TUTTOSCIENZE 26 giugno 96


INDIRIZZI UTILI Navighiamo nell'Exploratorium Visite virtuali ai musei di carattere scientifico
Autore: PEIRETTI FEDERICO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI
ORGANIZZAZIONI: INTERNET
LUOGHI: ITALIA

UN buon punto di partenza per una navigazione in Internet alla ricerca della scienza in rete è l'«Exploratorium» di San Francisco: http://www.exploratorium.edu/. Il celebre museo, accanto agli spazi tradizionali, ha introdotto un'ampia sezione elettronica, battezzata «Exploranet». Dalla pagina iniziale si passa alla rivista multimediale dell'Exploratorium che presenta ogni mese alcuni argomenti scientifici di attualità, con tutti i collegamenti necessari per ogni ulteriore approfondimento. L'archivio della rivista, disponibile in rete, offre enormi possibilità di aggiornamento su ogni argomento. L'Exploratorium cura inoltre un prezioso elenco, continuamente aggiornato, dei più importanti indirizzi scientifici. Una sezione più scolastica presenta una serie di esperimenti riguardanti fenomeni ottici e acustici che gli insegnanti sono invitati a portare in classe. Da non perdere inoltre la mostra dedicata a Nagasaki, con le foto straordinarie di Yosuka Yamahata, fotografo ufficiale dell'esercito giapponese. L'Exploratorium partecipa al Science Learning Network, uno dei tanti progetti di educazione in rete: http://sln.fi.edu/tfi/sln/sln.html. Da questo sito ci si può collegare con gli altri musei della scienza interessati al progetto, come il Franklin Institute Science Museum di Filadelfia: http://sln.fi.edu/tfi/welcome.html Il primo collegamento della pagina principale di questo museo è dedicato naturalmente alla presentazione della vita e delle opere di Benjamin Franklin, che visse molti anni a Filadelfia. Si passa poi alla rassegna delle mostre e dei convegni organizzati dal museo, con molti materiali disponibili in rete. Una sezione riguarda gli articoli scientifici del «Philadelphia Inquirer», uno dei giornali della città, disponibile gratuitamente in rete: http://www. phillynews.com/ Gli articoli del giornale vengono trasformati in ipertesti rimandando, per i termini più significativi, a nuovi siti sull'argomento. Sono infine da segnalare le pagine accurate sulle ricerche della vita nello spazio, con una visita virtuale a un immaginario pianeta abitato. Molto ricche anche le pagine sul cuore e la circolazione del sangue che offrono l'opportunità di entrare nei principali centri di ricerca e di ricuperare la documentazione più aggiornata. Si trovano, ad esempio, i risultati più recenti sullo studio delle diverse malattie del cuore, gli esami consigliati per tenerlo sotto controllo, gli esercizi utili per mantenerlo in forma e le diete migliori, suggerite dal National Institute of Health: http://www.nih.gov/ Federico Peiretti


NEWS Sulla Rete la scienza è «Galileo»
Autore: GALANTE LORENZO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI
ORGANIZZAZIONI: INTERNET, GALILEO
LUOGHI: ITALIA

DA qualche settimana è apparso su Internet «Galileo», il primo giornale italiano di scienza e di problemi globali, fondato da un gruppo di giornalisti scientifici in collaborazione con un gruppo di scienziati di fama internazionale. Concepito fin dall'inizio per la comunicazione in rete, «Galileo» è suddiviso in tre settori principali, che presentano tempi di aggiornamento e modalità espressive differenti. Ad una serie di notizie (news), rinnovate quotidianamente e garantite da un autorevole comitato scientifico, seguono inchieste e dibattiti settimanali su problemi globali, con una particolare attenzione ai Paesi in via di sviluppo (magazine). L'ultimo appuntamento (jour nal), a cadenza mensile, riserva approfondimenti delle tematiche più attuali con saggi d'autore da stampare su carta, dopo averli scaricati sul proprio computer. Gli argomenti proposti e i collegamenti previsti con altri nodi della rete guidano il lettore in un viaggio attraverso i temi della ricerca scientifica e tecnologica, senza tralasciare gli aspetti della politica della scienza. Non mancano poi le aree di discussione su temi specifici promossi da «Galileo»: si tratta di forum ad invito, a cui partecipano ricercatori ed esperti di tutto il mondo. Tra i servizi offerti da segnalare l'archivio, messo a disposizione di tutti i lettori e composto da una banca dati ricca e aggiornata di testi e immagini, e l'iniziativa multimedia che propone una panoramica sui filmati e sulle fotografie scientifiche più belle, disponibili in rete o appositamente realizzate per «Galileo». Ecco dunque un modo intelligente per utilizzare Internet, che potrebbe anche essere adattato dalle scuole per l'aggiornamento culturale degli insegnanti e degli studenti. L'accesso è gratuito, «Galileo» vi aspetta a questo indirizzo: www.galileo.webzone.it Lorenzo Galante


PRO & CONTRO Psicopatologia di Internet Ne parliamo con Aldo Carotenuto
Autore: ROTA ORNELLA

ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI, PSICOLOGIA
NOMI: CAROTENUTO ALDO
LUOGHI: ITALIA

SENSO di onnipotenza con relative frustrazioni, tendenza a privilegiare la parvenza di dialogo fornita dal computer rispetto ai rapporti umani reali, possibilità che il mezzo finisca per diventare più importante del fine: sono queste secondo Aldo Carotenuto - professore di psicologia della personalità all'Università di Roma, punto di riferimento degli junghiani italiani, autore di saggi tradotti in varie lingue - le principali ragioni di perplessità dell'impatto con Internet. Per il resto, è chiaro che Internet «è solamente un servizio, uno strumento che sarà buono o cattivo a seconda dell'uso che ne verrà fatto» e che «a parità di condizioni, una persona capace di usarlo rende di più» . Banche dati complete di tutte le notizie possibili e immaginabili (a volte anche non immaginabili) sulla materia che di volta in volta interessa. Bibliografie la cui compilazione richiederebbe anni di lavoro. Selezione di testi attraverso la consultazione degli archivi più forniti del mondo. E, trasposte su disco, migliaia e migliaia di pagine nelle quali si può, in qualsiasi momento, localizzare un determinato concetto o vocabolo. «Questi mezzi ci fanno sentire padroni e signori assoluti», commenta lo psicoanalista. Ci sono risvolti positivi: «Senza un sentimento di onnipotenza, il bambino, nel suo progressivo avanzare nel mondo degli adulti, incontrerebbe enormi difficoltà. Il bambino deve poter credere di avere il potere di controllare la realtà, e, per quanto possa sembrare strano, è a questa lontana illusione che l'adulto attinge per portare a compimento imprese memorabili e portentose come il folle volo di Ulisse». E ci sono risvolti negativi: «La smania di ricerca e di approfondimento può trasformarci tutti in velieri erranti, eroi sempre in viaggio ma senza meta. Il termine navigare è efficace per indicare la strana sensazione che un utente di Internet prova mentre, di passaggio in passaggio, potremmo dire di porto in porto, arriva dall'altra parte del mondo per consultare un archivio o una biblioteca». La finora scarsa padronanza tecnica non consente infatti di trovare subito quel che si cerca. Continuamente incontriamo sul nostro percorso, o passando da una banca dati a un'altra, una straordinaria serie di informazioni, notizie, richiami, spunti, stimoli a ulteriori approfondimenti. Carotenuto fa quest'esempio: «Immaginiamo che la rete telefonica sia stata inventata oggi, sia già lì pronta, che tutti abbiano un telefono, ma che non ci siano elenchi nè pagine gialle. Per riuscire a trovare il numero di qualcuno che abita a Roma, e chiamarlo, si deve passare magari per il Giappone e parlare con molte persone diverse e sconosciute, magari anche interessanti, sparse in tutto il mondo». Il pericolo è di perdersi lungo la strada, trascorrendo un tempo indefinito davanti al video, più per passare la giornata (o la nottata) che per cercare qualcosa. La straordinaria occasione di conoscenza si mortifica così in gioco sterile, fine a se stesso; la massa di dati a disposizione con la relativa gamma di significati possibili può avere l'effetto di paralizzarci. «Le scienze etologiche», continua Carotenuto, «ci insegnano che un sistema adoperato dagli animali per non essere vittime dei predatori è quello di stare sempre in gruppo, non perché esso rappresenti una forza, ma in quanto il grande numero disorienta il predatore». Di fianco a ragioni concrete di perplessità, ci sono paure e slanci irrazionali. C'è chi vive Internet come un incubo, e teme conseguenze di isolamento, alienazione, alterazione del senso del tempo e dello spazio e persino dei bioritmi, spunti maniacali e addirittura l'affiorare di tendenze suicide: «Pur non escludendo alcuni casi limite, questi discorsi mi fanno venire in mente le paure di chi a suo tempo credeva che i treni avrebbero avvelenato la vegetazione. Chi si chiude in casa privilegiando la parvenza di dialogo offerta dai computer rispetto alla densità complessa dei rapporti umani, aveva già problemi ben prima della comparsa di Internet». Speculari entusiasmi inducono altri a gridare al miracolo: Internet ha di colpo spalancato le strade del mondo, la curiosità di percorrerle diventa esaltante, divorante. «Risponderei facendo presente che nessun aggeggio elettronico al mondo», commenta Carotenuto, «potrà mai sostituirsi a quell'«intelligenza affettiva» tipicamente ed esclusivamente umana la quale, attraverso l'elaborazione anche emotiva di dati e informazioni, consente di proporre soluzioni e significati nuovi, originali». Eppure in tanti rifiutano persino di provare a imparare i computer, hanno come una sorta di blocco generalizzato. «E' una questione di pigrizia intellettuale, la non conoscenza intimorisce», afferma lo psicoanalista. E nel caso di persone abituate a studiare o comunque a concentrarsi, riflettere, magari per 10-12 ore al giorno? «Anche. Sia pure intensa, la loro attività si svolge infatti in un'unica scia; usare un computer sarebbe una modalità diversa, romperebbe la continuità. Il cervello è come un muscolo; se non è allenato a questo tipo di sforzi li respinge subito». Non ci sarà anche un fondo di sostanziale diffidenza verso tutto ciò che è nuovo? «Preferirei riferirmi alla dimensione curiosità. Ci sono persone che a 20 anni sono già depresse, non si aprono più a nulla. Altre invece rimangono curiose fino a 70 e più; le riconosci anche dalla fisionomia, conservano sempre dei tratti giovanili; noi usiamo il termine neotenia. Provano tutto ciò ch'è nuovo, non hanno paura di buttarsi in iniziative, esplorare orizzonti, amare la vita e l'amore, nè di essere tacciate di superficialità, nè dell'invidia che il loro atteggiamento può suscitare». Non hanno paura di vivere, in definitiva. Che anche il nuovissimo problema di come vivere Internet rimandi al più antico dei mali umani? Ornella Rota


TELECOMUNICAZIONI 2000 Cavo, fibra o satellite? Non importa, purché il segnale sia digitale
Autore: MEO ANGELO RAFFAELE

ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI
NOMI: NEGROPONTE NICHOLAS
LUOGHI: ITALIA

UNA antica barzelletta descrive un manicomio dove gli ospiti fissi hanno deciso di attribuire un numero di codice distinto a ciascuna delle molte migliaia di barzellette che conoscono. Così quando un degente decide di raccontare una barzelletta agli amici non è costretto a riproporre tutta la storia in dettaglio, ma può semplicemente pronunciare il numero di codice attribuito a quella barzelletta. Il protagonista della storia - un visitatore ignaro della vita del manicomio - prova allora a raccontare ai matti una barzelletta pronunciando un numero a caso. Ma nessuno ride. La ragione è evidente: «Le barzellette bisogna saperle raccontare». Questa annosa barzelletta descrive in modo fedele la situazione attuale della cosiddetta multimedialità per almeno due ragioni. La prima è che i principali protagonisti della multimedialità moderna - le tecnologie per la registrazione, la gestione e la trasmissione dei dati - «danno i numeri» o «daranno i numeri» come gli ospiti del manicomio, ossia lavorano su numeri e trasmettono solo numeri. In teoria, il concetto non è nuovo, nel senso che, ad esempio, una nota musicale è il codice numerico di un suono e uno spartito è quindi una sequenza di numeri. Ma lo spartito musicale descrive nello stesso modo il minuetto di Boccherini suonato da Uto Ughi e quello suonato da Meo, che non sono la stessa cosa. Invece, con le moderne tecnologie multimediali, il minuetto interpretato da Uto Ughi è riprodotto con fedeltà quasi perfetta, come descriviamo in un altro articolo. Il problema di «saperle raccontare, le barzellette» non si pone più. La seconda ragione dell'analogia fra la situazione della barzelletta sui pazzi e quella della multimedialità è che lo scenario tecnologico e industriale di quest'ultima è diventato un manicomio. Per multimedialità intendiamo generalmente la capacità dei calcolatori e di altri oggetti tecnologici della stessa famiglia dei calcolatori di trattare e trasmettere in modo integrato testi, suoni, immagini filmati. Tuttavia, oggi, la parola multi medialità potrebbe anche riferirsi alla capacità dei diversi mezzi fisici - il doppino telefonico, il cavetto coassiale, l'etere, la fibra ottica - di trasmettere numeri e quindi di trasmettere tutto, dall'articolo scientifico al giornale, dal concerto ad alta fedeltà alla telecronaca della partita di calcio. Nicholas Negroponte, il popolare studioso di telecomunicazioni e informatica del Massachusetts Institute of Technolgy, ha sentenziato nel suo libro «Essere digitali» che entro qualche anno tutto ciò che attualmente va sul cavo andrà sull'etere e viceversa. Alludeva al fatto che la telefonia, nata sui cavi, con l'avvento del cellulare è passata all'etere, mentre la televisione, nata sull'etere, viene ora trasmessa via cavo. E' un'immagine semplificata della realtà che è divenuta molto più complessa, un autentico manicomio. Al manicomio tecnologico, che con dizione più elegante gli osservatori americani più attenti chiamano «convergenza», corrisponde un grande manicomio industriale e commerciale. L'intero mondo dell'informatica, delle telecomunicazioni, delle reti, dei servizi, dei divertimenti sembra impazzito. La trasmissione tv, come la telefonata, può arrivare via etere su ripetitori terrestri o satellitari oppure su cavo, su fibra ottica, oppure addirittura sul filo del telefono. Tutte le combinazioni di tecnologie, servizi, fornitori sono possibili: c'è, ad esempio, una wireless cable television, basata su una rete locale cellulare, e una cable assisted wire less telephony, ottenuta sposando il cellulare e i tradizionali impianti della tv via cavo. In Italia dal prossimo autunno le partite di calcio arriveranno ai telespettatori in molti modi diversi. Chi non si accontenterà della solita sintesi delle 19 sulla Rai, potrà scegliere una delle seguenti trasmissioni (se potrà permetterselo): la diretta su Telepiù il sabato e la domenica sera, via canali terrestri o satellari; la diretta «pay- per-view», personalizzata, la domenica pomeriggio, con scelta dell'utente della partita cui assistere, via satellite; la stessa trasmissione via fibre ottiche e cavi coassiali nelle città cablate o cablande. Per anni gli americani hanno snobbato la rete Isdn (Integra ted Services Digital Network) sino ad affermare che il senso della sigla fosse «Innovation Subscribers Don't Need» (gli utenti non hanno bisogno di innovazione). Improvvisamente nuovi strumenti e nuovi servizi costruiti sulla rete, e in particolare la teleconferenza, hanno reso preziosi i suoi servizi. Per esempio a partire dall'anno scorso alcuni professori del Politecnico di Torino fanno lezione agli allievi delle sedi decentrate in videoconferenza su Isdn. Nella follia generale spicca, per genialità, fantasia, fanatismo, quel grande bazar di idee, prodotti, servizi che è Internet. La tecnologia di Internet offre di tutto, compresa la teleconferenza con gli Stati Uniti al prezzo di una telefonata urbana. Su Internet c'è di tutto, dal giornale al concerto, dalla biblioteca alla pinacoteca, dalla vetrina al negozio. A Internet sono collegati milioni di uomini e donne in tutto il mondo a celebrare la libertà assoluta del pensiero senza regole. Peraltro, come dare regole a un manicomio, dove tutti fanno tutto? Lo stesso Presidente degli Stati Uniti, così attento in passato alle regole della competizione, ha rinunciato a regolamentare la multimedialità, lasciando che piccolissime imprese di due ragazzotti geni si scontrassero con le multinazionali dell'informatica e delle telecomunicazioni. Chi vincerà? Angelo Raffaele Meo Politecnico di Torino


NON SOLO ACQUARI Osservatori sotto il mare Per la scienza e il turismo istituiamo parchi marini
Autore: BONOTTO SILVANO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, PARCHI NATURALI, MARE, TURISMO
LUOGHI: ITALIA

BASTA andare in un negozio specializzato per procurarsi tutto il necessario per l'installazione di un acquario marino in casa. Potremo così ammirare numerose specie di variopinti pesci marini, che, pur trattati con tutte le cure, son ben lontani dalle condizioni del loro habitat naturale. Un acquario entro le mura domestiche avrebbe, secondo alcuni esperti, un effetto rilassante sul nostro organismo messo a dura prova dagli stress quotidiani. Ammettendo che ciò sia vero, ancora meglio sarà visitare uno dei tanti acquari aperti al pubblico, particolarmente attraenti soprattutto durante l'estate. Spesso è possibile anche portarsi a casa una videocassetta per rivedere con calma aspetti che sfuggono durante la visita. Davanti alle pareti vetrate di un grande acquario marino potremo imparare a riconoscere non solo le specie di pesci più frequenti nei nostri mari, ma anche alcuni esseri viventi particolari come le stelle marine, i ricci, gli anemoni di mare o le gorgonie. Non dobbiamo dimenticare, però, che gli animali che possiamo osservare negli acquari sono in cattività, spesso con uno spazio disponibile assai limitato. Dobbiamo, perciò immaginarceli nei loro habitat naturali, dove non sono più al guinzaglio ma liberi di muoversi e di vivere la loro normale vita ecologica. L'istituzione di parchi marini prevista nell'intero territorio nazionale dovrebbe assicurare a numerose specie proprio questa indispensabile libertà. E', poi, da augurarci che anche in Italia vengano costruiti degli osservatori sottomarini, come è già il caso di numerosi Paesi stranieri. Essi potrebbero avere un doppio ruolo, rispettivamente turistico e istruttivo. E' noto, infatti, che un osservatorio sottomarino è un'attrazione importante per un crescente numero di turisti. Inoltre, nei Paesi che ne sono dotati, intere scolaresche imparano a conoscere il misterioso mondo sommerso dagli oblò di questi osservatori sottomarini. Uno dei più belli al mondo è forse quello costruito a Eilat (Israele), sulle sponde del Mar Rosso, dal quale è possibile osservare le meraviglie della barriera corallina. Il nostro Paese ha splendidi siti marini, ricchi di specie animali e vegetali, dove un osservatorio sottomarino potrebbe essere installato senza sciupare l'ambiente circostante, anzi contribuendo alla sua conoscenza e quindi alla sua protezione. A livello nazionale, un simile progetto potrebbe essere realizzato congiuntamente dai ministeri che si occupano di turismo, ambiente, pesca e anche d'istruzione pubblica. Esso avrebbe anche il merito, tra l'altro, di creare nuovi posti di lavoro. Silvano Bonotto Università di Torino


SOCIALITA' IN NATURA Viviamo insieme, conviene a tutti e due Le varie associazioni nel mondo animale e vegetale
Autore: BENEDETTI GIUSTO

ARGOMENTI: ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

LE specie che popolano la Terra sono parecchi milioni: ognuna di esse ha un suo areale, cioè occupa una determinata zona della superficie terrestre, e ha un suo habitat, vive cioè in luoghi che hanno determinate caratteristiche. Facciamo un esempio. Il coccodrillo vive in quasi tutta l'Africa a Sud del Sahara: questo è dunque il suo areale. Ma non troveremo certo coccodrilli nel deserto del Kalahari o nelle foreste montane dello Zaire; li troveremo soltanto in quelle zone dell'Africa che sono ricche di fiumi, di laghi o di paludi. Fiumi, laghi e paludi sono dunque l'habitat del coccodrillo. Naturalmente, in uno stesso areale e in uno stesso habitat possono vivere molte specie. E' quindi abbastanza logico che individui di specie diversa vengano a contatto tra loro. Cosa succede in questo caso? Può accadere che una specie mangi l'altra. La zebra è un erbivoro e vive nelle savane africane; il leone è un carnivoro e vive lui pure nelle savane africane. Conclusione: il leone mangia la zebra. Può anche accadere che due o più specie, pur occupando lo stesso habitat, si ignorino completamente. Prendiamo ad esempio la zebra e la giraffa: vivono entrambe nella savana, sono entrambe erbivore ma si nutrono di cose diverse (l'una bruca l'erba, l'altra le foglie degli alberi di acacia), e possono coabitare tranquillamente senza importunarsi a vicenda. Il rapporto più frequente è tuttavia quello della competi zione, che si ha quando due o più specie sfruttano, ad esempio, le stesse risorse alimentari. Il leone e il licaone vivono entrambi nella savana africana e si nutrono entrambi di zebre, bufali o antilopi: è evidente che ciascuna delle due specie cercherà di catturare il maggior numero di prede, a danno dell'altra. Ma può pure succedere che due specie, che occupano lo stesso areale e lo stesso habitat, stabiliscano tra loro un rapporto di vita in comune, che non danneggia nessuna delle due e anzi, a volte, può essere vantaggioso per entrambe. Questo rapporto è detto simbiosi, e può essere di vari tipi. Si dice simbiosi mutualistica, o semplicemente mutualismo, una simbiosi in cui due specie vivono assieme con reciproco vantaggio. Gli esempi sono tanti, e possono riguardare associazioni tra animali, tra vegetali, tra animali e vegetali. Caso classico di simbiosi mutualistica è quello che si verifica tra le termiti e alcuni protozoi flagellati che vivono nel loro intestino: le termiti, come tutti sanno, si nutrono di legno, ma il loro apparato digerente non è in grado di digerire la cellulosa. Sono però in grado di farlo i flagellati che in esso vivono: da questa associazione traggono dunque vantaggio i protozoi, che vengono continuamente riforniti di cibo, ma anche le termiti, a cui i protozoi rendono il cibo digeribile. Un tipico rapporto mutualistico tra due vegetali è invece quello che si instaura tra alcuni funghi e alcune alghe. I funghi, come è noto, non sono in grado di svolgere la fotosintesi, e devono quindi nutrirsi di sostanze organiche «preconfezionate»; le alghe, d'altra parte, non possiedono radici e trovano spesso difficoltoso procurarsi l'acqua e i sali minerali necessari al loro metabolismo. Vivendo in simbiosi, l'alga può disporre dell'acqua e dei sali minerali assorbiti dalle ife del fungo, e il fungo può, in cambio, disporre delle sostanze organiche prodotte dall'alga per fotosintesi. Questa associazione, che prende il nome di lichene, si rivela oltremodo vantaggiosa, e ne è prova il fatto che i licheni riescano a vivere in condizioni proibitive e in ambienti, come l'alta montagna o l'estremo Nord, in cui nessun altro vegetale riuscirebbe a resistere. Come esempio di simbiosi tra un animale e un vegetale, possiamo citare quello della yucca (una pianta che vive nell'America tropicale) e della Pronuba yuccasiella, una piccola farfalla di abitudini notturne. Quest'ultima depone le sue uova nell'ovario della yucca, al cui interno le larve troveranno cibo e protezione; ma, facendo questo, provvede anche a impollinare la pianta, permettendone la riproduzione. La pianta senza la farfalla non potrebbe riprodursi; e la farfalla senza la pianta nemmeno. Secondo alcuni studiosi, si dovrebbe parlare di mutualismo soltanto in casi come questi, in casi cioè nei quali ciascuno dei due organismi non potrebbe vivere senza l'altro. Molti si saranno stupiti del fatto che, parlando di simbiosi mutualistica, non si sia fatto cenno a quello che viene considerato il caso più classico, cioè al rapporto che si stabilisce fra il paguro e l'attinia: per il paguro, il cui addome non è protetto dal guscio, è molto conveniente portare sul dorso un'attinia, perché i tentacoli urticanti di quest'ultima lo difendono da eventuali predatori. Per l'attinia, che è un organismo incapace di spostarsi, è d'altra parte conveniente stare sulla groppa del paguro, perché in questo modo viene trasportata dal crostaceo ed ha maggior probabilità di trovare del cibo. Tuttavia, le attinie possono sopravvivere anche senza un paguro su cui posarsi, e i paguri possono sopravvivere proteggendo l'addome, come spesso accade, con una conchiglia vuota. I biologi più pignoli ritengono dunque che quella tra il paguro e l'attinia non si debba definire simbiosi mutualistica, e hanno coniato il complicato termine di protocooperazione per indicare quelle simbiosi che, anche se molto frequenti, non sono comunque «obbligate». Si devono considerare una forma di protocooperazione anche le cosiddette «simbiosi di pulizia», come quella che si instaura tra le bufaghe (piccoli uccelli insettivori della famiglia degli storni) e molti erbivori africani, quali le giraffe, i rinoceronti, i bufali. Tutti gli erbivori della savana africana sono perennemente infestati da zecche e altri parassiti della pelle: stando sul loro dorso, le bufaghe trovano grandi quantità di cibo, e gli erbivori, dal canto loro, possono usufruire di un continuo servizio di disinfestazione. Esistono anche molti casi in cui la simbiosi è utile a una sola delle sue specie, ed è indifferente per l'altra: si parla allora di commensalismo. Sono ad esempio commensali alcuni piccoli granchi della famiglia dei Pinnoteridi, che passano l'intera vita all'interno della conchiglia di grossi bivalvi, in cui trovano protezione e nutrimento (costituito dagli avanzi di cibo o dai prodotti di rifiuto del mollusco). Altro esempio di commensalismo è dato dalle volpi polari che, durante l'inverno, si tengono sempre vicine agli orsi bianchi, nutrendosi degli abbondanti avanzi dei loro pasti: l'orso polare difatti si ciba soprattutto di foche, ma ne mangia soltanto il grasso e le interiora, abbandonando tutto il resto. Le formiche sono la specie che attira più commensali: acari, ragni, coleotteri. La maggior parte di queste specie non procura alcun danno alle formiche, limitandosi a mangiare i loro avanzi, ma, in qualche caso gli ospiti si fanno troppo invadenti, arrivando a distruggere le riserve alimentari della colonia o addirittura mangiarne le larve. In questo caso, il rapporto non si può più definire simbiotico: quando una specie vive alle spalle di un'altra provocandone dei danni, si entra difatti nel pa rassitismo, un tipo di rapporto straordinariamente diffuso nel mondo vivente... Giusto Benedetti


STATI UNITI Benvenuta, Grace E' nata la prima capra transgenica
Autore: TRIPODINA ANTONIO

ARGOMENTI: GENETICA
ORGANIZZAZIONI: GENZYME TRANSGENIC, BRISTOL-MAYER SQUIBB
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. TAB. D. COME SI PRODUCONO LE PROTEINE TRANSGENICHE ================================================================== - E' transgenica una specie nella quale sia stato trapiantato qualche gene di una specie diversa. In questo caso l'obiettivo è di far produrre a un animale transgenico una proteina curativa per l'uomo - Una proteina che induce la produzione die latte viene collegata a un gene umano che codifica una proteina terapeutica - Copie multiple di parti del DNA vengono iniettate nel nucleo si singole cellule embrionali - Gli embrioni vengono trasferiti in una capra femmina. In alcuni casi il frammento transgenico viene integrato nel DNA dell'animale, che darà luogo a una discendenza transgenica - Dopo la nascita ci si assicura che il gene installato sia stato trasmesso - Quando diventa adulta la capra transgenica si accoppia - La femmina di capra transgenica produce un latte che contiene la proteina terapeutica per l'uomo - La proteina umana viene estratta dal latte e usata per produrre un farmaco. ===================================================================

PROBABILMENTE il 23 marzo 1996 verrà ricordato come un giorno importante nella storia della Medicina. In quel giorno, in una fattoria di Charlton (Massachusetts, Stati Uniti) è nata Grace, la prima capra «transgenica» programmata per produrre nel proprio latte un anticorpo monoclonale «umano», cioè una proteina capace di riconoscere ed attaccare specifiche cellule-bersaglio tumorali. Si definisce con l'aggettivo «transgenico» un animale nei cui cromosomi è stato inserito un «gene» o un tratto di Dna (la molecola portatrice dell'informazione genica, costituente i cromosomi) di un'altra specie, rendendolo così capace di produrre proteine che naturalmente non avrebbe mai prodotto. Stiamo parlando di una procedura di ingegneria genetica già ampiamente sperimentata, utilizzando inizialmente organismi semplici quali batteri e lieviti (che hanno lo svantaggio di dare proteine imperfette, non essendo dotati di sistemi per completare - per esempio, per glicosilare - le proteine «tradotte») e in seguito mammiferi quali il topo, il coniglio, la pecora, il maiale e, appunto, la capra. Con questa tecnica, per esempio, si sono già ottenute diverse proteine di estremo interesse clinico, quali l'attivatore tissutale del plasminogeno, l'alfa-1-tripsina, il fattore IX della coagulazione, l'interleuchina-2, l'antitrombina III. Ma Grace, la capretta che abbiamo avuto il piacere di vedere direttamente, ha la prerogativa di essere il primo esemplare transgenico «costruito» con reali prospettive di incidere in campo tumorale, con possibilità di estese applicazioni cliniche. L'ambizioso progetto che vede unite le sofisticate tecnologie della Genzyme Transgenic Corporation e della Bristol- Mayers Squibb Company, prevede che l'anticorpo prodotto dalle cellule mammarie dalle capre transgeniche e secreto in quantità significativa nel latte (circa 4 grammi per litro) venga da questo estratto, purificato e, in seguito, coniugato ad una molecola anti-tumorale, la doxorubicina: un proiettile così confezionato, iniettato in soggetti affetti da particolari tumori (mammella, colon, polmone), sarà pilotato per colpire con precisione e in modo selettivo le cellule neoplastiche riconosciute dall'anticorpo, distruggendo soltanto queste e risparmiando quelle sane. Se le cose andranno come si spera, sarà un importante passo in avanti rispetto alle convenzionali terapie chemioterapiche, che agendo indistintamente su tutte le cellule dell'organismo, producono gli effetti secondari che si conoscono. Con la nascita di Grace si è faticosamente conclusa la prima parte del progetto. La storia di Grace inizia sotto un potente microscopio: viene concepita «in vitro» dai ricercatori della Genzyme Transgenic, i quali, quando è ancora formata da poche cellule, inseriscono in ognuna di queste più copie di un «complesso» costituito da un gene della sua stessa specie «promotore» della secrezione lattea, collegato ad un gene umano «codificante» l'anticorpo monoclonale BR-96, sviluppato dai ricercatori della Bristol-Mayer Squibb: la coniugazione di questi due geni ha la finalità di far secernere la proteina umana nel latte, da cui potrà essere facilmente recuperata. Così manipolata, Grace viene trasferita nell'utero di una capra gravida, dalla quale viene partorita cinque mesi dopo il 23 marzo 1996. Durante tutto questo periodo i ricercatori sono rimasti con le dita incrociate, perché soltanto il 10-15 per cento dei tentativi transgenici ha esito felice con l'integrazione del gene umano nel Dna dell'animale trattato. La prova dell'avvenuta integrazione in Grace si è avuta facendo l'analisi genetica di alcune cellule prelevate dal lobo del suo orecchio. Grace (la cui valutazione attuale è di circa un milione di dollari), sta benissimo, ed è curata e coccolata perché la sua vita sia la più lunga possibile, in modo che possa produrre molto latte e possa avere tanti figli. La metà di questi, infatti, secondo le statistiche genetiche, dovrebbe ereditare la capacità di produrre la preziosa proteina umana, e quindi moltiplicare le possibilità terapeutiche. Da adesso in poi sarà estremamente interessante seguire la «saga di Grace e dei suoi figli», nella fondata speranza che le promesse si traducano in realtà. Antonio Tripodina


TECNICA DELL'ILLUMINAZIONE Fiat lux, e il quadro sparisce La mostra del Magnasco distrutta dai faretti
Autore: PIERANTONI RUGGERO

ARGOMENTI: FISICA, TECNOLOGIA, ARTE
NOMI: FEYNMAN RICHARD, VISALBERGHI ELISABETTA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, MILANO (MI)

AL Palazzo Reale di Milano sono aperte, parallele e simultanee, due mostre interessanti: quella degli «Impressionisti dai Musei Russi», che gode di una fila quasi da Piazza Rossa, e quella del «Magnasco». Quest'ultima ha una ben più modesta affluenza, tanto che i suoi aspiranti visitatori non fanno a tempo, come i più fortunati filoimpressionisti, ad abbronzarsi nell'attesa. Ed è un vero peccato che sia così. Non tanto per il Magnasco, che pure era bravo la sua parte, quanto per l'immensa potenza didattica che la mostra offre a un modesto prezzo d'ingresso. Per apprezzare la straordinaria offerta che gli organizzatori hanno messo a disposizione del pubblico forse potrebbe essere interessante citare, a braccio, l'inizio di «QED» di Richard Feynman. Feynman è stato Nobel per la fisica, suonava il banjo, scappava con poco addosso dai dormitori delle studentesse al Caltech e ha lasciato, oltre alle pubblicazioni scientifiche, tre libri bellissimi e il suo straordinario impegno civile e scientifico nella ricostruzione della tragedia dello Shuttle. Quindi la sigla «QED» sta «in primis» per «Quantum Electro Dynamics», la creatura intellettuale creata da Feynman ma anche, in filigrana, per «Quod Est Demonstrandum», la formula magica che conclude l'esposizione e dimostrazione dei teoremi. «QED» inizia in modo splendido e luminoso. Ci dice l'autore: «Vi ricorderete dai banchi della scuola media che se avete uno specchio e un raggio di luce vi batte con un angolo, chiamiamolo alfa, l'angolo con cui esso si riflette, beta per esempio, è uguale ad alfa. Ossia in modo quasi scientifico alfa=beta». Il lieve sbadiglio che sta per sorgere e che cominciava già a interessare l'etologa Elisabetta Visalberghi circondata dalla coorte dei suoi amatissimi e sbadigliantissimi cebi, si spegne immediatamente perché Feynman aggiunge, angelicamente: «Certo che è così: questo lo sappiamo tutti, sissignori. Ma perché alfa è uguale a beta?». Ora la ragione fisica per cui «alfa=beta» è proprio difficile da spiegare (ma lui ci riesce benissimo) ed è assai ragionevole che essa sia in sostanza ignorata dalla maggior parte degli esseri umani; ma è proprio miracoloso che il fenomeno «alfa=beta» sia sconosciuto a chi ha avuto l'incarico della illuminazione della mostra del povero Magnasco. Vediamo come stanno le cose. Si può correttamente dire che si va a vedere la mostra del Magnasco ma che Magnasco non lo si può vedere. Infatti i miserabili faretti a fascio collimato (un po' come la luce che esce dai proiettori per le diapositive) sono stati sistemati con una tale precisione e accuratezza millimetrica e mirati con una tale acribia da impedire la vista dei quadri. Le grandi superfici dipinte che Magnasco, come tutti i suoi contemporanei, rivestiva con estrema cura di un notevole strato di vernici trasparenti onde avessero quell'aspetto intangibile eterno e protettivo del colore sottostante che caratterizza tanta pittura del passato (ma anche del presente), si comportano onestamente come specchi. Un faretto messo in modo opportuno vi sputa sopra il suo fascio di luce che, rimbalzando, «alfa=beta» non si diceva così?, entra nella vostra pupilla e vi cuoce la retina. Non ricordo di aver visto un solo quadro senza che una porzione spesso enorme della sua superfice non fosse stata letteralmente abbacinata dal riflesso di anche tre faretti opportunamente mirati. La gente mezzo stordita si aggirava tra queste tele, alcune fatte venire da assai lontano, e con contorcimenti strani e sommessi gemiti si faceva sotto i dipinti strisciando letteralmente sul pavimento per «percepire» un piede di fauno, un alluce di monaco o una catinella o una catenona magnaschea. In alto, aggrinfiati al solito traliccio, come avvoltoi in attesa della vostra retina lessata, stavano i divini faretti ben puntati in basso e ognuno mirante con straordinaria precisione o direttamente nella vostra fovea o indirettamente attraverso la superficie del dipinto. Ho trovato sollievo temporaneo nel cesso, dove la luce era misteriosamente più misericordiosa sulle piastrelle maiolicate che non sulle superfici dipinte più di trecento anni fa da un genio della pittura. Adesso mi domando chi ha avuto l'incarico, chi e quanto l'ha pagato/a, dove ha studiato illuminotecnica, con quale faccia il disgraziato o la disgraziata ha firmato il «progetto illuminotecnico» della «mostra». Non aveva esso/essa avuto sentore del modestissimo «alfa uguale beta»? Con quale coraggio si sono richieste a musei lontanissimi e, giurerei, ben più attenti alla protezione di opere uniche e irripetibili, tele preziosissime per esibirle a pagamento in una sorta di forno a micro-onde? Cosa crede, il disgraziato o la disgraziata, di stare allestendo una sfilata di mode per armanini o schifferette a via-della- spiga? Ha avuto sentore costui/costei della esistenza di altre fonti luminose che non fossero dirette puntiformi e collimate? Per esempio, così per dire, luce diffusa? Il concetto di temperatura di colore le/gli è noto? Sa cosa possono fare molte centinaia di watt per otto ore al giorno e per tre mesi alla distanza di tre/quattro metri su di una superfice dipinta trecento anni or sono? Ce l'ha un calcolatorino in tasca? O gli/le serve solo per calcolarsi la «parcella»? Ma alla fine, sbollita l'ira, recuperato il retinene residuo, e abbandonato il corpo su uno dei panettoni cementizi davanti a Palazzo «Formentini- Marino», ho ragionato così: è fisicamente impossibile che una qualche ditta di illuminotecnica abbia commesso questo crimine, è impossibile che un/a qualche professionista abbia fatto questo per errore, distrazione, insipienza, arroganza, o elementare stupidità: no. Si era trattato di «Mostra Didattica sulla Illuminotecnica nel Dominio dell'Ostensione Museale». Mostra che per una manciata di migliaia di lire può permettere a qualunque professore di Fisica Tecnica o più specificatamente di Illuminotecnica di portare i suoi studenti a vedere esattamente, toccar con retina, come non si fa una illuminazione per una mostra di pittura. Q.E.D. Ruggero Pierantoni Cnr, Genova


La Fao lancia un allarme Solo 30 specie vegetali per sfamare l'umanità
Autore: ACCATI ELENA

ARGOMENTI: BOTANICA, ECOLOGIA, AMBIENTE, SONDAGGIO, MONDIALE, STATISTICHE
NOMI: DIOUF JACQUES
ORGANIZZAZIONI: FAO, ONU
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, GERMANIA

LA Fao, l'organismo dell'Onu per l'alimentazione e l'agricoltura, è preoccupata per lo stato delle banche genetiche mondiali destinate alla tutela del patrimonio vegetale del nostro pianeta, e in particolare delle specie utili per scopi alimentari: molte, infatti, non raggiungono gli standard minimi per la conservazione a lungo termine. Le collezioni (circa 6 milioni di semi) di risorse fitogenetiche mondiali sono conservate in un totale di 1308 banche del seme e sebbene 77 Paesi sostengano di avere le capacità necessarie alla loro manutenzione e conservazione saranno probabilmente la metà quelle che possono effettivamente assicurarne una gestione duratura nel tempo. Tra i maggiori problemi che portano al deterioramento del materiale conservato, vari Paesi lamentano problemi di equipaggiamento, soprattutto la refrigerazione ed il mantenimento del tasso di umidità, irregolarità nell'erogazione dell'energia elettrica, difficoltà di essiccamento in particolare nelle regioni umide. In Italia esiste una banca genetica a Bari, del Cnr.(e. a.) UNO studio della Fao preparato per un convegno che si terrà prossimamente in Germania ha messo in luce che nel mondo esistono circa mezzo milione di specie di piante di cui solo la metà finora identificata. Tuttavia, anche se di queste 30 mila sono commestibili, soltanto 30 in pratica sfamano l'umanità fornendo i carboidrati, le proteine e le calorie necessarie. Inoltre grano, riso e mais da soli assicurano più della metà del cibo consumato dall'uomo. Queste sono anche le colture che hanno ricevuto le maggiori attenzioni di conservazione e di miglioramento. L'uniformità di specie, su cui si basa l'alimentazione umana, rappresenta un grosso rischio. Il documento della Fao sottolinea come sia la diversità genetica il fattore essenziale per continuare a sfamare l'umanità nei prossimi secoli. L'agricoltura moderna utilizza troppo poche specie in modo molto intensivo; finora i risultati conseguiti nel miglioramento genetico di queste specie sono stati eccellenti, avendo permesso di sfamare larga parte della popolazione mondiale in continuo aumento. Ma occorre considerare che nel 2025 saremo oltre 8 miliardi con un aumento rispetto alla popolazione attuale del 40 per cento, per cui è necessario un aumento della produzione agraria mondiale superiore al 70 per cento. Questo difficile compito richiede che l'uomo conservi ciò che non è ancora andato perso della diversità genetica delle piante che - come ha affermato Jacques Diouf, direttore generale della Fao - è un contributo alla sicurezza alimentare ed un sollievo alla povertà. La diversità genetica è costituita dalla variabilità degli organismi viventi, dall'ambiente in cui vivono e dalle informazioni genetiche che ognuno di essi reca. In alcuni sistemi naturali la diversità biologica è altissima, in altri è meno elevata: ad esempio la foresta boreale di conifere è molto più uniforme, cioè meno diversa di quella tropicale. Sono però i sistemi antropici (cioè quelli creati dall'uomo) che presentano i valori più bassi di diversità. In passato si è spesso rischiato, e talvolta è accaduto, di eliminare qualsiasi traccia di variabilità genetica nelle colture agrarie. Tristemente esemplare è il caso del riso: delle quasi 10 mila varietà di riso presenti in Cina nel 1949, nel 1970 non ne rimanevano più di mille; in Malaysia, Filippine e Thailandia si stanno rimpiazzando le varietà di riso locale. Inoltre, nonostante nel mondo si producano 552 milioni di tonnellate di riso ed esso sia coltivato su di un area di 150 milioni di ettari, tutto il materiale genetico deriva da due sole specie di riso: Oryza sativa indica e japonica e Oryza glaberrima. Anche negli Usa l'erosione genetica ha fatto le sue vittime: si è perso il 95% delle varietà di cavolo, il 91% di quelle di mais, il 94% delle varietà di pisello, l'81% di quelle di pomodoro. In Cile si sono perdute varietà locali di patata, di avena, di orzo, di lenticchie, cocomero e grano; mentre in Uruguay sono state sostituite molte specie di ortaggi e di grano. I pascolamenti eccessivi, la distruzione delle foreste e della brughiera hanno causato l'erosione della diversità genetica dell'Africa e dell'Asia. La mancanza di variabilità genetica è estremamente pericolosa dal punto di vista fitopatologico in quanto può provocare enormi danni sia sulle colture agrarie, sia su quelle forestali. Si può citare il caso dell'unica specie di pino con cui sono state rimboschite le colline alle spalle di Sanremo, che sta provocando la scomparsa di intere pinete in quanto l'unica specie di pino usata è estremamente suscettibile a un insetto, una cocciniglia che provoca la morte delle piante. Un caso opposto riferito alla nostra agricoltura è costituito dalla fortunata minore suscettibilità di numerosi vitigni italiani rispetto a quelli francesi, come lo Chardonnay, a una malattia denominata flavescenza dorata causata da un fitoplasma (parassita con caratteristiche intermedie tra i virus e i batteri). Questa malattia sta danneggiando gravemente anche in Italia lo Chardonnay rispettando fortunatamente altri vitigni. Se la viticoltura italiana fosse costituita solo da un vitigno sensibile sarebbe una tragedia per l'economia vitivinicola del nostro Paese. Elena Accati Università di Torino


GENETICA Quel verme che vive cinque volte
Autore: FRONTE MARGHERITA

ARGOMENTI: GENETICA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: BRENNER SIDNEY, HEKIMI SIEGFRID, LAKOWSKI BERNARD, CAMPISI JUDITH
ORGANIZZAZIONI: SCIENCE
LUOGHI: ITALIA

IL mito dell'eterna giovinezza si incontra spesso nella letteratura; ma anche la scienza è alla ricerca dell'elisir di lunga vita. E questa volta l'ha scoperto nel Dna del Cae norabditis elegans, un piccolo verme nematode, uno degli esseri viventi meglio conosciuti dalla biologia. Modello di studio ideale fin dal 1963, quando Sidney Brenner decise di analizzarlo, C. elegans è lungo appena un millimetro e completamente trasparente, per questo le circa mille cellule che lo compongono possono essere facilmente individuate al microscopio ed esaminate. Il piccolo nematode inoltre possiede una struttura analoga a quella degli animali più evoluti: ha una testa ed una coda, un sistema muscolare, e un sistema nervoso perfettamente conosciuto di 302 cellule (contro i 100 miliardi di cellule che compongono quello umano]). Non sorprende quindi che, da quando Brenner iniziò a studiarlo, su di lui si sia concentrata la ricerca di molti altri scienziati, e le scoperte, soprattutto nei campi della biologia cellulare e della neurobiologia, non sono mancate. L'ultima, apparsa sul numero di Science del 17 maggio scorso, arriva dal Canada, dove due ricercatori, Siegfrid Hekimi e Bernard Lakowski, sono riusciti a prolungare il ciclo vitale di questo animaletto di oltre cinque volte: non si era mai visto un tale incremento nella durata della vita di un essere vivente. E' come se un uomo, la cui età media è di circa 75 anni, arrivasse tranquillamente ai 400. Come ci sono riusciti? Il segreto della longevità, almeno per C. elegans, sembra essere la vita pacata, senza fretta, un po' alla moviola. Una vita i cui ritmi sono scanditi da alcune mutazioni che i due ricercatori canadesi sono riusciti ad ottenere, manipolando il Dna del nematode. Il Dna è una lunga molecola, suddivisa in segmenti chiamati geni, presente nelle cellule di tutti gli esseri viventi, e nella cui struttura sono racchiuse le informazioni che, interagendo con i fattori ambientali, determinano le caratteristiche di ogni individuo. Sul Dna di C. elegans Hekimi e Lakowski hanno scoperto una serie di geni, che hanno chiamato clk (da clock, che in inglese vuol dire orologio) e la cui mutazione provoca il rallentamento dei ritmi di vita del vermetto, che nuota più lentamente, mangia e digerisce adagio... e vive cinque volte di più dei suoi simili. Sembra quindi che i geni clk regolino una sorta di orologio interno, che determina la velocità alla quale il piccolo nematode vive la sua vita. «Fenomenale]» è stato il commento di Judith Campisi dell'Università di Berkeley in California, esperta di studi sull'invecchiamento. Ma ciò che maggiormente colpisce gli scienziati in questa scoperta è il numero esiguo di geni coinvolti nella regolazione dell'orologio interno; appena quattro. Questa circostanza è in forte disaccordo con le teorie che, fino ad oggi, ipotizzavano che nei processi di invecchiamento dovesse essere coinvolto un numero di geni molto elevato. E' tuttavia improbabile che i geni clk da soli siano responsabili di un fenomeno così complesso, e, più verosimilmente, potrebbero agire come dei regolatori in grado di modulare l'attività di molti altri geni. Non è la prima volta che C. elegans ci sorprende con i suoi ritmi di vita: tre anni fa un gruppo americano aveva scoperto una mutazione che gli consentiva di vivere il doppio rispetto ai suoi simili. Quella volta però il gene mutato influiva sullo stadio di larva, ed era solo questo che veniva prolungato, mentre la fase adulta restava pressoché normale. I geni clk invece influenzano tutto il ciclo vitale, rallentando complessivamente il metabolismo attraverso un meccanismo che, per il momento, resta ignoto. Anche se la tentazione di estrapolare questa scoperta all'uomo è forte, prima di poterlo fare si devono trovare dei geni analoghi ai clk anche in altri sistemi viventi. Il gruppo canadese sembra essere vicino alla meta, ed ha già scoperto un gene potenzialmente equivalente nel lievito. Ma, se per l'uomo la strada è ancora lunga, i piccoli nematodi mutanti sembrano aver imparato bene la lezione: almeno per loro, chi va piano va sano e va lontano. Molto lontano. Margherita Fronte


BOTANICA & ALIMENTAZIONE Addio banca delle piante In Russia va in rovina l'Istituto Vavilov
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: BOTANICA, ALIMENTAZIONE, AGRICOLTURA, DIDATTICA, CRISI, BILANCIO, MINACCE, CHIUSURA
NOMI: VAVILOV NICOLAI, LYSENKO TROFIM
ORGANIZZAZIONI: ISTITUTO VAVILOV, LIBERATION, EUREKA, SEEDS SAVERS EXCHANGE
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, CSI, RUSSIA, SAN PIETROBURGO

C'E' una cassaforte che custodisce un patrimonio insolito: 330 mila varietà di piante appartenenti a 2500 specie alimentari che sono o possono diventare utili all'uomo. Questa cassaforte è l'Istituto Vavilov, a San Pietroburgo (Russia), in piazza Sant'Isacco. Ma come molte istituzioni scientifiche dell'ex Unione Sovietica, anche l'Istituto Vavilov attraversa il guado di una durissima crisi di finanziamenti. Quindi anche la cassaforte è in pericolo. L'ultimo allarme è stato lanciato da «Eureka», il supplemento scientifico di «Liberation», che riporta dati eloquenti: delle 18 stazioni sperimentali che l'Istituto Vavilov aveva sparse nell'ex Urss ne rimangono 12; i tremila dipendenti a libro paga nel 1993 oggi sono 1118 e forse tra un mese saranno meno di 400, con l'adozione del tempo parziale. Ciò vuol dire che la cassaforte genetica del mondo vegetale non avrà più una adeguata manutenzione, che si sospenderà la raccolta di nuove varietà e che probabilmente è finita l'epoca in cui dall'Istituto uscivano ibridi vegetali particolarmente produttivi o adattati a speciali condizioni ambientali, creati con pazienti incroci e selezioni. L'agricoltura esiste da circa diecimila anni. In tutto questo tempo le specie vegetali di interesse alimentare sono state progressivamente addomesticate e migliorate, tanto che oggi, per fare un esempio, il nostro frumento rende decine di volte di più di quello che veniva seminato dagli antichi romani. La selezione genetica però è un'arma a doppio taglio: da un lato permette di aumentare la produzione e di sfamare una umanità sempre più numerosa, e questo è l'aspetto positivo; dall'altro lato fa dipendere la sopravvivenza di intere popolazioni da poche varietà vegetali, che potrebbero facilmente entrare in crisi per qualche parassita o qualche malattia, con conseguenze negative facilmente immaginabili. Di qui la necessità di conservare tutta la variabilità genetica che la natura ha accumulato in tre miliardi di anni di evoluzione biologica. Specie e varietà oggi poco utilizzate potrebbero domani rivelarsi indispensabili per scongiurare nuove carestie, peggiori di quelle medievali. All'Istituto Vavilov centinaia di milioni di semi in rappresentanza di 330 mila varietà di piante alimentari sono conservati in apposite custodie protettive, a loro volta chiuse in barattoli di ferro verniciati di bianco e disposti su chilometri di scaffalature. Soltanto di avena, l'Istituto conserva 14 mila varietà. Una di queste è avena proveniente dall'Abissinia, che Vavilov riportò da un suo viaggio in Eritrea. Sette anni fa l'Etiopia fu colpita da una eccezionale siccità. C'era bisogno di un tipo di avena ultraresistente, e la varietà conservata a San Pietroburgo risolse il problema. Discorsi simili valgono per gli altri cereali e per un gran numero di frutti e di ortaggi. E' un patrimonio che è andato accumulandosi in un secolo di ricerche e di viaggi in ogni parte del mondo. Ha resistito alla cecità scientifica del periodo stalinista, quando Vavilov fu cacciato per fare posto a Trofim Lysenko, pseudoscienziato di regime. Ha resistito ai bombardamenti tedeschi della seconda guerra mondiale e all'assedio di Leningrado durato 900 giorni. Rischia ora di soccombere nel disorientamento di un grande Paese che cerca la strada verso la democrazia in mezzo a infinite contraddizioni. Si va avanti accattonando aiuti. Due anni fa l'Istituto internazionale per le risorse fitogenetiche, con sede a Roma, ha finanziato una spedizione nel Nord del Caucaso che ha fruttato 123 varietà di otto specie selvatiche di cereali. Una associazione per la difesa della biodiversità, la Seeds Savers Exchange, ha versato un contributo di undicimila dollari. Il dipartimento americano dell'Agricoltura ha fornito recentemente attrezzature per un milione di dollari: computer per catalogare i dati, 52 frigoriferi, 7 grandi surgelatori che finiranno nella succursale di Kuban, mille chilometri a Sud di San Pietroburgo, dove c'è la Banca nazionale delle sementi, fondata nel 1975 vicino a Krasnodar. La vicenda umana di Nicolai Ivanovic Vavilov è un riassunto della storia russa. Nato nel 1887, parlava sei lingue e ne capiva due dozzine. Nel 1917 andò in Persia a cercare specie migliori di frumento, nel 1921 negli Stati Uniti. Da quell'anno, fino al 1940, lavorò all'Istituto che ora porta il suo nome, alternando viaggi in America del Sud, in Afghanistan, in Africa. Nel 1933, grazie alla sua fama mondiale, gli è ancora consentito di presiedere un congresso internazionale di genetica vegetale negli Stati Uniti. Poi viene messo da parte. Nel 1938 Lysenko (le cui teorie genetiche campate in aria causeranno all'Urss danni economici e culturali ancora oggi pesanti) diventa presidente dell'Accademia dell'Agricoltura. Nell'agosto 1940 Vavilov, che non è iscritto al partito, viene imprigionato, venti suoi collaboratori vengono uccisi. Il 26 gennaio 1943 muore in una cella di Saratov, a 56 anni. Lo riabilitano nel 1955. Nel 1967 gli viene intitolato l'Istituto e, alla memoria, è insignito dell'Ordine di Lenin. Ora, se l'Istituto non si salverà, il suo lavoro verrà cancellato. Piero Bianucci




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