TUTTOSCIENZE 16 ottobre 96


E' UNA SCHEGGIA DI ASTEROIDE La pietra piovuta dal cielo Si studia la meteorite di Fermo
Autore: CEVOLANI GIORDANO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, FERMO (AP)

NON sembrano più esserci dubbi sulla natura del corpo piovuto dal cielo alle 17 e 30 di mercoledì 25 settembre nelle campagne di Fermo in provincia di Ascoli Piceno, nelle Marche: è una meteorite, un corpo roccioso di quasi 10 chili, con forma compatta e irregolare, superficie quasi completamente annerita e la caratteristica crosta di fusione formatasi per l'attrito con l'aria. La meteorite, che sarà catalogata con tutta probabilità negli annali come «meteorite di Fer mo», ha una forma geometrica irregolare, e misura 19 cm di base, 24 centimetri di altezza e 16 di profondità. Quando è appoggiata sulla base di minore superficie, può essere paragonata intuitivamente a una piramide a tre facce laterali, di cui una è approssimativamente levigata (quasi a significare una spaccatura avvenuta in precedenza lungo il piano della faccia) e le altre due sono scabre con depressioni e scanalature tipiche di questi corpi. Presenta sottili linee superficiali di frattura che la percorrono in modo irregolare principalmente lungo i bordi. Le parti più acuminate sono smussate per shock da impatto o per l'intervento resosi necessario per estrarre il corpo dal terreno argilloso. Queste parti di color grigio chiaro sono le più esposte ad un effetto di climatizzazione che sta progressivamente ossidando le piccole zone esposte all'azione degli agenti atmosferici, con formazione di ruggine che denota la presenza all'interno del corpo di composti a base di ferro. La superficie è quasi totalmente rivestita dalla caratteristica crosta di fusione a base di ferro e vetro (per i silicati contenuti) che si forma quando questi oggetti penetrano nella nostra atmosfera raggiungendo temperature enormi per l'attrito dell'aria. E' con ogni probabilità una condrite ordinaria (CO), nome che viene dato al gruppo più numeroso delle meteoriti rocciose di chiara origine asteroidale. Presenta tracce di solfuro di ferro che sono costituenti additivi (di solito al 5%) delle condriti. A contatto con il terreno, le parti smussate che non hanno la crosta di fusione sviluppano rapidamente un alone di ruggine di colore marrone, anche questo aspetto tipico delle CO. Come tutte le condriti, ha un'età attorno ai 4,5 miliardi di anni. Per calcolare la sua esatta età di formazione che corrisponde al tempo in cui l'intera matrice degli elementi della meteorite si è formata, bisognerà attendere i risultati delle misure di decadimento. Il metodo di decadimento del rubidio 87 nello stronzio 87 è il modo attualmente più usato per la datazione di una meteorite. Con questo metodo, ad esempio, la meteorite di Guarena, una condrite con alto contenuto di ferro, ha un'età tra 4380 e 4540 milioni di anni. Questa è più o meno l'età della Terra dedotta dalle misure degli isotopi del piombo, che è poi l'età del sistema solare. Per avere un'idea dell'enorme valore mineralogico delle condriti come la meteorite di Fermo, basta pensare alle rocce della Terra che hanno un'età media di formazione di pochi milioni di anni e solo eccezionalmente arrivano a 2 miliardi di anni. L'età della condrite sta a significare che il processo di formazione della roccia del corpo progenitore deve essersi completato molto velocemente subito dopo la formazione del sistema planetario e questo è possibile solo per i corpi minori (vedi gli asteroidi) che poterono raffreddarsi e solidificare abbastanza rapidamente. Per la completa classificazione della meteorite di Fermo, sarà necessario effettuare due tipi di analisi: uno di tipo elementare per riconoscere gli elementi costitutivi ed i loro composti (analisi chimica), e parallelamente una di tipo petrografico per riconoscere il grado di cristallizzazione (analisi mineralogica). Giordano Cevolani CNR, Bologna


TELECOMUNICAZIONI Arriva il cellulare dei poveri Presto un telefono senza fili per uso metropolitano
Autore: FABBRI GIANCARLO

ARGOMENTI: COMUNICAZIONI, ELETTRONICA
ORGANIZZAZIONI: DECT
LUOGHI: ITALIA

SONO più di 50 milioni i telefoni cellulari nel mondo, e la crescita è così vertiginosa che nel 2000 supereranno la soglia dei 200 milioni. In questo «villaggio globale» preparatevi a un ennesimo acronimo: dopo Tacs e Gsm è la volta di Dect (Digital European Cordless Telephony, Telefonia Digitale senza fili a standard Europeo). Dect è il nuovo standard, su frequenza 1880-1900 Mhz, per un uso prettamente cittadino. Oggi in Italia il sistema è in fase sperimentale a Reggio Emilia e a Brindisi; nel 1997 Telecom conta di vendere il servizio nelle maggiori città italiane. Attualmente i portatili Dect sono usati sia negli uffici sia nelle abitazioni, ma solo come cordless, con prestazioni, però, di tutto rispetto: si possono connettere fino a 6 terminali intercomunicanti a un'unica base, o installare fino a 4 basi su uno stesso numero. Quando le città saranno state attrezzate, la grossa novità sarà che l'apparecchio potrà funzionare sia come cordless di casa, e quindi collegato alla base della propria abitazione, sia come cellulare cittadino: il tutto utilizzando uno stesso numero. Altro aspetto positivo di questo sistema è la bassa potenza in gioco (10 mW contro i 600 mW dei Tacs o Gsm), grazie a una ragnatela di microcelle davvero impressionante: si calcola che per una città come Torino dovrebbero essere circa 1700. Lo standard Dect, che utilizza tecnologia digitale simile al Gsm, porterà anche altre novità: riservatezza delle conversazioni (grazie a un sistema di crittografia), autenticazione del terminale, assenza di disturbi e altri servizi come il trasferimento di chiamata e il Voice Mail. La tariffazione sarà allettante, soprattutto rispetto agli attuali sistemi di telefonia cellulare e sarà un punto di forza per favorirne la diffusione. E' chiaro che la medaglia ha anche un rovescio; le limitazioni del sistema sono la copertura, esclusivamente in ambito cittadino, e la possibilità di proseguire la conversazione solo se lo spostamento avviene a bassa velocità. Per queste limitazioni qualcuno già parla di «telefonino dei poveri» . Lo standard Dect è nato, come il Gsm, da una collaborazione tra le più attive industrie elettroniche del Vecchio Continente e il Cept (la Conferenza Europea delle Telecomunicazioni) e si appresta a inserirsi in un mercato in continua evoluzione con potenzialità enormi: c'è chi lo vede, nel prossimo futuro, soppiantare anche il normale telefono. Con un grande vantaggio: che in futuro non si dovranno più stendere chilometri di cavi, e i cittadini si troveranno le strade un po' meno rotte. Giancarlo Fabbri


SCAFFALE Innocenti Andrea: «Un mondo di invertebrati», Muzzio Editore
AUTORE: R_SC
ARGOMENTI: ZOOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

Spiegati a tutti i misteri delle zanzare e dei coleottteri, dei ditteri e delle formiche, delle libellule e dei vermi, delle larve e delle farfalle. «Viviamo immersi in un brodo animale - scrive l'autore - formato da milioni di minuscoli esseri impegnati in furiose lotte per la sopravvivenza... Nel mondo il 10 per cento degli animali appartiene ai vertebrati, mentre gli insetti rappresentano i 3/4 delle specie conosciute». (r. sc.)


SCAFFALE Bozzi Maria Luisa e Camanni Stefano: «Turisti per scienza, 100 itinerari italiani», Franco Muzzio Editore
AUTORE: R_SC
ARGOMENTI: ECOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

Un centinaio di itinerari italiani ad alto contenuto scientifico per scoprire botanica, vulcanologia, geologia e genetica, zoologia, paleoantropolgia e fisica nel Bel Paese, ricco non solo di storia ma di straordinari monumenti naturali. «Alcuni dei quali sono esclusivi del nostro Paese e unici in Europa». Con informazioni non specialistiche, ma comprensibili per chiunque abbia un minimo di curiosità.


SCAFFALE Genero/Perco/Dentesani: «Il grifone in Italia e nel mondo», Biologia e strategie di conservazione. Franco Muzzio Editore
AUTORE: R_SC
ARGOMENTI: ZOOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

Tutto sul mitico grifone - avvoltoio mangiatore di carogne, quindi spazzino naturale - Origine, areali, biologia, comportamenti. Grande uccello (apertura alare fino a 280 centimetri), in Europa ne sopravvivono sette specie tutte protette; nidifica nei Pirenei, nella Spagna meridionale, nel Caucaso, in Slovenia e qualche esemplare è stato avvistato sulle Alpi orientali. Esperimenti di reintroduzione sono in corso in Friuli e Abruzzo.


SCAFFALE Curtoni Emilio: «Nascita e dintorni. Venire al mondo oggi: come, dove, quando, perché, per chi...», Franco Angeli Editore
AUTORE: R_SC
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

Non un manuale di preparazione alla maternità, ma guida per riflettere sulla nascita e sulle cose che accadono tra fase di concepimento, gravidanza, sala parto, nursery e il mondo.


SCAFFALE Gubitosa Carlo, Marcandalli Enrico, Marescotti Alessandro: «Telematica per la pace. Cooperazione, diritti umani, ecologia...», Apogeo
AUTORE: R_SC
ARGOMENTI: COMUNICAZIONI, LIBRI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

«...per consegnare le nuove tecnologie di comunicazione alla gente comune, prima che siano le tecnologie stesse a dominare le persone».


SCAFFALE Deloche Alain: «Medici all'inferno», L'altra faccia della medicina: l'avventura di un chirurgo, dall'Africa a Sarajevo, Franco Muzzio Editore
AUTORE: R_SC
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

Deloche, francese, cofondatore e presidente onorario di Medecin du Monde, chirurgo cardiaco, racconta vent'anni di missioni umanitarie, e la vita dei French Doctors, medici volontari che rischiano la vita per salvarne altre, nelle retrovie dei fronti di guerra di mezzo mondo. Interventi chirurgici in condizioni impossibili, bambini piagati e martirizzati dalle violenze dei grandi, viaggi faticosi, qualche volta clandestini, per raggiungere presidi sanitari persi in giungle e savane, fino alla creazione, nell'86, di Mission France, organizzazione di assistenza in patria, per i diseredati francesi, un Terzo Mondo a due passi da casa.


SCAFFALE Monte Bianco, guida multimediale, Da richiedere a Vivalda Editori, (tel. 011/77.20.461), via Invorio 24/a 10146, Torino.
AUTORE: R_SC
ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

IL Monte Bianco in un cd-rom, con immagini, filmati, musiche, testi, primo della collana Great Mountains. La natura, la storia, l'alpinismo, la geografia, e ancora fauna, flora, meteorologia, e itinerari su roccia, ghiaccio, di escursionismo, i rifugi, cosa fare e cosa vedere a Courmayeur e Chamonix, con alberghi eristoranti. In più la sezione vette permette di esplorare l'intera catena zoomando e cliccando su dettagli, o andando agli ipertesti. Il tutto - utilizzabile su piattaforme Windows e Macintosh - progettato da Stefano Camanni e Carlo Sacchi, realizzato in collaborazione col Museo della Montagna di Torino, Priuli & Verlucca Editori, la sede Rai di Aosta, la Grivel, e la Società Guide di Courmayeur.


FEBBRE Il termometro ora si mette nell'orecchio
Autore: PELLATI RENZO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, TECNOLOGIA
NOMI: WUNDERLICH CARL
LUOGHI: ITALIA

LA febbre è un fenomeno fisiologico importante perché può essere la spia di malattie molto diverse fra loro (dalla comune influenza alle più strane infezioni) così come dell'efficacia di una cura o semplicemente delle difese che il nostro organismo mette in atto. Di conseguenza il medico si è sempre preoccupato di misurare la temperatura corporea. I primi successi risalgono al 1868, quando un medico tedesco, Carl A. Wunderlich, realizzò un termometro ascellare (lungo più di 30 centimetri]), sviluppando una intuizione di Galileo Galilei. In oltre un secolo, i metodi per misurare la temperatura si sono diversificati (ascellare, orale, rettale, con apparecchi a vetro, a mercurio, elettronici). Oggi è stato compiuto un ulteriore progresso. La temperatura corporea può essere misurata in un solo secondo, grazie a un piccolo strumento: il termometro auricolare. Ricerche risalenti ai primi Anni 70 dimostrano come la misurazione timpanica sia la più efficace. La membrana timpanica, infatti, è irrorata dallo stesso sangue, derivante dall'arteria carotide, che perfonde l'ipotalamo, centro termoregolatore dell'organismo. In altre parole, la misurazione timpanica ci offre risultati più affidabili ed indipendenti da fattori esterni, ambientali, più vicini alla reale temperatura interna del corpo. Il termometro auricolare determina la temperatura corporea misurando la radiazione infrarossa emessa dalla membrana timpanica e dal condotto uditivo. All'interno dell'apparecchio, un computer in miniatura calcola la temperatura corporea che, nel giro di un secondo, appare sul display. Già si sapeva che la temperatura del corpo non è costante nelle 24 ore: è minima al mattino tra le 4 e le 6, massima al pomeriggio tra le 17 e le 20. Una ricerca condotta su un campione di oltre 2400 individui (da neonati con 12 ore di vita ad anziani con 103 anni), ha rilevato che la temperatura «normale» del corpo varia - a seconda di dove viene effettuata la misurazione - dai 35,5o ai 37,5o (orale), dai 34,7o ai 37,3o (ascellare), dai 36,6o ai 38,0o (rettale). La temperatura auricolare può variare tra i 35,7o e i 37,5o. La temperatura fisiologica degli individui sani, inoltre, è un «intervallo» e non un numero «preciso». Per un individuo può essere normale una temperatura inferiore a 36o, come anche una leggermente superiore a 37o. Dipende anche dall'attività svolta e, nelle donne, dalle fasi di ovulazione o dalla gravidanza. Le misurazioni rettali sono state giudicate le più vicine all'effettiva temperatura interna del corpo. Tuttavia, specie se la temperatura è in rapida variazione, studi clinici dimostrano che la temperatura rettale si adegua in ritardo alle variazioni della temperatura interna. Oltre al fatto che è un metodo invasivo, sgradevole, antiigienico e non può essere usato con disturbi intestinali. Renzo Pellati


E' giusto creare (e brevettare) nuove specie animali? Lo zoo che esce dalla provetta
Autore: GRANDE CARLO

ARGOMENTI: GENETICA, RICERCA SCIENTIFICA, BIOLOGIA, TECNOLOGIA, BIOETICA
NOMI: TERRAGNI FABIO
ORGANIZZAZIONI: HARVARD UNIVERSITY, GCEB
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA, EUROPA

IL primo è stato l'«oncomouse» o «topo di Harvard», un roditore bianco che nell'aprile 1988 è entrato nella storia della giurisprudenza come primo animale brevettato negli Stati Uniti. L'hanno ottenuto i laboratori di Harvard della multinazionale chimica DuPont: nelle sue cellule uovo è stato inserito l'oncogene umano «e-myc», predisposto a sviluppare il tumore alla mammella. I figli dell'«oncotopo» svilupperanno inesorabilmente il tumore mammario. E poiché le modifiche sono presenti anche nel suo patrimonio genetico, siamo di fronte a un organismo «transgenico», ultima frontiera delle biotecnologie. Lo zoo biotecnologico non si ferma certo qui: ad esempio sono in lavorazione le «chimere», animali con popolazioni cellulari geneticamente differenti perché provengono da più ovuli fecondati. Si ottengono associando il materiale cellulare proveniente da due o più embrioni diversi attraverso aggregazione o miscelazione di più embrioni, oppure attraverso inoculazione di cellule di un embrione in un embrione ospite: le chimere sono esseri con tanti genitori. Ce ne sono di intraspecifiche bovine, con apparato mammario da latte e una resa al macello tipica delle razze da carne; c'è la «caprecora», ottenuta associando un embrione precoce di capra e uno di pecora, o la «quallina» (con un frammento di embrione di quaglia in quello di un pollo). La selezione genetica può ottenere tacchini giganti, con muscoli pettorali ipertrofici (la mole eccessiva impedisce loro di accoppiarsi, quindi si riproducono con la fecondazione artificiale); può creare razze di polli da carne «a termine fisso», come gli androidi di Blade Run ner: superato il centesimo giorno di vita morirebbero di infarto, ma vengono uccisi prima, quando raggiungono il giusto punto di ingrasso. I maiali transgenici, cui è stato iniettato l'ormone umano della crescita, accusano invece patologie come ulcere gastriche e letargia; i suini da carne spesso sono schiacciati dal loro peso, hanno tendenza al decubito e non si muovono quasi più. Un altro esempio è il topo ballerino, piccolissimo roditore bianco e nero che continuamente ruota su se stesso a una velocità impressionante. Questo animale è nato nei laboratori di ricerca: per un errore genetico non possiede l'equilibrio. C'è chi lo trova buffo e la malformazione viene così perpetrata nella sua progenie. Naturalmente sono state modificate geneticamente anche numerose piante: si va dal cotone che cresce già blu (ideale per i jeans), alle patate con poco amido che assorbono meno olio, al pomodoro cui viene disattivato il gene che, al momento della maturazione, porta all'ammosciamento dei tessuti. Ci sarebbe da sorridere, se la «febbre dei brevetti» non fosse destinata a crescere, con tutti i lati positivi e negativi che essa comporta. Finora in Europa i viventi non sono brevettabili, mentre negli Stati Uniti sì. Qualche settimana fa, però, il Gruppo dei consiglieri per l'etica delle biotecnologie dell'Unione europea (Gceb) ha dichiarato che la manipolazione genetica «non è eticamente inaccettabile» e che quindi è possibile alterare il patrimonio genetico degli animali, creare nuove specie in laboratorio e brevettarle, come finora si era fatto soprattutto con le macchine. Una interpretazione opposta a quella adottata dalla Camera nel '93, su risoluzione di Gianni Mattioli, contraria alla produzione di animali transgenici e al loro brevetto. La nuova direttiva europea provocherà ulteriori dibattiti: di fronte ci sono da un lato l'industria biotecnologica, settore di punta che muoverà quantità sempre maggiori di denaro, parte della comunità scientifica e molti politici dei Paesi industrializzati; dall'altro gli ambientalisti, secondo molti dei quali la manipolazione genetica è «uno scherzo orrendo che stiamo facendo ai nostri figli». Gianni Tamino e Fabrizia Pratesi, ad esempio, del Comitato scientifico antivivisezionista, denunciano non solo le sofferenze fisiche e morali degli individui oggetto di xenotrapianto, lo sconvolgimento degli ecosistemi e delle barriere naturali tra specie e specie; ma anche il pericolo di trasmettere virus da una specie all'altra, con la possibile diffusione di epidemie virali. Quella dell'Aids ne è un esempio, dicono, che come molti sostengono è stata generata dalla mutazione del virus Siv, passato dalle scimmie all'uomo. Fabio Terragni, direttore del Centro di educazione ricerca e informazione su scienza e società, denuncia un episodio inquietante. Di recente in un'isola a 10 chilometri dalla costa australiana si stava sperimentando un virus che provoca una diarrea emorragica fulminante nei conigli (animali competitori dei marsupiali e distruttori di coltivazioni australiane). Improvvisamente il virus si è diffuso sulla terraferma, provocando un'epidemia «spontanea tra i conigli. Evidentemente era stato portato da un insetto. Tra i contrari a brevettare animali transgenici ci sono anche molti terzomondisti e rappresentanti degli indigeni: tante «scoperte», dicono, vengono fatte sfruttando il patrimonio vegetale o faunistico dei Paesi poveri e poi brevettate da multinazionali dei Paesi ricchi. Qualche tempo fa in India un corteo di contadini ha assaltato la sede di una multinazionale americana e una banca genetica: si sentivano «espropriati» dal brevetto di una pianta, il «neem» usata da millenni nella loro cultura come disinfettante e pasta dentifricia. Stefano Rodotà, che faceva parte della commissione, sottolinea come gli animali transgenici possano contribuire al benessere dell'umanità. La ricerca in questo settore, all'avanguardia nei prossimi anni, potrà costituire una risorsa preziosa. Ma aggiunge che l'apertura ai brevetti è improntata a grande cautela, non vuole assolutamente sottovalutare la protezione dei cittadini e il benessere degli animali. Terragni si dice invece contrario alla brevettazione di piante e animali, perché l'istituto giuridico non si adatta alla materia vivente: il brevetto, dice, è nato per oggetti dell'ingegno, innovativi, originali, riproducibili. Caratteristiche difficili da applicare negli organismi viventi: un gene non è un'«invenzione» dell'uomo ma un risultato dell'evoluzione. L'uomo semmai lo scopre e lo modifica. Quanto all'originalità e riproducibilità, ci sono ampi margini di incertezza: la materia vivente si evolve, si riproduce in nuove generazioni, che possono diversificarsi. La manipolazione genetica solleva inoltre inediti problemi di ordine etico: intanto la sofferenza degli animali domestici sottoposti a interventi di transgenia. Molte ricerche riferiscono di alterazioni del metabolismo e di gravi patologie. E poi, ad esempio, un vegetale manipolato con geni del maiale non andrebbe segnalato a musulmani ed ebrei? O non sarebbe il caso di avvertire con etichette chi, negli spaghetti, sta mangiando un sugo «ingegnerizzato»? Roberto Marchesini, nel suo recentissimo «Oltre il muro: la vera storia di mucca pazza» (Muzzio) dedica un capitolo al «maltrattamento genetico» . Citando polli, tacchini, maiali e altri soggetti della zootecnia d'avanguardia, parla di «mostri sofferenti, vittime dell'iperproduzione, cui l'uomo ha negato il corredo per vivere una vita dignitosa». Bisognerà trovare il difficile punto di equilibrio tra i numerosi interessi in gioco. Tenendo presente che la selezione naturale produce sofferenze individuali, ma è un bene per la specie: si può pensare che la gazzella catturata da un leone, ad esempio, non produrrà altri individui poco scaltri. La selezione artificiale, invece, può condannare sia l'individuo sia la specie. Carlo Grande


STORIA DELLA SCIENZA Un secolo fa moriva Alfred, re della dinamite Chi era l'uomo che fondò i famosi premi assegnati in Svezia
AUTORE: FOCHI GIANNI
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
PERSONE: NOBEL ALFRED
NOMI: SOBRERO ASCANIO, NOBEL EMIL, NOBEL ALFRED
ORGANIZZAZIONI: PREMIO NOBEL
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, SVEZIA, STOCCOLMA

SI celebra quest'anno il centenario della morte di Alfred Bernhard Nobel: morì ricco e famoso a Sanremo il 10 dicembre 1896, all'età di 63 anni. Lo stroncò una emorragia cerebrale, ma molti anni prima la sua attività era stata lì lì per finire sul nascere. Raccontava egli stesso che, volendo aprire una latta di nitroglicerina solidificatasi per il freddo, lo fece a colpi d'accetta, senza sapere che quella sostanza può esplodere al minimo urto o sfregamento; quella volta, per fortuna, se ne stette buona. L'aneddoto rende l'idea dell'ignoranza allora diffusa tra chi usava la nitroglicerina. Rimase un'eccezione il comportamento del chimico italiano Ascanio Sobrero, di Casale Monferrato, che nel 1847 per primo sintetizzò quel liquido oleoso rendendosi conto subito della sua pericolosità, tanto che preferì dedicarsi ad altre ricerche. Incidenti gravi capitarono ben presto. In uno di questi nel 1864 morì Emil Nobel, fratello minore d'Alfred. Il legame tra Alfred e la nitroglicerina si era instaurato al tempo della guerra di Crimea (1854-1856), quando suo padre, lo svedese Immanuel Nobel, inventore di professione, aveva a San Pietroburgo una fabbrica di materiale bellico per le forze armate russe. Tornato in Svezia dopo vicende sfortunate, nel 1863 Immanuel si diede a studiare la nitroglicerina insieme con il figlio Alfred. Questi, allora trentenne, inventò il detonatore, cioè una capsula piena di fulminato di mercurio, capace d'innescare l'esplosione al momento desiderato. Tuttavia la nitroglicerina continuava a esplodere anche senza innesco; appunto per questo motivo il giovane Emil morì insieme con altre quattro persone in una fabbrichetta che i Nobel aveva impiantato. Dopo quel tremendo incidente le autorità negarono il permesso di costruire un impianto nuovo, ma Alfred e suo padre ricorsero a uno stratagemma: costruirono una fabbrica galleggiante sulle acque d'un lago, e la spostavano un po' più in qua o un po' più in là a seconda delle proteste di chi abitava vicino alle sponde. Le imprese d'ingegneria civile e mineraria, senza lasciarsi spaventare dai rischi del nuovo esplosivo, si misero a usarlo sempre di più. Nel 1865 venne costruito un grosso impianto di produzione a Vinterviken, area disabitata non lontana da Stoccolma. Alfred Nobel ne era il direttore factotum: aveva la responsabilità dello stabilimento, dirigeva la produzione e si occupava personalmente delle vendite, della propaganda, dei contatti e della contabilità. Il mercato si espandeva e un'altra fabbrica fu inaugurata in Germania. Purtroppo, come c'era da aspettarsi, gli incidenti si moltiplicavano. Finalmente, nel 1867 Alfred Nobel brevettò la sua seconda invenzione importante: la dinamite. Circola con insistenza, sin dai primi tempi, una diceria che irritava molto l'inventore. Secondo questa, egli una volta aprì una cassa che conteneva una latta di nitroglicerina imballata in farina fossile, materiale non infiammabile costituito da scheletri d'alghe unicellulari (dette diatomee), che abbonda in giacimenti e viene tuttora usata per la spedizione di carichi pericolosi. La latta era bucata, e la nitroglicerina era stata assorbita dalla farina fossile. Nobel, sempre secondo questa diceria, volle provare le proprietà del miscuglio risultante, si accorse che esso esplodeva solo se innescato e lo chiamò dinamite. E' probabile, invece, che il ricorso a quel materiale assorbente così diffuso sia stato una vera e propria idea dello svedese, che si stava dedicando intensamente a domare la nitroglicerina. La dinamite incontrò un successo rapido: Nobel diede vita a 93 stabilimenti in 21 Stati diversi, fra cui uno in provincia di Torino (Avigliana). Dovette viaggiare di continuo e spostare più d'una volta la sua residenza: Amburgo, Parigi e, dal 1891, Sanremo. Lo chiamavano il vagabondo più ricco d'Europa. Non volle mai assumere un segretario, sbrigava da sè tutta la corrispondenza d'affari: scriveva fino a trenta lettere al giorno, ognuna nella lingua del destinatario. Non perse mai neanche la passione per la ricerca, ritornava in laboratorio appena poteva. Lavorò a molti progetti di pubblica utilità: seta artificiale, gomma sintetica, telefonia, accumulatori elettrici. Quanto alla guerra, la definiva «l'orrore degli orrori e il più grande dei crimini». Concepiva i suoi esplosivi per scopi pacifici. Poiché gl'ingegneri volevano qualcosa di più potente della dinamite per far saltare le rocce particolarmente dure, Nobel cercò di rimpiazzare la farina fossile, che è inerte, con qualcosa che moderasse l'instabilità eccessiva della nitroglicerina pur essendo anch'esso esplosivo. Alla soluzione di questo problema fu indirizzato veramente dal caso. Un giorno del 1875 si fece un taglio in un dito mentre era in laboratorio. Allora era diffusa la pratica d'applicare sulle ferite il collodio, che asciugava rapidamente lasciando una pellicola protettiva elastica: qualcosa di simile, come concetto, al moderno cerotto spray. Il collodio era una soluzione di nitrocellulosa, sostanza impiegata anche come esplosivo (fulmicotone). Quella notte Nobel non riusciva a prender sonno per il dolore al dito, e così si mise a pensare: se fosse stato proprio il collodio ciò che cercava? Lo mescolò alla nitroglicerina, ottenendo una gelatina (proprio così si chiamò) che esplodeva se innescata, ed era più potente della dinamite. Nel 1887 la produzione di Nobel subì un mutamento di rotta, tornando in parte alle applicazioni militari che avevano costituito l'interesse originario di suo padre. Lo svedese sviluppo' il suo primo propellente per armi da fuoco, la balistite, derivato dalla gelatina per aggiunta di canfora. Pur contenendo due sostanze che separate esplodono con grande violenza (nitroglicerina e nitrocellulosa), la balistite deflagrava alla velocità sufficiente a spingere un proiettile ma non a far scoppiare la canna. Fu la prima polvere senza fumo, che permetteva ai combattenti appostati di non rivelare la loro posizione. Venne subito adottata dalle forze armate italiane col nome di filite. Nel 1888 Nobel lesse su un giornale parigino la falsa notizia del proprio decesso. Non s'impressionò affatto di quel lugubre errore, ma rimase molto male vedendosi definito mercante di morte. Egli infatti si dichiarava convinto che i suoi ritrovati tecnici avrebbero reso la guerra talmente spaventosa che l'umanità vi avrebbe presto rinunciato. Quando gli venne chiesta una sovvenzione per un congresso della pace da tenersi a Berna nel 1892, egli elargì il denaro richiesto, ma aggiunse: «Le mie fabbriche fermeranno la guerra prima dei vostri congressi. Quando sorgerà il giorno in cui due eserciti contrapposti potranno distruggersi l'un l'altro in un secondo, tutte le nazioni civili, inorridite, scioglieranno le loro truppe». Sappiamo che aveva torto; anzi, si può addirittura essere tentati di non crederlo sincero. Ricordiamoci tuttavia che egli volle affiancare un premio per la pace ai più prestigiosi riconoscimenti scientifici del nostro secolo, i premi che presero il suo nome e che col suo lascito egli fondò. In favore della sua buona fede va poi ricordato il suo carattere di persona mantenutasi sempre mite, gentile e modesta. Lo straordinario successo economico non lo cambiò mai, e di quest'uomo, che ebbe per tutta la vita salute cagionevole, restano anche alcune poesie, una commedia e un romanzo: testimonianze inedite i un animo sensibile, infelice, solitario. Gianni Fochi Scuola Normale di Pisa


AGGIORNIAMO I LIBRI SCOLASTICI Le ricerche premiate con il Nobel '96 Genetica, elio superfluido e una molecola fatta a pallone
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, VINCITORE, PREMIO, MEDICINA, FISICA, CHIMICA
NOMI: OSHEROFF DOUGLAS, RICHARDSON ROBERT, LEE DAVID (VINCITORI PREMIO NOBEL PER LA FISICA), DOHERTY PETER, ZINKERNAGEL ROLF (VINCITORI DEL PREMIO NOBEL PER LA MEDICINA), KROTO RICHARD (PREMIO NOBEL PER LA CHIMICA), NOBEL ALFRED
ORGANIZZAZIONI: PREMIO NOBEL
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, SVEZIA, STOCCOLMA

MOLTI scienziati attendono le prime due settimane di ottobre con ansia, curiosità e - magari - speranza: in questi giorni l'Accademia delle scienze di Stoccolma assegna i Premi Nobel per la medicina, la fisica e la chimica, e non c'è dubbio che questi riconoscimenti rimangono anche oggi i più prestigiosi a cui un ricercatore possa aspirare. Oltre ad essere dotati di una somma da capogiro: quest'anno intorno a un miliardo e 800 milioni. Alfred Nobel, istituendo nelle sue ultime volontà il riconoscimento che porta il suo nome, coltivava una aspirazione filantropica: nelle sue intenzioni il premio doveva andare a ricerche utili all'umanità, anche a compensazione dei danni prodotti da un cattivo uso, a scopo bellico, della sua invenzione più famosa, la dinamite. Naturalmente con il tempo la situazione della ricerca scientifica è molto cambiata. L'utilità di una scoperta non sempre è subito evidente. Certe scoperte, in apparenza senza applicazione, a distanza di tempo possono rivelarsi preziose. Così, spesso, negli ultimi tempi il Nobel è andato a scoperte di scienza pura. Si pensi per esempio a Weinberg, Glashow e Salam, premiati per la teoria elettrodebole. Inoltre oggi la figura del genio solitario è quasi scomparsa: si lavora in equipe, e quindi non sempre è facile individuare chi davvero merita il premio. CHIMICA IL Nobel per la chimica '96 ha premiato la scoperta di una strana molecola del carbonio, chiamata fullerene. A individuarla sono stati l'inglese Harold Kroto (nato nel 1939, docente all'Università del Sussex) e gli americani Richard Smalley (nato nel 1943) e Robert Curl (nato nel 1933), entrambi alla Rice University di Houston, in Texas (Usa). Il fullerene (ma ormai se ne conoscono molte varianti, per cui si parla di «fullereni», una vera e propria nuova famiglia di molecole) è costituito da 60 atomi di carbonio disposti in modo da formare una sferetta simile a un pallone da calcio. Più esattamente, non si tratta di una sferetta ma di un icosaedro troncato nel quale troviamo 60 vertici e 32 facce, 12 delle quali pentagonali e 20 esagonali. Kroto, che è un astrofisico, ha osservato per primo nel 1985 queste molecole di carbonio in una nebulosa. I suoi colleghi americani, usando un laser, sono riusciti a produrle in laboratorio. Un po' di fullerene si trova persino nel nerofumo delle candele. La scoperta del fullerene ha aggiunto una terza forma strutturata del carbonio: prima si conoscevano solo la grafite e il diamante. Non si tratta però soltanto di una curiosità chimico-fisica. L'Istituto Nazionale per la Fisica della Materia, con sede a Genova (telefono 010- 659.8710) sta sviluppando sui fullereni molte interessanti ricerche teoriche e applicative. Producendo artificialmente fullereni si è infatti visto che essi sono superconduttori a 30 gradi kelvin e che possono servire per produrre rivestimenti antiusura e autolubrificanti. Altre applicazioni potranno riguardare le batterie al litio, schermi televisivi di nuova concezione e fibre ottiche. Piero Bianucci MEDICINA IL premio Nobel per la medicina è stato assegnato all'australiano Peter C. Doherty e allo svizzero Rolf M. Zinkernagel per le loro scoperte sul funzionamento del sistema immunitario e in particolare dei linfociti T, un tipo di cellula presente nel sangue e nei tessuti che controlla un meccanismo fondamentale per la sopravvivenza: il meccanismo che distingue tra il sè e il non-sè, cioè tra i tessuti del nostro corpo e gli agenti esterni, che possono essere batteri, virus o sostanze tossiche. Queste ricerche hanno portato alla produzione di nuovi vaccini, a migliorare la tecnica dei trapianti, a terapie per i tumori e alla miglior comprensione di malattie come le forme reumatiche, il diabete, la sclerosi multipla e l'Aids, tutte patologie in qualche modo collegate a un eccesso o a una carenza di risposta immunitaria. Doherty ha 55 anni ed è un ex veterinario che lavora attualmente al St. Judès Research Hospital di Memphis, nel Tennessee. Zinkernagel, 52 anni, dirige l'Istituto di immunologia di Zurigo. Vediamo in che cosa consiste la loro scoperta. I linfociti sono cellule che hanno il compito di individuare ed eliminare gli aggressori del nostro organismo. Esistono linfociti B e T. I B reagiscono all'aggressione producendo le immunoglobuline. I linfociti T, così chiamati perché il loro «addestramento» avviene nel timo, un organo che sta dietro lo sterno e che ha una vivacissima attività nella fase prenatale e nei primi 20 anni di vita, funzionano in modo più complicato. Doherty e Zinkernagel hanno dimostrato con esperimenti fatti su ceppi diversi di topi che essi T applicano non uno ma due meccanismi per identificare l'aggressore, e solo se scattano entrambi avviene la reazione del nostro organismo: un po' come se per aprire una porta occorressero due chiavi. FISICA DOUGLAS D. Osheroff, Robert C. Richardson e David M. Lee, tutti e tre americani, sono i vincitori del Nobel '96 per la fisica. Il loro studio riguarda il fenomeno della superfluidità che si manifesta nell'elio-3 (un isotopo raro dell'elio-4) quando questo gas viene raffreddato fino alla bassisima temperatura di due millesimi di grado sopra lo zero assoluto. Che l'elio-4 a bassissima temperatura diventi superfluido era un fenomeno noto fin dal 1938: i suoi nuclei, formati da 2 protoni e 2 neutroni, quando per il gran freddo cessano quasi del tutto le vibrazioni, obbediscono alla statistica di Bose-Einstein che regola il comportamento quantistico dei bosoni. Così i nuclei di elio si muovono compatti come i soldati di un battaglione, quasi si trattasse di un unico atomo: l'elio riesce allora a passare velocissimo in microscopici fori o ad arrampicarsi lungo le pareti di un recipiente in barba alla legge di gravità. L'elio-3, invece, ha nuclei formati da due protoni e un neutrone, e quindi si comporta come un fermione e obbedisce alla statistica di Fermi-Dirac, per cui non dovrebbe diventare superfluido. I vincitori del Nobel, invece, hanno dimostrato che ciò avviene (ma a temperatura ancora mille volte più bassa) perché in quella situazione i nuclei si dispongono in coppie nelle quali ciascuna particella orbita a una distanza fissa intorno all'altra, e quindi è come se si trasformassero in bosoni. Di conseguenza anche l'elio-3 può comportarsi come un superfluido e filtrare attraverso minuscoli tubi. Anche in questo caso, come in quello della superfluidità dell'elio-4 o in quello della superconduttività, abbiamo una manifestazione su scala macroscopica di fenomeni quantistici di solito osservabili solo su scala microscopica.


ULTIMI DATI SULLA RETE Internet in frenata Chi paga il mondo virtuale?
Autore: MERCIAI SILVIO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI
ORGANIZZAZIONI: INTERNET
LUOGHI: ITALIA

UNO dei tanti report che periodicamente vengono pubblicati sulla Rete, quello della Yankelovich Par tners Inc. (Cybercitizen Report, «Rapporto sulla ciber-cittadinanza»), offre l'occasione per tentare un bilancio della situazione di Internet. In poche parole, risulta che l'accesso alla Rete continua a crescere con un ritmo assai veloce (del 50 per cento dal maggio 1995 al maggio 1996), ma si delinea un trend di rallentamento (era stato del 100 per cento tra il maggio 1994 e il maggio 1995). Lo studio prevede che il tasso di crescita potrebbe scendere quest'anno al 20 per cento, a meno che non ci sia un vasto movimento nel mondo degli affari oppure una caduta dei costi dell'infrastruttura informatica (e, in alcuni Paesi, tra cui annovererei il nostro, delle tariffe telefoniche). Da notare che anche il tempo medio mensile di presenza on-line è diminuito da 16 a 12 ore. Questi studi sono importanti perché rivelano le tendenze in atto nel grande mercato che ruota intorno a Internet e all'informatica in generale. La domanda di fondo ormai ossessivamente circolante sia sulla stampa sia sulla Rete stessa riguarda chi paghi Internet e se Internet possa diventare un affare. Superato il periodo degli esordi, quando Internet era una questione militare e dunque a carico del bilancio (americano) della Difesa e poi la seconda fase, quella della diffusione universitaria, in cui la Rete era praticamente a carico del bilancio (sempre americano) dell'Educazione, ora da qualche anno il governo Usa di fatto non paga più nulla (anche se ha lasciato in uso le infrastrutture esistenti di cavi e l'impianto generale della rete). Attualmente i costi della Rete sono costituiti, grosso modo: a) dalla gestione delle grandi dorsali di comunicazione veloce (cavi, reti satellitari) che sono di fatto proprietà delle grandi compagnie telefoniche (per lo più americane); una parte di questi costi è quella che ciascuno di noi copre pagando l'abbonamento al provider di connessione. Ma i margini di ricavo si sono molto ridotti e comunque vi sono massicce spese di investimento sempre più necessarie (si pensi al progetto delle «autostrade informatiche» di Al Gore o semplicemente si rifletta sul sempre maggiore affollamento dei siti e delle connessioni) che non possono di fatto essere sostenute con l'attuale sistema di ripartizione dei costi; b) dalla costruzione e dall'aggiornamento dei siti che vengono via via pubblicati, la cui complessità rende sempre meno accettabile l'attuale prevalente sistema di volontariato; si aggiunga a questo la ben nota tradizione (secondo molti incontrovertibile) per cui la fruizione delle pagine Internet è e dovrebbe rimanere gratuita. E' qui allora che entrano in gioco l'industria e la pubblicità. In stretta analogia con il mondo della carta stampata e della televisione, la pubblicità è di fatto oggi il settore che sostiene la maggior parte delle spese di Internet: con le sue inserzioni sulle pagine più visitate e con i suoi gadget (essenzialmente regalando software). Ma la pubblicità ha bisogno sia di conoscere i suoi utenti per poter mirare il suo messaggio (di qui i report come quello citato all'inizio) sia di giustificare la sua esistenza provando, in qualche modo, la sua efficacia. D'altra parte, la pubblicità ha anche bisogno di raggiungere il maggior numero possibile di utenti, e dunque al minor costo possibile e con la massima facilità di utilizzo: di qui le proposte dei computer Internet-dipendenti (gli economici ne twork computer, di cui altre volte si è parlato su queste pagine) o i set-top-box (che sono dei televisori via cavo speciali, comandati dal solito telecomando, che ricevono dal cavo stesso sia l'emissione televisiva sia la connessione Internet) che molte case giapponesi, come la Sony, stanno immettendo sul mercato internazionale (quando la tv sarà via cavo anche da noi...). Ma, fatto tutto questo, si arriva al reale nodo della questione: e cioè se sia possibile e praticabile adibire la Rete a struttura di vendita. In altre parole: finora le industrie hanno pagato la pubblicità in Rete sia perché lo facevano i concorrenti sia perché... non si sa mai. Ma ora si fanno i conti: ci sono ritorni reali, cioè profitti, da tutto questo o no? Si può davvero pensare che in futuro il navigatore della Rete diventerà un acquirente in Rete? Per il momento i dati non sono entusiasmanti (anche se non ci sono reali motivi perché la cosa non possa decollare) e le grandi compagnie americane stanno cominciando a stringere i cordoni della borsa avendo verificato che i ritorni, per ora, non ci sono. Silvio A. Merciai


TRA NATURA E LABORATORIO Il buon pop corn? Chiedetelo all'ingegnere Mais, riso e altre piante «ricostruite» per poter sfamare l'umanità
Autore: FRONTE MARGHERITA

ARGOMENTI: GENETICA, BOTANICA, AGRICOLTURA, ALIMENTAZIONE
NOMI: DORWEILER JANE
ORGANIZZAZIONI: UNIVERSITY OF MINNESOTA
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA, MINNESOTA

IL pop corn è un'invenzione di questo secolo, ma i primi a coltivare la pianta selvatica che ha dato origine al mais oggi in uso furono gli abitanti del Messico 9000 anni fa; solo il tempo e la selezione accurata dei semi migliori hanno permesso che quella antica pianta, che rendeva appena una dozzina di semi, si trasformasse nel moderno granturco. Il processo è durato millenni, ma per ottenere lo stesso risultato sono occorsi solo pochi mesi a un gruppo di scienziati dell'Università del Minnesota: Jane Dorweiler e colleghi sono riusciti ad introdurre nelle cellule della pianta selvatica, tuttora presente in natura, un pezzo di Dna proveniente dal mais, e hanno ottenuto un ibrido con caratteristiche molto simili a quelle del moderno granturco. Tutto merito dell'ingegneria genetica, quell'insieme di tecnologie che consentono ai biologi di trasferire da una cellula ad un'altra frammenti di Dna, la molecola suddivisa in geni che determina le caratteristiche individuali di tutti gli esseri viventi. L'introduzione di Dna estraneo in una specie dà origine a un individuo transgenico, che possiede tutti i requisiti della specie di partenza, più quelli conferitegli dal nuovo gene immesso artificialmente. Sono già numerose le piante che l'uomo ha modificato avvalendosi delle biotecnologie: si tratta per lo più di interventi mirati a fornire una particolare resistenza a determinati parassiti, o a migliorare la qualità o la quantità del raccolto. Recentemente, ad esempio, un gruppo di ricercatori americani ha introdotto in piante di pomodoro un gene, proveniente dalla patata dolce, che le protegge dall'attacco delle larve di alcuni insetti infestanti. Interventi analoghi sono stati effettuati con successo anche su riso, tabacco, cotone e su molte altre specie. Da questo punto di vista l'ingegneria genetica applicata all'agricoltura è un'evoluzione delle tecniche che l'uomo ha applicato per millenni al fine di migliorare le specie di cui si è nutrito. Tecniche ben lungi dall'andare in pensione, perché le biotecnologie sono ancora in fase sperimentale, e attualmente troppo costose per pensare ad un loro impiego su vasta scala. Comunque l'importanza di tali innovazioni appare evidente, se si considera, ad esempio, che il riso è l'alimento principale di oltre la metà della popolazione mondiale. Ma nonostante i vantaggi derivanti dall'applicazione dell'ingegneria genetica all'agricoltura, le critiche all'utilizzo di tali procedure non mancano. Le più rilevanti arrivano dai gruppi ambientalisti, soprattutto tedeschi, e non sembrano prive di fondamento. Ci si chiede quali possano essere le conseguenze, sull'ambiente, dell'introduzione di un organismo con delle caratteristiche che, seppur utili all'uomo, non hanno passato il vaglio della selezione naturale. L'ecosistema si basa su equilibri stabilitisi nel corso dell'evoluzione fra i diversi organismi ed il loro ambiente, e l'introduzione di una specie «artificiale» potrebbe portare a conseguenze difficilmente valutabili. Anche se lo scambio di materiale genetico fra organismi diversi avviene normalmente in natura, dando origine a nuove specie, l'immissione massiccia di forme modificate dall'uomo richiede un'attenta valutazione del loro impatto sull'ecosistema. Proprio per questi motivi in Australia esiste già un programma che impone l'analisi del rischio ambientale prima dell'introduzione delle nuove specie create in laboratorio, e progetti analoghi, che analizzino anche le questioni etiche, sono allo studio in molti altri Paesi. Si spera che la soluzione arrivi presto, prima che, come già accade in Germania, alcuni scienziati siano costretti a spendere parte dei loro finanziamenti per pagare guardiani notturni che proteggano i loro preziosi campi da incursioni di ambientalisti armati di zappe. Margherita Fronte


DEDALUS «Spazzature» a Bra tra scienza e arte
ORGANIZZAZIONI: COMITATO DEDALUS
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, BRA (CN)

DA venerdì 25 ottobre a sabato 2 novembre la città di Bra (Cn), per iniziativa del Comitato Dedalus, diventa la capitale nazionale del trash (immondizia), con la manifestazione «Spazzature, i rifiuti, culture, tendenze e prodotti». Sede il Centro Culturale Giovanni Arpino in via Guala 43. Informazioni al numero 0172/43.83.24. «Un percorso che conduce dalla cultura della spazzatura - dicono gli organizzatori - alla cultura spazzatura. Usando come filo conduttore la dinamica spazzatura-oggetti, è inoltre possibile rilanciare gli ambiti legati al design, in previsione della trasformazione in Premio della manifestazione». Saranno quattro momenti diversi, tra scienza, arte, tecnologia e spettacolo: una mostra, due talkshow e un incontro con gli studenti. Gli argomenti, sviscerati da invitati illustri, saranno: «Le mille vite dei rifiuti, introdurre al mondo del riciclo e del riuso, conoscere le ricerche sui materiali ecocompatibili, svelare i segreti della progettazione industriale, e anche raccontare le esperienze artistiche più significative». Dedalus, manifestazione biennale nata per volontà di un comitato composto dalla città di Bra, Abet Laminati, Adi, e Cassa di Risparmio di Bra, festeggia i dieci anni di attività, dopo aver affrontato nelle edizioni passate, temi come il design industriale, l'arredo urbano, la creatività nel mondo del lavoro e le merci simbolo del dopoguerra. Negli incontri si parlerà con leggerezza di un argomento pesante, con dilaganti e mortali risvolti socio-economici che non tutti hanno ancora ben chiari e presenti. La tre giorni si svolge in collaborazione con i mensili Airone, Domus Academy, Replastic, Impresa Ambiente, (Sole 24 Ore), e Tuttoscienze, settimanale de «La Stampa». La tavola rotonda di venerdì 25 ottobre ore 17, è sull'argomento «Il percorso dei rifiuti una volta usciti dalle nostre case», facendo valere il principio che non si tratta della fine, ma del principio di un altro ciclo - per quello che normalmente si butta via - quello del recupero e del riutilizzo. Sabato sera alle 21, talk show con Alberto Abruzzese e Gianni Ippoliti. Tra le testimonianze: Nino d'Angelo cantante, Luciana Littizzetto attrice, Enrico Magrelli direttore News di Telepiù 1 e Telepiù 3, Tiziano Scarpa scrittore, Bruno Ventavoli giornalista e scrittore, Roberta Torre regista. Video interviste con Luca Barbareschi e Maurizio Costanzo.




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