TUTTOSCIENZE 5 febbraio 97


SCIENZE A SCUOLA. TOMOGRAFIA A EMISSIONE DI POSITRONI Fa vedere il cervello in funzione Ma serve anche per indagare cuore e polmoni
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. La macchina per la tomografia a emissione di positroni (in sigla Pet Positron Emission Tomography)

La macchina per la tomografia a emissione di positroni (in sigla, Pet da Positron Emission Tomography) consente di «vedere» il funzionamento del cervello e di diagnosticarne le disfunzioni. La tecnica consiste nell'iniettare nel sangue una sostanza resa radioattiva che va ad accumularsi nei punti in cui vi è un'attività biochimica. La macchina consente di rilevare le emissioni radioattive di questa sostanza che, una volta analizzata al computer, danno una fotografia istantanea dell'attività del cervello. La Pet è utilizzata anche per scandagliare altri organi, come il cuore e i polmoni, e per individuare i tumori. Il cervello è un organo molto attivo e per questa ragione consuma, come «combustile» una grande quantità di gluscosio. Per l'impiego della macchina Pet vengono introdotte nel sangue delle molecole di gluscosio «marcate» con fluoro radioattivo. Il gluscosio va a depositarsi nelle varie aree del cervello in quantità più o meno elevata a seconda del livello di attività di esse. Con l'aiuto del computer si riesce a valutare il livello di consumo di glucosio per cui, conoscendo i dati relativi al livello normale di consumo delle varie aree, è possibile valutare se esistono delle anomalie di funzionamento di una o dell'altra zona: per esempio le istantanee dell'attività di certe regioni del cervello possono rivelare l'esistenza di un tumore o indicarci l'origine di un'attività epilettica. Rispetto ad altre forme di investigazione, come i raggi X, e gli ultrasuoni, la Pet ha il vantaggio di consentire di osservare gli specifici processi biochimici con una precisione che non ha paragoni.


SCIENZE DELLA VITA. UNA PROTEINA CHIAMATA TAT Aids: ecco i meccanismi molecolari Primi dati positivi da esperimenti a Torino e Genova
Autore: BUSSOLINO FEDERICO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: UNIVERSITA' DI TORINO, ISTITUTO TUMORI DI GENOVA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. La struttura del virus HIV, l'agente dell'Aids, ricostruita a livello molecolare

L'Hiv-1, il virus dell'Aids, è un organismo semplice costituito da poche proteine, sufficienti però a indurre una malattia devastante. La strategia del virus consiste nell'utilizzare le proprie proteine per più scopi, ovviamente con il fine ultimo di replicarsi nelle cellule dell'individuo infettato. Gli sforzi congiunti tra il laboratorio di Biologia vascolare dell'Università di Torino e quello dell'Istituto Tumori di Genova hanno permesso di definire i particolari meccanismi molecolari con cui una proteina del virus attiva le cellule umane. La proteina in questione è chiamata Tat e viene utilizzata dal virus in due modi. La proteina Tat innesca la replicazione del virus dopo che si è introdotto nelle cellule del sistema immune; in secondo luogo può uscire dalle cellule infette e attivare la crescita di quelle sane, ad esempio quelle che ricoprono i vasi sanguigni (cellule endoteliali) che mediano sia l'infiammazione sia lo sviluppo di nuovi capillari. L'attivazione cellulare è mediata da recettori, strutture presenti sulla parete cellulare che ricevono segnali dall'esterno e li trasmettono all'interno. I dati sperimentali dei gruppi di Torino e di Genova, che sono stati pubblicati nel numero di dicembre della rivista " Nature Medicine", dimostrano che la proteina Tat, per agire sulle cellule dei vasi, si serve in modo opportunistico dello stesso recettore utilizzato da una proteina presente nell'organismo, Vegf, che regola lo sviluppo dei vasi sanguigni in situazioni fisiologiche e patologiche, come lo sviluppo del feto, la vascolarizzazione della mucosa dell'utero, la riparazione delle ferite, la crescita dei tumori. Il recettore che regola queste funzioni di Vegf si chiama Kdr ed è proprio quello che i due gruppi italiani hanno scoperto come recettore abusivo di Tat. Ma tutto ciò cosa può significare? Provianmo a metterci nei panni del virus. Il virus si replica meglio nelle cellule che crescono, come i linfociti. Il virus entra nelle cellule endoteliali, ma non riesce a replicarsi perché queste cellule che tappezzano i vasi normalmente non si riproducono. La Tat, stimolando la crescita dell'endotelio, può aiutare il virus Hiv-1 a replicarsi anche dove è sfavorito. Come conseguenza, la proliferazione dei vasi contribuisce alla progressione dell'Aids. Grazie alla sua azione mimetica di un fattore vascolare Tat, contribuisce inoltre ad alcune manifestazioni cliniche, come lo sviluppo di tumori, del sarcoma di Kaposi, di malattie della cute e delle mucose. Al di là del puro interesse scientifico, questa scoperta può aiutarci a migliorare la qualità di vita dei pazienti? Da questi dati non è pensabile avere una ricaduta sulla salute a breve termine. Tuttavia, l'avere scoperto come una proteina del virus attiva il sistema vascolare, permetterà la costruzione mediante l'ingegneria genetica di molecole che impediscano alla Tat di interagire con il recettore o l'utilizzo in modelli sperimentali di anticorpi già sviluppati dall'industria farmaceutica per inibire il recettore di Vegf con lo scopo di arrestare la crescita dei tumori. E questa sarà una nuova tappa, da cui ripartire. Federico Bussolino Università di Torino e Istituto Tumori di Genova


NUOVE TECNOLOGIE Arriva il microscopio a raggi X "molli" Ci fa vedere a forte ingrandimento anche tessuti viventi
Autore: VOLPE PAOLO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, OTTICA E FOTOGRAFIA, TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.

LA possibilità di vedere oggetti impercettibili a occhio nudo è uno dei cardini del progresso scientifico e tecnologico. Senza microscopio ottico non vi sarebbero state gran parte delle scoperte in microbiologia, medicina, metallurgia, botanica, cristallografia. Un altro enorme passo in avanti si fece alla metà di questo secolo con la messa a punto del microscopio elettronico: con ingrandimenti circa mille volte superiori a quello ottico, permise di analizzare oggetti molto inferiori al milionesimo di millimetro. Circa trent'anni fa è stato messo a punto il microscopio ionico che, sfruttando la minor lunghezza d'onda delle particelle pesanti rispetto quella degli elettroni, consente di raggiungere risoluzioni ancora maggiori. In tempi relativamente recenti, infine, è stato realizzato il microscopio basato sullo sfruttamento delle forze atomiche, uno strumento che addirittura permette di distinguere le sagome degli atomi sulla superficie del campione sotto esame. Meno conosciuto è il microscopio a raggi X, già costruito più di trent'anni fa ma poco applicato perché di uso limitato e con risultati non sempre soddisfacenti. Con le nuove tecnologie, laser e eccimeri e materiali fotografici di alta qualità, l'apparecchio viene ora ripreso con il fine di perfezionarne le prestazioni. La risoluzione visiva, cioè la possibilità di vedere i dettagli in un oggetto, è legata alla lunghezza d'onda della radiazione usata per la visualizzazione: più essa è breve, più penetra nei particolari dell'oggetto sotto osservazione, favorendone la nitidezza. La luce visibile all'occhio umano, quella usata al microscopio ottico, è una radiazione elettromagnetica che ha una lunghezza d'onda di circa un millesimo di millimetro. Elettroni, ioni e raggi X possono essere prodotti con lunghezze d'onda molto inferiori, consentendo quindi un alto potere di risoluzione ad ingrandimenti impensabili per l'ottica tradizionale. Tuttavia la visualizzazione con elettroni, ioni e raggi X ha due inconvenienti: 1o) l'occhio umano non è ad essi sensibile e quindi si deve ricorrere all'osservazione indiretta, spesso preceduta (quasi sempre per i campioni biologici) da un trattamento di "colorazione". 2o) per permettere agli elettroni, ioni e ai raggi X di propagarsi senza assorbimento, si deve lavorare in assenza d'aria e quindi si deve porre nel vuoto anche il campione da esaminare. Al primo inconveniente si ovvia facilmente proiettando l'immagine su uno schermo televisivo, dove la si può osservare evidenziandone i particolari desiderati che poi possono essere fissati in fotografia. Il secondo inconveniente è più sostanziale, specie quando si tratta di organismi - al limite viventi - nei quali l'acqua è costituente fondamentale. Infatti, poiché l'acqua, messa nel vuoto, evapora istantaneamente danneggiando sia lo stesso campione sia l'apparecchio, i campioni biologici devono essere trattati, sostanzialmente disidratati, prima di esser introdotti nel microscopio. Una cellula ad esempio o un batterio, non possono perciò esser fotografati esattamente come sono allo stato vivente, cosa che probabilmente lascia una lacuna nella comprensione della loro natura. Il problema può essere risolto dalla microscopia a raggi X "molli". Si chiamano così i raggi X di energia relativamente bassa (sotto i mille elettronvolt, eV) ma che hanno tuttavia una lunghezza d'onda da 200 a 300 volte minore di quella della luce visibile e permettono una risoluzione paragonabile a quella del microscopio elettronico. Raggi X così deboli - i raggi X più comuni, quelli usati per le radiografie, per intenderci, hanno energie che vanno da qualche decina a centinaia di migliaia di eV - si propagano con difficoltà nell'aria perché vengono facilmente assorbiti o diffusi, ma il loro cammino non è turbato da sottilissimi strati di materiale solido. Nel caso della microscopia essi vengono prodotti irraggiando con la luce di un laser a eccimeri (ecco uno dei miglioramenti che probabilmente riporterà in auge la tecnica) un bersaglio di rame e, filtrati e selezionati da fogli di alluminio e vanadio, hanno lunghezze d'onda comprese tra i 2 e 3 millesimi di micrometro. Durante l'analisi l'intera apparecchiatura è posta sotto vuoto spinto, ma la fotografia del campione può avvenire senza la disidratazione perché, durante l'esposizione ai raggi X molli, esso è protetto da uno strato di nitruro di silicio (circa 1 micrometro). A differenza dalla luce visibile, che si può far divergere o convergere con lenti ottiche, o degli elettroni, docili ai campi elettrici e magnetici, i raggi X sfuggono al controllo e possono esser usati solo in fasci paralleli. Perciò questa prima fotografia avviene in dimensioni reali, cioè è anch'essa microscopica; tuttavia, grazie allo spessore del fotoresist, essa è in bassorilievo; per di più l'acqua, benché presente nel campione così da preservarne la forma reale, è trasparente ai raggi X della lunghezza d'onda usata e quindi non opacizza i particolari caratterizzanti del campione. E' poi questa microlitografia del campione - ad esempio un microorganismo vivente addirittura nel suo ambiente acquoso - che viene immessa nel microscopio elettronico per essere ingrandita, fornendo l'immagine reale; anzi, poiché la microlitografia ottenuta è tridimensionale e i raggi X penetrano il campione, quello che risulta è una vera e propria microradiografia. Paolo Volpe Università di Torino


SCIENZE A SCUOLA. FISICA DELLA NEVE Candida, scivolosa e fonoassorbente
Autore: CAGNOTTI MARCO

ARGOMENTI: FISICA
LUOGHI: ITALIA

GLI amanti degli sport invernali e gli albergatori delle località di montagna quest'anno sono stati fortunati: il freddo e le nevicate hanno garantito ottime "settimane bianche". Fra una discesa e l'altra, magari appollaiati sugli impianti di risalita, può essere divertente cercare una spiegazione dei fenomeni legati al ghiaccio e alla neve. A prima vista sembrerebbe che il peggior nemico degli sciatori sia l'attrito. Non per nulla si fa abbondante uso di scioline per ridurlo. Eppure non sempre è necessario: spesso l'attrito dinamico favorisce un aumento della velocità. In effetti il motivo per cui si scivola con tanta facilità sulla neve è dovuto a uno straterello di pochi micron (un micron è pari a un millesimo di millimetro) di acqua sotto gli sci. Se non ci fosse l'attrito dinamico, che scalda la neve e la scioglie, non si scivolerebbe. Infatti l'attrito statico, che non produce calore, consente di restare fermi su pendenze fino a una ventina di gradi. Nel processo di scioglimento non è indifferente il materiale con cui gli sci sono realizzati: se fossero di metallo il calore si disperderebbe troppo rapidamente impedendo la formazione dello strato lubrificante. Ha senso intervenire con la sciolina quando la neve è troppo soffice, oppure troppo fredda, e fin dall'inizio si attacca al fondo formando croste ghiacciate che inibiscono la lubrificazione. Il meccanismo fisico che consente di pattinare sul ghiaccio è diverso da quello che agisce nel caso degli sci. La formazione di un sottile strato di acqua fra la lama e il ghiaccio non avviene a causa dell'attrito, bensì per l'elevata pressione sviluppata: il peso di una persona concentrato su una superficie di pochi millimetri quadrati può portare infatti a pressioni superiori a mille atmosfere. Conseguenza di ciò è l'abbassamento del punto di fusione del ghiaccio di alcuni gradi. Alla temperatura della pista l'acqua può allora rimanere allo stato liquido sotto la lama, e permette di pattinare. Questo è un comportamento peculiare del ghiaccio d'acqua: altre sostanze, come il ghiaccio secco (anidride carbonica solida), non si sciolgono aumentando la pressione e quindi non sarebbero adatte al pattinaggio. Rientrando a casa, la sera, si possono vedere lungo strade e ferrovie le palizzate antineve. Uno sguardo meno distratto porta a chiedersi perché non si sia scelto di erigere un muro, che apparentemente dovrebbe trattenere più efficacemente la neve. La ragione va cercata nei vortici che un ostacolo solido provocherebbe, che sono meno forti nel caso di una barriera forata. Se l'aria che l'attraversa si muove a una velocità inferiore a quella necessaria a sostenerla, la neve può posarsi ed essere trattenuta. Il fenomeno è lo stesso che spiega per quale ragione essa si accumula di preferenza contro gli ostacoli sottili, come gli alberi o i pali, piuttosto che sui lati delle case esposti al vento. Infatti per depositarsi deve avvicinarsi all'ostacolo, ma un oggetto di grandi dimensioni fa divergere il flusso del vento che la trasporta già ad alcune decine di metri di distanza. Un palo o una pianta, al contrario, devia meno l'aria e permette alla neve di avvicinarsi e accumularsi. Un fattore che rende affascinanti le serate invernali è l'atmosfera silenziosa e ovattata: una nevicata recente attutisce ogni rumore all'esterno, certo più di quanto è giustificabile con l'assenza di persone e di automobili. Il manto nevoso agisce infatti in maniera non diversa dai pannelli fonoassorbenti degli uffici; gli interstizi fra un fiocco e l'altro sulla superficie tendono a smorzare la riflessione sonora. Ovviamente l'effetto si riduce se la neve è "vecchia", con una superficie gelata e compatta. Marco Cagnotti


IN BREVE Cardiopatie: caccia ai geni
ARGOMENTI: GENETICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

Un bambino su 170 nasce con una cardiopatia e nel 98 per cento dei casi questa ha un'origine genetica. Un gruppo di ricerca finanziato da Telethon ha ora individuato un difetto del cromosoma 22 che coinvolge una decina di geni il cui cattivo funzionamento è all'origine della sindrome di DiGeorge, malattia caratterizzata da cardiopatia e da altre disfunzioni dell'organismo.


SCIENZE FISICHE. INFORMATICA & MATEMATICA Computer come Euclide? Un teorema dimostrato "a macchina"
Autore: MEO ANGELO RAFFAELE

ARGOMENTI: INFORMATICA, MATEMATICA
NOMI: LOLLI GABRIELE, MCCUNE WILLIAM, WOS LARRY
ORGANIZZAZIONI: IL MULINO
LUOGHI: ITALIA

NEL saggio "La macchina e le dimostrazioni. Matematica, logica e informatica" (il Mulino), Gabriele Lolli ricorda una domanda che nel lontano 1908 Poincarè rivolgeva provocatoriamente alla comunità dei logici del suo tempo: "Ma se ci vogliono 27 equazioni per stabilire che 1 è un numero, quante ne occorreranno per dimostrare un teorema?". La battuta tradiva l'insofferenza del matematico puro, in parte giustificata, nei confronti della logica prima e dell'informatica poi (un atteggiamento che perdura ai nostri giorni come mostrano gli ordinamenti dei corsi di laurea in matematica. Mi perdonino gli amici matematici questa battuta, tesa ad ampliare l'insegnamento dell'informatica nei loro corsi di laurea). Nel momento in cui Poincarè manifestava le sue perplessità nei confronti del sogno leibniziano di realizzare un "calculus rationator" che "avrebbe potenziato i poteri della ragione, più di quanto qualsiasi strumento ottico avesse mai esaltato quelli della visione", non poteva prevedere che sarebbero nati i calcolatori elettronici e che questi, novanta anni dopo, sarebbero stati capaci di fare milioni di deduzioni logiche al secondo, per cui il numero delle equazioni da risolvere non sarebbe certo stato la più grave delle difficoltà. Non poteva neppure prevedere che entro la fine del secolo si sarebbero realizzati alcuni "theorem prover", o dimostratori automatici di teoremi, che nell'ambito di un ben definito sistema formale sarebbero stati in grado di determinare milioni di teoremi deducibili da un dato insieme di ipotesi. In verità finora i dimostratori automatici di teoremi non hanno portato contributi rivoluzionari al progresso della matematica o di altre discipline scientifiche. Sono rapidissimi nel dedurre nuovi teoremi, ma incapaci di identificare, nei milioni di nuovi teoremi proposti in pochi passi di deduzione, quali debbano essere selezionati come pietre miliari per il progresso scientifico. Il primo risultato importante ottenuto da un "theorem prover" è la dimostrazione, nel 1976, del teorema dei quattro colori (che risale al lontano 1853). Il problema proposto riguardava la possibilità di colorare una carta geografica con quattro colori, in modo che regioni con confini in comune non avessero mai lo stesso colore. La dimostrazione suggerita dal calcolatore 120 anni dopo la prima formulazione della congettura, fu però oggetto di molte riflessioni critiche perché basata su molta intelligenza naturale dispiegata nell'impostazione della dimostrazione. Ora, la svolta. William McCune e Larry Wos, dell'Argonne National Laboratory in Illinois, hanno annunciato di aver dimostrato la congettura di Robbins con l'impiego completamente automatico di un loro "theorem prover" assolutamente generale e non con un programma sviluppato specificatamente per quella dimostrazione. La congettura di Robbins riguarda la terza di un insieme di tre equazioni che esprimono le condizioni necessarie e sufficienti perché un'algebra sia Booleana. Nel 1933 Huntington aveva proposto tre equazioni di base, ma un suo studente, destinato a divenire una personalità importante nel mondo della ricerca, Herbert Robbins, aveva suggerito la sostituzione della terza di queste equazioni con una relazione più semplice, senza tuttavia riuscire a dimostrare che la nuova terna di equazioni fosse sufficiente a definire un'algebra Booleana. Risparmio al lettore il confronto delle equazioni di Huntington e Robbins, perché troppo ermetico per i non addetti ai lavori. Inoltre, a giudizio del sottoscritto, la congettura di Robbins non è molto importante dal punto di vista scientifico ed ha una rilevanza applicativa ancora inferiore a quella concettuale. L'importanza di quell'algebra di Boole dal punto di vista della logica, ossia la possibilità di attribuire alle sue operazioni elementari di somma, prodotto e complementazione il significato di "oppure", "e inoltre" e "non" nelle valutazioni della verità o falsità delle proposizioni, era stata ampiamente analizzata, a metà del secolo scorso, dal suo ideatore George Boole, che aveva introdotto quel calcolo come strumento di base per "l'analisi delle leggi del pensiero". L'importanza della notizia non è nelle sue implicazioni per il progresso scientifico, ma per la novità di un teorema interamente dimostrato da un calcolatore. Un nuovo strumento si affianca ad altri mezzi di indagine, ben consolidati nei secoli. Due note di cronaca per chiudere. Herbert Robbins, ora ottantenne, professore emerito alla Rutgers University (New Brunswick), ha commentato il suo trionfo su alcuni dei più noti logici del secolo dopo una disputa che si trascinava da sessant'anni, con poche parole al New York Times: "Sono lieto di essere vissuto abbastanza", quasi a lasciar intendere che la lunga vita fosse più importante della congettura. Subito dopo l'annuncio di McCune e Wos, lo studioso francese Pierre Lescanne dell'Università di Orleans ha annunciato un'analoga dimostrazione della congettura di Robbins, basata su un diverso "theorem prover" sviluppato nel suo laboratorio. Una riflessione finale per tranquillizzare gli amici matematici. La congettura di Robbins, così come il teorema dei 4 colori, non è stata il frutto di intelligenza artificiale, in quanto il calcolatore si è limitato alla sua dimostrazione. Un "theorem prover" è uno strumento importante, ma solo uno strumento, che ha bisogno di molta intelligenza naturale per raggiungere i suoi obiettivi. Il calcolatore produrrà in futuro molti teoremi anche importanti, ma sarà sempre incapace di capirne il significato. Angelo Raffaele Meo Politecnico di Torino


IN BREVE I parchi da leggere
ARGOMENTI: ECOLOGIA, PARCHI NATURALI
ORGANIZZAZIONI: PIEMONTE PARCHI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

"Piemonte Parchi", 70 numeri bimestrali in 13 anni di pubblicazione, è una rivista bimestrale di informazione naturalistica sulle aree protette. Prima e unica rivista pubblica del settore, ora si misura sul terreno del "mercato". Inviata ancora gratuitamente a enti e scuole (in circa 25 mila copie), va in abbonamento ai privati. L'abbonamento annuale (sei numeri) anche per il 1997 è di 15 mila lire (conto corrente postale n. 36620102, intestato a Regione Piemonte, abbonamento a Piemonte Parchi, piazza Castello 165, Torino).


SCIENZE A SCUOLA. GALILEO FERRARIS Il padre dell'elettrotecnica Cento anni dalla morte del grande scienziato
AUTORE: LESCHIUTTA SIGFRIDO
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
PERSONE: FERRARIS GALILEO
NOMI: FERRARIS GALILEO
ORGANIZZAZIONI: REGIO MUSEO INDUSTRIALE, POLITECNICO DI TORINO, SCUOLA CON LABORATORIO DI ELETTROTECNICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

NON si sentiva bene, ma la sera di domenica 31 gennaio 1897, da appassionato melomane quale era, andò a teatro. L'indomani iniziò la lezione di elettrotecnica al Regio Museo Industriale, ma dopo mezz'ora la sospese; ebbe un malore, ma non volle essere riaccompagnato a casa. Polmonite che divenne pleurite e che lo portò a morte sei giorni dopo, il 7 febbraio. Non aveva cinquant'anni. Così scomparve Galileo Ferraris, uno dei più grandi scienziati italiani della fine del secolo scorso. Al di fuori di ogni retorica, fu grande per numerosi aspetti: come ricercatore, come ingegnere, come didatta e organizzatore, ma anche come uomo attento alla società nella quale viveva e ai suoi bisogni. Ci troviamo infatti dinanzi a un uomo particolarmente versato nelle discipline fisiche e matematiche, ma partecipe diretto, e non solo come testimone, del travolgente sviluppo della elettrotecnica, che è uno degli elementi costitutivi del nostro vivere. E' lui il grande didatta che per primo avvia a Torino scuola e laboratorio universitari dedicati alla nuova disciplina ma che trova anche il tempo per "spezzare il pane della scienza", con conferenze e con l'assidua partecipazione alla vita pubblica, come consigliere comunale, come assessore e, sul finire della vita, come senatore. Ma prima di ricordare queste doti di ricercatore, ingegnere, maestro e cittadino, è opportuno fare un paio di riflessioni. L'Italia, durante il mezzo secolo del Risorgimento, era praticamente scomparsa, per tanti motivi, dalla scena della scienza europea, proprio mentre altrove si sviluppavano impetuose nuove scienze o trovavano nuova vita vecchie discipline: l'elettricità, la chimica, l'ingegneria, la fisica. Solo nella seconda metà del secolo la ricerca e la tecnologia italiana, per restare nelle discipline elettriche, si fanno vive a livello internazionale, con Pacinotti, a Pisa, che inventa la dinamo, con Colombo, a Milano, alla cui iniziativa imprenditoriale si dove la prima centrale elettrica europea - la seconda del mondo - e, appunto a Torino, con Galileo Ferraris. L'altra riflessione riguarda Torino, che faticosamente stava superando il trauma della perdita del ruolo di capitale. In questa difficile conversione verso la produzione industriale e la tecnologia, che prima di essere applicata andava costruita e spiegata, ebbe un suo ruolo specifico il Regio Museo Industriale, che poi confluì nel Politecnico di Torino. E di questa istituzione Galileo Ferraris fu una delle colonne portanti, dal 1870 alla morte. Quindi lo scienziato torinese svolse due ruoli importanti, il primo a livello internazionale per far conoscere e apprezzare la ricerca elettrica italiana che era rinata, il secondo locale, con l'insegnare la nuova disciplina sin dal 1882 e con la istituzione di una "Scuola con Laboratorio di Elettrotecnica" nel 1888. Molteplici e disparate furono le sue attività, ma è possibile individuare un filo conduttore attorno il quale Galielo Ferraris organizzò la propria vita. Questo filo è il trasporto e la trasformazione a distanza della energia da elettrica a meccanica. Il problema era insoluto alla fine del secolo scorso: o si trasportava a distanza un combustibile, o si "trasportava" energia meccanica con funi e aste, ma in questo caso la distanza massima era di poche centinaia di metri, al più un paio di chilometri. L'attenzione a questo problema traspare fin dalla tesi in ingegneria civile, discussa a 22 anni: "Delle trasmissioni telodinamiche di Hirn", nella quale presenta e si discute un sistema meccanico di trasmissione di energia tramite funi metalliche. Telodinamia, appunto la forza a distanza. Interessante, a questo proposito, rileggere alcune sue riflessioni poste alla fine della tesi. La diffusione della grande fabbrica, dove "la popolazione operaia è costretta ad aggrupparsi... " ha destato in molti spiriti i più vivi timori; si deplora che "la famiglia sia distrutta..." e in un altro passo si argomenta che invece la capillare distribuzione dell'energia potrebbe "mettere in moto dei telai, distribuiti nelle case operaie, e affidati alle donne che non lavorano nell'opifizio" e ancora "questo sistema aumenta quindi il benessere della famiglia senza lederla, senza togliere i figli alle cure dirette delle madri". Un sistema per il trasporto della energia elettrica per avere una validità tecnica ed economica deve risolvere contemporaneamente sei problemi: la generazione, cioè convertire energia meccanica in elettrica, il trasporto a distanza, la distribuzione, l'illuminazione, la riconversione da energia elettrica in meccanica, la tariffazione. A quattro di questi problemi Galileo Ferraris diede soluzione. A trasporto e distribuzione, con il trasformatore, macchina che non fu inventata da lui. Ferraris ne determinò il rendimento - molto più alto del previsto - e ne costruì la teoria, operazione indispensabile per progettarla razionalmente. Incidentalmente è la stessa teoria - con gli stessi simboli - che usiamo a oltre un secolo di distanza. Con l'invenzione del campo magnetico rotante, Ferraris risolse direttamente gli altri due problemi, ideando i principi sui quali sono basati motori e contatori. Di contatori ogni appartamento ne ha uno, ma di motori ricavati dall'oggetto che cominciò a girare nel 1883 presso il Regio Museo Industriale ognuno di noi ne possiede almeno una decina, dalla lavatrice al frigorifero, dall'asciugacapelli allo sbrinatore del frigo. Un buon motivo per ricordare l'opera del professore torinese che avviò una radicale rivoluzione del vivere sociale, basata sulla capillare distribuzione delle fonti di energia, inconcepibile senza la corrente alternata che passa nel trasformatore e il campo magnetico rotante che fa girare ogni cosa. Sigfrido Leschiutta Politecnico di Torino


SCIENZE DELLA VITA. CAMELIDI SUDAMERICANI Il rebus delle razze Lama e guanachi: origini incerte
Autore: TONIN CLAUDIO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, PERU'

L'origine e la genesi dei camelidi sudamericani sono tuttora tema di discussione e di studio. La loro storia, profondamente segnata dall'intervento dell'uomo, fu sconvolta dall'arrivo dei conquistadores di Pizzarro nel 1532. Nei primi cento anni di occupazione spagnola dell'odierno Perù, l'80 per cento della popolazione umana locale scomparve, e con essa il 90 per cento dei camelidi domestici. Questa catastrofica mortalità, associata alla distruzione della struttura amministrativa dell'impero Inca e all'usurpazione dei migliori territori di pascolo per l'allevamento di bestiame proveniente dall'Europa, ridusse i camelidi domestici a occupare solo le aree marginali dell'altopiano andino, dove agricoltura e allevamento sono quasi impraticabili. L'abbandono dei criteri di selezione, che già nelle civiltà preincaiche avevano orientato l'allevamento verso la produzione di animali a pelo fine per usi tessili portò alla confusione del patrimonio zootecnico sopravvissuto alla "colonizzazione", attraverso ibridizzazioni incontrollate tra le varie specie, al punto che oggi non è chiaro se le specie domestiche siano mai vissute allo stato selvatico, o se siano invece il risultato dell'evoluzione in cattività. Poiché le civiltà preispaniche erano illetterate, la storia dei camelidi è stata scritta in passato da mani europee, con un'ottica a volte speculativa. Nei documenti amministrativi spagnoli del periodo coloniale, lama e alpaca vengono spesso confusi e l'interesse prevalente è dedicato al lama per il suo impiego come animale da carico. Il termine lama viene in seguito usato genericamente per indicare i camelidi domestici, mentre agli inizi dell'Ottocento, per dare rigore scientifico alla classificazione biologica, gli appartenenti al genus Lama vengono chiamati Auchenidi, nome di un genere di insetti... Per completare l'opera, in alcuni testi tessili non recentissimi, il povero alpaca viene ridotto al rango di "capra peruviana". La famiglia dei Camelidae, originaria dell'America del Nord, si diversificò verso la fine del Terziario (10-2 milioni di anni fa), quando gli antenati del genere Camelus migrarono in Asia. Durante le glaciazioni del Pleistocene, i Lama raggiunsero invece l'America Meridionale dove furono raggiunti, successivamente, dall'uomo mentre si estinguevano gli antenati del Nord. Per i primi abitanti della puna, l'ecosistema dell'altopiano andino con temperature medie annuali inferiori ai 5oC ed escursioni giornaliere superiori a 20oC, gelo per più di 300 notti l'anno e precipitazioni irregolari (250-1000 mm annui) alternate a lunghi periodi di siccità, le specie ruminanti capaci di spostarsi velocemente e di nutrirsi di graminacee steppose, di muschi e di licheni, furono la principale fonte di sussistenza. Nel corso del Mesolitico e del Neolitico, i cacciatori si trasformarono in allevatori e le prede in animali domestici. Una delle prime tracce dell'inizio di un'economia basata anche sull'allevamento e non solo sulla caccia, è costituita dal considerevole aumento di ossa fetali e neonatali di vigogna, nei resti risalenti a circa 6000 anni fa che giungono a sfiorare il 60 per cento del totale. Nessuna società di cacciatori commetterebbe un simile catastrofico errore, ma la causa di una così grande mortalità è da imputare al diffondersi di infezioni, associate alla concentrazione di animali in condizioni sanitarie scadenti, diversamente da quanto avviene tra gli animali selvatici (la mortalità neonatale dei camelidi domestici aumenterà ancora fino a superare, oggi, il 70 per cento nei primi due mesi di vita). Studi sulla morfologia degli incisivi della vigogna e del guanaco daterebbero allo stesso periodo la comparsa di una terza morfologia identica a quella dell'attuale alpaca e derivata da quella della vigogna, suggerendo una relazione di derivazione diretta o meglio l'esistenza, già sostenuta da altri studiosi (tra cui Darwin), del genere vicugna, comprendente la vigogna (vicugna vicugna) e l'alpaca (vicugna pacos). Il lama (lama glama) deriverebbe invece dal guanaco (lama gua nicoe). A conclusioni diverse sono giunti alcuni studi basati sulle modificazioni morfologiche indotte dal processo di addomesticamento e recenti ricerche di genetica. Certi autori sostengono che lama e alpaca discendono dal guanaco e che la vigogna non fu mai addomesticata, altri che neppure il guanaco fu mai addomesticato e che lama ed alpaca ebbero dei precursori oggi estinti; altri ancora che lama e alpaca altro non siano che animali della stessa specie, selezionati dall'uomo per usi diversi. In ultimo, il lama deriverebbe dal guanaco, mentre l'alpaca avrebbe avuto origine da incroci tra lama e vigogna. Studi sulle caratteristiche strutturali del pelo, che classificano il lama come intermedio tra il guanaco selvatico e l'alpaca, selezionato per la produzione di fibre tessili, sono stati rimessi in discussione da recenti ritrovamenti di mummie di lama e alpaca a pelo fine presso El Yaral, nel Sud del Perù, appartenenti alla civiltà pre-incaica Chiribaya che dimostrano l'esistenza di criteri di allevamento e di selezione di entrambe le specie per la produzione di fibre tessili. Tuttavia dalle conclusioni più recenti, basate sull'esame del Dna, risulta, come dato certo, una ibridizzazione tra le specie che ha modificato il patrimonio genetico dei camelidi oggi viventi. Oggi esistono quattro specie interfertili di camelidi: il guanaco e la vigogna, selvatici, ed il lama e l'alpaca, domestici, a cui si aggiungono vari ibridi, fertili a loro volta. Mentre vigogna e guanaco sono specie protette dopo anni di caccia dissennata per il valore del loro pelo, le specie domestiche sono in declino sia numerico che qualitativo per la confusione e l'erosione genetica provocata da secoli di allevamento irrazionale. Il 75 per cento degli alpaca e la quasi totalità dei lama sono allevati in modo tradizionale, nelle zone più remote delle Ande, costituendo la risorsa di sostentamento minimo per le popolazioni dell'altopiano andino. Il loro futuro dipenderà dagli aiuti economici e culturali che i Paesi sviluppati riserveranno al miglioramento delle condizioni sociali degli allevatori, anche attraverso la valorizzazione della produzione di materiali tessili ad essi collegati. Claudio Tonin CNR, Biella


SCIENZE FISICHE. CROLLO SULLA BRENVA Il risveglio dei ghiacciai Il risveglio dei ghiacciai L'effetto serra ne accelera i movimenti
Autore: BIANCOTTI AUGUSTO

ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, VALLE D'AOSTA (AO)
TABELLE: D. La struttura del ghiacciaio; D. L'evoluzione di un truogolo glaciale

IN Valle d'Aosta l'alta montagna ha ribadito con durezza le proprie ragioni. La frana di granito precipitata sul ghiacciaio della Brenva ha prodotto una valanga di proporzioni colossali. Il distacco di un seracco in bilico sull'abisso e sui villaggi del lontano fondovalle ha tenuto con il fiato sospeso popolazioni e sciatori, autorità e albergatori. Nella stessa area il 17 febbraio 1991 a Praz Moulin lo scivolamento improvviso di un volume enorme di neve aveva sepolto una dozzina di vittime: in quell'occasione secondo il parere di molti esperti il movimento sarebbe stato innescato dalla caduta di un pezzo del soprastante ghiacciaio del Gigante. I ghiacciai - una manifestazione naturali tuttora un poco misteriosa, relegata dall'immaginario collettivo nel regno dell'ultima Tule ai confini del mito - incombono improvvisamente vicini e minacciosi. Ma l'una e l'altra rappresentazione, di un'inconsistenza quasi virtuale e di un'oscura volontà assassina, parimenti lontane dalla realtà, sono frutto di una scarsa conoscenza di questi mastodonti semoventi. I ghiacciai nel mondo occupano l'11 per cento delle terre emerse, quasi 15 milioni di chilometri quadrati, 50 volte l'Italia. Sulle Alpi superano il numero di 3000; su quelle italiane sono 706 secondo i dati del catasto redatto nel 1989, e coprono un'area di 48.000 ettari. Si muovono sotto l'azione della forza di gravità e per le proprie caratteristiche fisiche intrinseche. La massa, alimentata in alta quota dalle nevicate, cola lentamente a valle come una pigra fiumana di fluido pastoso. L'apice della lingua terminale, guadagnate quote più basse, dove la temperatura si fa meno severa, fonde, dando origine a un vivace torrente di montagna. Il movimento, l'entità dei progressi e dei regressi variano nello spazio e nel tempo. Sulle Alpi raramente la velocità supera i 10/50 metri l'anno (quindi pochi centimetri al giorno); in Groenlandia possono essere coperti anche 5-6 metri ogni 24 ore; in molte parti della Terra si hanno testimonianze di accelerazioni improvvise: fino a 350 metri al giorno per i surge, le onde di ghiacchio in Alaska. Di fenomeni simili fu spettatore il nostro Ardito Desio negli Anni 50 durante una delle sue spedizioni in Himalaya. Nelle annate più rigide e più ricche di precipitazioni solide il fronte glaciale progredisce perché da un lato l'alimentazione abbondante e il freddo intenso rallentano lo scioglimento, dall'altro l'avanzata si fa più svelta. Nei periodi caldi e secchi la lingua arretra nella sua valle: è meno rifornita di ghiaccio dall'alto; quello che c'è, esposto al sole, passa almeno in parte rapidamente allo stato liquido, il moto impigrisce. E' un equilibrio dinamico ben noto agli specialisti, e viene tenuto d'occhio in permanenza. Da un decennio il clima è spietato con i ghiacciai. Alle temperature in lenta ma costante crescita con una tendenza persistente ormai da un secolo, si sommano adesso nevicate più modeste in alta montagna. Gli equilibri diventano precari. La fusione insinua veli d'acqua alla base dei corpi glaciali riducendone l'aderenza al substrato roccioso, allarga i crepacci fino all'isolamento di blocchi dalle dimensioni più diverse, anche enormi come quello delle Grandes Jorasses. Il fenomeno, almeno nelle Alpi, è generalizzato. Sarebbe un grave errore illudersi che i singoli casi siano episodi sporadici, rifiutarsi di riconoscere le evidenze che li collegano. La crescente instabilità delle masse glaciali sarà uno dei problemi dell'alta montagna negli anni a venire, a meno di un improbabile irrigidimento del clima. I crolli di brandelli di ghiacciaio si moltiplicheranno, parallelamente aumenterà la franosità. Le rocce dell'alveo glaciale, liberate all'improvviso della pressione prima esercitata dal ghiacciaio tendono a dilatarsi, lo stress provoca fratture che insidiano la stabilità dei versanti. Niente di nuovo. La storia naturale ci insegna che alle antiche fasi di ritiro glaciale si accompagnarono sempre profondi rimodellamenti nelle alte valli. Tale coincidenza ad esempio fu palese dopo il 1850, alla fine della Piccola Età Glaciale che aveva attanagliato l'Europa per 300 anni. Rispetto al secolo scorso per ora il regresso è molto contenuto, quindi il potenziale dissesto è minore. Ma l'accresciuta frequentazione delle Alpi, diventate il giardino di gioco d'Europa, consiglia di non sottovalutare il pericolo. Non tutti i ghiacciai italiani fanno paura. Molti sono periferici, contenuti in bacini collettori che ne imprigionano eventuali velleità di distacco, lontani da zone abitate o frequentate. Altri invece incombono su villaggi, impianti di risalita, piste di fondo, vie di comunicazione. E' su questi ultimi che va concentrata la sorveglianza con sopralluoghi d'estate, con periodiche fotografie aeree, con analisi sulle proprietà fisiche del ghiacciaio, con ricerche sui bilanci annuali per verificarne l'evoluzione dinamica. L'autorità costituita, sia centrale sia locale, non ha mai dimostrato molto interesse al problema, quasi che le masse d'acqua solida in montagna fossero esterne ai confini nazionali. Finché esse eseguivano diligenti il loro dovere, tale comportamento distratto non portava danno. Da oggi è come se i ghiacciai entrassero in sciopero per rivendicare la propria esistenza. E' bene non sottovalutarne l'ira, oppure il libro spesso dei disastri naturali che martoriano l'Italia - le piene, le frane, i terremoti, le eruzioni - si arricchirà di un nuovo capitolo. Augusto Biancotti Università di Torino


SCIENZE DELLA VITA. CUBA La rana più piccola del mondo
Autore: FRONTE MARGHERITA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
NOMI: ESTRADA ALBERTO, HEDGES BLAIR
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, CUBA

SEMBRA un ciondolo d'oro smaltato, e invece è una rana: la più piccola del mondo. Lunga appena un centimetro, e con un mantello vivace arancione a strisce nere, è stata scoperta di recente da due biologi, uno cubano e l'altra americana, che l'hanno sentita gracidare sotto il tappeto di foglie che ricopre il suolo della foresta tropicale di Cuba. Accortisi che la minuscola ranocchia era sconosciuta alla scienza, Alberto Estrada e Blair Hedges hanno subito pensato di battezzarla dandole un nome, per la verità un po' impegnativo, che quando è scritto è molto più lungo dell'animale: Eleutherodactylus iberia, in omaggio al Monte Iberia, teatro della scoperta. Chissà se le piacerà] Ciò che è certo è che il minuscolo anfibio ha attirato l'attenzione di molti, perché non è solo la rana più piccola che sia mai stata scoperta, ma rappresenta anche il tetrapode dalle dimensioni più ridotte. Ed il gruppo dei tetrapodi, che nella classificazione biologica comprende tutti i vertebrati eccetto i pesci, non è affatto poco numeroso. Ma la scoperta non è un caso, perché la ricerca di nuove specie animali rientra in un piano finanziato dall'agenzia americana National Science Foundation, e la piccola ranocchia arancione e nera non è il primo successo nell'ambito di questo progetto. Infatti proprio nella foresta tropicale dell'isola caraibica gli stessi Hedges ed Estrada hanno rinvenuto anche nuove specie di serpenti, e di lucertole, e fra queste ultime la lucertola più piccola del mondo. Con ogni probabilità fra le foglie degli alberi di Cuba si nascondono molti altri animali che ancora non conosciamo, e che forse non faremo neppure in tempo a scoprire. La foresta tropicale che ricopre il 10% del territorio dell'isola, corre infatti il pericolo di essere rasa al suolo nel giro di pochi anni, perché la popolazione locale, in precarie condizioni economiche, utilizza il legno dei suoi alberi come combustibile e per cucinare. Margherita Fronte


SCIENZE A SCUOLA LE CELEBRAZIONI
NOMI: FERRARIS GALILEO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

Aprile '97: apertura delle manifestazioni in Piemonte, a cura del Comitato Promotore e della Associazione Elettrotecnica Italiana (Aei); restituzione a Torino del monumento di Galileo Ferraris restaurato a cura della sezione Aei torinese. 7 maggio: inaugurazione del monumento restaurato in Livorno Ferraris e di una mostra di documenti donati dagli eredi al Museo. 7-10 maggio: riunione e centenario Aei (1897-1997) a Baveno. 27-29 ottobre: convegno internazionale "Galileo Ferraris e la conversione dell'energia" a Torino organizzato da Politecnico, Accademia delle Scienze e Istituto Elettrotecnico Nazionale. 30 ottobre: chiusura delle manifestazioni a Livorno Ferraris con inaugurazione del Museo di Galileo Ferraris.


IN BREVE "Mucca pazza" bando europeo
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: UE UNIONE EUROPEA
LUOGHI: ITALIA

L'Unione Europea ha bandito un concorso per invitare laboratori, società e altre strutture interessate a presentare progetti di ricerca sulle encefalopatie spongiformi trasmissibili (popolarmente la malattia di "mucca pazza"). Le proposte dovranno giungere entro il 14 febbraio. Per altre informazioni, tel. 051-60.98.197.


IN BREVE Ordine dei medici una lunga storia
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

Sono passati cinquant'anni dalla ricostituzione degli Ordini professionali dei medici, oggi riuniti nella Federazione dei Medici Chirurghi e Odontoiatri: fu approvata dalla Assemblea Costituente il 13 settembre 1946, dopo la soppressione voluta dal regime fascista nel marzo 1935. Un corposo volume realizzato sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica ne ricorda le tappe storiche e politiche. Molto spazio è dedicato alla professione medica in Europa.


DIECI ANNI DALL'ESPLOSIONE Supernova con gli anelli "Hubble" ne sta svelando i segreti
Autore: R_MI

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, OTTICA E FOTOGRAFIA, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: HUBBLE, FAINT OBJECT CAMERA (FOC), FAINT OBJECT SPECTOGRAPH (FOS)
LUOGHI: ITALIA

LA sigla SN1987A indica i resti gassosi dell'esplosione di una stella in supernova avvenuta nel marzo 1987 - dieci anni fa - nella Grande Nube di Magellano, una galassia satellite della nostra Via Lattea a 170 mila anni luce di distanza. Le prime osservazioni ottiche della SN1987A rivelarono che il resto di supernova ha una forma più complessa del previsto. Il guscio gassoso della supernova era, infatti, caratterizzato da una struttura ellittica brillante, simmetrica rispetto al centro dell'esplosione, e da due cerchi più larghi e più deboli che sembravano originarsi dai lati dell'ellisse. Una struttura mai osservata prima negli altri resti di supernova " giovani". Osservazioni successive furono fatte nel 1990 con la Faint Object Camera (FOC) del telescopio Spaziale Hubble (HST) con un filtro a banda stretta centrato sulla riga di emissione dell'Ossigeno III. Queste osservazioni permisero di stabilire che la struttura più interna era, in realtà, un anello di materia in espansione e che la sua forma ellittica era solamente il risultato di un effetto prospettico dovuto alla sua inclinazione di 45o rispetto alla linea di vista. La natura dei due anelli più esterni rimaneva, comunque, un problema irrisolto. Purtroppo, l'aberrazione sferica che a quel tempo affliggeva le ottiche di "Hubble" non permetteva di effettuare osservazioni più accurate. Per chiarire il mistero della struttura di SN1987A fu necessario aspettare la conclusione della missione di riparazione del telescopio, avvenuta nel dicembre 1993. Le prime osservazioni con lo HST "riparato" hanno permesso di studiare la struttura degli anelli con una risoluzione senza precedenti, cogliendo dettagli di 5 centesimi di secondo d'arco. In questo modo è stato possibile rivelare un peculiare allineamento tra i due anelli più esterni e quello più interno che prima era sfuggito. La natura della materia che costituisce gli anelli, però, rimane ancora un problema aperto. Il mistero sembra essersi parzialmente risolto in seguito a nuove osservazioni, ancora con "Hubble". In aggiunta a nuove osservazioni del resto di supernova con la FOC e con la Wide Field Planetary Camera 2 (WFPC2) sono stati presi anche degli spettri degli anelli con il Faint Object Spectrograph (FOS) e, da terra, con il "Telescopio a nuova tecnologia" dell'Osservatorio australe europeo. Da queste osservazioni risulta che le condizioni fisiche negli anelli più esterni sono molto simili. Inoltre, essi sembrano costituiti da materiale che non è stato riprocessato nel ciclo di fusione carbonio-azoto-ossigeno avvenuto nel nucleo della stella progenitrice. Le abbondanze relative di azoto rispetto all'ossigeno e al carbonio sono, infatti, 3 volte inferiori negli anelli più esterni che in quelli più interni. Mentre l'abbondanza di azoto rispetto all'idrogeno è circa la metà. La situazione è capovolta per quanto riguarda gli anelli più interni. Le abbondanze di carbonio, azoto e ossigeno misurate negli anelli interni sono molto vicine a quelle caratteristiche degli strati superficiali di una supergigante rossa di 20-25 masse solari. Questo potrebbe indicare che il materiale che costituisce gli anelli più esterni è stato eiettato dalla stella progenitrice della supernova durante fasi evolutive precedenti. Un paragone con i modelli evolutivi suggerisce che il materiale degli anelli più esterni sia stato eiettato dalla stella progenitrice circa 10.000 anni prima rispetto agli anelli più interni. Considerando che gli anelli più esterni distano dal centro della supernova circa 3 anni luce, questo scenario implicherebbe che essi si muovano alla velocità di 45 chilometri al secondo.(r. mi.)


TELESCOPIO SPAZIALE La sua vista diventa più acuta
AUTORE: MIGNANI ROBERTO
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, OTTICA E FOTOGRAFIA, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: HUBBLE, SHUTTLE DISCOVERY, FAINT OBJECT SPECTOGRAPH (FOS), GODDARD HIGH RESOLUTION SPECTROMETER (GHRS), NICMOS
LUOGHI: ITALIA

IL telescopio spaziale "Hubble" è uno degli strumenti di punta a disposizione degli astronomi. Come tutti gli strumenti sofisticati, però, anche "Hubble" richiede una manutenzione continua. Per questo motivo è stato inserito su un'orbita a circa 550 chilometri di quota, alla portata dello Space Shuttle, in modo da poter essere raggiunto facilmente da un equipaggio umano in caso di necessità (è impensabile riportarlo a terra per via dei costi proibitivi). La seconda missione di manutenzione verrà effettuata intorno al giorno di San Valentino da un equipaggio a bordo dello shuttle " Discovery", il cui lancio da Cape Canaveral è previsto per l'11 febbraio. Come molti ricorderanno, una prima missione si svolse nel dicembre del 1993, poco più di tre anni dopo la messa in orbita di " Hubble", per risolvere i problemi che affliggevano le ottiche del telescopio e ne compromettevano le prestazioni. All'inizio, infatti, "Hubble" soffriva di un lieve difetto dovuto alla forma del suo specchio secondario (quello, cioè, che riflette la luce raccolta dallo specchio principale verso gli strumenti del piano focale), leggermente deformata rispetto al disegno originale. Inutile sottolineare il clima di tensione che aleggiava tra gli astronomi di tutto il mondo, compreso il sottoscritto, coinvolti in programmi di osservazione con "Hubble". Un fallimento della missione, tecnicamente tra le più complicate mai intraprese dalla Nasa per l'elevato numero di ore di attività extraveicolare, avrebbe, probabilmente, significato l'abbandono definitivo del telescopio. La missione, per fortuna, andò per il meglio e "Hubble" tornò a funzionare come previsto grazie all'installazione di un dispositivo studiato per correggere la deformazione delle immagini (Costar), e di una nuova versione della Wide Field and Planetary Camera dotata di un suo dispositivo di correzione. La nuova missione, l'ottantaduesima di uno Shuttle, si svolgerà in un clima molto più rilassato. Nel corso di circa una settimana - questa la durata prevista della missione - i due spettrografi in dotazione ad "Hubble" , il Goddard High Re solution Spectrometer (Ghrs) e il Faint Object Spectrograph (Fos), verranno sostituiti da due strumenti analoghi, in grado di operare anche come camere per immagini. Si tratta dello Stis (Space Telescope Imaging Spe ctrometer) e del Nicmos (Near Infrared Camera & Multi Object Spectrograph), realizzati dalla ditta americana Ball Aerospace. Stis opererà dal vicino ultravioletto (non accessibile dagli strumenti terrestri a causa dell'assorbimento atmosferico) al vicino infrarosso. Utilizzato come camera per immagini, Stis dovrebbe essere in grado di raggiungere il limite di magnitudine 28 garantendo, allo stesso tempo, una risoluzione angolare da 24 a 50 millesimi di secondo d'arco (come dire osservare da Milano due oggetti a Roma separati da 20 centimetri). Nella funzione di spettrografo a media ed alta risoluzione, invece, esso potrà garantire contemporaneamente le prestazioni finora svolte dal Fos e dal Ghrs. La Nicmos, invece, opererà esclusivamente nell'infrarosso. Per prendere immagini, esso utilizzerà tre camere diverse, con campi di vista e risoluzioni angolari differenti. Il programma della missione prevede, inoltre, altre attività complementari come il rimpiazzo di uno dei tre sensori stellari che servono per il puntamento preciso del telescopio e di alcune componenti dell'elettronica di bordo. " Hubble" riceverà di nuovo la visita di uno Shuttle nel 1999 per sostituire entrambi i pannelli solari e per rimpiazzare, dopo quasi un decennio di attività, la gloriosa Foc (Faint Object Camera) con la nuova Advanced Camera, ora in costruzione. Con una serie di ritocchi, da effettuarsi a distanza di due-tre anni, "Hubble" dovrebbe rimanere lo strumento di punta dell'astronomia ottica almeno fino al 2004, quando la Nasa, finanze permettendo, lo rimpiazzerà con un telescopio spaziale di nuova concezione. Roberto Mignani Max Planck Institute, Garching


IN BREVE Torino: corso di energetica
ARGOMENTI: ENERGIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

Sono aperte le iscrizioni al corso di perfezionamento in energetica " G. Agnelli" istituito presso il Politecnico di Torino. Per avere altre informazioni, tel. 011-564.44.03.


SCIENZE DELLA VITA. ANCHILOSTOMA Un vermetto contro l'infarto
Autore: PONZETTO ANTONIO

ARGOMENTI: BIOLOGIA, MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

SOLTANTO un miliardo. Non è poi gran cosa, in tempi di manovre da migliaia di miliardi. Un miliardo è il numero di esseri umani infettati da un verme che vive nell'intestino, ed è stato chiamato Anchilostoma caninum. Vengono infettati soprattutto gli abitanti delle zone meno ricche del pianeta, in particolare in Asia e in Africa. Questo verme si nutre del sangue umano, che si procura facendo piccolissimi fori nella mucosa dell'intestino, da cui lascia colare il sangue a goccia a goccia, per giorni e giorni, per anni e anni. Ma come fa, se sappiamo benissimo che un taglietto sanguina al massimo per pochi minuti? Il verme è stato saggio e paziente: ha studiato la coagulazione per un milione di anni, e la conosce meglio dei professori. Questo verme sa produrre il miglior anticoagulante che ci sia: uno che non fa danni all'essere umano, lì per lì, ma impedisce la coagulazione benissimo, e gli permette di nutrirsi del sangue umano sempre, per ogni minuto della sua vita. L'anticoagulante prodotto dall'Anchilostoma è una proteina, ed è stata studiata dai ricercatori di una piccola azienda di biotecnologie di San Diego in California, oltre che dal verme (gli specialisti non lo chiamano verme, bensì nematode, perché suona più scientifico). Questa proteina anticoagulante è stata isolata e purificata, il codice genetico decifrato e copiato (lo spionaggio sui vermi è legale), e la proteina prodotta in laboratorio. E' stata battezzata con il nome NAP - dalle iniziali di Nematode Anticoagulant Protein - e che in americano colloquiale significa " pisolino". Adesso - grazie alle possibilità che ci offrono le biotecnologie - anche gli umani possono impedire la coagulazione nello stesso modo "inventato" dall'Anchilostoma, come è stato descritto da George Vlasuk sui Proceedings of the Na tional Academy of Sciences nel marzo 1996. Noi umani siamo oppressi da numerose malattie correlate allo zelo dei nostri meccanismi di coagulazione. L'eccesso di zelo, come ben dimostrato da Donna Prassede nei Promessi Sposi, può far sì che una buona azione, se perseguita con troppa insistenza - porti a risultati non sempre favorevoli. Il meccanismo della coagulazione è molto zelante, anzi fin troppo e, a volte, si spinge troppo in là, e coagula anche dove non dovrebbe. Il risultato - se la coagulazione avviene nelle arterie coronarie del cuore - si chiama infarto del miocardio, e può causare la morte dell'individuo colpito, se non si interviene rapidamente con una Unità Coronarica. Se la coagulazione avviene nelle arterie del cervello, il risultato si chiama "colpo apoplettico" nel linguaggio di tutti i giorni, e può causare la perdita della possibilità di muovere, parlare, capire. Se la coagulazione avviene nelle artiere della coscia, può formarsi un trombo femorale, che può causare la perdita dell'uso della gamba, se non si interviene d'urgenza per asportare il trombo - o coagulo. Tutto questo intervenire d'urgenza necessita di un grande numero di persone (medici e paramedici) sempre a disposizione, 24 ore su 24, con costi economici molto alti per il sistema sanitario (i costi, oggi, sono al centro della Sanità, più che i risultati). Se tante, e tanto gravi, sono le conseguenze di un eccesso della coagulazione, è evidente che enorme sarà l'importanza di poter controbattere questo eccesso, senza tuttavia cadere in quello opposto: se si blocca la capacità di coagulare la conseguenza può essere la morte per dissanguamento, o l'emorragia cerebrale, o in altri organi. Il segreto del verme sta proprio nell'aver trovato il giusto equilibrio fra due eccessi ambedue pericolosi. Il compito dei medici sarà quello di imparare ad usare al meglio la sostanza prodotta dal verme, spiata e copiata grazie alla ricerca biotecnologica. Antonio Ponzetto


SCIENZE FISICHE. SU CD-ROM Un viaggio dai quark al Big Bang
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, DIDATTICA
NOMI: REGGE TULLIO, HACK MARGHERITA, MOLINARI ALFREDO
ORGANIZZAZIONI: UTET MULTIMEDIALE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «Il mondo delle scienze»

UN Cd-Rom intitolato "Il mondo delle scienze" ci accompagna dai quark alle galassie passando per il regno delle forme viventi. Ottomila voci trattate a livelli di approfondimento diversi, un centinaio di ampi articoli descrittivi, più di mille immagini, 144 animazioni, 73 video, 31 minuti di video digitale, 45 minuti di commento sonoro, la possibilità di comporre in modo autonomo i diversi materiali disponibili. Molti e autorevoli i collaboratori, da Tullio Regge a Margherita Hack ad Alfredo Molinari. Dopo aver prodotto una cronologia storica su Cd, con quest'opera la Utet, forte della sua tradizione enciclopedica su carta, porta anche le scienze nel mondo della multimedialità. E offre uno strumento molto interessante dal punto di vista didattico, che si dimostrerà prezioso per gli studenti dotati di computer e appassionati di nuove tecnologie. La produzione divulgativa su Cd-Rom (che, accanto alla Utet, vede impegnate ormai numerose case editrici italiane, dalla De Agostini alla Zanichelli, dalla Rizzoli alla Mondadori), per la sua stessa natura multimediale e ipertestuale crea un nuovo modo di leggere e di apprendere. Viene meno la lettura sistematica tipica del libro divulgativo o, ancora di più, del testo scolastico. Ma nello stesso tempo si supera anche l'accesso occasionale - di pura consultazione - tipico delle enciclopedie alfabetiche. Un Cd-Rom come "Il mondo delle scienze" si colloca, infatti, nel mezzo tra i due estremi a cui ci ha abituati la carta stampata. La lettura di un libro, se non ci si limita a consultarlo, incomincia con la prima pagina e finisce con l'ultima. E' quella che gli informatici chiamano una lettura sequenziale. Invece un Cd-Rom si offre ad un accesso casuale: cioè la lettura può incominciare in qualsiasi punto e continuare a zig-zag, andare avanti e indietro, svilupparsi a livelli diversi di approfondimento, seguire di volta in volta le regole più adatte al fine culturale o di intrattenimento che vuole raggiungere. Il sapere contenuto in un libro è fortemente strutturato: il primo capitolo non può venire dopo il terzo, nè le conclusioni possono arrivare quando si è soltanto a metà della lettura. L'approccio sequenziale del libro corrisponde a un unico possibile viaggio attraverso la materia che tratta, viaggio che ha un preciso punto di partenza e un preciso punto di arrivo. In questo caso l'unicità del viaggio corrisponde a un paradigma essenziale della cultura scritta, che impone una trattazione organica, nella quale temi e sottotemi sono ordinati secondo una gerarchia logica e quindi anche rigida. Al contrario, il sapere contenuto in un Cd-Rom è destrutturato perché così vuole la stessa natura tecnologica di una memoria ad accesso casuale. Se il libro è un viaggio, il Cd- Rom è un labirinto. Ma attenzione, il labirinto non è il caos. Anzi, il labirinto ha le sue ferree regole logiche. Semplicemente non sono le regole dell'autostrada-libro. Orientarsi in un Cd-Rom in modo consapevole non è ancora una abilità così diffusa, anche se i più giovani sono certo i più esperti in queste cose. Rimane tuttavia il fatto che una cultura formata sui libri ha una sua solidità e un suo ordine gerarchico che sono di per sè valori da salvaguardare. Da questo punto di vista, "Il mondo della scienza" è un'opera particolarmente preziosa, perché sembra mettere insieme in un giusto equilibrio l'"ordine" della cultura scritta con il " disordine guidato" dell'ipertesto. E' notevole, per esempio, che si possa accedere alla materia contenuta nel disco attraverso categorie come "teoria", "forza", "strumenti", "tecnologie". Insomma, il " navigatore" che si avventuri nel "Mondo delle scienze" non viene mai lasciato senza bussola. Quanto ai requisiti tecnici, il Cd gira su personal computer e su Macintosh dotati di lettore di Cd almeno a doppia velocità, di 8 Mb di memoria Ram, un hard disk con 1,5 Mb liberi e scheda audio. "Il mondo delle scienze", Cd- Rom, Utet Multimediale, 350 mila lire Piero Bianucci




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