TUTTOSCIENZE 17 luglio 96


DIZIONARIETTO DEL GRANDE COLLISORE
NOMI: RUBBIA CARLO, LEDERMANN LEON
LUOGHI: ITALIA

SPS. Super sincrotrone a protoni (Super Proton Synchrotron) da 450 GeV. Entrato in funzione nel 1976, ha permesso a Carlo Rubbia di scoprire nel 1983 i bosoni W e Z dalle collisioni fra protoni e antiprotoni. E' circolare e lungo sette chilometri; funziona anche da iniettore di leptoni a 22 GeV per il Lep. LEP. Grande collisore di elettroni e positroni (Large Electron Positron collider), con una circonferenza di 27 chilometri. Inaugurato il 14 luglio 1989, ha funzionato fino all'anno scorso ad un'energia di 91 GeV, producendo bosoni Z. Ora inizia la seconda fase (Lep2) ad un'energia di 160 GeV. Quattro esperimenti rivelano le particelle prodotte dai decadimenti dei bosoni: L3, Aleph, Opal e Delphi. LHC. Grande collisore di adroni (Large Hadron Collider). Entrerà in funzione nel 2004 e sarà costruito dentro lo stesso tunnel di Lep2. Scopo è la scoperta del bosone di Higgs e di particelle supersimmetriche. Verranno realizzati quattro nuovi esperimenti: Atlas, Cms, Alice e LhcB. Z. Detta anche Zo a causa della sua carica nulla, è il mediatore neutro delle interazioni deboli. Ha una massa di 91 GeV ed è stata prodotta dal 1989 al Lep nella sua prima fase di funzionamento. Ognuno dei quattro esperimenti ne ha registrate circa un milione all'anno, fino al 1995. W. E' il mediatore delle interazioni deboli cariche. Può avere carica positiva (Wpiù) o negativa (W-) ed ha una massa di 80 GeV, cioè circa ottanta volte quella di un protone. A Lep2 verranno prodotte da quest'anno alcune migliaia di coppie WpiùW- in ogni esperimento. H. Il bosone di Higgs, chiamato «particella di dio» dal Nobel Leon Lederman, non è stato ancora scoperto. Non se ne conosce la massa: la sua scoperta permetterebbe di giustificare la rottura spontanea di simmetria all'origine della massa delle particelle.


INCIDENTI Due misteriose bottiglie di birra
ARGOMENTI: FISICA
NOMI: LLEWELLYN-SMITH CRISTOPHER, RUBBIA CARLO
ORGANIZZAZIONI: CERN
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, SVIZZERA, GINEVRA

Il Lep - da oggi Lep 2 - è entrato in funzione il 14 giugno, dopo una fermata tecnica di sei mesi durante la quale il tubo a vuoto è stato aperto in più punti per manutenzione. Il tubo, in lega di alluminio, è lungo 27 chilometri e ha una sezione ellissoidale di alcuni centimetri quadrati. Dopo cinque giorni di prove è apparsa evidente dai calcolatori di controllo la presenza di un ostacolo all'interno, il quale rendeva impossibile la normale circolazione degli elettroni e dei positroni. Una volta aperto l'acceleratore nel punto individuato, si sono trovate... due bottiglie di birra (vuote), lasciate verosimilmente da chi non si era accorto che il tubo smontato e posto sul pavimento del tunnel era proprio il tubo di Lep 2. Da notare che la pubblicità in inglese della birra in questione, suona all'incirca: «La birra che arriva dove le altre non possono arrivare». Vero in questo caso. Peccato che si siano persi cinque giorni, equivalenti al 10 per cento del tempo effettivo di funzionamento previsto per il '96. Ricordiamo che l'immenso impianto (attuale direttore è il prof. Cristopher Llewellyn-Smith, succeduto al prof. Carlo Rubbia), sorge alla periferia di Ginevra e il suo percorso circolare ipogeo corre sotto le frontiere di Francia e Svizzera, sfiorando, sottoterra, l'aeroporto intercontinentale di Ginevra-Cointrin.


«LEP 2» A GINEVRA Il Cern raddoppia Già creata W, particella di Rubbia
Autore: VITE' DAVIDE

ARGOMENTI: FISICA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: LLEWELLYN-SMITH CRISTOPHER, RUBBIA CARLO
ORGANIZZAZIONI: CERN
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, SVIZZERA, GINEVRA

IL Lep, il grande collisore di elettroni e positroni del Cern di Ginevra, sta per raggiungere nuovi e mai sperimentati livelli d'energia, e nel laboratorio europeo di fisica delle particelle c'è molta eccitazione. Dopo la fermata tecnica invernale l'acceleratore è ripartito e i fisici si affollano nelle sale di controllo: le prime particelle W sono state osservate il 9 e il 10 luglio. Entro la fine del mese l'energia delle collisioni sarà quasi raddoppiata rispetto alla scorsa estate, per cui l'acceleratore viene ormai chiamato Lep 2. Da mesi gli scienziati sono preparati a questa nuova stagione, e dopo alcuni giorni di messa a punto della macchina e dei rivelatori si è dato finalmente inizio alla ricerca: 50 giorni nel 1996, ma con un programma sperimentale articolato sui prossimi anni, e in previsione di energie ancora maggiori. I rivelatori registreranno i dati, i calcolatori ricostruiranno tracce e particelle, i fisici daranno le prime interpretazioni. Il più grande acceleratore del mondo fu ideato nel 1978, costruito in sei anni a partire dal 1983 e inaugurato nel 1989; il suo scopo è lo studio delle interazioni nucleari deboli, le stesse che alimentano l'attività del Sole e che sono responsabili di alcune forme di radioattività naturale. L'interazione debole avviene tramite lo scambio virtuale di particelle chiamate Wpiù, W- e Zo. Questi bosoni vettori intermedi, come li chiamano i fisici, erano previsti dalle teorie, ma furono rivelati sperimentalmente per la prima volta proprio al Cern dall'esperimento Ua1, diretto da Carlo Rubbia, e confermati dal concorrente Ua2. Queste particelle non esistono nella natura che conosciamo ma devono essere create in laboratorio. Dalla relazione di Einstein E=mc2, che collega massa, energia e velocità della luce, si deduce che producendo la giusta quantità di energia si potranno creare le particelle da studiare. La prima fase operativa del Lep prevedeva dunque la collisione tra un fascio di elettroni e uno di positroni, ciascuno con un'energia di 45,6 miliardi di elettronvolt (GeV); la batteria di un'automobile, se inserita in un acceleratore, fornirebbe agli elettroni solo 12 elettronvolt. Al momento della collisione si ottenevano così i 91 GeV necessari alla creazione della Zo. Le Wpiù e W- possono essere create al Lep solo in coppia: esse hanno massa uguale, e l'energia totale della collisione deve essere almeno pari alla somma delle loro masse. Le future collisioni avverranno quindi tra fasci di circa 80 GeV di energia ciascuno, formati da elettroni e positroni che viaggiano in senso opposto nell'anello del Lep alla velocità della luce, percorrendo i 27 chilometri dell'acceleratore circa 11. 000 volte al secondo e attraversando 44.000 volte le frontiere tra Francia e Svizzera ad una profondità fra i 50 e i 175 metri sotto il livello del suolo. C'è però un problema: gli elettroni e i positroni, quando viaggiano su traiettorie circolari, perdono a ogni giro una parte non trascurabile della loro energia sotto forma di raggi X, ultravioletti e infrarossi (radiazione di sincrotrone). Le perdite sono compensate dalle cavità acceleratrici, che cedono energia al passaggio delle particelle. Nell'ottobre 1995 sono state inserite 16 cavità superconduttrici che hanno permesso la produzione di collisioni a 130 e a 140 GeV. Ne sono poi state aggiunte altre per completare il restyling dell'acceleratore. E' così finita l'era della Zo, durata sette anni, e si apre la strada alla scoperta di nuove particelle. I fisici di tutto il mondo si aspettano ora da Lep 2 nuove ricerche a nuove energie: non solo la produzione per la prima volta di coppie di W, ma anche l'eventuale scoperta di particelle supersimmetriche, che fino ad oggi non sono ancora state trovate ma la cui esistenza sarebbe prevista da affascinanti teorie. Nel 1996 Lep 2 funzionerà per soli cinquanta giorni: il tempo stringe, e anche i piccoli incidenti rallentano in maniera significativa il lavoro di centinaia di fisici ed ingegneri. Fino all'estate del 1995 Lep aveva prodotto circa quattro milioni di Zo all'anno, mentre da Lep2 ci si aspettano alcune migliaia di coppie di W, distribuite fra ciascuno dei 4 esperimenti creati per studiare le collisioni fra elettroni e positroni. Si farà così un altro passo nella conoscenza della materia. Davide Vité Cern, Ginevra


UMBRIA Sei nuove aree protette
Autore: DEL ROSSO ANTONELLA

ARGOMENTI: ECOLOGIA, PARCHI NATURALI
ORGANIZZAZIONI: REGIONE UMBRIA
LUOGHI: ITALIA

A poco più di quattro anni dallo stanziamento da parte del ministero dell'Ambiente dei primi 35 miliardi di lire per l'istituzione di parchi regionali, la Regione Umbria ha varato sei nuove aree protette, portando così al 7 per cento la quota di territorio protetto. Di questo, il 2 per cento è rappresentato dal parco nazionale dei Monti Sibillini, e ciò mette in evidenza il forte impegno in campo ambientale della Regione. Dall'entrata in vigore della legge regionale del marzo 1995, il primo parco, quello del lago Trasimeno, è stato istituito solo nel maggio 1996 e l'ultimo, l'area naturale protetta del Monte Cucco, è nato da poco. Notevoli problemi si sono riscontrati al momento della perimetrazione del territorio, in quanto in Umbria sono molto forti le associazioni a tutela dell'attività venatoria, proibita all'interno dell'area protetta. Uno dei primi difficili impegni a carico dei nuovi Enti parco e delle varie istituzioni coinvolte sarà la redazione del Piano dell'area protetta, che dovrà suddividere il territorio in base alle diverse valenze ambientali e socio-economiche. Il piano, secondo la legge, va presentato entro sei mesi dall'insediamento dell'Ente parco, ma l'esempio di altre Regioni italiane non fa ben sperare in questo senso. Il piano del parco dei Monti Simbruini, per esempio, giace da anni in attesa di essere approvato dalla Regione Lazio. La sfida lanciata dall'Umbria è dunque impegnativa, ma ciò che più conta è che si aprono nuove prospettive di lavoro qualificato in una regione che conta molti laureati disoccupati. Non è quindi un caso che la società Elea del gruppo Olivetti abbia scelto Città di Castello come sede di corsi di formazione professionale in materie ambientali, frequentati da laureati in varie discipline provenienti da tutt'Italia. A questi ragazzi si presentano adesso nuove prospettive di lavoro. La cifra stanziata dalle varie istituzioni coinvolte nel progetto dei parchi regionali si aggira infatti sui due miliardi di lire per il solo 1996. Più della metà proviene dai finanziamenti dell'Unione Europea, che si va ad aggiungere ai precedenti 22 miliardi già spesi dalla Regione negli anni passati. Ed è proprio sui finanziamenti comunitari che si gioca la vera partita. La Regione Piemonte, per esempio, ha finora finanziato i suoi 148.000 ettari di aree regionali protette, pari a circa il 5,8 per cento dell'intero territorio regionale, con fondi erogati nella quasi totalità dalla Regione, senza ricorrere alle casse comunitarie. La speranza è che in futuro le Regioni si adoperino per sviluppare un settore che ha bisogno di giovani qualificati e che potenzialmente può ricevere dalla Comunità Europea gran parte dei finanziamenti necessari. A chiunque sia interessato alle problematiche ambientali e ai relativi finanziamenti UE consigliamo di visitare il sito Internet: http: //www.ecnc.nl/doc/euro pe/legislat/conveu.html Antonella Del Rosso


Extracomunitari: quale salute? Assistenza e prevenzione
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, SANITA', STRANIERI, IMMIGRAZIONE
NOMI: MORRONE ALDO
ORGANIZZAZIONI: ISTITUTO SCIENTIFICO SAN GALLICANO, CARITAS
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. TAB. LE PRIME 20 COMUNITA' STRANIERE IN ITALIA ALL'INIZIO DEL 1995 ================================================================= Paese Numero % sul Var. rispetto stranieri totale all'anno precedente ----------------------------------------------------------------- MAROCCO 92.617 10,0 - 5,1 EX JUGOSLAVIA 89.444 9,7 23,6 USA 56.714 6,1 - 8,7 TUNISIA 41.005 4,5 7,6 FILIPPINE 40.714 4,4 - 12,1 GERMANIA 37.050 4,0 - 7,2 ALBANIA 31.296 3,5 3,5 GRAN BRETAGNA 26.435 2,9 - 8,3 FRANCIA 25.723 2,8 - 4,7 SENEGAL 24.615 2,7 - 6,6 EGITTO 21.230 2,3 - 13,5 ROMANIA 20.220 2,2 4,3 BRASILE 19.589 2,1 - 7,1 CINA POPOLARE 19.485 2,1 - 14,1 POLONIA 18.929 2,1 - 10,2 SRI LANKA 18.689 2,0 - 5,2 SVIZZERA 17.775 1,9 - 2,3 SPAGNA 16.395 1,8 - 3,3 SOMALIA 16.325 1,8 - 6,5 GRECIA 14.282 1,5 - 0,1 ----------------------------------------------------------------- Dati del Ministero dell'Interno (permessi di soggiorno al 31-12 del 1993 e del 1994) a cura della Caritas di Roma =================================================================

A proposito degli immigrati «extracomunitari» c'è un equivoco da chiarire per quanto riguarda l'aspetto medico. La maggior parte arriva in Italia in normali condizioni di salute, le malattie insorgono con frequenza, dopo qualche anno di soggiorno, favorite dalle condizioni di vita non buone. Molte indagini sono state fatte in proposito in varie parti d'Europa, e per quanto riguarda l'Italia va segnalato come esemplare il servizio per assistenza e cura degli immigrati extracomunitari, esistente ormai da dodici anni presso l'Istituto scientifico San Gallicano e il Poliambulatorio Caritas di Roma, creato da Aldo Morrone, che ne rende conto ora nel libro «Salute e società multiculturale» (Raffaello Cortina Ed., 1995). In questo servizio sono passati ormai oltre 50 mila pazienti, il che ha consentito una raccolta importante di dati. Comunemente si crede che gli immigrati costituiscano un pericolo di diffusione di malattie esotiche. Non è così. Certamente vi sono dei malarici, ma da noi è assente il vettore (la zanzara) che trasmette il contagio. Lo stesso si dica per altre infezioni che non possono propagarsi mancando sia il vettore sia le condizioni climatiche indispensabili. Gli immigrati insomma non sono degli untori. Naturalmente hanno anch'essi patologie, ma come le nostre: tubercolosi, salmonellosi (infezioni intestinali), malattie a trasmissione sessuale, epatiti virali, infezione da virus Hiv. A parte ciò essi rappresentano una popolazione a rischio dal punto di vista sanitario a causa delle condizioni di vita: ambienti affollati e privi di conforto, alimentazione scorretta e molte altre ancora. Ne deriva che certe malattie colpiscono più frequentemente gli immigrati, soprattutto la tubercolosi, che è dunque sia di importazione sia acquisita. Elevata è anche, per chi lavora, la patologia professionale (infortuni e malattie professionali). Vi sono inoltre difficoltà di adattamento che possono manifestarsi sotto forma di disturbi psicosomatici e mentali: astenia, ulcera gastro-duodenale, stati depressivi e ansiosi, tossicomania, alcolismo. La migrazione, quali ne siano i motivi, anche se decisa senza riserve rappresentando un motivo di speranza, è sempre un fattore di stress, di destabilizzazione. Un periodo particolarmente delicato è l'adolescenza dei figli di immigrati. Ma il quadro generale non è cupo, gli immigrati non soffrono di turbe mentali più degli autoctoni. In sostanza ci si dovrebbe preoccupare soprattutto della patologia acquisita dagli immigrati che vivono con noi: è nel nostro interesse, il mantenimento della buona salute degli immigrati ha favorevoli ripercussioni sulla nostra comunità. Dovremmo poter offrire ad essi un'assistenza migliore di quella dei Paesi dai quali provengono, e compiere opportuni controlli periodici. Qualche esempio? Risulta che circa il 20% delle africane nere sia portatrice del virus dell'epatite B e metà dei nati da queste donne corrono il rischio d'essere infettati alla nascita. Sarebbe dunque opportuna la sorveglianza per attuare la prevenzione dei neonati mediante gamma-globuline. E ancora, la trasmissione ai neonati del virus Hiv dovrebbe far pensare ad un esame sierologico sistematico delle donne provenienti da zone a rischio dell'Africa (Centrale e dell'Ovest) e dei Caraibi. Ulrico di Aichelburg


FLORA ALPINA I fiori di Rasetti Studio del fisico di via Panisperna
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: BOTANICA, LIBRI
NOMI: RASETTI FRANCO (AUTORE)
ORGANIZZAZIONI: SELCOM EDITORIA, AMICI DELL'ACCADEMIA DEI LINCEI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «I fiori delle Alpi»

UN libro pieno di fiori, una guida strabiliante per guardare con occhio nuovo lo spettacolo consueto dei prati montani; e nello stesso tempo la testimonianza di una lunga vita dedicata a esplorare il mondo naturale nei suoi aspetti apparentemente più lontani e contrastanti considerati come sfaccettature variegate di un unico disegno. Il libro si intitola «I fiori delle Alpi», autore Franco Rasetti, Selcom Editoria, lire 55 mila, seconda edizione di un'opera da anni introvabile, pubblicata grazie al contributo dell'Associazione Amici dell'Accademia dei Lincei. Rasetti ha 95 anni, (nella foto piccola in basso a destra), vive in Belgio dopo aver girato e lavorato in mezzo mondo; nome mitico per gli studiosi di fisica, uno dei «ragazzi di via Panisperna», l'istituto creato all'Università di Roma per lo studio dell'atomo tra il 1927 e il 1939, compagno di Fermi, Segrè, Amaldi, di Ettore Majorana scomparso misteriosamente nel nulla, di Pontecorvo, scomparso anche lui ma ricomparso in Urss. Poi negli Stati Uniti, in Canada professore di fisica alla Larval University di Quebec, nuovamente negli Stati Uniti, alla John Hopkins di Baltimora. Amico di personaggi storici come Einstein, Max Planck, Oppenheimer. Da giovane era stato un appassionato entomologo specializzato sui coleotteri, in Canada si era occupato di geologia e paleontologia studiando specialmente i trilobiti del Cambriano e creando collezioni di fossili oggi depositate nei maggiori musei del mondo. Le scienze naturalistiche furono il nuovo terreno di ricerca, in cui divenne rapidamente un maestro come lo era stato nel campo della ricerca sull'atomo, quando a un certo punto, ancor prima delle atomiche sul Giappone, si accorse che la fisica veniva usata «per massacrare l'umanità - come ha detto in una recente intervista - e allora non ne ho più voluto sapere». «I fiori delle Alpi» è uno dei frutti di questo lucido rifiuto e di un'altra grande passione di Rasetti, l'alpinismo (ha scalato pareti importanti in Europa e in Asia). «Venti estati consecutive impiegate a percorrere tutte le zone interessanti delle Alpi italiane, francesi, svizzere, tedesche e austriache» come ha scritto l'autore stesso, per un libro «riconosciuto dagli esperti di vari Paesi europei come il più completo del genere». «I fiori delle Alpi», a parte la rilevanza scientifica, si presta a essere un compagno delizioso per chiunque vada in montagna con occhi attenti alla natura; contiene 568 immagini scelte fra ottomila fotografie a colori eseguite con eccezionale capacità tecnica. Ed ecco allora, dopo i capitoli introduttivi dedicati alla struttura della pianta e del fiore, alla classificazione botanica e alla descrizione generale delle piante alpine e del loro ambiente, la coloratissima, folta sequenza delle genziane, dei tanti rappresentanti della famiglia Ranunculacee, delle umili sassifraghe che spesso si arrampicano fino a 4000 metri, delle molte orchidee che costellano i prati, splendide e ignorate. Tra i tanti fiori fotografati, classificati e puntualmente descritti nelle caratteristiche peculiari, alcune rarità: come la Viola argenteria esclusiva del massiccio dell'Argentera, a lungo confusa con un'altra specie; o la Gentiana lutea molto diffusa e ricercata per farne un liquore ma spesso tragicamente scambiata con il Verastro, velenosissimo e responsabile di molte vittime; o ancora l'elusiva Saxifraga florulenta descritta nel 1824 e poi misteriosamente scomparsa per circa mezzo secolo, tanto che se ne era addirittura messa in dubbio l'esistenza. Il mistero è stato spiegato quando si è scoperto che la florulenta, tipica delle Alpi Marittime, impiega più di 40 anni a crescere, fiorisce una sola volta, e poi muore: per coglierla nel suo unico momento di fulgore con cui è rappresentata a pagina 119 ci voleva il fiuto e la grande capacità di scarpinatore di Franco Rasetti. Vittorio Ravizza


NEL PIEMONTE DEL '700 Storia d'amore e di spionaggio industriale Come i segreti della lavorazione della seta arrivarono a Lione
Autore: MARCHIS VITTORIO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, TECNOLOGIA
NOMI: BRUNETTO EUGENIO (BRUNETTA EUGENIO)
LUOGHI: ITALIA

VENEZIA, 26 maggio 1759. L'ambasciatore piemontese Giulio Vittorio Incisa di Camerana scrive un dispaccio alla segreteria di Stato per gli Affari stranieri a Torino. Dopo aver riferito della salute del Papa e dei fatti accaduti ai gesuiti in Spagna e in Portogallo e alle conseguenti reazioni della Santa Sede, racconta che in quei giorni è venuto a trovarlo un giovane sui trent'anni, di corporatura asciutta e statura media, che si fa chiamare Eugenio Brunetto, o Brunetta, torinese, commerciante di professione e da molto tempo abitante a Lione. Ha mostrato un passaporto francese che lo qualifica come lionese e afferma di essere a Venezia per esigere certe somme rilevanti da un gentiluomo veneziano di nome Marco Barbaro. Le merci in questione, racconta Brunetta all'ambasciatore, sono state sequestrate dal magistrato perché di contrabbando e il gentiluomo veneziano è scappato. Ma egli non sapeva che quelle merci fossero proibite nella Repubblica di Venezia. All'ambasciatore Incisa la questione appare poco chiara e domanda al mercante perché non si sia rivolto all'ambasciatore francese, avendo egli un passaporto francese. Il Brunetta risponde di essere persona particolarmente nota a sua maestà il re di Sardegna e a sua altezza reale il duca di Savoia, suo figlio. E' quindi necessario un riscontro con la segreteria di Stato di Torino. Torino, 2 giugno. Il segretario di Stato per gli Affari esteri, cavalier Giuseppe Ossorio, risponde all'ambasciatore Incisa che il Brunetta è davvero conosciuto a corte, dove ha anche «suggerito qualche progetto e fornito informazioni su materie attinenti al commercio». Si approva appieno il consiglio di rimandarlo all'ambasciata di Francia, ma al contempo si autorizza l'ambasciatore «a favorirlo purché compatibilmente con l'etichetta e senza compromettersi». Venezia 14 luglio. L'ambasciatore Incisa risponde alla segreteria di Stato e riferisce che il Brunetta è stato dall'ambasciatore di Francia, che peraltro lo ha aiutato facendolo scarcerare. Il Brunetta infatti è stato arrestato dal magistrato, si dice per un debito di gioco, ma probabilmente anche per la questione del contrabbando, sollecitato dai parenti di Marco Barbaro, fuggito a Gorizia. L'ambasciatore francese ha poi trasmesso la parte della merce ricuperata a un suo corrispondente a Milano. Il Brunetta intanto è ritornato a Lione. A questo punto entra in gioco una donna «di povera condizione», figlia di un tal notaio Lazzaroni, maritata a una persona attualmente in carcere. Pare che esse sia stata sedotta dal Brunetta e portata a Lione. Al chiasso dei parenti per il rapimento si aggiunge la notizia che forse il Brunetta stesso ha moglie e figli. Infine, riferisce l'ambasciatore Incisa di aver sentito dall'ambasciatore francese che il Brunetta ha ottenuto la cittadinanza di Lione per avere trasferito ai lavoranti della seta di Lione qualche segreto delle manifatture piemontesi. Torino, 21 luglio. Con una risposta concisa, il ministro Raiberi, sostituto di Giuseppe Ossorio, in vacanza nella stazione termale dei Bagni di Vinadio, ringrazia per le informazioni ricevute a proposito del Brunetta. La veneziana, dice un fratello del Brunetta, si è fermata a Milano da parenti; ella non è stata assolutamente rapita. Torino, 28 luglio. Il ministro Raiberi con una nuova lettera riferisce all'Incisa che gli sono giunte notizie dal Brunetta il quale, per discolparsi, afferma di aver avuto il pieno consenso dei genitori della donna. Si richiede una conferma in loco. Venezia, 4 agosto. In una lettera la cui prima parte è cifrata e contiene importanti informazioni sulla politica della Corte di Vienna, si torna a parlare per l'ultima volta di Brunetta. L'ambasciatore Incisa ha proceduto a nuove indagini e ha parlato direttamente con i genitori della donna. Le notizie ricevute discolpano il Brunetta, che ha invece aiutato la donna a sfuggire alla violenza del marito. Ella si trova realmente a Milano presso un amico di famiglia. Così si conclude la breve memoria storica di Eugenio Brunetta. Egli si riscatta pienamente come uomo, ma non è chiaro il suo ruolo di «negoziante». Senza dubbio le sue «conoscenze» a corte, l'interesse prestato ai suoi movimenti dalle ambasciate di Sardegna e di Francia, nonché dalla magistratura di Venezia confermano il dinamismo che in quegli anni agitava i rapporti commerciali europei. Resta evidente il fatto che, senza una totale disapprovazione delle istituzioni e spesso con la loro connivenza, agli albori della rivoluzione industriale, si accettassero e si praticassero operazioni tecnico- commerciali ai limiti della legalità. L'industria serica era stata trasportata nel 1663 da Bologna a Torino con azioni certamente in contrasto con le leggi. Nel 1720 alcuni inglesi di Derby tenteranno di trafugare il segreto delle «macchine alla piemontese». Queste azioni si svolgevano lungo quei canali che, senza poter essere definiti «spionaggio», la storiografia attuale chiama «reverse technology». La vicenda «esemplare» del Brunetta è stata ricavata da documenti conservati presso l'Archivio di Stato di Torino. Vittorio Marchis Politecnico di Torino


UNA SCOPERTA DI «HUBBLE» Due stelle fatte a uovo
Autore: FERRERI WALTER

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
NOMI: LATTANZI MARIO, MUNARI ULISSE
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: G. Come varia la luminosità della stella Mira

IL telescopio «Hubble» in orbita a 500 chilometri di quota è riuscito a misurare il diametro delle stelle pulsanti «di tipo Mira», che variano periodicamente e con una certa regolarità il loro diametro, e quindi la loro luminosità. I risultati ottenuti portano alla conclusione che queste stelle vecchie e gigantesche non siano rotonde ma a forma di uovo] Conoscere meglio queste stelle enigmatiche è importante per capire come le stelle si evolvano e per sapere quale sarà il destino del nostro Sole fra 5 miliardi di anni. A causa della distanza, le stelle sono troppo piccole per mostrare i loro dischi con metodi tradizionali in luce visibile, ma gli astronomi hanno usato i sensori a guida fine dell'Hubble (Fgs) per raggiungere in luce visibile i diametri angolari (una misura della larghezza apparente) di due variabili del tipo Mira, R Leonis e W Hydrae. Le osservazioni sono state effettuate da Mario G. Lattanzi dell'Osservatorio Astronomico di Torino, e Ulisse Munari dell'Osservatorio di Padova insieme a M. Feast e P. Whitelock dell'Osservatorio Astronomico del Sud Africa. I risultati saranno pubblicati nella rivista «Astrophysical Journal». I sensori a guida fine dell'Hubble sono normalmente usati per seguire i corpi celesti che vengono osservati dal telescopio spaziale. Anziché ottenere immagini, l'Fgs, dalla luce in arrivo, produce delle frange di interferenza. Le zone brillanti e oscure create dalla figura di interferenza, che ricorda le increspature di un laghetto, possono essere usate per misurare angoli estremamente piccoli, fino a 1/100 di secondo d'arco, come dire un oggetto da 18 metri sulla Luna. Le misure effettuate dall'Fgs hanno mostrato con sorprendente chiarezza che le atmosfere delle due stelle non sono perfettamente rotonde, ma piuttosto leggermente elongate, come un uovo. Questa strana forma potrebbe essere stata prodotta da diverse cause. Una possibilità è che la stella, pulsando, non si espanda ugualmente in tutte le direzioni. Oppure sul disco della stella potrebbero esservi delle grandi macchie scure che danno l'illusione di una forma non sferica. Lattanzi dice: «Questa è probabilmente una conferma indiretta di ricerche precedenti, secondo le quali le fotosfere delle stelle tipo Mira non sono perfettamente sferiche. Una tale evidenza è fondamentale per una migliore comprensione dei fenomeni fisici che causano la pulsazione di queste stelle e dell'interazione delle loro fotosfere con l'atmosfera circostante». Le misure mostrano che R Leonis ha un diametro apparente (in luce visibile) di 70X78 millisecondi, ovvero 1,3X1,4 miliardi di km assumendo come distanza 390 anni-luce. Questi valori sono invece di 76X91 millisecondi per W Hydrae, con dimensioni lineari simili a quelle di R Leonis. Se fossero al posto del Sole, entrambe queste stelle si estenderebbero ben oltre l'orbita della Terra, fino quasi a giungere a quella di Giove] Le stelle come il Sole alla fine si trasformano in giganti rosse. Uno stadio cruciale in questo processo, durante il quale le stelle proiettano i loro strati esterni nello spazio producendo le nebulose planetarie, è occupato dalle variabili tipo Mira. La loro pulsazione, con un periodo di circa un anno, e la loro forte variazione in luminosità (di un fattore di alcune migliaia) distingue le stelle tipo Mira dalle altre e le rende importanti indicatori del processo di evoluzione stellare. Queste nuove osservazioni del telescopio spaziale, coadiuvate da altre fotometriche fatte da terra in luce visibile e infrarossa, sono le prime di un programma della durata di un anno per controllare le variazioni nei diametri e nelle forme di queste stelle mentre pulsano. Walter Ferreri


IL FENOMENO «GOCCIA FREDDA» Bombe meteorologiche L'origine dei mega-temporali estivi
Autore: MERCALLI LUCA

ARGOMENTI: METEOROLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Origine di una struttura temporalesca

NUBIFRAGI come quelli che hanno colpito la Versilia in giugno e il Verbano l'altra settimana, hanno portato alla ribalta il problema della previsione delle precipitazioni estreme. Di solito, quando sono di breve durata (qualche ora), queste piogge sono frutto di grandi celle temporalesche il cui sviluppo, pur essendo controllato da situazioni meteorologiche a scala regionale (mesoscala), è fortemente condizionato da fattori locali, in primo luogo l'orografia. Una delle situazioni più favorevoli allo sviluppo di piogge brevi e intense in area mediterranea è rappresentato da una saccatura (area di bassa pressione) che affonda una lama di aria fredda artica da Nord verso Sud. Spesso, l'estremità della saccatura tende ad isolarsi creando la cosiddetta «goccia fredda» in quota, una vera e propria bomba meteorologica nella quale i temporali trovano le migliori condizioni di sviluppo. Gli eventuali rilievi montuosi generano convergenze delle correnti al suolo che innescano la convenzione, cioè il movimento dell'aria bassa verso l'alto. Le strutture temporalesche che interessano aree ampie, superiori a 1000 km2, sono note come «Mesoscale Convective System» (Mcs). Accade frequentemente che tali celle temporalesche osservate dal satellite mostrino una forma a pennacchio, come una «V» il cui vertice resta stazionario per ore (da 3 a 8) su una stessa zona, che coincide con la parte più elevata del cumulonembo, talora superiore al limite della troposfera (13.000 m), dove la temperatura è di circa -50 gradi. E' lì sotto che avvengono le precipitazioni più violente. I ricercatori francesi Barret, Jacq e Rivrain, in uno studio pubblicato recentemente su «Meteorologie» hanno battezzato questi temporali mediterranei «Sistemi convettivi rigeneranti quasi-stazionari a mesoscala» o «Sistemi rigeneranti a V». La formazione di queste vere e proprie torri d'acqua è favorita dalla divergenza in quota di una veloce corrente a getto: là dove il flusso si biforca i movimenti convettivi sono stimolati dalla formazione di una depressione locale. La materia prima del temporale è fornita dall'alimentazione continua nei bassi strati di aria calda e molto umida, ingrediente non difficile da procurare in zone prossime al mare, come è accaduto in Versilia. L'aria umida e tiepida, già di per sè più leggera di quella circostante, viene letteralmente aspirata dalla depressione in quota e subisce un rapido raffreddamento. La condensazione che ne deriva genera le precipitazioni, immediate e violentissime. A differenza dei normali temporali termoconvettivi che di solito si esauriscono in meno di un'ora, il sistema a V si autoalimenta per ore, e la sua stabilità su una data zona è favorita dal rilievo montuoso che può incanalare le correnti in vie preferenziali. Uno dei casi più studiati che ha permesso l'affinamento di questa teoria è stato il nubifragio del 22 settembre 1993 a Vaison-la-Romaine, nella Francia meridionale: 200 mm in 3 ore causarono la distruzione del borgo con oltre 10 vittime. Stessa genesi è stata attribuita all'alluvione di Nimes del 3 ottobre 1988: 420 mm in 8 ore. Fra i primati italiani ricordiamo i 970 mm di Genova-Bolzaneto caduti il 10 ottobre 1970, o i 534 mm in 7 ore registrati a Lavagnina, sull'Appennino ligure, il 13 agosto 1935: in quest'ultimo caso la tracimazione della diga di Ortiglieto causò oltre 100 morti nell'Ovadese. Ma scorrendo gli annali della meteorologia mondiale, troveremo una delle massime intensità di pioggia a Fussen, in Baviera, dove il 25 maggio 1920 caddero 126 mm in solo 8 minuti. Per stabilire il record del mondo in 24 ore bisogna spostarsi alle isole della Reunion, nell'Oceano Indiano: 1870 mm a Cilaos tra il 15 e il 16 marzo 1952. La conoscenza dei meccanismi fisici che governano questi fenomeni ha fatto grandi progressi e consentirà di migliorare la previsione, traguardo che resta però difficile da raggiungere in termini di definizione precisa del dove e del quando. Luca Mercalli


SCAFFALE Bertin Giuseppe e Lin C. C.: «Spiral Structure in Galaxis. A density wave theory», Mit Press, Cambridge, Massachusetts
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA

Le galassie a spirale sono state a lungo un enigma non soltanto dell'astrofisica ma anche della dinamica: come possono decine di miliardi di stelle orbitare secondo le leggi di Keplero senza far avvitare su se stessi i bracci a spirale? Ipotizzando «onde di densità» analoghe a quelle osservate in idrodinamica, il problema è stato risolto da studiosi come Lindbland, Shu, e C.C. Lin, ai quali si è unito più recentemente Giuseppe Bertin, professore alla Scuola Normale di Pisa. Proprio Lin e Bertin hanno appena pubblicato presso la prestigiosa Mit Press un libro che riassume i risultati ottenuti dagli Anni 60 a oggi nelle ricerche sui moti interni delle galassie: pagine che tengono conto anche delle esigenze della divulgazione, e che quindi meriterebbero di trovare un editore disposto a produrne una traduzione in italiano. Piero Bianucci


SCAFFALE A cura di Ceruti Gianluigi: «Aree naturali protette», Editoriale Domus
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Il 6 dicembre 1991 veniva approvata la legge 394 per la tutela della bellezza del paesaggio e l'istituzione delle aree naturali protette in Italia. Fu una vera e propria svolta culturale, che segnò il passaggio da una mentalità di rapina della natura a una mentalità di conservazione. Gianluigi Ceruti, «padre» di quella legge, introduce ora un volume nel quale 19 autori ne analizzano, commentano e interpretano ogni articolo: uno strumento indispensabile prima di tutto per gli amministratori e tutti coloro che lavorano direttamente o indirettamente in campo ambientale, ma utile anche al comune cittadino che desidera essere attivo nella difesa dell'ambiente. La nuova edizione è corredata da un floppy disk sui «Parchi nazionali d'Italia».


SCAFFALE Thompson Larry: «Correggere il codice», Garzanti
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: GENETICA
LUOGHI: ITALIA

Si conoscono circa cinquemila malattie di origine genetica e quasi tutte fino ad oggi non hanno avuto molte speranze di cura. Ma siamo a una svolta decisiva. Il patrimonio ereditario dell'uomo è stato quasi completamente decifrato, ogni giorno si scopre qualcuno dei nostri centomila geni e le prime terapie geniche sono state avviate con successo. Questo libro rende comprensibile al grande pubblico la svolta in atto. La prefazione è di Renato Dulbecco, premio Nobel e promotore del Progetto Genoma Umano.


SCAFFALE Dunbar Robin: «Non sparate sulla scienza», Longanesi
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA

Con i volumi «Non sparate sulla scienza» di Robin Dunbar e «Poesia dell'universo» di Robert Osserman l'editore Longanesi ha dato il via a una collana che si propone di promuovere nel nostro Paese una vera e propria campagna di alfabetizzazione scientifica. Tra i molti temi, Dunbar affronta anche quello della divulgazione e della sua importanza perché l'intera società si senta corresponsabile delle ricerche finanziate con il denaro pubblico.


SCAFFALE Autori vari: «Animali misteriosi, insoliti, bizzarri», Calderini
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

IL pipistrello vampiro, il solo mammifero che si cibi soltanto di sangue, in 15 minuti estrae alla sua vittima una quantità di sangue superiore al proprio peso. La caverna di Carlsbad nel Nuovo Messico ospita la più grande concentrazione di pipistrelli del mondo: più di un milione di esemplari. L'anguilla elettrica può emettere una scarica da 500 volt. La sterna artica compie ogni anno 35 mila chilometri per riprodursi. Il pesce più fertile è il pesce luna: una femmina porta a maturazione fino a 30 miliardi di uova per volta. Il tacchino australiano nasce già completamente coperto di piume. Sono alcuni «primati» riportati in un curioso libro dedicato ai 230 animali più sorprendenti per le loro caratteristiche o per il loro comportamento. Molto belle le illustrazioni, testo asciutto, scheda della specie.


Guidoni, il nostro inviato in orbita
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
PERSONE: GUIDONI UMBERTO
NOMI: CHELI MAURIZIO, MALERBA FRANCO, GUIDONI UMBERTO
LUOGHI: ITALIA

UMBERTO Guidoni (nella foto accanto), autore di questo articolo sul progetto di nuovo space shuttle americano, riprende la collaborazione con le nostre pagine scientifiche dopo la forzata interruzione dovuta alla sua partecipazione alla missione a bordo della navetta spaziale, nel febbraio scorso. Secondo astronauta italiano, Umberto Guidoni, insieme con Maurizio Cheli, altro astronauta italiano ma appartenente alla squadra dell'Esa, ha condotto sullo Shuttle gli esperimenti con il «Tethered», il «satellite al guinzaglio» per produrre energia elettrica nello spazio, di concezione e realizzazione italiane. Nato a Roma il 18 agosto 1954, Guidoni è laureato in astrofisica e ha svolto ricerca prima sulla fusione termonucleare al Cnen, poi all'Euratom. Passato all'Enea, ha lavorato al progetto di pannelli fotovoltaici. Nel 1984 è divenuto responsabile di ricerca all'Istituto di fisica spaziale del Cnr a Frascati, e qui ha incominciato a studiare i «sistemi a filo» spaziali che hanno avuto nel «satellite al guinzaglio» la prima sperimentazione in orbita. Selezionato dall'Asi come astronauta, ha avuto il ruolo di «riserva» di Franco Malerba nel primo volo «Tethered», dell'agosto 1992. E' sposato e ha un bambino, Luca, nato proprio nei giorni di quella prima missione.


VANCOUVER Con un triplo attacco l'Aids K.O.?
Autore: VERNA MARINA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: PANTALEO GIUSEPPE, FAUCI ANTHONY, GALLO ROBERT, MONTAGNIER LUC
LUOGHI: ITALIA

SCOPERTE significative, ma non ancora cure radicali. L'XI congresso mondiale dell'Aids, che si è tenuto a Vancouver la settimana scorsa, ha segnato una svolta decisa nella malattia: dal pessimismo degli scorsi anni, quando ogni nuova terapia rivelava rapidamente i suoi limiti e il virus appariva sempre più inafferrabile nelle sue continue mutazioni, alla speranza che la nuova combinazione di tre classi di farmaci possa essere quella risolutiva. Le scoperte arrivano soprattutto da due piccolissimi studi clinici condotti a New York - nove pazienti all'Aaron Diamond Aids Research Center e sette alla NY University. In entrambi i casi sono stati somministrati due vecchi farmaci, AZT e 3TC, che attaccano una componente enzimatica del virus nota come transcriptasi inversa, in combinazione con un inibitore di un altro enzima, la proteasi. E' questa triplice associazione a far la differenza rispetto a prima: reagire contemporaneamente a tre aggressioni, e in tre momenti diversi del ciclo di replicazione, dal momento dell'ingresso nella cellula fino all'esplosione nelle diverse particelle virali, sembra essere un compito troppo difficile anche per un virus versatile e imprevedibile come l'HIV. I ricercatori sono ovviamente entusiasti dei risultati, ma cauti nell'interpretarli. E' vero che dopo un periodo abbastanza importante - 300 giorni nel primo studio, 48 settimane nel secondo - non ci sono tracce del virus nel sangue nè nei linfonodi, uno dei suoi rifugi prediletti. Ma questo non basta: il virus potrebbe essersi nascosto altrove, magari nel cervello, in attesa di un'occasione più propizia per rivelarsi di nuovo. Inoltre non si sa se nel tempo nuovi ceppi virali non svilupperanno una resistenza anche a questa classe di farmaci, rendendo così inutile la cura. In terzo luogo, il trattamento contempla almeno una quindicina di pillole al giorno, da prendere in orari precisi, spesso a stomaco vuoto, con effetti collaterali pesanti e fastidiosi. Richiede quindi una grande motivazione e una forte dedizione da parte del paziente, al quale tra l'altro si chiede di iniziare la cura il più presto possibile, cioè entro 90 giorni dall'infezione. Quarto, e non certo secondario elemento, la cura è costosissima: 15 mila dollari l'anno. Ora si tratta di capire se e quando è possibile interrompere la terapia. All'Aaron Diamond progettano di continuare la cura per un anno: se neppure allora nei linfonodi ci sarà traccia di virus - e i test usati per identificarlo sono oggi molto precisi - prenderanno la difficile decisione di rischiare una pausa nella somministrazione dei farmaci. Il fatto è che nessuno ora è in grado di prevedere se esistano altri «nascondigli» del virus o se test ancora più accurati non possano invece rivelarne quantità oggi irrilevabili. La triplice terapia è stata la novità più vistosa e promettente ma non è la sola. Gli immunologi, e tra questi un italiano di punta, Giuseppe Pantaleo, che lavora con Anthony Fauci al National Institute of Health di Bethesda (ma presto lascerà l'America per Losanna), non credono all'ipotesi di «eradicazione» del virus con questo potente arsenale farmacologico. Certo, non negano gli effetti portentosi della terapia triplice, ma pensano che essa vada accompagnata e combinata con un trattamento «biologico», cioè con sostanze prodotte dall'organismo per combattere l'infezione: co-recettori, chemiochine, interferone. Sul terreno della terapia si replica dunque l'antico duello a proposito dell'origine della malattia: il virus HIV è la causa o la spia dell'Aids? In altre parole, la malattia nasce perché un aggressore esterno entra nell'organismo (ipotesi di Robert Gallo) o perché il sistema immunitario per qualche suo ancora misterioso cedimento non è in grado di proteggersi (ipotesi di Luc Montagnier)? E dunque: basta uccidere il virus o non occorre invece intervenire sul sistema immunitario? E qui si ritorna all'ipotesi del vaccino, che sembra essere l'unica autentica soluzione, ma anche la più difficile. Attualmente 16 nuove sostanze - scelte tra le centinaia ipotizzate in laboratorio - vengono testate su circa 1700 persone con risultati interessanti: le nuove infezioni sono state mediamente il 5 per cento. Ora bisognerebbe passare a test su larga scala, ma le autorità americane continuano a bloccarli perché ritengono ancora troppo alti i costi e troppo basse le probabilità di successo. Marina Verna


SI CHIAMERA' «VENTURESTAR» Ecco lo shuttle del futuro Nel 1999 il primo volo sperimentale
Autore: GUIDONI UMBERTO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TECNOLOGIA
NOMI: GORE AL
ORGANIZZAZIONI: NASA, LOCKHEED MARTIN
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Shuttle «VentureStar»

SI chiamerà «VentureStar» la nuova astronave che dovrà succedere allo «Space Shuttle»: pochi giorni fa il vicepresidente americano Al Gore ha annunciato che la compagnia Lockheed-Martin è stata scelta dalla Nasa per la realizzazione del prototipo, per ora indicato ufficialmente con la sigla «X-33». Quello di un lanciatore riutilizzabile di nuova concezione è un progetto cui la Nasa sta lavorando da tempo. Sono passati più di venticinque anni dalla progettazione dello space shuttle ed è venuto il momento di pensare a quello che sarà il sistema di lancio avanzato della prossima generazione. Il programma Rlv - dalle iniziali del termine inglese «Reusable Launch Vehicle» - prevede, nella prima fase, la realizzazione di un prototipo in scala 1:2 per mettere alla prova le nuove tecnologie che saranno necessarie per la realizzazione del veicolo commerciale, destinato a diventare il mezzo di trasporto spaziale del prossimo secolo. Il prototipo - del quale presentiamo in anteprima il design - sarà costruito a tempo di record. Il primo volo di prova è previsto già per il marzo 1999 e ben quindici voli sono previsti in quello stesso anno. Questo prototipo, che sarà pilotato a distanza, è destinato a fornire dati sulle caratteristiche di volo nella zona suborbitale - circa 80 chilometri di altezza - nei regimi di velocità fino a Mach 15, vale a dire 15 volte la velocità del suono - cioè circa fino a 15.000 chilometri all'ora. Il progetto della Lockheed- Martin è fortemente innovativo sotto molti punti di vista ma l'aspetto più rivoluzionario è l'abbandono della tecnologia tradizionale, in auge sin dagli inizi del volo spaziale, che utilizza più stadi, e diversi sistemi di propulsione, per raggiungere l'orbita. Il «VentureStar» invece prevede l'uso di un unico motore - denominato «aerospike» - per tutte le fasi del volo, dal decollo all'inserimento in orbita. Altra novità di rilievo è la forma stessa del velivolo, una via di mezzo fra un razzo e un aeroplano: pur non avendo vere e proprie superfici aerodinamiche come lo shuttle, «VentureStar» sarà in grado di atterrare come un aereo e sarà lanciato verticalmente come un razzo. Infine, lo scudo termico del nuovo velivolo, necessario per proteggerlo dal calore dell'attrito con l'atmosfera durante il rientro, rappresenta una ulteriore innovazione: non più le piastrelle isolanti, come quelle usate per lo shuttle; un sistema efficace ma troppo delicato e costoso. Al suo posto uno strato metallico di nuova concezione, in grado di semplificare le operazioni a terra riducendo sensibilmente i costi di gestione. Già, perché l'aspetto economico è centrale in tutto lo sviluppo del nuovo lanciatore riutilizzabile. L'amministratore della Nasa Goldin ha sottolineato esplicitamente questo aspetto quando ha indicato che l'obiettivo principale del programma Rlv è di realizzare un veicolo capace di «portare in orbita un carico utile al costo di 2000 dollari al chilo invece degli attuali 20.000». Ma l'economicità non è l'unico criterio di riferimento per i tecnici che dovranno realizzare il nuovo «X-33». Un altro aspetto di grande importanza è l'affidabilità delle tecnologie utilizzate, che dovrebbe ridurre drasticamente i tempi di manutenzione a terra ed i controlli necessari per le operazioni di lancio. Si vuole realizzare una macchina capace di volare tre- quattro volte al mese gestita da un team di alcune decine di tecnici, in grado di controllare tutte le fasi del volo. Per capire che si tratta di un programma molto ambizioso, basta paragonarlo con la situazione attuale delle missioni shuttle: dopo ogni volo, la navetta richiede un periodo di manutenzione di circa tre mesi e le operazioni di preparazione per il lancio richiedono un team di qualche migliaio di persone fra operai e tecnici. Il futuro lanciatore riutilizzabile inaugura anche un nuovo stile di gestione della Nasa. In questo programma l'agenzia spaziale americana ha il ruolo di sviluppare quelle tecnologie innovative che l'industria da sola non sarebbe in grado di affrontare per gli alti rischi ed i costi conseguenti. Ma una volta che la nuova tecnologia è diventata disponibile, spetta all'industria privata il compito di costruire e di far operare il veicolo spaziale. La Nasa sarà certamente fra gli utenti del nuovo mezzo di trasporto spaziale con equipaggio, ma non sarà responsabile delle operazioni. E' un ulteriore passo verso la commercializzazione dello spazio, che è cominciata da qualche anno e ha subito una brusca accelerazione in conseguenza della crescita esponenziale delle telecomunicazioni. La televisione via satellite e la telefonia cellulare rappresentano un mercato in espansione frenetica ma già si affacciano nuovi settori: i gestori degli accessi ad Internet puntano allo spazio per migliorare ed estendere i servizi disponibili. Con questo mercato potenziale gli Stati Uniti scommettono su un vettore in grado di abbattere drasticamente i costi di trasporto, così da aprire l'accesso allo spazio per settori sempre più vasti dell'economia mondiale. Questo nuova gestione dell'agenzia americana sembra avere prodotto un primo risultato: i tempi tecnici per il bando di concorso e la selezione finale sono stati di appena novanta giorni. Un risultato possibile anche grazie all'introduzione delle nuove tecnologie multimediali e dei network informatici. Per la prima volta si è trattato di un processo completamente computerizzato, senza le montagne di documenti che hanno tradizionalmente accompagnano questo genere di progetti industriali. Ciascuna delle proposte presentate dalle tre ditte concorrenti - oltre alla Lockheed-Martin, la McDonnel Douglas e la Rockwell International - era contenuta su un compact disc e il processo di valutazione da parte del gruppo di esperti è avvenuto «on-line» sugli schermi dei computers, con commenti scambiati sulla rete, avendo a disposizione - in tempo reale - lo stato del processo di revisione. Con il programma «X-33» la Nasa tenta una nuova sfida tecnologica per rilanciare l'industria spaziale nazionale ma sembra indicare anche un approccio diverso per l'accesso allo spazio. Sarà sempre meno prerogativa di un ristretto numero di astronauti professionali e sempre più un servizio gestito da compagnie private, in grado di fornire opportunità di volo a un pubblico più vasto. Dunque, occhio agli annunci delle compagnie di viaggio] Fra non molto si potrà acquistare un biglietto per andare in orbita. Umberto Guidoni astronauta


NUOVA ZELANDA Kiwi, kakapo e takahe, uccelli quasi estinti Gli ultimi esemplari sopravvissuti si possono vedere solo negli zoo
Autore: MORETTI MARCO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

VOLARE è il più antico sogno dell'uomo ma gli uccelli, se potessero, diventerebbero terricoli. Lo dimostra l'evoluzione di alcuni pennuti della Nuova Zelanda che, come conseguenza dell'assenza di mammiferi (limitati a due specie di pipistrelli) e di predatori, abbandonarono il volo per evitare il forte dispendio di energia che esso richiede in una terra molto battuta dai venti. Abbandonarono anche i rami degli alberi e costruirono i loro nidi in affossamenti nel terreno. Questa scelta modificò la loro struttura fisica: le ali si atrofizzarono fino a scomparire e il corpo si appesantì. Erano il kiwi (Apteryx au stralis), il simbolo della moderna Nuova Zelanda; il moa (Di nornis Struthoides), un enorme uccello corridore; il takahe (Notornis mantelli), un rallide dalle piume blu, il becco rosso e le dimensioni di un pollo; e il kakapo (Strigops habroptilus), l'unico pappagallo non volante del mondo, goffo, grasso e lungo 63 centimetri, con un piumaggio verde e giallo. All'arrivo dei Maori (1350 d.C.), il moa era presente nelle due isole in undici sottospecie. Il moa gigante raggiungeva i tre metri d'altezza per 240 chili di peso: era l'uccello più grande del mondo, perché lo struzzo non supera i due metri e mezzo. Essendo la migliore occasione di rifornirsi di carne, i maori lo cacciarono con tutti i mezzi: incendiarono ampi tratti di foreste per stanare l'animale, rendendo calve intere zone dell'Isola del Nord, e inseguirono gli ultimi esemplari fino alle aree più remote e gelide dell'Isola del Sud. All'arrivo degli inglesi il moa era già estinto da tempo. La sua scomparsa, come quella di diverse specie di uccelli endemici, oltre che dalla caccia e dalla distruzione del suo habitat, fu provocata dall'introduzione di topi e cani dalla Polinesia, che saccheggiavano i loro nidi. La deforestazione dei maori continuò per secoli per fare spazio alla loro civiltà contadina e guerriera. E l'impatto ambientale provocato dagli inglesi nel primo quarto di secolo di colonizzazione fu superiore ai danni fatti dai maori in un millennio. I coloni tagliarono gran parte delle foreste (resta solo il 23 per cento di quelle originaria) e attuarono una delle più rozze e radicali trasformazioni biogeografiche sperimentate sul pianeta. Nel secolo scorso alterarono completamente l'ecosistema delle due isole introducendo gatti, conigli, ermellini, opossum, pecore, capre, vacche, cervi, alci, daini, camosci e roditori. L'importazione di 53 specie di mammiferi ha provocato l'estinzione di 90 specie di uccelli: impotenti di fronte ai predatori che distruggevano i loro nidi e incapaci di competere con i mammiferi terrestri nella ricerca del cibo. Nel 1882 fu promulgata in Nuova Zelanda la prima legge per la salvaguardia della fauna, e dal 1953 l'intera fauna autoctona è protetta. Ma il numero di kiwi, kakapo e takahe è ormai così limitato che per vederne un esemplare bisogna andare allo zoo. Marco Moretti




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