TUTTOSCIENZE 24 settembre 97


ANTEPRIMA A BERLINO Voglio una vita tutta digitale Tv, computer, Dvd e hi-fi nel salotto del futuro
Autore: VICO ANDREA

ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI
ORGANIZZAZIONI: IFA
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, GERMANIA, BERLINO

PASSARE da una settimana di passeggiate sui monti del Friuli ai chiassosi padiglioni dell'Ifa di Berlino, una delle principali fiere mondiali dell'elettronica di consumo, è stato come compiere un balzo di 7-8 secoli in una notte; di colpo ci si ritrova ammaliati dalle opportunità offerte dalle telecomunicazioni digitali, dalla Web-tv, dagli schermi piatti al plasma, dal Dvd e dalle trasmissioni radio Dab (digitali). Dà le vertigini. Eppure grandi novità a Berlino quest'anno non se ne sono viste. Quasi tutti i grossi nomi dell'elettronica hanno piuttosto badato a consolidare l'offerta, con prodotti più raffinati, più versatili e più mirati sulle diverse fasce di acquirenti. Ciò non vuol dire che l'edizione 1997 dell'Ifa sia stata noiosa o sottotono. Tutt'altro. E' stata una «fiera delle chicche», tutte da scovare e da apprezzare. Come la radio da orecchio della Philips, grande quanto un apparecchio acustico, che si appoggia sull'esterno del nostro padiglione auricolare, completa di batteria, antenna, tasto per il volume e per la sintonia. Acquistandone due si può ottenere un effetto «simil-stereo». Tutte le novità presentate confermano comunque alcune linee di tendenza che negli ultimi 2-3 anni si son fatte sempre più marcate. E' ormai fuori luogo, per esempio, parlare di computer, televisore, impianto hi-fi come entità distinte. La Grundig ha presentato il «Web Box»: utilizzando una smart card, dal televisore ci si potrà collegare direttamente a Internet. E se non avete la tastiera, poco male, tutti i servizi di posta elettronica sono accessibili grazie a un sistema di riconoscimento vocale. Praticamente ogni produttore di televisore ha inserito nella propria gamma uno o più modelli con scheda Vga già montata. In questo modo tra monitor del personal computer e apparecchio televisivo non c'è più differenza e, volendo, ci si può divertire a lavorare sul proprio pc visualizzando tutto su un megaschermo a 42 pollici in formato 16X9. La Philips ha presentato un'intera nuova famiglia di apparecchi in grado di collegare tra loro tv e pc. Il modello di punta è il «Dvx 8000», un vero e proprio anello di congiunzione, dotato di un processore, il Tri- media, capace di adattare il video a qualsiasi tipo di standard, dal normale Pal al segnale digitale. Inoltre è compreso un lettore Dvd video e Dvd-Rom, uno per cd-audio, scheda SuperVga, modem per il collegamento a Internet, e la funzione Epg (Electronic Guide Program). Il tutto gestito da un Pentium Mmx a 233 MHz e al costo di 9- 10 milioni di lire (ma vi sono modelli meno «dotati», come il «Ponte», e quindi meno costosi). Il tutto sarà disponibile nel giro di poche settimane. Un'altra tendenza che pare inarrestabile è la digitalizzazione di tutto ciò che è mass-media. Due settori che ancora «resistevano», le trasmissioni radio e la fotografia, hanno ormai ceduto e i rispettivi meccanismi analogici stanno per andare in pensione. Proprio con l'inaugurazione dell'Ifa, infatti, in Germania e in Gran Bretagna sono ufficialmente iniziate le prime trasmissioni digitali via radio, in sigla Dab, Digital audio broadcasting. Trasmettere via radio in digitale non è vantaggioso solo per la qualità del suono (pari a quella di un com pact) e per la drastica riduzione di interferenze. Le trasmissioni numeriche permettono di aggregare al suono una nutrita serie di informazioni «di contorno» utili a chi guida. Avvisi sulla situazione del traffico, consigli sui percorsi migliori, messaggi commerciali o turistici inerenti una cittadina che si sta attraversando durante un viaggio... e chi più se ne inventa più ne metta. Con l'autunno saranno quasi 200 le emittenti pubbliche e private che inizieranno a trasmettere in Dab, 120 solo in Germania, le restanti suddivise tra Inghilterra, Svezia, Giappone e Singapore. In Italia entro Natale dovrebbero avviarsi trasmissioni su Roma, Torino e Milano. Gli apparecchi per ricevere in Dab sono ancora costosi (non meno di 2 milioni di lire), ma entro la fine del 1998 i prezzi dovrebbero dimezzarsi. Nel giro di 5-6 anni le classiche reflex con il rullino di pellicola impressionabile a 35 millimetri diventeranno un oggetto da amatore. Con lo stesso peso e le stesse dimensioni, tra le mani ci ritroveremo una fotocamera digitale ove le scene più belle delle nostre vacanze verranno immagazzinate in un dischetto sotto forma di complesse sequenze di 0 e di 1. Basterà infilare il dischetto nel computer di casa per rivedere ogni scatto, zoomare su un particolare o ritoccare le immagini per eliminare le imperfezioni. Diverremo tutti fotografi provetti. Ma anche provetti imbroglioni: con un programma di manipolazione delle immagini abbiamo visto «cancellare» un intero bikini e trasformare l'innocente fotografia di una ragazza sulla spiaggia in uno scostumato (è la parola giusta) po ster da officina. Per la cronaca: questi software che cominciano a essere abbordabili ai comuni mortali, da parecchi anni vengono utilizzati nelle redazioni delle riviste scandalistiche. Comunque sia, la fotografia digitale è uno dei nuovi mercati e tutti hanno ormai calcolato le possibilità di business. La «Mavica» della Sony (già disponibile sul mercato tedesco) è un po' ingombrante, ma è l'unica - per ora - che archivia le immagini su un normale floppy da 3,5 pollici in modo da poter visionare subito le foto su qualunque pc, senza alcuna interfaccia. La Sharp è riuscita a produrre una digital camera, la «Ve-Lc1», spessa appena 4 centimetri e pesante 210 grammi. La Philips ha lanciato a Berlino il suo primo apparecchio per fotografare in digitale, la «Esp2» (apripista di altri modelli che verranno), capace di memorizzare fino a un centinaio di immagini, da visualizzare sul televisore o sul monitor del pc, da scaricare su un hard-disk, da «materializzare» mediante un'apposita stampante. Anche quest'anno si è fatto un gran parlare del Dvd (Digital video disc), la nuova era della multimedialità perché capace di immagazzinare, in un normale disco argentato da 120 millimetri di diametro, anche due interi film con tanto di doppiaggio in 7-8 lingue, suono Dolby e accessori vari (schede tecniche sul regista, pettegolezzi sugli attori...). Sono almeno due anni che il Dvd è «la novità», «il prodotto prossimo a rivoluzionare il mercato». Per il momento tutto fumo e niente arrosto. Ma è pur vero che fino a quando le ma jors americane del cinema non si decidono a fornire un catalogo decente di film su Dvd, nessuno avrà voglia di spendere dal milione al milione e mezzo di lire per comprarsi il nuovo lettore. Pare che per il prossimo Natale siano in arrivo novità e che il 1998 sia finalmente l'anno buono per il lancio mondiale dei Dvd... Vedremo. In ogni caso su questo argomento ci impegniamo a tenervi aggiornati e vi diamo appuntamento alle prossime settimane. A Berlino, come sempre capita in queste occasioni, ci si lustra gli occhi su oggetti sempre più sofisticati e stupefacenti, che solo superficialmente rendono l'idea di quanto corra il progresso tecnico. Che vanno, però, presi con il giusto equilibrio e il giusto distacco. Perché se la tecnologia delle telecomunicazioni ci spinge a chiuderci in casa (cosa esco a fare? il mondo mi arriva in salotto) allora è meglio un pugno di amici sui monti della Carnia. Andrea Vico


TELEFONINI Cellulare Euro-Usa fax incluso
Autore: A_VI

ARGOMENTI: COMUNICAZIONI, ELETTRONICA
ORGANIZZAZIONI: IFA
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, GERMANIA, BERLINO

SUL versante della telefonia mobile, all'Ifa, la grande rassegna annuale di elettronica di Berlino di cui riferiamo ampiamente anche negli altri articoli che compaiono su questa stessa pagina, due oggetti molto interessanti sono stati presentati dalla Bosch. Uno è il nuovo portatile «718 World Com»: il primo Gsm a 900 MHz in grado di funzionare automaticamente anche negli Stati Uniti (con lo standard Pcs/Gsm 1900) senza bisogno di alcuna interfaccia o modifica interna. E' inoltre possibile inviare fax con una velocità di trasmissione di 9600 bit al secondo. Il tutto senza che il «718» sia più grande o più pesante di un normale telefonino. In Germania sarà disponibile a partire dalla prossima primavera al prezzo di 800-900 marchi. Sempre nei primi mesi del 1998, la Bosch, tramite il marchio Blaupunkt, lancerà sul mercato il «RadioPhone», un telefono Gsm integrato in una moderna autoradio. Ovunque è (giustamente]) vietato telefonare mentre si è alla guida, ma non sempre è possibile tenere spento il proprio cellulare mentre si viaggia. Il «RadioPhone» risolve il problema: il telefono funziona tramite la stessa scheda di un normale Gsm (sono dunque impossibili le telefonate a scrocco) e si può attivare con la voce, tramite un microfono montato sul cruscotto. Il «RadioPhone» può ricevere informazioni sul traffico e può anche sintonizzarsi sui segnali del Gps. Anche la Philips rafforza la sua presenza nel settore della telefonia mobile e conferma tutta la sua gamma che ha quale elemento di punta il «Genie» che, con appena 95 grammi è il più leggero Gsm attualmente sul mercato. Il modello «Diga» si arricchisce di una versione per il Pcn (Pcn è la rete a 1800 MHz sulla quale opererà a breve il terzo gestore della telefonia mobile). Sony presenta il «Cdm- X2000», minuscolo e simpatico telefonino dove ogni operazione è controllabile tramite una rotella che si chiama jog- dial e che permette di fare tutto con una mano sola. Inoltre questo apparecchio è dotato di un sistema di registrazione digitale per poter prendere fino a una ventina di secondi di «appunti vocali», anche mentre si sta telefonando. Nokia risponde con il modello «1631», che può essere ricaricato anche grazie a una batteria solare, e con il «8110i», che offre la possibilità di collegarsi direttamente a Internet senza passare attraverso un modem o un computer. (a. vi.)


PICCOLA GUIDA ALLE NOVITA' PIU' CURIOSE IN ARRIVO SUL MERCATO
ORGANIZZAZIONI: IFA
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, GERMANIA, BERLINO

LETTORE DI CD MULTIUSO. Una delle novità più prestigiose, e anche più costose, presentate all'Ifa di Berlino è il «DVX 8000» della Philips, un lettore di cd tuttofare, punto di arrivo della convergenza digitale di Tv e computer. Legge Cd-rom, Dvd, Cd audio. Viene proposto come il cuore del salotto multimediale dei prossimi anni. Da esso si diramano i collegamenti all'impianto hi-fi e al tv-computer. Sul mercato a Natale. -------------------------------------------------------------------- FOTOGRAFIA DIGITALE. Dopo un avvio difficile, ostacolato dalla diffidenza degli appassionati di fotografia abituati alla pellicola, la camera digitale sta arrivando alla maturità tecnologica. In questo modello (Mavica Sony) le immagini finiscono in un dischetto, dal quale possono essere inviate su Tv e computer; ovviamente il vantaggio sta soprattutto nella possibilità di elaborare le foto: praticamente non c'è limite ai trucchi. -------------------------------------------------------------------- CELLULARE CON INTERNET. Il telefonino cellulare non si limita più al servizio in voce ma diventa sempre più un terminale mobile della rete, adattabile a qualsiasi mansione. Un modello sviluppato dalla Nokia è progettato apposta per il collegamento a Internet. Non c'è bisogno di un modem o di un computer, ma naturalmente può essere collegato a un portatile o a un palmare. Il peso è contenuto in 152 grammi. -------------------------------------------------------------------- TELEFONINO INTERCONTINENTALE. Il nuovo cellulare che la Bosch sta per mettere sul mercato risolve i problemi di telefonia mobile di chi viaggia tra Europa e Stati Uniti. L'apparecchio «World-Com 718» funziona infatti con standard mondiale Gsm 900 sia sulla rete cellulare europea sia su quella americana, adattandosi automaticamente alla situazione. Chi va negli Stati Uniti, quindi, mantiene il proprio numero. -------------------------------------------------------------------- RADIO DA ORECCHIO. Tra le curiosità segnaliamo questa piccolissima radio, che può stare interamente nell'orecchio dell'utente, avendo le dimensioni di un auricolare con l'unica aggiunta di una antenna a stilo lunga pochi centimetri. Capta la modulazione di frequenza, ha un comando per la regolazione del volume e un comando per la sintonizzazione automatica delle stazioni. La batteria è contenuta nell'apparecchio.


A MILANO Ci si vede il 2 ottobre allo Smau
ORGANIZZAZIONI: SMAU
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, MILANO (MI)

IL 2 ottobre a Milano si inaugura lo Smau '97: è l'occasione per vedere molte delle novità anticipate in questa pagina. Sony esporrà tutta la sua gamma di televisori a schermo totalmente piatto, i tv color con monitor a cristalli liquidi e il nuovo monitor per pc «GdmW900» da 24 pollici con formato 16:10. Sarà anche possibile provare la fotocamera digitale Mavica. Philips presenterà il «Velo 1», un pc palmare completo di Windows Ce, la «Esp2», sua prima macchina fotografica digitale e il rivoluzionario «Flat Tv», uno schermo al plasma da 42 pollici spesso appena 11,5 centimetri. Bosch esporrà il «718 World Com». Siemens presenterà Gigaset 2000, una famiglia di cordless Dect.


SCIENZE FISICHE. EDITORIA ELETTRONICA Il fiume carsico dei bit Una enciclopedia dell'era multimediale
Autore: DE CARLI LORENZO

ARGOMENTI: DIDATTICA, ELETTRONICA, EDITORIA
ORGANIZZAZIONI: UTET
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «Dizionario enciclopedico multimediale» (DEM)

L'ELEMENTO più importante di un'opera creata per essere letta mediante il computer è l'interfaccia, la quale svolge in un tempo molte funzioni, consentendo per esempio l'accesso alle informazioni contenute nell'opera, orientando la lettura, ma - soprattutto - facendo emergere di volta in volta nodi diversi dell'ipertesto. Tra le altre cose, infatti, l'interfaccia è anche la momentanea apparizione di catene d'informazioni che, proseguendo la consultazione dell'opera, apparirebbero diversamente concatenate. E' un po' come il punto dal quale emerge un fiume carsico. Il Dizionario enciclopedico multimediale (DEM) della Utet colpisce di primo acchito per la sua interfaccia molto sobria e priva di tutti quei pulsanti e cursori, ostentati con espedienti grafici che ambiscono a produrre vaghi effetti di tridimensionalità, che caratterizzano le opere di consultazione create negli Stati Uniti e scimmiottate in Europa. Il DEM - nel quale non si naviga seguitando a far clic, aprendo e chiudendo finestre una dentro l'altra - si presenta come una grande finestra divisa in tre colonne. A sinistra si leggono gli indici di classificazione: Materie, Aree Geografiche e Multimedia; a destra abbiamo gli indici finali, i quali svolgono anch'essi varie funzioni, per esempio quella di segnalibro, quella d'indicare le voci pertinenti col lemma cercato e, quella di ricordare il percorso seguito. Nella colonna centrale, la più ampia, è invece posta la sequenza ininterrotta di lemmi che costituiscono la vera e propria enciclopedia. In un certo senso, a sinistra dell'enciclopedia, abbiamo l'asse paradigmatico, vale a dire le scelte possibili; a destra abbiamo l'asse sintagmatico, vale a dire l'esecuzione del percorso di ricerca seguito consultando l'enciclopedia. La consultazione vera e propria può beninteso passare per le indicazioni offerte dagli indici di classificazione che fungono da cartelli indicatori. Ma, per una più rapida ricerca, viene spontaneo sollecitare col puntatore del mouse il segno «più» collocato nella barra di comando, mediante il quale si accede a una finestrella in cui è possibile indicare il lemma che si desidera cercare. Questo tipo di consultazione, tipicamente da computer, è la più praticata da chi vuole una rapida risposta ai suoi quesiti: e se ha il limite di isolare il lemma dal corpus enciclopedico, una felice peculiarità del DEM consiste nella capacità di allineare non solo il lemma che si desidera trovare ma anche quelli semanticamente pertinenti. Grazie a questa strategia di consultazione il DEM riesce ad abbozzare un contesto in cui collocare il lemma cercato e, nello stesso tempo, offre utili tracce per altre ricerche pertinenti con quella da noi intrapresa. La pagina-nodo del DEM conosce un'altra profonda metamorfosi facendo clic col mouse su qualunque parola. Questo comando, infatti, riconfigura di nuovo la finestra principale, spostando a destra quella in cui si leggono i lemmi dell'enciclopedia per far posto a un dizionario che spiega il significato della parola su cui avevamo orientato il puntatore del mouse. Il DEM è dunque, insieme, enciclopedia e dizionario, consentendo un immediato passaggio dall'una all'altro e offrendo anche una finestra per l'elenco dei termini contrari o sinonimici a quelli di cui il dizionario dà il significato. Se il DEM, di primo acchito, appare dunque un'opera elettronica che sembra voler mimare la sobrietà delle opere di consultazione cartacee, mettendo a loro agio gli utenti che hanno maggior famigliarità coi volumi delle biblioteche, in realtà è un dizionario che si avvantaggia pienamente delle intrinseche caratteristiche del mezzo digitale. Prova ne è l'uso, anch'esso sobrio e votato all'informazione precisa e mai meramente spettacolare, delle risorse multimediali. Immagini, filmati, animazioni e documenti sonori sono testi perfettamente calettati nel macrotesto enciclopedico. La natura multimediale dell'opera non svia l'attenzione del lettore dallo scopo primo del dizionario: informare anzitutto, e tracciare in seguito i lineamenti di un eventuale approfondimento. Non manca qualche difetto. I fondini e le musichette di sottofondo, proprio perché possono essere scelti dall'utente, al quale è pure data la possibilità di farne a meno, hanno una leziosità che si concilia poco con la serietà dell'impresa e risultano solo ornamentali proprio perché la consultazione del DEM mostra quanto bene sia possibile fondere testo e multimedialità. Le voci enciclopediche sono spesso laconiche, ma per far di più ci vorrebbero opere simili per ogni campo del sapere, così da garantire una più vasta informazione. La presenza nel cofanetto (titolo: Il grande dizionario enci clopedico Utet) in cui è venduto il DEM di una più tradizionale opera cartacea (Il mondo dal 1970 a oggi. Annali di storia contemporanea, di Gianpiero Bordino e Giuliano Martignetti) denuncia di per se stessa i limiti della consultazione a video e sembra dire che, quando davvero occorre approfondire la conoscenza di una questione, il libro - con quella sua interfaccia così bene consentanea all'attività della riflessione - è insostituibile. Ma altrettanto lo è il CD-Rom quando la consultazione avviene mentre si scrive con il computer; il fatto di poter trasferire porzioni di testo dal DEM ai documenti che andiamo redigendo, trasformando lo schermo del nostro computer nel nodo-finestra di un più grande ipertesto che si compone del DEM, dei nostri testi e, magari, della rete di computer al quale siamo collegati, è una possibilità di cui - una volta sperimentata - difficilmente può fare a meno chi scrive al computer, vedendo in tal modo trasformata la sua macchina nell'apertura che permette di far emergere momentaneamente il proprio testo dal fiume carsico di testi che scorre col flusso dei bit. Lorenzo De Carli


SCIENZE FISICHE. RICORDO DI CARL SAGAN Voleva parlare con omini verdi
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, ASTRONOMIA
PERSONE: SAGAN CARL
NOMI: HART JAMES, SAGAN CARL
ORGANIZZAZIONI: NASA
LUOGHI: ITALIA

IL 20 dicembre 1996, quando cedette al tumore del midollo che lo aveva aggredito, Carl Sagan, 62 anni, sui giornali italiani ebbe poche righe. Ci voleva «Contact», il film tratto dal suo unico romanzo, per renderlo popolare anche presso il pubblico italiano. Bene così, se un film hollywoodiano serve a ricordare un uomo che ha fatto molto per l'astronomia, per la divulgazione scientifica e per una idea nobilmente audace, benché al limite dell'impossibile: quella di stabilire un contatto - riecco la parola-chiave - tra l'umanità ed eventuali abitanti di altri mondi. Di «Conctat» Sagan ha curato la sceneggiatura in collaborazione con James V. Hart (speriamo in bene, considerato che finora questi aveva scritto dialoghi cinematografici per Dracula e Frankenstein). Gli spettatori però devono sapere che Sagan era professore di astronomia alla Cornell University e che alla Nasa ebbe un ruolo decisivo nel promuovere l'esplorazione del sistema solare con sonde-robot. I suoi lavori di planetologia sono stati pubblicati nelle riviste più prestigiose: se la stazione meteorologica che la missione «Pathfinder» ha paracadutato su Marte il 4 luglio si intitola a Carl Sagan, ci sono quindi ottimi motivi. Sagan aveva anche un grande senso della comunicazione. La sua serie di documentari televisivi «Cosmos» fu seguita da 500 milioni di persone in una sessantina di Paesi. I suoi libri divulgativi sono letture piacevolissime e affascinanti, al punto da fargli attribuire un Premio Pulitzer. «Contact», che la Bur ripresenta in edizione economica, è un romanzo di fantascienza costruito con abilissima tecnica narrativa e - cosa rara a parte i casi di Asimov e di Clarke - ineccepibile nei dati scientifici che sono il presupposto della narrazione. Questo genio della comunicazione si vede anche nell'impegno che Sagan mise nel sostenere le ricerche di forme di vita extraterrestri. Profeta del dialogo con E.T., Sagan sapeva perfettamente che bisogna costruire il consenso popolare intorno a una iniziativa così incerta come il programma Seti (Search for Extra Terrestrial Intelligence). Nacquero così i due messaggi agli extraterrestri messi sulle sonde Pioneer e Voyager. I due Pioneer hanno a bordo una targa dorata che riporta la rotta della sonda, alcune nozioni scientifiche di base e il disegno di un uomo e una donna nudi. All'epoca del lancio della sonda (1972) su questi graffiti ci fu una polemica perché l'uomo appare inciso con i suoi attributi sessuali, la donna no. Linda Sagan, l'artista che disegnò quelle figure preoccupandosi anche di mettere nei lineamenti del volto qualcosa di tutte le razze umane, era stata infatti censurata dalla Nasa, e la censura aveva suscitato la protesta delle femministe. Inizialmente uomo e donna si tenevano per mano: nella versione definitiva vennero separati: un alieno avrebbe potuto pensare a un essere con quattro gambe e due braccia. A bordo dei due Voyager, lanciati nel 1977, c'è un messaggio più sofisticato: in un disco sono incisi brani musicali (da Mozart a Beethoven, ma anche un po' di jazz e di rock), espressioni di saluto in tutte le lingue, rumori come lo sciabordio del mare e il boato di una eruzione vulcanica, persino lo schiocco di un bacio. Sia i Pioneer sia i Voyager sono ormai al di là del sistema solare, stanno avventurandosi nello spazio tra le stelle. Inutile dire che i loro messaggi non hanno praticamente alcuna probabilità di trovare un destinatario, e in ogni caso ci vorranno 32 mila anni perché il Pioneer arrivi nei dintorni di una stella (Lambda Serpentis). Ma fu lo stesso Carl Sagan a osservare che quei messaggi erano in realtà diretti agli abitanti della Terra, per renderli consapevoli di quale piccola cosa sia l'umanità nei confronti del cosmo. Il contatto con alieni intelligenti fu il grande sogno di Sagan probabilmente più per motivi filosofici che scientifici. Pensava, Sagan, che da quel contatto l'umanità sarebbe uscita unita e migliore; pensava addirittura che grazie ad esso si sarebbe salvata (eravamo in anni di guerra fredda e negli arsenali delle superpotenze c'erano armi sufficienti per uccidere ogni uomo una cinquantina di volte). A muovere Sagan, insomma, era prima di tutto una molla civile. «Contact» è dedicato alla figlia Alexandra «con l'augurio di poter lasciare alla sua generazione un mondo migliore di quello che abbiamo trovato noi». Piero Bianucci


SCIENZE FISICHE. PROGRAMMA SETI «Contact» all'italiana, ma non è un film Parte la caccia ad E.T. con il radiotelescopio di Bologna
Autore: CAGNOTTI MARCO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, ASTRONOMIA
NOMI: SAGAN CARL, FOSTER JODIE, MONTEBUGNOLI STELIO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA
NOTE: Seti (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), Serendip (Search for Extraterrestrial Radio Emission from Nearby Developed Intelligent Populations)

C'E' molta gente che antepone il proprio lavoro a ogni altro aspetto della propria vita. Quando però quel lavoro ruota intorno all'eventualità di una scoperta tanto improbabile quanto rivoluzionaria, la vicenda si fa davvero interessante. E' il caso di Ellie Arroway, interpretata da Jodie Foster in «Contact» (dal 26 settembre nelle sale cinematografiche italiane), una giovane radioastronoma che rinuncia a tutto pur di sposare la causa della ricerca di intelligenze extraterrestri, nonostante la scarsa considerazione di cui gli studi Seti (Search for Extra-Terrestrial Intelligence) godono nell'establishment scientifico. Sembra una battaglia persa in partenza, ma contro ogni previsione un segnale arriva, e tutta la vicenda ruota intorno al problema della risposta da dare e delle reazioni, individuali e collettive, alla scoperta che non siamo soli nel cosmo. Fa piacere vedere finalmente un film che, nonostante qualche concessione alla fantasia, è realizzato con attenzione al rigore scientifico. Non per nulla in «Contact» si avverte la mano dell'autore del romanzo da cui la storia è tratta: Carl Sagan, l'astrofisico e divulgatore morto alla fine dell'anno scorso, che della ricerca di intelligenze aliene è stato uno dei più entusiasti sostenitori. Se Seti gode di poco credito nella comunità scientifica statunitense, fino a vedere cancellato quattro anni fa un programma su grande scala della Nasa, in Italia finora è stato ignorato totalmente. Eppure non manca la possibilità tecnica di far partire un progetto autonomo, con fondi e tempo di osservazione dedicati: la Croce del Nord e le due parabole Vlbi (Very Large Baseline Interferometry) di Medicina (Bologna) e Noto (Siracusa) sono strumenti che si presterebbero a questo tipo di ricerche. Nondimeno anche nel nostro Paese uno spiraglio per Seti si è aperto: un nuovo, potente strumento proveniente dalla California arriverà ai primi di ottobre a Medicina, e consentirà di compiere ricerche senza rubare tempo e risorse ad altri programmi di studio. Cercare il classico ago nel pagliaio avrebbe più probabilità di successo che rilevare un segnale intelligente di origine extraterrestre. Non solo bisogna avere la fortuna di puntare il radiotelescopio sulla stella giusta e proprio nel momento in cui gli alieni decidono di inviare un segnale, ma anche la frequenza da seguire è tutt'altro che scontata. Molti ricercatori ritengono che la più plausibile sia a 1,42 GHz, corrispondente alla riga dell'idrogeno neutro, ma ovviamente nessuno è in grado di dire con certezza quale sarebbe la scelta di una civiltà aliena decisa a comunicare. Così qualcuno ha pensato che, non sapendo bene dove, quando e come osservare, tanto vale procedere a caso. Per «serendipità» si intende la scoperta di qualcosa di imprevisto e inatteso mentre si sta cercando qualcos'altro. Con ragione, dunque, un gruppo di scienziati dell'Università di Berkeley ha chiamato Serendip (Search for Extraterrestrial Radio Emission from Nearby Developed Intelligent Populations) un progetto che prevede l'uso di un'apparecchiatura in grado di operare contemporaneamente a qualsiasi altro programma di osservazione radioastronomica, senza monopolizzare tempo e risorse. Lo strumento di quarta generazione, Serendip IV, può seguire 168 milioni di canali in una banda di frequenza larga 100 MHz ed è appena stato installato presso il radiotelescopio di Arecibo, a Puerto Rico. Un modulo di Serendip IV, che è in grado di seguire 4 milioni di canali in una banda di 2,5 MHz, arriverà in Italia ai primi di ottobre e verrà installato a Medicina. Si tratta di un prestito dell'Università di Berkeley al CNR che, rispettando lo spirito di tutto il progetto Serendip, non sottrarrà tempo nè alle antenne, che continueranno ad operare autonomamente sui progetti già previsiti, nè agli operatori, perché il funzionamento delle apparecchiature è completamente automatizzato e i ricercatori vengono allertati solo in presenza di un segnale sospetto. «L'unica condizione che gli americani hanno posto per prestarci lo strumento - dice Stelio Montebugnoli della Stazione Radioastronomica di Medicina - è l'impegno da parte nostra a tenere lo strumento costantemente in funzione, collegato, ad almeno una delle tre antenne della nostra rete». E aggiunge: «Per il resto, il costo dell'intera operazione sarà di pochi milioni di lire, e metterà a disposizione della nostra comunità scientifica uno strumento potente che le permetterà di inserirsi a pieno titolo nell'ambito delle ricerche Seti». Perfetto esempio di serendipità, un genovese diretto verso il Catai ha scoperto per caso l'America. Chissà mai che qualche emulo italiano di Ellie Arroway non riesca grazie a Serendip a ripetere, 500 anni dopo, un exploit che per la cultura umana potrebbe essere anche più rivoluzionario. Marco Cagnotti


SCIENZE DELLA VITA. ALLE GALAPAGOS Tartarughe, rettili venuti dall'eternità
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
NOMI: MELVILLE HERMAN, DE ROY TUI
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, ECUADOR, GALAPAGOS

SEMBRAVANO venute fuori dalle fondamenta del mondo. A guardarle si aveva l'impressione di un tempo senza tempo che durasse all'infinito» . Questa la sensazione che provò Herman Melville la prima volta che si vide davanti una tartaruga gigante delle Galapagos. Un colosso. Una corazza lunga fino più di un metro, larga oltre due metri. Le zampe anteriori, ricoperte da squame grosse come cosce umane. Tui De Roy, che tiene in osservazione da molti anni l'ultimo grande rifugio delle Testudo elephantopus (questo il nome scientifico della specie) nell'isola Isabela, la più vasta delle Galapagos, stima che ve ne siano circa 4500 che scorrazzano ancora nell'isola, specie nelle regioni centro-settentrionali, in corrispondenza dei vulcani spenti. Scorrazzano per modo di dire. La loro rotta è sempre la stessa, da tempo immemorabile. Ne rimane testimonianza nei sassi levigati dal peso dei milioni di individui che hanno percorso nei secoli gli stessi sentieri. I rettili si trattengono in prevalenza sui terreni lavici e aridi delle zone pianeggianti e vanno regolarmente sugli altopiani vulcanici, dove trovano tenere erbette da brucare (il terreno vulcanico è sempre molto fertile) e soprattutto acqua. Quando una tartaruga assetata giunge a un punto d'acqua, immerge completamente la testa, beve con avidità, pompando con la bocca e rimane a bagno per alcune ore. Se la stagione è particolarmente secca, le tartarughe si accontentano della rugiada notturna che si condensa sulla vegetazione o forma piccole pozzanghere. Ma nell'attesa delle piogge, se ne passano a volte mesi e mesi di sete e di digiuno quasi integrale. Ed è allora che nasce più accesa la competizione per contendersi lo spazio nelle poche pozzanghere ancora umide. La stagione delle piogge non è sempre uguale. In certi anni incomincia a piovere in gennaio e continua per quattro mesi, in altri tutto si riduce a uno o due acquazzoni in marzo o aprile. Comunque, la stagione delle piogge, lunga o breve che sia, è l'epoca degli amori. E' allora che i maschi diventano eccitati e aggressivi. Per quanto le loro lotte siano ritualizzate - il confronto tra i rivali è una prova di forza, non un duello cruento - i contendenti si sollevano sulle zampe anteriori e affrontano gli avversari a bocca spalancata, come se volessero morderli. Ma poi si limitano a spingersi muso contro muso, finché uno dei due si allontana. Il vincitore deve ora conquistarsi una femmina e non sempre è cosa facile. Lei si schermisce. Spesso lui la deve inseguire e non riesce a starle dietro nel groviglio della vegetazione. Quando finalmente riesce ad acchiapparla, la immobilizza mordendole le zampe. Poi i due si uniscono e l'accoppiamento può durare anche un'ora. In questa fase, i maschi lanciano fortissimi muggiti che si odono fino a 200 metri di distanza. Nel bel mezzo della stagione secca le femmine gravide migrano nelle parti più infuocate delle caldere vulcaniche per deporre le uova, simili per forma e dimensioni alle palle da bigliardo. Non c'è migliore incubatrice naturale. Per raggiungere le località adatte, percorrono anche molti chilometri. Poi, giunte sul posto prescelto, scavano faticosamente la terra arida con le zampe posteriori, fanno due o tre buche e vi lasciano scivolare dentro le uova, ricoprendo i nidi con terra, mescolata a urina ed escrementi. Incominciano a scavare generalmente nel pomeriggio inoltrato e terminano il loro lavoro dopo circa dodici ore. Prima di allontanarsi spianano la superficie, rotolandocisi sopra varie volte e premendo il terreno con la corazza. Da 4 a 6 mesi dopo emergono le tartarughine, ma una folla di nemici è in agguato, pregustando il sapore delle loro tenere carni. Sono predatori naturali, come le poiane, ma soprattutto predatori introdotti incautamente nelle Galapagos dall'uomo, come cani selvatici, gatti, maiali e ratti. Per cui si può dire che sopravviva sì e no un uovo su diecimila. E' un miracolo che le gigantesche tartarughe delle Galapagos siano giunte fino ai giorni nostri, nonostante lo spaventoso massacro dei secoli passati. Questi rettili sono stati la dispensa viveri di interi bastimenti, quando le navi dei pirati prima e quelle dei pescatori di balene poi facevano regolarmente scalo nelle isole per approvvigionarsi di carne fresca. Una carne che si era rivelata gustosissima, di facile digeribilità, così ricca di grasso che per cucinarla non occorreva nè burro nè olio. Di sapore più delicato e genuino della carne di manzo. Una vera pacchia per gli equipaggi delle navi. Esaminando i diari di bordo delle baleniere, uno zoologo americano scoprì che solo tra il 1811 e il 1844 erano state caricate a bordo e ovviamente consumate quattordicimila tartarughe. Questo dato dà un'idea dell'entità dello sterminio. E pensare che quando i primi spagnoli arrivarono nelle Galapagos, le tartarughe elefantine popolavano tutte le isole dell'arcipelago. Anzi si erano differenziate in molte sottospecie diverse. Ogni isola ne ospitava una sua propria. Oggi cinque di queste sottospecie si sono estinte e parecchie altre sono sull'orlo dell'estinzione. La situazione è peggiorata anche perché sono arrivate delle temibili concorrenti in fatto di cibo, le capre selvatiche, altra incauta introduzione da parte dell'uomo. Proprio recentemente migliaia di queste capre hanno invaso l'area del vulcano Alcedo nell'isola Isabela, togliendo alle tartarughe non solo il cibo, ma anche l'ombra degli alberi, così necessaria nelle ore più calde della giornata. Per fortuna la Stazione di ricerca Charles Darwin - che si trova sull'isola Santa Cruz - ha indetto una campagna per l'eliminazione delle voracissime capre. E d'altra parte fin dagli Anni 70 la Stazione sta attuando un programma di allevamento artificiale che ha già dato brillanti risultati e consentirà - si spera - di salvare le sottospecie in pericolo riportando nelle isole originarie questi affascinanti giganti che possono vivere anche più di duecento anni. Isabella Lattes Coifmann


SCIENZE DELLA VITA. PIANTA CARNIVORA Bentornata Drosera]
ARGOMENTI: BOTANICA
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, SVIZZERA

Per i botanici si tratta di «un piccolo miracolo»: estinta da oltre due secoli al Nord delle Alpi, è riapparsa in centinaia di esemplari in una zona nel cantone San Gallo la pianta carnivora Drosera in termedia, forse germogliata da semi vecchi di duecento anni. Mentre alcune droseracee - spiega il portavoce di un gruppo di ricercatori botanici svizzeri - si incontrano spesso a Nord delle Alpi, in particolare nelle torbiere d'altitudine, la Drosera intermedia era considerata estinta nella regione. Il suo ritorno nei pressi di Altstaetten potrebbe spiegarsi con la germinazione di semi dormienti da circa duecento anni e risvegliati dal ritorno di condizioni favorevoli. In altre parole, il ritorno della Drosera potrebbe essere una conseguenza, questa volta positiva, dell'effetto serra.


SCIENZE DELLA VITA. IN ITALIA E' l'ora dei parchi marini
Autore: NOTARBARTOLO DI SCIARA GIUSEPPE

ARGOMENTI: ECOLOGIA, CONFERENZA, NAZIONALE, PARCHI NATURALI, MARE
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA

SI apre domani a Roma la prima conferenza nazionale sulle aree nazionali protette, un'importante manifestazione sui parchi e sulle riserve italiane organizzata dal ministero dell'Ambiente. Non potrebbe esserci occasione più appropriata, per l'Italia, per compiere un risolutivo giro di boa in tema di aree protette marine, e passare finalmente dalle parole ai fatti. Ce ne sarebbe un gran bisogno, visto che nel nostro Paese, di riserve o parchi marini, ne esistono di fatto soltanto due - Ustica e Miramare - certo pregevoli se presi singolarmente, eppure microscopici e di portata irrisoria se messi a fronte dell'intero sviluppo costiero nazionale e della sua varietà naturalistica. Parrebbe, questo, il momento più propizio per dare uno scossone al letargo che in passato sembra aver intorpidito le istituzioni in fatto di parchi marini. E' infatti merito di Edo Ronchi, ministro dell'Ambiente, l'aver sgombrato il terreno dal ginepraio delle competenze ministeriali in frequente conflitto, affidando le aree marine protette interamente all'Ispettorato Centrale per la Difesa del Mare. Pur indispensabile, tuttavia, la volontà politica non basta per dotare l'Italia di parchi e riserve marine che ci mettano al passo con gli altri Paesi europei. Occorrono fondi adeguati, disponibilità da parte delle popolazioni locali e competenze tecnico-scientifiche. Due sono i principali motivi per cui la collettività deve investire nelle aree protette: il fatto che i costi derivanti dalla perdita di ricchezze naturali per incuria e degrado sono immensamente più elevati di quelli necessari a mantenerla, e la potenziale capacità delle aree protette di autofinanziarsi una volta affermate in un fluido meccanismo gestionale e nella conoscenza del grande pubblico. L'amministratore che lascia incustoditi gli Uffizi per risparmiare sugli stipendi dei guardiani dovrà vedersela con la legge oltre che con il pubblico ludibrio, e lo stesso dovrebbe avvenire per chi trascura di garantire adeguata protezione ai beni naturali. Altrettanto importante è l'atteggiamento di coloro che vivono e traggono sostentamento all'interno o comunque nell'ambito dell'area protetta: atteggiamento spesso purtroppo per niente benevolo, e non senza giustificazione. In troppe occasioni in passato non si è data sufficiente importanza al fattore umano. Le persone e le loro esigenze devono divenire la forza trainante della protezione dell'ambiente, dopo tutto saranno proprio loro le prime a beneficiare di tale protezione. Dunque il successo di un'area marina protetta è strettamente legato alla precisa individuazione delle categorie dei suoi utenti, e al loro sapiente coinvolgimento tanto nella pianificazione quanto nella gestione. Ultimo, ma non meno importante, è il problema delle competenze scientifiche, che in materia di creazione di aree marine protette in Italia ancora non esistono in misura sufficiente. Nè potrebbe essere altrimenti, vista la carenza di palestre per esercitarsi. Tuttavia questa mancanza di tradizione non è un problema se sapremo affrontarlo con umiltà, attingendo all'ormai rodata esperienza disponibile nella comunità scientifica internazionale. Per creare un'area marina protetta non è possibile infatti applicare pedissequamente i criteri utilizzati per un parco terrestre: occorrono nuovi paradigmi, imposti dalla natura nebulosa dei confini nel fluido ambiente del mare. Un parco marino non si può recintare, non sono gli oggetti o le strutture in esso contenute che occorre proteggere, e allo stesso modo non esistono barriere in grado di escludere i fattori di degrado quali l'inquinamento dalla terraferma e dall'atmosfera, i cambiamenti idrologici, o gli squilibri ecologici di aree contigue. Al contrario, in un parco marino occorre tutelare i processi criticamente importanti al funzionamento dell'ecosistema: ad esempio i cicli dei nutrienti e dell'energia, la presenza in buona salute di habitat riproduttivi, la percorribilità di rotte di migrazione o di dispersione degli organismi. G. Notarbartolo di Sciara Presidente ICRAM


SCIENZE DELLA VITA. COME REAGISCE ALL'ANIDRIDE CARBONICA E' l'Oceano Atlantico a fare il nostro clima
Autore: CANUTO VITTORIO

ARGOMENTI: METEOROLOGIA, GEOGRAFIA E GEOFISICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: G. Influenza dell'Oceano Atlantico sul clima

SE la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai generali, come disse Clemenceau, il futuro del nostro pianeta è una cosa troppo seria per lasciarlo in mano solo ai politici e diplomatici ai quali tocca il poco invidiabile compito di suggerire le tabelle di marcia dello sviluppo per i prossimi decenni. Il contributo degli scienziati per capire quel complicato sistema che è il clima è essenziale nel processo decisionale. Ciò è particolarmente vero in vista dei nuovi risultati scientifici di cui parlerò in quest'articolo e della prossima, importante riunione a Kyoto a dicembre, dove ci si aspetta che si stabiliscano i limiti di emissione dei gas serra per i vari Paesi. Compito, diciamolo chiaramente, quanto mai difficile. Il clima è come un animale dall'apparenza mansueta ma che può scattare a stati di «ira funesta» quando la provocazione superi una certa soglia, passata la quale non si può più tornare allo stato iniziale. Detto in altri termini, il sistema clima, atmosfera più oceani, possiede vari stati di equilibrio; non tutti però sono favorevoli alla vita su questo pianeta. Quantificare tali stati è tutt'altro che facile data la nostra incompleta conoscenza del fenomeno clima, definito «la media del tempo su un periodo di trent'anni». Come sarà il clima dei prossimi 50-100 anni? I parametri generali sono noti. La CO2 (anidride carbonica) che potenzia l'effetto serra è in aumento: prima della rivoluzione industriale la sua concentrazione era dello 0,028%, oggi è del 30% maggiore, risultato delle attività umane come la combustione di carbone, petrolio, gas naturale nonché deforestazione. Se continuiamo di questo passo, quando la CO2 si sarà raddoppiata, la temperatura media del nostro pianeta potrà essere 2-4 oC superiore a quella di oggi. Ma ci sono altri pericoli assai più insidiosi che solo ora stanno venendo alla luce. Uno di questi è stato svelato da uno studio portato a termine a Berna da Stoker e Schmitter, apparso sulla rivista inglese «Nature» il 28 agosto. Poiché gli oceani possiedono grande inerzia termica, essi rispondono molto lentamente a perturbazioni esterne: un'azione di oggi non si rivelerà se non fra molti decenni. Ecco perché gli oceani sono oggetto di tanta attenzione: hanno una scala di tempi tipica del clima, non già del «tempo», che è invece governato da fenomeni con scale di tempi più corte, come appunto i fenomeni atmosferici. Abbiamo già avuto modo di discutere sulle pagine di questo giornale le caratteristiche più salienti del grande «nastro» dell'Oceano Atlantico, il serpentone d'acqua responsabile del clima moderato che ha permesso all'Europa di fiorire mentre Paesi alla stessa latitudine sull'Oceano Pacifico sono sotto zero, il che si deve al fatto che c'è poca evaporazione, il che in ultima analisi è dovuto alla bassa temperatura. La quantità di calore rilasciata dal nastro atlantico nelle regioni dell'Europa del Nord è prodigiosa, un milione di miliardi di watt] Sappiamo da studi di paleo- climatologia che circa 11.000 anni fa, il nastro si spense pochi decenni, per poi risuscitare. Come per il diavolo, il suo peggior nemico è l'acqua, non quella santa ma quella dolce, quella piovana, non salata, che lo rende meno pesante (denso) e quindi meno incline a sprofondarsi nei fondi marini dove inizia il suo viaggio attorno al mondo. Il suo secondo nemico è la temperatura che, qualora si alzasse, renderebbe l'acqua più leggera e quindi, di nuovo, meno disposta ad affondarsi. Ma questi sono proprio due fenomeni prodotti dall'effetto serra: più precipitazioni al Nord e riscaldamento delle acque superficiali. Se tale nastro dovesse collassare, addio Europa: buona parte di essa si popolerebbe di renne. Quello che successe 11.000 anni fa, un decesso temporaneo del nastro, non fu dovuto a un aumento della temperatura poiché eravamo in un'era post- glaciale, ma all'arrivo nell'Atlantico di una grande quantità di acqua dolce dovuta allo scioglimento di ghiacciai del continente americano che normalmente scorrevano a Sud verso il Golfo del Messico, ma che per qualche ragione cambiarono rotta, si inserirono nel fiume San Lorenzo e finirono nell'Atlantico che si «dolcificò» al punto che quasi morì. Il che ci dice che un decremento della salinità ha un effetto maggiore che un aumento della temperatura (i due fenomeni abbassano la densità dell'acqua). Quattro anni fa, due scienziati americani di Princeton, Manabe e Stouffer, dimostrarono una cosa assai sorprendente: qualora si caricasse l'atmosfera con due-tre volte la CO2 di oggi, il nastro si spegnerebbe inesorabilmente. Lo studio appena pubblicato fa un passo in più e ci dice che è importante non solo l'ammontare totale della CO2 equivalente (cioè rappresentativa di tutti i gas ad effetto serra), ma anche il tasso con cui è emessa, una conclusione di grande valore pratico. Nella figura riproduciamo i risultati più salienti: nella verticale c'è la portata del nastro corrispondente oggi a circa 25 Sv (Sv è una unità in onore dell'oceanografo norvegese Sverdup e corrisponde ad un milione di metri cubi al secondo; 25 Sv sono equivalenti alla portata di 100 Rio delle Amazzoni]). Notiamo questi fatti salienti: Curva 1. Se l'incremento annuale è dello 0,5%, il nastro non collassa, anche se in una prima fase si indebolisce riducendo la sua portata quasi fino alla metà; poi si riprende, per ritornare quasi al valore iniziale. Curva 2. Con un aumento annuale dell'1 per cento, avviene il collasso quando si sia raggiunta una concentrazione totale dello 0,075%, cioè circa il doppio di oggi. Curva 3. Lo stesso avviene se l'aumento annuale è del 2%, ma in questo caso il collasso avviene quando la concentrazione è minore, dello 0,065%. Quantunque tutto ciò non sia verità evangelica, tali risultati stanno convergendo: scienziati in Paesi diversi, usando modelli diversi, hanno ottenuto essenzialmente lo stesso comportamento dell'oceano sotto uno stress causato dall'uomo. Il pericolo che corre l'Europa qualora si affievolisse il nastro atlantico è semplicemente troppo grande, non possiamo trasformare l'Atlantico nel Pacifico. E' un rischio che speriamo sia ben presente a coloro che dovranno regolare le future azioni dell'umanità a Kyoto, in dicembre. Vittorio M. Canuto Nasa, New York


SCIENZE DELLA VITA. PROBLEMI DI CUORE La scossa salvavita Nell'arresto cardiaco i primi cinque minuti di assistenza medica sono decisivi Appello da un convegno: abilitare gli infermieri all'uso del defibrillatore
Autore: DESTRO ANTONIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: ITALIAN RESUSCITATION COUNCIL
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, RIMINI (RN)
TABELLE: D. Sezione del cuore

ACCADE abbastanza spesso che il cuore vada incontro ad alterazioni del ritmo dei battiti (aritmie); ci sono però aritmie benigne e aritmie maligne. Fra le maligne ce n'è una (detta fibrillazione ventricolare, Fv), fulminea e poco prevedibile, che è la causa più comune dell'arresto cardiaco improvviso (morte improvvisa cardiaca). La Fv può insorgere nelle prime fasi di un infarto miocardico acuto (che è dovuto all'occlusione di una delle coronarie, arterie che irrorano le pareti del cuore). Quando questo avviene, l'infarto si complica con un arresto cardiaco. Fortunatamente solo una parte piccola degli infarti va incontro a questa grave complicanza; ma si tratta di una complicazione che, se insorge, lo fa soprattutto nelle prime fasi dell'infarto, quando il paziente spesso non è ancora in ospedale. Ecco perché oggi di infarto si muore molto meno (in ospedale), ma bisogna avere la fortuna di arrivarci presto e ben assistiti. Invece i decessi preospedalieri, a seconda delle statistiche, sono dal 50 al 70% del totale. In caso di arresto cardiaco improvviso, la salvezza del paziente è legata al fatto che ci sia accanto a lui, in quel momento, qualcuno in grado di capire la gravità della situazione e di cominciare entro 4-6 minuti dall'arresto, a praticare la «Rcp» (rianimazione cardiopolmonare), in attesa che sia possibile collegare il paziente a un apparecchio chiamato defibrillatore col quale dargli la scossa salvavita. E' una drammatica partita che si gioca tutta lì, sul luogo dell'evento, nel giro di pochi minuti; una battaglia da vincere prima che il cervello diventi irrecuperabile. E' quindi necessario prevedere strategie sociali, educative ed organizzative perché la battaglia contro la «morte improvvisa cardiaca» (che secondo le statistiche colpisce 1 persona su 1000 all'anno), sia organicamente impostata anche in Italia. Il primo passo è diffondere l'insegnamento sull'emergenza cardiorianimatoria fra la popolazione: nell'Europa del Centro-Nord l'insegnamento cardiorianimatorio ha raggiunto percentuali di residenti fra il 5 ed il 20%, in alcune città Usa supera il 30%. In Italia le percentuali sono minime e dovute solo a iniziative locali, come quelle di Monza, Vicenza, Rimini. Una strategia nazionale potrebbe prevedere diversi momenti in cui si insegna gradualmente al cittadino come riconoscere una emergenza cardiaca, come dare l'allarme in modo corretto, che fare in attesa dell'arrivo dell'ambulanza. Un primo grado di insegnamento elementare potrebbe avvenire in III media (così si raggiungerebbero tutti i cittadini). La Rcp è indispensabile comunque, si è detto, per guadagnare tempo: ma nell'arresto cardiaco improvviso da Fv (che ne rappresenta la causa grandemente più frequente) il momento risolutivo è la defibrillazione, cioè una scossa elettrica erogata, con opportuna tecnica, sul torace. La scossa deve sopravvenire al più presto possibile e nel frattempo il paziente esanime deve essere tenuto in vita con la Rcp. Più precoce sarà la scossa, più probabilità ci saranno che la Rcp sia poi coronata dalla ripresa di attività cardiaca spontanea. Il defibrillatore, che oggi ha le dimensioni di una valigetta «24 ore», richiede l'intervento di un soccorritore esperto, che sappia interpretare l'elettrocardiogramma e decidere istantaneamente se e come dare la scossa. Per ovviare a questi limiti, da circa vent'anni sono in uso anche i defibrillatori automatici o semiautomatici esterni («Dae»). Contengono in più un computer, che analizza il ritmo cardiaco, predispone l'apparecchio alla scarica, se necessaria, dandone contemporanea informazione al soccorritore con messaggi vocali e scritti. L'affidabilità dei Dae è tale che vengono abitualmente utilizzati, in molti Paesi, da soccorritori non medici e addirittura non sanitari (agenti di polizia, vigili del fuoco). Ad esempio, i Dae sono in dotazione anche al personale di bordo degli aerei di linea della compagnia australiana, con numerosi casi di resuscitazione in volo. In Italia invece questi apparecchi, per motivi di tipo legale e culturale, sono di fatto utilizzati solo dal medico, con inevitabili e spesso fatali ritardi. Nelle rare aree italiane in cui gli infermieri professionali del 118 sono stati autorizzati a usare il Dae, i netti incrementi delle percentuali di sopravvivenza sono stati puntualmente ottenuti, come nelle esperienze straniere. Questi problemi sono stati tema del Convegno dell'Italian Resuscitation Council, tenutosi a Rimini in questi giorni. Ne è emerso come sia necessaria una modifica delle norme italiane, che consenta l'uso dei Dae anche a soccorritori non medici, adeguatamente addestrati e abilitati. Antonio Destro Italian Resuscitation Council


SCIENZE DELLA VITA. ADDUCINA E REGOLAZIONE DEL SALE Ipertensione, individuata una causa di tipo genetico
Autore: TRIPODINA ANTONIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: BIANCHI GIUSEPPE
ORGANIZZAZIONI: OMS, LANCET, OSPEDALE SAN RAFFAELE
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, MILANO (MI)

E' ben noto che il cloruro di sodio, il comune sale da cucina, ha un ruolo importante nello sviluppo di alcune forme di ipertensione arteriosa. Per questo l'Organizzazione mondiale della sanità suggerisce che il trattamento dell'ipertensione inizi sempre con una dieta povera di sale: è provata l'efficacia di questo provvedimento nel ridurre i valori della pressione, sia sistolici che diastolici. Restava però oscuro il motivo per cui, in una popolazione con dieta ricca di sale, solo una percentuale dal 15 al 30% vada incontro all'ipertensione. Nessuna teoria era del tutto convincente. Non per nulla il 95% delle forme di ipertensione è ancora definito «essenziale». Un modo elegante per dire «da causa ignota». Le cose tuttavia stanno cambiando. Il merito di aver trovato il bandolo di una complicatissima matassa va in buona parte ad un gruppo di ricerca italiano, guidato da Giuseppe Bianchi, nefrologo dell'Ospedale San Raffaele di Milano, i cui dati sono stati recentemente pubblicati su «Lancet». La storia inizia negli Anni 60, con la selezione di una razza di ratti geneticamente ipertesi, denominata Milano. Su questi ratti, che sviluppano un'ipertensione simile a quella umana, sono state condotte negli ultimi anni ricerche per identificare i geni alterati e per comprendere attraverso quali meccanismi si sviluppa l'ipertensione. Grazie a questo lavoro l'ipertensione ora è un po' meno «essenziale». Analogamente a quanto osservato nei ratti Milano, si è visto che circa il 40% delle persone ipertese presenta una «adducina» alterata. L'adducina è una proteina che ha il delicatissimo compito di modulare, nelle cellule del tubulo renale, la funzione della pompa sodio/potassio, addetta al riassorbimento del sodio dalle orine, in modo che venga mantenuto un giusto equilibrio nella composizione dei liquidi corporei. E' costituita da due sub-unità, alfa e beta, codificate da geni diversi. L'errore riguarda più spesso l'alfa-adducina (il cui gene si trova sul cromosoma 4). Un piccolo errore (la sostituzione di un aminoacido con un altro, in una molecola costituita da ben 720 aminoacidi), ma sufficiente a squilibrare la funzione della pompa che fa riassorbire più sodio di quanto non ne venga eliminato. E quando nel sangue si ha un eccesso di sodio, parte di esso va a localizzarsi nelle fibrocellule muscolari lisce delle arteriole, rendendole più sensibili alla stimolazione del sistema nervoso simpatico, da cui una persistente vaso-costrizione e un aumento della pressione arteriosa. L'adducina alterata compare anche nel 25% di persone con pressione normale: si presume che perché l'ipertensione si sviluppi sia necessario il concorso di altri geni mutati, già in parte individuati. Un'importante osservazione è che gli ipertesi che hanno una mutazione del gene dell'adducina rispondono molto bene ai farmaci che aumentano l'eliminazione del sodio (alcuni diuretici) e alla restrizione dietetica del cloruro di sodio. E' già pronta per la sperimentazione una nuova molecola che, a dosi bassissime, è in grado di correggere le anomalie della pompa sodio/potassio legate all'adducina mutata. Stiamo quindi per entrare nell'era in cui sarà importante avere per ogni paziente iperteso una specie di carta d'identità genetica, che permetterà, in parecchi casi, una terapia basata sulla correzione delle cause piuttosto che dei sintomi, come avviene ora. Antonio Tripodinaò


SCIENZE DELLA VITA. SE NE DISCUTERA' A TORINO Ritorna il fantasma della Tbc tre milioni di vittime all'anno
Autore: MODA GIULIANA, VALPREDA MARIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, BIOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: OMS
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
TABELLE: T. Casi stimati di tubercolosi nel mondo (dati 1997)

SCIENZIATI di tutto il mondo, sotto l'egida dell'Unione Internazionale contro la tubercolosi e le malattie respiratorie, dibatteranno a Torino, il 6-7 ottobre, presso la nuova sede della Facoltà di Veterinaria, i principali problemi della tubercolosi, umana e animale. Al centro dell'attenzione sarà Mycobacterium bovis, il germe che colpisce prevalentemente il bovino ma è responsabile anche di gravi patologie nell'uomo. Di particolare interesse la rassegna dei nuovi metodi diagnostici e delle prospettive di indagine aperte dalle biotecnologie. A fine convegno, le rappresentanze delle maggiori organizzazioni internazionali di sanità pubblica, con in testa gli esperti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità di Ginevra (Oms), si riuniranno per decidere le strategie migliori di lotta all'infezione. Nota fin dall'antichità (lesioni inequivocabili sono state rinvenute anche in mummie dell'antico Egitto) la tubercolosi è stata una delle patologie con cui la scienza medica si è confrontata con difficoltà, tra tragedie personali e drammi sociali, nella cornice di suggestioni psicologiche e letterarie. Nella lotta alla tubercolosi i successi decisivi, dopo decenni di terapie poco efficaci nei sanatori, sono venuti con l'era antibiotica e con la successiva messa a punto di programmi di cura intensivi, capaci di combattere l'infezione in tempi relativamente brevi. La rilevanza del problema aveva peraltro dato un impulso straordinario a una estesa e capillare rete di diagnosi, cura e prevenzione, rappresentata nel nostro Paese dai Consorzi antitubercolari, ma sviluppatasi ovunque con caratteristiche analoghe. Un forte contributo è stato fornito anche, almeno nei Paesi a reddito medio elevato, dal miglioramento delle condizioni di igiene e di alimentazione della popolazione mentre il Terzo Mondo paga da sempre un tributo di milioni di malati e migliaia di morti ogni anno. Oggi il problema tubercolosi è ritornato clamorosamente alla ribalta anche nelle nazioni più ricche, a testimonianza che la lotta contro questa infezione non è mai definitivamente vinta. Le cifre sono allarmanti: si calcola che nei prossimi 10 anni potrebbero morire per tubercolosi circa 30 milioni di persone. Inoltre la tubercolosi è ancora in testa nella classifica della mortalità da agenti batterici e circa un terzo della popolazione mondiale è colpita da questa malattia. Le cause della recrudescenza (8 milioni di nuovi casi nel 1996) sono molteplici. Innanzitutto la grande resistenza del germe, che si è rapidamente adattato anche ai farmaci utilizzati, in particolare all'idrazide dell'acido isonicotinico e alla streptomicina: si ritiene che almeno 50 milioni di persone soffrano di forme resistenti alla terapia. Determinante anche la formazione di nuove sacche di poverà scarsamente assistite, collegate solo in parte ai recenti flussi migratori, e l'aumento delle forme di immunodepressione, che colpiscono percentuali crescenti di popolazione. La rete dei controlli, molto allentata dopo i successi di questa seconda metà del secolo, rischia di rivelarsi assolutamente insufficiente. Troppi casi sono diagnosticati in ritardo o rimangono nascosti da altre patologie e, considerata l'alta contagiosità della malattia, costituiscono una prolungata fonte di rischio. Una certa percentuale di episodi trova la sua origine negli animali, colpiti da specie diverse del micobatterio, capaci però di infettare anche l'uomo. Ridotto di molto il rischio di contagio alimentare, sono soprattutto le categorie professionali esposte (allevatori, veterinari, macellatori, tecnici di laboratorio) a contrarre l'infezione. Se anche la prestigiosa rivista «Nature» ha lanciato l'allarme con un articolo intitolato «Tubercolosi: indietro, verso un futuro che spaventa», sembrano da valutare molto seriamente gli appelli di medici e ricercatori a rinnovare l'attenzione per questo antico male. Giuliana Moda Mario Valpreda


SCIENZA DELLA VITA. UNA FONTE DI CONTAGIO La tubercolosi bovina: anche le foche sono serbatoi di infezione
Autore: MODA GIULIANA, VALPREDA MARIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, BIOLOGIA, ANIMALI
ORGANIZZAZIONI: OMS
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

LATTE bovino: un alimento che accompagna dall'infanzia alla vecchiaia la maggior parte degli uomini. Per questo le autorità sanitarie di tutto il mondo dedicano attenzioni particolari alla sanità di base delle mandrie specializzate per questa produzione. Gli interventi di risanamento degli allevamenti sono iniziati fin dagli Anni 20, quando si è applicato su larga scala il test tubercolinico che consente l'individuazione precoce dei bovini infetti. In Italia il primo latte di mandrie indenni da tubercolosi è stato commercializzato negli Anni 50, con iniziative su base volontaria. Oggi la legge impone che tutti gli animali che producono latte e carne siano controllati annualmente e certificati indenni da tubercolosi. I vantaggi ricadono non soltanto sulla salute pubblica ma anche sull'economia delle aziende agricole, considerato che la tubercolosi bovina penalizza pesantemente, quantitativamente e qualitativamente, le produzioni. Gli animali che i veterinari delle Usl diagnosticano infetti vanno prontamente eliminati e, per compensare il danno subito agli allevatori, viene corrisposto un parziale indennizzo. Una diagnosi tempestiva della tubercolosi bovina è particolarmente importante perché la malattia è altamente contagiosa e il germe resiste a lungo nell'ambiente. Entrato nell'organismo, il micobatterio tubercolare può localizzarsi in tutti gli organi, ma colpisce preferibilmente polmoni e apparato digerente. Gli allevamenti infetti sono sottoposti a una rigida quarantena sanitaria durante la quale non possono nè vendere animali nè commercializzare i prodotti. La qualifica di allevamento ufficialmente indenne si consegue dopo che tutti gli animali presenti nell'azienda sono risultati negativi a due prove tubercoliniche effettuate a distanza di sei mesi. In Italia la tubercolosi bovina è ormai contenuta e il traguardo dell'eradicazione totale, già raggiunto in molti Paesi europei, è ormai a portata di mano. Tuttavia cresce continuamente l'elenco delle specie animali colpite dall'infezione tubercolare. La letteratura scientifica, remota e recente, riporta con dovizia di particolari la descrizione della malattia in mammiferi di ogni tipo. Si va dalle specie domestiche (cani, gatti, capre, suini, conigli), in cui il fenomeno è stato ampiamente studiato per combattere e prevenire la possibilità di contagio all'uomo, agli animali di zoo e circhi (scimmie e pappagalli in testa), fino a insospettate categorie di selvatici. Studi australiani hanno dimostrato la presenza del micobatterio di tipo bovino nelle foche. L'origine dell'infezione è stata individuata in alcuni pinnipedi, affidati alle cure di un addestratore che aveva avuto contatti con bovini infetti. Dalle foche «addomesticate» il contagio si è poi trasferito a quelle in libertà. Sotto accusa, come serbatoi di infezione che spiegano la ricomparsa della tubercolosi in mandrie al pascolo in zone già risanate, anche il tasso in Inghilterra e, in Nuova Zelanda, l'opossum. Questo Paese è anche alle prese con il pericolo costituito dai daini, colpiti da forme particolarmente gravi del morbo. Bufali, cervi, cammelli, elefanti, cinghiali sono altri animali che rappresentano spesso l'anello di connessione fra l'ambiente silvestre e quello domestico. I problemi sollevati dalla presenza della tubercolosi nei selvatici sono complessi: soluzioni drastiche di abbattimento e severa riduzione dei portatori non sono sempre praticabili, perché contrastano con le esigenze di salvaguardia della fauna e degli equilibri territoriali. (val. e mo. )




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