TUTTOSCIENZE 11 giugno 97


SCIENZE A SCUOLA. CON «SPECCHIO» L'ULTIMO PEZZO Finalmente, il Microwatcher Qualche consiglio per gli esploratori della natura
Autore: T_T_S

ARGOMENTI: DIDATTICA
ORGANIZZAZIONI: SPECCHIO DELLA STAMPA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

SABATO i lettori di «Specchio», il supplemento de «La Stampa», troveranno il quinto e ultimo pezzo del «Microwatcher», un originalissimo microscopio portatile che permetterà ai curiosi di ogni età sorprendenti osservazioni naturalistiche. I manuali di «Giocanatura», anch'essi distribuiti con «Specchio», saranno altrettante guide molto utili in queste esplorazioni del microcosmo che si nasconde tra i fili d'erba di qualsiasi prato. Manuali a parte, una volta montato con cura il microscopio, qualche consiglio per l'uso può essere utile. Il primo consiglio riguarda il rispetto per l'ambiente. Le osservazioni che si possono fare senza alcun danno per la natura sono moltissime. Evitate le poche che invece potrebbero danneggiarla, come, ad esempio, la caccia alle farfalle (antiparassitari e diserbanti usati in agricoltura hanno già fatto troppe stragi di lepidotteri). Il secondo consiglio riguarda invece l'uso del Microwatcher. Questo strumento consente ingrandimenti di 100, 200 e 400 volte. Sono tanti. Per la maggior parte delle osservazioni 100 ingrandimenti bastano e avanzano. Pensate che un capello a cento ingrandimenti vi apparirà già più grande di una matita. Inoltre il microscopio non ingrandisce solo gli oggetti ma anche i movimenti. Quindi un minimo spostamento dell'oggetto da osservare diventa enorme e rischia di portare l'oggetto fuori campo. Questo discorso ne introduce un altro: la delicatezza dei «vetrini», nel nostro caso delle protezioni di plastica trasparente nelle quali devono essere inseriti gli oggetti da osservare. State attenti a non rigare la plastica. Bisogna inoltre assicurarsi che gli oggetti che volete osservare possano essere ben illuminati e che le loro dimensioni siano abbastanza piccole, in modo da non occupare tutto il campo. Infine, attenzione a non sporcare con granelli di polvere le parti ottiche del microscopio. Soprattutto i tre obiettivi intercambiabili sono molto delicati, e le loro lenti sono così piccole che pulirle è molto difficile. E ora, buone osservazioni] (t. t. s.)


SCIENZE A SCUOLA Il dottorato di ricerca Poche le prospettive a breve termine
Autore: E_P

ARGOMENTI: FISICA, DIDATTICA, LAUREE
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

IL dottorato di ricerca in Italia esiste da tredici anni e ha colmato una lacuna che poneva il nostro Paese in una posizione del tutto anomala rispetto a quasi tutto il resto del mondo permettendo ai giovani più motivati e più dedicati di formarsi una preparazione specifica alla ricerca eliminando (almeno in parte) quell'improvvisazione autodidattica che, da sempre, ha caratterizzato i pur ottimi ricercatori italiani. Malgrado i (grossissimi) limiti della legge che, più volte segnalati, non hanno mai ricevuto la minima attenzione legislativa, il ruolo del dottorato è stato nel complesso positivo anche perché, fortunatamente, è venuto in un momento in cui si stava profilando un certo assorbimento di giovani ricercatori da parte di Università ed Enti di ricerca pubblici e privati. Anche se mancano statistiche nazionali, sappiamo che una buona parte dei dottori di ricerca in fisica sfornati dall'Università di Torino ha avuto, almeno fino ai primi Anni 90, una relativa facilità di inserimento nella ricerca. Quello che sta diventando preoccupante è, invece, non solo la mancanza di prospettive a breve termine dei giovani che hanno conseguito il dottorato negli ultimi anni o che lo stanno seguendo o che lo seguiranno negli anni a venire ma, ancora di più, la mancanza di una politica in questa direzione che ha caratterizzato l'azione governativa finora. Si rischia di spendere cifre considerevoli per creare dei superspecializzati senza preoccuparsi di quali potranno essere i loro sbocchi occupazionali e senza curarsi del fatto che questi giovani, consapevoli di essere la crema dei neolaureati nei loro rispettivi campi, hanno come unica prospettiva quella di non averne. In questo senso la tanto conclamata autonomia delle Università rischia solo di essere una beffa. Non vorrei che si potesse credere che questo è il solito sfogo inutile. Il punto è non solo che qualcosa dovrebbe essere fatto subito ma che, per una volta, qualcosa potrebbe essere fatto subito a un costo relativamente modesto e con una altissima ricaduta per il futuro. Urge, per essere specifici, che vengano attivati subito i tanto celebrati contratti pluriennali di ricerca che potrebbero traghettare oltre le secche attuali i migliori fra i nostri giovani ricercatori permettendo il loro inserimento nel mondo della ricerca. Ma è, a mio parere, del tutto illusorio sperare che le Università possano accollarsi il costo di una simile operazione sui loro bilanci (come i progetti del governo attualmente prevedono). Ad evitare che si possa pensare che si propone di fare solo della beneficenza occorre ricordare che le previsioni sono che, entro 10 anni, l'Università italiana si svuoterà per il 40% del suo organico (vedi, per esempio, la relazione del Preside della Facoltà di Scienze dell'Università di Torino alla Conferenza di Ateneo svoltasi a Torino il 28 novembre 1996). Se la nuova normativa per il reclutamento dei professori verrà finalmente approvata (sperando che la sua farraginosa macchina riesca poi a decollare), questo, al meglio, permetterà un ricambio al livello più alto. Lascerà invece, del tutto aperto il problema di quello delle giovani leve che, viceversa, solo, potrà garantire la funzionalità dell'Università del domani e, di conseguenza, la competitività dell'Italia a livello internazionale. Frustrare i giovani dottori o dottorandi del presente o dell'immediato futuro e disperderne le competenze vanificando anni e anni di studio e di applicazione, non solo è grave in sè e per sè ma è grave in quanto, soprattutto, ci priverebbe di quell'indispensabile ricambio. E non ci saranno scuse, il Paese che non sarà in grado di garantire un alto livello alla sua ricerca in tutti i campi sarà condannato senza pietà a retrocedere (ulteriormente?) di categoria. Resta solo da augurarsi che il governo si renda conto dell'urgenza e della importanza del problema e che provveda immediatamente.(e. p.)


SCIENZE A SCUOLA. UNA LAUREA TUTTOFARE La fisica a Wall Street Molte e diverse opportunità di lavoro
Autore: PREDAZZI ENRICO

ARGOMENTI: FISICA, DIDATTICA, LAUREE
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

LA laurea in fisica (almeno per il momento) sembra ancora dar lavoro, e ciò dovrebbe tranquillizzare sia gli studenti che oggi seguono il corso di laurea in fisica sia quei potenziali (futuri) studenti che avessero in mente di iscriversi. Ricordo ancora l'allarme con cui i miei genitori accolsero (molti anni fa) la mia decisione di fare fisica: «Non ti darà da vivere» dicevano. In retrospettiva posso tranquillamente dire che c'era una buona dose di esagerazione. Pur non portando alla ricchezza, fino a qualche anno fa la laurea in fisica era un ottimo viatico per trovar lavoro. Un sondaggio nazionale fatto sui laureati fino al 1992 mostra che praticamente tutti i laureati in fisica trovavano lavoro entro meno di un anno dalla laurea. Da un certo punto in poi, da quando cioè è cominciata la crisi, è invalsa la pratica di accomunare in una generale disfatta occupazionale tutte le lauree. Certo, i tempi per trovare un lavoro soddisfacente si sono allungati e spesso il lavoro che uno trova non è quello che aveva sognato o sperato o per il quale si era dato una specifica dura formazione universitaria. Ugualmente, bisogna riconoscere che il tipo di occupazione sta cambiando e che sempre più spesso i giovani, anche quelli superspecializzati (anzi, loro forse, più di tutti) devono rassegnarsi a una lunga trafila di borse di studio (di dottorato, di specializzazione ecc.), di lavori a tempo determinato (di formazione o altro) e che sempre più viene spostato il momento in cui la carriera corre su binari stabilizzati. Lo sa chiunque (come me) abbia figli in questa situazione. In questo, però, dobbiamo rassegnarci al fatto che stiamo, ahimè, solo adeguandoci ad un tipo di realtà che è comune da anni nei Paesi più progrediti (cominciando dagli Stati Uniti) e che la vita sta diventando molto più difficile, soprattutto per i giovani (come mostrano le statistiche nazionali, vedi La Stampa del 6 marzo 1997, da cui risulta che in Italia la disoccupazione giovanile supera il 35% contro il 13% del totale dei lavoratori), ma anche per gli anziani non si scherza e lo vedremo meglio dopo che la revisione del sistema pensionistico sarà stata completata. Mancando dati recenti, il corso di laurea in fisica ha deciso di procurarseli con un sondaggio. Circa 520 lettere sono state spedite a tutti i laureati in fisica tra il 1993 e il 1996 chiedendo varie informazioni tra cui appunto se uno avesse un'occupazione stabile oppure a tempo determinato o, ancora, saltuaria oppure nessuna. Al momento, sono giunte circa 300 risposte. Il campione di risposte si può, pertanto, considerare sufficientemente ampio da meritare di essere analizzato. Il risultato non solo conferma che non vi è quasi disoccupazione (semmai vi è troppa occupazione a tempo determinato) ma è assai interessante per molti motivi: il 40% circa degli interessati dichiara un'occupazione stabile (quasi tutti sono impiegati nell'industria o in varie attività produttive, quelli assorbiti dalla ricerca o dalla scuola sono poche unità). Il 34% dichiara un'attività o a tempo determinato (nella stragrande maggioranza) o saltuaria e in questo caso la ripartizione è circa metà nell'industria e metà nella scuola o nella ricerca. Solo l'8% dichiara nessuna occupazione (ma si tratta, in maggioranza, di laureati nella sessione di laurea di novembre del 1996 per i quali una disoccupazione appare fisiologica, tenuto conto anche di altri impegni come il servizio militare o civile). Per ragioni che verranno chiarite meglio a parte, non si è ancora parlato di un ultimo 18% di risposte che è costituito da giovani che seguono, a Torino, in Italia o all'estero, un dottorato di ricerca (in fisica, prevalentemente), cioè, in un certo senso, dalla crema dei giovani laureati in fisica. E' forse proprio in questo 18% che si possono individuare, semmai, elementi di preoccupazione (almeno sotto il profilo occupazionale). Ma, appunto, questo è un discorso che richiede un approfondimento particolare. Anche se, in assoluto, un solo disoccupato è già da considerarsi una sconfitta, da un punto di vista di confronto con altre situazioni, possiamo concludere che l'indagine riportata contiene elementi prevalentemente positivi. Sarebbe interessante avere dati simili sia sui laureati in fisica di altre università che sugli studenti laureati in altre discipline. L'impressione, restando ai laureati in fisica di Torino che sono gli unici sui quali possiamo azzardare dei commenti, è che stiamo assistendo ad un'evoluzione degli sbocchi occupazionali tradizionali. Mentre fino a 15 anni fa lo sbocco di un laureato in fisica era quasi integralmente nella ricerca o nella scuola, nel corso degli ultimi anni, l'industria si è gradualmente resa conto della grande duttilità nella preparazione dei giovani laureati in fisica. Sbocchi nuovi si sono andati configurando negli ultimi anni sia nella fisica sanitaria, che legati alla gestione di banche dati e all'analisi tecnica previsionale (da parte di Assicurazioni, Banche e Società Finanziarie), che, ancora, alla creazione e gestione di software. Nuove prospettive si stanno lentamente aprendo legate a problemi ambientali, archeologici, in domini di frontiera dello studio di materiali speciali (fenomeni superficiali, di superconduttività alle alte temperature), mentre aumenta l'importanza del controllo dei fenomeni di turbolenza (anche per lo studio dei moti di grande masse atmosferiche, cioè per previsioni meteorologiche). Come curiosità, ricordiamo che svariati fra i superesperti assunti negli ultimi anni da Wall Street per la programmazione finanziaria sono dei PhD in fisica. Da prendere con grande attenzione sono i commenti contenuti nelle risposte pervenute. Molti sono coloro che lamentano un taglio ancora troppo astratto nella preparazione dei giovani fisici da parte dell'Università e suggeriscono un maggior raccordo con il mondo del lavoro. A conferma che questa è infatti una delle nostre preoccupazioni, si può concludere segnalando che è allo studio la possibilità di istituire quello che si chiama un Diploma in Metodologie fisiche (noto anche come laurea breve o, più correttamente, laurea del primo livello) che in tre anni dovrebbe preparare una figura di fisico più direttamente predisposta per l'inserimento nel lavoro. L'unico problema è evitare facilonerie e fare una attenta verifica se abbiamo le forze per fare un passo così impegnativo dal punto di vista della didattica senza venir meno a quella serietà di preparazione e alto livello culturale che sono sempre stati una caratteristica dei giovani laureati in fisica. Enrico Predazzi Università di Torino


SCIENZE FISICHE. NUOVE ARMI Il raggio che ferma i missili Torna in versione ridotta il progetto «guerre stellari»
Autore: RIOLFO GIANCARLO

ARGOMENTI: ARMI, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: AIR FORCE, BOEING 747 400, TRW
LUOGHI: ITALIA

A sei anni dalla Guerra del Golfo, il Pentagono, cioè il ministero della Difesa americano, non ha certo dimenticato l'incubo dei razzi «Scud» lanciati da Saddam Hussein contro Israele e contro le basi dell'esercito Usa e dei loro alleati in Arabia Saudita. C'è molta preoccupazione, anzi, per il crescente numero di Paesi in possesso di missili balistici di teatro. Oggi sono una ventina, con circa diecimila vettori e un arsenale di testate convenzionali, chimiche, batteriologiche. E alcuni hanno la tecnologia per costruire bombe atomiche. Come fronteggiare la minaccia? Abbandonato con la fine della guerra fredda il progetto di «scudo spaziale», gli Stati Uniti hanno dato il via allo sviluppo e alla costruzione di un'arma rivoluzionaria che, sia pure con obiettivi meno ambiziosi, ne ricalca le orme: un potente cannone laser. Montato su uno speciale Boeing 747, permetterà di distruggere i missili subito dopo il lancio. Il sistema, chiamato Abl (sigla di airborne laser, cioè laser volante), verrà realizzato per conto dell'Air Force da un tem composto da Boeing, Lockheed Martin e Twr, con un investimento di un miliardo 100 mila dollari, 1700 miliardi di lire. Nella decisione ha pesato non poco l'esperienza della Guerra del Golfo. Allora, per difendersi dagli attacchi degli «Scud», vennero impiegate batterie di missili «Patriot»: presentati come quasi infallibili, ottennero in realtà risultati modesti. Il «Patriot», d'altronde, è nato come sistema antiaereo e colpire missili balistici è un'altra cosa. Secondo i programmi, l'Air Force riceverà sette Boeing 747 Abl. Grazie all'autonomia intercontinentale, potranno raggiungere in poche ore l'area di una crisi internazionale, stendendo un ombrello a protezione dei possibili obiettivi di un attacco. Volando in circolo a 12 mila metri di quota, questi aerei potranno scoprire il lancio di missili a centinaia di chilometri di distanza e seguirne la traiettoria con un sensore a infrarossi realizzato dalla Lockheed Martin. Il sistema di puntamento, sempre della Lockheed, indirizzerà con precisione sul bersaglio il raggio del laser ad alta energia, distruggendo il missile durante l'ascesa, nella fase del volo in cui è più vulnerabile, mentre si trova ancora sul territorio del Paese aggressore e - in caso di testate multiple - prima che queste si separino. La costruzione del laser è affidata alla Trw di Cleveland, azienda che studia da anni la possibilità di impiegare fasci di luce ad alta energia per la difesa antimissile. Il prototipo risale addirittura al 1972 e venne sperimentato con successo sei anni più tardi contro un bersaglio in volo. Di recente la Trw ha realizzato due laser chimici da più di un megawatt di potenza: l'Alpha, costruito per l'Air Force con i finanziamenti stanziati per lo scudo spaziale, e il Miracl, commissionato dalla Marina. Quest'ultimo è stato collaudato in un poligono del Nuovo Messico, riuscendo a colpire una serie di missili lanciati da terra. E a distruggerli. Giancarlo Riolfo


SCIENZE FISICHE. RICERCHE IN USA Verso i computer con schermo 3-D Immagini in rilievo formate da un laser
Autore: VALERIO GIOVANNI

ARGOMENTI: ELETTRONICA, RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: HUMAN INTERFACE TECHNOLOGY LAB
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA, WASHINGTON, SEATTLE
NOTE: Virtual Retinal Display

DALLE schede perforate ai sistemi operativi, l'evoluzione dell'informatica sta in una parola sola: interfaccia. Cioè il confine tra l'uomo e la macchina. Dalla rivoluzione nata nei laboratori Xerox alla fine degli Anni 70, le interfacce per i computer sono grafiche. I comandi si eseguono sulle icone, immagini che possono rappresentare programmi, file, archivi di documenti. L'icona più famosa è quella del cestino per i file che non servono più. Ma l'interfaccia-metafora della scrivania bidimensionale è ancora diversa da quella del nostro vero ufficio, che ha una dimensione in più. Quando si passerà a uno spazio tridimensionale? Quando si passerà al 3-D anche sullo schermo del computer? Il miraggio delle immagini a tre dimensioni ha origini lontane, almeno quanto il cinema stesso. Già nel 1903 i fratelli Lumiere girano il primo film 3- D, «L'arrivee du train», un remake tridimensionale del famoso arrivo del treno che aveva sconvolto gli spettatori parigini qualche anno prima. Più inventori che artisti, i Lumiere brevettano nel 1932 il metodo ad anaglifi per la visione del film «in rilievo». Due immagini uguali vengono stampate con colori complementari, come il rosso e il verde. Se osservate con lenti degli stessi colori, ciascun occhio le vede da un'angolazione diversa e la leggera parallasse produce l'effetto della profondità. E' questo l'antenato degli occhialini rossi e verdi che fanno illudere Hollywood negli Anni 50, con decine di film 3-D che tentano di contrastare la popolarità della neonata televisione. Anche Hitchcock, il mago del brivido, gira «Delitto perfetto» in tridimensionale. Ma la novità dura poco. Come il cinema, anche lo schermo elettronico sfrutta il metodo dell'anaglifo. Il principio è sempre lo stesso: far arrivare l'immagine a ognuno degli occhi con un'angolazione leggermente diversa. La visione avviene attraverso occhiali colorati, simili a quelli dei primi film 3-D. Ci sono poi occhiali a cristalli liquidi che anneriscono alternativamente le lenti. L'annerimento viene sincronizzato con le immagini trasmesse sul monitor, in modo che a ogni occhio giunga solo l'immagine giusta. Negli ultimi modelli, gli occhiali sono sincronizzati con un segnale ottico infrarosso generato dal computer, senza più cavi o fili che limitano i movimenti, soprattutto nei giochi, dove la voglia di spazi tridimensionali è più forte. La magia del 3-D può essere ricreata anche solo sullo schermo, con monitor che visualizzano alternativamente l'immagine destra e quella sinistra, «spazzandole» proprio come fa il cannoncino elettronico della televisione. Ma la ricerca verso il 3-D sembra procedere per sottrazioni. Niente occhiali ingombranti e complessi. Niente schermi costosi e poco fedeli. Meglio puntare direttamente là dove l'immagine si forma. Lo Human Interface Technology Lab di Seattle sta studiando il Virtual Retinal Display, un sistema che sfrutta un raggio laser per disegnare l'immagine direttamente sulla retina. Un fascio di luce coerente, simile a quello di un diodo laser, crea un punto di diffrazione sulla retina. Facendolo scorrere si forma l'immagine. Il display «da retina» sarà come un normale paio di occhiali, con una risoluzione pari al numero dei fotorecettori presenti sulla retina, in quanto il raggio laser potrebbe essere guidato per attivarli uno per uno. Giovanni Valerio


SCAFFALE «Il caso della pecora clonata», Cuen, Napoli
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: GENETICA
LUOGHI: ITALIA

I giornali hanno fatto molto rumore intorno a Dolly, la pecora clonata, ma non sempre hanno contribuito a chiarire le idee dei lettori sugli esperimenti di clonazione. Rimedia ora questo puntuale libretto curato dall'agenzia scientifica «Galileo». Piero Bianucci


SCAFFALE Autori vari: «Birdwatching», De Agostini
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: DIDATTICA, ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Il «birdwatching», cioè l'osservazione naturalistica degli uccelli, è una attività affascinante e istruttiva ma richiede una serie di nozioni di biologia e di ornitologia, e anche la conoscenza di alcuni piccoli «trucchi». Questo libro dalle bellissime illustrazioni risponde a entrambe le esigenze. Vi insegna a praticare il birdwatching dal balcone di casa e sul campo, dandovi i consigli giusti per ogni habitat: la città, la campagna, i boschi, le zone umide, le coste, le montagne. Opera di alcuni dei maggiori esperti del settore, il volume è presentato da Marco Lambertini, direttore della Lipu, la Lega italiana per la protezione degli uccelli.


SCAFFALE Martinengo, Pasteris, Romagnolo: «Sesto potere», Apogeo
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: INFORMATICA, COMUNICAZIONI
LUOGHI: ITALIA

Internet, la Grande Rete, offre servizi potenzialmente utili a tutti i cittadini: chiunque può essere interessato a scambiare messaggi con 40 milioni di altri utenti, a cercare informazioni sui temi più disparati, a fare acquisti, a vedere immagini messe in rete dalla Nasa piuttosto che dagli agenti delle più celebri top model. Ma senza dubbio ci sono categorie di cittadini che di Internet si servono in modo più professionale: sono i giornalisti, gli addetti alle relazioni interne ed esterne delle aziende, i formatori. Proprio pensando a loro hanno lavorato gli autori di questo libro. Un manuale utilissimo in quanto fornisce una guida sicura per stare a galla nel mare di informazioni e di opportunità di comunicazione disponibili sulla rete. Cercare e trovare notizie, valutarne l'attendibilità, predisporre pagine di informazione invitanti ed efficaci, muoversi in Internet come in una grande aula virtuale che offre nuove possibilità di apprendimento: queste le cose che gli autori ci insegnano con chiarezza e intuito del futuro. Dello stesso editore, «Inglese per Internet», pratico dizionarietto dell'esperanto telematico, e «HTML» di Roberto Boschin, con Cd-Rom, per imparare a scrivere ipertesti. Da segnalare, infine, la rivista «Telema» della Fondazione Ugo Bordoni diretta da Ignazio Contu (via Baldassarre Castiglione 59, Roma, tel. 06- 548.06.104) e in particolare il numero attualmente in distribuzione, sul tema «Internet, illusioni e realtà», con contributi di Gianni Vattimo, Stefano Rodotà, Aldo Carotenuto e Tullio De Mauro.


SCAFFALE Falciasecca Gabriele e Vico Andrea: «Dal tam tam al telefonino», Editoriale Scienza
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
LUOGHI: ITALIA

LA storia delle telecomunicazioni incomincia con i falò accesi su una serie di isole attraverso il mar Egeo per annunciare la caduta di Troia dopo dieci anni di assedio e arriva alle centinaia di satelliti artificiali che a partire da quest'anno verranno lanciati per realizzare il telefonino «planetario». In mezzo troviamo il telegrafo ottico, il telegrafo elettrico, la radio, il telefono con e senza fili, il fax, la telematica. E' questa la storia, ricca di curiosità e di aneddoti, che ci raccontano Andrea Vico e Gabriele Falciasecca in un libro per ragazzi che potranno leggere con gusto anche nonni e genitori. In più, come prevede la collana, la descrizione di ogni tecnologia è accompagnata da semplici esperimenti che i giovani lettori potranno ripetere a casa propria. Queste pagine-laboratorio sono curate con grande intelligenza pedagogica da Franco Foresta Martin, già autore di un analogo volume dedicato alla radio. Poiché si impara più facilmente e piacevolmente se, oltre a leggere, si «fa» manualmente qualcosa, il risultato didattico è assicurato. E il divertimento anche.


SCIENZE FISICHE. METALLURGIA Un materiale di buona memoria La lega nichel-titanio «ricorda» la forma originaria
Autore: BERNARDI MARIO

ARGOMENTI: FISICA
NOMI: BUEHLER WILLIAM
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Come agisce l'effetto «memoria di forma»

QUANDO il lavoro non era ancora considerato «un diritto», per procurarmene uno chiusi in un cassetto i miei sogni di pilota e d'ingegnere aeronautico. E così per guadagnarmi il pane mi ritrovai davanti alla bocca di un forno elettrico, dove «sudavo» l'effetto del calore sulla trasformazione delle leghe. Tra i molti tipi di leghe, ne emerge oggi un gruppo particolare: sono i «materiali a memoria di forma». In essi una forma particolare viene richiamata da una semplice variazione di temperatura. Per esempio un filo diritto può venire modellato a forma di cerchio e quindi venire rapidamente raddrizzato con il semplice riscaldamento a una determinata temperatura: se contrastato nel recupero della forma iniziale, esso è in grado di vincere una notevole resistenza. Il fenomeno fu osservato su una lega di rame più di cinquant'anni fa all'Università di Harvard e al Mit. Quasi contemporaneamente il fenomeno fu rilevato in Russia dal metallurgista Kurdymov. Successive ricerche individuarono diverse leghe, come oro-cadmio, ferro- platino, indio-cadmio, ferro-nichel, e nichel-alluminio, tutte con proprietà di memoria di forma; ma fu solo dopo che William J. Buehler del Laboratorio delle Armi navali americane, identificò una lega nichel-titanio con capacità di recupero da una grande deformazione e con una grande forza di ripristino della forma originale, che il potenziale delle leghe «a memoria di forma» fu pienamente apprezzato. La lega nichel-titanio scoperta da Buehler può riprendere la forma iniziale, annullando una deformazione fino all'8 per cento: un dato da confrontarsi con quello dei normali materiali da costruzione, che in genere non sono in grado di riprendere una deformazione superiore all'1 per cento. Il meccanismo della memoria di forma è legato alla presenza nel materiale di due fasi stabili in corrispondenza a due differenti temperature. Nella fase austenitica, ad alta temperatura, il materiale presenta una struttura interatomica cubica e si comporta come altri tipici materiali da costruzione presentando grande durezza e forte resistenza e con una curva sforzo-allungamento di tipo classico. Quando il materiale viene raffreddato al di sotto della temperatura di trasformazione esso subisce una variazione di fase in martensite, presenta una struttura interatomica fortemente geminata e perde resistenza. Durante il cambiamento di fase non si osserva alcuna variazione nella forma del filo o della barra; invece la resistenza del materiale si riduce al 20-25 per cento di quella della fase austenitica, le geminazioni vengono facilmente eliminate nella struttura consentendo una deformazione pari a circa l'8 per cento. Riscaldando il materiale oltre la temperatura di trasformazione esso ritorna alla fase cubica dell'austenite e alla sua forma originale. La prima applicazione industriale della lega nichel-titanio risale al 1969 quando fu realizzato un giunto tubolare per collegare tubi in titanio del caccia americano F14 Tomcat. Il giunto tubolare di accoppiamento viene lavorato a diametro interno leggermente inferiore a quello dei due spezzoni da collegare. Raffreddato al disotto della temperatura critica - normalmente mediante azoto liquido - il materiale subisce la trasformazione di fase e risulta facilmente deformabile. A questo punto il giunto viene forzato con un mandrino allargando il suo diametro interno dell'8 per cento circa e in queste condizioni viene facilmente infilato sui due tubi da collegare. Quando il giunto, lasciato riscaldare alla temperatura ambiente, supera la temperatura critica si verifica l'effetto di memoria, per cui si restringe bloccando indissolubilmente le estremità dei due tubi. L'effetto di memoria delle leghe nichel-titanio non è limitato ai movimenti lineari testé descritti e utilizzati nei giunti negli anelli di bloccaggio. La proprietà dei materiali a memoria di forma si presta ad effettuare lavoro e ad azionare un meccanismo realizzando veri e propri attuatori. Questi compaiono nella forma di: 1) fili diritti (grande forza, piccolo spostamento); 2) molle ad elica (piccola forza, grande spostamento); 3) molle a sbalzo (agenti a flessione); 4) molle a disco, molle a rondelle ondulate (grande forza, piccolo spostamento). Mentre normalmente il materiale viene attivato termicamente, in certi casi può essere preferibile attivarlo elettricamente facendolo percorrere da una corrente. Ciò è facilitato dalla grande resistività della lega nickel-titanio che è tale da produrre una sufficiente quantità di calore. In molti attuatori elettrici ci si aspetta che il sistema sia utilizzabile per un funzionamento ripetuto. Ciò si può ottenere mediante una molla ausiliaria di contrasto che viene deformata elasticamente dalla molla a memoria di forma durante la fase di riscaldamento ma che a sua volta riposiziona quest'ultima nel successivo raffreddamento. Alcuni prodotti automobilistici, come i motori e le trasmissioni, sono soggetti a forti differenze di temperatura dall'avviamento a freddo del veicolo sino al raggiungimento della temperatura finale di funzionamento. Nella fattispecie variazioni di viscosità del fluido possono provocare problemi nei cambi automatici. In alcuni casi il controllo della pressione idraulica in funzione della temperatura è stato ottenuto in modo efficace ed economico mediante una valvola controllata da una molla a memoria di forma accoppiata ad una molla di compenso; essa riduce la pressione di slittamento quando l'olio è freddo e l'aumenta quando la trasmissione raggiunge la temperatura di regime. Un'altra applicazione si ha nella valvola di controllo dell'evaporazione nei carburatori che è tenuta chiusa alle basse temperature, trattenendo il carburante evaporato nel carburatore, mentre si apre alle normali temperature di funzionamento sfogando fumi ai fini di una migliore ripresa e per evitare l'ingolfamento. Un regolatore di apertura della finestra di una serra di tipo commerciale impiega una lega rame-zinco-alluminio a memoria di forma per aprire lo sfiato del tetto quando si raggiunge una determinata temperatura e richiudendolo quando la temperatura si abbassa. Altre comuni applicazioni sono rappresentate da interruttori di corrente, dispositivi antincendio, gruppi doccia antiscottature, deflettori di scarico di una vasta gamma di usi che dà a questa specializzazione metallurgica un valore degno di un impegno industriale. Mario Bernardi


CAPPELLA DELLA SINDONE La scienza salverà l'arte
Autore: ANTONETTO ROBERTO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, ARTE, RESTAURO, ARCHITETTURA
NOMI: GRITELLA GIANFRANCO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
TABELLE: D. La Cupola del Guarini. I danni subiti durante l'incendio

SIAMO a due mesi esatti dal rogo che ha quasi distrutto la cappella della Sindone: era la notte fra l'11 e il 12 aprile. Tale fu il disastro, e tale è il capolavoro architettonico colpito, che non è ancora possibile delineare quali strade specifiche verranno percorse fra quante sono oggi disponibili per farlo rinascere. Ma il problema della seicentesca cappella torinese giustifica un'escursione nell'affascinante mondo in cui la scienza del restauro architettonico mette a punto i suoi segreti e la sua «filosofia». E' un aspetto della ricerca italiana poco noto al grande pubblico, ma fra i più brillanti e avanzati, nel quale è accaduto che vocazione artistica, inventiva tecnologica e tradizione artigianale si coniugassero creando sorprendenti possibilità. Immaginate un grande guscio in muratura, all'interno del quale se ne trova un secondo, fatto di marmo, plasmato in spettacolose forme decorative barocche. Per i tre quarti dell'altezza dell'edificio il guscio interno e quello esterno aderiscono l'uno all'altro come fossero un unico grande spessore. Nella parte più elevata invece, cioè nel cestello che sovrasta il tamburo superiore, la muratura si riduce ad una serie di contrafforti che lasciano scoperto lo straordinario traforo creato dal sistema di archi in pietra sovrapposti. Questa è la struttura data alla cappella da Guarino Guarini, abate-architetto la cui febbrile invenzione artistica è pervasa da spiriti matematici e da vene esoteriche perfino vagamente inquietanti. E' l'opera lapidea della cappella, il sontuoso e funereo apparato in pietra bigia di Frabosa ideato da Guarini per custodirvi la Sindone, la parte danneggiata dall'incendio di aprile, sia per l'azione diretta delle fiamme sia per lo shock termico causato dal contrasto fra il calore del rogo e l'acqua fredda degli idranti. Quanto siano estesi e profondi i danni, non è ancora stato possibile stabilire esattamente, perché tuttora ragioni di sicurezza impediscono l'esame ravvicinato. Ci si basa su quanto è dato di intravedere, a distanza, attraverso la macchina del ponteggio che riempie l'interno, e che appare adesso come un sinistro groviglio. Dal 1994, infatti, la cappella del Guarini era oggetto di un restauro, giunto a poche settimane dalla conclusione: il ponteggio era stato smontato soltanto per la metà del suo sviluppo verticale. Secondo l'architetto Gianfranco Gritella, uno dei progettisti che per tre anni, fino all'11 aprile, hanno lavorato nella cappella, l'arsenale delle conoscenze scientifiche, dei mezzi tecnici e delle competenze è oggi tale da consentirne un recupero soddisfacente, sia sul piano storico sia sul piano «visivo». In casi come questo, i primi passi si fanno determinando la composizione e le proprietà dei materiali da restaurare. Tra gli esami ai quali vengono sottoposti i campioni occupa un posto di primo piano la microscopia elettronica a scansione (SEM) che permette di «vedere» la struttura dei reticoli cristallini profondi raggiunti da microsonde endoscopiche simili a quelle che si usano in medicina, e di svolgere analisi chimiche su prelievi effettuati dalle stesse sonde. Un altro esame è la «risonanza magnetica», che visualizza nel marmo l'eventuale presenza nascosta di elementi metallici, per esempio dei tiranti. A sua volta il microscopio metallografico fornisce informazioni sulla natura chimico- fisica degli elementi metallici e sulla loro capacità di lavoro. Questi dati hanno particolare importanza nel caso della cappella della Sindone. L'incendio, infatti, ha messo in evidenza una serie pressoché infinita di perni, staffe, grappe, zanche, tiranti: un insieme di cuciture che collegavano il «guscio» interno della cappella a quello esterno. Molti di questi elementi sono stati deformati dal rogo, che ne ha compromesso la resistenza o addirittura li ha estratti dai blocchi. La termografia (che percepisce attraverso una particolare telecamera o macchina fotografica le differenze di calore emanate da materiali diversi), le indagini all'infrarosso e ai raggi X e la porosimetria completano il panorama diagnostico. Quest'ultima indagine misura la quantità e le dimensione dei pori delle pietre e rileva quanto esse sono permeabili agli agenti esterni, dall'umidità allo smog. A queste prove di carattere elettronico e chimico, si aggiungono quelle fisiche e meccaniche (resistenza alla trazione e alla compressione, limiti di elasticità, conduttività termica e altre). La massa di informazioni così ottenute è la base per passare dalla diagnosi all'intervento riparatore. Uno dei prodigi tecnologici di oggi è una stazione di lavoro completamente automatizzata capace di copiare da sola elementi scultorei a tutto tondo, cioè altorilievi e statue. La macchina è in grado di utilizzare e intercambiare autonomamente decine di utensili differenti (trapani, frese, mole, percussori, seghe diamantate). Il percorso degli strumenti e i profili che si andranno a «scolpire» sono visualizzati in tre dimensioni sul monitor del computer attraverso specifici programmi Cad-Cam, che permettono di predefinire tutte le funzioni e i tempi di lavorazione. In pratica: da un esemplare integro, per esempio una formella di marmo scolpito, un pennello di luce laser rileva infinite quote di livello altimetrico, in altre parole ne estrae il ritratto digitale tridimensionale. I dati vengono elaborati dal computer e trasformati in una miriade di comandi che il calcolatore trasmette al pantografo, azionato da un motore in grado di ruotare a 360o in cinque differenti direzioni. Ognuno degli input corrisponde ad uno spostamento micrometrico dello strumento da taglio. Risultato: una copia perfetta. Da questa si ricava una cassaforma, cioè uno stampo femmina, in cui vengono colate da un meccanismo intelligente resine diverse. Rispetto alla formella- madre, le copie «clonate» in questo modo sembrano gemelle perfette, con i colori e le venature propri del materiale naturale originario. La nuova frontiera, in fatto di lavorazione dei materiali lapidei è Waterjet, macchina che taglia con una lama d'acqua sparata da un ugello alla velocità Mach 3: tre volte la velocità del suono. Per arrivare a tanto una pompa porta l'acqua (alla quale viene aggiunta una determinata quantità di abrasivo) all'incredibile pressione di 4200 atmosfere. Anche in questo caso è il computer che, rilevata mediante scanner la configurazione da dare al taglio, governa e controlla il getto supersonico. A questi nuovi mezzi si affiancano tecniche antiche affinate dal progresso delle macchine, come il tornio da pietra in uso già dalla fine del Settecento per modellare colonne e balaustre. Lo stesso discorso vale per un geniale procedimento noto da secoli, il rivestimento di materiali meno nobili con uno strato di marmi pregiati. Esistono oggi macchinari capaci di sezionare i marmi in strati così sottili, anche curvilinei, da costituire delle vere e proprie impiallacciature. Questa tecnica, in cui primeggia in assoluto il Laboratorio delle Pietre Dure di Firenze, consente di riutilizzare le parti della pietra nobile sopravvissute ad un disastro applicandole a rivestimento di un altro materiale con l'ausilio di speciali ancoraggi nascosti. Il vantaggio è evidente: il manufatto nuovo, per esempio una colonna, sarà anche storicamente omogeneo al resto del monumento. Se il calcolatore è entrato di prepotenza nel cantiere del restauro architettonico, la chimica gli contende il ruolo di protagonista con la sua continua evoluzione. Polimeri acrilici, alchilalcossisiliani, silicati alcalini, fluorosilicati sono i nomi tecnici degli aggreganti liquidi che ricompattano i marmi decoesi e sfaldati e conferiscono loro caratteristiche meccaniche tali da permetterne il sostentamento. Gli aggreganti si fanno anche arrivare in profondità, dove possono essersi formati dei vuoti rilevabili con l'inserimento endoscopico di fibre ottiche. Si utilizza una rete di tubicini nei quali, con un sistema di vasi comunicanti, è fatto passare, a debole pressione, il liquido consolidante. La pulitura è un capitolo a sè. Tecniche sperimentate fin dagli Anni 70 hanno trovato ulteriori perfezionamenti: tra queste la microsabbiatura di precisione, l'impiego di acqua nebulizzata e deionizzata, l'applicazione di impacchi di argilla e polpa di cellulosa o paste chimiche, silicati di etile e polimeri siliconici, i bagni elettrolitici, le apparecchiature speciali ad ultrasuoni (è spontaneo il richiamo a quelle usate dai dentisti per la detartrasi). Comunque - avverte a questo punto Gritella - nè computer nè congegno nè altro ritrovato possono sostituire l'uomo, anche dal punto di vista tecnico, per esempio nel cogliere il verso giusto di un taglio o nell'intuire i difetti nascosti nella vena o la sfaldabilità di una lastra. Per non parlare della complessa sensibilità culturale, storica e artistica che determina, per ogni restauro, la scelta del delicato punto di equilibrio tra conservazione e rifacimento: ma questo non è più discorso di scienza e tecnologia. Nel caso della cappella della Sindone, ci sono le premesse perché il capolavoro seicentesco possa ridiventare se stesso, senza essere una «copia di se stesso». Il che significa riconsegnare al futuro un capolavoro purtroppo non più intatto ma non «falso». Un po' più vaghe diventano le previsioni dell'architetto di fronte alle domande conclusive di rito: quanto potranno durare i lavori, e quanto costeranno. E non si stenta a comprenderlo, se soltanto si pensa alla mostruosa macchina burocratica del nostro Paese. Primo punto: la fase attuale, della «messa in sicurezza», seguita dalla rimozione dei ponteggi, durerà probabilmente parecchi mesi. Quanto al cantiere di restauro, richiederà certamente più di cinque anni, sempreché la definitiva ricognizione dei danni non risulti ancor più drammatica di quanto possiamo oggi supporre. E i costi saranno nell'ordine di qualche decina di miliardi. Roberto Antonetto




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