TUTTOSCIENZE 1 ottobre 97


IL TERREMOTO IN UMBRIA E MARCHE Appennino a rischio Perché due scosse forti in poche ore
Autore: DRAGONI MICHELE

ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA, TERREMOTI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, PERUGIA (PG)
TABELLE: T. La scala Mercalli C. Le zone sismiche in Italia

PERCHE' avvengono i terremoti? Un giorno potremo prevedere un sisma come quello che ha sconvolto l'Umbria e le Marche? Dopo millenni di ipotesi fantasiose, la ricerca scientifica degli ultimi cento anni ha infine risposto al primo quesito. I terremoti sono la conseguenza di accumuli di energia elastica nello strato più superficiale della Terra, chiamato litosfera. L'energia si accumula perché la litosfera è frammentata in numerose placche che si muovono l'una rispetto all'altra, anche se così lentamente che normalmente non ce ne accorgiamo. Questa energia non può accumularsi all'infinito, perché la resistenza delle rocce che formano la litosfera ha un limite. Purtroppo il rilascio dell'energia accumulata non avviene in maniera dolce, ma si produce in modo improvviso e traumatico, con un terremoto. Poiché l'accumulo di energia avviene soprattutto lungo i margini delle placche litosferiche, è qui che ha origine la maggior parte dei terremoti. La catena degli Appennini è uno di questi margini di placca. La memoria dei terremoti avvenuti negli ultimi duemila anni, registrata nei cataloghi della sismicità, ha permesso di disegnare una mappa della pericolosità sismica del territorio italiano, da cui si può constatare che l'Appennino Umbro-Marchigiano ha risentito anche in passato di terremoti con intensità simile a quella del 26 settembre scorso. I valori massimi della pericolosità si riscontrano però più a Sud: il terremoto che colpì l'Irpinia nel 1980 liberò un'energia sismica ottanta volte più grande di quella totale delle due forti scosse che hanno interessato le Marche e l'Umbria. Se è vero che il meccanismo dei terremoti è stato chiarito nelle sue grandi linee e che le aree caratterizzate da maggiore pericolosità sismica sono state individuate, non siamo tuttavia in grado di prevedere quando avrà inizio una crisi sismica, nè quale sarà la sua evoluzione. Nella maggior parte dei casi, avviene una scossa principale seguita da numerose scosse più piccole, fino all'esaurimento del fenomeno. In altri casi, l'energia viene liberata tramite uno sciame sismico, cioè una serie di scosse di energia relativamente piccola, che può durare anche alcuni mesi. Di solito, uno sciame sismico non è la premessa ad una scossa di maggiore energia. Il problema sta nella grande complessità, oltre che nella inaccessibilità, dell'interno della Terra. I rilasci di energia sismica avvengono infatti tramite il rapido scorrimento dei lembi di grandi fratture, chiamate faglie, che sono presenti nella litosfera. Ciò che rende impossibile, allo stato attuale, prevedere i terremoti è la nostra ignoranza riguardo ai movimenti delle placche litosferiche, alla posizione e alla geometria delle faglie, alle condizioni di sforzo cui sono sottoposte, alla resistenza che esse oppongono allo scorrimento. Ottenere queste informazioni è difficile, perché è solo in occasione dei grandi terremoti che possiamo raccogliere dati sufficienti a delineare un quadro delle strutture sismogenetiche presenti in una certa regione, ma questo è possibile solo se la regione stessa è dotata, al momento del terremoto, di una rete strumentale sufficientemente fitta, il che avviene oggi solo in alcune regioni della California e del Giappone. Finché il quadro non sarà completo, le informazioni raccolte non permetteranno di dire alcunché di certo sul terremoto successivo che colpirà la stessa regione, il quale potrà avere origine da una faglia diversa, non ancora individuata. In un terremoto medio-grande, possono essere coinvolte più faglie vicine e le modalità con cui l'energia viene rilasciata dipendono, oltre che dalla geometria del sistema di faglie, anche dalle asperità presenti sui lembi delle stesse, secondo un complicato processo di trasferimento dello sforzo da un'asperità all'altra. Questo meccanismo fisico spiega il perché della molteplicità delle scosse che caratterizza di solito gli eventi sismici. Nei loro movimenti, che possono essere anche lenti e quindi asismici, le faglie, o i diversi segmenti di esse, interagiscono tra loro, col risultato che lo sforzo viene trasferito e concentrato laddove esistono asperità che ostacolano lo scorrimento. Le dimensioni di tali asperità e la loro distribuzione sulle faglie sono i fattori che determinano la grandezza e la successione delle scosse. In questa situazione, è inevitabile che i terremoti che si susseguono nel corso dei secoli in una stessa regione siano diversi l'uno dall'altro. Per questo motivo, non sempre un dato sito viene colpito con la stessa intensità e il fatto che un edificio abbia resistito per alcuni secoli non garantisce che continui a farlo per il futuro. Inoltre è evidente che l'effetto dei terremoti sulle strutture è cumulativo: in assenza di incisivi interventi di consolidamento, le piccole lesioni che ogni terremoto produce indeboliscono sempre più gli edifici nel corso del tempo. E la situazione può essere aggravata da interventi edilizi inappropriati. Va però detto che, anche qualora i terremoti fossero prevedibili con largo anticipo, ciò consentirebbe forse di salvare le vite umane, ma non di evitare i danni al patrimonio edilizio e al contesto socio-economico dell'area colpita. Come è stato ripetuto in questi giorni, se si vogliono ridurre al minimo i danni agli edifici, oltre che alle persone, occorre procedere a un intervento sistematico di consolidamento del patrimonio edilizio in tutte le aree ad elevato rischio sismico. Si tratta di un intervento imponente, perché queste aree costituiscono quasi la metà del territorio italiano e contengono migliaia di centri storici: esso potrà essere realizzato solo in un lungo arco di tempo. Ma è l'unico modo che conosciamo per ridurre il rischio per le popolazioni e per salvare un patrimonio destinato altrimenti ad andare progressivamente distrutto. Michele Dragoni Direttore del Dipartimento di Geologia e Geofisica Università di Bari


IN EDICOLA Einstein è diventato un cd-rom
Autore: VICO ANDREA

ARGOMENTI: FISICA, ELETTRONICA, DIDATTICA
NOMI: EINSTEIN ALBERT, REGGE TULLIO
ORGANIZZAZIONI: LA STAMPA, SPECCHIO DELLA STAMPA, ZANICHELLI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

E = mc2, cioè Energia = massa per la velocità della luce elevata al quadrato, fondamentale conseguenza della teoria della relatività speciale di Albert Einstein, è forse la formula più citata al mondo, ma sicuramente anche la meno compresa. E' facile farsi belli con dotte citazioni ma raramente si è poi capaci di spiegare che cosa sono spazio e tempo, o massa ed energia, o quale relazione leghi queste grandezze, e via discorrendo. Per divulgare l'opera dello scienziato più famoso di tutti i tempi l'Editrice La Stampa ha realizzato il cd-rom «VirtLab Einstein», che sarà diffuso il 4 ottobre con il settimanale «Specchio» al prezzo di 24.500 lire (quotidiano e magazine inclusi). A far luce sulle fondamentali scoperte del più grande scienziato del nostro secolo, una guida d'eccezione, il fisico Tullio Regge, che spiega la relatività con parole elementari e continui riferimenti alla quotidianità, aiutandosi con cartoni animati e senza usare neppure una formula. Il cd-rom è diviso in cinque sezioni. C'è un'«Aula» dove ascoltare brevi lezioni su punti fondamentali della teoria della relatività (scritte dallo stesso Regge), un «Laboratorio» per effettuare alcuni semplici esperimenti virtuali e far sedimentare ciò che si è imparato e una «Biblioteca» ricca di testi di approfondimento, di informazioni bibliografiche sui personaggi della fisica negli Anni 20 e 30 e di un glossario. La figura di Albert Einstein è raccontata a tutto tondo nella sezione «Chi era?», mentre facendo un salto all'«Edicola» si possono trovare numerosi articoli divulgativi sulla relatività apparsi su «Tuttoscienze» ed è anche possibile «incontrare» Tullio Regge per intervistarlo. Molto apprezzabili, poi, alcuni strumenti di supporto alla navigazione, che non sono così scontati nei cd-rom oggi sul mercato, e che sono indice di qualità. Il «Logbook», per esempio, che mette in evidenza le parti già viste e quel che ancora resta da affrontare, mentre con la «Mappa» è possibile spostarsi all'istante in qualsiasi parte del programma, con estrema agilità e senza passare dal menù. Grazie alla collaborazione della Zanichelli, in primavera «VirtLab Einstein» verrà affiancato da una nuova versione, con taglio più scolastico e rivolto agli insegnanti. Una volta incuriositi gli allievi con il primo dischetto, con il secondo (dove la matematica e la fisica del liceo trovano il giusto spazio) i docenti saranno aiutati nel proporre tali argomenti in classe. Perché acquistare questo cd- rom? Sembrerà prosaico, ma un ottimo motivo è il rapporto qualità-prezzo. E' cosa rara trovare oggi un multimedia curato ed efficace a un costo così contenuto. In secondo luogo perché, dal punto di vista di chi ama la scienza, si tratta di un'iniziativa editoriale da sostenere. In Italia c'è un'ottima cultura umanistica, mentre la cultura scientifica è zoppicante e trascurata. Eppure viviamo in un mondo sempre più tecnologicizzato dove, se vogliamo essere padroni delle nostre scelte, è indispensabile possedere nozioni basilari di fisica, informatica, genetica... Con questi obiettivi è nato il progetto VirtLab (che si inserisce in una linea di altri cd-rom già prodotti da La Stampa, come la raccolta completa degli articoli di Tuttoscienze) e che ha in calendario la realizzazione di altri cd-rom dedicati ai maggiori scienziati della storia. Andrea Vico


SVOLTA DOPO LA CRISI Marte, piccoli satelliti e Space Station C'è anche un razzo nei programmi italiani per i prossimi cinque anni
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, PROGETTO
PERSONE: BIGNAMI GIOVANNI
NOMI: BIGNAMI GIOVANNI
ORGANIZZAZIONI: ASI, ESA, NASA, FIAT AVIO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

PER una settimana Torino sarà la capitale mondiale delle attività spaziali. Dal 6 al 10 ottobre il Lingotto ospiterà il 48o International Astronautical Congress: 2000 esperti - leader di Nasa, Esa e tutte le altre agenzie, manager di industrie aero-spaziali, astronauti, scienziati - discuteranno su come sviluppare il business dello spazio. L'Italia è il terzo contribuente dopo Germania e Francia nelle imprese spaziali europee e ha forti interessi commerciali: Alenia sta costruendo in catena di montaggio i satelliti del sistema Globalstar per il telefonino planetario ed è molto coinvolta nella Stazione spaziale internazionale che si incomincerà a montare in orbita tra meno di un anno. Anche nella ricerca pura l'impegno italiano è forte, sia con l'Esa, l'agenzia spaziale europea, sia con l'Asi, la nostra agenzia nazionale. Qui, dopo anni di scontri interni, di paralisi e di sprechi, i problemi di gestione sembrano finalmente risolti e si guarda a programmi ambiziosi. L'Asi sta per consegnare al Cipe il piano spaziale nazionale 1998-2002, per il quale sono già stanziati 6500 miliardi in 5 anni al netto dei debiti, un finanziamento più alto rispetto agli attuali 1050 miliardi annui. Ne parliamo con Giovanni Bignami, neodirettore scientifico dell'Asi, 53 anni, docente universitario, astrofisico delle alte energie, implicato nelle ricerche con il satellite Cos-B, premiato nel '93 dall'American Astronomical Society per un lavoro ventennale sulla pulsar Geminga. Professor Bignami, quali sono gli obiettivi dell'Asi? «Prima di tutto confermare la nostra forte presenza nell'Esa, ai cui programmi contribuiamo con circa il 15 per cento. Quanto all'attività nazionale, la scelta strategica è quella di fare dei piccoli satelliti scientifici. Abbiamo interpellato la comunità scientifica, ottenendo ben 41 proposte». Come avverrà la scelta? «Entro dicembre ne selezioneremo 5 per le quali si farà lo studio di fattibilità nel 1998. Sono in corsa satelliti per astronomia, osservazione della Terra, fisica fondamentale, con masse da 100 a 350 chilogrammi. A fine 1998 si sceglierà la prima missione vincente. Contiamo di vararne una ogni due anni, a costi di circa 50 milioni di dollari ciascuna» Che ruolo avrà l'Asi nella Stazione spaziale internazionale? «L'investimento fatto è grande, quindi dobbiamo trarne benefici proporzionali, sia commerciali sia scientifici. L'Italia gioca su due tavoli: abbiamo un accesso alla stazione tramite l'Esa e un accesso diretto Asi- Nasa. L'Esa ha selezionato 4 proposte italiane su un totale di 8: quindi finora siamo rappresentati al di sopra della nostra partecipazione economica. L'Asi inoltre dispone di alcuni esperimenti sulla stazione per contatti diretti con la Nasa: saranno esperimenti prevalentemente di scienze della vita». Ci sono programmi di esplorazione planetaria? «Il programma principale è l'esplorazione di Marte, sia nell'Esa, con la sonda Mars Express, sia con la Nasa: in Sardegna dovremmo realizzare un'antenna parabolica da 64 metri che potrebbe servire alla Nasa per inseguire le sue sonde. Con l'Esa sono in programma anche missioni alla Luna e a Mercurio, oltre, ovviamente, la missione Rosetta per lo studio delle comete». In astrofisica che cosa si prepara? «Partecipiamo con l'Esa alle missioni Xmm (raggi X), Integral (raggi gamma), First (infrarosso) e Planck (radiazione di fondo). Guardando al futuro la cosa più importante è NGST, New Generation Space Telescope, un telescopio molto ambizioso, con una apertura da 6 a 8 metri, collocato in uno dei punti di librazione di Lagrange». Poi c'è l'osservazione della Terra... «L'osservazione della Terra è una nuova dimensione del programma scientifico Esa e noi vi partecipiamo anche con ricerche di geofisica». L'Italia potrà finalmente contare su un proprio razzo, per esempio il lanciatore Vega già in avanzata fase di progettazione da parte di Fiat-Avio? «Senz'altro c'è la volontà di fare un lanciatore adatto a mettere in orbita piccoli satelliti; l'idea è di sviluppare una collaborazione Italia-Francia. La base di Malindi, in Kenya, verrà mantenuta ma i lanci potrebbero anche avvenire da Kourou». Piero Bianucci


IN BREVE I cristalli del Bianco
ARGOMENTI: CHIMICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, AOSTA (AO)

Venerdì scorso è stata inaugurata a Punta Helbronner, 3462 metri di quota, la mostra permanente «Cristalli del Monte Bianco», realizzata dalla società delle funivie del Bianco e dall'assessorato alla cultura della Valle d'Aosta con il supporto tecnico dell'Associazione regionale di mineralogia. E' il museo più alto d'Europa e sarà aperto tutto l'anno compatibilmente con le esigenze di manutenzione della funivia che collega Courmayeur a Chamonix e che ha come punti di massima quota la Punta Helbronner sopra il rifugio Torino in Italia e l'Aiguille du Midi in Francia. La mostra ospita le collezioni «Franco Lucianaz» e «Roberto Ferronato», dal nome dei due valdostani che per anni hanno raccolto i minerali. Vi sono stupendi e variatissimi cristalli di quarzo che sono classici dell'area del Monte Bianco, sia nella varietà ialina (incolore e trasparente), a volte dotata di un'«anima» di inclusioni fluide, sia in quella affumicata, talvolta accompagnata da una bellissima fluorite rosa o da inclusioni verdi di clorite o rosse di ossidi di ferro. Altri minerali da ammirare in belle cristallizzazioni sono l'adularia, la titanite, la pirite, la galena, la molibdenite, la calcite, il berillo, i granati, le miche, le tormaline. Come mostra ospite, in questi giorni è presente una bella esposizione del Museo di Scienze naturali di Torino curata da Giorgio Peyronel. (b. ba.)


IN BREVE Scienza e pubblico dibattito a Pisa
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, PISA (PI)

Alla Scuola Normale di Pisa si terrà l'8 ottobre il dibattito «Scienza e pubblico: comunicare nella correttezza». Intervengono Margherita Hack, Franco Bassani, Paola De Paoli, Franco Conti, Gianni Fochi, Franco Foresta Martin, Franco Prattico, Giorgio Celli, Giuliano Toraldo di Francia, Sergio Carrà, Piero Bianucci. Tel. 050-509.317.


IN BREVE Padova paranormale: congresso Cicap
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: CICAP
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, PADOVA (PD)

Il 25 e 26 ottobre si svolgerà all'Università di Padova il quinto convegno del Cicap, Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale. Interverranno Piero Angela, Enrico Bellone, Luciano Arcuri, Steno Ferluga, Riccardo Luccio. Tra i temi affrontati, il fenomeno New Age, la bioarchitettura e la pranoterapia. Per informazioni, tel: 0426-220.13.


SCIENZE FISICHE. STORIA DELLA TECNOLOGIA E lo schermo imparò a parlare Settant'anni fa, con Al Jolson, il primo film sonoro
AUTORE: VALERIO GIOVANNI
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, TECNOLOGIA, ACUSTICA, CINEMA
NOMI: BARON AUGUSTE, JONSON AL
ORGANIZZAZIONI: WARNER BROTHERS, WESTERN ELECTRIC, DOLBY
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA, CALIFORNIA, LOS ANGELES

CHARLIE Chaplin amava ripetere, dall'alto della sua arte e della sua saggezza, che «l'essenza del cinematografo è il silenzio». E' quindi probabile che, se fosse ancora tra noi, all'attore-regista divenuto famoso nei panni di Charlot, il personaggio-simbolo del cinema muto, non piacerebbe ricordare che, proprio settanta anni fa, il cinema conquistava la parola. Il 6 ottobre 1927, infatti, veniva proiettato «Il cantante di jazz», un film nel quale il faccione dipinto di nero di Al Jolson si agitava sullo schermo mentre dalla sua grande bocca bianca, per la prima volta, uscivano anche dei suoni. Come spesso succede nella storia della scienza e della tecnologia, anche il cinema sonoro è frutto di una serie di spinte economiche e di progressi tecnici, cominciati già nel 1898, pochi anni dopo l'invenzione dei fratelli Lumiere, quando il francese Auguste Baron deposita un brevetto «per registrare e riprodurre simultaneamente le scene animate e i suoni che le accompagnano». Dopo numerosi tentativi, il progetto riesce alla Warner Brothers, una delle maggiori case di produzione hollywoodiane che, in una situazione finanziaria molto grave, investe tutto sulle ricerche nel sonoro, sostenuta dalla Western Electric. La scommessa è vincente: dopo un mediocre «Don Giovanni e Lucrezia Borgia» del 1926, non ancora parlato ma accompagnato solo da un commento musicale registrato, l'anno successivo esce «Il cantante di jazz». Nel mondo del cinema è una rivoluzione. La musica (non più affidata al pianoforte o all'orchestra in sala, come accadeva all'epoca del muto) e, soprattutto, la parola sconvolgono Hollywood. Molti attori dalla voce mediocre si avviano al viale del tramonto, i registi si sentono perduti in uno spettacolo dove i dialoghi diventano dominanti. Nelle polemiche fra i paladini del muto (Chaplin in testa) e gli entusiasti del nuovo mezzo, il pubblico però non ha dubbi e accoglie trionfalmente il sonoro. A metà degli Anni 30, tutte le case cinematografiche seguono l'esempio della Warner e i film parlati non sono più una novità, ma una necessità. Il primo metodo utilizzato su larga scala per la sonorizzazione dei film è la colonna sonora fotografica, detta anche ottica, perché sfrutta la luce. Su un'area opaca della pellicola, con procedimenti fotografici si fissano sottili tracce che variano in ampiezza al variare del suono. Quando il film viene proiettato, un sottile fascio di luce attraversa le tracce, percependone le variazioni. Una cellula fotoelettrica converte la luce in un segnale elettrico che varia allo stesso modo e che viene infine amplificato e convertito in suono dagli altoparlanti nella sala. E' un metodo senza dubbio economico, perché la colonna sonora viene stampata sulla pellicola contemporaneamente alle immagini, ma di qualità molto bassa e con suono non stereofonico. Proprio per questo, negli Anni 50 viene introdotta la colonna sonora magnetica. Sul margine della pellicola viene incollata una sottile striscia di ossido di ferro, che contiene le informazioni sonore, lette poi dalle testine magnetiche contenute nel proiettore. E' un significativo passo in avanti: la qualità è nettamente migliore e c'è la possibilità di fissare tracce multiple per il suono stereofonico. Voci, musiche e rumori di fondo possono essere ascoltati da altoparlanti posti al centro, a sinistra o a destra degli schermi giganti che vengono introdotti proprio in questi anni, aggiungendo ancora maggiore realismo al cinema. Nonostante i costi elevati (da 2 a 14 volte quelli di una traccia ottica), con questo metodo sono girati kolossal come «La tunica» o «Il giro del mondo in 80 giorni». Ma la colonna sonora fotografica, poco costosa e di facile manutenzione, continua a dominare fino agli Anni 70, quando i laboratori Dolby riescono a sviluppare un nuovo processo, sempre ottico, il Dolby Stereo. Nello spazio riservato alla colonna sonora convenzionale ci sono due tracce che portano non solo le informazioni di un suono stereo, ma anche quelle per un terzo canale al centro dello schermo e per un quarto («surround»), destinato ai suoni naturali e agli effetti speciali sonori. Il suono stereofonico diventa così alla portata delle tracce ottiche, stampate sempre simultaneamente ai fotogrammi, poco costose e di facile manutenzione. Negli Anni 90 la parola-chiave (non solo nel cinema) è «digitalizzazione». Così, anche la riproduzione del suono è diventata digitale. I ricercatori della Dolby hanno messo a punto il metodo Dolby Sr-D (Spectral Recording-Digital), che può essere stampato sulle pellicole insieme alla corrispondente traccia analogica, in questo modo la colonna sonora può essere ascoltata anche dai riproduttori tradizionali. Per il suono digitale, è in pieno svolgimento una guerra commerciale e tecnologica, nella quale non si risparmiano colpi bassi: il Dts (Digital Theater System), lanciato nel 1993 per l'uscita del primo «Jurassic Park», non è altro che la copia del francese Lc Concept. E anche l'Sdds (Sony dynamic digital sound) e il Thx di LucasFilm sono entrati nel conflitto. Intanto le ricerche sembrano puntare a un suono tridimensionale, simile a quello che sentiamo ogni giorno nella realtà. Per completare la verosimiglianza della grande illusione del cinema. Giovanni Valerio


SCIENZE FISICHE. E' SUCCESSO IL 6 SETTEMBRE Incidente cosmico evitato Un grande bolide nel cielo italiano
Autore: BATTISTON ROBERTO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, FISICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, PERUGIA (PG)

RIPRENDIAMO con nuovi particolari una notizia già data da «Tuttoscienze» due settimane fa. E' la tranquilla sera di sabato 6 settembre, non è ancora mezzanotte, le stelle splendono sopra i colli di Perugia. La gente prende il fresco al Colle della Trinità, non c'è fretta di rientrare. Improvvisamente un chiarore cancella le stelle: uno, due lampi diffusi, seguiti da un boato. Le ipotesi si rincorrono: un incidente, fuochi d'artificio, la nuova pubblicità della grande discoteca giù nella piana. Un po' di attesa, ma poi non accade nulla, comincia ad essere tardi, si torna a casa. Una scia luminosa è stata osservata sull'Italia centrale, dove per giorni si parlerà dell'avvistamento di un Ufo. C'è anche una testimonianza dal Piemonte, giunta a «Tuttoscienze». Pochi però si sono resi conto di ciò che è successo: abbiamo rischiato grosso. La Terra ha appena incrociato l'orbita di un asteroide di alcuni metri di diametro. Uno dei milioni che orbitano attorno al Sole. Se le sue dimensioni fossero state 10-20 volte più grandi e fosse precipitato, questo articolo non sarebbe stato scritto per la prematura scomparsa del suo autore. Se fosse stato cento volte più grande avrebbe causato una catastrofe di dimensioni mai viste a memoria d'uomo. Si è trattato, probabilmente, di un raro caso di «sfioramento»: pare che l'asteroide non sia precipitato ma abbia continuato la corsa lungo la sua orbita. Nel 1908, in Siberia, andò peggio. Sopra i boschi di Tunguska, un oggetto di circa 50 metri di diametro esplose nell'atmosfera, rilasciando l'energia di una bomba atomica da 10 megatoni (una bomba di potenza media) e incendiando una zona di migliaia di chilometri quadrati. Senza nemmeno raggiungere la superficie della Terra e creare un cratere. Ma anche questo evento impallidisce rispetto all'effetto devastante dell'impatto dell'asteroide da 10 chilometri che circa 65 milioni di anni fa colpì la Terra con una energia pari a 50 milioni di megaton, 5000 volte l'energia dell'odierno arsenale atomico, causando la scomparsa del 75 per cento delle specie viventi, tra cui i dominatori di allora, i dinosauri. La storia dei pianeti del sistema solare è segnata da incontri più o meno fatali, con altri corpi celesti decisi a non dare la precedenza. Non ci rendiamo conto della pericolosità di questi incontri ravvicinati, perché essi sono rari. Ma su tempi cosmici, i pianeti vengono bombardati a ritmo incessante, per lo più aumentando la loro massa a spese di qualche escoriazione, qualche volta perdendo dei pezzi o addirittura frantumandosi. Tutti conosciamo il fenomeno delle stelle cadenti. Si tratta delle scie lasciate da asteroidi grandi come granelli di sabbia, che evaporano per l'attrito con l'aria negli strati alti dell'atmosfera. La Terra è colpita continuamente da questi frammenti. Parecchie volte al mese invece è colpita da un asteroide di qualche metro. Ogni due o trecento anni incappiamo in un asteroide come quello di Tunguska, ogni duecentomila anni in un asteroide da qualche centinaio di metri, grande a sufficienza per mettere in serio pericolo l'intera umanità. Queste le statistiche. Ma la pura statistica può trarre in inganno. Un evento del genere può capitare fra un anno, pur rispettando la predizione statistica. E' come con un incidente in automobile: averne uno è improbabile, ma può succedere di averne due di seguito. Uno delle molte migliaia di asteroidi della fascia che sta tra Marte e Giove, potrebbe prendere un'orbita anomala e puntare all'improvviso verso di noi. Oppure uno degli asteroidi dall'orbita irregolare che attraversano da miliardi di anni le orbite dei pianeti interni. Ce ne accorgeremmo solo pochi mesi prima dell'impatto, questi oggetti scuri sono infatti difficilissimi da vedere, probabilmente troppo tardi per fare qualche cosa, a meno di non avere sviluppato la tecnologia adatta. Si può fare qualche cosa contro una montagna di dieci chilometri di diametro lanciata a decine di migliaia di chilometri all'ora contro la Terra? In linea di principio è possibile lanciare una navicella che per mezzo di una esplosione nucleare, o di una appropriata spinta applicata all'asteroide, lo frammenti o meglio ne modifichi la traiettoria quel tanto che serve per evitare l'impatto con la Terra. Ma questa tecnica non è mai stata provata, ed il suo sviluppo richiederebbe ingenti investimenti. Se, da una parte il rischio è basso la posta in gioco è però altissima: per cui il problema esiste. Nel 1993 la cometa Shoemaker-Levy, che per miliardi di anni aveva gravitato tranquillamente attorno al Sole, nel giro di pochi mesi fu attratta da Giove e frantumata dagli effetti di marea in una ventina di frammenti di qualche chilometro di diametro. Nel 1994 i frammenti caddero in rapida successione su Giove ad una velocità di 200.000 chilometri l'ora, liberando una gigantesca energia. Le macchie create dalle onde d'urto dei vari impatti, superarono il diametro della Terra. Fu per gli astronomi un fenomeno straordinario. Ma anche per i politici: la stessa settimana il Congresso americano approvò una legge che prevede entro il 2005 il censimento di tutti i corpi di più di un chilometro di diametro la cui orbita può interessare il nostro pianeta. In collaborazione con il Dipartimento della difesa e le agenzie spaziali dei vari Paesi. Da anni questo provvedimento era stato richiesto dalla comunità scientifica americana, ma solo di fronte alla catastrofe gioviana il potere politico ha iniziato a prestare ascolto agli scienziati. Per fortuna l'evento «convincente» è avvenuto su di un altro pianeta. Roberto Battiston Università di Perugia


SCIENZE FISICHE. SUCCESSO AL JET Energia da fusione un record europeo
Autore: P_BIA

ARGOMENTI: ENERGIA, FISICA
NOMI: BERTOLINI ENZO
ORGANIZZAZIONI: JET
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, REGNO UNITO, GRAN BRETAGNA, CULHAM

IL traguardo di una energia quasi illimitata, pulita e a basso costo è più vicino: per la prima volta la fusione nucleare ha prodotto metà dell'energia spesa per innescare la reazione. Prima il rapporto era 10 di spesa e 1 di ricavo. La meta finale, ovviamente, è un reattore dal quale esca più energia di quella che si spende. Il nuovo primato è stato stabilito lunedì a Culham, in Inghilterra, dove sorge l'impianto sperimentale Jet (Joint Experimental Torus), una collaborazione tra tutti i Paesi dell'Unione Europea più la Svizzera. Spiega Enzo Bertolini, veronese, 64 anni, laurea in ingegneria e in fisica, capo del gruppo italiano a Culham: «Abbiamo immesso una miscela in parti uguali di deuterio e trizio, i due isotopi pesanti dell'idrogeno. Per riscaldare la miscela a molti milioni di gradi e mantenerla compatta tramite potenti campi magnetici sono stati necessari circa 24 megawatt di energia. La fusione di deuterio e trizio in elio ha liberato 12 megawatt: un risultato molto incoraggiante». Un primo successo fu ottenuto il 9 novembre 1991: allora il Jet generò un po' meno di due megawatt spendendone 16. Il record passò poi agli Stati Uniti, dove una macchina sperimentale che ha terminato il suo ciclo di ricerche nella scorsa primavera, ha raggiunto i 10 megawatt. Adesso il primato è tornato in Europa. Dopo il successo del 1991 il Jet è stato modificato per poter usare la miscela di deuterio e trizio al 50 per cento, simile a quella che si pensa di adottare nei reattori a fusione commerciali, quando si riuscirà a realizzarli. Nella ristrutturazione, è stato aggiunto un «divertore» magnetico che consente di concentrare il plasma meglio e più a lungo. Al Jet lavorano 700 scienziati e tecnici. L'Italia partecipa ai finanziamenti tramite Enea e Cnr. Il budget annuale è di 78 milioni di Ecu, circa 70 miliardi di lire, ma in queste settimane i ricercatori sono in ansia per le incertezze che gravano sul futuro dei finanziamenti. A livello di collaborazione mondiale, il prossimo passo sarà la realizzazione di Iter, un reattore a fusione che dovrebbe portare a soluzioni decisive per poter costruire la prima centrale commerciale. La fusione nucleare è il processo energetico che tiene accese le stelle e che avviene in modo esplosivo nella Bomba H. Per giungere a una fusione non esplosiva ma controllata i problemi tuttora aperti sono parecchi: bisogna far durare la reazione più a lungo senza sporcare le pareti della camera di combustione, realizzare materiali che resistano a forti flussi di neutroni e a temperature di centinaia di milioni di gradi, e poi trasformare il calore ottenuto in elettricità. Difficile fare previsioni sui tempi. Diciamo che intorno al 2050 forse potremo accendere la luce pensando che l'elettricità arriva da una centrale funzionante, in piccolo, esattamente come il Sole e le altre stelle. (p. bia.)


SCIENZE DELLA VITA. NELLE BRUGHIERE SCOZZESI Pernici in declino In crisi i proprietari delle riserve
Autore: CIMA CLAUDIO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ECOLOGIA, SPORT, CACCIA
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, REGNO UNITO, GRAN BRETAGNA

FINO a qualche anno fa il «glorioso» 12 agosto, data di inizio della stagione di caccia alla pernice rossa scozzese (Grouse, quella che appare sull'etichetta di una nota marca di whisky; Lagopus scoticus), era uno dei giorni più attesi nel calendario della Upper Class britannica. Torme di signori danarosi e altolocati si radunavano in avite residenze di campagna e si disperdevano nelle brughiere per la caccia a questa pernice, unica della Gran Bretagna, il cui volo veloce e radente è sempre stato considerato come una sfida per il più esperto fucile. L'evento trascendeva già in partenza il mero fatto sportivo, essendo un rituale che si perpetua da oltre un secolo, quando il Principe Alberto, marito della Regina Vittoria, fece costruire il Castello di Balmoral anche per praticare questa caccia. Contestualmente, l'arrivo dei primi uccelli uccisi a Londra, per essere serviti sulle tavole dei migliori e più esclusivi ristoranti, era salutato da tradizionali servizi sulla stampa inglese. Non oggi, non più: l'unico titolo è stato quello per riferire che un gruppo di ecologisti mascherati ha attaccato, sulle alture di Durham, una comitiva di anziani e ricchi americani convenuti per la caccia, lasciandone sei con gli occhi neri. Questo episodio, e le recenti furibonde diatribe sull'opportunità di abolire la caccia (coi cani) alla volpe, altro pilastro dell'establishment britannico, hanno convinto i proprietari delle grandi riserve di caccia a scegliere una strategia di basso profilo: nessuna ostentazione, pochi giornalisti, invitati e graditi. Una campagna per abolire questo sport potrebbe anche vincere, stima l'«Economist», ma con dure conseguenze contabili. Benché nell'insieme i cacciatori spendano (vitto, alloggio, equipaggiamento a parte) anche 15.000 sterline al giorno, la maggior parte dei proprietari delle riserve è in perdita. La Confederazione dei proprietari scozzesi, che rappresenta la metà delle riserve britanniche, ha dichiarato di avere speso nel '94, 14 milioni di sterline per la manutenzione e cura delle distese di erica, habitat e fonte di cibo per gli uccelli, ricavandone solo un guadagno di quattro milioni. Loro si definiscono «protezionisti» per eccellenza e non ammettono che qualcuno li accusi di scarsa sensibilità ecologica: senza di noi, avvertono, le brughiere si trasformerebbero in distese di felci altissime (un vero flagello, tipico della Gran Bretagna). In ogni caso, le loro azioni sono sotto attento controllo da parte dei gruppi ambientalisti, fra cui la famosa Rspb, Royal Society for the Protection of Birds, che accusano i loro guardiacaccia di uccidere metà degli animali prima che la caccia inizi ufficialmente, quando maggiormente essi sono vulnerabili, essendo appena usciti dalla stagione fredda. Altri dicono che lo sport sia ininfluente anche come fonte di lavoro, oggi: ci sono solo 530 guardiacaccia in tutta la Scozia, trent'anni fa ce n'erano migliaia: sarebbe meglio, dicono, convertire l'economia delle brughiere verso scopi (eco)turistici, favorendo operazioni di rimboschimento. In effetti, le grandi tenute di caccia, vaste come metà di una provincia italiana, sono in crisi: i proprietari avevano all'inizio favorito lo sfruttamento ai fini venatori, effettuando costose operazioni di drenaggio, e predisponendo, grazie anche a cospicui sussidi della Forestry Commission, piantagioni di conifere. Così è stato per la Riserva di Mar, 207 kmq nel cuore dei Cairngorms, adiacente a quella, più piccola, della Regina (Balmoral, solo 144 kmq): sino al 1960 di proprietà dei Duchi di Fyfe, poi venduta a un banchiere svizzero, poi ad un magnate della stampa americano, ora è stata acquistata, per 10 milioni di sterline (nella cifra erano inclusi castelli, residenze, arredi) dal National Trust for Scotland; l'Nts è ora impegnato, con l'aiuto di volontari, a riconvertire le brughiere di caccia, eliminando le canalette che drenavano i colli, e favorendo, colmandole, la trasformazione naturale. Le piantagioni di conifere verranno lasciate marcire. E le pernici? Anche loro sembrano averne abbastanza. Stanno declinando come numero; gli uccelli uccisi nel 1994, in Scozia, furono 64.000, contro i 233.000 del 1989. Non pare che la cifra sia destinata a cambiare molto quest'anno. Anche nei ristoranti si respira un'aria bassa, benché i primi esemplari siano stati offerti dai menù del Savoy e del Connaught già la sera del 12 agosto, altri grandi locali hanno deciso di farne a meno. Infatti, secondo il maitre di Chez Nico, a Park Avenue, i nostri clienti migliori sono sui loro yacht nel Mediterraneo e, del resto, per godere la carne di questi uccelli, già di per sè estremamente selvatica e fibrosa, bisogna averli cacciati. Claudio Cima Università di Aberdeen (UK)


SCIENZE DELLA VITA. AUMENTA LA TEMPERATURA La vegetazione alpina migra verso l'alto
Autore: OSELLA LEONARDO

ARGOMENTI: BOTANICA, ECOLOGIA, METEOROLOGIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, LA THUILE (AO)
NOTE: 2o Congresso «Ecologia e biogeografia alpine»

L'AUMENTO della temperatura media terrestre origina fenomeni vari che gli scienziati stanno tenendo d'occhio. Tra questi la distribuzione della flora in montagna, poiché il calore ne agevola la propagazione a quote finora non raggiunte a seconda delle latitudini: un fatto positivo al quale può far da contraltare la scomparsa di specie che si trovano ad affrontare a quote inferiori condizioni più difficili. L'esame di questi equilibri e dell'evoluzione del pionierismo vegetale sulle Alpi è uno dei tanti temi toccati nei giorni scorsi al 2o Congresso «Ecologia e biogeografia alpine» che si è tenuto a La Thuile, in Val d'Aosta. E' stata anche l'occasione per ricordare i cento anni del Giardino Botanico Chanousia, fondato dall'abate Pierre Chanoux e oggi situato in territorio francese a causa delle spartizioni territoriali post- belliche. Hanno partecipato ai lavori circa 140 studiosi iscritti, più un buon numero di uditori, e le discussioni sono state suddivise in sette simposi. La questione della diffusione vegetale ha ottenuto una notevole attenzione sia nel seminario che ha trattato di «periodi glaciali e loro eredità genetica» (presidente il britannico Richard Abbot) sia in quello che aveva per tema «le unità di vegetazione delle Alpi e l'importanza delle influenze esterne» (presieduto dall'elvetico Jean Paul Theurillat): due aspetti diversi di una medesima realtà. Le tecniche di ricerca basate sui metodi della biologia molecolare e della chemotassonomia permette di valutare la variabilità genetica di molte specie artiche e alpine, suffragandola e confrontandola con i dati ottenuti da reperti fossili, in particolare frutti, pollini e semi. Se a questo si aggiungono le opportune considerazioni riguardo i meccanismi particolari di sviluppo della vegetazione, è anche possibile disegnare un quadro probabilistico di ciò che potrebbe succedere in futuro ipotizzando per esempio fra i parametri di valutazione proprio quell'aumento di temperatura che si registra sul globo terrestre. E a questo proposito forniscono preziose indicazioni le osservazioni fatte in relazione a quanto già si conosce riguardo la penetrazione della vegetazione mediterranea in zone alpine (dalle Alpi liguri a quelle jugoslave, dal Friuli al lago di Garda). Un altro tema ha tenuto banco in modo specifico nel simposio che si occupava del «ruolo ecologico delle micorrize negli ecosistemi alpini» (organizzatori Kurt Haselwandter di Innsbruck e Paola Bonfante Fasolo di Torino). La micorriza è il risultato di una simbiosi tra l'apparato radicale di una pianta e un fungo. L'opinione pubblica ne ha una conoscenza indotta, determinata dalla popolarità assunta da quella forma micorrizica commestibile che è il tartufo. Ma al di là di questa fama da gourmet, la micorriza interessa i botanici perché è un segno di stress nutrizionale da parte della pianta, che ne trae così benefici ai fini dell'assorbimento di sostanze indispensabili e della crescita. Ciò è stato ben evidenziato, per esempio, studiando l'«Arnica montana», il lampone e il mirtillo. Ne deriva un'importanza cruciale della micorrizazione nel funzionamento degli ecosistemi e anzi il simposio ha dimostrato proprio come le comunità vegetali delle zone alpine, artiche e subartiche siano dominate da piante micorriziche. Una componente di rilevante importanza, e non solo in montagna, sono i licheni (forme di associazione tra un fungo e un'alga) e le briofite (tra le quali si annoverano per esempio muschi ed epatiche). Anche queste forme vegetali sono finite sotto la lente dei botanici convenuti a La Thuile, in particolare quelli che si occupano di fitogeografia e che hanno lavorato nel simposio presieduto da Pier Luigi Nimis di Trieste. Infatti dalle briofite si traggono indicazioni relative alle variazioni climatiche e alla biologia delle zone acquitrinose (sfagni), mentre i licheni costituiscono un indicatore prezioso del grado di inquinamento dell'aria in insediamenti urbani vallivi. I rapporti biologici pongono conflittualmente a contatto le piante con gli insetti fitofagi, che da esse traggono alimento. Parametri ecologici e genetici permettono di valutare la resistenza dei vegetali a questi attacchi e di ciò si sono occupati i ricercatori organizzati in simposio da Martine Rowell-Tahier di Neuchatel. Di grande interesse, anche a livello progettuale, le discussioni che hanno animato il gruppo coordinato da David Aeschimann, del Conservatorio e Giardino Botanico di Ginevra. Qui si è parlato di progetti floristici e si sono definite alcune collaborazioni interistituzionali e transfrontaliere, come ad esempio un piano per la gestione della biodiversità vegetale in Valle d'Aosta e in Savoia. Da sottolineare infine, sempre per le prospettive progettuali che la materia sottende, il ruolo dell'ingegneria naturalistica in zone alpine. Il gruppo coordinato dal triestino Giuliano Sauli ha fatto il punto della situazione sull'impiego di forme vegetali a scopo antierosivo e di consolidamento del suolo. Fra i contributi in merito, ne è venuto uno dai ricercatori torinesi Siniscalco, Barni, Montacchini e Rosa, riguardo un caso di inerbimento in piste da sci della Valle di Susa. E anche qui hanno fatto capolino le micorrize, che irrobustendo l'apparato radicale offrono un efficace supporto all'attività di consolidamento del terreno. Leonardo Osella


SCIENZE DELLA VITA. IL TORDO BEFFEGGIATORE Per amore fa anche il rumore del treno Uccello eccezionale imitatore di suoni e canti di altre specie
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
NOMI: DERRICKSON KIM, DERRICKSON MERRITT
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA

SI dice poliglotta chi parla molte lingue. Quindi da un uccello chiamato «mimo poliglotto» ci si aspetta che sappia fare altrettanto. Ma non crediate che il Mimus polyglottus, un grazioso uccello dalla lunga coda, si esprima in inglese, russo o tedesco. Lui si accontenta di mimare il canto di altre specie di uccelli. E non è davvero cosa da poco, visto che è capace di imitare il canto di moltissimi colleghi canterini. Non solo. Nella sua mania di riprodurre i suoni che gli giungono all'orecchio, è capace di imitare perfettamente il gracidio delle rane, il rumore di un treno o qualunque altro suono. Per la verità, l'imitazione che il mimo poliglotta fa del canto di altre specie è leggermente diversa dal canto originario, ma la voce dell'uccello imitato è chiaramente riconoscibile nella versione del mimo. Il singolare imitatore, chiamato anche «tordo beffeggiatore», vive nel Nordamerica, dalla California settentrionale fino allo Stato di New York, a Nord-Est. A Sud si spinge fino al Messico e a molte isole delle Antille. Pugnace, difende accanitamente il suo territorio, ingaggiando spesso battaglie di confine con i vicini. Pur di far valere i suoi diritti, non esita ad attaccare anche predatori più grandi, come serpenti, animali domestici e perfino l'uomo. In questa specie cantano maschio e femmina a differenza di quanto avviene in altri uccelli canori, nei quali il canto è prerogativa maschile. Colui o colei che canta ha l'abitudine di ripetere la stessa strofa fino a una dozzina di volte, prima di passare a quella successiva. Non è detto però che tutti i motivi siano rubacchiati alle altre specie. Il mimo poliglotta è un po' cantautore. Il suo repertorio comprende infatti anche non pochi motivi originali. Ed è un repertorio che si arricchisce di giorno in giorno, perché, a quanto risulta dalle ricerche di Merritt e Kim Derrickson dello Zoo Nazionale di Washington, i maschi per lo meno continuano ad aggiungere nuovi temi ai loro canti durante tutta la vita. E' naturale che la gente si domandi quale funzione pratica abbia per l'uccello un canto così complesso. Si sono fatte molte ipotesi al riguardo. La più popolare è che il mimo poliglotta si serva dell'eccezionale vocabolario canoro per tener lontane dal suo territorio le altre specie di uccelli che hanno la stessa dieta. Ma vari ricercatori che hanno studiato a lungo la biologia del mimo poliglotto, tra cui Randall Breitwisch dell'Università di Dayton, non sono di questo avviso. Sembra infatti che gli uccelli di molte specie, di cui i mimi imitano il canto, si mostrino completamente indifferenti quando si trovano vicini agli imitatori, per nulla intimiditi. Gli studiosi ritengono invece che, in accordo con la teoria darwiniana della selezione sessuale, la femmina scelga il maschio che canta meglio. Il talento vocale del mimo poliglotto si sarebbe sviluppato durante la sua storia evolutiva come risultato della selezione sessuale. Allo stesso modo come la coda spettacolare del pavone maschio si è sviluppata in maniera esagerata perché la femmina nel corso dell'evoluzione ha dato sempre la preferenza ai maschi dotati di code più belle e più grandi. E' emerso infatti dalle ricerche degli studiosi che i mimi poliglotti scapoli cantano molto più di quelli sposati. Cantano non solo di giorno, ma perfino di notte. E c'è da chiedersi quando trovino il tempo si schiacciare un pisolino. Una volta però che lo scapolo ha trovato una compagna attratta dalla sua serenata canora, il suo ritmo di canto diminuisce sensibilmente. Ed è stato anche dimostrato che gli uccelli rimasti vedovi, immediatamente dopo la scomparsa della moglie, riprendono a cantare a squarciagola, proprio come facevano quando erano scapoli. Il canto degli uccelli sposati non è sempre uguale. Raggiunge punte massime durante la costruzione del nido, durante l'accoppiamento e la deposizione delle uova. Cala invece sensibilmente durante il periodo della cova e cessa del tutto durante l'allevamento dei piccoli. Evidentemente per non attirare l'attenzione dei predatori in una fase così delicata del ciclo biologico. Ma gli uccelli riprendono a cantare non appena i piccoli imparano a volare e lasciano il nido. E' il momento in cui i genitori si devono dar da fare per costruire un altro nido che possa accogliere la nuova covata. Questo ciclo può ripetersi per tre o quattro volte durante la stagione riproduttiva. Ma perché i mimi poliglotti hanno bisogno di un repertorio vocale così ricco? Evidentemente la straordinaria varietà di suoni trasmette alla femmina in cerca di marito una quantità di informazioni sul pretendente. Le indica la sua età, il suo stato generale di salute, le sue capacità e chissà cos'altro ancora. I vari canti vengono usati però in circostanze diverse. Derrickson ha osservato che alcuni vengono usati dai maschi sposati quando questi si trovano in compagnia delle rispettive consorti, altri invece vengono usati quando l'uccello è in volo. Raramente il maschio canta durante il corteggiamento. Di tanto in tanto succede che i mimi poliglotti divorzino. E' di solito la femmina che abbandona il territorio del marito e va a stabilirsi in quello di un maschio scapolo vicino. Succede di solito quando la covata è andata a male - le uova non si sono sviluppate o i nidiacei sono morti -. Noi umani siamo subito pronti a darle la croce addosso e a trattarla da adultera. Ma la natura ha le sue leggi inderogabili. L'uccello, così come l'animale in genere, ha un compito preciso: perpetuare la specie. Perciò poco importa se la femmina riesca nell'intento con l'aiuto di un maschio piuttosto che con quello di un altro. Tanto più che spesso i nidiacei finiscono in pasto ai predatori, perché il padre si è mostrato inefficiente e non ha saputo difendere adeguatamente nido e prole. Isabella Lattes Coifmann


SCIENZE FISICHE. UNA RICERCA AL CERN I raggi cosmici sono salutari? Indagini sulle radiazioni nell'alta atmosfera
Autore: BRESSAN BEATRICE

ARGOMENTI: FISICA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: O'SULLIVAN DENIS, SCHRAUBE HANS, SILARI MARCO
ORGANIZZAZIONI: CERN
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, SVIZZERA, GINEVRA

SI è appena conclusa al Cern di Ginevra una campagna di misura per confrontare e calibrare strumenti utilizzati sugli aeroplani per misurare la radiazione cosmica. Si tratta di una serie di esperimenti, due all'anno dal 1993, facenti parte del progetto finanziato dalla Comunità Europea. Dopo aver dedicato molti anni allo studio del radon, della radiazione cosmica di fondo e della radioattività intorno alle centrali nucleari, un gruppo si interessa in modo sistematico ai campi di radiazione in quota per verificare se gli equipaggi dei voli commerciali sono soggetti a rischio. Terminata la prima fase, 1993-'95, la seconda fase del progetto, di cui fanno parte il Dias (Dublin Institute of Advan ced Studies), l'Università di Saarlandes e il Gsf in Germania, il National Radiological Protec tion Board in Inghilterra, l'Agenzia per la protezione dell'ambiente in Italia e, come sub- contractor, il Cern, l'Ssi (Swe dish Radiation Protection Insti tute) di Stoccolma, l'Università di Siegen e il Physikalisch Tech nische Bundesanstalt di Braunschweig, ha avuto inizio 18 mesi fa. «E' la prima volta che mi occupo di dosimetria - dice Denis O'Sullivan, responsabile del progetto e professore di fisica dei raggi cosmici al Dias, l'Istituto fondato da Schrodinger dopo la seconda guerra mondiale -, la mia area di ricerca è la fisica dei raggi cosmici. Nello spazio, essendoci meno materia, le interazioni nucleari sono molto più rare di quelle che avvengono nell'atmosfera terrestre. I raggi cosmici provenienti da stelle distanti 10 milioni di anni luce, nel loro lungo viaggio attraversano 4 o 5 grammi di materia, contro i 1000 che incontrano nell'atmosfera in un solo millesimo di secondo» . In quota la dose da radiazione aumenta a causa dei prodotti che emergono dalle interazioni nucleari dei raggi cosmici con l'atmosfera e raggiunge un'intensità massima a circa 15 chilometri da terra. In volo l'esposizione non avviene mai a livello del massimo: la maggior parte degli aeroplani commerciali vola fra gli 11 e i 12 mila metri, mentre il Concorde viaggia a 17 mila metri. Tra le miriadi di particelle che si producono dall'interazione dei raggi cosmici con l'atmosfera, i neutroni sono responsabili di una grossa parte della dose totale: l'effetto biologico dipende dallo spettro energetico della radiazione neutronica. «Si tratta di un effetto radiologico globale - continua O'Sul livan - che raggiunge valori misurabili, ma mai troppo elevati e come tali poco dannosi per l'organismo. Solo nel momento in cui se ne accumula una certa quantità bisogna valutarne i rischi». Rischi che comunque sono minimi considerando che mediamente un equipaggio vola circa 1000 ore all'anno, un tempo la cui la dose integrata si mantiene ancora a livelli bassi. Diverso il caso degli astronauti, costretti a rimanere molto più tempo nello spazio (si pensi ad un'eventuale missione su Marte, che durerà due anni). «Attualmente - dice Hans Schraube del Gsf di Monaco - stiamo facendo un esperimento di pura fisica per stimare poi durante l'ultimo anno del progetto gli effetti dosimetrici. Finora non si è trovata una relazione fra danno biologico e radiazione incidente: non c'è nessuna evidenza sperimentale tra le dosi ricevute in volo e un possibile aumento dei tumori. Ciò che invece si nota è che la salute degli equipaggi è in media migliore di quella di un campione di riferimento statisticamente confrontabile, con uguali caratteristiche e abitudini sociali». Le dosi cui sono soggetti i piloti che viaggiano sulle rotte atlantiche sono comprese tra 1 e 5 millesimi di Sievert all'anno, dove il Sievert è l'unità di misura della dose equivalente, non molto superiori al fondo naturale. Per rendere più facile l'interpretazione dei dati, il progetto prevede di confrontare i risultati acquisiti con diversi strumenti su rotte ben note. Tra gli strumenti per la dosimetria delle radiazioni ionizzanti, quelli di tipo attivo danno una risposta immediata grazie a un'elettronica capace di analizzare il segnale inviatogli dal rivelatore. La Tissue Equivalent Proportio nal Chamber (Contatore Propor zionale Tessuto Equivalente), di cui si sta progettando una nuova versione all'Ssi di Stoccolma, appartiene a questa categoria. E' un rivelatore delle dimensioni di qualche centimetro riempito di una miscela di gas carbonio, azoto, ossigeno e idrogeno, nelle stesse percentuali presenti nel tessuto biologico. Ai valori di pressione opportuni questo strumento è in grado di riprodurre l'interazione radiazione- tessuto a livello cellulare. Il Linus, Long Interval Neutron Sur vey-meter (Rivelatore di Neu troni a Risposta Estesa), è stato sviluppato grazie a una collaborazione tra l'Università di Milano e l'Infn (Frascati e Milano) a partire da uno strumento di tipo Rem-Counter. Il Rem-Counter, inventato nel 1963, fornisce una risposta direttamente in equivalente di dose e funziona bene per neutroni nell'intervallo di energia dai termici fino a 10-15 MegaelettronVolt (MeV), essendo stato originariamente sviluppato per lavorare nel campo dei reattori a fissione. In quota c'è un grosso contributo neutronico sopra i 10 MeV e per le misurazioni se ne utilizza allora una versione modificata in grado di rivelare neutroni fino a parecchie centinaia di MeV. «Partendo da un modello commerciale chiamato Snoopy - dice Marco Silari, uno degli ideatori del Linus e ora al Cern - siamo riusciti a sviluppare uno strumento che oggi viene adottato in diverse forme in altri laboratori ed è già prodotto da due ditte, negli Stati Uniti e in Germania». I rivelatori di tipo passivo che, come le pellicole radiografiche per raggi X, registrano i valori della dose accumulata su lunghi intervalli di tempo, consentono le letture dei dati sperimentali a distanza di parecchi giorni l'una dall'altra. Questi dosimetri infatti vengono fatti volare sulla stessa rotta per diversi mesi. L'Nrpb parteciperà a un programma della Nasa per misure di radiazione nella stratosfera, installando strumentazione e dosimetri su un aereo militare in grado di volare a più di 20 chilometri di quota. Bisognerà aspettare il prossimo meeting di aggiornamento, ai primi di dicembre a Vienna, e la fine della seconda fase del progetto a giugno del 1999, per quantificare definitivamente gli effetti radiologici in quota. Beatrice A. Bressan


IN BREVE Cento «Ariane» successo europeo
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: ARIANE, BPD, FIAT AVIO
LUOGHI: ITALIA

Il centesimo razzo «Ariane» è stato lanciato con successo dalla base europea di Kourou, nella Guyana francese. Costruito dalla Aerospatiale, utilizza booster italiani della Bpd-Fiat Avio. «Ariane» ha effettuato 29 voli negli ultimi 30 mesi, immettendo in orbita quaranta satelliti; sono 180 i contratti stipulati dal 1980 ad oggi.


IN BREVE Scienza dei materiali in un cd-rom
ARGOMENTI: ELETTRONICA, DIDATTICA
ORGANIZZAZIONI: GIUNTI
LUOGHI: ITALIA

E' in libreria «Edumat, dalla pietra al microchip» (Ed. Giunti, 69. 900 lire), un cd-rom didattico dedicato alla fisica e alla scienza dei materiali rivolto alla scuola superiore e all'università. Lo ha prodotto l'Istituto nazionale per la fisica della materia. Informazioni: Infm di Genova, Francesca Gorini, telefono 010-659.87. 42.


IN BREVE Cassini e Saturno al Casinò di Sanremo
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, SANREMO (IM)

In parallelo con le «Giornate Cassiniane» in corso a Perinaldo, mercoledì 22 ottobre, al Casinò municipale di Sanremo, per la nuova stagione di incontri letterari organizzata da Ito Ruscigni, Piero Bianucci e Mario Di Martino terranno una conferenza con proiezioni sul tema «Cassini alla conquista di Saturno», con riferimento sia all'astronomo sia alla omonima sonda della Nasa che verrà lanciata il 12 ottobre. Il giurista Giovanni Conso e lo scrittore Giuseppe Conte saranno i conferenzieri di martedì 14 e 28.


IN BREVE Cinema, scienza e archeologia
ARGOMENTI: ARCHEOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Dal 6 al 10 ottobre, a Rovereto, Festival del Cinema archeologico organizzato da «Archeologia viva», la rivista edita da Giunti. Dal 14 al 18 ottobre, al Teatro Regio di Parma, «Prix Leonardo 97», festival internazionale di film scientifici. Tema: «Il futuro del nostro pianeta».




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