TUTTOSCIENZE 27 dicembre 95


A CAPODANNO UN SECONDO IN PIU'. PERSO MEZZO MINUTO Vecchia Terra sei in ritardo
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, METROLOGIA
ORGANIZZAZIONI: ISTITUTO ELETTROTECNICO NAZIONALE GALILEO FERRARIS, EARTH ROTATION SERVICE
LUOGHI: ITALIA

CI siamo: la Terra, nel suo moto di rotazione che scandisce il giorno e la notte, ha perso esattamente mezzo minuto da quando l'uomo, inventando gli orologi atomici, è diventato più preciso della natura. Cioè dal 1958. In media la Terra è rimasta indietro di un secondo ogni 15 mesi: il trentesimo secondo di ritardo verrà conteggiato ufficialmente tra la fine del 1995 e l'inizio del 1996. Il 31 dicembre, alle ore 23, 59 minuti e 59 secondi seguirà un secondo aggiuntivo, che rimanderà, sia pure di poco, l'inizio del 1996. Poi gli orologi riprenderanno il loro ritmo normale. Questo a Londra, che con il meridiano di Greenwich rimane il punto di riferimento del Tempo Universale, ultimo residuo dell'impero di Sua Maestà nella felice epoca ante Carlo e Diana. Per l'Italia, che si trova avanti di un fuso orario, il secondo in più verrà aggiunto il 1o gennaio a 0 ore, 59 minuti e 59 secondi. Da noi, quindi, nessun ritardo per i tappi dello champagne. L'Istituto Elettrotecnico nazionale «Galileo Ferraris» di Torino provvederà a mettere al passo il segnale orario della Rai e del servizio telefonico Audiotel (144 11 4615), secondo le disposizioni dell'Earth Rotation Service di Parigi. L'aggiunta di un secondo in media ogni 15 mesi non fa notizia: succede troppo spesso. Questa volta, però, la quantità tonda di mezzo minuto fa un certo effetto. Anche l'uomo della strada si impressiona di fronte a un ritardo così appariscente. Dopo tutto per millenni il moto della Terra è stato il più preciso campione di tempo disponibile. Solo nel nostro secolo si è avuta la prova definitiva, orologi alla mano, che invece gli attriti dovuti alle maree esercitate dall'attrazione gravitazionale della Luna (e in misura minore del Sole) stanno frenando la rotazione del pianeta. La Terra, insomma, è come una trottola che perde giri. Per spiegare l'origine del secondo in più che verrà concesso alla nostra vita (ma il destino non fa regali: ce lo sottrarrà a tempo debito) bisogna ricordare che oggi sono in uso tre scale di tempo: il «tempo universale astronomico», determinato in base alla rotazione della Terra rispetto alle stelle; il «tempo universale coordinato», che rispetto al tempo astronomico ha un margine di oscillazione in più o in meno di 9 decimi di secondo; e il «tempo atomico», scandito dalla media dei migliori dagli orologi-campione al cesio sparsi nel mondo. I primi orologi al cesio risalgono al 1955, quando già si sapeva del ritardo della Terra, messo in evidenza dalla ricostruzione di fenomeni astronomici dell'antichità e poi anche dai migliori orologi piezoelettrici al quarzo. Qualche anno dopo gli scienziati trassero le conseguenze del fatto di aver creato orologi nettamente migliori della rotazione terrestre. E nacque la scala del «tempo atomico». D'altra parte però la maggior parte delle attività umane non può scostarsi dal tempo astronomico scandito dalla Terra: di qui la necessità di un periodico adeguamento. I migliori orologi atomici oggi disponibili scartano di un secondo ogni milione di anni. Presto, passando dagli atomi di cesio 133 agli ioni di mercurio 199 si potrà raggiungere una precisione ancora diecimila volte migliore. La vecchia Terra ci apparirà sempre più scassata. Come una clessidra rispetto all'orologio che abbiamo al polso. Piero Bianucci


A CAPODANNO UN SECONDO IN PIU'. UNA CURIOSITA' Il Sole sarà più vicino
Autore: BARONI SANDRO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, METROLOGIA
LUOGHI: ITALIA

NON tutti sanno che durante l'anno la distanza della Terra dal Sole varia costantemente di vari milioni di chilometri, anche se non ce ne accorgiamo minimamente. Secondo la prima legge di Keplero (1609), la Terra gira attorno al Sole seguendo un'orbita ellittica di cui il Sole occupa uno dei due fuochi. Il punto della Terra più vicino al Sole si chiama perielio; quello più lontano afelio, dal greco perì = presso e apo = lungi, uniti a elios = sole. In media la distanza Terra-Sole è di 149.597.870 chilometri, misura che in astronomia si chiama Unità Astronomica. Ma la distanza Terra-Sole non varia solo giorno dopo giorno; varia anche anno dopo anno per motivi gravitazionali ben noti in meccanica celeste. Di conseguenza ogni anno la Terra passa al perielio e all'afelio a distanze diverse. Un fatto non molto frequente riguarderà il perielio che la Terra raggiungerà il 4 gennaio 1996 alle ore 7 di UT (tempo di Greenwich). In quell'istante la Terra si troverà a 0,983223 Unità Astronomiche dal Sole: così vicino al Sole non lo sarà più per molti anni, almeno sino al 2020. Vediamo di fare due conti. Dicevamo che l'Unità Astronomica è di 149.597.870 chilometri; moltiplicato per 0,983223 dà 147.088.066,5 ossia circa 2,5 milioni di chilometri più vicino al Sole della distanza media. La distanza massima dal Sole la Terra la raggiunge il 5 luglio 1996 alle ore 19 di Tempo Universale a 1,016717 Unità Astronomiche pari a 152.098.697,6 km; in questo caso circa 2,5 milioni di chilometri più della distanza media dal Sole. Dunque il 4 gennaio 1996 la Terra sarà più vicina al Sole di quanto lo sarà nei prossimi perielii, almeno fino al 2020. Non è però questo un evento in senso assoluto; la Terra si avvicinò al Sole ancora di più il 2 gennaio 1961 e il 3 gennaio 1972. Un'altra particolarità emerge dall'esame delle posizioni astronomiche. A causa dell'inclinazione dell'asse terrestre di circa 23,5o si hanno le quattro stagioni; i due estremi sono il solstizio d'estate e il solstizio d'inverno, nei quali iniziano rispettivamente l'estate e l'inverno. Quindi il 21 giugno 1996 il Sole raggiunge la massima declinazione a più23o 26' 13" ed è l'inizio dell'estate, mentre il Sole raggiunge la minima declinazione a -23o 26' 09" il 21 dicembre 1996, e inizia così l'inverno. Considerando gli anni dal 1985 al 2010, solamente negli anni 1996 e 1997 il Sole, per così dire, si alza così poco e si abbassa altrettanto poco. La differenza interessa solo i secondi d'arco e quindi è quasi inavvertibile, ma a titolo di curiosità nella seconda decade del 2000 il fenomeno sarà più rilevante: infatti il Sole nei solstizi si alzerà e abbasserà ancora di meno, con il massimo nell'anno 2015. Il 21 giugno, solstizio d'estate, il Sole avrà una massima declinazione di più23o 26' 04", mentre il 22 dicembre 2015, solstizio di inverno, avrà una declinazione di -23o 26' 05". Quanto alla Luna, nel 1996 presenterà le stesse fasi negli stesi giorni come negli anni 1901, 1920, 1939, 1958 e 1977. E questo perché 19 anni solari contengono quasi 235 lunazioni, con uno scarto di due ore soltanto. Fu l'astronomo greco Metone nel 430 a.C. a scoprire questa singolarità; di qui, appunto, quello che ancora oggi si chiama «ciclo di Metone». Sandro Baroni


A CAPODANNO UN SECONDO IN PIU'. LA RIFORMA GREGORIANA Così un Papa decise il calendario del 2000 Sarà un anno bisestile in quanto è divisibile per 400
Autore: PETTITI VALERIO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, METROLOGIA, ASTRONOMIA
NOMI: PAPA GREGORIO XIII
LUOGHI: ITALIA

A quattro anni dal 2000, soverchiati da problemi sociali, ambientali ed economici, può sembrare di scarso rilievo domandarsi se l'anno in questione sarà bisestile. Ma conoscere le regole che governano il calendario è un'esigenza concreta: ad esempio per predisporre programmi di calcolo è indispensabile sapere se esisterà quel 29 febbraio. Vale la pena quindi di richiamare la regola sugli anni bisestili e le tappe storiche che l'hanno determinata. Il nostro è un calendario gre goriano, in quanto papa Gregorio XIII lo fece adottare in Occidente a partire dal 1582. Era un perfezionamento del calendario precedente, che modificava per garantire il sincronismo fra le stagioni e lo svolgersi della vita civile. Il predecessore era il ca lendario giuliano, che svolse egregiamente la sua funzione per più di 16 secoli prima della riforma di papa Gregorio. La storia del calendario occidentale coincide in sostanza con lo sforzo di far concordare la cadenza dei mesi con l'anno solare. Il vecchio calendario roma no, redatto nel 300 a. C. si proponeva essenzialmente di agevolare gli agricoltori, di stabilire le festività e di definire i giorni giusti per gli affari. Organizzato su dieci mesi lunari per un totale di circa 300 giorni e su settimane lavorative di 8 giorni, lasciava indefinita la restante parte del ciclo stagionale corrispondente al periodo di riposo dei campi. Quest'idea, per noi inconcepibile, di trascurare un periodo di tempo al quale non erano associati eventi di rilievo, appariva tuttavia sensata per quella civiltà. Ma già verso il 150 a. C. si passò a una divisione in 12 mesi per un totale di 355 giorni l'anno; tale cifra però non conteneva un numero intero di settimane lavorative, ciò si poteva ottenere solo con l'introduzione occasionale di giorni supplementari (intercalazione). La durata dell'anno tropico, cioè l'intervallo tra due transiti successivi del Sole all'equinozio di primavera, è di 365,2422 giorni, mentre quella del mese lunare è di 29,5306 giorni. Questi due valori non sono multipli uno dell'altro e la somma di 12 mesi lunari è in deficit di circa 11 giorni rispetto all'anno solare. Per azzerare il deficit i romani, nel 150 a. C., escogitarono un mese intercalare detto Mercedo nius di 22 o 23 giorni, da introdurre a febbraio un anno sì e uno no a seconda delle necessità, ottenendo così un numero medio di circa 366 giorni l'anno. Ma la strategia dell'intercalazione divenne uno strumento di potere in mano ai pontifices, cioè ai cittadini romani che amministravano i culti di Stato, i quali pilotavano il calendario in modo da favorire, agendo sulla durata degli anni, i periodi in cui erano in carica i loro amici. L'amministrazione allegra dei mesi intercalari continuò fino al 45 a. C. quando Sosigene, consigliere di Giulio Cesare sulle questioni del calendario, avendo rilevato con esattezza che si era accumulato uno scarto di quasi tre mesi fra il tempo civile e quello astronomico, propose di riordinare tutta la materia: è la «riforma giuliana del calenda rio». I provvedimenti consistettero nell'introdurre per l'anno 46 a. C. tre mesi intercalari per far coincidere l'equinozio di primavera con la data del 25 marzo; quell'anno ebbe in totale 445 giorni. Dall'anno successivo vennero adottati 11 mesi di 30 o 31 giorni e uno di 28, per un totale annuo di 365 giorni. Ogni 4 anni poi si sarebbe introdotto un giorno bisestile portando i giorni di febbraio da 28 a 29. Così la durata media su un quadriennio risultava di 365,25 giorni, valore molto vicino a quello effettivo e in eccesso di appena 11 minuti e 14 secondi. Questo meccanismo avrebbe accumulato un ritardo di circa tre quarti di giorno in un secolo che, considerando il caos precedente, era un risultato di tutto rispetto. Dal quarto secolo d. C. la Chiesa di Roma istituì un calendario ecclesiastico: in quell'occasione una delle questioni più spinose fu la definizione della data della Pasqua. Individuata la domenica che secondo i documenti corrispondeva all'evento da celebrare, occorreva rispettare una legge della Chiesa secondo cui la Pasqua cristiana non poteva coincidere con quella ebraica. Dal momento però che il calendario ebraico, di tipo lunare, non era preciso nel determinare la propria data pasquale, e anche perché in 4 secoli dalla riforma si era accumulato uno spostamento di tre giorni fra l'equinozio indicato dal calendario e quello astronomico, il rispetto della disposizione diventava talvolta impossibile. Gli specialisti individuarono nella prima domenica successiva al plenilunio che segue l'equinozio di primavera la data della Pasqua, e risultò in pratica che questa poteva ricorrere in un giorno compreso fra il 22 marzo e il 25 aprile di ogni anno. Ma i calcoli esigevano una definizione certa dell'equinozio di primavera e una corrispondenza fedele con il calendario civile... Si giunse così alla fine del Medioevo, quando si aprì nuovamente il dibattito su un'ulteriore riforma del calendario. Nel sedicesimo secolo la differenza tra il calendario civile e l'equinozio astronomico aveva raggiunto gli undici giorni, spostando la domenica di Pasqua sempre più verso la stagione calda. Papa Gregorio XIII diede l'incarico a una commissione di riformare il calendario affinché l'equinozio tornasse alla data prevista e tale evento rimanesse fisso per il futuro. Il risultato della riforma fu l'introduzione di una discontinutà nel conteggio dei giorni nel mese di ottobre del 1582: per decreto, infatti, il giorno successivo al 4 ottobre sarebbe diventato il 15 di quel mese, fissando così anche l'equinozio di primavera al 21 marzo. Si adottò inoltre un meccanismo più raffinato di intercalazione, stabilendo che gli anni multipli di 4 sarebbero stati bisestili, esclusi quelli secolari che avrebbero fatto eccezione a meno che non fossero divisibili per 400; pertanto fra gli anni secolari i bisestili sarebbero stati il 1600, il 2000, il 2400... Su un periodo di 400 anni, 303 sarebbero stati di 365 giorni e gli altri 97 di 366, con una durata media dell'anno civile di 365,2425 giorni. L'errore rispetto alla durata vera è molto contenuto e causa un anticipo sulle stagioni di appena 1 giorno ogni 3300 anni circa. La riforma gregoriana, accettata quasi subito da tutti i Paesi cattolici, fu osteggiata invece da quelli protestanti, come la Germania, i Paesi Bassi e la Svizzera, che l'accolsero con un secolo di ritardo. La Gran Bretagna e le colonie adottarono il calendario a metà del '700, i Paesi ortodossi mantennero il vecchio calendario giuliano fino al nostro secolo. In Russia fu accettato al termine della Rivoluzione bolscevica del 1917. Non sono mancate ulteriori proposte per ridurre l'errore residuo dell'attuale calendario, ma oltre un certo limite i tentativi risultano inutili, anche a causa di fenomeni intrinseci di instabilità dell'anno e del giorno medio, paragonabili all'entità stessa degli errori che si vorrebbero correggere. In conclusione, chiarite le semplici regole del calendario, stabilito finalmente che l'anno 2000 è bisestile perché, pur essendo secolare, è multiplo di 400, rimane solamente una piccola amarezza; l'anno 2100, secolare ma non bisestile perché non multiplo di 400, forse non avremo la possibilità di vederlo! Valerio Pettiti Istituto Galileo Ferraris, Torino


FORMICHE Orde invadenti e velenose La Solenopsis invicta flagello negli Usa
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
NOMI: ROSS KEN, SCHMIDT KAREN
LUOGHI: ITALIA

POSSIAMO forse assistere a un fenomeno evolutivo in atto? Si apre ai nostri occhi una straordinaria finestra sull'evoluzione, finestra che avrebbe fatto la felicità di Darwin? Lancia questa ipotesi il biologo americano Ken Ross. Protagonista dell'eccezionale evento la Solenopsis in victa (quell'appellativo di in victa, cioà invincibile, non potrebbe essere più appropriato), una minuscola formica terribilmente invadente che si sta espandendo a macchia d'olio nel Nuovo Continente. Dalle pianure dell'Argentina, del Paraguay e del Brasile questo insetto sta dilagando verso le regioni meridionali degli Stati Uniti, dove non esisteva neppure soltanto fino a settanta anni fa. Dovunque arriva lei, scompare in breve volger di tempo il settanta per cento delle specie di formiche locali e il trenta per cento delle specie di artropodi in generale, come risulta da una ricerca compiuta nel Texas dall'entomologo Sanford Porter. E siccome gli insetti hanno un ruolo importante nell'impollinazione delle piante, nella dispersione dei semi e nell'alimentazione degli animali superiori, la loro diminuita biodiversità potrebbe avere conseguenze drammatiche nel prossimo futuro. La Solenopsis invicta non soltanto è invadente, ma è anche velenosa. Inocula infatti col suo pungiglione una secrezione terribilmente tossica. Basti dire che questa formica, piccola com'è, è in grado di paralizzare e uccidere prede molto più grandi di lei, come rettili, uccelletti e perfino cuccioli di mammiferi. La cosa più preoccupante però è che si trova benissimo negli insediamenti urbani, dove si installa sui bordi delle strade o nei parchi cittadini, provocando una quantità di danni. Le sue orde, perché di vere e proprie orde si tratta, costituite da migliaia di individui, rodono i cavi elettrici, causando interruzioni di corrente e hanno una spiccata predilezione per i campi magnetici. Ragion per cui niente di più facile che penetrino nei condizionatori d'aria o negli apparecchi elettrici in generale. Ma quel che è peggio, pungono anche le persone, causando nei soggetti più sensibili choc anafilattici e perfino, in rari casi, la morte. Indubbiamente favoriscono la loro diffusione le inondazioni sempre più frequenti per la dissennata politica umana del territorio. Quando una zona viene invasa dall'acqua, le colonie di Solenopsis invicta formano zattere galleggianti, al centro delle quali si collocano le uova e la regina, protette dalla folta schiera delle operaie circostanti. Certo è che con questo e altri sistemi la specie è riuscita a occupare un territorio di oltre cento milioni di ettari che si estende dal Sud e dal Nord Carolina fino al Texas. E continua ad espandersi. Il grande successo delle formiche sul pianeta da cinquanta milioni di anni a questa parte è dovuto principalmente alla loro straordinaria capacità di adattamento a qualunque tipo di habitat. E la cosa più interessante rilevata dal biologo Karen Schmidt è che la formicuzza invadente sta conquistando l'America del Nord grazie all'adozione di nuove strategie e soprattutto grazie a modificazioni sostanziali della propria struttura sociale. Per cui è lecito domandarsi: con il susseguirsi delle generazioni, si sta dunque formando una nuova specie? Sta di fatto che mentre il novanta per cento delle formiche Solenopsis invicta che vivono in Argentina formano colonie nelle quali vi è una sola regina, nel Texas invece all'incirca la metà delle formiche formano supercolonie con molte regine. Il numero di queste ultime varia da venti a sessanta. Da notare che una sola regina fecondata di questa specie può produrre una comunità di duecentoquarantamila operaie. Moltiplichiamo questa cifra per il numero delle regine e ci rendiamo conto della quantità astronomica di individui presenti nelle supercolonie nordamericane. Qualcosa come ventotto chilogrammi di formiche per ettaro. Come si può spiegare questa sostanziale trasformazione da colonia in supercolonia? Secondo gli esperti una delle cause potrebbe essere la mancanza di nemici naturali che ha consentito alla Solenopsis invicta di raggiungere una posizione di predominio nei nuovi territori, dove nessun predatore nè alcun parassita ostacola il suo sviluppo. C'è un'altra differenza tra le formiche dell'America meridionale e quelle insediatesi negli Stati Uniti. Se una regina estranea capita nel nido delle prime, viene generalmente uccisa dalle operaie. Diverso è il comportamento delle Solenopsis statunitensi, le quali non solo tollerano la presenza di regine estranee, ma sono anche disponibili ad allevare la loro prole. Ed Vargo dell'Università del Texas a Austin sospetta che le formiche settentrionali abbiano un senso dell'olfatto difettoso, per cui non riescono a distinguere l'odore delle regine nate nel nido da quello delle regine estranee. E il ricercatore non esclude l'ipotesi che il senso chimico delle formiche diventi meno efficiente nell'ambiente di una colonia ad alta densità di popolazione. Le differenze, quindi, tra le specie meridionali e quelle settentrionali indubbiamente ci sono. Differenze sia nel comporta mento riproduttivo sia in quello sociale che preludono forse, nel succedersi delle generazioni, alla formazione di una nuova specie. Però, ricordiamoci che per definizione la specie biologica è costituita da individui che possono accoppiarsi liberamente tra loro, ma non con i membri di altre specie. Ragion per cui essendo attualmente la Solenopsis invicta settentrionale e quella meridionale geograficamente separate, si potrà sapere se si tratta realmente di specie diverse solo il giorno in cui le due si incontreranno. A parte l'interesse scientifico per una specie nuova che forse si sta lentamente delineando, c'è poi da considerare l'aspetto pratico, la diffusione cioè in un'area sempre più vasta di una formica indubbiamente assai dannosa. E i ricercatori del Dipartimento di Agricoltura statunitense sono alla ricerca febbrile di nemici naturali che potrebbero frenare e tenere sotto controllo l'espandersi del flagello. Isabella Lattes Coifmann


DAI CARAIBI CONTRO LA CAULERPA Lumachine mangia alghe Saranno immesse in Mediterraneo
Autore: GELUARDI GIULIO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ECOLOGIA
NOMI: MEINESZ ALEXANDRE
LUOGHI: ITALIA

SARANNO forse due semplici lumache, dall'aspetto non bellissimo ma si spera dagli effetti eccezionali, a sconfiggere definitivamente la peste verde del Mediterraneo, la famigerata Caulerpa Taxifolia, meglio conosciuta come «alga killer». L'arma biologica che - almeno nelle intenzioni degli scienziati, farà scomparire l'insidiosa e tossica pianta acquatica dai nostri mari - arriva dalle isole caraibiche Guadalupa e Martinica e, se tutto filerà per il verso giusto, sarà immessa in acqua l'estate prossima, dopo l'autorizzazione ufficiale del Comitato Internazionale per l'esplorazione del mare di Copenaghen. L'idea è del professor Alexandre Meinesz, docente dell'Università di Nizza, il primo che nel 1984 lanciò l'allarme per la Caulerpa e che da due anni sta sperimentando in acquario gli effetti aggressivi della lumaca sull'alga. Si tratta di due gasteropodi la «Elysia Subornata» e la «Oxynoe azuropunctata» che si nutrono esclusivamente della Caulerpa, lasciando intatte tutte le altre specie vegetali. «Questo particolare - spiega il professor Meinesz - è di fondamentale importanza nella lotta all'alga killer: le lumache non rischiano così di creare competizioni nella catena alimentare del Mediterraneo e garantiscono la sopravvivenza delle specie autoctone». Il meccanismo di aggressione della Elysia e della Oxynoe è semplice: entrambe sono dotate di un microscopico dente che viene piantato nella corteccia della Caulerpa. Il rostro è provvisto di un canale attraverso cui le lumache, come piccole sanguisughe, succhiano la linfa del vegetale, determinando, per gli esemplari più piccoli, la morte in brevissimo tempo. «La Elysia Subornata - dice ancora professor Meinesz - è lunga da 4 a 6 centimetri e provoca un'incisione più profonda della Oxynoe. Pratica due grandi morsi per ramo e non disdegna l'asse centrale della pianta. Il consumo varia con la temperatura dell'acqua: più è calda più la Subornata mangia. Tra i 20 e i 30 gradi l'Elysia si nutre quattro volte di più rispetto alla Azuropunctata. Ciò corrisponde al contenuto citoplasmico di tre o quattro getti lunghi 5 centimetri per giorno e per lumaca». Se la temperatura scende, ma soprattutto se non trova più Caulerpa, la lumaca muore. Simile il comportamento della «Oxynoe». «La specie varia da 1 a 3 centimetri e consuma la Caulerpa Taxifolia incidendo i getti in modo regolare ogni due millimetri e cioè da 3 a 4 morsi per getto. L'approvvigionamento alimentare varia in base alla temperatura. Tra i 20 e 30 gradi è significativo: un getto di 5 centimetri per giorno e per lumaca. Il consumo di cibo è, invece, minore sotto i 20 gradi. Nel momento in cui l'acqua diventa più fredda muore. Nel nostro acquario abbiamo ottenuto tra i 20 e i 30 gradi una deposizione di uova ogni 4 giorni per lumaca. Ogni covata contiene da 100 a 300 uova: la schiusa avviene dopo un mese e le lumache possono iniziare subito a mangiare la Caulerpa Taxifolia». «Quello che resta della piante - continua Meinesz - è solamente un ramo senza vita che viene dissolto in acqua senza alcun pericolo di contaminazione di spore. Inoltre, le due lumache assorbono e metabolizzano tutte le sostanze contaminanti della Caulerpa che non vengono più rilasciate neanche dopo la morte dell'animale». Prosegue Meisnz: «La Elysia Subornata, invece, depone in media da 700 a 1200 uova che si schiudono dopo 15 giorni. Nascono delle lumache bentiche che sebbene ancora minuscole cominciano subito a mangiare la Caulerpa. Abbiamo anche fatto test di preferenza alimentare, mettendo le due specie di lumaca con la Caulerpa Taxifolia (del Mediterraneo) e la Caulerpa Prolifera e abbiamo costatato che preferiscono la Taxifolia. Quando si dà loro esclusivamente la Caulerpa Prolifera soltanto il 20 per cento delle lumache adulte sopravvive. In ogni caso l'assenza di Taxifolia equivale a una condanna a morte per la specie. La Oxyneo, invece, può vivere tre mesi a una temperatura di 15 gradi: quando l'acqua diventa più fredda muore». «Tutto questo - aggiunge Alexandre Meinesz - rappresenta un'enorme garanzia: la lumaca, una volta esaurito il suo compito scompare senza lasciare traccia». Dovrebbe quindi essere scongiurato il pericolo di un nuovo disastro ecologico dopo quello dell'introduzione della Caulerpa Taxifolia nel Mediterraneo. L'alga killer, che è diversa dalla specie che vive nei mari tropicali, pare sia stata immessa nelle nostre acque per un errore dell'Acquario di Monaco: la prima «macchia» fu scoperta proprio sotto il mastodontico edificio nel 1984, e copriva appena un metro quadrato di fondale. Seguendo le rotte del turismo da diporto (le spore della Caulerpa si attaccano alle ancore degli yacht e nei «pozzetti» riescono a sopravvivere anche dieci giorni), l'alga killer si è sparsa inesorabilmente per tutto il Mediterraneo. Copre attualmente più di 24 milioni di metri quadrati di fondale e la si trova dalle coste spagnole a quelle dell'ex Jugoslavia. Ora, dopo un decennio di studi ininterrotti, quando ormai sembrava che la Caulerpa Taxifolia potesse vincere la sua guerra, la situazione si è ribaltata. Il Mediterraneo, offeso dall'inquinamento e dalla sconsiderata incuria dell'uomo, aspetta dai Caraibi le due lumache vendicatrici. Giulio Geluardi


SEGRETI DELLE SPEZIE La vaniglia, impollinata a mano La cannella: aromatiche foglie, frutti, radici
Autore: ACCATI ELENA

ARGOMENTI: BOTANICA
LUOGHI: ITALIA

TRA le piante legate alle feste di fine anno, oltre agli abeti, possiamo annoverare quelle che vengono utilizzate nella preparazione dei dolci di stagione. Per esempio, la sottile bacchetta nerastra soavemente profumata conosciuta come vaniglia, usata in pasticceria, nelle creme, per ornare i dolci, insieme alla frutta cotta, in infusione nel latte, altro non è che il frutto di una orchidea, la Vanilla planifolia, una liana a fusto cilindrico carnoso, verde flessuoso munito di radici avventizie che lo aiutano ad arrampicarsi su altri alberi. Le antiche popolazioni del Messico dove la vaniglia è spontanea se ne servivano per aromatizzare la loro bevanda preferita, il cioccolato; essa piacque molto ai conquistatori spagnoli tanto che l'esploratore Hernan Cortes, così si racconta, l'avrebbe introdotta in Europa già al principio del sedicesimo secolo. Il suo nome deriva dallo spagnolo vanilla, diminutivo di vaina che significa baccello. Oggi il Messico continua a produrre un'eccellente qualità di vaniglia, ma i nove decimi della produzione mondiale provengono dal Madagascar, dalle Comore e dalla Reunion, anzi questi tre Paesi sono uniti nella cosiddetta «alleanza della vaniglia» sorta fin dal 1964 con l'intento di tutelare prezzi e qualità e di promuovere ricerche su questa insolita specie. Per molto tempo la vaniglia è rimasta una pianta semplicemente ornamentale perché era impossibile farla fruttificare. Poi, verso la metà del secolo scorso, si è compreso che questo fatto dipendeva dalla mancanza dell'insetto impollinatore esistente in natura. Esso infatti perfora gli organi fiorali esterni trascinando così il polline sullo stigma. Dopo la fecondazione l'ovario cresce sino a raggiungere 12-25 centimetri di lunghezza. In mancanza dell'insetto si è introdotta la pratica dell'impollinazione artificiale che viene solitamente effettuata dalle donne e dai ragazzi con notevole maestria per mezzo delle dita, aiutandosi con sottili stiletti di bambù o con le nervature delle foglie delle palme: in un giorno è possibile impollinare diverse centinaia di fiori. I fiori della vaniglia sono verdi riuniti in pannocchie; essi si aprono soltanto alla mattina per poche ore. Per ogni grappolo si feconda un numero di fiori proporzionato alla robustezza della pianta. I frutti si raccolgono ancora immaturi, infatti in seguito alla maturazione acquistano il tipico aroma in quanto si forma la vaniglina ad opera di fermenti in essi contenuti. Possono esporsi al sole per l'intera giornata quindi a sera venire avvolti in coperte di lana, riposti entro casse riparate dal freddo: durante la notte l'acqua contenuta nei frutti trasuda. Questa operazione si ripete più volte favorendo la fermentazione e lo svilupparsi del profumo nei frutti. Alla Reunion invece i frutti vengono immersi in acqua molto calda per pochi secondi, quindi si stendono al sole, ripetendo il procedimento fino a che alla superficie dei frutti non compaiono i candidi tipici cristalli di vaniglina che denotano che le stecche sono pronte per il commercio. Anche se l'aroma della vaniglia naturale è assai più gradevole di quello della vaniglina sintetica in quanto è composto da oltre trentacinque componenti, molto spesso è sostituito da quest'ultimo, per motivi di costo. Un elemento essenziale del vin brulè, la calda bevanda che si ottiene con il vino rosso riscaldato, è la cannella, ossia la corteccia arrotolata di un albero sempreverde Ciinamomum zeylanicum che allo stato spontaneo può raggiungere anche 10 metri di altezza ed appartiene alla famiglia delle lauracee, la stessa di cui fa parte anche il ben noto alloro. Tutta la pianta è aromatica: le foglie, una volta strofinate, emanano un intenso profumo di violacciocca, le radici contengono una discreta quantità di canfora, mentre l'interno del frutto è costituito da un olio essenziale, chiamato anche cera di cannella, con cui in passato si facevano le candele profumate. La cannella proviene in gran parte da Sri Lanka (infatti zeylanicum significa originario di Ceylon, nome con cui era conosciuta l'isola di Sri Lanka), si ottiene tagliando nella stagione delle piogge i rami, in quanto in questo periodo si stacca più facilmente la corteccia dal legno, cercando di asportarla in un unico lembo. Il materiale si lascia fermentare per 24 ore. Con l'essiccazione, i lembi della corteccia si arrotolano; più elementi così ottenuti sono infilati gli uni negli altri fino ad avere una canna di circa un metro di lunghezza; tale canna viene messa ad essiccare ulteriormente prima all'ombra, poi al sole. Le cortecce, che originariamente sono bianche, assumono così il caratteristico colore cannella. Elena Accati Università di Torino


E AVANZA DI CENTO METRI AL GIORNO «Esplode» in Alaska il ghiacciaio di Bering
Autore: TIBALDI ALESSANDRO

ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C. Il ghiacciaio di Bering

QUALCHE mese fa un cacciatore stava percorrendo la foresta presso il fronte del ghiacciaio di Bering, in Alaska, quando improvvisamente udì dei boati fortissimi provenire dall'interno del ghiacciaio. Dopo pochi minuti, il fronte della lingua glaciale scoppiò, scagliando a decine di metri il ghiaccio, mentre un fiume di acqua fangosa largo centinaia di metri scaturiva trascinando a valle blocchi di ghiaccio grandi come case. Alcune ore dopo il ghiacciaio iniziò a scendere verso valle al ritmo di oltre cento metri al giorno, una velocità vertiginosa se si pensa che normalmente questo ghiacciaio si muoveva di circa mezzo metro al giorno. Geologi e glaciologi accorsero per documentare l'evento eccezionale. Le conseguenze saranno disastrose per l'habitat posto sul cammino della massa di ghiaccio. Il ghiacciaio ha infatti ricoperto in pochi giorni diverse isole situate nel lago di Vitus, isole famose per la pregiata flora e fauna, tra cui l'Oca delle Nevi, una specie in via di estinzione che, durante l'estate, si trova nel momento più delicato della propria stagione riproduttiva con i piccoli appena nati. L'avanzata ancora in atto di questo ghiacciaio sta inoltre cambiando radicalmente la forma del lago di Vitus, con varie conseguenze per la natura circostante. Lo strano fenomeno che sta avvenendo al ghiacciaio di Bering è molto raro e può interessare pochi ghiacciai della Terra, tanto che numerosi ricercatori di un gruppo internazionale e multidisciplinare stanno tenendo sotto osservazione la zona. Sulla Terra attualmente esistono centomila ghiacciai, dei quali solo 300 hanno mostrato questo fenomeno delle avanzate improvvise, fenomeno conosciuto dagli scienziati come «ondata glaciale». Le ondate glaciali avvengono quando i detriti rocciosi, che comunemente vengono trascinati sul fondo del ghiacciaio dal suo movimento verso valle, bloccano lo scorrimento dell'acqua sub-glaciale formando una specie di diga nascosta. A monte di questa diga sub-glaciale, l'acqua si accumula fino a quando la quantità è tale da sollevare il ghiacciaio soprastante facendogli perdere il contatto con la roccia sulla quale poggiava. Diminuito l'attrito sul fondo della lingua glaciale, questa diviene libera di muoversi rapidamente verso valle. In casi ancora più rari, il lago sub-glaciale così formato può generare delle pressioni così forti da rompere di colpo la diga e il ghiaccio circostante, emergendo sotto forma di fiume come è avvenuto al ghiacciaio di Bering. Da quando il cacciatore ha assistito all'«esplosione» del ghiacciaio di Bering, in pochi mesi il fronte è avanzato di una decina di chilometri sommergendo tutto quello che incontra sul proprio cammino, ricoprendo così le bellissime isole di Beringia e di Poindet. La lingua glaciale, che ormai si protende completamente dentro il lago di Vitus, ha sconvolto la circolazione dell'acqua provocando inoltre una risalita del livello del lago ed una sommersione di parecchie decine di metri delle zone costiere. Il ghiacciaio ha inoltre iniziato a rilasciare nel lago numerosi iceberg larghi fino a un chilometro. Per questo motivo sono state allertate la Protezione civile e la Guardia Costiera in quanto gli iceberg hanno iniziato a raggiungere l'Oceano Pacifico attraverso il fiume Seal, il principale emissario del lago. Gli iceberg costituiscono infatti un grosso pericolo per la navigazione, soprattutto a quelle latitudini dove spesso regna la nebbia. I ricercatori stanno inoltre investigando su conseguenze ancora più complesse dell'avvenimento. E' stato infatti appena scoperto che lo spostamento della massa glaciale ha addirittura deformato la superficie terrestre di quella zona. Sofisticate misurazioni geodetiche sono state condotte attraverso la rete satellitare in modo da misurare con esattezza lo spostamento di capisaldi collocati sulla superficie della Terra circostante il ghiacciaio. Si è così osservato che la regione su cui è andato via via espandendosi il ghiacciaio ha cambiato forma in poche settimane, abbassandosi in media di 17 centimetri. Alessandro Tibaldi Università di Milano


INTERNET In regalo gli indirizzi «linkati»
Autore: MERCIAI SILVIO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, INFORMATICA, COMUNICAZIONI
ORGANIZZAZIONI: INTERNET
LUOGHI: ITALIA

AVETE passato un buon Natale? Spero di sì. Mi spiace, sono un po' in ritardo, il mio regalo vi arriva solo oggi. Va bene lo stesso? Un regalo? Come? Perché? Perché, quando si offre un prodotto, bisogna fare della promozione, mi hanno insegnato i miei amici del marketing. E, prima, un bel sondaggio d'opinione. Io, per la verità, ho fatto di più: ho contattato personalmente tutti i miei lettori. E cioè: mia moglie, mia zia e tre amici: d'accordo, non ho proprio una grande audience! Mia moglie ha detto che se smettevo di scrivere la colonna era meglio, così trovavamo di nuovo - forse - un po' di tempo per stare assieme: ma, le ho risposto, come posso deludere tutti gli altri lettori? La zia mi ha detto che tutti quegli strani «indirizzi» le davano molto fastidio e poi non capiva bene nemmeno come leggerli (e anche quelli de «La Stampa» che ogni tre settimane compongono, mandandomi accidenti, questa colonna sono dello stesso avviso). Lo stesso mi hanno detto due dei tre amici. Invece il terzo mi ha detto che trovava un po'... strano avere degli indirizzi, leggere magari la mia pagina su Internet, e poi doverli digitare lettera per lettera nel suo Netscape. E allora ho deciso di venire incontro a tutti (quasi...). E da oggi non troverete più indirizzi su questa colonna. Quello che vedete adesso è, praticamente, l'ultimo: http://www.sicap.it/merciai/lastampa/ Questa sarà, mi auguro, la vostra pagina, la pagina dei miei lettori di «Tuttoscienze». Troverete lì, d'ora in avanti, e già linkati, degli indirizzi WWW proposti da me e da altri lettori (sperando insomma che si aggiunga qualcuno alla schiera attuale, che, come avete visto, è abbastanza esigua). Non basta. Parte in questi giorni anche una mailing list, una lista postale, in italiano, dedicata agli utenti italiani di Internet. Avete suggerimenti, indicazioni, proposte, dubbi, incertezze, problemi con qualche indirizzo o software di connessione? Scrivete alla lista e qualcuno vi aiuterà. Ma, naturalmente, prima iscrivetevi e siate voi stessi disponibili a collaborare: inviando il messaggio «subscribe Italia Nome Cognome» a listserv bbs.sicap.it (senza virgolette, come al solito). E la colonna? Continuerà (per la zia e gli altri due amici non connessi alla rete) e diventerà, «una finestra di riflessione su Internet», una sorta di «osservatorio tecnico». Niente meno! Tutto questo, ovviamente, non l'ho fatto da solo. Devo ringraziare gli amici della «Stampa»: sono quelli che mi hanno seguito pazientemente nel mio complicato percorso di continue e irrequiete insoddisfazioni. Ma soprattutto devo ringraziare un amico, con cui condividerò la pagina e la lista postale: si chiama Denis Truffo, ed è l'opposto di me. E' giovane, sa tutto sui computer, ha una lunga esperienza di reti e di comunicazioni, e gestisce da molto tempo una BBS della rete Fidonet. Sulla sua BBS io, e molti altri, ci siamo, come suol dirsi, fatti le ossa: oggi si comincia subito con Internet, e per molti versi è giusto così, ma credo che per molti di noi l'apprendistato artigianale e dilettantistico (un po' smanettone, come si diceva dieci anni fa) su una BBS sia stato salutare. Insomma un buon punto di partenza... Bene, questo è tutto. Come ultimo, vi ricordo ancora un indirizzo (ci vuole un po' di omaggio alla casa-madre!), quello del giornale (dove, tra l'altro, continuerete a trovare anche il testo della mia colonna): http://www. lastampa.it/ e vi dò appuntamento sulla «nostra» pagina. Buon anno a tutti su Internet! Silvio A. Merciai


IN BREVE Abeti e pini errata corrige
ARGOMENTI: ECOLOGIA
NOMI: ACCATI ELENA
ORGANIZZAZIONI: TUTTOSCIENZE
LUOGHI: ITALIA

Per un errore di stampa nell'articolo di Elena Accati sull'ultimo numero di Tuttoscienze la parola «primi» è diventata «pini», e ciò ha portato a una inversione tra pini e abeti, ripresa nella didascalia. Ce ne scusiamo con i lettori, precisando che tutti i pini hanno gli aghi riuniti a ciuffi, mentre sono gli abeti ad averli singoli. Tra le specie spontanee o naturalizzate in Italia esistono il pino silvestre (Pinus sylvestris), il pino nero (Pinus nigra), il pino domestico (Pinus pinea), il pino marittimo (Pinus pinaster), il pino d'Aleppo (Pinus halepensis) con aghi riuniti a gruppi di due, mentre il pino cembro (Pinus cembra) ha fascetti di 5 aghi. Tra i vari pini esotici vi sono, ad esempio, il Pinus radiata con aghi a gruppi di tre, il Pinus strobus e il Pinus wallichiana con aghi a gruppi di 5.


IN BREVE «Attenzione» rivista del Wwf
ARGOMENTI: ECOLOGIA, EDITORIA
ORGANIZZAZIONI: WWF ITALIA, EDIZIONI AMBIENTE, ATTENZIONE
LUOGHI: ITALIA

E' stato presentato il numero zero della rivista trimestrale «Attenzione», nata dalla collaborazione tra il Wwf Italia e le Edizioni Ambiente. Questa rivista sarà lo strumento con cui il Wwf prenderà posizione sui temi della difesa ambientale nella battaglia legislativa e nella proposta di modelli economici per uno sviluppo sostenibile.


IN BREVE Planetologi a Bormio
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, CONGRESSO, PRESENTAZIONE
NOMI: MANARA ALESSANDRO
ORGANIZZAZIONI: OSSERVATORIO DI BRERA
LUOGHI: ITALIA, MILANO (MI)

Si terrà a Bormio dal 21 al 28 gennaio il primo convegno italiano di planetologia, organizzato dall'Osservatorio di Brera, a Milano. Molti i temi di interesse: il passato del pianeta Marte, la geologia di Venere, il telescopio nazionale «Galileo», gli asteroidi, le meteoriti, la formazione del sistema solare. Per informazioni ci si può rivolgere al professor Alessandro Manara, tel. 02-723.201.


IN BREVE Ricerca sul cancro premio biennale
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, PROGETTO, PREMIO
ORGANIZZAZIONI: FONDAZIONE ITALIANA PER LA RICERCA SUL CANCRO
LUOGHI: ITALIA

La Fondazione italiana per la ricerca sul cancro (emanazione dell'Airc) per sollecitare al massimo le ricadute terapeutiche degli studi ha deciso di istituire un premio biennale di 100 milioni per i ricercatori italiani impegnati in campo oncologico.


IN BREVE Altri due satelliti grazie ad «Ariane»
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: FRANCE TELECOM, ARIANE
LUOGHI: ITALIA

Il razzo europeo «Ariane» ha messo in orbita con successo altri due satelliti per telecomunicazioni, uno per France Telecom e uno per un'organizzazione indiana.


SCIAGURE AEREE Un disastro canadese Incidente simile a quello di Verona
Autore: BOFFETTA GIAN CARLO

ARGOMENTI: TRASPORTI, AEREI, INCIDENTI
ORGANIZZAZIONI: FOKKER F28, AIR ONTARIO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. La dinamica di un incidente aereo simile a quello del «charter» caduto a Verona; la rotta e il mancato distacco a causa del ghiaccio

SUBITO dopo ogni disastro aereo tv e giornali tentano di spiegarne le cause e così è stato per la tragedia della settimana scorsa quando un aereo romeno è precipitato a Verona subito dopo il decollo sotto una forte nevicata. Si è «deciso» che la sciagura è imputabile o all'età dell'aereo o alla decisione del pilota di decollare senza effettuare l'operazione di de-icing (spruzzatura di liquido antigelo su ali e timoni). Ora, è dimostrato che gli aerei vecchi sono altrettanto sicuri di quelli giovani, il problema sta solo nella manutenzione. E' sempre opportuno attendere i risultati dell'indagine prima di emettere sentenze, come insegna il caso del Fokker F28 della Air Ontario Canadese precipitato subito dopo il decollo sotto la neve il 10 marzo '89. I due piloti avevano già effettuato un volo da Winnipeg a Thunder Bay, ed erano ritornati a Dryden mentre il tempo peggiorava. Il volo era in ritardo, anche a causa dell'operazione di de-icing effettuata prima dell'ultimo decollo. A Dryden erano saliti tra gli altri, due comandanti che, terminato il turno, rientravano come passeggeri. Uno di questi, sopravvissuto al disastro, ha testimoniato di fronte alla commissione di esser rimasto incredulo e allarmato quando si è reso conto che l'aereo si avviava al decollo senza effettuare de-icing. Con oltre un'ora di ritardo il Fokker iniziò il decollo sulla pista scivolosa per la neve, si sollevò, ma non riuscì a prender quota, urtò la cima di alcuni alberi e cadde a meno di un chilometro dal termine della pista prendendo fuoco. Sembrava evidente la colpa del pilota, responsabile della decisione di decollare senza avere sgelato le ali. Ma non si capiva il perché, essendo questo pilota noto per la minuziosa osservanza delle regole, con una esperienza di migliaia di ore di volo sempre su rotte del Canada dove una situazione meteo del genere è d'inverno pressoché normale. Così l'indagine è stata riaperta e dopo 22 mesi il comandante è stato completamente discolpato e la responsabilità attribuita all'intero sistema di trasporto aereo canadese, inclusa l'Air Ontario. Si è scoperto che da 5 giorni il libro di bordo del Fokker indicava fuori uso l'Apu, il motore ausiliario che fra l'altro serve ad avviare i motori. Quindi questi venivano accesi dopo ogni fermata usando l'apposita apparecchiatura a terra, ma quel giorno a Dryden questa non era disponibile e il comandante aveva dovuto tenere acceso al minimo uno dei due motori per poter con questo accendere anche il secondo. Ma il manuale della Fokker e le istruzioni dell'Air Ontario consegnate al comandante vietavano espressamente di effettuare il de-icing con i motori in funzione (mentre ciò è normalmente fatto in Europa da molti aerei di diverse compagnie). Testimoni hanno dichiarato che il comandante aveva insistentemente chiesto al centro di controllo della sua compagnia di poter sbarcare 10 passeggeri e il loro bagaglio perché l'aereo, con tutti i posti occupati, era al limite del peso massimo, ma ciò gli era stato negato. Aveva allora fatto scaricare del carburante per alleggerire l'aereo. Quando aveva lasciato il piazzale per avviarsi alla pista la neve era soffice e leggerissima, come sovente accade in Canada, ed è quindi risultato che il decollo sarebbe avvenuto quasi normalmente se la torre di controllo non lo avesse incredibilmente fermato per dare la precedenza a un piccolo aereo da turismo che temeva una diminuzione della visibilità. Proprio allora la neve si è trasformata in neve bagnata e pesante, e ciò non fu segnalato al pilota. Ma l'inchiesta ha anche accertato che l'Apu, causa prima della impossibilità di effettuare il de- icing, non era affatto guasto, come indicato sul libro di bordo. Se il comandante ne fosse stato al corrente avrebbe sicuramente richiesto il de-icing, riaccendendo poi i motori con l'Apu. La cosa più incredibile è che le prove e le simulazioni effettuate hanno dimostrato che anche se il comandante avesse fatto effettuare il de-icing l'aereo sarebbe ugualmente caduto quasi nello stesso punto. E ciò a causa della sosta alla quale era stato costretto, perché la sua compagnia usava il liquido antigelo D-I Type I che garantisce, nelle migliori condizioni, al massimo 15 minuti di protezione, ma costa il 10% in meno del Type II, normalmente usato in Europa, molto più efficace. Gian Carlo Boffetta


TECNOLOGIA «PULITA» Il nuovo frigorifero arriva dallo spazio
Autore: FURESI MARIO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA
NOMI: YOCHI MATSUBARA
ORGANIZZAZIONI: UNIVERSITA' NIHON
LUOGHI: ITALIA

TRA le ricadute dell'attività spaziale che incidono sulla vita di ogni giorno ci sarà presto un rivoluzionario modello di frigorifero che, oltre a costare poco ed essere di lunga durata, può definirsi «pulito» in quanto per funzionare non richiede clorofluorocarburi (Cfc), i gas responsabili del «buco» nell'ozono (peraltro già eliminati da molti modelli di recente produzione). I nuovi frigoriferi useranno, invece dei Cfc, in un primo tempo l'elio, e poi l'aria. I frigoriferi sono il risultato di una difficile ricerca iniziata cento anni fa e diretta alla realizzazione dei criogeneratori, ossia di macchine capaci di estrarre calorie da temperature molto basse, inferiori in genere ai 100 K (K = grado Kelvin, usato per indicare le temperature assolute, il cui zero corrisponde a -273,16 oC). I primi criogeneratori vennero chiamati «macchine Sterling» dal nome del loro inventore e per vari decenni non subirono mutamenti di rilievo, fino al 1986, anno in cui la ricerca nel settore riprese con eccezionale intensità. L'impulso determinante fu dato dal sopravvenuto impiego dei criogeneratori a bordo dei satelliti d'osservazione astronomica e di telerilevamento terrestre, il cui funzionamento richiede che vengano raffreddati a 80 K circa, ossia intorno ai -193 oC. Da qui la necessità di avere un sistema di refrigerazione di sicuro affidamento, poco ingombrante, leggero, di costo limitato e non soggetto a vibrazioni. Tutte queste caratteristiche si riscontrano nel nuovo criogeneratore realizzato con l'apporto di tre scienziati francesi: il «tube à gas pulsè». Con l'entrata in funzione di questo criogeneratore viene meno la necessità di imbarcare a bordo di un satellite una riserva di azoto liquido avente la temperatura assoluta di 77 K, soluzione non praticabile nelle missioni di lunga durata. Alla realizzazione di questo nuovo modello di criogeneratore hanno contribuito i centri di ricerca più avanzati nel settore operanti negli Usa, in Cina, in Giappone e soprattutto in Francia, in particolare nei laboratori del Centro Studi Nucleari di Grenoble e della Scuola Normale Superiore di Parigi. Spetta agli Usa il merito di aver finanziato, attraverso la Nasa, i primi due modelli del criogeneratore in questione, costruiti in California dalla Trw. La Nasa si è inoltre assunto il compito di porre in orbita i due satelliti che li impiegheranno nel telerilevamento terrestre. Tornando al frigorifero domestico, derivato dal nuovo criogeneratore spaziale, va posto in rilievo il contributo determinante dato alla sua fattibilità da uno scienziato giapponese, Yochi Matsubara, docente all'Università Nihon di Chiba, il quale è anche riuscito a raggiungere, con il nuovo criogeneratore, la temperatura assoluta di 3,6 K dopo avervi apportato alcune modifiche, tra cui il ricorso alle terre rare (erbio-nichel). Ma soprattutto gli va riconosciuto il merito di aver reso possibile la costruzione del rivoluzionario frigorifero domestico, che sarà «pulito» e a basso costo poiché non è soggetto a usura, non avendo parti in moto e potendo usare l'aria come mezzo refrigerante. Mario Furesi




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