TUTTOSCIENZE 3 gennaio 96


TUMORI DEL SENO Tamoxifene, più prudenza Con il tempo perde la sua efficacia
Autore: P_B

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: NATIONAL CANCER INSTITUTE
LUOGHI: ITALIA

IL cammino della medicina, soprattutto nell'immagine che tendono a darne i giornali e la televisione, appare glorioso e trionfale. E' umano: si vorrebbe sempre poter dire che è pronto il vaccino contro l'Aids, che si è scoperta la cura per la distrofia muscolare e via miracolando. Il guaio è che qualche volta i mezzi di comunicazione di massa esagerano, e allora leggiamo notizie come quelle sulla melatonina che rende immortali o, più di recente, sulla pastasciutta al pomodoro come farmaco che previene il cancro. Conclusione provvisoria: una notizia che crea illusioni ma non vera è - purtroppo - peggio di una notizia cattiva. Questa premessa per arrivare a una notizia che incrina l'immagine della scienza trionfante, ma che, tuttavia è giusto dare: una ricerca fresca di pubblicazione - si legge su «Science» dell'8 dicembre - indica che nel prevenire la recidiva del tumore del seno il tamoxifene perde efficacia se somministrato su tempi lunghi, e addirittura può aumentare il rischio di un secondo cancro. Il tamoxifene è un ormone sintetico che blocca la produzione di estrogeni. Negli Anni Ottanta il suo consumo è continuamente aumentato, non soltanto da parte di donne già affette da cancro della mammella, ma anche - in ricerche inglesi - per saggiare la possibilità di prevenire chimicamente lo sviluppo di un cancro mammario in donne sane. In seguito al nuovo studio sugli effetti del tamoxifene, i responsabili del maggior progetto americano di ricerca sui tumori - il National Surgical Adjuvant Breast and Bowel Project, con sede a Pittsburgh - hanno immediatamente cancellato un loro esperimento di terapia a lungo termine con questa molecola. Anche il National Cancer Institute ha diramato a 22 mila medici curanti una circolare nella quale si segnala l'inefficacia della cura se prolungata per oltre cinque anni e li si avvisa della possibilità di effetti avversi. Questa svolta ha colto i medici come un fulmine a ciel sereno; non solo i coordinatori delle ricerche cliniche ma anche i medici americani prescrivevano tamoxifene a tempo indeterminato presentando il farmaco come miracoloso, e ora si trovano nella necessità di spiegare che si erano sbagliati. Secondo il National Cancer Institute, negli Stati Uniti le donne in cura con tamoxifene sono più di un milione, e il 20 per cento di esse lo prende da più di cinque anni. I nuovi dati dicono che delle donne trattate con tamoxifene per cinque anni, il 92 per cento non aveva avuto ricadute nei 4 anni dopo la fine della cura, contro un meno incoraggiante 86 per cento nel gruppo che invece aveva continuato la cura oltre il quinto anno. Inoltre, in quest'ultimo gruppo si sono diagnosticati sei nuovi tumori dell'endometrio contro due nel gruppo che aveva sospeso il tamoxifene; sei nuovi tumori della mammella contro cinque e dodici nuovi tumori primari in altra sede contro 9. Il tamoxifene preso a tempo indeterminato potrebbe quindi essere non solo inutile ma controproducente. Secondo Jeff Abrams, del National Cancer Institute, sperimentazioni su animali suggeriscono che a lungo andare il tamoxifene smette di agire perché l'organismo incomincia a reagire al farmaco come se esso fosse un estrogeno. Ce ne rendiamo conto: il discorso è diventato un po' troppo noioso per via delle cifre a confronto, e probabilmente anche un po' troppo tecnico. Chiediamo scusa al lettore. Ma l'intento era didattico: è bene che il pubblico si renda conto di come la scienza proceda per tentativi ed errori, e di come le sue conquiste siano sempre provvisorie. Soltanto così i cittadini incominceranno a diffidare, nel proprio interesse, delle soluzioni miracolistiche che quasi ogni giorno i mezzi di comunicazione di massa propinano loro. Per finire, però, ecco una buona notizia che compare nella stessa pagina di «Science» dedicata al rischio-tamoxifene: un altro studio ha ulteriormente accertato che nella cura chirurgica dei piccoli tumori della mammella un intervento limitato si dimostra più efficace di un intervento demolitore. Salute ed estetica, insomma, si salvano insieme. p. b.!


MALAYSIA Anche dalla pula del riso si può ottenere energia
Autore: SEMINO PIETRO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, ENERGIA
ORGANIZZAZIONI: SCHOOL OF CHEMICAL SCIENCES
LUOGHI: ITALIA

E' opinione di molti studiosi che i sottoprodotti della lavorazione del riso non siano sufficientemente sfruttati da parte dei conoscitori e degli industriali del settore. E' il caso del pulone di riso, ad esempio: quel guscio duro e ruvido - sovente indicato con l'appellativo di lolla - che racchiude i granelli di riso greggio in campo. Eppure nei tempi antichi la lolla veniva impiegata nella lucidatura dei metalli, in virtù delle sue grandi capacità abrasive. E oggi c'è chi la utilizza per ottenere energia (e quindi corrente elettrica), additivi, vernici antiscivolo e altro. Ma non è ancora abbastanza. Ci sono altre possibili utilizzazioni, ancora allo stato sperimentale, che possono essere messe in atto anche in Italia. In Malaysia, per esempio, dove è diffusissima la coltivazione del riso, ricercatori dell'Università Sains (Us) hanno messo a punto un nuovo metodo per utilizzare il pulone di riso nella creazione di un com posite material, un «materiale composito», davvero speciale. «Da questo materiale - ci spiega un analista chimico della School of Chemical Sciences di Penang, nella penisola di Malacca - si possono ricavare punte per il taglio di laminati e cuscinetti a sfera, perché la base di partenza è very hard, insomma, e particolare...». D'altra parte, il contenuto di silice amorfa nella lolla è rilevante (oltre il 90 per cento nelle ceneri), e questo composto, adeguatamente lavorato, polverizzato e compattato a caldo, può fornire l'hard com posite malese, una volta combinato ad altri elementi. Pietro Semino


TRATTENGONO I METALLI L'inquinamento dentro i capelli
Autore: STURARO ALBERTO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, INQUINAMENTO
LUOGHI: ITALIA

I capelli sono un materiale biologico interessante per le sostanze che si accumulano nella loro struttura: in medicina legale, ad esempio, permettono di rilevare l'uso di droghe e l'ingestione di sostanze velenose. Il capello può essere considerato un carotaggio al contrario, in quanto la parte irrorata dal sangue registra la situazione in un dato momento e immagazzina le sostanze presenti. La crescita del capello blocca ogni via di fuga delle sostanze assorbite. Di conseguenza un adeguato trattamento del campione e una opportuna tecnica di analisi permettono di individuare composti ed elementi chimici. L'analisi quantitativa di elementi metallici può costituire un indice biologico per la contaminazione professionale, ambientale o legata a una specifica malattia. L'esposizione occupazionale a zinco, rame, manganese e altri metalli pesanti in lavoratori di fonderia e saldatori è già stata valutata utilizzando capelli di persone esposte. Se il prelievo del campione è semplice, le difficoltà nell'interpretazione dei dati permettono un uso solo in certe condizioni. Il motivo di questa complicazione sta nel fatto che il contenuto di metalli nei capelli, in zone geograficamente omogenee, viene condizionato da una serie di parametri tra i quali il sesso, l'età e il colore sono i più importanti. I valori base devono essere fissati tenendo conto di queste variabili e una volta definiti è possibile riconoscere con sufficiente sicurezza anche situazioni di rischio minimo per le persone coinvolte. Inoltre, il capello, comportandosi come un campionatore passivo, fornisce dati integrati nel tempo, dei quali non è nota la relazione con quanto è realmente presente nel sangue e nell'urina. Quest'ultimo aspetto richiederebbe un difficile e laborioso approfondimento per risalire alla concentrazione effettiva di metalli in circolo nell'organismo. Nel nostro laboratorio è stata condotta un'indagine su 132 campioni di capelli appartenenti a persone sane abitanti nel Veneto, suddivisi per età, colore e sesso in modo da ottenere il contenuto medio di quattro elementi (rame, zinco, nichel e manganese), e una indicazione sull'incidenza che le variabili citate hanno su questi elementi. I risultati mostrano che:

i valori medi di rame, zinco, nichel e manganese si attestano rispettivamente su 23, 276, 2,2 e 0,65 microgrammi per grammo, indipendentemente da colore, età e sesso le concentrazioni dei metalli nei capelli femminili assumono valori superiori a quelli rilevati nei maschi, indipendentemente dal colore

i capelli biondi sono caratterizzati dai più bassi valori di zinco, rame e manganese rispetto agli altri colori. Dal confronto globale, indipendentemente dal sesso, il contenuto medio dei metalli studiati si mostra proporzionale all'inscurimento dei capelli con un valore totale crescente, procedendo dal biondo al nero attraverso il castano e il rosso l'andamento del contenuto in elementi in funzione del sesso e del colore conferma i più alti valori di zinco nei capelli femminili con l'eccezione del nero. I valori per il rame risultano sempre maggiori nelle femmine e, in assoluto, nei capelli castani di entrambi i sessi. Il nichel mostra le più basse concentrazioni nei capelli maschili rossi, mentre nelle femmine il valore minore si rileva nei biondi. L'analisi del capello può diventare, in futuro, una pratica promettente, a patto che si definisca l'intervallo entro cui cadono i valori di concentrazione dei metalli in esame: si potrebbe così stabilire se è in atto o se c'è stata una contaminazione ambientale o professionale. Alberto Sturaro Cnr, Padova


OLTRE GLI IMMUNOSOPPRESSORI? Vincere il rigetto Nuove frontiere dei trapianti
AUTORE: DI AICHELBURG ULRICO
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, BIOLOGIA, STATISTICHE
ORGANIZZAZIONI: EUROPEAN SOCIETY FOR ORGAN TRANSPLANTATION
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. TAB. DONATORI DI RENE Numero annuo per milione di abitanti ==================================================================== ITALIA 6,2 ----- GRECIA 7,1 ----- PORTOGALLO 14,1 ----- REGNO UNITO 15,9 ----- GERMANIA 16,7 ----- SCANDINAVIA 16,8 ----- SVIZZERA 16,9 ----- FRANCIA 17,1 ----- SPAGNA 22,5 ==================================================================== T. TAB. QUANTI SONO I TRAPIANTI? -------------------------------- Attività di trapianto di organi da cadavere in Italia rispetto al fabbisogno teorico ed alle liste di attesa nel 1993 1à gennaio 1989 - 31 dicembre 1993 -------------------------------------------------------------------- Trapianti effettuati Fabbisogno Liste annuo 1993 -------------------------------------------------------------------- Organi 1989 1990 1991 1992 1993 N.à Pazienti -------------------------------------------------------------------- RENI 604 533 581 592 661 2300 7000 ----- CUORE + 209 184 210 243 233 500 550 ----- CUORE-POLMONI - - 11 10 5 ? 50 ----- POLMONE ++ - - 8 8 25 ? 15 ----- FEGATO +++ 115 119 156 202 217 500 350 ----- PANCREAS 19 8 14 20 13 150 100 ----- TOTALE 947 844 980 1075 1154 -------------------------------------------------------------------- + Sono compresi: 5 trapianti «domino» nel '91, 4 nel '92 e 2 nel '93 ++ Sono compresi: 2 trapianti bipolmonari nel 1992 e 11 nel 1993 +++ E' compreso 1 split liver nel 1993 ====================================================================
NOTE: DONAZIONI E TRAPIANTI DI ORGANI TEMA: DONAZIONI E TRAPIANTI DI ORGANI

Nel mondo sono già 438 mila le persone che hanno avuto un trapianto di organi e il loro numero aumenta al ritmo del 4 per cento all'anno. Il mezzo milione di trapianti sarà superato prima del 2000. Ma ancora più importante è valutare l'aumento della sicurezza degli interventi: la sopravvivenza a un anno è attualmente del 90 per cento (media mondiale), a 5 anni è del 75 per cento e a 10 anni del 70 per cento. Determinante, nel prevenire la reazione di rigetto, è stata la scoperta della ciclosporina, il farmaco che consente di contenere la reazione immunitaria dell'organismo della persona che ha subito il trapianto. Questi i dati, diffusi dalla European Society for Organ Transplantation al congresso che ha tenuto di recente a Vienna. Paradossalmente, il problema oggi più grave non è medico ma sociologico: manca ancora una cultura della donazione di organi, sostenuta da leggi adeguate. IL trapianto di organi, ormai una terapia quasi di routine, ha come tutti sanno un fondamentale ostacolo (a parte la scarsità dei donatori): il rigetto. A questo proposito ci sono novità. Il rigetto è una reazione immunologica molto complessa, e dalla cui piena comprensione si è ancora lontani. Come provarono una quarantina di anni fa Burnet e Medawar, alcuni giorni dopo la nascita ogni organismo chiude la porta agli estranei: «Chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori». Qualsiasi molecola vivente sconosciuta viene eliminata, il «fuori» immesso dentro suscita una risposta che elimina l'intruso. Tuttavia tale barriera, che impedisce appunto l'attecchimento del trapianto, può essere superata mediante la somministrazione di farmaci immunosoppressori, ossia sopprimenti la risposta contro il trapianto. Da tempo tiene banco la ciclosporina A, un macrolide (classe degli antibiotici), preparata negli anni Ottanta da Roy Caine in sostituzione della precedente azatioprina (ideata da Gertrude Elion e George Hitchings che ebbero il Nobel nel 1988 per tutta una serie di farmaci fondamentali). La ciclosporina agisce sui geni codificanti la linfochina IL 2 (interleuchina 2). Le linfochine, prodotte dai linfociti, hanno un ruolo preponderante nella risposta immunitaria, particolarmente IL 1, IL 6, l'interferone gamma e soprattutto IL 2. Ma vi sono nuovi immunosoppressori. La rapamicina, un antibiotico, blocca l'attivazione dei linfociti T, inibisce la proliferazione delle cellule B e la produzione degli anticorpi IgG, IgH, IgA, IgE, (quest'ultimo indotto dall'azione dell'interleuchina 4 sui linfociti B). Vi sono poi FK 506, un macrolide possente immunosoppressore, e RS6 1443 che blocca la risposta dei linfociti B e T e inibisce la formazione di anticorpi. Ancora ricordiamo il Brequinar sodium (un nuovo acido chinolin-carbossilico), la DSG (un antibiotico), la ciclosporina G e la IMM 125 vicini alla ciclosporina A. Tutti questi prodotti sono già passati dallo studio sperimentale alle prime applicazioni all'uomo. In un prossimo avvenire sarà possibile associare queste molecole alla ciclosporina A riducendo così le dosi e per conseguenza gli effetti secondari, e migliorando sensibilmente la tolleranza. Tutti questi trattamenti immunosoppressori agiscono principalmente sulle cellule TH 1, bloccando la produzione di interleuchina 2 (IL 2) e interferone gamma (IFN gamma). Frattanto le conoscenze sulla biologia dei fenomeni del rigetto progrediscono, e pertanto si vorrebbe combatterlo specificamente anziché ricorrere ai farmaci, i quali non rappresentano ancora l'ideale, non sono privi di effetti collaterali e non sempre evitano il rigetto. Dell'ottenere una condizione di non-risposta del ricevente nei confronti del trapianto, come se il ricevente riconoscesse l'organo come proprio, si è parlato nei giorni scorsi a Bergamo nel 2O Simposio internazionale sulla tolleranza al trapianto, per iniziativa dell'Istituto Mario Negri (direttore Silvio Garattini) e del Centro ricerche per le malattie rare «Aldo e Cele Daccò». Ricerche sperimentali cominciano a far comprendere che ciò potrebbe avverarsi. Recentemente (1993) Thomas Starzl, un grande dei trapianti, ha descritto uno stato di tolleranza comparso in 6 trapiantati con fegato, i quali avevano interrotto ogni trattamento immunosoppressore dopo periodi da uno a undici anni dal trapianto, ed erano clinicamente stabili. Da tempo è noto che nell'organo trapiantato entrano cellule del ricevente, ma solo recentemente si è dimostrato un traffico in senso inverso, ossia cellule dendritiche (cellule timiche d'origine midollare) del donatore migranti nei polmoni, milza, pelle, intestino, reni, midollo osseo, timo, cervello, e tale micro-chimerismo avrebbe un significato di tolleranza del trapianto. Chiariamo che in biologia chimera è un organo costituito da più parti geneticamente diverse, il che è realizzabile per esempio inoculando cellule d'un ratto in un altro ratto di ceppo non affine, trattato con immunosoppressori. Queste ricerche sono state compiute nell'Istituto Mario Negri, e sempre qui si è visto che negli animali è possibile indurre tolleranza iniettando nel timo (un organo situato nel torace dinanzi al cuore, fondamentale per l'immunologia) del donatore frammenti di peptidi del ricevente, responsabili della diversità immunologica. Siamo probabilmente molto vicini - dice Garattini - al giorno in cui si saprà insegnare all'organismo ad accettare il trapianto come se fosse un organo proprio. Ulrico di Aichelburg


Donazioni Quel momento angoscioso in cui il medico annuncia una morte e promette insieme una vita
AUTORE: LOVERA GIORGIO
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, BIOETICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: DONAZIONI E TRAPIANTI DI ORGANI TEMA: DONAZIONI E TRAPIANTI DI ORGANI

LA chirurgia dei trapianti si fonda su una integrazione di conoscenze scientifiche in continuo aggiornamento, di tecnologie avanzate e di sistemi organizzativi. Ma esistono alcuni punti nevralgici legati a fattori psicologici, spesso inconsci e centrati intorno alle angosce di morte. Il primo riguarda il paziente in attesa di trapianto, che non è solo soggetto giuridico per un valido consenso all'intervento chirurgico, ma anche portatore di personali valori, di emozioni e di affetti, di interessi sociali; soggetto di paure e preoccupazioni, talora sofferente di sintomi psicopatologici derivati dallo stress da malattia e dall'imminenza di un rischio di vita. Occorre prendersi cura anche di questi aspetti psico-sociali del paziente, per una migliore (e più umana) conduzione terapeutica e per una corretta preparazione psicologica all'intervento chirurgico: veri momenti di psicoprofilassi, indispensabili alla successiva riabilitazione. Altro punto critico è il momento dell'incontro, nei centri di rianimazione, tra il personale sanitario e i famigliari della persona giunta a morte cerebrale. Con la legge attuale spetta ai curanti delle Rianimazioni dare le informazioni ai fini di un non- dissenso dei famigliari circa il prelievo di organi a scopo di trapianto. Ma dal punto di vista psicologico la sola informazione verbale, per il suo drammatico contenuto (comunicare la realtà della morte cerebrale; proporre le operazioni di prelievo degli organi), rischia di ferire chi è già provato dalla disperazione. Per non diventare controproducente l'informazione esige: rispetto della soggettività dell'altro; chiarezza e sincerità; presenza e consapevolezza di emozioni; accessibilità all'ascolto; capacità di mettersi al posto dell'altro e conseguente possibilità di instaurare un rapporto di fiducia e di alleanza terapeutica. Sono tutte abilità professionali che richiedono adeguati training di formazione psicologica del personale delle Rianimazioni. Gli istintivi meccanismi di difesa psicologica dall'angoscia ostacolano la comunicazione e rendono precaria la relazione terapeutica. Perciò la formazione psicologica dei curanti è rivolta a permettere loro di non essere preda di reazioni di difesa troppo rigide. Migliorando le capacità di rapporto con i famigliari in lutto essi possono svolgere una funzione di contenimento emotivo della loro angoscia e farsi portatori di un più sereno realismo terapeutico di fronte alla morte. Un altro punto con implicazioni psicologiche è quello del consenso a disporre dei propri organi per il trapianto. Profonde angosce primordiali incidono in modo negativo sull'atteggiamento sociale della «cultura della donazione» da cui dipende il reperimento di organi. Nella coscienza collettiva resta una immagine infantile di morte sentita come predatrice aggressiva. E restano fantasie infondate e perturbanti (purtroppo spesso stimolate da informazioni dei mass-media) sulla morte cerebrale. A queste inquietudini si può cercare rimedio promuovendo interventi chiarificatori a vari livelli della comunicazione sociale. Senza dimenticare che le angosce infantili dell'uomo tendono a placarsi attraverso le vie della stabilità affettiva, della fiducia e di quel sentimento di calore umano che chiamiamo amore. Perciò, al di là del rigore scientifico e di leggi dello Stato, un prelievo di organi che sia vissuto come un atto libero e volontario di donazione per il bene dell'altro, permetterà a chi vive, donante o ricevente, di sopportare bene l'esperienza del trapianto. Giorgio Lovera


UNA CARTA DEI RISCHI Strategie della guerra all'infarto Prevenzione per evitare cardiopatie coronariche
Autore: TRIPODINA ANTONIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: FRAMINGHAM STUDY
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. Carta del Rischio Coronarico

LA malattia coronarica è la prima causa di morte negli uomini oltre i 45 anni e nelle donne oltre i 65 anni di età in tutti i Paesi europei. E', inoltre, causa di precoce invalidità. Ai notevoli progressi compiuti nella comprensione dei meccanismi di formazione, nei metodi di diagnosi e di trattamento (si pensi agli interventi sempre più raffinati ed arditi di rivascolarizzazione con angioplastica e by pass), non ha corrisposto un altrettanto valido impegno per la prevenzione basata sulla correzione degli stili di vita e dei fattori di rischio, noti per essere causa dello sviluppo dell'arteriosclerosi e delle conseguenti alterazioni delle arterie coronarie. Eppure, pur non sottovalutando i progressi diagnostici e terapeutici finora compiuti, è sempre più evidente che la vera battaglia nei confronti dell'arteriosclerosi e della conseguente cardiopatia coronarica deve essere condotta sul terreno della prevenzione, sia primaria, da parte dei soggetti non ancora affetti da lesioni (in particolare quelli a maggior rischio), sia secondaria, da parte dei soggetti che hanno già presentato manifestazioni ischemiche, in cui il rischio di infarto del miocardio è sicuramente maggiore. La lotta dovrebbe essere condotta in modo particolare su tre fronti: l'ipercolesterolemia (cioè un tasso di colesterolo nel sangue troppo elevato rispetto ai livelli ritenuti normali), il fumo e l'ipertensione arteriosa. Sulla base di questi che sono considerati i tre maggiori fattori di rischio e sulla base dei dati emersi dall'ormai celebre «Framingham Study», è stata redatta una «Carta del Rischio Coronarico», dalla quale è possibile, conoscendo la pressione arteriosa sistolica (indicata verticalmente), il livello del colesterolo (indicato orizzontalmente nel grafico pubblicato qui accanto), l'abitudine o meno al fumo, l'età e il sesso, valutare con immediatezza la percentuale di rischio di ognuno di andare incontro ad un evento coronarico maggiore (cioè un infarto del miocardio) nei prossimi 10 anni. I soggetti con malattia coronarica già presente, quelli con diabete mellito, quelli con iperlipidemia familiare e con una storia familiare di malattia cardiovascolare precoce, devono essere classificati ad un livello di rischio superiore. Attraverso questa «carta» è anche possibile valutare quale potrebbe essere la variazione del pericolo di infarto a seconda di come si agisce sui fattori di rischio modificabili in base allo stile di vita. Antonio Tripodina


Uno scenario possibile messo a punto dalla Nasa 2003: Sbarco su Marte
Autore: GUIDONI UMBERTO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: NASA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Profilo della missione di atterraggio su Marte

OTTOBRE 2003: gli astronauti del Mars I mettono piede sul pianeta rosso. Non è l'inizio dell'ennesimo racconto di fantascienza ma è uno degli scenari previsti dalla Nasa nell'ambito del programma di esplorazione del sistema solare - «Space Exploration Initiative» - lanciato già dall'ex presidente Bush in occasione delle celebrazioni dello storico primo sbarco sulla Luna. In questi anni la Nasa ha lavorato sul tema dell'esplorazione umana del pianeta Marte con risultati contrastanti. Da principio, è stato proposto un mega-piano per costruire in orbita una nave spaziale di circa 700 tonnellate; un'opera gigantesca, più grande della stazione spaziale in corso di realizzazione. Il costo enorme e le difficoltà tecnologiche rendevano questo progetto estremamente complesso e difficilmente attuabile prima della metà del prossimo secolo. Visti i problemi di finanziamento, la Nasa ha ora ribaltato il suo punto di vista e lavora a un progetto che prevede l'uso di tecnologie ben collaudate, con tempi di realizzazione molto più ravvicinati. Il risultato è il programma di esplorazione planetaria denominato «Mars Direct»; ovvero come arrivare su Marte rapidamente, utilizzando in gran parte la tecnologia già sviluppata per le missioni Apollo e per lo Space Shuttle. Il primo problema da risolvere, per pianificare una missione interplanetaria con uomini a bordo, è come si può ridurre la massa dell'astronave diretta su Marte in modo da utilizzare i lanciatori già esistenti, come il razzo russo Energia o una versione modificata del Saturno V. La risposta è semplice e originale: bisogna diminuire i serbatoi di combustibile liquido e portare a bordo soltanto lo stretto indispensabile per il viaggio dalla Terra a Marte. Il propellente necessario per il viaggio di ritorno verrà prodotto sul posto, utilizzando gli elementi disponibili sulla superficie marziana. Nel 2001, una data che sembra copiata dal film di Stanley Kubrick, un razzo da trasporto, della classe della Saturno V, viene lanciato da Cape Kennedy. Spinta da un motore di apogeo, la nave cargo si inserisce direttamente in un'orbita di trasferimento verso Marte. Il carico consiste di un veicolo a due stadi capace di decollare dal suolo marziano e inserirsi in un'orbita di ritorno verso la Terra. Il veicolo - denominato Erv (Earth Return Vehicle) - non contiene combustibile; secondo i piani, la miscela di ossigeno-metano viene prodotta direttamente su Marte. A bordo ci sono anche alcune tonnellate di idrogeno liquido, veicoli robotizzati per l'esplorazione della zona di atterraggio e un reattore nucleare da 50 KW montato su un piccolo camion - con motore a combustione interna - che utilizza la stessa miscela della capsula Erv. Infine una parte importante del carico è costituita da un impianto chimico automatico per la sintesi del propellente liquido. Utilizzando la rarefatta atmosfera di Marte per rallentare la sua corsa, la nave cargo entra in orbita e comincia la discesa sulla superficie del pianeta con l'ausilio di grandi paracadute. Quando il veicolo da trasporto ha raggiunto la superficie, il centro di controllo sulla Terra tele-pilota il reattore a distanza di sicurezza, e l'energia derivata dalla fissione nucleare può alimentare direttamente l'impianto chimico: la produzione di «combustibile marziano» incomincia. L'idrogeno trasportato dalla Terra è fatto reagire cataliticamente con l'anidride carbonica, presente nel suolo marziano, per produrre metano e acqua. Il metano viene liquefatto e utilizzato per riempire i serbatoi del modulo Erv, l'acqua viene dissociata elettroliticamente in idrogeno e ossigeno. Mentre l'ossigeno subisce lo stesso processo del metano - liquefatto e stoccato come elemento ossidante per i motori del velivolo di ritorno sulla Terra - l'idrogeno è riutilizzato nel procedimento di metanizzazione. Il ciclo completo produce una quantità di propellente metano-ossigeno pari a 18 volte la massa di idrogeno portata dalla Terra. Più del 90 per cento del propellente prodotto è utilizzato per il veicolo Erv, circa 12 tonnellate sono disponibili per alimentare gli automezzi per le missioni di ricognizione intorno all'area di atterraggio. Con un sito ben conosciuto e un veicolo pronto per il rientro sulla Terra, tutto è pronto per l'arrivo del primo equipaggio umano. Nel 2003 due razzi vengono lanciati quasi contemporaneamente. Il primo contiene un carico del tutto simile a quello lanciato due anni prima, mentre il secondo razzo ha a bordo quattro astronauti, alloggiati in un modulo destinato ad essere riutilizzato anche sulla superficie come abitazione e laboratorio. L'habitat contiene i sistemi vitali per l'equipaggio (ossigeno, acqua, cibo, controllo termico, controllo delle radiazioni solari) ed è dotato di scorte sufficienti per tre anni di permanenza. Nella parte inferiore del modulo c'è una «Rover» pressurizzata per muoversi sul suolo marziano. Il veicolo pilotato si inserisce in orbita e atterra nel luogo esplorato dalla missione robotizzata. La nave cargo può essere diretta nella stessa area, per avere un secondo mezzo di ritorno in caso di emergenza, oppure può atterrare a centinaia di chilometri di distanza, per preparare il propellente per la seconda missione pilotata, prevista per il 2005. L'equipaggio rimane sulla superficie circa un anno e mezzo. In questo modo il viaggio di ritorno avverrà quando Marte è in congiunzione con la Terra, una traiettoria che permette di ritornare in circa sei mesi, lo stesso tempo impiegato per il viaggio di andata. Durante la permanenza sul pianeta rosso, i quattro astronauti potranno esplorare l'area attorno alla zona di atterraggio. Grazie ai veicoli da ricognizione di cui è dotata la spedizione e alle tonnellate di propellente ricavate dal suolo marziano saranno in grado di esplorare una superficie di 800 mila chilometri quadrati, un territorio grande pressappoco come il Texas. E'una missione di lunga durata, che si affida alla ridondanza dei sistemi vitali dell'astronave e della base marziana ma anche alla capacità dell'equipaggio di fare le riparazioni necessarie. Per questo il mestiere più richiesto sarà quello di ingegnere, al punto che probabilmente ci sarà bisogno di due membri dell'equipaggio con questa competenza. Un altro fattore determinante sarà l'esplorazione del pianeta; per questa attività sono richieste conoscenze di geologia (per analizzare le risorse e la storia geologica di Marte) e di biochimica (per studiare la possibilità di vita e determinare la qualità del terreno in vista della nascita di un'agricoltura marziana). Per le altre specializzazioni, l'equipaggio dovrà supplire con un addestramento incrociato: uno degli ingegneri avrà il comando della missione, l'altro dovrà saper controllare l'autopilota all'atterraggio e alla partenza, il biochimico potrà fungere da ufficiale medico. Insomma, per usare una terminologia presa in prestito da Star Trek, la prima missione su Marte avrà bisogno di due Scotty e due Spock ma probabilmente non avrà posto per i Kirk, i Sulu e i McCoy. Umberto Guidoni Astronauta dell'ASI


In cielo studenti «parabolici» Esperimenti a gravità zero su un aereo in volo
Autore: BONANNI AMERICO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, RICERCA SCIENTIFICA, STUDENTI, UNIVERSITA'
NOMI: EL HAMEL ZAKY, SABATINI PAOLO, INNORTA DANIELE, SOLI LUCA, PICCIRILLO MASSIMO, ALTERIO GIOVANNI
LUOGHI: ITALIA

PRIMI passi nell'attività spaziale per 43 studenti europei, tra cui sei italiani. Dal 20 al 24 novembre '95 i partecipanti alla seconda campagna di «Voli parabolici studenteschi» hanno potuto svolgere esperimenti scientifici di microgravità a bordo del KC 135 della Nasa, l'aereo zero-g usato anche per le riprese del film Apollo 13. I voli sono stati organizzati dall'Agenzia spaziale europea e dall'università olandese di Delft durante la settimana europea della cultura scientifica. Per la prima volta si è visto in Europa il KC 135 (un 707 modificato). Le precedenti campagne di volo parabolico europee (sia quelle puramente scientifiche sia quelle per studenti del '94) si erano svolte con l'aereo in dotazione all'Esa, un Caravelle, meno spazioso del velivolo Nasa. I voli parabolici permettono di ottenere brevi periodi di gravità zero senza andare nello spazio, quindi con costi molto bassi, rischi minori e un sacco di problemi tecnici in meno. Il meccanismo è semplice: un aereo opportunamente attrezzato manovra nel cielo prima puntando verso l'alto e poi riducendo la potenza dei motori al minimo, compiendo in questo modo una parabola. Durante la fase in cui i motori sono al minimo (in realtà spingono quel tanto che basta per compensare la resistenza dell'aria), l'aereo si trova in caduta libera e in esso si crea una assenza di peso che dura circa 25 secondi. Il ritmo è di una ventina di parabole all'ora. Sei gli studenti italiani partecipanti alla campagna '95: quattro del dipartimento di Ingegneria aerospaziale del Politecnico di Milano (El Hamel Zaky, Paolo Sabatini, Daniele Innorta e Luca Soli) e due del Dipartimento di Ingegneria dello spazio dell'Università Federico II di Napoli (Massimo Piccirillo e Giovanni Alterio). Dopo l'accettazione delle loro proposte i sei hanno dovuto seguire l'intera procedura per l'idoneità al volo, con visite mediche nei centri dell'Aeronautica militare italiana. Solo per un esame, la «camera ipobarica», si sono dovuti rivolgere all'estero, visto che attualmente in Italia l'attrezzatura necessaria non funziona. Questo problema è stato risolto grazie alla collaborazione di Franco Rossitto, capo del Centro europeo astronauti di Colonia. Agli italiani è toccata la terza missione, assieme agli austriaci. Dopo aver preso le pillole conto la «motion sikness» (una specie di mal di mare) c'è stato l'imbarco. Il KC 135 ha raggiunto la quota di ottomila metri e ha iniziato le parabole. La prima fase è l'accelerazione verso l'alto, quando dentro l'aereo ci sono due G e i partecipanti si sdraiano a terra per sopportare meglio questo periodo. Poi la fase a gravità zero, i primi tentativi per adattare il corpo alla nuova condizione e l'inizio degli esperimenti. Gli italiani hanno condotto tre progetti diversi: Zaky e Sabatini hanno effettuato una simulazione orbitale in cui la forza di attrazione tra due corpi non era costituita dalla gravità ma da un campo elettrico. Senza il disturbo della gravitazione, la forza elettrica risulta predominante e quindi il moto di una pallina attorno a una sfera caricata elettricamente risulta analogo a quello di un satellite attorno a un pianeta. Innorta e Soli hanno invece condotto una simulazione di sistemi spaziali «tethered», realizzando un preciso modello in scala di un sistema orbitale a filo, simile a quello già parzialmente sperimentato da Franco Malerba sullo Shuttle. L'obiettivo è stato lo studio della possibilità di controllare i movimenti e i disturbi del cavo che collega la navicella madre al satellite. Un braccio meccanico manovrato da un computer aveva lo scopo di smorzare oscillazioni indesiderate appena comparivano: una soluzione innovativa per uno dei principali problemi esistenti nei sistemi a filo. Infine l'esperimento dei napoletani Piccirillo e Alterio, denominato «Studio della convenzione vibratoria in una cella fluida»: con una delle apparecchiature a più alto contenuto tecnologico di questa campagna, sono stati simulati i disturbi che la normale attività a bordo di una stazione spaziale può arrecare agli esperimenti di scienza dei fluidi, dalla biologia alla fusione di metalli. Americo Bonanni


CLIMA: ALLARME ONU Un suicidio di massa «L'umanità, una pericolosa forza della natura»
Autore: CANUTO VITTORIO, CLINI CORRADO

ARGOMENTI: METEOROLOGIA, ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

L' UMANITA' è diventata una forza della natura. Pericolosa. Questo è il senso profondo della Conferenza dell'Onu sul clima terminata a Roma il 16 dicembre. Il documento finale, a cui hanno contribuito più di 2000 scienziati, verrà consegnato ai governi di tutti i Paesi affinché si arrivi entro il 1997 a concordare un obiettivo comune per ridurre i gas ad effetto serra. Il testo ufficiale dice che «l'evidenza suggeri sce un influsso umano percepibile sul clima globale», un enorme passo avanti rispetto a quanto si diceva solo qualche anno fa, e cioè che la variabilità naturale del clima avrebbe impedito di isolare, forse per molti decenni, la componente antropica (posto che esistesse). Le attività umane (l'uso di combustibili fossili e la deforestazione) stanno appesantendo il fardello di anidride carbonica e altri gas. Il che cambierà il clima globale e locale, la temperatura, le precipitazioni, il livello dei mari. Bufere, alluvioni e siccità si prevede aumentino in frequenza e intensità. In ultimo, epidemie come malaria e febbre gialla (della prima si hanno 50-80 milioni di nuovi casi l'anno) potrebbero spostarsi verso il Nord, dove le temperature sarebbero maggiori di oggi. Dipendendo dal tasso di crescita della popolazione, si prevede un aumento dai 6 ai 36 Gt di carbonio immessi nella nostra atmosfera per l'anno 2100 (un gigatone, Gt, corrisponde a un miliardo di tonnellate). Per la temperatura media si prevede un aumento di 1-3,5oC, maggiore di quello degli ultimi 10.000 anni. Il livello dei mari aumenterebbe dai 15 ai 95 centimetri. Le attività umane, che hanno scale di tempo molto brevi, agiscono sul clima, il quale invece opera su scale di tempi molto lunghe. A questa mancata sincronizzazione di causa ed effetto, si deve aggiungere un'ulteriore complicazione: le componenti del sistema climatico (atmosfera, oceani, biosfera) interagiscono in modo non lineare, il che rende difficile prevederne il comportamento. Foreste. In caso di raddoppio dell'anidride carbonica (CO2), variazioni della temperatura e disponibilità di acqua, una frazione non trascurabile delle foreste del pianeta subirà enormi cambiamenti, soprattutto le foreste del Nord. Alcune foreste potrebbero sparire, immettendo nell'atmosfera grandi quantità di CO2, il che peggiorerebbe la situazione. Deforestazione: poiché si prevede un aumento della temperatura e una diminuzione delle precipitazioni nelle zone equatoriali, l'estensione del deserto è destinata a crescere. Sistemi idrologici: si prevede che nei prossimi 100 anni potrebbero sparire dal 30 al 50 per cento dei ghiacciai, il che altererebbe il flusso stagionale delle acque usate in agricoltura e nelle centrali idroelettriche. Agricoltura: mentre da un lato si può concludere che l'agricoltura non soffrirebbe su scala globale, si prevedono grandi cambiamenti su scala regionale, con il rischio di fame e carestia nelle regioni più povere dei tropici. Regio ni costiere: un aumento del livello del mare di 50 centimetri metterebbe a rischio 92 milioni di persone; un aumento di 1 metro, 118 milioni. Perdite di terreno agibile causa l'erosione sarebbero dello 0,05% (Uruguay), 1% (Egitto), 6% (Olanda), 17,5% (Bangladesh), 80% per l'atollo Majura nelle Marshall Islands. Dato questo scenario quali rimedi possiamo adottare? Supponiamo di mantenere lo status quo per le sorgenti di CO2. Alla fine del 21o secolo, la concentrazione sarà il doppio di quello che era prima della rivoluzione industriale. Ma anche solo per raggiungere questo modesto risultato, dovremmo procedere a una immediata riduzione delle emissioni di CO2 di circa il 50-70%! Oggi l'emissione di CO2 per persona è di 1,1 tonnellate l'anno, alle quali bisogna aggiungere 0,2 causa la deforestazione. Nei Paesi industrializzati, il tasso pro capite varia da 1,5-5,5 tonnellate, mentre nei Paesi in via di sviluppo varia da 0,1 a 2 tonnellate. Quindi un primo messaggio: poiché i primi consumano di più, tocca a loro ridurre di più. E' possibile farlo? Se le istituzioni politiche non dovessero intervenire, si prevede un aumento allarmante delle emissioni di gas serra dai settori industria, trasporti, commercio e residenziale. D'altro canto, un aumento nell'efficienza energetica del 10-30% è perfettamente possibile senza dover spendere una lira, anzi generando guadagni. Per la Oecd, si è calcolato che i costi vanno dal - 0,5% al più2% del Pil (ci può essere quindi un guadagno di circa 60 miliardi di dollari). Ecco come. Industria. Aumentare l'efficienza, riciclaggio e cambio da carbone a gas metano. Trasporti: uso di reti tranviarie, riduzione del trasporto gommato, uso di veicoli più piccoli e più aerodinamici per minimizzare l'attrito e quindi il consumo energetico. Commer cio-abitazioni: ridurre il trasporto e perdite di calore, uso di lampade alogene a maggior durata e minor consumo. Settore energe tico: è possibile ottenere riduzioni significative usando tecnologie alternative. Per esempio: cambiare carbone con petrolio e quest'ultimo con gas metano; ridurre al massimo le fughe di metano specialmente durante l'estrazione e il trasporto; usare nuove fonti energetiche come solare, eolico, biomassa, geotermia. Mentre le soluzioni tecniche non sembrano mancare, va sottolineato che tutto ciò non può essere fatto se non attraverso una collaborazione internazionale economica e tecnologica. I Paesi in via di sviluppo hanno priorità urgenti (si pensi alle decine, forse centinaia, di milioni di persone in Cina che non hanno luce elettrica), spesso sono più vulnerabili a possibili cambiamenti climatici (si pensi al Bangladesh con un aumento del livello del mare di un metro) e purtroppo molto spesso hanno istituzioni strutturalmente deboli. Terminiamo con alcune considerazioni sul problema dell'equità che si viene a presentare nelle considerazioni dei mutamenti climatici di natura antropica. Ci sono due aspetti fondamentali. Permettere ai Paesi in via di sviluppo di partecipare attivamente ai negoziati sui cambiamenti climatici, aumenta la prospettiva di ottenere un accordo efficace, durevole e giusto sui modi da seguirsi per raggiungere gli obiettivi comuni. In secondo luogo, c'è il problema della «giustizia intergenerazionale», poiché le future generazioni non sono in grado di influenzare le decisioni di oggi ma tali decisioni le influenzeranno da vicino. Vittorio M. Canuto Nasa, New York Corrado Clini Ministero dell'Ambiente, Roma


SCAFFALE Pappas Theoni: «Le gioie della matematica», Muzzio, Padova
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: MATEMATICA
LUOGHI: ITALIA

IL titolo può sembrare provocatorio, perché alla matematica quasi tutti associano dolori e non gioie. Eppure è un libro davvero divertente che ci fa scoprire formule e teoremi nascosti dietro la natura, l'arte, la musica, l'architettura, la storia, la letteratura. Dello stesso editore segnaliamo «Gatti e altre storie», piacevoli pagine dell'etologo Giorgio Celli.


SCAFFALE Collana Tessere, CUEN, Napoli
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: BIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Si chiamano «Tessere» e formano ormai un bel mosaico. Gli ultimi volumetti trattano la biologia evoluzionistica, la meccanica dei quanti e la geofisica. Ma la collana segue tre filoni: classici della scienza, brevi testi di divulgazione su temi di attualità e raccolte di saggi brevi derivati dai seminari del corso di specializzazione scientifica della Sissa di Trieste (Scuola internazionale studi superiori avanzati). Promosse dalla Fondazione Idis di Napoli, oltre a una formazione di base, le «Tessere» (che sono ormai una quindicina) forniscono un ottimo aggiornamento. Per esempio il volume dedicato alla geofisica riporta le recenti misure dell'altezza dell'Everest e del K2 fatte con i satelliti Gps ed eseguite sotto la guida di quello straordinario maestro ultranovantenne che è Ardito Desio.


SCAFFALE Bertola Francesco: «Imago Mundi», Ed. Biblos, Cittadella (Pd)
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA

La riflessione prima religiosa, poi filosofica e infine scientifica sulla forma e sull'origine dell'universo accompagna l'uomo da sempre, e le tre componenti di essa nei secoli si intrecciano e talvolta si contrappongono, salvo poi riprendere la loro autonomia, che si fonda su metodi, motivazioni e principi diversi. In questo splendido volume, adatto a una strenna raffinata, l'astrofisico Francesco Bertola, specializzato nello studio delle galassie e della cosmologia, riassume le visioni del mondo dagli antichi greci ai Padri della Chiesa, dalla concezione medievale che troviamo in Dante alla svolta segnata da Copernico, per giungere agli scandagli galattici di Herschel e di Hubble, e infine alle teorie cosmologiche contemporanee, che si spingono a infinitesime frazioni di secondo dal Big Bang. Il tutto in pagine di grande formato, corredate da una eccezionale iconografia.


SCAFFALE Leigheb Maurizio: «Irian Jaya», Editoriale Giorgio Mondadori
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Sembra impossibile, ma c'è ancora qualche angolo di questo pianeta che rimane da esplorare. Dalla breve lista se ne può ora depennare un altro: Maurizio Leigheb ha studiato per 15 anni l'Irian Jaya, provincia indonesiana dell'isola di Nuova Guinea dove abitano le ultime tribù antropofaghe, e ne ha dato un puntuale resoconto con tanto di documentazione fotografica in un volume per molti versi unico al mondo. Oltre a tramandare la memoria di popoli senza scrittura che rischiano di essere cancellati dal pianeta non solo fisicamente ma anche culturalmente, Leigheb rievoca anche la storia poco nota delle migrazioni dei primi colonizzatori di pelle scura provenienti dall'Asia. Pubblicato con il contributo della Banca Popolare di Novara, il volume è presentato dall'etologo e antropologo Irenaus Eibl-Eibesfeld, erede scientifico di Lorenz.


SCAFFALE Kaler James: «Stelle», Zanichelli
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA

Il destino di una stella è tutto scritto nella sua massa, cioè nella quantità di materia che contiene. Se la massa è grande la stella avrà vita breve e morirà in modo spettacolare dando origine a una pulsar o a un buco nero. Se la massa è media avrà un'esistenza lunga e tranquilla. Se è troppo piccola rischia di non innescare le reazioni termonucleari. Ma le stelle sono importanti anche perché «cucinano» gli elementi chimici più pesanti, che non hanno potuto formarsi nel Big Bang e tuttavia sono indispensabili alla vita. Un percorso affascinante, sotto la guida di un astronomo dell'Università dell'Illinois a Urbana-Champaign. Piero Bianucci


SALUTE IN UFFICIO Contro lo stress da vdt Tutte le regole di Dossier Ambiente
Autore: GRANDE CARLO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

IL videoterminale può provocare problemi agli occhi, stress, dolori ai muscoli e alla colonna vertebrale. Disturbi di questo genere non sono però inevitabili: possono essere prevenuti, con un po' di attenzione da parte di chi usa il «vdt» e da parte dei datori di lavoro, con attrezzature speciali, dai tavoli alle sedie agli stessi terminali. Uno dei nemici più insidiosi per chi sta molte ore davanti al «vdt» è lo stress, come spiega «Dossier ambiente», trimestrale dell'Associazione ambiente lavoro, che riassume in modo chiaro la più recente normativa italiana ed europea sull'argomento. Naturalmente lo stress varia dalla personalità di ciascuno ma si determina, sul lavoro, «quando le capacità di una persona non sono adeguate rispetto al tipo e al livello delle richieste lavorative». Provoca mal di testa, tensione nervosa, irritabilità, stanchezza eccessiva, insonnia, digestione difficile, ansia, depressione. Ci sono molti modi per combatterlo: numerosi esercizi di «stretching» e rinforzo muscolare, ad esempio, consentono di non arrivare a casa alla sera distrutti; si possono fare anche sul lavoro, basta sfruttare qualche prezioso secondo di rilassamento. Durante le pause, inoltre - è bene farne qualche minuto ogni ora - bisogna evitare di restare seduti e tenere impegnati gli occhi, specie nei lavori che richiedono più concentrazione e in quelli particolarmente ripetitivi. Tipo di arredi e disposizione dell'attrezzatura d'ufficio sono fondamentali: per evitare l'«astenopia», cioè la «sindrome da fatica visiva», il sovraccarico degli occhi, vanno evitati i riflessi, la luce diretta di lampade o finestre sullo schermo, che dev'essere ad angolo retto, 90o, rispetto alla superficie delle finestre, e almeno a un metro di distanza. L'ambiente non deve essere illuminato troppo o troppo poco, il monitor resterà a 50- 70 centimetri dagli occhi, e un po' più in basso. Un leggio può essere utile per non torcersi inutilmente quando si deve copiare un testo. Le pareti non devono essere di colore bianco o riflettente, il rumore dev'essere contenuto e non tale da disturbare la comunicazione e l'attenzione. Possono provocare disturbi agli occhi anche fattori ambientali come l'aria negli uffici troppo secca o inquinata: per il fumo, per la presenza di troppe fotocopiatrici in locali poco aerati, per la scarsa efficienza dell'impianto di condizionamento o anche perché gli arredi rilasciano sostanze dannose. Un altro rimedio contro l'affaticamento visivo è far riposare gli occhi socchiudendoli per uno o due minuti, oppure seguire il perimetro del soffitto, un poster o meglio ancora il verde del paesaggio (non è un caso se in natura predomina questo colore riposante, e non il rosso o il giallo). La visione di oggetti vicini sollecita enormemente i muscoli oculari per la messa a fuoco e per la motilità oculare, mentre per guardare oggetti oltre i sei metri consente loro di rimanere in riposo. Anche collo, schiena, spalle, braccia e mani sono sottoposte a stress non indifferenti. Provocano pesantezza, fastidio, rigidità, intorpidimento, dolore vero e proprio, perché nelle posizioni statiche i muscoli non vengono irrorati a sufficienza. La colonna vertebrale è in prima linea: il disco intervertebrale nelle posizioni fisse invecchia precocemente, quindi è importante cambiare posizione del corpo almeno ogni ora, ad esempio alzandosi. I movimenti rapidi e ripetitivi delle dita sul mouse sollecitano e comprimono i nervi e i tendini dell'avambraccio, che possono infiammarsi e provocare dolore (anche intenso), formicolii, e alla fine impaccio di movimenti. La postura è importante: chi scrive molto farà bene a tenere gli avambracci appoggiati il più possibile (per consentire ciò il ripiano su cui poggia la tastiera dovrebbe avere una quindicina di centimetri in più). Il piano su cui c'è il vdt dev'essere alto circa 70 centimetri, dev'essere stabile (niente vibrazioni dannose) e deve consentire in profondità l'alloggiamento delle gambe semidistese (quindi niente ingombri di barre, cavi, ad esempio). Il sedile, regolabile, deve rimanere a un'altezza che consenta alle gambe di stare a 90o, ben appoggiate per terra. Lo schienale deve sostenere adeguatamente la zona lombare, non dev'essere inclinato in avanti ma fra i 90o e i 110o. Deve avere altezza regolabile, una base antiribaltamento a 5 razze, una spessa imbottitura semirigida, un rivestimento traspirante e non di plastica o gomma. La poltroncina non dev'essere troppo lunga (sennò le gambe non poggiano bene), e regolabile facilmente, senza fare acrobazie. Prima di iniziare a lavorare con vdt gli esperti consigliano di effettuare una serie di esami oculistici, che valutino in particolare la refrazione (messa a fuoco) e la motilità oculare (ovvero la capacità dei due occhi di lavorare insieme). Anche chi non è strabico, ad esempio, può avere un cattivo coordinamento degli occhi («eteroforia») e deve fare uno sforzo maggiore per «tenerli insieme» e interpretare l'immagine. I controlli periodici sono utilissimi anche per l'apparato muscolo-scheletrico, ma fondamentale è condurre una vita meno sedentaria: dimenticarsi dell'ascensore, ad esempio, e possibilmente praticare uno sport. Carlo Grande


VETERINARIA Struzzi come polli? Già 200 gli allevamenti in Italia
Autore: BURI MARCO

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE, ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T.TAB. TABELLA COMPOSIZIONE CARNE DI STRUZZO =================================================== PROTEINE 21,400 % GRASSI 2,000 % CARBOIDRATI 2,500 % CALORIE 114,000 % VITAMINA A 18,000 ui VITAMINA C 7,500 mg TIAMINA 0,009 mg MIACINA 7,900 mg RIBOFLAVINA 0,141 mg SODIO 50,600 mg CALCIO 6,100 mg FERRO 7,700 mg COLESTEROLO 58,000 mg =================================================== T. Tabella comparativa con altri tipi di carne

GLI struzzi in Italia? Sono ormai 200 gli allevamenti sparsi sul nostro territorio, con una veloce crescita negli ultimi anni, così come in tutta Europa. Ed esistono già due associazioni e una rivista specializzata anche se legalmente è stata permessa la macellazione solo dal 1993: il mercato richiede non solo la carne, che ha particolari virtù dietetiche, ma anche piume e pellame. Lo struzzo, il cui nome scientifico è Struthio camelus, è alto 2,30-2, 60 metri, pesa 120-150 kg e vive 60-70 anni. E' incapace di volare ma corre a 70-80 km all'ora con balzi fino a 3 metri. E' il più grande pennuto vivente, la zampa ha due sole dita ricoperte da unghie molto sviluppate. Le femmine depongono da 70 a 100 uova all'anno fino all'età di 45 anni. L'uovo pesa da 1,6 a 1,9 chilogrammi (come 24 uova di gallina) e schiude in 5-6 settimane. L'incubazione è una fase particolarmente delicata dell'allevamento, così come importante è il locale per questa operazione, che deve mantenere condizioni ideali di umidità, temperatura e purezza dell'aria oltre a essere isolato termicamente, acusticamente e dalle vibrazioni. I pulcini crescono molto rapidamente, circa 30 centimetri al mese. I maschi sono poligami, perciò una famiglia può essere composta da un maschio e due femmine e può vivere da sola o in gruppi; ogni nucleo ha bisogno di uno spazio di almeno 1500 metri quadrati. Addomesticato di recente, lo struzzo non può essere allevato in batteria anche per le sue dimensioni. E' un uccello pascolatore, predilige i terreni pianeggianti dove si muove molto e becca quasi continuamente il suolo in cerca di cibo e da cui assume il calcio e altri minerali necessari al suo metabolismo. Normalmente gli struzzi sono animali silenziosi, tranne i maschi che emettono forti muggiti-barriti nelle lotte tra loro e nelle situazioni di difesa- aggressione verso i nemici. Sono animali docili ma molto possessivi nella cova e nella difesa del territorio: il maschio in particolare può scalciare fino ad uccidere un uomo. Lo struzzo ha una vista eccezionale e ottimo udito che insieme a velocità e altezza gli consentono, in natura, di difendersi dalla maggior parte dei suoi aggressori. E' principalmente erbivoro ma si nutre pure di germogli, boccioli, insetti e lumache. Molto amante dell'acqua, si bagna spesso e ne beve circa 12 litri al giorno, ha bisogno di un clima stabile senza sbalzi eccessivi di temperatura e umidità. In passato viveva libero in gran parte dell'Africa e in Medio Oriente ma, al tempo dei Romani, si trovava anche nella Penisola italica. Oggi è libero in piccoli gruppi solo in Sud Africa. L'uomo utilizza da tempo le piume di struzzo come elementi di abbigliamento, oppure quelle di minor qualità e bellezza, per produzione di cuscini e coperte. Le pelli sono di ottima qualità, durevoli nel tempo e stanno così rimpiazzando quelle di coccodrillo nelle confezioni più pregiate. Ma è la carne di struzzo a creare maggior interesse, anche se ancora poco conosciuta. E' davvero una prelibatezza, un cibo proteico del futuro oppure solamente un altro tipo di carne avicola? Innanzitutto non ha l'aspetto della carne avicola ma essendo di colore rosso si può confondere con quella di manzo. La sua caratteristica principale è il basso contenuto di colesterolo, che segue lo schema metabolico dei volatili, insieme a un gusto intenso come la carne bovina. E' da notare, quindi, come pur avendo un valore proteico molto simile alla carne di manzo «rossa», sia più bassa in calorie, grassi, colesterolo addirittura di quella avicola «bianca». Sull'onda di informazioni dietetiche e scientifiche in continua evoluzione o di allarmismi alimentari anticolesterolo questa produzione ha avuto un deciso aumento soprattutto in Francia, Germania e Svizzera ma, anche in Italia, dove cuochi di rango e famosi ristoranti la propongono nei loro piatti più ricercati. Possiamo gustare così carpacci e filetti di Struthio camelus alla griglia o con varie salse, oppure i «faijatas», struzzo affumicato, ma anche tagliatelle al ragù e ravioloni ripieni di questa carne. Senza entrare in diatribe tra vegetariani e sostenitori della carne per forza, in un mondo occidentale dove l'uomo che lo vive è il più delle volte sovralimentato o mal alimentato, dove lo stress può generare altri problemi metabolici associati al cattivo cibo, dove il movimento fisico è diventato un optional, un nutrimento proteico più sano può effettivamente aiutare a migliorare lo standard della salute. Oltre a tutti questi aspetti positivi in futuro, però, dovremo controllarne il prezzo. Per ora, infatti, la carne di struzzo costa dalle 50.000 alle 80.000 lire al chilo. Poiché sono pochi gli animali fuori dal Sud Africa, e dato l'alto costo dei riproduttori, la macellazione continua per ora non è conveniente. Da questa operazione, effettuata verso il quindicesimo mese di età, quando lo struzzo ha appena superato il quintale di peso, si possono ottenere circa 30 kg di carne rossa magra; fegato e cuore sono molto appetibili ma c'è poca richiesta. Le uova hanno un costo elevato (mezzo milione l'una) perché finalizzate essenzialmente alla riproduzione, ma da una sola di esse si può ricavare una superfrittata per quindici-venti persone! Marco Buri


RICERCHE NEGLI USA Alpinisti, cervello in tilt Disturbi nervosi dovuti all'alta quota
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: LIEBERMAN PHILIP
ORGANIZZAZIONI: BROWN UNIVERSITY, AMERICAN SAGARMATHA EXPEDITION, AVIATION, SPACE AND ENVIRONMENTAL MEDICINE
LUOGHI: ITALIA

NEI settant'anni e più trascorsi da quando gli alpinisti hanno incominciato a cimentarsi in ascensioni sull'Everest, si sono regolarmente notati disturbi di carattere motorio e cognitivo. Improvvisi cambiamenti di giudizio e di valutazione della situazione, euforie e allucinazioni sono state causa di incidenti anche mortali. Queste deformazioni nella percezione del reale avvengono in soggetti perfettamente normali appena si raggiungono altezze attorno ai 7000 metri. A parte l'interesse scientifico, la spiegazione di questi fenomeni è molto interessante non solo per gli alpinisti ma anche per gli aviatori. Una migliore valutazione dei limiti di tolleranza alla quota potrebbe forse diminuire il rischio di incidenti. Un gruppo di ricercatori del dipartimento di scienze cognitive e linguistiche della Brown University (Providence, Usa) con a capo Philip Lieberman, ha seguito una recente spedizione sull'Everest formata da alpinisti di lunga esperienza e in ottimo stato di allenamento (American Sagarmatha Expedition, 1993), compiendo accertamenti e test a partire dal campo base a 5300 metri, e poi successivamente in tre campi di differenti altezze (6300, 7150 e 8000 metri). I soggetti in esame erano cinque individui fra 35 e 52 anni, con un minimo di otto anni di esperienze alpinistiche in alta quota. La durata totale della spedizione fu di due mesi. Le condizioni meteorologiche e le basse temperature resero alcune delle misurazioni difficili nel campo più alto (8000 metri), tuttavia lo studio fu portato a termine con successo e i dati sono ora pubblicati nel numero di settembre di Aviation, Space and Environmental Medicine. Usando raffinate tecniche di registrazione si notò già a partire da altezze relativamente basse (5000 metri) una diminuzione del controllo motorio della fonazione accompagnato da errori di sintassi, sempre più evidenti con l'aumentare dell'altezza. I difetti erano simili a quelli riscontrati spesso in pazienti effetti dal morbo di Parkinson, che a partire da un certo stadio della malattia in poi, presentano una voce sempre più flebile e toni alti caratteristici e talvolta difficoltà a riconoscere errori di sintassi in frasi scritte. Nel caso degli scalatori le difficoltà erano evidenti quando i soggetti venivano invitati ad analizzare 50 frasi diverse, 25 delle quali semplici e 25 complesse per termini usati, lunghezza e carattere della sintassi. Un esempio: una pagina con la frase «l'uomo sta guardando la ragazza che è nell'acqua», accompagnata da tre figure, la prima di un uomo e di una ragazza sulla spiaggia, la seconda di un uomo sulla spiaggia e una ragazza nell'acqua e la terza dell'uomo nell'acqua e la ragazza sulla spiaggia. Il soggetto richiesto di identificare la figura che meglio corrispondeva alla frase della pagina letta ad alta voce, commetteva un 50% di errori. Studi recenti fatti su pazienti parkinsoniani usando test analoghi a quelli usati dai ricercatori della spedizione, hanno dimostrato notevoli difficoltà nel controllo motorio dell'organo della fonazione e deficit nella comprensione di problemi anche semplici di sintassi. Tali difetti sono stati attribuiti a danni alle vie nervose che collegano strutture sottocorticali quali i nuclei della base (che sono notoriamente coinvolti dal Parkinson) con la corteccia del lobo frontale. Le stesse vie nervose potrebbero essere selettivamente e temporaneamente rese malfunzionanti in seguito a un abbassamento dell'ossigeno dell'aria inspirata ad alta quota. Altre strutture cerebrali potrebbero essere egualmente sensibili ai cambiamenti del tasso di ossigeno provocando altri tipi di disturbi quali cambiamenti della facoltà di giudicare una situazione, allucinazioni ed euforie non motivate. Come esempio possiamo citare il fatto che negli individui esaminati il tempo necessario per comprendere il significato di una frase diminuiva del 50% passando dai 5000 agli 8000 metri e tale fenomeno era accompagnato da un deterioramento progressivo del tono di voce fino a raggiungere un carattere di tipo «parkinsoniano». Possiamo facilmente immaginare le conseguenze di questi handicap nel caso di due scalatori che vogliano comunicare tra di loro. Tutto ciò potrebbe spiegare almeno in parte gli incidenti capitati ad elevate altezze non solo tra scalatori ma anche tra piloti nel corso di rapide comunicazioni nel caso di pericolo imminente. Incidenti del genere potrebbero capitare anche nelle cabine aerospaziali a causa di una caduta improvvisa di ossigeno dovuta a malfunzionamento o danni. Alcune scene molto realistiche del film «Apollo 13» illustrano bene questa possibilità e le loro tragiche conseguenze. Dal punto di vista di un monitoraggio sarebbe molto più facile rendersi conto della gravità di un disturbo della fonazione che di quello molto meno obiettivo del giudizio. Gli autori dell'articolo propongono quindi l'uso di apparecchiature automatiche di analisi della parola, analoghe a quelle usate ad alta quota per un controllo a distanza, da usarsi per aerei e navicelle spaziali. Ezio Giacobini




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