TUTTOSCIENZE 4 settembre 96


CHIMICA QUOTIDIANA Puliamoci senza sporcare Detersivi: il fosforo verso la riabilitazione
Autore: FOCHI GIANNI

ARGOMENTI: CHIMICA, ECOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: LE CHAT, RHONE POULENC, NORDIC SWAN LABEL, ECOLABEL
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Struttura chimica di un polifosfato

RICORDATE le mucillagini estive nell'Adriatico, che disgustavano i bagnantie marcendo sottraevano l'ossigeno ai pesci? I polifosfati contenuti nei detersivi favoriscono - si diceva - lo sviluppo delle alghe. All'inizio del 1988 quasi un terzo degli Stati Uniti li aveva banditi per legge. Fra i Paesi europei l'Austria ne aveva imposto una riduzione già 4 anni prima, e ben presto (1985) i consumatori austriaci assorbirono talmente le idee allora in voga che alcuni produttori pensarono di offrire loro detersivi del tutto privi di fosfati. Di lì a poco arrivò anche in Italia il detersivo francese Le Chat, senza fosforo; le stesse norme italiane divenivano sempre più restrittive: il governo limitò all'1 per cento il fosforo nei detersivi dal 1o gennaio 1989. Chi mandava giù male il nuovo corso cominciò a reagire. Nel '90 in Francia uno spot televisivo per Le Chat fu denunciato dalla Rhone-Poulenc, grande produttrice di fosfati. L'assenza di fosforo vi era espressamente collegata al miglioramento dell'ambiente. Il tribunale di Versailles condannò questa pubblicità come tendenziosa. Si girò un nuovo spot, e i francesi non si sentirono più dire che Le Chat contribuiva «a un ambiente migliore», ma solo «alla protezione dell'ambiente». Non c'era una gran differenza, pensò la Rhone-Poulenc: ricorse di nuovo al tribunale e rivinse. E' sempre bene vedere con sospetto le opinioni di parte. Ma l'intervento di enti e scienziati il cui parere sembra attendibile ha poi cominciato a favorire il fosforo. I consumatori austriaci, sempre all'avanguardia, già nel 1987 tramite una loro associazione avevano fatto prove di laboratorio, concludendo che i detersivi senza fosforo recavano danni all'ambiente. In Italia il mensile La Chimica & l'Industria, organo della Società Chimica Italiana, segnalò nel '93 che il direttore dei colossali impianti di depurazione di Kappala (Svezia), invocava il ritorno al fosforo: «Quanto minore è la dose di detersivo necessaria, tanto meglio per l'ambiente». Per capire quest'affermazione occorre sapere come fa un prodotto senza fosfati a funzionare più o meno come quelli che li contengono. Fra le alternative la migliore è costituita dalle zeoliti, un tipo di silicati che nella struttura cristallina ha delle cavità a dimensioni fisse. Dispersa come polvere insolubile finissima nel bagno di lavaggio, la zeolite A (la più usata) cede gli ioni sodio che normalmente occupano tali cavità, ingabbiando in cambio gli ioni calcio, altrimenti capaci di sottrarre una parte dei detergenti sotto forma di sali insolubili. Sfortunatamente la zeolite A, efficace contro il calcio, non lo è contro il magnesio, i cui effetti sono simili; inoltre non possiede alcune utili proprietà secondarie dei fosfati. Dunque occorre usare più detersivo per ottenere le prestazioni desiderate. Così viene scaricata una dose maggiore di composti organici (i detergenti), che hanno una certa tossicità per gli organismi acquatici e degradandosi li privano dell'ossigeno. Nel 1993 laboratori del Cnr e del dipartimento di biologia dell'Università di Milano avanzarono il sospetto che le zeoliti e gli acidi policarbossilici (altri sostituti dei fosfati) aggravassero, invece di ridurlo, il fenomeno delle mucillagini marine. Che nella situazione attuale le restrizioni all'impiego dei fosfati nei detersivi non possano avere efficacia contro il formarsi delle mucillagini è risultato nel '94 e nel '95 anche da studi fatti dal consiglio olandese delle ricerche applicate (Tno), dall'Università della Savoia (Chambery), da quella spagnola d'Alicante e dall'Imperial College of Science, Technology and Medicine di Londra. La Norvegia e la Svizzera potrebbero rivedere il divieto del fosforo nei detersivi. Sono stati diffusi anche importanti rapporti scientifici: uno dal già citato Tno, uno da un'agenzia di consulenza di Londra e uno dall'ente svedese che sovrintende all'approvvigionamento idrico. Fra i curatori del rapporto pubblicato in Inghilterra c'è Bryn Jones, già direttore di Greenpeace in quella nazione. Il rapporto si basa su studi affidati a 17 esperti europei (fra cui un italiano) vincolati all'anonimato. Queste tre pubblicazioni confermano che i detersivi senza fosforo hanno inconvenienti collegati alla necessità d'un dosaggio maggiore. In più insistono su due fatti: solo una piccola parte del fosforo che va a finire nelle fogne viene dai detersivi, e i fosfati possono essere agevolmente separati dall'acqua in depuratori che, come in Svezia, sono attrezzati allo scopo. Non esiste invece possibilità di riciclo per le zeoliti. Due noti marchi che contraddistinguono i prodotti «verdi», il Nordic Swan Label (l'immagine d'un cigno adottata nei Paesi scandinavi) e l'Ecolabel della comunità europea, potranno dunque essere concessi anche a detersivi contenenti fosforo: l'importante sarà che nel loro ciclo di vita, dall'estrazione delle materie prime allo smaltimento finale (craddle to grave), rispettino certi criteri. Alcuni detersivi senza fosforo, invece, per le stesse ragioni verranno bocciati. Gianni Fochi Scuola Normale di Pisa


ALLARME Gli oceani pattumiera del pianeta
Autore: PAPULI GINO

ARGOMENTI: ECOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: GESAMP
LUOGHI: ITALIA

COME ad ogni estate, si è valutato il grado di inquinamento delle coste italiane, ricavandone dati che - tuttavia - rappresentano situazioni soggette a mutare drasticamente nel volgere di poche ore per effetto, ad esempio, di eventi meteorologici o di eutrofizzazione. La difesa delle acque costiere è, in effetti, di importanza vitale se si considera che in vicinanza delle coste si ha la maggiore produttività biologica, e che più della metà della popolazione mondiale vive entro una fascia costiera di 60 chilometri, dipendendo dal mare per il 30 per cento della propria alimentazione in termini di proteine animali. Fino a pochi anni fa si riteneva che gli effetti dell'inquinamento fossero trascurabili negli oceani in quanto la loro enorme massa (1350 milioni di chilomentri cubi di acqua) avrebbe assorbito qualsiasi quantità di immissioni nocive. Questa ipotesi è stata smentita nel 1990 da un rapporto del Gesamp (un gruppo di esperti sugli aspetti scientifici dell'inquinamento marino) che ha dimostrato come la contaminazione indotta dall'uomo sia presente dai poli ai tropici, dalle acque poco profonde agli abissi. E' stato anche scientificamente accertato che la gran parte dei fattori inquinanti (il 77 per cento del totale) proviene da terra. Più precisamente, il 44 per cento è dovuto alle emissioni che giungono al mare attraverso scarichi al suolo (fiumi, fogne, rifiuti solidi), mentre il 33 per cento - polveri, aerosol, sostanze gassose - passa per l'atmosfera. Quest'ultimo fattore, pur rappresentando da solo un terzo di tutte le fonti di inquinamento marino, viene spesso ignorato o sottovalutato nelle considerazioni ecologiche. La ricaduta in mare delle polveri si riscontra in prevalenza nell'emisfero settentrionale, con percorsi che vanno da Ovest verso Est. Anche se i materiali più pesanti dal punto di vista molecolare (come il piombo e il mercurio) ricadono in gran parte non lontano dalle coste, la propagazione su larga scala è molto differenziata: per esempio, nel Mare del Nord e nel Mediterraneo le quantità sono da 2 a 5 volte maggiori che nel Mare dei Sargassi, e differenze ancora più consistenti ci sono tra il Nord Atlantico e il Pacifico Meridionale. Diverse sono state le iniziative internazionali per combattere l'inquinamento marino. Quella che ci riguarda più direttamente ha per oggetto il bacino del Mediterraneo, una delle zone del mondo a più alta concentrazione industriale: vi abitano 230 milioni di persone e vi si svolge quasi il 10 per cento delle attività industriali del globo. Anche qui vi sono forti scompensi tra la parte settentrionale e quella meridionale: l'87 per cento dell'industria manifatturiera si trova sulle coste francesi, italiane e spagnole. Gli interventi devono, quindi tener conto di tali diversità, senza dimenticare, tuttavia, che l'area del bacino è poca cosa per le sostanze nocive che viaggiano nell'aria: per convincersene, basti ricordare ciò che accadde per l'incidente alla centrale nucleare di Cernobil. In definitiva, è sempre più evidente che una inversione di tendenza della situazione in atto potrà ottenersi solo con una strategia di cooperazione, e a costo di gravosi sacrifici economici e sociali. Gino Papuli


Igiene, lotta tra molecole Biodegradabile? Non è sufficiente
Autore: G_F

ARGOMENTI: CHIMICA, ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

ALLA nostra civiltà ha contribuito molto la «rivoluzione dell'igiene», a cui i detergenti hanno partecipato non meno dei disinfettanti fin dagli Anni 30, quando entrarono in commercio alcuni solfati, creati sul modello del sapone Marsiglia: una coda idrocarburica e una testa polare, cioè recante cariche elettriche. Sono tuttora in uso e appartengono, come i saponi, alla classe dei detergenti anionici, perché la loro parte attiva è anionica, cioè è uno ione a carica negativa. In seguito si sono diffuse sul mercato migliaia di altre sostanze con un'estremità polare e quindi idrofila (solubile in acqua) e l'altra lipofila (solubile nei grassi), che favoriscono la dispersione delle particelle di sporco. Fra i detergenti anionici gli alchil-benzen-solfonati sono oggi ristretti a quelli con catena idrocarburica lineare (Las). Un tempo, invece, le catene erano ramificate e perciò poco biodegradabili: rimanevano quindi a lungo inalterate nelle acque di scarico. Non che la biodegradabilità possa rimediare a ogni male. Innanzitutto non basta la rottura delle molecole nocive (biodegradabilità primaria) se poi non si sa quali siano i frammenti e le loro proprietà. Occorre poi accantonare certe illusioni: anche se i prodotti finali sono innocui, di per sè il processo di degradazione impoverisce le acque dell'ossigeno necessario alle varie forme di vita. Il problema è aggravato dalla quantità. Visto che siamo in tanti a usare i detersivi, ricordiamocene almeno quando facciamo le dosi: gli sprechi sono sempre da evitare. Esistono anche detergenti cationici. Si chiamano così perché la loro parte attiva è un catione, cioè uno ione positivo. Al solito, le lunghe code idrocarburiche si sciolgono nei grassi, mentre la testa carica rimane nell'acqua. Si trovano in certi prodotti per l'igiene personale perché hanno proprietà germicide e perché, mentre i saponi sono basici, essi invece sono acidi, e quindi rispettano l'acidità naturale della pelle. Inoltre trovano due applicazioni apparentemente lontane fra loro: balsami per i capelli e ammorbidenti per i tessuti. Molte fibre trattengono ioni idrossido (OH_) quando vengono lavate con detergenti anionici, che, come appena detto, sono basici (gli ioni idrossido sono proprio il distintivo delle soluzioni basiche). Se viene poi aggiunto un detergente cationico, questo s'attacca alla superficie con la parte ionica (positiva) attratta dalle cariche negative degli ioni idrossido che vi stazionano, e le code idrocarburiche dirette verso l'esterno. Se si tratta dei capelli, essi, una volta asciugati, risultano coperti d'una pellicola che ne impedisce l'elettrizzazione e quindi rende più facile l'opera del pettine. Quanto ai tessuti, l'azione meccanica del lavaggio aggroviglia la microscopica peluria superficiale delle fibre, la quale, asciugando, si fissa in quella posizione intricata e diventa dura. L'ammorbidente rimedia producendo anche qui una pellicola che impedisce alle fibre d'appiccicarsi. Forse, a questo punto, qualcuno penserà che non valga la pena di ricoprire di sostanze estranee i capelli o la biancheria e gli altri indumenti che vengono a contatto con la pelle. Oltre ai detergenti anionici e cationici, ne vengono prodotti alcuni detti non-ionici: hanno una testa che è polare senza possedere cariche intere; essa è un gruppo alcolico (OH), nel quale esistono cariche parziali (cioè inferiori a un'unità): una piccola carica negativa si trova sull'ossigeno (O) e una corrispondente carica positiva sull'idrogeno (H). Tra gli additivi esistono enzimi adatti ad aggredire vari tipi di sporco: proteasi contro le proteine, lipasi contro i grassi, amilasi contro l'amido (quindi sia contro molte macchie di cibo sia contro una sorta di colla amidacea che spesso trattiene sui tessuti le particelle solide). Per far sparire macchie ben fissate sui tessuti (té, vino rosso, frutta), vengono aggiunti i candeggianti. Negli Stati Uniti è molto in uso l'ipoclorito di sodio, cioè lo stesso composto che dà origine alla nostra candeggina. Esso ha l'inconveniente di sbiadire i tessuti colorati, ma ha il pregio d'agire anche a temperature basse. La tradizione europea è invece quella di far funzionare le lavatrici con acqua calda: sconveniente per il consumo d'energia, questa scelta permette però l'uso di candeggianti che a freddo sarebbero inattivi. Questi contengono gruppi perossidici (O-O). Il più semplice di essi è l'acqua ossigenata, nota come disinfettante e molto popolare tra le finte bionde. Nel momento in cui il detersivo si scioglie in acqua, viene generata dal perborato di sodio in esso contenuto. Per renderla più efficace come candeggiante nei lavaggi a temperatura moderata, inevitabili per i tessuti sintetici e raccomandabili per il risparmio energetico, i produttori aggiungono un attivatore. (g. f.)


GEOMETRIA IN CAMPO Archimede va allo stadio Il pallone da calcio? Un icosaedro troncato
Autore: ODIFREDDI PIERGIORGIO

ARGOMENTI: MATEMATICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. La molecola del fullerene

CI risiamo: finita la tregua estiva, peraltro violata dai giochi olimpici, si ricomincia col campionato di calcio. Non crediamo che ci siano al mondo argomenti a cui gli italiani si interessino più universalmente e coscienziosamente del pallone: oggetto esteticamente bello, e matematicamente interessante. E non stiamo facendo, come qualcuno potrebbe forse credere, dell'ironia sui tifosi: il pallone da calcio è veramente degno della massima considerazione, non solo per i piedi ma anche per la testa. La scoperta del pallone sembra essere dovuta ad Archimede, il più grande matematico dell'antichità, che visse nel secolo III a. C. In realtà, Archimede non era certo uno sportivo: al più, di lui si può dire che viveva nel pallone, visto che era sempre indaffarato a pensare alla matematica e si scordava facilmente delle altre cose, al punto che non si accorse neppure della fine dell'assedio di Siracusa: i soldati romani lo trovarono in casa intento a fare calcoli, e gli tagliarono la testa senza che lui neppure se ne rendesse conto. Prima di Archimede, Teeteto aveva scoperto nel secolo IV a. C. che ci sono soltanto cinque solidi regolari, aventi cioè per facce uno stesso poligono regolare, con lo stesso numero di facce ad ogni vertice: tetraedro, ottaedro, icosaedro, cubo e dodecaedro (rispettivamente con 4, 8 e 20 facce triangolari, 4 facce quadrate, e 12 facce pentagonali). I cinque solidi regolari erano piaciuti molto a Platone, al punto che oggi essi si chiamano appunto «solidi platonici». Platone decise, nel Timeo, che i solidi regolari dovevano corrispondere alla struttura degli elementi fondamentali della materia (in particolare, il tetraedro al fuoco, l'ottaedro all'aria, e l'icosaedro all'acqua), e scoprì così una versione di ciò che oggi esprimiamo dicendo che una molecola d'acqua (H20) si ottiene componendo due atomi di un tipo e uno di un altro (idrogeno e ossigeno oggi, fuoco e aria allora): infatti, i quattro triangoli di un tetraedro ed i sedici di due ottaedri si possono appunto ricomporre nei venti triangoli di un icosaedro. In tempi relativamente più recenti, nel 1595, Keplero usò i solidi platonici nel suo Myste rium cosmographicum, incastrandoli fra le sfere contenenti le orbite dei sei pianeti allora conosciuti: l'ottaedro fra Mercurio e Venere, l'icosaedro fra Venere e la Terra, il dodecaedro fra la Terra e Marte, il tetraedro fra Marte e Giove, e il cubo fra Giove e Saturno. Poiché però i solidi regolari erano solo cinque, Archimede aveva pensato di prendere in considerazione anche i solidi semiregolari, oggi detti «archimedei» in suo onore, le cui facce sono cioè ancora poligoni regolari, non più necessariamente tutte dello stesso tipo, ma tali da incontrarsi nello stesso modo in tutti i vertici. Si aggiungono così tredici solidi al catalogo, cinque dei quali si ottengono tagliando gli angoli ai cinque regolari: il benedetto pallone è appunto un icosaedro troncato, ed è costituito da 60 vertici e 32 facce, di cui 12 pentagonali e 20 esagonali (ciascuno dei dodici vertici dell'icosaedro produce una nuova faccia pentagonale, e viene quindi sostituito da cinque nuovi vertici; le 20 facce dell'icosaedro cambiano invece soltanto forma, passando da triangolari e esagonali). I solidi archimedei piacquero questa volta a Leonardo da Vinci, che li illustrò (pallone compreso) nel 1509 per il trattato di Luca Pacioli De divina proportione. E, come nel caso di Platone, essi possono servire per descrivere la struttura chimica di certe molecole. In particolare, nel 1991 si scoprì che sessanta atomi di carbonio si possono legare fra loro in modo da formare una molecola (C60) che ha appunto la struttura del pallone. La nuova struttura fu eletta dal mensile Science «molecola dell'anno», a riprova che anche agli scienziati il pallone può dare alla testa. Più seriamente, la molecola fu chiamata «buck minsterfullerene» in onore dell'architetto Buckminster Fuller, che aveva usato strutture icosaedriche per la costruzione di cupole geodetiche. Se Archimede avesse dedicato un po' di attenzione allo sport, avrebbe dunque potuto parafrasare un suo celebre detto nel modo seguente: «Datemi un pallone d'appoggio e vi solleverò (intellettualmente) il mondo calcistico». Piergiorgio Odifreddi Università di Torino


ASTRONOMIA ALLE ISOLE CANARIE I regni delle stelle e del Sole Iniziano i test del telescopio italiano
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, OTTICA E FOTOGRAFIA
ORGANIZZAZIONI: GALILEO
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, SPAGNA, ISOLE CANARIE

LA vetta vulcanica dell'isola di La Palma sbuca nel cielo azzurro e limpidissimo da un mare di nuvole candide che nascondono, fino all'orizzonte, l'Oceano Atlantico. A 2400 metri di quota, in una località chiamata Roque de los Muchachos, luccicano al sole subtropicale decine di cupole grandi e piccole, che proteggono potenti telescopi e strumenti astronomici sofisticatissimi. Con le isole Hawaii, le Ande cilene e il deserto dell'Arizona, l'arcipelago delle Canarie è ormai uno dei pochi luoghi del pianeta che possano vantare un cielo eccezionalmente terso e buio, senza inquinamento prodotto da luci artificiali, e, fatto altrettanto importante, un'atmosfera con pochissima turbolenza. Queste caratteristiche ne hanno fatto un santuario dell'astronomia: La Palma soprattutto per l'osservazione del cielo notturno, la vicina isola di Tenerife per lo studio del Sole. Tra qualche settimana a Roque de los Muchachos inizieranno i test per mettere a punto «Galileo», il telescopio nazionale italiano da 3,5 metri a ottica attiva e adattativa ufficialmente inaugurato alla fine di giugno. E' uno strumento molto avanzato, che arricchisce un grande parco astronomico internazionale cresciuto rapidamente grazie all'ospitalità generosa e intelligente dell'Istituto di Astrofisica delle Canarie. Le infrastrutture messe a disposizione dalla Spagna in cambio del 20 per cento del tempo di osservazione sono ottime: una rete con una banda di 32 megabit per la trasmissione dei dati alla sede centrale dell'Istituto, servizi di telecomunicazioni, residence con 58 posti letto, sei appartamenti unifamiliari, eliporto, laboratori di meccanica e di elettronica. Tra gli strumenti installati nel corso degli Anni 80 spiccano il telescopio «Herschel» da 4,2 metri di apertura del Regno Unito (cui contribuiscono anche i Paesi Bassi), il Telescopio Nordico da 2,56 metri a ottica attiva realizzato da Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia, il telescopio «Isaac Newton» da 2,5 metri del Regno Unito, il telescopio «Kapteyn» da un metro (Regno Unito, Paesi Bassi, Irlanda), il cerchio meridiano dell'Università di Copenaghen e il rifrattore solare da 50 centimetri dell'Accademia delle Scienze spagnola. Con il telescopio nazionale italiano, l'ultima acquisizione dell'Osservatorio di Roque de los Muchachos si chiama HEGRA, da High Energy Gamma Ray Array Experiment, frutto di una collaborazione tra astrofisici tedeschi e spagnoli ai quali si sono aggiunti recentemente le università italiane di Padova, Trieste, Pisa e Napoli e ricercatori brasiliani e statunitensi. I raggi gamma sono la forma di radiazione elettromagnetica a più alta energia (e quindi a più piccola lunghezza d'onda). Vengono emessi in seguito all'interazione tra i raggi cosmici e il gas interstellare e in fenomeni di estrema violenza in gran parte ancora misteriosi. Non esiste un telescopio che possa catturare e focalizzare i raggi gamma perché la loro lunghezza d'onda è molto più piccola della distanza tra gli atomi che formano uno specchio: sarebbe come voler raccogliere acqua con un colabrodo. Le tecniche usate per osservare i raggi gamma somigliano quindi a quelle usate dai fisici per le particelle subatomiche, e in genere i rivelatori di raggi gamma vengono messi a bordo di satelliti artificiali per evitare l'assorbimento da parte dell'atmosfera. Ad alta quota, però, i raggi gamma più energetici possono essere rivelati sia direttamente sia attraverso gli sciami di particelle che producono interagendo con l'atmosfera. Un osservatorio per i raggi gamma ha un aspetto strano. Quello appena inaugurato a La Palma occupa una distesa di 44 mila metri quadrati digradanti da 2300 a 2100 metri ed è formato da diversi tipi di rivelatori messi dentro cassoni a forma di parallelepipedo; ogni tipo è adatto ai particolari livelli di energia della radiazione gamma che si intende osservare: ci sono 242 contatori proporzionali; 17 contatori Geiger, 52 rivelatori Cerenkov per le particelle subatomiche chiamate muoni (simili agli elettroni, ma 400 volte più massicce) e 5 specchi per rilevare la luce Cerenkov che i raggi gamma più potenti producono nella loro interazione con l'atmosfera. I dati raccolti integreranno quelli del satellite della Nasa GRO, Gamma Ray Observatory, intitolato al fisico Compton. Sempre a La Palma, originalissimo è lo strumento olandese DOT, Dutch Open Telescope, progettato per osservazioni sia del Sole sia delle stelle. Si presenta come una struttura alta 15 metri che ospita un obiettivo a specchio da 45 centimetri senza tubo: un tentativo di ridurre ulteriormente la turbolenza dell'aria. Le osservazioni solari di DOT (che può montare anche uno specchio da 70 centimetri) integreranno quelle fatte dalla navicella «Soho» dell'Esa. A Tenerife, all'Osservatorio del Teide, oltre al telescopio solare «Themis» con ottica adattiva e sotto vuoto realizzato dalla Francia con la partecipazione italiana e alla strumentazione «Gong» per l'osservazione delle oscillazioni solari, a fine giugno sono stati inaugurati vari altri strumenti. Un telescopio da un metro di apertura dell'Agenzia spaziale europea servirà a seguire via laser le missioni dei satelliti «Spot IV» in orbita bassa e «Artemis» in orbita geostazionaria, nonché a tenere sotto controllo la «spazzatura» spaziale. Poco lontano, tre radiometri captano la radiazione fossile lasciata dal Big Bang, completando il lavoro del satellite americano «Cobe». Piero Bianucci


IN BREVE Cern: atomi per la salute
ARGOMENTI: FISICA, MEDICINA E FISIOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: CENTRO DI ADROTERAPIA ONCOLOGICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, MILANO (MI)

Un consorzio pubblico-privato costruirà a Milano il Centro di Adroterapia Oncologica (85 miliardi) e l'Istituto superiore di Sanità realizzerà presso l'Istituto Tumori Regina Elena di Roma il primo acceleratore compatto italiano per la cura dei tumori con fasci di protoni. Questi progetti, per i quali si batte dal 1991 la Fondazione Tera, sono sostenuti in particolare dal fisico Ugo Amaldi. Se ne parlerà al secondo simposio internazionale sull'adroterapia, al Cern di Ginevra il 12 e 13 settembre. In quell'occasione verrà anche presentata la mostra itinerante «Atomi per la pace» e Ugo Amaldi illustrerà i progressi del Programma Adroterapia.


IN BREVE Fasci di particelle Convegno all'Amiata
ARGOMENTI: FISICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, ARCIDOSSO (GR)

Fisici di tutto il mondo sono riuniti fino a venerdì ad Arcidosso, nell'Amiata, per un convegno sui fasci di particelle (protoni, elettroni) ad alta intensità e sulle loro molte applicazioni pratiche, che vanno dalla luce di sincrotrone ai laser a elettroni liberi.


IN BREVE Il Nobel Brown alla Pfizer
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: BROWN MICHAEL
ORGANIZZAZIONI: PFIZER
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA, TEXAS, DALLAS

Michael S. Brown, premio Nobel per la medicina nel 1985, è entrato come membro del consiglio di amministrazione alla casa farmaceutica Pfizer. Brown, che lavora a Dallas, Texas, ha avuto il Nobel per i suoi studi sui geni che regolano il metabolismo del colesterolo. La Pzifer è una multinazionale farmaceutica americana presente in 140 Paesi, tra cui l'Italia (fin dal 1955).


IN BREVE Cinema in 3-D a «Experimenta»
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

Alla mostra interattiva «Experimenta 96», dedicata al cinema e allestita a Torino, sulla collina, nel parco di Villa Gualino, è stata documentata la curiosa storia dei progressi del cinema in tre dimensioni. Nell'area multimediale di «Experimenta», una speciale tecnologia permette, tra l'altro, di vedere in 3-D immagini di film famosi girati in modo «normale». Gli inizi delle ricerche sull'immagine stereoscopica risalgono a Charles Wheastone (1832), le cui idee furono già riprese dai fratelli Lumiere. Tra le altre tecnologie d'avanguardia adottate a «Experimenta» c'è anche quello del «touch screen» SAW, il cui funzionamento si basa su onde acustiche superficiali. La mostra rimarrà aperta fino al 20 ottobre.


TECNOLOGIA Le impronte diventano due volte digitali D'ora in poi l'Fbi le archivierà trasformandole in immagini numeriche
Autore: SCAPOLLA TERENZIO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: FBI
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA, EUROPA, ITALIA, BOLOGNA (BO), TORINO (TO)

L'FBI ha un archivio di oltre 200 milioni di impronte digitali, conservate nella forma tradizionale di fotografie stampate. Nell'ambito di un programma di aggiornamento l'Fbi sta memorizzando le immagini in forma digitale con risoluzione di 500 dpi (dots per inch, cioè per pollice). Ciò corrisponde a circa 10 megabytes per impronta, per un totale di oltre 2000 terabytes. Per avere un'idea, un dischetto per computer contiene 1,5 megabytes. Inoltre l'Fbi riceve ogni giorno 30.000 nuove impronte per la ricerca di corrispondenze con le immagini archiviate. L'impresa si è presentata ardua ma ineludibile: quindi l'Fbi ha pensato di ricorrere a una forma di compressione dei dati corrispondenti all'immagine digitalizzata. Il problema della compressione di immagini è attualissimo, specie nel campo delle telecomunicazioni. Basti pensare alla trasmissione di immagini sulla rete Internet, su reti Isdn e sui cavi telefonici. Tra pochi mesi potremo avere via rete non solo la viva voce, già disponibile, ma la viva immagine. Normalmente la compressione si attua cercando una forma dell'immagine come segnale calcolabile con un algoritmo di trasformazione in grado di rappresentare in maniera accurata segnali complessi con un numero piccolo di bits. L'algoritmo classico è la trasformata veloce di Fourier (Fast Fourier Transform o Fft), in una delle sue varie forme. Lo standard impiegato dall'Fbi era quello noto come Jpeg, redatto dal Joint Photographic Experts Group della Iso (International Standard Organization), basato su una partizione dell'immagine digitale in blocchi di 8X8 pixels. A ogni blocco si applica una trasformata discreta di tipo coseno, il cui risultato viene compresso. In fase di compressione è possibile scegliere differenti livelli e naturalmente più si comprime e più si perdono informazioni. Il problema è che anche a livelli moderati di compressione lo standard Jpeg produce talvolta discontinuità artificiali che si rivelano nell'immagine ricostruita sulle linee di confine tra i blocchi in cui è suddivisa l'immagine. Inoltre la decomposizione in blocchi 8X8 è vicina alla frequenza naturale delle rughe dell'impronta digitalizzata e ciò contribuisce a creare alterazioni rispetto all'originale. Questi problemi hanno stimolato la ricerca di alternative più affidabili e la risposta è stata trovata nel metodo matematico utilizzato per la trasformazione del segnale. Si tratta di una tecnica che fa ricorso a oggetti matematici noti come «wawelets» («ondelettes» in francese, ondine in italiano). La tecnica, pur riprendendo idee già abbozzate una decina d'anni fa proprio per le sue vaste possibilità di applicazione, ha conosciuto uno sviluppo immediato. Specie in Francia e negli Stati Uniti. Anche l'Italia partecipa attivamente alle ricerche in questo settore, in particolare a Bologna e al Politecnico di Torino. Nella analisi classica di Fourier le funzioni sinusoidali (seno e coseno), impiegate per la descrizione accurata di ampie classi di funzioni, sono vere e proprie onde lunghe che si estendono su tutto l'asse temporale (o spaziale). Le ondine sono oggetti che hanno oscillazioni di ampiezza non trascurabile solo su un dominio molto limitato. Impiegando ondine ottenute con la dilatazione e la traslazione di un'unica funzione madre è possibile rappresentare bene quanto si vuole una funzione data. Inoltre, i coefficienti dello sviluppo in serie di ondine sono rapidamente calcolabili dal punto di vista numerico (la complessità di calcolo è la stessa della Fft) e forniscono una indicazione agevole sulla localizzazione di anomalie della funzione (spigoli, singolarità). Le impronte digitali sono caratterizzate proprio dalla presenza di una irregolarità diffusa che viene conservata al meglio dalla trasformata discreta di tipo wavelet. Il nuovo metodo basato sulle ondine è stato adottato dall'Fbi ed è ora impiegato come standard di riferimento. Terenzio Scapolla Università di Pavia


ALBERI DI CUBA Un giardino socialista Rari endemismi e foresta pluviale
Autore: GRANDE CARLO

ARGOMENTI: BOTANICA, ECOLOGIA, AMBIENTE
ORGANIZZAZIONI: JARDIN BOTANICO SOLEDAD
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, CUBA, L'AVANA
TABELLE: C. LA DEFORESTAZIONE A CUBA =========================================== Area coperta Area non da boschi coperta da boschi ------------------------------------------- 1812 80% 20% 1900 54% 46% 1959 14% 86% 1986 17% 83% ===========================================

IL mito di Cuba è fatto di tabacco, mulatte, spiagge bianche e uomini in lotta con i pescecani. In cima alla lista c'erano le piantagioni di canna da zucchero, fino a pochi mesi or sono erano la principale risorsa economica dell'isola. Oggi, però, il turismo è diventato la prima fonte di reddito. Gli ecosistemi cubani (anche se un pesante pedaggio cementizio è stato pagato sulle coste di Varadero, la Rimini dei tropici), sono splendidi e vari. Il paesaggio è dominato dal profilo elegante della palma reale (Roystonea regia, l'albero «nazionale») e dal sorprendente albero senza corteccia detto «El indio desnudo», il cui nome scientifico è Brucera simaruva. Nel quartiere più bello dell'Avana, quello delle ambasciate, ci sono enormi «Ficus magnolioides», e smaglianti piantagioni di banani si incontrano sulle alture che scendono verso Trinidad e la costa meridionale dell'isola. Una ventina di chilometri a Sud-Est di Cienfuegos, la «città di cento fuochi», il Jardin Bo tanico Soledad ospita una varietà portentosa di piante, soprattutto esotiche. Su 96 ettari di superficie crescono oltre 23 mila alberi e 2400 specie tropicali e subtropicali, in particolare di palma (300) e bambù (285) dei quali 52 specie endemiche di Cuba. Non manca il bambù vietnamita, usato per costruire trappole nella giungla contro gli americani La visita, con le ottime guide locali, è memorabile: l'Orto botanico costituisce la terza banca di germoplasma al mondo dopo quelle in Brasile e Indonesia. Ci sono ad esempio 180 specie di mango (la sua corteccia, nella medicina naturale praticata sull'isola, viene usata contro l'ulcera) e 89 tipi di Ficus benjamina: hanno dimensioni enormi, niente a che vedere con i nostri esemplari da salotto. Lungo i viali si incontrano gli alberi più insoliti: l'albero del pane (Eritrina glauca), con frutti oblunghi, simili alla patata, utilizzati nella medicina popolare cubana come medicamento per neutralizzare le punture di insetti; l'albero del ferro (Manilkana albescens o Acanà); l'albero della croce, i cui fiori vengono usati in Brasile dalle ragazze per ornare i capelli durante il Carnevale; la pianta del cacao, con le foglie che suonano - spiega la guida - «come banconote nuove». L'albero del viaggiatore (Rabenala madescariensis) è tipico delle aree desertiche ed è chiamato così perché conserva acqua nella foglia; il rovere di Cuba (Ta bebuia eterophilla) ha un legno utilizzato per le botti che contengono - aggiunge l'ingegnere forestale che ci accompagna - la miglior medicina del mondo, il rum. La Microcyca kalokoma è una pianta che risale al Carbonifero, autentico fossile vivente: è anche detto «palma corcho». Ma le palme, come abbiamo detto, sono il piatto forte dell'Orto botanico, dalla Coryfa umbraculifera, simbolo dello Sri Lanka, all'Elaes ghineense, palma da olio africana utilizzata fra l'altro per i prodotti «Palmolive», alla Corifea umbracu lifera, palma simbolo del Guatemala. Un'altra meta per gli ambientalisti (che potranno, in autunno, approfittare di un tour «ecologico-botanico» organizzato dalla rivista «Giardini Fioriti» con l'associazione Caribe di Bologna e Havanatur) si trova nell'Ovest dell'isola, vicino a Pinar del Rio e alla valle di Vinales: è la Sierra del Rosario, a un'ora di macchina dall'Avana, che nel 1986 è stata classificata dall'Unesco «Riserva della biosfera». Il clima tropicale (2 mila millimetri di pioggia ogni anno, umidità relativa dell'89% e temperatura media di 25o) consentono infatti la crescita rigogliosa della foresta pluviale. E' questo uno degli ultimi lembi di foresta rimasto indenne da un saccheggio di quasi due secoli, cui il governo «rivoluzionario» ha posto fine. Un Centro di ricerca ecologica organizza passeggiate sulle montagne, con ingegneri forestali che guidano anche a una splendida «fazenda» sulla montagna, nel cuore di antiche piantagioni di caffè pregiato. Tra arbusti di salvia gigante selvatica (alta un metro) e uccelli variopinti, si possono visitare gli essiccatoi della tenuta. A Soroa, cittadina di montagna non lontana da Pinar del Rio, c'è un altro giardino botanico da non perdere: ospita 700 varietà di orchidee, delle quali 250 cubane. Gli appassionati di speleologia e di folklore non possono mancare altre due aree naturalistiche: la prima è la «Sierra de los Organos», nella valle di Vi~nales, regione caratterizzata da bizzarre formazioni calcaree. Nel Mesozoico si formò un enorme sistema di grotte, tra le quali, visitabile, «la Cueva del Indio». La penisola di Zapata, a Ovest della Baia dei Porci, è una lingua di terra ancora vergine, ricca di paludi, mangrovie e numerose specie di uccelli. Il villaggio-museo di Guamà, con palafitte e ponti sospesi, ricostruisce la vita degli indios Taino, antichi abitanti di Cuba. Carlo Grande


AL LARGO DI ASSUAN L'isola bella di Kitchener Sul Nilo un secolare orto botanico
Autore: KRACHMALNICOFF PATRIZIA

ARGOMENTI: BOTANICA, ECOLOGIA
LUOGHI: ESTERO, AFRICA, EGITTO, ISOLA DI KITCHENER

IL Nilo è un fiume curioso. Contrariamente alla maggior parte degli altri, ha andamento Sud-Nord. Ha creato con la mitica inondazione delle sue sponde una delle più grandi e antiche civiltà. Riserva, a chi ha la fortuna di navigarlo, una serie ininterrotta di sorprese. Per chi sia appassionato di fiori e piante, una di queste è il giardino botanico sull'isola Kitchener. L'isola venne scelta nel 1890 da Lord Kitchener quando, console generale in Egitto, vi rappresentava l'Inghilterra all'apice della sua potenza vittoriana ed imperiale. Da buon anglosassone appassionato di piante e fiori vi creò il suo rifugio, trasformando l'intera isola in giardino botanico. Il governo egiziano in tempi più recenti non l'ha trascurata, mantenendo e potenziando il giardino che ora appartiene ad una stazione di ricerca biologica del dipartimento di ricerca scientifica del ministero dell'Agricoltura. A bordo di una silenziosa feluca dalla grande vela triangolare immutata nei secoli, si giunge da Assuan all'isola, che ha una lunghezza di 650 metri ed una larghezza di 115. E' situata ad Ovest di Assuan e della più grande isola Elefantina, sede storica di antiche vestigia faraoniche. Il giardino botanico è diviso in 27 bacini irrigui, delimitato da quattro sentieri verticali e nove orizzontali, inseriti nella forma ovale dell'isola. La pavimentazione dei sentieri è in granito. Quello centrale, coperto dal famoso e splendido granito rosa di Assuan, offre la prima sorpresa botanica. E' fiancheggiato infatti da due file di palme «reali», che incuriosiscono immediatamente per la loro particolarità. Abituati alla comune palma di molti giardini italiani, restiamo stupefatti di fronte a questo albero che sembra una colonna di marmo bianco, altissima verso il cielo, con un sontuoso ciuffo di verzura in cima. Particolare curioso di questa pianta è che non produce datteri; e la natura non le ha fornito, come alle altre, scalini naturali atti a raggiungere i frutti. Restando nel campo delle palme troviamo poi le rare Roystonia Regia, la Prichardia africana, la Sabal palmetto e la Phoenix dactylifera. La classificazione più semplice può essere fatta in piante da frutto, piante da olio, piante da legno, piante medicinali ed odorifere. Quanto sopra perché non è possibile elencare le migliaia di piante presenti, ma solamente darne qualche cenno. Ad esempio, tra le myrtacee, ovvero il ficus che adorna molte delle nostre case e giardini, troviamo venti specie diverse provenienti da Asia, India, Africa tropicale, Malaysia, Australia. Tra le leguminosae, l'acacia aneura, l'acacia arabica, l'acacia longifolia, l'acacia modesta, l'acacia Sundra. Tra le nyctaginacee la bouganvillea miss but, la bouganvillea spectabilis, la bouganvillea spectabilis varietà lateritia, la bouganvillea sanderiana, tutte provenienti dal Sud America. Tra le cose che colpiscono di più ci sono l'imponente Jacaranda e lo splendido fiore dell'ibisco, rappresentato dall'Hibiscus rosa sinensis e dall'Hibiscus schizopetalus. Ma per non fare aridi elenchi è meglio dire che si può errare per ore in questo sito silenzioso, ben tenuto e fiorente grazie all'acqua del Nilo e all'irrigazione a goccia, con la certezza di imparare molte cose e di vivere un distensivo intervallo nella pur appassionante visione di templi giganteschi, splendide pitture, deserto infinito e variopinti mercati. Patrizia Krachmalnicoff


IN INDIA Vaiolo (Ancora])
Autore: MARCHISIO PIER CARLO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: NATURE MEDICINE
LUOGHI: ESTERO, ASIA, INDIA

PUO' un virus vendicarsi? Sembra che ciò stia avvenendo perché in India è ricomparsa una forma di vaiolo dopo che l'ultimo ceppo del virus del vecchio vaiolo umano ha subito la pena di morte mediante il rogo. Per ora sono pochi casi di una forma di vaiolo che già esisteva con diffusione modesta derivata dal virus vaiolo del bufalo (BPV, buffalo pox virus). Quelle poche manifestazioni derivavano dal contatto di umani con bovini malati. Nè più nè meno di quanto da secoli si verifica con il vaiolo dei bovini europei (vaiolo vaccino). Il nome di vaccino deriva proprio dalla geniale intuizione di un medico scozzese, Edward Jenner, che tentò con coraggio l'immunizzazione degli esseri umani con le pustole causate dai virus bovini. I virologi indiani riportano pochi casi ma, ammaestrati dalla subdola comparsa del virus dell'Aids (Hiv-1) e dalla sua diffusione, mettono in evidenza il fatto che questa nuova malattia si sviluppa in totale, accertata mancanza di contatto tra pazienti e animali. Questo suggerisce che sia intervenuta una qualche mutazione del ceppo originario di BPV tale da renderlo spontaneamente virulento per l'uomo. Nature Medicine mette in guardia contro la possibilità che da questi pochi casi parta una nuova epidemia come quelle che devastarono l'Europa per secoli. E' vero che le condizioni igieniche del mondo occidentale sono discrete ma non tali sono quelle dell'India. Contro di noi, rispetto ai secoli passati, gioca inoltre la maggior facilità di spostamenti che potrebbe favorire la diffusione di virus. La nostra società reagisce istericamente alla mucca pazza che rappresenta un pericolo molto più controllabile, dato il modestissimo numero di casi di ma lattia di Creutzfeldt-Jakob che si registrano ogni anno in Europa. Potrebbe reagire peggio all'arrivo di una nuova epidemia di vaiolo indiano. Tuttavia, niente panico] Le conoscenze scientifiche e i mezzi di prevenzione sono ben più potenti di quelli dei nostri avi. La medicina è stata presa in contropiede dall'Aids ma vanno considerate l'assoluta novità della malattia e le vie di diffusione alquanto particolari, almeno all'inizio dell'epidemia. Non è così per il vaiolo che è una vecchia conoscenza. Pier Carlo Marchisio Dibit, Milano


ORMONI E FUNZIONE CARDIACA Quando la menopausa fa bene al cuore Efficace prevenzione con una combinazione di estrogeni e progesterone
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, BIOLOGIA
NOMI: FRATIGLIONI LAURA
ORGANIZZAZIONI: NEW ENGLAND JOURNAL OF MEDICINE, COLUMBIA PRESBITERIAN MEDICAL CENTER
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA, MASSACHUSETTES, BOSTON

OLTRE trenta ricerche compiute su migliaia di donne in menopausa dimostrerebbero un effetto favorevole degli ormoni femminili sulla funzione cardiaca. Gli estrogeni sono un trattamento abbastanza comune nelle donne in menopausa diretto a prevenire o ad attenuare sintomi del climaterio femminile quali le vampate di calore. Allo scopo di diminuire il rischio di fratture da osteoporosi e disturbi cardiaci si prolunga tale trattamento anche per diversi anni. Poiché pare che gli estrogeni possano aumentare il rischio di sviluppare il tumore dell'utero, da qualche anno a questa parte si associano agli estrogeni degli ormoni progestinici che proteggono dai possibili effetti dannosi del solo estrogeno. Esperimenti compiuti su animali dimostrano però che tale associazione diminuisce l'efficacia dell'estrogeno come protettore cardiaco. Giunge quindi come una buona notizia la recente comunicazione sul New England Journal of Medicine dei risultati di uno studio compiuto a Boston su 60.000 infermiere trattate per un lungo periodo di tempo o con una combinazione di estrogeni e progesterone o solo di estrogeni. Lo studio americano dimostra che il rischio di subire un attacco cardiaco era diminuito del 60% nelle donne trattate con entrambi gli ormoni, ma solo del 40% in quelle trattate con solo estrogeni. La conclusione è che la combinazione dei due tipi di ormoni sarebbe almeno altrettanto efficace. Altri dati interessanti sono riportati in alcuni studi clinici sull'effetto degli estrogeni nelle donne affette da demenza senile di tipo Alzheimer presentati al recente Congresso di Osaka in Giappone. Secondo Laura Fratiglioni, che ha seguito un gruppo di 1500 donne di 75 anni e oltre rappresentanti la popolazione di un intero quartiere centrale di Stoccolma per un periodo di 4 anni, il sesso femminile correrebbe un rischio maggiore del sesso maschile di sviluppare la forma più comune di demenza. Maggiormente colpite sarebbero le donne con un livello di istruzione più basso (meno di 8 anni di scuola). Un altro dato indicherebbe che le donne con menopausa più precoce correrebbero un rischio maggiore. Tali dati concordano con i risultati di studi americani ed europei. In particolare con un nuovo studio svolto in Belgio ed Olanda per conto del programma europeo Eurodem (di cui fa parte anche l'Italia), che dimostra che nelle donne di età oltre 65 anni affette da Alzheimer la terapia sostitutiva a base di estrogeni viene riscontrata meno frequentemente che nel gruppo di controllo non affetto dalla malattia. Anche qui come a Stoccolma la comparsa della menopausa al di sotto dei 47 anni si associa a un aumentato rischio di sviluppare la malattia, specie in soggetti che hanno altri casi di Alzheimer in famiglia. Un secondo studio svolto a New York al Columbia-Presbiterian Medical Center per un periodo di 5 anni su oltre mille donne di almeno 70 anni, ha dimostrato tra quelle che non avevano mai usato estrogeni una frequenza del 16% di Alzheimer che contrasta con il 6% per coloro che li avevano utilizzati anche brevemente. Un terzo studio americano riporta che donne affette da Alzheimer sotto trattamento a base di estrogeni rispondono più favorevolmente a una terapia a base di inibitori della colinesterasi quali la tacrina, un farmaco in uso in Usa da circa due anni. Particolarmente visibile è l'effetto di questi farmaci sulla sfera cognitiva e sulla memoria in particolare. Si sa da tempo che il cervello ha dei particolari recettori neuronali sensibili agli estrogeni (che, secondo alcuni, sarebbero importanti per lo sviluppo dell'orientamento sessuale dell'individuo). Gli estrogeni potrebbero agire direttamente stimolando tali recettori ad esempio aumentando il flusso sanguigno cerebrale o indirettamente influenzando fattori genetici legati allo sviluppo della malattia. Non si sa se l'effetto protettore degli estrogeni sia limitato al sesso femminile ed al periodo della menopausa. I dati riportati sugli effetti della terapia estrogena di sostituzione hanno stimolato un nuovo programma di ricerche diretto esclusivamente alle donne, lanciato da Clinton e chiamato WHI (Women's Health Initiative). Si tratterà di seguire 120.000 donne nel periodo post-menopausa (tra i 50 e gli 80 anni) per un periodo di 6 anni. Saranno studiati in particolare fattori dietetici, trattamenti ormonali, effetto del calcio e della vitamina D e una possibile influenza di questi fattori sullo sviluppo di tumori femminili, malattie cardiovascolari, osteoporosi ed Alzheimer. Questo progetto, il maggiore mai intrapreso su una popolazione femminile, si propone di studiare in particolare l'effetto di trattamenti ormonali a base di estrogeni sulla prevenzione dell'insorgere o sul rallentamento del decorso della malattia di Alzheimer nelle donne. Ezio Giacobini


MODEM OPERANDI. DIDATTICA IN CD-ROM PREMIATA AL «MILIA» DI CANNES Le lingue con Suor Informatica Multimedia per bambini
Autore: INFANTE CARLO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, DIDATTICA, INFORMATICA
NOMI: CANGIA' CATERINA
ORGANIZZAZIONI: UNIVERSITA' PONTIFICIA SALESIANA, PREMIO MILIA, GIUNTI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

POTENZIARE le qualità educative attraverso il gioco è una delle opportunità più importanti della multimedialità. A confermarlo è anche il mercato dell'editoria elettronica, che sul fronte del cosiddetto «edutainment» («educational» più «entertainment» sta sfornando una grande quantità di titoli. Una protagonista di queste sperimentazioni è Suor Caterina Cangià, docente alla Pontificia Facoltà di Scienze dell'Educazione Auxilium e di «Glottodidattica infantile della lingua straniera» all'Università Pontificia Salesiana, nonché «star» della nuova creazione multimediale. Star perché con un suo CD-I, «European Party» realizzato per Giunti Multimedia, ha vinto il primo premio al «Milia» di Cannes, la manifestazione europea più prestigiosa nel campo multimediale. Il CD-I invita a giocare i bambini tra i 7 e gli 11 anni simulando la preparazione di una festa cosmopolita per gli amici. Un gioco in cui si devono parlare, imitandole, le diverse lingue dei personaggi. Suor Caterina ha inventato un suo metodo per l'apprendimento delle lingue per i più piccini, concertando didattica, teatro e multimedia. Il suo è un percorso esemplare, da quando lavorando con i bambini e i ragazzi arabi in Libano, dove è stata missionaria, inventò un metodo di insegnamento della lingua francese, inglese e araba per la scuola materna: «Ici je vis / I live here». Un metodo pubblicato nel 1980 e poi adottato in molte scuole in Libano e Siria. Già allora si costruì il materiale didattico, scattò diapositive ai luoghi che i bambini conoscevano, registrò i suoni e le parole a loro note. Il tutto per essere poi usato in azioni sceniche realizzate dai bambini stessi. «Agire per conoscere» è il motto di suor Caterina, detta anche «suor informatica» o «sister multimedia». L'incontro con gli ipertesti l'ha portata a immaginare quello che lei definisce un «ambiente di teatro didattico interattivo», un luogo dove «agire con le parole». Nel 1990 ha realizzato un prototipo su «Il mondo di Oz»: dalla trasformazione di quel racconto in ipertesto si è sviluppata l'attività de La Bottega d'Europa: un laboratorio pedagogico che vede i ragazzi dell'Istituto delle Salesiane di Don Bosco a Roma apprendere giocando con il computer e facendo teatro. «Sister multimedia» si occupa di computer dal 1983; per alcuni anni ha studiato l'Intelligenza Artificiale, passando poi (nel 1987]) a una sperimentazione sull'ipertesto, quando ancora, in Italia, non se ne parlava neanche. Inizia utilizzando «Guide», il primo sistema ipertestuale per i personal Ibm, intuendo che gli ipertesti avrebbero potuto dare alle sperimentazioni sull'apprendimento delle lingue un apporto decisivo. Il suo metodo di lavoro è fondato sull'uso ludico e coinvolgente dei programmi che realizza e questo comporta una animazione teatrale. «L'uomo è naturalmente multimediale, - dice la Cangià - è prevalentemente motorio e sensoriale. In un'ambientazione dinamica, il bambino si mette in gioco. A queste condizioni c'è vera comunicazione con la conseguente felice ricaduta di apprendimento della lingua straniera». L'ultima produzione di suor Caterina Cangià è «The Jungle world», un corso di inglese per le scuole elementari ispirato al famoso libro di Kipling. Un Cd- Rom, realizzato per il gruppo editoriale Giunti, arricchito da una guida per l'insegnante e un libro che ne presenta il quadro di riferimento teorico, i vari giochi didattici in lingua straniera e le istruzioni riguardanti la messa in scena teatrale. Carlo Infante


Nuvole in rete Cirri e stratocumuli nei siti meteo di Internet E ci sono anche le previsioni del tempo di Meteosat
Autore: PEIRETTI FEDERICO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI, INFORMATICA, METEOROLOGIA
ORGANIZZAZIONI: INTERNET, CENTRO GEOFISICO PREALPINO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, VARESE (VA)

LE nuvole minacciose che preannunciano i temporali, quelle romantiche di un'alba o di un tramonto, quelle leggere che velano appena un paesaggio o quelle più alte che attraversano il cielo come drappi di seta: ci sono nuvole di ogni tipo su Internet. Ne abbiamo trovate a migliaia nei siti meteorologici e in quelli dei tanti fotografi che espongono in rete le loro opere sui fenomeni della natura. Per navigare tra le nuvole si può partire dall'esposizione delle stupende fotografie di Tom Polakis e dal suo sito ci si può collegare a molti altri fotografi meteorologi: http: www.indirect.com/www/polakis/skyphoto.html. Per uno studio scientifico delle nuvole si veda invece il sito di Meteo France, uno dei più importanti centri della meteorologia europea: http://www. meteo.fr. Schede e belle fotografie ci mettono in grado di riconoscere cirri, cumuli, strati, cirrocumuli, cumulonembi e ogni altro tipo di nuvola. Meteo France illustra le tecniche con le quali vengono elaborate le previsioni, insegna a leggere le immagini di Meteosat e offre una guida chiara e completa alla meteorologia. Su Internet si trova anche uno dei più grandi archivi meteorologici degli Stati Uniti, quello del National Climate Data Center: http: //www.ncdc.noaa.gov/ Il sito del NCDC è collegato con più di ottomila stazioni di rilevamento, sparse in tutto il mondo. I dati raccolti, rielaborati e inseriti in rete, vengono presentati in grafici e mappe, anche animate, che consentono accurate analisi della situazione meteorologica attuale o passata di ogni angolo della Terra. Il NCDC conserva infatti le informazioni meteorologiche degli ultimi cent'anni del nostro pianeta, ma per alcuni centri si può risalire fino al Seicento. Per approfondire lo studio della meteorologia si può consultare la ricca biblioteca virtuale della Free University di Berlino, dove si trovano anche i principali collegamenti con gli altri centri di ricerca e le associazioni del settore: http://www.met.fu-berlin.de/ Infine, per inserirsi nel dibattito sulla meteorologia, esprimere la propria opinione, chiedere consigli o scambiare informazioni, ecco l'indirizzo del gruppo di discussione: neus:sci.geo.meteorology L'Italia non ha ancora, a livello nazionale, un buon servizio telematico per la meteorologia. Uno dei punti di riferimento è il Csp di Torino, che presenta le immagini di Meteosat con un aggiornamento ogni trenta minuti e offre un programma, scaricabile via ftp, che permette di ricevere direttamente sul proprio Pc le immagini del satellite: http: //services.csp.it/meteo.html Uno dei migliori siti italiani è sicuramente quello curato dal Centro Geofisico Prealpino di Varese, limitato purtroppo alla Lombardia e ancora in fase di costruzione: http://www.astrogeo.va.it/prevmete.htm. Oltre ad accurate previsioni sulla regione, si trovano i dati relativi all'inquinamento atmosferico, il livello dei fiumi, l'attività solare, la situazione dei pollini, una pagina speciale per i deltaplani, tutti i consigli per la montagna e un grande altlante meteorologico. Federico Peiretti




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