-americane (cinque per la precisione) ne avranno assemblato le prime parti, tra novembre e giugno. "Alfa" (il suo nome provvisorio, ma se ne cerca uno definitivo e tutte le proposte sono bene accette) darà il cambio alla vecchia Mir giusto in tempo per salutarla nel suo ultimo viaggio. Roberto Piccolo


SCIENZE DELLA VITA ESPERIMENTI ALL'UNIVERSITA' DI BONN Ma allora non è vero che l'aglio previene l'infarto? Contestato il business delle pillole: nel '97 ne sono state vendute per milioni di dollari
Autore: GIACOBINI EZIO

NOMI: LICHTER KUNO
ORGANIZZAZIONI: JAMA
LUOGHI: ITALIA

LA credenza popolare, sulle virtù dell'aglio nella terapia dei più diversi disturbi, dalle infezioni alla pressione alta, sta alla base dello strepitoso successo commerciale di una delle tante terapie dall'effetto non accertato. Nel 1997 sono state vendute confezioni a base di aglio per decine di milioni di dollari in tutto il mondo. L'ingegnere chimico tedesco Kuno Lichter, un entusiasta consumatore d'aglio allo scopo di tener basso il proprio colesterolo e prevenire l'aterosclerosi, ne consumava chili ma non ne amava l'odore. Nel 1981 Lichter era in grado di produrre una compressa a base di aglio priva dell'odore caratteristico. La chiamò Kwai e nel 1982 ne vendette per 100 mila dollari. L'anno successivo le vendite erano già salite a due milioni di dollari. Oggi la pillola verde rappresenta il best-seller dei prodotti a base d'aglio con una produzione dell'ordine di miliardi di pillole l'anno. Tra le celebrate virtù dell'aglio come rimedio per il trattamento o la prevenzione delle più disparate malattie la più comune oggi è il presunto effetto di protettore del sistema cardiovascolare mediante l'abbassamento della pressione arteriosa, il calo dei grassi nel sangue, gli effetti protettivi antiossidanti, quelli diminuenti l'aggregazione delle piastrine (pericolo di infarti), e gli effetti fibrinolitici (diminuenti il rischio di trombosi). Gli studi clinici utilizzati finora per reclamizzare a scopo commerciale e documentare le presunte proprietà terapeutiche dell'umile "Allium sativum" risultano gravemente contaminati da errori di metodo di indagine, scarse o difettose descrizioni dei pazienti in studio e controlli inadeguati. E' molto difficile per il pubblico, anche il più istruito, accettare il fatto che è sempre più prudente (e meno rischioso) attendere le prove dell'evidenza di efficacia di un determinato rimedio prima di sperimentarlo su se stessi. L'analisi retrospettiva più favorevole dei dati pubblicati sull'effetto dell'aglio suggeriva che solo il 10% dei soggetti che utilizzavano preparati a base d'aglio dimostrava una modesta ma statisticamente significativa riduzione del colesterolo del sangue. Studi più recenti di migliore qualità non furono in grado di dimostrare neppure questo lieve effetto. Tenendo conto della sempre crescente popolarità e del òvasto consumo d'aglio a scopo terapeutico e onde approfondire un problema di interesse clinico ed economico, un gruppo di farmacologhi clinici dell'Università di Bonn decise di indagare il problema a fondo. L'ipotesi era quella di rivelare un possibile meccanismo mediante il quale una o più componenti dell'aglio potessero agire sul complesso metabolismo del colesterolo nell'uomo. A tale scopo un gruppo di individui dall'età media di 58 anni di ambo i sessi non sottoposti a precedente terapia ma aventi un grado moderato di ipercolesterolomia (colesterolo totale entro i limiti tra 250 e 350 mg/dl) vennero arruolati per uno studio di tipo cross-over a doppio cieco (cioè a fasi alternate con una sostanza attiva e placebo). Lo studio contemplava l'assegnazione a caso di una metà degli individui ad un trattamento con la presunta sostanza attiva (in questo caso capsule contenenti soluzioni oleose d'aglio ed alto assorbimento intestinale) corrispondente a circa 5 grammi di aglio fresco al giorno. All'altra metà venivano somministrate capsule dal colore odore e gusto analogo alle prime ma contenenti una sostanza inattiva (placebo). I due gruppi vennero trattati alternativamente e a loro insaputa con uno dei due preparati per 3 periodi di 4 settimane per un totale di 12 settimane. La valutazione del metabolismo colesterolico veniva eseguita secondo i metodi di indagine più avanzati e più sensibili (cromatografia in fase gassosa e spettrometria di massa) allo scopo di indagare su tre diversi aspetti del metabolismo del colesterolo umano. Si misuravano oltre al colesterolo totale anche le sue due componenti, cioè le lipoproteine a cosiddetta bassa ed alta densità, si stimava la capacità dell'individuo di formare il colesterolo e quella di assorbirlo. Analizzando questi tre aspetti in un gruppo rappresentativo di individui si giungeva alla conclusione (pubblicata in un recente numero di Jama, la rivista dell'Associazione di medicina americana) che l'aglio non dimostra possedere un qualsiasi effetto su alcuno dei tre fattori che sono alla base del metabolismo del colesterolo nell'uomo. Basandosi su tali risultati gli autori concludono che non esistono nè presupposti scientifici nè giustificazioni cliniche per raccomandare l'aglio come terapia diretta a far diminuire i livelli dei lipidi nel siero allo scopo di diminuire il rischio di infarto o di trombosi. Ezio Giacobini




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