TUTTOSCIENZE 18 dicembre 96


SCAFFALE «Dizionario delle scienze fisiche», Istituto Treccani
AUTORE: P_BIA
ARGOMENTI: FISICA
LUOGHI: ITALIA

Con il settimo volume, è arrivata al traguardo quell'epica impresa che è l'«Enciclopedia delle scienze fisiche» dell'Istituto Treccani. Mentre i primi sei volumi hanno una struttura saggistica, questo appena pubblicato è concepito come un dizionario ricchissimo di voci brevi che contengono nozioni in forma sintetica e aggiornamenti: in mille pagine sono concentrati ben 27 mila lemmi e centomila locuzioni. Le voci sono concepite innanzi tutto come strumento di navigazione attraverso gli ampi saggi dei primi sei volumi, in modo da consentire una consultazione trasversale. Ma nonostante ciò, il «Dizionario» vive anche di vita autonoma e può essere acquistato anche separatamente. Vi si trovano, per esempio, agili voci biografiche di scienziati come Regge, Zichichi, Fermi, Shockley e molti altri; concetti fisici di base; temi di attualità, come il buco nell'ozono; parole della tecnologia come floppy disk. Al pari di tutte le opere Treccani, anche questa viene distribuita esclusivamente attraverso la rete commerciale dell'Istituto, eventualmente con vendita rateale. Per informazioni: 06- 689.81; fax 689.82175. p.bia


TUTTOSCIENZE SCUOLA. MEDICINA Il vaccino compie 200 anni
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, STORIA DELLA SCIENZA
NOMI: JENNER EDWARD
LUOGHI: ITALIA

LE vaccinazioni hanno compiuto 200 anni: fu nel 1796 che Edward Jenner inoculò per la prima volta un "vaccino" per proteggere dal vaiolo. Vaccinare è tuttora il mezzo più efficace per dominare le malattie infettive che colpiscono una grande parte della popolazione mondiale. I vaccini sono uno dei cavalli di battaglia dell'Oms (Organizzazione mondiale della sanità ). L'Oms riuscì nel 1977 a cancellare il vaiolo, tuttora unico esempio d' una malattia eliminata dal globo per l'intervento dell'uomo. Il programma vaccinale attuale dell'Oms (in collaborazione con istituzioni dell'Onu come l'Unicef, e con organizzazioni non governative come il Rotary internazionale e Save the Children Fund) aspira ad essere altrettanto "globale" per otto malattie: tubercolosi, difterite, tetano neonatale, pertosse, poliomielite, morbillo, epatite B e febbre gialla. Nel 1990 i servizi di vaccinazione raggiungevano l'80 per cento dei bambini in tutto il mondo. Oggi non c'è Paese che non abbia un servizio di vaccinazione, e 500 milioni di madri e bambini entrano ogni giorno in contatto con i servizi di vaccinazione. Nel mirino dell'Oms è in particolare la poliomielite, come risulta da un recente comunicato: l'83 per cento dei bambini del mondo risultano vaccinati e il programma è lo sradicamento della polio nel 2000. Si prevede di eliminare anche il tetano neonatale vaccinando le madri (oggi è vaccinato soltanto il 48 per cento). Quanto al morbillo, del quale ogni anno oltre 42 milioni di bambini si ammalano e circa un milione muore, la sua diffusione si può combattere soltanto con la vaccinazione. Infine per l'epatite B vaccinazioni sistematiche sono già effettuate in 28 Paesi fra cui l'Italia, ma il vaccino rimane inabbordabile per un buon numero di Paesi dell'Africa. Quale la situazione in Italia? Se ne è parlato ad una Conferenza nazionale organizzata di recente dall'Istituto Mario Negri e dall'Istituto superiore di sanità, con un' ampia partecipazione di esperti, al fine di proporre nuove strategie. Le vaccinazioni obbligatorie per tutti i bambini sono quattro: difterite, tetano, polio, epatite B. Per alcuni gruppi di popolazione sono obbligatorie inoltre quelle contro il tifo, la tubercolosi e la meningite meningococcica. Altre vaccinazioni, non obbligatorie, sono altamente raccomandabili. Per i bambini quelle contro morbillo, pertosse, parotite, rosolia; per le ragazze pre- adolescenti la anti-rosolia (pericolo di gravi conseguenze per il nascituro se la donna si infetta di rosolia durante la gravidanza); per le persone di età superiore a 65 anni l'anti-influenzale; per soggetti tossicodipendenti o con attività sessuale ad azzardo l'anti-epatite B. Secondo un' inchiesta la maggioranza dei pediatri di base vorrebbe eseguire le suddette vaccinazioni raccomandate, anzi ne propone l'obbligatorietà. Hanno ragione: la copertura dei bambini italiani per quanto riguarda le vaccinazioni obbligatorie è buona, oltre il 95%, ma quella per morbillo e pertosse, dice l'Oms, è fra le più basse d' Europa, e lo confermano le indagini dell'Istituto Mario Negri e dell'Istituto superiore di sanità. Di qui l'obiettivo dell'Oms per il 2000: in Europa nei bambini non più casi di polio, difterite, tetano neonatale, morbillo, parotite, rosolia congenita. Al quale obiettivo naturalmente si è associata la Conferenza nazionale italiana sopra ricordata, con un fine immediato, vaccinare entro il 15o mese di vita tutti i bambini contro polio, difterite, tetano, epatite B, pertosse, morbillo, rosolia. E il futuro? Dice ancora la Conferenza italiana: vaccini contro infezioni emergenti come Dengue e Ebola o ancora orfane (Hiv), e per quanto riguarda i bambini vaccini contro meningococchi, pneumococchi, varicella, rotavirus, virus respiratorio sinciziale, virus parainfluenzali. Certo bisognerà avere vaccini combinati, altrimenti si arriverebbe ad un numero di somministrazioni intollerabile. Inoltre educazione sanitaria delle famiglie anche per evitare i casi di rifiuto persino delle vaccinazioni obbligatorie (in particolare per l'epatite B), segnalati in tutte le regioni italiane. Ulrico di Aichelburg


TUTTOSCIENZE SCUOLA. TELECAMERA AGLI INFRAROSSI Per filmare al buio In grado di captare ogni soggetto che produce calore
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.

Le telecamere a raggi infrarossi sono utilizzate per vedere al buio o comunque in situazioni di scarsa visibilità; tipico l'impiego che ne fanno i vigili del fuoco per individuare persone in locali invasi dal fumo. Ogni oggetto emette una diversa quantità di energia a seconda della sua temperatura; più è caldo più è intensa la radiazione emessa. L'energia è costituita da raggi infrarossi (IR) invisibili perché la loro lunghezza d' onda è maggiore di quella percepibile all'occhio umano. La telecamera qui descritta (funzionante a batteria) capta le emissioni infrarosse per mezzo di una lente di germanio che le porta a un sensore piroelettrico situato dietro di essa all'estremità di un tubo vidicon. L'obbiettivo piroelettrico ha la proprietà di caricarsi elettricamente quando viene riscaldato. E' un disco composto di un singolo cristallo con un diametro di 18 millimetri e spesso 0,02 millimetri, la faccia anteriore è coperta da uno strato semitrasparente di materiale conduttivo percorso da una debole corrente elettrica generata dalle mutevoli radiazioni IR provenienti dall'oggetto inquadrato. Quando l'immagine prodotta dal calore colpisce l'obbiettivo provoca localizzati mutamenti di temperatura che l'obbiettivo stesso trasforma in segnali elettrici. Questi infine sono "letti" da un sottile fascio di elettroni che li trasforma in segnali televisivi. Il fascio di elettroni è generato da un "cannone" che esplora in continuazione l'immagine elettronica che si forma sulla parte posteriore dell'obbiettivo. Gli elettroni sono emessi da un catodo riscaldato da un filamento, come avviene in una comune lampadina. Una piastra metallica (anodo) di fronte al catodo attrae gli elettroni attraverso una griglia che ne regola la quantità in modo da formare un fascio sottile. Questo fascio è indirizzato dentro un microscopico foro e fatto passare in continuazione da un lato all'altro dell'obbiettivo da un campo magnetico prodotto dai vari anodi interni e dagli avvolgimenti esterni del tubo vidicon. L'immagine elettronica generata dal calore e costituita da minuscoli elementi chiamati pixel viene scannerizzata con un movimento a zig-zag. Quando non è presente alcuna immagine gli elettroni si depositano sulla parte posteriore dell'obbiettivo dandogli una carica negativa fino a quando quest' ultima non è sufficientemente intensa da respingere nuovi elettroni. L'immagine tv si forma quando la radiazione IR colpisce l'obbiettivo e gli dà una carica positiva. Quando le cariche piroelettriche vengono neutralizzate dagli elettroni (negativi) del fascio una corrispondente carica di elettroni fuoriesce dallo strato di materiale conduttore e attraverso un cavo raggiunge un amplificatore. La corrente di elettroni, amplificata, passa in un comune tubo a raggi catodici che forma l'immagine tv. IMMAGINE A (grande) 1) Lente di germanio 2) Uscita del segnale che compone l'immagine 3) Amplificatore 4) Fascio di elettroni 5) Ingresso del segnale video (di intensità variabile in base al fascio di elettroni) 6) Tubo a raggi catodici 7) Pixel generati sullo schermo tv 8) "Cannone" che produce gli elettroni (comprendente il catodo) 9) Comandi elettronici 10) Tubo vidicon piroelettrico 11) Avvolgimento per l'allineamento del fascio di elettroni 12) Avvolgimento per la messa a fuoco; porta la corrente positiva che focalizza il fascio di elettroni in piccole macchie sull'obbiettivo 13) Obbiettivo (piroelettrico) IMMAGINE B 1) Tubo di vetro 2) Vuoto 3) Obbiettivo piroelettrico 4) Lente di germanio 5) Anodo 6) Elettroni 7) L'immagine che compare sullo schermo dell'apparecchio, ricavata dalle variazioni dei segnali prodotti dall'oggetto caldo IMMAGINE C Come funziona l'obbiettivo piroelettrico 1. La parte frontale e quella posteriore dello strato di materiale sensibile al calore si caricano assorbendo calore. a) Sorgente di calore b) Parte anteriore c) Parte posteriore 2. Il fascio di elettroni percorre la parte posteriore dello strato sensibile e neutralizza la carica positiva. 3. La corrente dei segnali neutralizza la carica negativa sulla parte anteriore dello strato sensibile. a) Strato sensibile. 4. Un' elevata temperatura produce un segnale forte; una bassa temperatura produce un segnale debole. a) Segnale diretto all'amplificatore.


TUTTOSCIENZE SCUOLA. DALLA NATURA ALLA TECNOLOGIA Un po' di velcro sulla Luna e dentro il cuore Le mille applicazioni di un' idea suggerita dai fiori di una pianta alpina
Autore: VICO ANDREA

ARGOMENTI: BOTANICA, TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

GEORGES de Mestral era un ingegnere svizzero che amava le lunghe passeggiate sui sentieri delle Alpi. Ma ogni volta che tornava al suo chalet prima di entrare in casa doveva ripulire il maglione e il pelo del suo cane dai frutti della bardana (nota anche come lappola o, popolarmente, "attaccaveste") che inevitabilmente gli si appiccicavano addosso. Una sera, seduto davanti al camino, se ne ritrovò ancora uno saldamente ancorato sotto il gomito. Fu stupito da una presa tanto tenace. Allora staccò con cura il fiore di bardana e lo osservò attentamente: quelli che a prima vista potevano sembrare tanti piccoli aculei terminavano in realtà con un minuscolo gancio, come in un ferro da uncinetto. Infatti il suo nome scientifico è Arctium lappa (arctium in latino significa arto con cui ci si può appigliare, agganciare) perché la sua caratteristica è quella di agganciarsi al pelo degli animali per essere trasportata in cerca di nuovi terreni fertili su cui attecchire e riprodursi. Al minimo contatto con una superficie pelosa (il manto di un cane, ma anche i microscopici anelli di un tessuto di cotone o lana) un certo numero di ganci entra in azione fino a quando uno strattone non li costringe a mollare la presa. Ma senza alcun danno per l'infruttescenza della bardana, che può così aspettare un altro "passaggio", fino a quando, raggiunto un luogo adatto, diventa seme per una nuova pianta. E' uno dei tanti sistemi che la natura ha escogitato per permettere la conquista di nuovi spazi alle specie vegetali, per loro natura immobili. De Mestral portò una manciata di lappole nel suo laboratorio, le studiò al microscopio e tentò di riprodurne artificialmente la struttura. Dopo otto anni di caparbi tentativi, finalmente nel 1948 brevettò il velcro, termine nato dalla fusione di due parole francesi: velours (che significa velluto) e crochet (occhiello). Oggi il velcro viene fabbricato con il nailon. La parte "occhielluta" si realizza tessendo il filo di nailon in modo da ottenere una superficie brulicante di anelli. Per ottenere la parte "uncinante" basta invece tagliare a metà gli anelli. Entrambe le facciate del velcro vengono poi scaldate per irrigidire il nailon e fargli mantenere la forma. In un pezzo di velcro grande come un' unghia ci possono essere anche 800 uncini da un lato e ben 12-13 mila anelli dall'altro. Se per strappare le due superfici una dall'altra basta poca energia, il velcro ha un' incredibile capacità di opporsi alle forze laterali: un quadrato di 12 centimetri di lato può resistere al peso di una tonnellata. Dapprima ci fu diffidenza verso questa strana chiusura ma in un secondo tempo, dopo che la Nasa la utilizzò per le tute spaziali dei suoi astronauti, una giacca con la chiusura a velcro divenne l'ultimo grido della moda, una raffinatezza da ostentare con gli amici. Oggi è impiegato in un variegato ventaglio di occasioni: a parte gli impieghi più comuni nell'abbigliamento e per borse e borsoni di tutti i tipi, gli astronauti usano il velcro per fissare alle pareti, in assenza di gravità, praticamente tutto, dalle confezioni di cibo alle apparecchiature scientifiche, mentre in chirurgia è stato utilizzato per unire alcune cavità del cuore artificiale Jarvik-7. Andrea Vico


ASTRONOMIA C'è la cometa di Natale] Promette un grande spettacolo, ma in aprile
Autore: FERRERI WALTER

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
NOMI: CANDY PAOLO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Cometa di Hale-Bopp

ANCHE se è attualmente la più brillante delle comete, forse è un po' eccessivo attribuire alla Hale- Bopp il titolo di «cometa di Natale». Nei giorni intorno a questa grande festività essa è infatti troppo vicina al Sole (27 gradi) per poter essere vista senza difficoltà ad occhio nudo. Solo chi ha l'orizzonte Sud- Ovest sgombro e terso può sperare di scorgerla, poco dopo il tramonto del Sole, come una macchia nebbiosa 2 volte meno luminosa della stella Polare. In questi giorni la cometa Hale-Bopp continua ad avvicinarsi alla Terra alla velocità di 70 mila chilometri all'ora mentre l'avvicinamento al Sole è un po' più rapido: 79 mila chilometri orari. Benché questa cometa disti ancora 280 milioni di chilometri dalla nostra stella, già da tempo ha iniziato a manifestare un'intensa attività, osservabile sia nella chioma sia nelle code. Parliamo di «code» e non di coda perché dalle ultime immagini se ne possono distinguere diverse. La foto che pubblichiamo, ottenuta da Paolo Candy il 3 dicembre, mostra distintamente tre corte code in direzione opposta al Sole, mentre nella sua direzione sono percepibili due accenni di anticoda. Questi getti verso il Sole sono dovuti essenzialmente a un effetto di prospettiva, benché nelle immediate vicinanze del nucleo la fuoriuscita di materiale si abbia proprio dal lato irradiato dal Sole. Gli studi fatti con spettrografi hanno mostrato già da alcuni mesi una forte emissione di silicati, simile a quella vista nella più celebre cometa di Halley. Con osservazioni millimetriche è stato invece possibile evidenziare cianuro di metile (CH3 CN) già ad iniziare dallo scorso agosto. Questo composto appariva molto meno diffuso dell'ossido di carbonio (CO), del cianogeno (HCN) e del gruppo ossidrile (OH). Comportamento, questo, che risulta normale. Nel frattempo le dimensioni apparenti della cometa andavano aumentando; già a fine settembre esse venivano stimate pari alla metà della Luna, cioè circa un quarto di grado. Ai primi di ottobre, anche con un piccolo telescopio venne osservata emissione di NH2 indice di una notevole attività, che fa bene sperare nello spettacolo che la cometa dovrebbe offrirci in marzo-aprile. In novembre però, la luminosità è aumentata meno delle previsioni, facendo temere che al massimo essa possa risultare meno splendente di quanto annunciato. Ultimamente, invece, la Hale-Bopp sembra aver ripreso ad aumentare in modo incoraggiante, rendendo ancora credibile una luminosità massima superiore a quella di Sirio, la stella più brillante del cielo. In linea di massima dovremmo vedere la cometa emergere dalle luci dell'alba verso metà gennaio, in direzione Nord Nord-Est come un astro di seconda grandezza (quanto la stella Polare). Allora la Hale- Bopp si sarà allontanata a sufficienza dal Sole per potersi imporre anche agli sguardi della gente che non si interessa di astronomia. Da allora la cometa non farà che aumentare di luminosità, divenendo però un oggetto del cielo serale verso la metà di marzo. Proprio in quel mese, il 22, si avrà la minima distanza dalla Terra, che tuttavia sarà di quasi 200 milioni di chilometri. Ciò non dovrebbe impedire alla cometa, qualche settimana dopo, di esibire una coda di 10 gradi (venti volte il diametro angolare della Luna) e di farsi notare come uno degli astri più luminosi, anche se molto vicino all'orizzonte Nord-Ovest. E' bene infatti sottolineare che la Hale-Bopp non si potrà mai osservare molto alta sull'orizzonte, ma nei periodi di migliore visibilità si troverà sempre vicina ad esso. Chi desidera ammirarla in tutto il suo splendore dovrà quindi recarsi in un punto dal quale l'occhio possa spaziare da Ovest a Nord senza ostacoli prodotti da alti profili montagnosi, alberi o - peggio - palazzi. In quella direzione, dalla metà di marzo ai primi di maggio, questa grande cometa, che è almeno il triplo di quella di Halley, non deluderà chi avrà la pazienza di attenderla nelle serate limpide. Walter Ferreri Osservatorio di Torino


ASTRONAUTICA Il 1997 sarà l'anno dello spazio
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
LUOGHI: ITALIA

IL 1997 sarà l'anno dello spazio. Per motivi storici: si festeggeranno i 40 anni dal lancio del primo satellite artificiale, lo Sputnik, la navicella sovietica che aprì l'era astronautica. E per motivi pratici, che riguardano la nostra vita quotidiana: nel 1997 avremo la Tv digitale grazie al satellite «Hot Bird 2» e partiranno i programmi «Globalstar» e «Iridium» per il telefonino cellulare planetario. Ma ci sono anche motivi politici e commerciali: nel '97 si dovrebbe lanciare il primo modulo della stazione spaziale internazionale «Alfa», che all'inizio del prossimo millennio costituirà uno straordinario esempio di cooperazione al di sopra di ogni divisione nazionale e che trasformerà la vita in orbita in «routine» industriale, con buone prospettive di ritorni economici. Infine, ultimi ma molto importanti, ci sono i motivi scientifici: tra il 6 e l'8 ottobre partirà per Saturno la sonda «Cassini», e quando avrà raggiunto la meta da essa si staccherà una seconda navicella, che dovrà calarsi nell'atmosfera di Titano, un satellite di Saturno sul quale, temperatura a parte, potrebbero esserci condizioni abbastanza adatte allo sviluppo di organismi viventi. E' vero che per avere queste informazioni bisognerà attendere l'inizio del 2000, ma intanto potremo assistere all'arrivo su Marte della sonda «Pathfinder» in luglio e della navicella «Mars Observer» in settembre. L'Italia, e in particolare Torino, avrà una posizione di rilievo in questo «anno dello spazio»: al Lingotto, dal 6 al 10 ottobre, si terrà la conferenza di tutte le agenzie spaziali del mondo (Usa, Europa, Russia, Cina, Giappone...) sul tema «Business and development from the Space». Ma non sarà un evento per specialisti: una grande mostra e molte iniziative culturali coinvolgeranno il pubblico. Ne riparleremo. Piero Bianucci


CAPODANNO Il vischio, i baci, la botanica
Autore: ACCATI ELENA

ARGOMENTI: BOTANICA
LUOGHI: ITALIA

AL Natale e al Capodanno vengono collegate piante diverse nei vari Paesi del mondo. Melograno, vischio, agrifoglio, pungitopo, elleboro (rosa di Natale), ginepro, eucalipto producono naturalmente all'aperto i loro fiori o le loro bacche in questo periodo grazie ai meccanismi ormonali specifici di cui è fornita la pianta, mentre altre specie, come la Stella di Natale (Euphorbia pulcherrima) e la spina di Cristo (Euphorbia milii) con variazioni di temperatura sono indotte a fiorire anche nelle nostre condizioni climatiche. Tra le piante di Natale, dopo l'abete la più significativa è forse il melograno, proveniente dall'Iran e dall'Afghanistan: già al tempo dei Romani era simbolo di fecondità e di abbondanza. Il melograno è ampiamente citato nel Cantico dei Cantici; anche il re Alcinoo dice nell'Odissea che «nel suo giardino non crescevano solo alberi verdi ma anche il melograno». Secondo un proverbio greco «far fiorire un melograno all'ombra è come pretendere virtù dal diavolo» , detto che suggerisce quale posizione deve avere in giardino, dove spesso è considerato una pianta da fiori. Ma il suo fascino più che nei fiori sta nel frutto, botanicamente noto come una balausta. E' simile a un pomo dalla dura scorza, suddiviso dentro in celle ricolme di semi dolci e succosi del colore dei granati ricoperti di una gelatina brillante e trasparente come il vetro. Può sembrare strano che insieme all'abete e all'agrifoglio proprio il vischio sia stato scelto come pianta augurale per Capodanno dato che molte leggende lo legano a una simbologia triste: una saga nordica racconta di Baldur, figlio di Odino ucciso da Loki con una freccia ricavata da un ramo di vischio. Tuttavia il Viscum album, essendo un temibile parassita che si attacca alla corteccia degli alberi, rappresenterebbe la vittoria sopra ogni avversità: quindi il bacio sotto un rametto di vischio unirebbe la coppia contro tutti gli ostacoli. Scrive il poeta Steve McGoy: «Vieni con me / sotto un ramo di vischio / e lasciati baciare / Il domani è per noi / come una promessa / e non importa se i giorni / saranno chiari o grevi / oggi tutto ha un riflesso di luna». D'altra parte i sacerdoti dei celti avevano il rituale di staccare il vischio dagli alberi in una notte di luna piena, usando un falcetto d'oro in quanto pensavano avesse poteri magici. Il seme del vischio non può essere seminato nel terreno: deve essere deposto, preferibilmente a marzo, su di un altro albero che funge da ospite scelto tra specie appartenenti alle famiglie delle Rosacee e Salicacee. Bisogna attendere parecchi anni prima di avere un ciuffo di vischio, ammesso che il seme germini, essendo dotato di scarsa fertilità. L'agrifoglio, Ilex aquifolium, è legato al Natale attraverso una tradizione che giunge a noi dai Romani, che lo impiegavano durante i Saturnali perché ritenevano che allontanasse gli spiriti maligni. Ben trecento sono le specie di agrifoglio conosciute, con foglie cuoiose a margini spinosi negli esemplari giovani e non spinosi in quelli vecchi. E' una pianta dioica: infatti sono gli esemplari femminili che in inverno si ricoprono di drupe, ma soltanto quando sono vicine ad esemplari maschili. Ci sono agrifogli come il Silver Queen con foglie argentee, Bacciflava con frutti dal colore arancione, Argento marginata con foglie di colore argentato e Auro marginata con i bordi di colore dorato. Essendo divenuta una specie protetta, lo si può sostituire a Natale con il Ruscus aculeatus, il pungitopo, dalle grandi bacche tondeggianti rosse che durano per tutto l'inverno. Rosa di Natale si chiama l'Helleborus niger, in quanto i suoi grandi fiori bianchi si aprono proprio in dicembre riempiendo di luce il giardino. La stella di Natale è invece l'Euphorbia pulcherrima (sinonimo di Poinsettia pulcherrima), introdotta dal Messico dall'ambasciatore Poisett in California, dove ibridatori e floricoltori l'hanno lanciata, forse all'inizio un poco increduli del successo che avrebbe riscosso tra il pubblico. Rosse, e quindi simbolo del fuoco e dell'amore, sono le sue foglie trasformate. Elena Accati Università di Torino


IL SIMBOLO DELLE FESTE L'abete, un affare ecologico In Inghilterra viene «raccolto» rispettando la natura
Autore: BONOTTO SILVANO

ARGOMENTI: BOTANICA, ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

IL legame delle festività natalizie con l'abete ha una lunga storia. Sembra che San Bonifacio, che completò la cristianizzazione della Germania nell'ottavo secolo, abbia rimpiazzato la quercia sacra di Odino con questa conifera sempreverde, considerata come simbolo dell'eterna sopravvivenza. E' forse per questo che l'usanza di allestire l'albero di Natale si diffuse dapprima nei Paesi nordici e anglosassoni, per affermarsi poi in tutta l'Europa e in altri Paesi. Per far fronte al crescente fabbisogno di alberi di Natale, sono state create apposite piantagioni in vari Paesi europei. In Inghilterra, dove la produzione di alberi di Natale è attualmente una fiorente attività commerciale, è stata istituita verso gli Anni Sessanta la «British Christmas Tree Growers Association». Più recentemente, inoltre, è nata la «Christmas Trees Growers of Western Europe», che raggruppa anche produttori di altri Paesi europei. Le specie più utilizzate sono Picea abies (molto in voga anche nel nostro Paese), Picea pungens, Picea omorika, Abies nordmanniana, Abies proce ra, Pinus silvestris e Pinus contorta. Tecniche agro-forestali e ricerche di laboratorio sono utilizzate allo scopo di selezionare le varietà più interessanti e che resistono più a lungo una volta portate nel clima secco dell'interno delle abitazioni. Inoltre, il colore delle fronde, che va dal verde chiaro a quello scuro ed all'argenteo, può essere modificato mediante l'uso di fertilizzanti particolari, di cui i produttori si guardano bene dal rivelare la composizione. L'albero di Natale viene poi apprezzato non solo per la sua forma ed il suo colore, ma anche per la sua fragranza, come è il caso per la specie Abies procera, la quale emette un gradevole aroma. In questi ultimi anni si è anche diffusa l'utilizzazione di alberi di Natale con zolla, i quali, dopo le feste, possono essere piantati nei giardini, incrementando così le aree verdi. Essi vengono anche chiamati «ecologici». Questi alberi vanno, ovviamente, annaffiati per mantenerli in vita. Anche quelli senza zolla hanno bisogno d'acqua per non perdere precocemente le loro foglie (aghi) e per questo si trovano ora sul mercato appositi sistemi metallici di fissaggio con vassoio per l'acqua incorporato. E' da far notare che la coltura estensiva delle specie di conifere usate come albero di Natale non ha impatti ambientali negativi, come spesso viene affermato. Invece, essa contribuisce a salvare le foreste e per di più a fissare un'importante quantità di anidride carbonica (CO2) presente nell'aria, diminuendo in tal modo il rischio dell'effetto serra e della riduzione dello strato dell'ozono. Le estese colture di abeti e pini svolgono anche un importante ruolo ecologico servendo da riparo per numerose specie di animali, che vi trovano un ambiente propizio per la loro crescita e riproduzione. L'introduzione sul mercato di alberelli di Natale di plastica ci priva del contatto diretto con la natura vivente. Inoltre si acuisce così il problema dello smaltimento della plastica, smaltimento che spesso produce un inquinamento chimico ambientale (diossine e altri componenti tossici), mentre invece la biomassa vegetale è completamente biodegradata grazie ai processi naturali operanti nell'ecosistema. In aggiunta a queste considerazioni ecologiche, è interessante far notare come l'albero di Natale sia entrato ormai a far parte della nostra cultura occidentale e come, inoltre, esso sia diventato il soggetto di tutta una produzione letteraria, cinematografica ed artistica, quest'ultima andando dalle cartoline illustrate e dai biglietti augurali ai quadri d'autore e dai ninnoli ai gioielli, soprattutto ciondoli e spille da portarsi durante le feste di fine d'anno. Infine, l'albero di Natale interessa ora tutta una svariata oggettistica multicolore prodotta per la casa e per l'abbigliamento, che utilizza i materiali più disparati, dalla carta al legno, dai tessuti alle ceramiche ed ai metalli più comuni o pregiati. In questi ultimi anni, anche il vetro viene utilizzato, soprattutto dagli artisti di Murano, che imprigionano la luce della laguna in alberelli scintillanti con ciondoli e palline, che riflettono i colori dell'arcobaleno sulle pareti dei nostri soggiorni. I cioccolatini e i biscotti a forma di albero di Natale, esposti in vetrina durante le feste, potrebbero farci pensare che esso è solo un bene di consumo. Invece no, perché l'albero di Natale è qualcosa di più: è soprattutto un simbolo di sopravvivenza, e quindi anche di pace spirituale. Silvano Bonotto Università di Torino


1996: UN ESPERIMENTO STORICO Einstein ringrazia un fisico italiano
Autore: CANDIDI MAURIZIO

ARGOMENTI: FISICA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: CIUFOLINI IGNAZIO
ORGANIZZAZIONI: NASA, ASI, CNR
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Effetto gravitomagnetico di Lense-Thirring

COME «Tuttoscienze» ha già annunciato, primo giornale in Italia (3 luglio '96), una nuova forza della natura è stata osservata recentemente per la prima volta. La misura di questa forza rappresenta un'importante verifica sperimentale della relatività generale di Einstein. La teoria della gravitazione di Einstein prevede matematicamente che una massa in movimento generi una «nuova forza» non prevista dalla teoria gravitazionale classica di Newton. Nella teoria elettromagnetica esiste un fenomeno analogo. E' infatti ben noto che una carica elettrica in movimento genera un campo magnetico, come nelle spire di un motore elettrico. Questa nuova forza predetta dalla teoria di Einstein è chiamata gravitomagnetica proprio per la sua analogia con le forze magnetiche. Non esiste alcun fenomeno simile nella teoria gravitazionale classica di Newton dove la massa è l'unica caratteristica di un corpo che genera un'attrazione gravitazionale che ad esempio lega l'orbita della Luna intorno alla Terra. Tentativi di misurare il gravitomagnetismo si fecero fin dalla fine del secolo scorso (prima dello sviluppo della relatività generale di Einstein) da alcuni scienziati influenzati dalle idee del fisico e filosofo Ernst Mach. Nella teoria gravitazione di Einstein il gravitomagnetismo produce un importante effetto chiamato «trascinamento dei sistemi di riferimento inerziali» che ha dei legami concettuali con il «Principio di Mach» che proponeva di spiegare l'origine delle forze inerziali e centrifughe mediante l'influenza delle stelle e delle masse distanti dell'universo. Ma nessuno era mai riuscito a misurare il gravitomagnetismo a causa dell'estrema piccolezza degli effetti generati da questa forza nelle vicinanze della Terra. Naturalmente i suoi effetti sono ben più grandi in prossimità di una stella di neutroni o di un buco nero: nell'universo si osservano spettacolari fenomeni astrofisici, i «jet», enormi getti di plasma emessi da quasar e nuclei galattici attivi, che possono raggiungere lunghezze di centinaia di migliaia di anni luce. Il campo gravitomagnetico di un oggetto compatto centrale ruotante dovrebbe avere un ruolo fondamentale nell'allineamento e formazione di questi getti di plasma. Per osservare e misurare questo fenomeno l'Agenzia Spaziale Italiana ha da alcuni anni in studio con la Nasa un esperimento a basso costo chiamato Lageos 3. Ignazio Ciufolini, dell'Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario del Cnr, basandosi sui numerosi studi di questo esperimento da lui proposto nel 1994, ha recentemente ideato un nuovo metodo che ha portato all'osservazione e alla prima misura del fenomeno. Questo metodo utilizza i dati attualmente disponibili grazie a due satelliti già in orbita intorno alla Terra. In una collaborazione tra Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario del Cnr, Scuola d'Ingegneria Aerospaziale, Centro di Ricerche Progetto San Marco e Dipartimento Aerospaziale dell'Università La Sapienza di Roma dove le analisi hanno avuto luogo, Ciufolini, con il suo gruppo, ha elaborato al computer i dati della Nasa e dell'Asi relativi alle orbite dei due satelliti misurando per la prima volta il piccolissimo spostamento gravitomagnetico delle orbite dei satelliti, chiamato effetto di Lense-Thirring, con un errore di circa il 30%. Questa collaborazione si è recentemente estesa ad alcuni ricercatori della Nasa e dell'Inta- Laeff, l'agenzia spaziale spagnola. L'effetto gravitomagnetico di Lense-Thirring che è stato misurato consiste in un piccolissimo trascinamento del piano orbitale dei due satelliti artificiali Lageos e Lageos II, che è stato costruito in Italia e lanciato con successo dall'Asi e dalla Nasa nel 1992. La posizione di questi satelliti è misurata in continuazione, con un errore dell'ordine di 1 centimetro, mediante la misura del tempo di andata e ritorno di impulsi laser emessi da terra e riflessi da retroriflettori (specchi) sulla superficie dei satelliti. L'effetto di Lense-Thirring misurato sposta il piano orbitale dei satelliti, lungo l'equatore, di circa 10 milionesimi di grado per anno] In aggiunta all'estrema piccolezza del fenomeno osservato, il motivo della grande difficoltà della misura dell'effetto di Lense-Thirring è lo schiacciamento della Terra che produce effetti dello stesso tipo sui satelliti ma circa 15 milioni di volte più grandi] Tuttavia, grazie agli ultimi accuratissimi studi della Nasa riguardanti il campo gravitazionale terrestre e grazie al nuovo metodo messo a punto, che consiste nel combinare alcune quantità osservabili in modo da cancellare le perturbazioni molto più grandi dovute alla forma non sferica della Terra, questo minimo fenomeno è stato infine osservato e misurato. Maurizio Candidi Istituto di fisica dello spazio, Cnr


SCAFFALE Angela Piero e Alberto: «La straordinaria avventura di una vita che nasce», Rai-Eri / Mondadori
AUTORE: P_BIA
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA

PER il solo fatto di essere vivi, possiamo considerarci vincitori di una lotteria nella quale le probabilità di successo sono ben inferiori a quelle che abbiamo di vincere i miliardi della Lotteria abbinata a «Carramba che sorpresa]»: basti pensare che gli spermatozoi in corsa verso l'ovulo sono 200-300 milioni e che gran parte delle gravidanze si interrompono spontaneamente dopo pochi giorni. Con l'affabilità e il rigore di sempre ce lo spiegano Alberto e Piero Angela nel loro ultimo libro, dedicato ai nove mesi della gestazione: sviluppo del feto, reazioni dell'organismo materno, parto, ruolo del padre, primi mesi di vita, sviluppo mentale del bambino, utili consigli sanitari.


SCAFFALE Morra Lucio Maria e Dutto Davide: «Segnali di tempo», L'Arciere Blu
AUTORE: P_BIA
ARGOMENTI: TECNOLOGIA, STORIA DELLA SCIENZA
LUOGHI: ITALIA

Il fascino delle meridiane sta nei molti messaggi che ci trasmettono. Le meridiane, innanzi tutto, indicano l'ora e con il lento spostarsi dell'ombra del loro stilo materializzano in dimensioni domestiche i movimenti della Terra. Ovviamente dietro a questo messaggio immediato ci sono calcoli, nozioni astronomiche e competenze di notevole interesse storico. Ma spesso si può guardare alle meridiane anche come a vere e proprie opere d'arte; si può partire dal motto che in molti casi le adorna per fare riflessioni di tipo filosofico; si può considerare i quadranti solari come una espressione della cultura e del costume. Tutti questi aspetti sono ben presenti a Lucio Maria Morra, grande esperto di gnomonica e protagonista della rinascita dell'interesse per questa disciplina in Italia. Matematico ed artista, ideatore di complessi gnomonici di grande impegno e originalità, questa volta Morra ci presenta una antologia di meridiane della provincia di Cuneo fotografate magistralmente da Davide Dutto. Il testo introduttivo fornisce alcuni fondamenti scientifici e storici della gnomonica e invita ad una azione di tutela del patrimonio gnomonico del nostro Paese.


SCAFFALE Maviglia Gioacchino e Pallotti Aldo: «Aria», Editoriale Scienza
AUTORE: P_BIA
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA

Per fortuna qualche editore pensa alla cultura scientifica dei bambini. Helene Stavro, della Editoriale Scienza di Trieste, ha persino fondato un Club che propone ai bambini animazioni, una serie di esperimenti suggeriti per posta agli iscritti, un concorso per ricerche che abbiano come tema i palloncini... Di questo editore benemerito segnaliamo «Oggetti» e «Aria», che presentano una serie di semplici e divertenti esperienze scientifiche.


AERONAUTICA Quelle capriole nel cielo Sempre più arditi i «giri della morte»
Autore: BERNARDI MARIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
NOMI: NESTEROV PIOTR, FROLOV EUGENY, SIMONOV MIKHAIL
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Equilibrio dinamico nel looping. Dal looping di Nesterov (1913) alla capriola di Frolov (1996)

IL 9 settembre 1913, a meno di dieci anni dallo storico volo dei Wright, il tenente russo Piotr Nikolaevich Nesterov effettuò il primo looping. Si apriva così la scena dell'acrobazia aerea. Il looping - battezzato dall'immaginario nostrano «giro della morte» - per 70 anni ha accompagnato lo sviluppo aereo nel rispetto delle regole elementari della meccanica del volo ed entro i limiti dell'aerodinamica più conservativa: all'aumentare delle velocità il diametro del cerchio è andato crescendo per contenere le accelerazioni centrifughe (massimo 3-4 g) e, per evitare lo stallo aerodinamico, non è mai stato superato l'angolo critico di 15-20 gradi tra ala e vento della corsa. Nel dosare gli ingredienti (velocità, assetto e forza centrifuga), affinché «la ciambella riuscisse col buco», il pilota aveva a disposizione, oltre all'anemometro, due sensori di notevole affidabilità: occhio e fondo dei pantaloni. Tuttavia, dai primi Anni 80, per aumentare la manovrabilità dei caccia e stringere le traiettorie, è emerso un crescente interesse a superare l'incidenza critica di 15-20 gradi. Ciò porta l'aereo in una condizione definita di «post stallo», situazione nella quale col distacco della vena fluida, ali e timoni perdono bruscamente la loro capacità portante e di governo e la controllabilità del mezzo è dominata da leggi di grande discontinuità e incertezza. A questo punto il controllo della macchina impone l'applicazione di tecnologie fortemente innovative nel campo dell'aerodinamica (per ritardare il distacco della vena fluida), della propulsione (studio delle prese d'aria e della deflessione del getto) e nel campo della stabilità (studio di configurazioni instabili e controlli digitali). Lungo queste linee un consorzio tedesco-americano, a partire dal 1987, ha realizzato il programma sperimentale X-31 sfociato nella realizzazione di due dimostratori in grado di volare stabilizzati oltre lo stallo, fino a 70o di incidenza. Nelle more della sperimentazione occidentale - destinata tra l'altro a supporto del progetto del caccia europeo EF 2000 - già nel 1989 i russi, con un caccia Su27 in produzione di serie avevano stupito al salone di Farnborough con una straordinaria manovra denominata «il cobra» (vedi «TuttoScienze del 29-11- '89). Grazie a una sofisticata modulazione dei comandi di volo e della spinta, armonizzati sotto controllo elettronico, l'aereo era in grado di impennarsi bruscamente, portandosi pancia al vento, fino a 110o rispetto alla direzione di marcia per poi riprendere tranquillamente l'assetto normale. La brusca frenata che accompagnava la manovra avrebbe potuto costringere un potenziale inseguitore a superare l'inseguito trasformando quest'ultimo da cacciato in cacciatore. Al salone di Farnborough dello scorso settembre il pilota collaudatore della Sukhoi, Eugeny Frolov, su un Su37 a «vettoramento della spinta» ha rincarato la dose trasformando il «cobra» in una capriola. Impennato ad assetti crescenti, come nel «cobra», l'aereo perde rapidamente energia e si rovescia all'indietro. A questo punto entrano in azione a piena potenza i reattori Liulka Al 37F con i getti deviati verso l'alto e l'aereo continua a rovesciarsi ricuperando l'assetto normale con un mezzo looping a raggio strettissimo e a velocità di avanzamento pressoché nulla. L'armoniosa «gran volta» di Nesterev - oggi eseguita dagli alianti ai ritmi lenti di Nat King Cole - si è contratta in un guizzo, col pilota stretto nella morsa della tuta anti-g, a respirare ossigeno sotto pressione. La manovra di Frolov non ha mancato di sollevare polemiche. Contrariato dalle dichiarazioni fatte alla stampa da piloti statunitensi, secondo i quali la manovra sarebbe irrilevante sul piano tattico, Mikhail Simonov, il massimo esponente della Sukhoi, ha sfidato gli americani a un combattimento simulato sul cielo del Salone; sfida rimasta senza seguito per ovvii motivi di sicurezza. A parte la polemica, resta il fatto che la capriola di Frolov sposta in avanti nella tecnologia il punto d'incontro tra due direttrici fondamentali del progresso aeronautico: la ricerca di una intrinseca instabilità del mezzo per accrescerne la manovrabilità, e lo studio di mezzi estremamente efficaci (calcolatori e sofisticati algoritmi di controllo) per rendere sicura e accurata la traiettoria. Il problema non è nuovo: per Lilienthal e i fratelli Wright non fu tanto difficile staccare da terra le rispettive macchine quanto dirigerle con precisione lungo la traiettoria voluta; e si estende oltre che ai caccia e ai giganti dell'aviazione commerciale, anche all'ala rotante. Igor Sikorsky, pioniere dell'elicottero, raccontava a chi scrive che, dovendo presentare a una commissione di esperti una delle sue prime macchine, riuscì a farla alzare docilmente da terra, a farla muovere con disinvoltura di fianco e all'interno, ma quel cocciuto d'elicottero si rifiutò di muoversi in avanti... Mario Bernardi


TECNOLOGIA Ora il semaforo fa anche la multa
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: POLITECNICO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

ADESSO il semaforo è davvero intelligente; almeno quello progettato dall'unità Impianti elettrici del Dipartimento di ingegneria elettrica industriale del Politecnico di Torino con l'appoggio della Provincia e di alcune aziende private. Un prototipo del nuovo impianto è già in funzione sulla strada provinciale n. 1 nei pressi di Robassomero, un secondo sarà installato entro la fine dell'anno. A parte altre particolarità, il nuovo semaforo è caratterizzato dalla molteplicità e diversità di funzioni che è in grado di svolgere, oltre, naturalmente, a quella di regolare il traffico; e tutto ciò grazie appunto all'intelligenza che gli è fornita dal suo cervello elettronico, un microprocessore. Ogni processore periferico controlla il funzionamento delle «lanterne» locali (fino a quattro) ed è collegato a un personal computer che fa da controllore centrale; il dialogo digitale tra questi due livelli avviene, ovviamente, in pochi millesimi di secondo. Ma l'intelligenza di questi processori sarebbe sprecata se fosse utilizzata solamente per regolare l'accensione delle lampade. In realtà il centralino è in grado di svolgere compiti del tutto innovativi: può acquisire dati sul traffico, sollecitare la manutenzione in caso di avaria di qualche componente, trasmettere immagini riprese da una telecamera che può essere inserita nel semaforo stesso, comportarsi come un autovelox fotografando i veicoli che superano i limiti di velocità, trasmettere chiamate di soccorso. Se dotato di una scheda audio e di un modem-fax e collegato con una linea telefonica o con un semplice cellulare il centralino diventa capace di dialogare, sia in modo digitale sia inviando fax sia ancora con messaggi vocali; può quindi essere interrogato dal personale autorizzato per richiedere dati sul traffico o per ordinare controlli della velocità. Il monitoraggio del traffico nelle varie direzioni può sostituire le costose campagne di rilevamento che i Comuni fanno attualmente. Il gruppo di ricercatori del Politecnico torinese ha messo a punto tutta una serie di altre migliorie, che si integrano in un nuovo design quasi piatto e di volume ridotto dovuto all'architetto Giuseppe Raimondi. I nuovi semafori sono più sicuri perché utilizzano corrente continua a bassa tensione; hanno un cablaggio più semplice costituito da un solo cavo di alimentazione e da uno di segnale; possono essere installati senza scavi profondi, costosi e ingombranti, ma con una semplice fresatura di pochi centimetri. Spariscono le voluminose centraline attuali sostituite da altre di piccole dimensioni che trovano posto nei semafori stessi. Le lampadine usate hanno una durata prevista di 10 mila ore di funzionamento continuo, che può arrivare fino a 20 mila, con un rischio di spegnimento definito «praticamente inesistente». Inoltre le classiche lampadine da 60 Watt possono essere sostituite da quattro lampade da 8,5 Watt per complessivi 34 Watt; ciò consente di ridurre del 34 per cento la spesa per energia elettrica. E non è un risparmio da poco: una città come Torino spende in energia, soltanto per far funzionare i suoi semafori, un miliardo e mezzo all'anno. Vittorio Ravizza


IL CAVALLO ARABO Figlio del deserto Purosangue elegante, antichissimo
Autore: BURI MARCO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, STORIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA

IL cavallo arabo è un dono di Dio». Ismaele, figlio di Abramo, si impadronì di una splendida giumenta che egli chiamò Khol, perché era nera come la pasta di antimonio con la quale la sua gente usava sottolineare gli occhi. La cavalla gravida partorì un puledro che da adulto ringravidò la madre. Da Ismaele discesero tutti gli Arabi e dalla sua giumenta i loro splendidi cavalli... Storia e leggenda, realtà e fantasia si fondono intimamente nel modo di pensare di questo popolo. La dura vita del deserto ha selezionato uomini e cavalli sia biologicamente che caratterialmente fino a portarli al concetto di «asil», cioè puri di sangue. Concetto essenziale per i Beduini, così fedeli alla nobiltà delle loro origini e a quella dei loro animali. Ritenuto un dono di Dio, il cavallo era trattato come un membro della famiglia, ma anche sfruttato al massimo nel momento delle battaglie al punto che alcune fattrici partorivano durante il combattimento. Le prime tracce dell'arrivo del cavallo nell'area geografica fra il Tigri e l'Eufrate risalgono al periodo 1800-1700 a.C. e si trovano su tavolette di pietra sugli scritti detti cuneiformi. Le più antiche raffigurazioni equestri egiziane si trovano nelle tombe dei faraoni della XVIII dinastia (1570-1314 a. C.) vicino a Tebe. Gli antichi Egiziani avevano una cultura sedentaria, mantenendo però un esercito vittorioso, basato sull'uso dei cavalli, per oltre quattro secoli. Nei templi di Luxor, Karnak, Abu Simbel le effigi equestri presentavano questi animali in atteggiamenti focosi; erano eleganti, di bassa statura, con ossatura sottile, portamento a coda alta, colli superbamente arcuati e musi a profilo concavo. Descrivendo cavalli e bighe, gli Egizi definivano l'animale «il bello» e tutto il resto come «l'equipaggiamento». Nelle parate più sontuose venivano ornati con bardature ricche e fantasiose fino a coprirne anche tutto il corpo e con piume di struzzo sulla cima della testiera. Testimonianza di tutto ciò, dalla Sacra Bibbia, l'immortale canto di Salomone recita: «Ti ho paragonata, o amor mio, a una quadriglia di cavalli tra le bighe del faraone». Non è ancora chiaro come e in che epoca precisa il cavallo sia arrivato nelle steppe e nei deserti della penisola araba, ma si pensa sia passato attraverso Mesopotamia, Siria e Palestina ed è molto probabile che risalga ai Tarpan, animali liberi che vivevano nelle zone ad Occidente del Volga. Vennero importati dall'Egitto all'inizio come regali ai sovrani arabi e iniziarono pian piano poi a sostituire i cammelli negli usi abituali. Maometto fu un grande estimatore di cavalli e ne diede un grande impulso all'allevamento. Si rese conto della loro utilità per fini militari, ne fece quindi aumentare il numero e la qualità impedendone incroci eccessivi nel timore di perdere la purezza della razza. Racconta la leggenda di come il Profeta fece una scelta fra un centinaio di giumente fatte assetare per alcuni giorni; poi, al momento dell'abbeverata, suonò il richiamo di adunata. Solo cinque di queste fattrici risposero al richiamo, Maometto le benedì, le battezzò ciascuna con un nome e queste cavalle furono considerate le capostipiti dalle quali ebbero origine tutti i cavalli arabi puri. In Italia le prime testimonianze della presenza di cavalli arabi si ebbero intorno al 500 a.C. sugli affreschi delle tombe etrusche. Ma ovviamente la Sicilia, terra occupata dagli Arabi, fu la porta d'ingresso alla nostra penisola. Nella Roma antica furono animali molto apprezzati soprattutto per gli aspetti sportivo-militari. Durante il Rinascimento i Gonzaga si distinsero per il loro grande allevamento di purosangue arabi. Leonardo da Vinci li utilizzò spesso come modelli per la loro bellezza plastica. Il modello del cavallo arabo segue standard molto precisi. La testa è, di regola, l'elemento più caratteristico di questa razza; i Beduini ne ricercavano tre punti per definirne meglio la bellezza: la fronte, le orecchie e il passaggio testa-collo. La fronte vista di profilo dà alla testa quel caratteristico aspetto affusolato e concavo. Forma e comportamento delle orecchie devono essere molto eleganti, incurvate al punto che le estremità devono quasi toccarsi. La folta peluria, all'interno, serviva come protezione dalla fine sabbia del deserto. La testa deve inserirsi sul collo con un'armoniosa curvatura. La lunghezza del collo stesso è pura bellezza, al punto che un emiro disse che se un cavallo arabo riesce a bere da una pozzanghera rimanendo con gli arti in posizione normale, si può essere certi che le varie parti del suo corpo sono tutte armoniche fra loro. Altro segno distintivo caratteristico sono le narici poste leggermente più in alto sul muso delle altre razze. Molto mobili, lunghe e un po' squadrate, anche queste sono ricoperte da sottile ma abbondante peluria come riparo dalla sabbia. Gli occhi sono grandi, vivaci ed espressivi, leggermente sporgenti, posizione che assicura un ottimo campo visivo ad un animale ancestralmente oggetto di preda. Il mantello è caratterizzato da un pelo setoso e da pelle sottile ed elastica. Possiamo distinguere il baio, il sauro, il grigio, il morello e il roano ma mai pomellato, palomino o pezzato. Il più comune e apprezzato è il sauro bruciato che si mimetizza meglio sullo sfondo desertico. Dice un antico adagio arabo: «Se ti raccontano di aver visto un cavallo volare, tu chiedi di che colore era. Se ti diranno che era sauro puoi ritenere il racconto veritiero» . Marco Buri


IL FILM «MICROCOSMOS» L'Universo rasoterra Due anni di riprese in un prato
Autore: STELLA ENRICO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, DIDATTICA, FILM
NOMI: NURIDSANY CLAUDE, PERRENNOU MARIE, PERRIN JACQUES
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, FRANCIA

ORMAI sappiamo tutto su elefanti, leoni, ghepardi, zebre: la tv continua a riproporre immagini, indubbiamente belle e interessanti, registrate per lo più nelle riserve e nei parchi africani. Sembra che i grandi mammiferi esotici facciano alzare l'audience, ma essi non sono che una rappresentanza minima del regno animale. E allora perché non guidare gli spettatori a conoscere anche la microfauna nostrana, varia e numerosa, reperibile in un prato a pochi passi da casa? La domanda se la sono posta due biologi francesi, Claude Nuridsany e Marie Perennou, che dopo 15 anni di esperienze scientifiche e divulgative hanno cominciato a puntare l'obiettivo della cinepresa su insetti, ragni e chiocciole di un ambiente ancora intatto nell'Aveyron: un posto normale, vicino alla loro abitazione. E' nato così «Microcosmos», un film naturalistico per il grande schermo, di eccezionale valore estetico, voluto da un produttore intelligente, l'attore Jacques Perrin, e balzato subito in testa alle classifiche come campione d'incassi in Francia e in Svizzera. Ora quest'opera, che ha meritato il «Grand Prix Technique» per gli effetti speciali (Cannes 1996), approda nei cinema italiani (dal 20 dicembre). La sua presentazione alla stampa è stata un'autentica rivelazione. L'impresa ha richiesto un biennio, solo per progettare l'equipaggiamento necessario (speciali macchine da presa telecomandate, sistemi di illuminazione efficaci, ma tali da non disturbare e scaldare troppo i protagonisti), tre anni di riprese (80 chilometri di pellicola, cioè 40 volte la lunghezza del film) e sei mesi di montaggio per un'ora e un quarto di intense emozioni. La scoperta del microcosmo si svolge in un giorno d'estate, si protrae durante la notte e si esaurisce all'alba di un secondo giorno: un arco di tempo simbolico, paragonabile a un'intera stagione. E i piccoli attori interpretano se stessi, alle prese con i problemi quotidiani, come lo scarabeo stercorario che affronta con incredibile tenacia le difficoltà incontrate lungo il percorso alla conquista del cibo. Sarebbe stato facile per Claude e Marie cedere alla tentazione di trasformare gli insetti in alieni, tanto diversi da noi, ma i due biologi registi non hanno mai alterato la realtà scientifica. Sono le riprese «macro» (con obiettivi funzionanti a distanza ravvicinata) a rendere i ciuffi d'erba simili a una densa foresta e a proiettare lo spettatore al centro dell'azione, come se fosse delle dimensioni di un insetto. Così il fagiano che piomba tra le formiche intente al trasporto di semi assume anche per noi le proporzioni gigantesche di un tirannosauro. E le gocce di pioggia cadute con violenza sul popolo lillipuziano del prato hanno quasi l'effetto di un bombardamento aereo. Una minima quantità d'acqua piovana, raccolta dentro una buca di qualche centimetro cubo, ci appare come una pozza capace di dissetare un branco di elefanti. Queste riprese si alternano sapientemente con inquadrature su scala più grande, a misura d'uomo, come quelle panoramiche del prato e del bosco (memorabile la sequenza del temporale]) e perfino con vedute cosmiche: il sole, la luna e le stelle. Un altro errore evitato è l'attribuzione agli animali di vicende, azioni e sentimenti umani. Soltanto ai documentari pionieristici di Walt Disney, negli Anni 50, si poteva perdonare un forzato antropomorfismo. Il film non ha la struttura del documentario ed è privo del commento parlato. Gli autori si sono preoccupati di bandire i metodi didattici e pedagogici per lasciare più spazio all'evocazione e alla fantasia. La tradizionale voce fuori campo dello speaker mal si sarebbe conciliata con l'atmosfera poetica, quasi da sogno, creata dalle immagini e dalla colonna sonora in perfetta sintonia con i suoni naturali: ronzii, stridulazioni, fruscii della vegetazione mossa dal vento. Il suono prodotto dal volo delle zanzare e delle mosche era in realtà così debole che per catturarlo si è resa necessaria la registrazione in uno studio impenetrabile ai rumori. Enrico Stella Università «La Sapienza», Roma


USA: LE VITTIME DEL NATALE Stress sotto l'albero Mal di testa, irritabilità, insonnia
Autore: COHEN ESTER

ARGOMENTI: PSICOLOGIA, MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: MCPHERSON TOM, BLOOM VICTOR
ORGANIZZAZIONI: SOUTHWEST MEDICAL CENTER
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA, TEXAS, DALLAS

ANGOSCIA da tredicesima finita in regali di Natale? Disturbi digestivi da ricche e ripetute cene con amici, parenti e colleghi? Nervi a fior di pelle da risse per il parcheggio, gomitate all'ipermercato? Sonno interrotto da fulminea constatazione che l'unico biglietto d'auguri che valesse la pena mandare non è stato spedito? Liti in famiglia per l'indesiderato ma inevitabile pranzo dalla suocera? Bene: per gli americani che tutto amano catalogare, si tratta di una vera e propria malattia, diffusissima peraltro, che va sotto il nome di «Holiday stress», tensione da feste. E i sintomi principali sono mal di testa, disturbi della digestione e del sonno, irritabilità. Stando a un sondaggio appena condotto da una casa farmaceutica d'oltreoceano che produce, guarda caso, ansiolitici, soffrirebbe di «holiday stress» il trenta per cento della popolazione adulta che vive in ambiente urbano. Un campione di 1005 persone, 504 uomini e 501 donne ha additato, quale principale colpevole, lo «sforzo di trovare il tempo per tutti e per tutto» (43%). A pari merito, con il 33 per cento, seguono la folla in strade e negozi e il timore di non azzeccare il regalo giusto. Gli incontri con i parenti, obbligatori anche quando per tutto l'anno i rapporti non sono stati proprio idilliaci, preoccupano il 24 per cento degli intervistati mentre il 17 per cento è seccato dalle incombenze domestiche: addobbare e lustrare la casa, tirare fuori il servizio «buono», preparare da mangiare per tante persone. Ricerche universitarie, pubblicazioni ad hoc in vendita anche per posta, programmi radio e tv e intere pagine Internet statunitensi sono dedicate in questo periodo all'«Holiday stress». Un atteggiamento forse di eccessiva medicalizzazione, tipico della mentalità americana, che tuttavia ha il merito di individuare alcune categorie realmente a rischio. Il Southwestern Medical Center dell'Università di Dallas, nel Texas, che ha addirittura istituito un osservatorio permanente con tanto di numero verde e pagine Web, si occupa in particolare degli ipertesi cui consiglia in questo periodo di tenere ancor più del solito sotto controllo la pressione arteriosa, praticando regolare esercizio fisico e resistendo alla tentazione dei cibi golosi che appaiono sulla tavola natalizia. Stesso discorso vale ovviamente per diabetici, cardiopatici, gastritici e ulcerosi e, per altre ragioni, anche per allergici e asmatici. Bambini e adolescenti, secondo Tom McPherson del Packard Children's Hospital, diventano irrequieti e si ammalano più facilmente sotto le feste perché vengono stravolti i loro abituali ritmi di vita. Niente scuola, alimentazione diversa, a letto in ore ogni giorno diverse, genitori affaccendati e tanti ospiti irritano i più piccoli mentre i teenagers, per definizione in conflitto con le convenzioni della società degli adulti, detestano le riunioni famigliari dove si sentono osservati e giudicati. Chi soffre di attacchi di panico o di stati ansioso-depressivi, sostiene la Mental Health Association of Colorado, di Denver, è soggetto al cosiddetto «Holiday blues», uno stato di malinconia dovuto alla delusione per la disparità, fra aspettative di calore e intimità che chiede alle feste, e quanto realmente invece riceve. «Quando le cose ci vanno bene - dice la dottoressa Susan C. Sikora dell'Hawaii Counsel ing & Education Center - diciamo che siamo in festa. Dobbiamo imparare a evocare in noi stessi questo felice stato d'animo, indipendentemente dalle ricorrenze. Solo così le feste vere e proprie diventano occasione di serenità». Secondo lo psichiatra Victor Bloom, della Wayne State University, bisogna invece imparare ad andare controcorrente: la sua ricetta antitradizionalista suggerisce di fare il contrario di quello che si è sempre fatto. Tradendo il proverbiale «Natale con i tuoi» andare a farsi un viaggio. Per un anno sottrarsi al giogo dei regali e dei biglietti da spedire, non fare nè albero nè presepe, assentarsi dal rituale pranzo coi parenti per passarlo magari da un amico musulmano. Per fortuna, per restare nei detti popolari, il 6 gennaio viene l'Epifania che tutte le feste si porta via. Già, ma anche a questo è stato associato un immancabile stato patologico: il «Post-holiday letdown», la prostrazione post-feste, che causa gli stessi sintomi dell'«Holiday stress», solo che viene dopo. Chissà se dura fino all'anno successivo. Ester Cohen




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