TUTTOSCIENZE 21 febbraio 96


SCIENZA IN CASA Un'orchestra fatta di bicchieri Come variano le note secondo il livello dell'acqua
NOMI: FROVA ANDREA
ORGANIZZAZIONI: RIZZOLI, BUR
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Calice quasi pieno, Calice quasi vuoto (variazione del suono secondo il livello dell'acqua)
NOTE: «Perché accade ciò che accade»

PERCHE' facendo scorrere un dito bagnato sul bordo di un calice di cristallo - o passandovi l'archetto di un violino - si può produrre un bel suono, prolungato nel tempo? Quale rapporto esiste tra il suono emesso e il livello di riempimento del bicchiere? Questa è soltanto una delle 253 curiosità scientifiche che trovano risposta nel libro «Perché accade ciò che accade» di Andrea Frova (Bur, Rizzoli). Ecco come Frova, professore di fisica all'Università di Roma, spiega il fenomeno dei bicchieri che suonano. «E' un gioco a cui tutti si sono dedicati con maggiore o minore successo. Lo sfregamento del bordo del calice lo pone in vibrazione, sia longitudinalmente che trasversalmente. Questo secondo moto si accompagna con quello del liquido contenuto all'interno, che manifesta delle ondine concentriche. Lo spazio vuoto del bicchiere fa da cassa di risonanza, così che l'altezza della nota emessa può essere fissata a priori dal grado di riempimento del bicchiere. La bontà del risultato, inutile dirlo, dipende dalla qualità del cristallo con cui è realizzato il calice. Ai tempi di Mozart si suonava uno strumento, la Glas-harmo nika, che consisteva appunto in una serie di coppe di cristallo. «Per coloro che si convincessero più volentieri della possibilità di variare la frequenza del suono emesso variando la quantità d'acqua presente nel calice vedendo degli spettrogrammi, nel grafico qui accanto riportiamo ciò che si ottiene, per un calice del nostro disegno, in due casi limite. «Si noti come la risonanza principale, quando si riempie il bicchiere, si abbassi da circa 1400 hertz a circa 1000 hertz, e corrispondentemente scendano la seconda e la terza armonica. Si noti inoltre il fatto che, non trattandosi di un bicchiere cilindrico, nel caso del calice quasi vuoto la cavità risonante ha diametro variabile, e quindi le sue vibrazioni interessano un'ampia gamma di frequenze attorno alla principale. Ciò non si verifica nel caso del calice quasi pieno, perché rimane importante il solo diametro dell'imboccatura».


STRIZZACERVELLO Giocare coi quadrati
LUOGHI: ITALIA

Ritagliare due pezzi di carta rettangolari divisi in otto quadrati e numerati come in figura. Si deve poi ripiegarli in modo che i quadrati risultino uno sull'altro e ordinati dall'uno all'otto.


STORIA DELLA SCIENZA Cent'anni radioattivi
Autore: PREDAZZI ENRICO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
NOMI: BECQUEREL ANTOINE HENRI, ROENTGEN WILHELM, BECQUEREL JEAN, CURIE MARIE
LUOGHI: ITALIA

IL 1o marzo compirà cent'anni una delle più straordinarie scoperte della fisica, una scoperta che, fatta, come tante, per caso, passata quasi sotto silenzio sulla stampa dell'epoca (scientifica e non), doveva aprire la prima delle porte che avrebbero condotto alla conoscenza dell'energia nucleare con tutti i suoi risvolti negativi (universalmente noti) e positivi (ignorati altrettanto universalmente, un po' per mancanza di informazione e un po' per calcolo). Parliamo della radioattività naturale dell'uranio, scoperta da Antoine-Henri Becquerel all'inizio del 1896. Il 13 gennaio del 1896 il quotidiano parigino Le Matin pubblicava un articolo sui raggi X appena scoperti da Wilhelm Roentgen, professore di fisica a Wurzburg in Germania. Questa scoperta ricevette all'epoca un'incredibile attenzione per via della sensazione provocata dalle fotografie a raggi X. Si pensi che nel solo 1896 apparvero più di 50 libri e opuscoli e più di 1000 pubblicazioni scientifiche e di divulgazione su questo argomento: numero straordinario per l'epoca (in gennaio l'Accademia delle Scienze di Torino ha dedicato un'intera giornata a tale ricorrenza). Le ragioni per ricordare qui di passaggio la scoperta di Roentgen accanto a quella di Becquerel, è che i due fenomeni sono legati e, infatti, Becquerel era stato stimolato alle sue ricerche anche dalle incognite lasciate aperte da Roentgen. Becquerel discendeva da una famiglia di scienziati. Già suo nonno prima e suo padre poi si erano occupati attivamente di fosforescenza, un fenomeno (immagino conosciuto da tutti) che solo le teorie quantistiche avrebbero definitivamente sistemato. Anche il figlio di Henri Becquerel, Jean, sarebbe diventato un fisico e alla sua morte, nel 1948, la cattedra di fisica del Museo di Storia Naturale di Parigi non sarebbe più stata ricoperta da un Becquerel per la prima volta in 110 anni] Parlando del suo lavoro sulla radioattività, Becquerel doveva dire, molti anni più tardi: «... la mia scoperta è la conseguenza diretta degli studi di mio padre e di mio nonno sulla fosforescenza e non sarebbe stata possibile senza questi». Nel primo lavoro, presentato il 24 febbraio all'Accademia delle Scienze di Parigi e intitolato «Sulle radiazioni emesse nella fosforescenza», Becquerel studiava gli effetti delle radiazioni di un sale di uranio fosforescente che lui stesso aveva preparato 15 anni prima. Nell'esperimento, una lastra fotografica era stata avviluppata in due spessi fogli neri di carta per evitare che venisse impressionata dalla luce del sole al quale, per varie ore, aveva esposto il sale di uranio fosforescente posto sopra i fogli di carta che contenevano la lastra fotografica. Lo sviluppo della lastra mostrava la silhouette del sale e una moneta o un oggetto metallico interposto tra i sali e la lastra lasciava ugualmente la sua immagine. La stupefacente conclusione che Becquerel ne traeva era che «la sostanza fosforescente emette radiazioni che attraversano il foglio opaco alla luce]». Qualche giorno dopo, il primo marzo appunto, Becquerel scopriva, accidentalmente, che esattamente lo stesso fenomeno si verificava anche in assenza di sole. Ancora più stupefacente: l'effetto non aveva niente a che fare con la fosforescenza] Entro maggio, Becquerel aveva mostrato sperimentalmente che tutti i composti contenenti uranio presentavano lo stesso fenomeno e che, quindi, non si trattava di fosforescenza ma di un nuovo fenomeno legato all'uranio. La radioattività era nata. Entro due anni, Maria Curie doveva scoprire un altro elemento radioattivo, il radio, e meno di 45 anni dopo la prima pila atomica era costruita a Chicago da Fermi e dai suoi collaboratori e la seconda guerra mondiale si concludeva poco dopo con le spaventose esplosioni di Hiroshima e Nagasaki da un lato, mentre, dall'altro lato, cominciavano a essere studiate e progettate le prime centrali nucleari per la produzione di energia elettrica. E vorrei chiudere con una riflessione: non è l'energia nucleare che è cattiva, non più di quanto lo può essere il carbone o il petrolio. E' l'uso che ne fa l'uomo che può essere buono o cattivo. Un'ultima riflessione, l'Italia ha, con un referendum di qualche anno fa, bandito l'energia nucleare dal suo menù energetico per poi ridursi a comperare l'energia elettrica di origine nucleare dalla Francia. Come dire che paghiamo a caro prezzo il privilegio di non poter neppure controllare l'energia che consumiamo. Se succedesse qualche incidente in una centrale francese noi saremmo esposti in primissima fila a qualunque danno ne potesse risultare ma, in compenso, non potremmo neanche fare niente. A quando una politica energetica più sensata ed una presa di coscienza del fatto che non potremmo permetterci ancora molto a lungo il lusso di fare a meno dell'energia nucleare che, tra l'altro, è ormai producibile con una garanzia di sicurezza e di pulizia confrontabile se non maggiore di qualsiasi altra forma di energia? Enrico Predazzi Università di Torino


COME FUNZIONA IL RIVELATORE DI GAS Questione di luce E' un dischetto di biossido di silicio
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Funzionamento di un rivelatore di gas

L'ossido di carbonio, CO, prodotto da stufe o bruciatori difettosi, è un terribile killer, difficile da avvertire perché privo di colore e di odore. Per individuarne la mortale presenza sono stati inventati vari tipi di rivelatori. Il tipo più diffuso si basa su un dischetto delle dimensioni di una moneta fatto di biossido di silicio, sostanza simile a un vetro poroso, che ha la capacità di simulare la reazione dell'emoglobina in presenza di ossido di carbonio. Quando il gas nell'aria supera un certo livello (in genere 50 parti per milione), il dischetto comincia a diventare scuro e lo diventa via via di più a mano a mano che nell'ambiente l'ossido di carbonio aumenta. Un raggio di luce prodotto da un diodo a emissione luminosa (Led) attraversa il dischetto e viene captato da un diodo fotosensibile. Se il dischetto diventa più scuro il diodo fotosensibile riceve meno luce; quando questa scende sotto un certo livello scatta un allarme sonoro.


PREGI & DIFETTI Gli Olestra dagli Usa, grassi senza grassi Permetterebbero di mangiare dolciumi con scarso apporto calorico
Autore: VALPREDA MARIO

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE
LUOGHI: ITALIA

ABBUFFATE di gelato, torte e biscotti al cioccolato con modesto apporto calorico e senza rischio di innalzare i livelli ematici dei temuti trigliceridi: per i ghiottoni Usa il paradiso sembra a portata di cucchiaio. Il miracolo, secondo i ricercatori di alcune industrie alimentari che tentano di monetizzare due delle più diffuse fobie che affliggono gli americani (obesità e colesterolo), si chiama Olestra. E' il nome di fantasia affibbiato da intraprendenti chimici a molecole formate da 6-8 acidi grassi uniti ad una molecola di zucchero. Questi composti, di dimensioni ben maggiori dei trigliceridi, sfuggono all'attacco degli enzimi digestivi e passano attraverso l'intestino senza essere assorbiti. Nessun problema di sovrappeso quindi a mangiare questi «grassi senza grassi» ma anche nessuna variazione di gusto e profumo. Anzi, considerata la forte affinità chimica che esiste tra i grassi (Olestra inclusi) e i vari composti aromatici che conferiscono sapore ai cibi, il palato ci può addirittura guadagnare. Questo mix di pregi dietetici e culinari spiega come oltreoceano gli Olestra si stiano avviando alla grande, sostenuti da abili campagne promozionali. La ben orchestrata pubblicità pone in luce i vantaggi di dimagrire mangiando, senza incappare nelle frustrazioni e nelle crisi depressive che inevitabilmente colpiscono chi si sottopone alla tortura della dieta. O, peggio, chi ricorre ai farmaci che sopprimono il senso della fame. Ma gli Olestra sono un cibo o un farmaco? La Food and Drug Administration (Fda), l'organismo federale statunitense che dà il via libera alla registrazione dei nuovi prodotti che vogliono entrare nel circuito farmaceutico od alimentare, ha esaminato oltre 150.000 pagine di relazioni scientifiche. Sembra che prove documentate di nocività non esistano. Di diverso avviso sono le associazioni dei consumatori che denunciano due rischi principali. Il primo concerne il fatto che gli Olestra depauperano l'organismo delle vitamine liposolubili (A, D, E, K), importantissimi catalizzatori organici, sia attraverso meccanismi di spoliazione durante il tragitto nel tubo digerente sia sostituendosi, nella dieta, ai grassi alimentari che li contengono. La seconda accusa riguarda un aspetto più delicato: per la loro fluidità gli Olestra possono provocare incontinenza anale. E non sembra che l'aumento di viscosità, contromisura delle case produttrici, sia sufficiente ad evitare l'imbarazzante evenienza. In ogni caso, prescindendo dall'entità dei rischi diretti e dalla decisione finale del Fda, esperti e dietologi non allineati con gli interessi dell'industria nutrono più di una perplessità nell'impiego di questi alimenti nati in laboratorio. Infatti l'equilibrio dei componenti di una dieta razionale è estremamente delicato in quanto la carenza o l'eccesso di un elemento altera e condiziona l'assorbimento di altri. Nel caso degli Olestra il fatto che sarebbero utilizzati per appetitosi spuntini soprattutto da bambini ed adolescenti pone seri problemi per organismi nella complessa fase di crescita. Molto meglio ricorrere agli alimenti naturali e smaltire le conseguenze di umane debolezze, i peccati di gola, con qualche salutare passeggiata in più. Mario Valpreda


BIOMEDICINA Distrofia due scoperte italiane
Autore: BASSI PIA

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: MORA MARINA, CORNELIO FERDINANDO, EMERY ALAN, TONIOLO DANIELA, DONATO STEFANO, SCARLATO GUGLIELMO, MORANDI LUCIA
ORGANIZZAZIONI: ISTITUTO NEUROLOGICO C. BESTA
LUOGHI: ITALIA

E' merito soprattutto di ricercatori italiani se la «distrofia muscolare di Emery-Dreifuss» incomincia a essere compresa nei suoi meccanismi di fondo. Daniela Toniolo, del Cnr di Pavia, individuò l'anno scorso il gene la cui alterazione è responsabile della malattia. Ora la biologa Marina Mora, e un gruppo di ricercatori dell'Istituto Besta guidato da Ferdinando Cornelio, hanno fatto un'altra fondamentale scoperta: quel gene codifica una proteina, (chiamata Emerina in onore di Alan Emery, che per primo descrisse la malattia negli Anni Sessanta), che è presente negli individui sani attorno ai nuclei delle fibre muscolari, ma è completamente assente nei muscoli dei soggetti malati. Lo ha comunicato la stessa Marina Mora nel corso del convegno al massimo livello organizzato a Milano dall'Istituto Neurologico C. Besta, alla presenza dello stesso Emery (oggi presidente del «Consorzio europeo per le malattie neuromuscolari), di Daniela Toniolo, di Stefano Donato, direttore del Besta e di Guglielmo Scarlato, presidente della Società europea di neurologia. La distrofia di Emery-Dreifuss è una malattia neuromuscolare ereditaria che colpisce solo i maschi. Le femmine ne sono portatrici sane. E' una malattia di difficile individuazione, fortunatamente rara, ma assai debilitante: si manifesta con debolezza muscolare crescente, contratture, problemi alle braccia e al tendine d'Achille (molti malati camminano infatti sulle punte dei piedi), cardiopatie. Si conoscono due forme di questa malattia: «Una si manifesta sul cromosoma X - spiega Lucia Morandi, neurologa del gruppo di Cornelio -, l'altra è invece una forma autosomica dominante, cioè non legata al sesso. Il gene individuato dalla Toniolo (con i conseguenti studi sull'Emerina) si riferisce alla prima delle due forme». E la terapia? «Oggi è prematuro parlarne - dichiara Alan Emery - ma il primo passo è l'esatta diagnosi, ora possibile grazie a questa scoperta. In futuro si potrà, speriamo, trovare anche un rimedio». Pia Bassi


TAVOLA MEDITERRANEA La dieta giusta nel dopo infarto Pesce, olio d'oliva e di colza, niente burro
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE, MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

IL congresso di cardiologia svoltosi nei giorni scorsi a Roma si è occupato fra l'altro del dopo-infarto, relatori Brusca, Mariani, Tavazzi, Fattore, Branzi. Premettiamo che le cure nel momento dell'infarto si sono modificate con l'andare del tempo. Oggi l'intento è ripristinare al più presto la corrente del sangue nella coronaria occlusa dal trombo (coagulo) al fine di ridurre al minimo il danno al cuore e il conseguente rischio immediato e a distanza. Si ricorre a particolari preparati trombolitici (che sciolgono il trombo) associati con aspirina ed eparina, anch'esse agenti sul trombo. In determinati casi si effettua l'angioplastica coronarica, ossia l'ormai ben noto catetere con palloncino che, spinto entro la coronaria occlusa, la dilata. E già si profilano le cure dell'avvenire, la terapia genica, nuove angioplastiche e altro ancora. Ma veniamo al dopo-infarto. Oggi il trattamento sistematico con piccole dosi di aspirina e altri farmaci detti betabloccanti è considerato molto utile. L'aspirina, neutralizzando un enzima, inibisce la formazione del trombossano A2 formato dalle piastrine del sangue, sostanza che favorisce la coagulazione. I betabloccanti agiscono direttamente sul cuore. Su 10 mila pazienti seguiti per due anni dopo un infarto, il gruppo con aspirina ebbe altri episodi cardiaci nel 18 per cento dei casi contro il 22 per cento del gruppo senza aspirina. Ma per il dopo-infarto abbiamo anche un insieme di provvedimenti igienici, fra i quali ci sono novità, nel senso di mettere in primo piano il regime alimentare di tipo mediterraneo. Qualcuno ha definito una strana miopia limitare il problema dell'alimentazione del dopo-infarto al colesterolo, come si è fatto per lungo tempo. Uno studio recente (1994), il Lyon Diet Hearth Study, ha dimostrato che le abitudini dietetiche mediterranee conferivano a pazienti ad alto rischio, già colpiti da un primo infarto, una protezione evidente: dopo 27 mesi 5 recidive nel gruppo «mediterraneo» contro 17 nell'altro. Questo studio, pubblicato sulla rivista inglese Lancet, non è il solo giacché altri due antecedenti, uno inglese e l'altro indiano, comparsi rispettivamente sul Lancet (1989) e sul British Medical Journal (1992), erano giunti a conclusioni simili. Sostanzialmente la dieta consiste in grande riduzione dei grassi saturi (meno del 10 per cento delle calorie, soppressione del burro, della crema, delle carni grasse, solo olio d'oliva e di colza); aumento di acidi grassi poli-insaturi della famiglia n-3 (olio di colza, pesci di mare); abbondante razione proteica in prevalenza vegetale per assicurare gli aminoacidi essenziali; abbondante apporto di antiossidanti (Flavonoidi, oligoelementi, vitamine A, E e C mediante adeguato consumo di frutta e verdura fresche, cereali, piccole dosi di vino rosso); apporto sufficiente di vitamine implicate nel metabolismo energetico del muscolo cardiaco (tiamina, riboflavina, vitamina B3, e vitamine B6, B9, B12, essenziali per il metabolismo di numerosi aminoacidi). Abbiamo citato prima i pesci marini: si era osservato che gli episodi coronarici erano cinque volte meno frequenti negli eschimesi groenlandesi che nei loro compatrioti danesi metropolitani, e ciò indusse due medici danesi ad occuparsene. Da allora quattro indagini effettuate nei Paesi Bassi, Stati Uniti e Svezia hanno confermato tale correlazione. Sarebbero gli acidi grassi n-3 d'origine marina a proteggere attraverso effetti sui lipidi plasmatici e sull'emostasi (riduzione dei trigliceridi, potere anti-trombosi, antinfiammatorio.. .). Ricordiamo soltanto uno studio (Lancet, 1989), protratto per due anni su 2 mila pazienti colpiti da infarto. La raccomandazione di mangiare pesce marino portò ad una riduzione del 29% della mortalità per recidive, assai simile agli studi sull'aspirina. Intendiamoci, non si hanno ancora prove sufficienti per affermare che un supplemento di pesce marino (precisamente olio di pesce) assicuri una prevenzione efficace delle malattie delle arterie, ma si può ipotizzarlo. Ulrico di Aichelburg


RICERCHE SUI MARSUPIALI Anche i canguri sudano La bizzarra, triplice gestazione delle femmine
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
NOMI: DAWSON TERRY
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. La triplice gestazione delle femmine di canguro

DURANTE il giorno il deserto è un mondo di cieli tersi e di sole cocente, ma la sua temperatura precipita rapidamente non appena si insedia la notte. La differenza di temperatura può raggiungere i 15-21 gradi centigradi. Sarebbe esagerato dire che qualunque deserto brulichi di vita, per quanto gli entusiasti del deserto lo decantino talvolta in questi termini. Certo è che un numero sorprendente di creature diverse cerca di far fronte a queste difficili condizioni ambientali. Gli animali del deserto sono generalmente piccoli. Caratteristici di questo ambiente sono i roditori di varie specie, un certo numero di uccelli, serpenti, lucertole e numerosi artropodi, come millepiedi, ragni, scorpioni e soprattutto insetti. Pochi i mammiferi di grossa taglia, tra i quali fanno spicco i canguri che vivono nelle aride pianure australiane. Per quanto siano ormai noti molti aspetti della biologia di questi marsupiali, dalle prestazioni fisiche eccezionali alla singolarissima maternità, dobbiamo riconoscere che altri aspetti si conoscono poco e in maniera approssimativa. La termoregolazione ad esempio. Come riesce a adattarsi a un ambiente così ostile un animale grande come il canguro gigante rosso (Macropus rufus) che raggiunge l'altezza di un metro e sessanta e il peso di una settantina di chili? Questo l'interrogativo a cui ha voluto rispondere lo zoologo Terry Dawson, studiando per ventotto anni i canguri rossi che popolano una vasta riserva arida del Nuovo Galles del Sud. Si riteneva finora che i marsupiali, e quindi anche i canguri, fossero animali «primitivi», scarsamente adattati, provvisti di un potere termoregolatore limitato, che sono riusciti a sopravvivere nel Continente Nuovissimo grazie all'isolamento dell'Australia. Dawson ha dimostrato invece che le cose non stanno così. Secondo lui il canguro è un animale di evoluzione recente, che possiede locomozione, termoregolazione e metabolismo perfettamente adattati all'ambiente arido e caldo in cui vive. Per dimostrarlo bisognava catturare gli animali, pesarli e misurarli. Cosa tutt'altro che facile, perché i canguri si difendono energicamente, mordendo e sferrando calci e pugni. La cosa più semplice sarebbe stata quella di prenderli con la rete quando vanno ad abbeverarsi. Ma questi grossi marsupiali bevono soltanto nei periodi di maggior calura e siccità, e anche allora solo ogni quattro, cinque giorni o ancora più raramente. Sicché Dawson decide di ricorrere a un altro sistema. Li avvicina di notte con la macchina, li abbaglia con i fari e spara in aria un colpo di pistola che li immobilizza e li spaventa. Approfittando di quell'attimo di sgomento, spara contro il canguro una cartuccia di anestetico. Il gioco è fatto. In questo modo, lo studioso e la sua equipe riescono a studiare caratteristiche fisiologiche e comportamentali del grosso marsupiale che può vivere fino trent'anni e si riproduce fino a venti nella maniera che ha sempre stupito il mondo. Perché la femmina del Macropus rufus ha una gestazione di circa un mese e in questo mese i rapporti alimentari tra madre e figlio sono piuttosto carenti per via della placenta imperfetta. Ragion per cui quando il figlioletto viene bruscamente alla luce dopo trentatre giorni, è un affarino piccolo come un fagiolo e continua il suo sviluppo nel marsupio succhiando il latte. Intanto la madre non è rimasta insensibile alle lusinghe maschili e poco tempo dopo la nascita del primogenito si lascia fecondare una seconda volta. Però lo sviluppo dell'embrione si arresta sul nascere. Se il clima è favorevole e c'è cibo in abbondanza, allora non appena l'inquilino del marsupio diventa autonomo, scatta il disco verde per l'ulteriore sviluppo dell'embrione. Dopo una ventina di giorni sarà pronto anche lui per la scalata al marsupio. Ma se subentra la siccità, niente sviluppo per l'uovo fecondato in attesa di tempi migliori. Se tutto procede normalmente, nulla vieta alla madre di convolare a nuove nozze. Viene così fecondato un terzo uovo che subisce la stessa sorte del secondo. Ecco quindi che la cangura è l'unica madre al mondo che ha contemporaneamente tre figli in tre diversi stadi di sviluppo, uno allo stadio di uovo fecondato nell'utero, uno in crescita nel marsupio e il terzo ormai indipendente che però viene ogni tanto a farsi una bevuta di latte nel marsupio. Risulta dalle ricerche di Daw son che i canguri rossi bevono molto meno e usano una minor quantità d'acqua rispetto agli altri mammiferi dello stesso habitat. In estate bevono circa una volta alla settimana, mentre le pecore bevono due volte al giorno. L'acqua di cui hanno bisogno la ricavano dalla vegetazione fresca. Ma, ciò che più conta è che quella riserva idrica se la sanno amministrare molto bene. Per rinfrescarsi ansimano. E sanno regolare il ritmo di evaporazione variando il flusso d'aria che passa attraverso le narici. L'eccesso di calore corporeo si disperde da una piccola area del naso, sicché il sangue caldo deve scorrere a un ritmo più veloce del normale. Quando si passa dal freddo al caldo, il flusso di sangue che giunge alle superfici nasali del canguro aumenta di ben sessantasei volte rispetto alla norma. L'ansimare contribuisce al risparmio dell'acqua perché la densa pelliccia del canguro lo isola dal calore esterno. Quando l'ansimare non è sufficiente a mantenere la temperatura corporea sui 36 gradi, allora il canguro suda e il sudore evaporando produce raffreddamento. La terza strategia per ridurre il calore consiste nel leccarsi gli avambracci e rinfrescarsi con la successiva evaporazione della saliva. Quel che emerge poi dalle ricerche di Dawson è che i canguri non competono direttamente con le pecore in fatto di cibo, come sostengono invece molti agricoltori che accusano i canguri di togliere il pane di bocca ai loro greggi. In conclusione un'efficace arringa corredata da valide prove scientifiche in difesa dei tanto calunniati canguri. Isabella Lattes Coifmann


IL COMPUTER ALLA SCACCHIERA Può vincere, non giocare La forza bruta contro il pensiero
AUTORE: ODIFREDDI PIERGIORGIO
ARGOMENTI: INFORMATICA, GIOCHI
NOMI: KASPAROV GARRY
ORGANIZZAZIONI: IBM «DEEP BLUE»
LUOGHI: ITALIA
NOTE: SCACCHI. IL CAMPIONE DEL MONDO KASPAROV HA BATTUTO IL COMPUTER IBM «DEEP BLU» TEMA: SCACCHI. IL CAMPIONE DEL MONDO KASPAROV HA BATTUTO IL COMPUTER IBM «DEEP BLU»

LA vita è un gioco estremamente complesso, le cui regole sono le leggi naturali e sociali, e le cui mosse sono i possibili comportamenti legali individuali e collettivi. Un gioco sufficientemente complicato può dunque diventare una metafora della vita: il miglior esempio sono forse gli scacchi, la cui struttura è abbastanza elaborata da permettere alla metafora di non essere banale e rispecchiare aspetti significativi della vita. Gli psicoanalisti hanno ad esempio rilevato come un gioco il cui scopo è lo scacco al re, il pezzo più importante e allo stesso tempo più vulnerabile, sia un'evidente immagine del conflitto edipico secondo cui l'avvicendamento generazionale passa attraverso una soppressione violenta del padre: il che spiegherebbe sia lo scarso interesse per il gioco da parte delle donne, che il carattere di violenza a stento sublimata che esso può assumere invece per i giocatori maschi. Programmare il calcolatore per farlo giocare a scacchi è stato uno dei passatempi preferiti degli informatici fin dalle origini, e in esso si cimentarono alcuni dei mostri sacri: da Alan Turing, inventore del computer stesso, a Claude Shannon, inventore della teoria dell'informazione. La cosa cessò di essere un puro e semplice divertimento quando, negli Anni '50, Herbert Simon introdusse con l'Intelligenza Artificiale un'altra metafora: gli scacchi non più come vita, ma come matematica o, per dirla con Goethe, come «pietra di paragone dell'intelletto». Sia gli scacchi sia la matematica sono infatti basati su un numero finito di regole precise, che permettono di partire da situazioni iniziali (la posizione di partenza dei pezzi, o gli assiomi) e di arrivare a situazioni finali (le configurazioni di scacco matto, o i teoremi). L'idea di Simon era dunque che programmare un computer in modo da farlo giocare a scacchi come un maestro, e programmarlo in modo da fargli dimostrare teoremi come un matematico, fossero non solo problemi dello stesso ordine di difficoltà, ma addirittura lo stesso problema. Egli si avventurò a predire che entro gli Anni '60 il computer avrebbe battuto il campione mondiale di scacchi, e avrebbe dimostrato importanti teoremi. La prima previsione richiese quattro decenni invece che uno, ma si è ormai praticamente avverata: i programmi per gli scacchi sono talmente migliorati che, a partire dal 1989, hanno incominciato a battere grandi maestri in competizioni ufficiali (il primo a prenderle fu Bent Larsen), e a dare filo da torcere allo stesso campione mondiale in carica Gary Kasparov, che però per adesso se l'è cavata. La seconda previsione di Simon è invece in alto mare. Il computer può in effetti simulare il matematico e far meglio di lui in attività combinatorie puramente formali e di routine, come i calcoli. Lo può coadiuvare, in maniera pilotata, in dimostrazioni che richiedono una gran quantità di conti, come fece nel caso del famoso teorema dei quattro colori. Ma il computer è completamente impotente nella simulazione sia dell'attività più astratta di pensiero, sia dei processi più concreti di percezione. Per questo motivo l'attenzione sulle recenti gesta di «Profondo Blu» (e quelle precedenti di Pensiero Profondo) nella sfida con Kasparov è in realtà soltanto una distrazione: il programma non simula l'attività umana, si basa sulla velocità di calcolo e sulla forza bruta, e ci dice sull'attività scacchistica o teoretica dell'uomo tanto quanto un'automobile ci dice sulla sua attività motoria, o gli aeroplani sul volo degli uccelli. Dopo aver vinto quattro medaglie d'oro alle Olimpiadi di Berlino del 1936 Jessie Owens corse alcune gare contro i cavalli, passando (letteralmente) dalle stelle alle stalle: sappiamo che Hitler si imbestialì nel primo caso, rifiutandosi di stringere la mano a un nero che batteva gli ariani, ma immaginiamo che trovò perfettamente appropriato lo spettacolo da circo in cui un nero si confrontava invece con gli animali. Meditare sull'episodio non farebbe male a Kasparov, che dichiara (e forse anche crede) che giocare col computer è «difendere la dignità del genere umano». Piergiorgio Odifreddi Università di Torino


SCAFFALE Cattaneo Antonio e Treves Alessandro, «Cervello e memoria», Editoriale Scienza
AUTORE: SCAGLIOLA RENATO
ARGOMENTI: BIOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Un «quaderno di laboratorio», per spiegare i fenomeni biochimici legati alla memoria e su che cos'è l'Ippocampo, «la zona del cervello che nasconde il segreto dei ricordi più limpidi».


SCAFFALE Aymone Tullio: «Amazzonia, i popoli della foresta», Bollati Boringhieri
AUTORE: SCAGLIOLA RENATO
ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

AMICO di Chico Mendes, il sindacalista ucciso dai fazenderos nel 1988, Aymone, docente di sociologia a Modena, racconta l'Amazzonia brasiliana, dopo anni di ricerche sul campo, descrivendo non solo gli abitanti ultimi della selva, ma anche vecchi e nuovi immigrati, accomunati dagli stessi problemi. Per avere un'idea delle difficoltà della vita amazzonica, basta l'accenno alle elezioni: «Brasileia: dagli autocarri con i bordi ricoperti dei volatili sacrificali appesi a testa in giù, scendevano cariche di povere famiglie che per venire a votare avevano viaggiato quattro ore in canoa, 18 ore a piedi, quattro in camion».


INTERVERRA' IL CNR Sicurezza aerea, l'Italia si adegua Finalmente un'apposita agenzia studierà gli incidenti
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: TRASPORTI, AEREI, TECNOLOGIA, PROGETTO, SICUREZZA, CONTROLLI
ORGANIZZAZIONI: CNR
LUOGHI: ITALIA

TRA fine e inizio d'anno una inquietante sequenza di eventi tragici (lo schianto di un vecchio aereo romeno all'aeroporto di Verona, con i suoi 49 morti) o soltanto da brivido (incendio a bordo di un Md-80 pochi istanti prima del decollo dall'aeroporto di Torino, avaria ad ambedue i motori di un altro Md-80 appena partito dall'aeroporto di Bologna, disinserimento accidentale dell'autopilota ancora in un Md-80 in atterraggio a Torino), è riuscita a fare il miracolo: dopo anni di discussioni a vuoto, in due giorni sono stati sfornati ben due disegni di legge per la costituzione dell'Agenzia per la sicurezza del volo: da parte di una commissione di esperti istituita dal governo, e da parte del Consiglio nazionale delle ricerche. Un organismo che si occupa di indagare su incidenti aerei, avvenuti o sfiorati, esiste in tutti i Paesi avanzati, ma non in Italia. La sua funzione è di importanza vitale: accertare come e perché l'incidente è avvenuto, o la situazione di pericolo si è creata, e rendere note al più presto le proprie conclusioni perché tutto il mondo dell'aviazione (costruttori, compagnie aeree, piloti, controllori di volo, tecnici addetti alla manutenzione di aerei e apparati) prendano le opportune contromisure. Non ha invece il compito di accertare responsabilità penali o civili (compito che tocca alla polizia e ai giudici); il suo unico obiettivo deve essere quello di scoprire che cosa non ha funzionato per lanciare un allarme e prevenire altri incidenti. I primi aerei hanno cominciato a volare quando ancora non si conosceva la fisica del volo; l'aviazione ha avuto lo sviluppo fantastico che conosciamo in meno di un secolo grazie alle esperienze accumulate giorno per giorno e fatte circolare grazie a un incessante, collaudato tam-tam che collega tutti quelli che ci lavorano, si trovino confinati su un piccolo scalo del Terzo Mondo o a insegnare nelle aule di un'università. Gli enti per la sicurezza, in primo luogo l'americano National Transportation Safety Board (Ntsb) ma anche quelli molto efficienti di Gran Bretagna, Canada, Francia e di altri Paesi, hanno avuto e hanno in questo processo un ruolo importantissimo. Le loro indagini su incidenti avvenuti o evitati hanno insegnato molte cose. Le inchieste sulle misteriose «esplosioni» in volo dei Comet, per esempio, portarono a individuare il fenomeno definito fatica dei metalli, oggi ben conosciuto e controllato; l'analisi di una lunga serie di eventi negativi ha messo in evidenza la fondamentale importanza del cosiddetto «Cockpit Resource Management», cioè il coordinamento dei vari componenti dell'equipaggio, che infatti oggi è uno dei cardini dell'addestramento dei piloti; negli ultimi anni è stata scoperta l'esistenza di quel fenomeno meteorologico chiamato wind shear, che in passato è stato probabilmente il responsabile non identificato di molti misteriosi incidenti in fase di atterraggio o decollo, un fenomeno che oggi si comincia a conoscere e a dominare. In Italia, in mancanza dell'organismo per la sicurezza del volo, quando avviene un incidente si costituisce una commissione ad hoc che fa le sue indagini, sempre lunghissime, di solito non comunica le proprie conclusioni, e infine si scioglie disperdendo tutto ciò che può avere scoperto. Oggi però l'istituzione dell'agenzia per la sicurezza non è più dilazionabile perché la impone una direttiva europea approvata nel novembre '94. Essa avrà, fra l'altro, il compito di promuovere e coordinare le ricerche in materia in collegamento con iniziative analoghe in Europa. Punto di riferimento di questi organismi dovrebbe essere una banca dati promossa dalla Commissione europea, la Aviation Incident Report System, compatibile con l'analoga banca dati dell'Icao (l'organismo delle Nazioni Unite per l'aviazione civile). Quando, in seguito all'indagine su un incidente (o una serie di incidenti), o anche solo sulla base di segnalazioni di piloti e tecnici vengono individuate condizioni di anomalia, queste devono essere comunicate rapidamente a tutti gli interessati perché siano presi provvedimenti; questo avviene con le «raccomandazioni di sicurezza», che possono riguardare i velivoli, i materiali, le procedure, i criteri di addestramento, il controllo del volo, l'assistenza a terra, la manutenzione e tutti gli altri aspetti che concorrono a formare il «sistema aviazione». Ovviamente è importante che l'agenzia sia formata da super esperti nelle varie specializzazioni; ma è altrettanto importante che sia indipendente da qualsiasi potere (politico, industriale, corporativo) e che sia dotata dell'autorità per accedere ai luoghi dell'incidente, alla documentazione in mano a compagnie aeree e a industrie, ai rapporti dei piloti, ai testimoni. Ambedue i progetti appena resi noti, aldilà di varianti anche sostanziali e a differenze di altri del passato, sono ispirati a questi principi fondamentali. C'è solo da sperare che si concretizzino. Vittorio Ravizza


MAURIZIO CHELI
AUTORE: A_LO_C
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
PERSONE: CHELI MAURIZIO
NOMI: CHELI MAURIZIO
ORGANIZZAZIONI: SHUTTLE, ALENIA, TSS-1R
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA, FLORIDA, CAPE CANAVERAL
NOTE: DUE ASTRONAUTI ITALIANI A BORDO DELLO SHUTTLE PER SPERIMENTARE IL «SATELLITE AL GUINZAGLIO» TETHERED TEMA: DUE ASTRONAUTI ITALIANI A BORDO DELLO SHUTTLE PER SPERIMENTARE IL «SATELLITE AL GUINZAGLIO» TETHERED

NEL cielo dell'Emilia sfrecciavano ad alta quota gli F-104 dell'Aeronautica militare. Da Zocca (cittadina in provincia di Modena già nota come patria di Vasco Rossi) Maurizio Cheli, che lì è nato il 4 maggio 1959, li guardava e già da bambino sognava di volare. Pilota collaudatore dell'Aeronautica militare, Cheli è sposato con Marianne Merghez, laureata in medicina e biologia, anche lei selezionata in un primo tempo dall'Agenzia Spaziale Europea. Terminata l'Accademia aeronautica si trasferì negli Usa per un corso di volo, e al ritorno iniziò a volare sugli F-104. Frequentò la Scuola di combattimento aereo, e poi si trasferì alla scuola piloti «Boscombe Down» in Inghilterra. Tornato in Italia per occuparsi di prove di volo sui Tornado e i B 707 «Tanker», diventò tenente colonnello. Ha accumulato 3000 ore di volo su 50 tipi diversi di aerei ed elicotteri. Nel 1992 è astronauta dell'Esa, in origine per pilotare uno dei primi voli della mini-navetta Hermes, il cui programma venne cancellato. Inviato al Centro Nasa di Houston per frequentare il corso per gli specialisti di missione del programma Shuttle, è passato poi al laboratorio che si occupa delle modifiche al software di volo degli Shuttle. Come specialista di missione potrà presto tornare in orbita. «Mi piacerebbe fare un volo per la stazione spaziale» - dice - «quando Alpha verrà montata in orbita pezzo per pezzo. L'idea di fare una passeggiata spaziale mi eccita da matti».(a. lo. c.)


UMBERTO GUIDONI
AUTORE: A_LO_C
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
PERSONE: GUIDONI UMBERTO
NOMI: GUIDONI UMBERTO
ORGANIZZAZIONI: SHUTTLE, ALENIA, TSS-1R
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA, FLORIDA, CAPE CANAVERAL
NOTE: DUE ASTRONAUTI ITALIANI A BORDO DELLO SHUTTLE PER SPERIMENTARE IL «SATELLITE AL GUINZAGLIO» TETHERED TEMA: DUE ASTRONAUTI ITALIANI A BORDO DELLO SHUTTLE PER SPERIMENTARE IL «SATELLITE AL GUINZAGLIO» TETHERED

UMBERTO Guidoni è il secondo astronauta dell'Asi (Agenzia spaziale italiana) a salire sullo Shuttle. Nato a Roma il 18 agosto 1954, si è laureato in fisica con indirizzo astrofisico. Dopo un post-dottorato di ricerca sulla fusione termonucleare al Cnen, passò all'Euratom per occuparsi sempre di progetti sulla fusione controllata. E' stato anche ricercatore all'Enea, dove ha lavorato al progetto di pannelli fotovoltaici. Nel 1984 divenne responsabile di ricerca all'Istituto di fisica spaziale a Frascati e si occupo' di effetti termodinamici su sistemi a filo (o «tether»). Quando nell'88 l'Asi bandì il concorso per astronauti, si candidò subito. Nell'89 l'Asi presentò il nuovo gruppo di astronauti, fra i quali figurava Guidoni; quando la Nasa chiese all'Asi due astronauti scientifici per la prima missione «Tethered», vennero scelti Franco Malerba e Franco Rossitto, entrambi appartenenti al primo gruppo di cinque astronauti italiani del 1978. Ma Rossitto scelse poi di trasferirsi al Centro Esa in Olanda per diventare Direttore degli astronauti europei, e al suo posto fu inviato a Houston Guidoni. Per il volo «TSS-1» fu la riserva di Franco Malerba e seguì già allora (1992) il 99 per cento della preparazione. Nel dicembre '92 l'Asi lo assegnò ufficialmente all'equipaggio della missione Shuttle per il «rivolo» del satellite «Tethered». E' sposato e ha un bimbo, Luca, nato nei giorni della prima missione «Tethered» nell'agosto 1992. (a. lo. c.)


INTERVISTA «Siamo tranquilli» dice Cheli
AUTORE: LO CAMPO ANTONIO
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
PERSONE: CHELI MAURIZIO, GUIDONI UMBERTO
NOMI: ALLEN ANDREW (COMANANDANTE), HOROWITZ SCOTT, HOFFMAN JEFF, CHANG-DIAZ FRANCKLYN, NICOLLIER CLAUDE (EQUIPAGGIO), CHELI MAURIZIO, GUIDONI UMBERTO
ORGANIZZAZIONI: SHUTTLE, ALENIA, TSS-1R
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA, FLORIDA, CAPE CANAVERAL
NOTE: DUE ASTRONAUTI ITALIANI A BORDO DELLO SHUTTLE PER SPERIMENTARE IL «SATELLITE AL GUINZAGLIO» TETHERED TEMA: DUE ASTRONAUTI ITALIANI A BORDO DELLO SHUTTLE PER SPERIMENTARE IL «SATELLITE AL GUINZAGLIO» TETHERED

MANCANO poche ore al lancio della 75a missione Shuttle, 19a della navetta Columbia, la prima con due astronauti italiani. Domani mattina si ripeterà il copione di ogni volo: Maurizio Cheli e Umberto Guidoni, con il comandante Andrew Allen (al terzo volo), il copilota Scott Horowitz, gli «specialisti» Jeff Hoffman e Francklyn Chang-Diaz (entrambi al quinto volo) e lo svizzero Esa Claude Nicollier (terza missione) indosseranno tute pressurizzate color arancione, e su un pullmino argenteo raggiungeranno la rampa 39-B. L'astronave sarà già carica delle 2000 tonnellate di combustibile liquido e solido: saliranno al «livello 5» della torre di lancio, vestiranno guantoni, caschi e sistemi d'emergenza (maschere, paracadute) ed entreranno in cabina. Il lancio è previsto per le 15 e 18 locali (le 21 e 18 in Italia). «Siamo tranquilli e stiamo benone» - dice Cheli - «e non mi pare di avvertire alcuna tensione pre-lancio, anche se per chi si appresta alla prima volta c'è un po' d'emozione. Da giovedì scorso, entrando in isolamento pre- lancio, ci stiamo persino riposando un po', dopo le lunghe ed estenuanti sessioni d'addestramento delle settimane scorse». Questa volta si spera che il satellite arrivi a 20,7 chilometri. Andrà tutto bene? «Credo di sì. Il volo a cui prese parte Franco Malerba ci ha insegnato molto. Per esempio si pensava che il filo non dovesse fermarsi prima di 4 chilometri, per non creare instabilità con il filo stesso non in tensione. Invece si è fermato a 250 metri e quando è rimbalzato indietro il comandante dimostrò che era possibile riportare la situazione alla normalità manovrando lo Shuttle». Quali saranno i suoi compiti a bordo? «Mi occuperò in particolare del buon funzionamento dello Shuttle. Ma anch'io verrò coinvolto, come tutto l'equipaggio, durante l'operazione Tethered: lavorerò durante la fase di rilascio e quella del recupero, usando un telemetro laser che fornirà indicazioni al comandante Allen sulla distanza che il satellite avrà dallo Shuttle. Nel corso della fase di 21 ore, quando il satellite sarà a 20,7 chilometri, effettuerò l'esperimento Tether Optical Phenomena, con una speciale telecamera che potrà scrutare anche in intensità luminose molto basse, per osservare fenomeni luminosi relativi al cavo conduttore del satellite». Le fatiche dell'addestramento comprendono anche situazioni d'emergenza. Quanto tempo dedicate a queste operazioni? «Molto, circa il 30 per cento. Facciamo molte simulazioni. Lo Shuttle è una macchina molto complessa e può sempre capitare che qualche cosa a bordo non vada rispetto ai parametri previsti. La simulazione è molto realistica e poco virtuale: ci siamo spesso trovati in una copia esatta della cabina di volo in orbita. Ogni tanto le normali procedure venivano interrotte da anomalie varie, come la perdita di controllo o una fuga di combustibile. Oppure la necessità di riparare all'improvviso un apparato. Tutto questo è servito per mettere alla prova le nostre capacità di reazione in casi di gravi avarie». Quando ha conosciuto Guidoni? «Nel 1992 a Houston. Lui era la riserva di Malerba durante il primo volo Tethered, mentre io venivo ufficialmente presentato alla Nasa. La caratteristica di questa missione è che ci sono due italiani, e con ruoli diversi. Umberto è un ricercatore, io un pilota. Lui vola come specialista del carico utile, io come specialista della missione. Lui è dell'Asi e io sono dell'Esa... insomma siamo del tutto complementari». Ha anche sposato una candidata aeronauta... «Ex candidata. Io e Marianne Merchez, che ora è mia moglie, eravamo tra i 59 candidati a sei posti per astronauti Esa nel '90. Entrambi abbiamo superato la selezione entrando in forza all'Esa. Qualche tempo dopo ci siamo sposati, ma l'Esa decise di inviare 4 astronauti in Russia e due negli Stati Uniti: così io fui inviato alla Nasa e Marianne a Mosca. Una situazione che rendeva incompatibile la vita privata con quella di astronauti. Marianne ha chiesto un'aspettativa di due anni, venendo con me. Nel gennaio '95 il contratto Esa di mia moglie è scaduto, ma in futuro chissà...». Antonio Lo Campo


Il satellite al guinzaglio
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TECNOLOGIA
NOMI: GUIDONI UMBERTO, CHELI MAURIZIO, MALERBA FRANCO, GROSSI MARIO, COLOMBO GIUSEPPE
ORGANIZZAZIONI: SHUTTLE, ALENIA, TSS-1R, LABEN, PROEL, FIAR, SNIA BPD, OFFICINE GALILEO, MATRA, MARTIN MARIETTA
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA, FLORIDA, CAPE CANAVERAL
TABELLE: D. Anatomia del «Tethered»
NOTE: DUE ASTRONAUTI ITALIANI A BORDO DELLO SHUTTLE PER SPERIMENTARE IL «SATELLITE AL GUINZAGLIO» TETHERED TEMA: DUE ASTRONAUTI ITALIANI A BORDO DELLO SHUTTLE PER SPERIMENTARE IL «SATELLITE AL GUINZAGLIO» TETHERED

TORNA in orbita domani il «satellite al guinzaglio», costruito dall'Alenia e ora rimesso a nuovo dopo il primo volo al traino dello Shuttle nel 1992. Quattro anni fa un banale guaio meccanico inceppo' a 200 metri il cavo che avrebbe dovuto srotolarsi per 20 chilometri. Il secondo tentativo si avvantaggerà di quella prima esperienza, ma rimangono molte incognite: un sistema di queste dimensioni non ha mai volato e quindi non si sa come si comporterà il lunghissimo cavo nelle varie fasi di srotolamento e di recupero. La posta in gioco è importante. I sistemi a filo, ideati da Mario Grossi e Giuseppe Colombo, potranno produrre potenza elettrica, formare ascensori tra orbite diverse, tenere insieme vari livelli di stazioni spaziali, consentire comunicazioni con sottomarini in immersione su onde radio molto lunghe, le sole che possano penetrare nell'acqua. Inoltre questo è un test decisivo per l'industria aerospaziale italiana e per i nostri due astronauti, Umberto Guidoni e Maurizio Cheli. Franco Malerba sarà in tribuna a Cape Canaveral. «Spero - dice - che a loro riesca ciò che a noi non fu possibile a causa di una vite sporgente nel vano portacavo. Dal punto di vista scientifico siamo riusciti a dimostrare che dal tethered si ottiene elettricità, ma questo non è un sistema lineare, e quindi l'interessante è vedere che cosa succede a pieno regime, con il cavo completamente estratto, mentre noi abbiamo sperimentato soltanto i primi due regimi: quello di distacco e quello di volo ravvicinato, con i suoi problemi di oscillazioni del cavo». Per il «Tethered» Alenia ha coordinato il lavoro di 11 aziende, tra cui le sue consociate Laben (trattamento dati), Proel (cannone elettronico), Fiar (distribuzione di potenza elettrica). La Snia Bpd ha fornito il sistema di propulsione (basato su 60 chili di azoto gassoso), le Officine Galileo i sensori ottici per l'orientamento del satellite, la francese Matra i giroscopi per il controllo di assetto. Dell'americana Martin Marietta è il congegno di svolgimento del cavo. Un cavo che pesa appena 8 chili per chilometro pur potendo sostenere una trazione di 180 chili. E' uno straordinario mix di materiali speciali: Nomex per l'anima interna e la calza, fili di rame da 15 millesimi di millimetro, isolante in Teflon, uno strato di Kevlar in fibre da 3 millesimi di millimetro. Nota di colore: Umberto Guidoni, juventino, porterà in orbita lo stemma della sua squadra, e in tribuna ci sarà Boniperti. A Malerba, suo collega nel Parlamento europeo, ha detto: «Anche nelle imprese spaziali c'è una dimensione sportiva». Piero Bianucci


UN ARTICOLO DELL'ASTRONAUTA-SCIENZIATO Domani Italia in orbita «Che cosa farò sullo Shuttle»
AUTORE: GUIDONI UMBERTO
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: GUIDONI UMBERTO, CHELI MAURIZIO, MALERBA FRANCO
ORGANIZZAZIONI: SHUTTLE, ALENIA, TSS-1R
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA, FLORIDA, CAPE CANAVERAL
NOTE: DUE ASTRONAUTI ITALIANI A BORDO DELLO SHUTTLE PER SPERIMENTARE IL «SATELLITE AL GUINZAGLIO» TETHERED TEMA: DUE ASTRONAUTI ITALIANI A BORDO DELLO SHUTTLE PER SPERIMENTARE IL «SATELLITE AL GUINZAGLIO» TETHERED

A quasi quattro anni dalla missione che ha visto il satellite italiano «tethered» volare a bordo dello Shuttle con l'astronauta Franco Malerba, eccoci al secondo lancio. A bordo dello Shuttle, oltre al «satellite al guinzaglio» italiano, ribattezzato Tss-1r, ci sarà una serie di esperimenti per la lavorazione di materiali in microgravità, termine tecnico che indica la quasi-assenza di peso. La permanenza in orbita sarà di 16 giorni, un record per le missioni dello Shuttle. Anche per questo si utilizzerà il «Columbia» , la navetta del volo inaugurale, la prima a essere attrezzata per missioni nello spazio di durata superiore agli 8 o 10 giorni. Per la seconda volta un astronauta italiano farà parte dell'equipaggio della navetta americana: chi scrive compirà, come «payload specialist», gli esperimenti scientifici del Tss-1r. Ad affiancarmi ci sarà Maurizio Cheli, dell'Agenzia spaziale europea. Due italiani insieme sullo Shuttle, dunque: un primato. Gli scopi della seconda missione rimangono praticamente inalterati. L'obiettivo è far allontanare il satellite dallo Shuttle fino a raggiungere la distanza di 20 chilometri. Con il satellite trainato come un aquilone, il sistema Tss percorrerà diverse orbite acquisendo dati di grande interesse scientifico. Una delle caratteristiche più interessanti di questo lungo filo nello spazio è quella di essere in grado di generare energia elettrica utilizzabile a bordo dello Shuttle. La colossale struttura formata dalla navetta, dal filo e dal satellite si comporta come una gigantesca dinamo in cui gli avvolgimenti magnetici sono costituiti dal campo magnetico della Terra e il rotore è rappresentato dal «tether», trasportato dalla navetta alla fantastica velocità di 25.000 km/ora. Anche se il campo terrestre con i suoi 0,3-0,4 gauss è di gran lunga più debole dei magneti di una dinamo, le dimensioni della struttura e la velocità, più volte supersonica, producono una differenza di potenziale ai capi del sistema - cioè fra satellite e Shuttle - di quasi 5000 volt. Lungo l'orbita dello Shuttle, a circa 300 chilometri, esiste una debole atmosfera - la ionosfera - con elettroni e ioni liberi; in queste condizioni il satellite - che si carica positivamente - è in grado di raccogliere elettroni dall'ambiente circostante e una corrente elettrica può scorrere nel filo come conseguenza della tensione indotta sul sistema. Con correnti dell'ordine di 1 ampere, ci si aspetta di ottenere qualche kilowatt di potenza, che verrà usata per alimentare un particolare esperimento a bordo dello Shuttle - un acceleratore di elettroni - che dovrebbe garantire, fra l'altro, la chiusura del circuito dal lato della navetta, riducendo l'impedenza di contatto fra la ionosfera terrestre e lo Shuttle che, essendo ricoperto per oltre il 90 per cento di piastrelle ceramiche, si comporta come un cattivo conduttore. Questa potenza, che corrisponde a quella di una utenza domestica, si ricava a spese del moto dell'intero sistema: quando passa corrente nel circuito lo Shuttle subisce infatti un rallentamento, che è però marginale rispetto all'enorme energia cinetica accumulata. Questa conversione diretta di energia cinetica in energia elettrica è l'aspetto più promettente della tecnologia dei «tether»; una conversione che potrebbe introdurre, però, problemi di stabilità dinamica che dovranno essere ben valutati nel corso della missione. Proprio il controllo di una perturbazione del filo molto simile al movimento della fune utilizzata nel salto alla corda - è stata la preoccupazione principale dei controllori di volo del centro di Houston, impegnati nella pianificazione delle fasi più critiche dal punto di vista dinamico. Anche se non ci sono state indicazioni definitive dalla prima missione, alcuni comportamenti del satellite, in risposta alle sollecitazioni del «tether», sono oggi più conosciuti di quanto fossero alla vigilia del volo del Tss-1 e alcuni dei vincoli dinamici, imposti per garantire la stabilità del sistema anche nel caso in cui il filo cominciasse a oscillare o a ruotare, potranno essere ridotti a tutto vantaggio degli esperimenti scientifici interessati ad analizzare le caratteristiche elettriche dei sistemi a filo. I dati raccolti non sono immediatamente estrapolabili ai regimi più interessanti ma l'esperienza della prima missione ha permesso di creare un database prezioso per una puntuale programmazione delle misure che si vogliono effettuare durante il reflight. Questa volta il team scientifico è certo di ottenere una risposta sperimentale ad alcuni interrogativi che riguardano lo studio dell'interazione fra corpi elettricamente carichi e il plasma ionosferico: un problema praticamente impossibile da affrontare nei laboratori sulla Terra. Umberto Guidoni Astronauta, Asi


SCAFFALE Istituto Nazionale di Sociologia Rurale: «Atlante dei prodotti tipici: il pane», Franco Angeli
AUTORE: SCAGLIOLA RENATO
ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Un volume consigliato non solo a panettieri e mugnai, ma a chiunque abbia a cuore il culto del buon pane. Ogni giorno in Italia 35 mila fornai producono 1500 qualità diverse di pane. Qui sono considerate solo le 200 qualità principali, prodotte non soltanto con grano duro e tenero, ma anche con mais, segale, grano saraceno.


SCAFFALE Pryiemski Estanislao: «Le voci del Pantanal», commentato da Folco Quilici, i Quaderni di Colibrì
AUTORE: SCAGLIOLA RENATO
ARGOMENTI: ZOOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Un fascinoso bestiario candido e feroce. La cronaca lunga vent'anni, di un esploratore-zoologo, un diario atemporale di non comune intensità e un sogno: «costruire un grande impianto di registrazione nella foresta, perché se le piante saranno custodite negli erbari e il ricordo degli animali estinti perpetuato in polverosi musei, cosa resterà delle voci dell'Amazzonia?».


SCAFFALE Dalla Bernardina Sergio: «Il ritorno alla natura, L'utopia verde tra caccia ed ecologia», Mondadori
AUTORE: SCAGLIOLA RENATO
ARGOMENTI: ECOLOGIA, DIDATTICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Una lucida analisi del complesso rapporto fra uomo e ambiente naturale, dove coesistono «Ignari pellegrini che continuano a praticare la "selva", secondo una logica premoderna... Da un lato relitti folclorici che scambiano ogni radura per una potenziale discarica, primitivi ancora legati a una concezione arcaica, superstiziosa, del rapporto tra caccia, onore, virilità; dall'altro uomini informati e responsabili che si accostano alla natura in termini adeguati alla verità scientifica... Un libro che si prefigge di evidenziare, dietro le pur notevoli differenze che separano i diversi tipi di consumatore (dal Contemplativo, al Marziale, dal Bucolico al Postmoderno), le analogie inconfessabili che legano gli uni agli altri nel loro rapporto con la dimensione silvestre».


SCAFFALE Celli Paola: «Crescere fra le piante. Tutti i segreti del giardinaggio finalmente alla portata dei bambini», Edizioni Edagricole
AUTORE: SCAGLIOLA RENATO
ARGOMENTI: BOTANICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Nove capitoli chiari e semplici per insegnare ai piccoli a riconoscere alberi e arbusti, accudire piante e fiori, reinvasare, bagnare, concimare, spiegando i semi, le radici, la sintesi clorofilliana.


SCAFFALE Carraro Carlo e Galeotti Marzio: «Ambiente, occupazione e progresso tecnico: un modello per l'Europa», I nuovi strumenti teorici e metodologici per affrontare i grandi problemi posti dal degrado ambientale. Edizioni Il Mulino
AUTORE: SCAGLIOLA RENATO
ARGOMENTI: ECOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Due docenti universitari alle prese con gli strumenti necessari per affrontare gli immani problemi creati dal degrado ambientale, e le loro ripercussioni sulle attività economiche nazionali e internazionali.


LA SFIDA DI KASPAROV Ultimo scacco al chip? L'irresistibile ascesa del computer
AUTORE: HOFFMAN ERNESTO
ARGOMENTI: INFORMATICA, GIOCHI
NOMI: KASPAROV GARRY
ORGANIZZAZIONI: IBM «DEEP BLUE»
LUOGHI: ITALIA
NOTE: SCACCHI. IL CAMPIONE DEL MONDO KASPAROV HA BATTUTO IL COMPUTER IBM «DEEP BLU» TEMA: SCACCHI. IL CAMPIONE DEL MONDO KASPAROV HA BATTUTO IL COMPUTER IBM «DEEP BLU»

IL campione del mondo di scacchi Garry Kasparov ha appena battuto il computer Ibm «Deep Blue», Profondo Blu, con il punteggio di 4 a 2. Ma si è dovuto impegnare al massimo, e ha iniziato la sfida perdendo il primo incontro. La filosofia greca ha identificato nella deduzione la più corretta forma di ragionamento. Dalla fine del secolo scorso, grazie alle ricerche di logica matematica, la formalizzazione del ragionamento ha permesso di costruire strutture deduttive di una prodigiosa efficienza. Il progresso tecnico, d'altra parte, ha consentito la realizzazione di computer di crescente potenza elaborativa. La convergenza di queste due linee di sviluppo ha reso possibile la costruzione di un sistema in grado di giocare a scacchi in maniera così raffinata da poter affrontare il miglior giocatore del mondo. Ma i contendenti hanno caratteristiche molto diverse. Il sistema Deep Blue è un computer Ibm Rs/6000 Sp2 a 32 nodi. Ogni nodo utilizza una scheda con 8 microprocessori Vlsi, specificamente progettati per esaminare da 2 a 3 milioni di posizioni al secondo. In totale abbiamo 256 microprocessori che lavorano insieme, con una capacità di 50-100 miliardi di mosse analizzate in meno dei tre minuti assegnati di volta in volta ai giocatori per la mossa successiva. Inoltre «alle spalle» dei 256 microprocessori è attivo un enorme archivio elettronico che conserva le sequenze di mosse dei principali incontri giocati dai grandi maestri negli ultimi 100 anni: miliardi di situazioni dalle quali estrarre informazioni utili alla scelta della mossa. Deep Blue ovviamente non si stanca nè si distrae, non si emoziona nè si deprime. Nè commette errori immediatamente visibili: i suoi errori possono essere riconosciuti solo alla lunga, e sono quindi errori di impostazione nella programmazione delle mosse da scegliere in una data situazione. Il contendente umano ha una visione dell'incontro del tutto diversa. Kasparov fa leva soprattutto sull'intuizione (e non sappiamo cosa sia), sulla capacità di giudizio (molto difficile da definire) e infine sull'esperienza (ma la tecnica di memorizzazione umana ci è ignota). Il campione analizza in genere solo una o due mosse al secondo, ma la sua attenzione è molto selettiva e, come abbiamo detto, utilizza una complessa combinazione di intuito, giudizio e memoria. Deep Blue analizza, invece, centinaia di milioni di posizioni al secondo usando tecniche di analisi e funzioni di valutazione molto semplici. Poiché però il numero di posizioni possibili, benché enorme, è finito, al crescere della potenza dell'elaboratore aumentano le sue possibilità di successo. La microelettronica procede tuttora con ritmi evolutivi straordinari: ogni dieci anni è possibile avere 100 volte più transistor per chip. E' pensabile che tra vent'anni un sistema come Deep Blue sarà almeno diecimila volte più veloce di quello attuale. Dobbiamo tuttavia riconoscere che questo incontro di scacchi mostra il livello di efficienza raggiunto nella meccanizzazione degli algoritmi, ma non dimostra affatto che Deep Blue sia intelligente. Sono le attività che consideriamo logicamente poco importanti, come il senso comune o le emozioni, quelle che non siamo assolutamente in grado di meccanizzare. Le nostre scelte sono per lo più il frutto di emozioni e non di attività deduttive. Ma c'è comunque una grande lezione che può venire dalle ricerche su sistemi come Deep Blue. Problemi di grande complessità, come le simulazioni dinamiche molecolari utilizzate dall'industria farmaceutica, o le analisi dei mercati finanziari, o ancora il controllo del traffico aereo, presentano profonde analogie strutturali con le analisi necessarie per giocare una partita di scacchi. Una migliore comprensione delle tecniche, sia hardware sia soft ware, necessarie per utilizzare sistemi a elevato parallelismo come Deep Blue, può essere l'arma per vincere anche questo tipo di sfide. Ernesto Hoffman Ibm, Technology Advisor




La Stampa Sommario Registrazioni Tornén Maldobrìe Lia I3LGP Scrivi Inizio