TUTTOSCIENZE 20 dicembre 95


COME FUNZIONA IL MICROSCOPIO ELETTRONICO Guarda quant'è grande Lenti magnetiche per gli elettroni
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Il microscopio a trasmissione elettronica (TEM)

Il microscopio elettronico a visione indiretta (l'immagine dell'oggetto compare ingrandita in uno schermo fluorescente) utilizza per l'illuminazione un fascio di elettroni (microscopio elettronico a trasmissione, TEM) anziché la luce visibile, che è composta da fasci di fotoni. Poiché gli elettroni hanno una lunghezza d'onda associata di gran lunga inferiore alle lunghezze d'onda della luce visibile, il microscopio elettronico consente ingrandimenti superiori anche di decine di migliaia di volte rispetto ai microscopi ottici più potenti. La divergenza e la convergenza dei fasci elettronici vengono prodotta da apposite lenti elttroniche, costituite da campi elettrici e magnetici opportunamente disposti e installate in una struttura sotto vuoto spinto (necessario per la corretta propagazione degli elettroni). Analogo al TEM è il microscopio elettronico a diffrazione, costituito essenzialmente da un tubo a raggi catodici. I raggi vengono diffratti dall'oggetto in esame e successivamente raccolti da una lastra fotografica. L'immagine di diffrazione così ottenuta viene analizzata con un apparecchio ottico ricombinatori. Gli oggetti da osservare al microscopio elettronico devono essere trasparenti agli elettroni (cioè avere uno spessore non superiore ai 100 manometri; un manometro = un miliardesimo di metro), essere stabili sotto vuoto e resistere al bombardamento elettronico. I preparati biologici vengono in genere sisidratati e fissati (cioè irrobustiti con sostanze opportune), contrastati con sostanze ad alto numero atomico, inglobati dentro resine speciali e infine tagliati in sezioni sottilissime.


STRIZZACERVELLO Triangoli di fiammiferi
ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA

Triangoli di fiammiferi I sedici fiammiferi mostrati dalla figura formano otto triangoli equilateri. Senza spostare alcun fiammifero, toglierne quattro in modo che restino solamente quattro triangoli di dimensioni uguali ai precedenti. La soluzione domani, nella pagina delle previsioni del tempo.


INIZIATIVA CNR-UNIVERSITA' Senza scienza cultura monca
Autore: MANZELLI PAOLO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, DIDATTICA, CULTURA, TECNOLOGIA, LIBRI
PERSONE: VERNE JULES
NOMI: VERNE JULES
ORGANIZZAZIONI: CNR, SCIENCE & TECHNOLOGY COMMUNICATION CONSORTIUM, EDIZIONI HACHETTE & CHERCHE-MIDI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «Parigi nel XX secolo»

DA poco è uscito in Francia l'ultimo romanzo inedito di Giulio Verne dal titolo «Parigi nel XX secolo» (Edizioni Hachette & Cherche- Midi), dove la preveggenza dell'autore ha tanto del fantastico che, l'editore a lui contemporaneo, non volle il libro, scrivendo testualmente a Verne: «Anche se voi foste un profeta nessuno crederebbe oggi alle vostre profezie». Leggendo oggi il libro si nota che la fantasia di Verne si è avverata in pieno: egli già nel 1863 prevedeva che le strade di Parigi, cento anni dopo, sarebbero state percorse da fiumi di vetture senza cavalli, da treni metropolitani... e che le comunicazioni sarebbero state accelerate dalla telegrafia fotografica. Verne, in «Parigi nel XX Secolo», non solo dà una veritiera immagine dello sviluppo scientifico e tecnologico, ma intuisce anche che la gente sarebbe divenuta ancor più ignorante, in quanto la tecnologia sarebbe stata per i più un mistero incomprensibile. Questa previsione non era allora credibile, ma oggi ci stupisce non solo la perspicacia che Verne ebbe nei riguardi dello sviluppo tecnologico, a cui ormai siamo abituati, ma ancor di più il fatto di non aver saputo risolvere il problema della involuzione del pensiero comune della gente, pur avendo realizzato una Università di massa. Il ricorso attuale a indovini, maghi e credenze astrologiche è la punta dell'iceberg di una bassa cultura scientifica in un mondo ad alto sviluppo scientifico: bassa cultura sostenuta dal martellamento dei mass media, purtroppo sistematicamente nella direzione del degrado culturale. A partire da questa realtà contemporanea non è difficile oggi prevedere che il gap tra tecnologia avanzata e sviluppo sociale avrà in breve tempo un limite di rottura oltre il quale lo stesso sviluppo scientifico e tecnologico subirà un arresto. E' infatti sempre più evidente lo scollamento fra il processo di sviluppo e quello scientifico culturale e sociale. Ciò che resta incompreso dalla gente, e che può portare in breve a insensate reazioni di conservazione, è il fatto che la scienza e la tecnologia sono il principale fattore di cambiamento della società stessa, proprio in quanto l'innovazione, con i processi di automazione e informatizzazione del lavoro, trasforma profondamente l'organizzazione della produzione; inoltre tramite la pressione dei mass media, si influenzano le aspirazioni dei cittadini, e di conseguenza il grado di evoluzione del mercato non risulta più libero di maturare all'interno di una società che abbia piena coscienza delle sue potenzialità. Lo sviluppo economico e sociale tende quindi a chiudersi in un blocco conservatore che, insieme con i limiti culturali, ostacola il progresso. In questo quadro storico, la comprensione sociale delle frontiere della scienza e della tecnologia è una condizione irrinunciabile per lo sviluppo del «capitale umano» che deve essere presa in seria considerazione da chiunque voglia muoversi nella direzione dello sviluppo e progettare un futuro migliore per l'umanità. Occorre quindi agire per la divulgazione e la diffusione della scienza in modo che la società nel suo complesso partecipi attivamente allo sviluppo scientifico. La gestione del progresso sociale potrà restare democratica solo tramite una vera e totale «partecipazione culturale» allo sviluppo scientifico. In base a questa convinzione un gruppo di ricercatori universitari e del Cnr ha deciso di realizzare il «Science & Technology Communication Consortium», il cui fine è quello di avviare scuole di comunicazione della scienza e iniziative politiche e culturali a livello nazionale e internazionale per sostenere la diffusione di una mentalità scientifica, in modo da superare l'attuale situazione di ignoranza, che tende a relegare la scienza nell'ambito delle proprie specializzazioni, anziché innestarla nella cultura generale. Per adesioni o informazioni ci si può rivolgere all'Istituto Eco-Crea, telefono 055/332.549; fax: 055/354.845. Paolo Manzelli Università di Firenze


MESSAGGI CHIMICI Antenne molecolari nascoste dentro di noi Lo studio dei recettori cellulari sta rivoluzionando la farmacologia
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: BIOLOGIA, CHIMICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. I recettori cellulari

IL nostro è il secolo dell'informazione e della comunicazione. Lo stesso vale nel mondo delle cellule, le quali intrattengono rapporti fra loro e con l'ambiente esterno grazie a prodigiosi mezzi di informazione e sistemi di comunicazione. Nelle cellule vi sono certe molecole contenenti una proteina specifica, il recettore («ricevente» , dal latino), al quale si fissano le molecole portatrici dell'informazione: cioè ormoni, neurotrasmettitori, fattori della crescita, citochine, prostaglandine, lipoproteine (l'elenco cresce di continuo). I recettori hanno due funzioni, recepiscono le molecole informanti, e trasformano tale informazione in un segnale che provoca una modificazione del metabolismo cellulare. L'argomento dei recettori, queste antenne molecolari, viene studiato con sempre maggiore interesse. Vi sono due categorie di recettori, gli intracellulari presenti nel nucleo, e gli esterni, situati nella membrana cellulare. I recettori nucleari, avvenuto l'incontro con le molecole informanti, si fissano su siti specifici del Dna e modificano l'espressione dei geni, sono fattori di attivazione. I recettori di membrana non intervengono direttamente sul programma dei geni ma con altri meccanismi provocano anch'essi una modificazione del metabolismo cellulare. Lo studio dei recettori ha fatto prendere alla farmacologia un nuovo indirizzo, fondato su concetti diversi da quelli d'un tempo, appartenenti esclusivamente alla fisica ed alla chimica. E' la farmacologia molecolare: l'effetto dei farmaci è la conseguenza d'un legame fra le molecole del farmaco e le molecole dei recettori, perciò la farmacologia fa i suoi programmi sui recettori. Il farmaco arrivando al recettore dà un segnale, nasce un'informazione per la cellula ed una risposta. Fu così, per esempio, che venne preparato il propranololo, il quale blocca i recettori beta di certe cellule e rappresentò il capostipite dei farmaci beta- bloccanti contro l'ipertensione, l'angina pectoris, le aritmie cardiache, l'emicrania, l'ansietà e così via. Altri farmaci, agenti sui recettori H2 delle cellule gastriche, sono i farmaci H2-bloccanti, quale la cimetidina, che hanno rivoluzionato il trattamento dell'ulcera gastroduodenale. Un altro vasto capitolo riguarda la patologia dei recettori, in base alla quale è possibile spiegare a livello cellulare e molecolare il meccanismo delle malattie. Un nuovo campo di esplorazioni si è in tal modo aperto. Si veda per esempio l'ipercolesterolemia (aumento del tasso di colesterolo nel sangue) familiare, malattia genetica legata al difetto d'un recettore, come dimostrarono Brown e Goldstein che ebbero il Nobel per la medicina nel 1985. Altro caso quello del recettore dell'insulina, avente un ruolo essenziale nel meccanismo d'azione di questo ormone, e le cui anomalie di struttura o di funzionamento sono all'origine del diabete tipo II. La patologia di recettori nei bastoncelli e nei coni della retina ha come conseguenza varie retinopatie, e stabilire tali correlazioni è indispensabile per una terapia razionale. Ancora, il recettore della tireostimolina ipofisaria (Tsh), la cui struttura è stata chiarita di recente, è implicato nel morbo di Basedow; i recettori dell'ormone della crescita sono in rapporto con forme di nanismo e spiegherebbero anomalie della crescita, per esempio nei Pigmei; vi sono rapporti fra il recettore della forma attiva della vitamina D e certi tipi di rachitismo. I recettori sono anche in rapporto con i tumori, per esempio quello della mammella, che rappresenta circa un quarto di tutti i tumori, e la cui frequenza nel mondo occidentale cresce. La cancerogenesi mammaria è un processo a più tappe, nel quale il ruolo favorente degli estrogeni (ormoni ovarici) è accertato. Vi sono tumori con recettore degli estrogeni, e altri senza recettore. Il dosaggio dell'eventuale recettore nel tumore dà indicazioni sulla prognosi e sulla risposta alla terapia endocrina. Quest'ultima consiste essenzialmente nella somministrazione di anti-ormoni, ossia ormoni androgeni e progestativi che inibiscono la produzione del recettore, e anti-estrogeni sintetici che inibiscono il legame degli estrogeni col recettore. Ricerche sono in corso per precisare se il dosaggio del recettore degli estrogeni possa avere interesse per svelare lesioni precancerose. Ulrico di Aichelburg


IN BREVE Federchimica Bando di premio
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, PREMIO, PRESENTAZIONE
ORGANIZZAZIONI: FEDERCHIMICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «Premio per un futuro intelligente»

La Federchimica ha indetto l'ottava edizione del «Premio per un futuro intelligente», con sezioni per ricercatori, neolaureati, studenti, giornalisti, autori di opere didattiche e fotografiche. Per informazioni: tel. 02-268.10275.


IN BREVE Quanto costa la longevità
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: CNR
LUOGHI: ITALIA

La speranza di vita degli italiani è tra le più alte nel mondo, ma ciò comporta anche una serie di malattie e di costi legati alla popolazione anziana. Se ne è discusso a Milano il 15-16 dicembre presentando alcuni risultati del Progetto finalizzato Invecchiamento del Cnr.


IN BREVE Il Progetto Cicap 2000
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: CICAP COMITATO ITALIANO PER IL CONTROLLO DELLE INFORMAZIONI PARANORMALI, SCIENZA & PARANORMALE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Paranormale

Al recente congresso nazionale del Cicap (Comitato italiano per il controllo delle informazioni paranormali) è stato lanciato il Progetto Cicap 2000: prevede videocassette e libri per informare sui temi della pseudoscienza, una maggiore diffusione della rivista «Scienza & Paranormale», contatti con scuole e università. Chi è interessato può scrivere alla casella postale numero 60 - 27058 Voghera.


IN BREVE I veggenti pagati dalla Cia
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, SERVIZI SEGRETI
ORGANIZZAZIONI: CIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Veggenti, parapsicologia

In Italia i servizi segreti spesso «deviano». Negli Stati Uniti invece brillano per credulità. Nei giorni scorsi alcuni giornali hanno riportato la notizia del ricorso a «sensitivi» in azioni di spionaggio compiute dalla Cia. Il progetto «Stargate», costato 20 milioni di dollari, aveva come scopo l'individuazione di nascondigli di persone rapite e di bersagli militari. Secondo i dati pubblicati, il ricorso a mezzi «paranormali» avrebbe portato a esiti positivi in una dozzina di casi su 500. Dunque la percentuale di successi è del 2,4 per cento. Nel 97,6 per cento dei casi le informazioni fornite dai sensitivi risultano infondate. Dovrebbe essere chiaro, a questo punto, che i presunti successi rientrano nella casualità statistica.


IN BREVE Malattie genetiche e diagnosi prenatale
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, GENETICA
NOMI: DALLAPICCOLA BRUNO, NOVELLI GIUSEPPE
LUOGHI: ITALIA

Un gruppo di ricerca diretto da Bruno Dallapiccola e Giuseppe Novelli ha messo a punto, a Roma presso l'Università di Tor Vergata, un nuovo metodo non invasivo per la diagnosi prenatale di malattie neuromuscolari di origine genetica. Lo studio è stato finanziato da Telethon.


IN BREVE Tutti i ghiacciai in un Cd-Rom
ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA, INFORMATICA
ORGANIZZAZIONI: FINSIEL, COMITATO GLACIOLOGICO ITALIANO, AIRONE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «I ghiacciai d'Italia»

Oltre 40 minuti di filmati sui ghiacciai, 15 minuti di animazione grafica sui loro fenomeni, 600 foto di ghiacciai italiani e 400 immagini fra cartografia, flora e fauna: è il contenuto del Cd-Rom «I ghiacciai d'Italia» realizzato da Finsiel (Gruppo Iri Stet) e Verdefazzuoli in collaborazione con il Comitato Glaciologico Italiano. Il Cd- Rom è in distribuzione con un numero speciale della rivista «Airone» dedicato alla montagna.


ETOLOGIA Scimpanzè, amore mio E' vero che le donne preferiscono le scimmie?
Autore: VISALBERGHI ELISABETTA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, DONNE
NOMI: GOODALL JANE, FOSSEY DIAN, GALDIKAS BIRUTE', FEDIGAN LINDA
ORGANIZZAZIONI: SOCIETA' INTERNAZIONALE DI PRIMATOLOGIA, ASSOCIAZIONE DI PRIMATOLOGIA AMERICANA
LUOGHI: ITALIA

SPESSO mi è stato chiesto perché in primatologia - il campo di ricerca che si occupa di scimmie - c'è una preponderanza del genere femminile e come mai sono donne le ricercatrici che hanno studiato in natura scimpanzè (Jane Goodall), gorilla (Dian Fossey, tragicamente uccisa alcuni anni fa) e oranghi (Biruté Galdikas). Esiste forse una qualche attitudine che rende più semplice per una donna osservare e studiare i Primati, o che la motiva comunque a sceglierlo? In genere mi veniva di dire che era un'osservazione interessante ma che non c'erano abbastanza dati per suffragare l'ipotesi che c'erano più donne e che era inutile continuare ad «aprire la bocca e darle fiato» (un'espressione forse non da dizionario della lingua italiana, ma che adoro). Bisognava prendersi la briga di analizzare il problema seriamente, dati alla mano. Di recente, Linda Fedigan, una primatologa canadese, anche lei un po' stufa di ipotesi campate in aria, ha fatto un'analisi scientifica del problema. Dato che non è facile contare il numero di uomini e di donne che lavorano in una certa area di ricerca, la Fedigan ha fatto una stima che ne potesse riflettere in modo attendibile il numero. Ha consultato l'elenco degli iscritti alla Società internazionale di primatologia e all'Associazione di primatologia americana e ha contato quanti maschi e quante femmine vi fossero. Analogamente ha fatto con altre società scientifiche in aree di ricerca affini alla primatologia (società di antropologia, società per lo studio del comportamento animale), e meno affini (società di psicologia, società di zoologia). Infine ha anche considerato gli iscritti ad altre Società scientifiche che si occupano di un certo raggruppamento zoologico, come le Società di entomologia (insetti) e di ornitologia (uccelli). Cosa è venuto fuori dall'analisi statistica di questi dati? Vediamo con ordine. Innanzitutto la percentuale di donne iscritte alle società di primatologia si aggira intorno a poco meno del 50 per cento: le primatologhe non sono più dei primatologi. Anche se si confronta la percentuale di primatologhe con la percentuale di ricercatrici iscritte ad altre Società che si occupano di argomenti simili come la psicologia, l'antropologia o il comportamento animale in genere, non si trovano differenze significative. Al contrario ci sono significativamente più donne fra chi si occupa di primatologia che fra i naturalisti in genere o fra chi si occupa di materie affini solo alla lontana come la zoologia. Il numero di donne in primatologia è maggiore di quello in discipline che si occupano solo e soltanto di altri gruppi di animali? La risposta è affermativa. Si è visto ad esempio che solo il 20 per cento degli iscritti alla Società di mammologia e solo il 15 per cento degli iscritti alla società di entomologia sono donne. Una bella differenza. E' proprio il caso di dire che le donne preferiscono le scimmie agli altri animali. Ma era vero anche nel passato? La primatologia è una disciplina recente - la società primatologica internazionale è stata fondata circa 15 anni fa - pertanto la Fedigan ha analizzato il rapporto fra i sessi nel 1981- 82 con quello di dieci anni dopo. I risultati mostrano che vi è stato un netto incremento del numero di donne nel corso di questi anni. Una analoga crescita della rappresentanza femminile, anche se meno marcata, si ritrova anche fra gli iscritti alla Società di psicologia e alla Società per lo studio del comportamento animale. A questo punto viene naturale cercare di spiegare perché ci sia un numero di donne simile a quello degli uomini che studiano scimmie e una tendenza delle donne a studiare le scimmie piuttosto che altre bestie. In passato, prima di avere dati così precisi a disposizione, era stata suggerita la cosiddetta ipotesi «dei grandi occhioni neri» , secondo la quale questo fenomeno era da imputare alla tenerezza che le scimmie possono suscitare e all'istinto materno sempre in agguato. Le donne sono naturalmente bersagli elettivi per questo tipo di frecce. (Per dirla con Schulz, il creatore di Charlie Brown, felicità è un cucciolo caldo). Alla luce delle sue analisi, Linda Fedigan non esclude questa spiegazione, ma aggiunge altri elementi che arricchiscono il quadro interpretativo. La primatologia è una disciplina marginale, in cui non si gestiscono tanto potere, fama, o denaro. Pertanto ha le caratteristiche dell'habitat nuovo da colonizzare senza forti attriti e lotte per il potere e, in quanto tale, di solito occupabile preferenzialmente dal sesso «debole»: ben sappiamo che i media hanno sempre dedicato larghi spazi alle donne che studiavano le grandi scimmie in natura. Una gentile signora e un grande bestione fanno sempre il loro effetto! Va detto inoltre che studiare le scimmie spesso consiste nell'osservarne il comportamento sociale, capire le dinamiche fra i vari individui, e passare ore e ore a prendere pazientemente nota di tutto ciò che accade. E' risaputo, e in parte anche dimostrato, che in questo campo le donne sono spesso più perspicaci e pazienti degli uomini ed è pensabile che questo le renda particolarmente adatte alla primatologia. E in Italia? Come vanno le cose nel nostro Paese? E' presto detto. La società italiana di etologia conta 109 iscritti, di cui solo il 29% sono donne; l'associazione italiana di primatologia ha 77 iscritti di cui quasi la metà (47%) sono donne. Insomma, da noi, significativamente più donne si interessano di scimmie che di altri animali. Ma prima di lasciarsi andare a facili conclusioni e dire che magari ciò è frutto del «mammismo» italiano sarebbe il caso di fare, anche noi, uno studio approfondito sull'argomento. Elisabetta Visalberghi Cnr, Istituto di Psicologia


A CATANIA, SULL'ETNA Osservatorio dedicato all'astronomo Fracastoro
AUTORE: PRESTINENZA LUIGI
ARGOMENTI: ASTRONOMIA
PERSONE: FRACASTORO MARIO GIROLAMO
NOMI: RODONO' MARCELLO, HACK MARGHERITA, FRACASTORO MARIO GIROLAMO
LUOGHI: ITALIA

LA sede «stellare» dell'Osservatorio astrofisico di Catania a Serra la Nave (Etna Sud, quota 1710) è stata intitolata a Mario Girolamo Fracastoro, scienziato di chiara fama scomparso l'anno scorso, che l'Osservatorio diresse e ricostruì dal 1954 al 1967. Fracastoro, di lontane origini veronesi ma cresciuto a Firenze alla scuola di Abetti, promosse il trasferimento dell'Osservatorio nella nuova sede della città universitaria, ma riuscì anche a riportare l'astronomia sul vulcano, dove era arrivata alla fine dell'Ottocento con Tacchini e Riccò. Lasciata la vecchia sede, poi travolta dalle lave nel 1971, Fracastoro realizzò l'acquisto di una considerevole estensione di terreno sulle pendici Sud-Ovest dell'Etna, a una quota ragionevolmente bassa, e riuscì ad attrezzare la nuova stazione con due telescopi di 91 e 61 centimetri, ai quali recentemente se ne è aggiunto uno automatico di 80 centimetri, al servizio di un attivo e frequentato centro di ricerca in campo fotometrico e spettroscopico. Lasciata Catania, Fracastoro diresse, rilanciandolo, l'Osservatorio astronomico di Pino Torinese. L'annuncio della dedica della sede etnea è stato dato da Marcello Rodonò, attuale direttore, al congresso europeo d'astronomia tenuto a Catania. La figura dello studioso è stata rievocata magistralmente da Margherita Hack. Luigi Prestinenza


TELECOMUNICAZIONI A Siena la tv viaggerà in fibre di vetro E' iniziato il cablaggio della città, all'avanguardia in Italia
Autore: LEONCINI ANTONELLA

ARGOMENTI: COMUNICAZIONI, ELETTRONICA
ORGANIZZAZIONI: TELECOM
LUOGHI: ITALIA, SIENA (SI)

A Siena, via le antenne dai tetti grazie alla fibra ottica: questo nuovo potente mezzo di trasmissione delle informazioni - un «capello» di vetro nel quale possono viaggiare molti miliardi di informazioni elementari al secondo - mette d'accordo le esigenze della tutela del patrimonio artistico, il progresso telematico e gli amanti del piccolo schermo, che potranno contare su una migliore qualità delle immagini. Il merito è del doppio anello, installato con la nuova piattaforma di rete a larga banda dalla Telecom, che rappresenta, grazie alla megapotenza dell'impianto, un'efficiente infrastruttura adatta per una pluralità di servizi. Trenta miliardi il costo del progetto, articolato in un periodo di tre anni: dopo il centro storico, con la cablatura dell'intera città, gli interventi riguarderanno anche la periferia e l'hinterland. La nuova piattaforma di rete a larga banda, che la Telecom realizzerà per la prima volta nel Comune di Siena, consentirà il collegamento con una pluralità di funzioni; si parte dalla tv fino a coinvolgere differenti servizi accessibili nella residenza dell'utente: da quelli tradizionali come la trasmissione dati e Isdn a quelli più innovativi su rete nazionale ed internazionale. E l'utente potrà accendere la televisione e seguire centinaia di canali: quelli nazionali, fino alle reti europee, americane ed asiatiche. Con un occhio all'ambiente, perché Telecom lavorerà prevalentemente nel sottosuolo e nessuna struttura stravolgerà il patrimonio artistico, con un impatto iniziale anzi positivo per la possibilità di eliminare dai tetti della città storica le antiestetiche antenne tv. Si tratta di un esperimento pilota. La Telecom si limiterà a sistemare dei tubi sotterranei, saldati a pozzetti di manovra. Ma si guarda avanti. La rete, difatti, è predisposta per l'evoluzione tecnologica, consentendo incrementi di prestazione quantitative e qualitative, come il trasporto di segnali elettronici e l'avvio di servizi multimediali interattivi, di video on demand, accessi a banche dati, informazioni e servizi della pubblica amministrazione. A Siena le fibre ottiche hanno una storia che risale indietro nel tempo: è stata la prima città ad assicurare la disponibilità per l'installazione delle fibre ottiche. Il futuro è realtà; in casa, liberamente seduti in poltrona, sarà possibile disporre dei mezzi più sofisticati: con il Telelavoro evitare di andare in ufficio e ricevere istruzioni via computer; ottenere tutte le informazioni sui servizi comunali e, in un periodo quanto mai prossimo, anche richiedere ed ottenere via video certificati ed attestati; collegarsi con New York e Tokyo. Il segreto è un semplice armadietto che, con gli amplificatori di segnale, contiene il nodo collegato alla struttura sotterranea dei cavi primari in fibra ottica, che sarà sistemato dalla Telecom alle porte di casa. Nessun costo aggiuntivo o maggiorazione del canone Rai per il cliente per eliminare le antenne della tv e che per gli altri servizi pagherà il collegamento. Inizialmente la rete primaria in fibra ottica utilizzerà le infrastrutture ed i cavi sistemati per gli impianti già eseguiti per il collegamento ad alta velocità di clienti, come banche ed enti pubblici, e la rete Man, Metropolitan area network, collegata con i poli scientifici di Firenze e Pisa. Antonella Leoncini


ASTRONAUTICA Quando i russi volevano la Luna Rivelazioni sulla storia di un progetto fallito
Autore: LO CAMPO ANTONIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
NOMI: LEONOV ALEXEIJ, MAKAROV OLEG, KOROLEV SERGHEIJ
LUOGHI: ITALIA

DA qualche anno in un padiglione dell'Istituto Russo dell'Aviazione di Mosca è esposto al pubblico un prototipo del modulo lunare che i sovietici realizzarono negli Anni 60, sperando di portare cosmonauti sulla Luna. Era l'equivalente russo del Programma Apollo della Nasa, ma progettato tra mille polemiche interne fra ingegneri e tecnici, primo fra tutti Sergheij Korolev, che morì nel 1966. Esattamente trent'anni fa, nell'ex Urss veniva avviata la realizzazione dei giganteschi razzi che avrebbero dovuto lanciare in direzione della Luna i cosmonauti. Chiamati N-1, quei vettori parevano dei capolavori della missilistica, ma erano talmente complessi che portarono solo a fallimenti ed esplosioni. Nel 1969 il primo N-1 si alzò di pochi metri e poi esplose. Una pompa di un motore del secondo stadio aveva risucchiato un frammento di metallo. E questo bastò per provocare una spaventosa esplosione, che venne fotografata persino dai satelliti-spia americani. Altri tre tentativi nel 1971 e 1972 si conclusero con esplosioni in volo: l'ultimo tentativo, del 23 novembre '72, sancì la fine del programma lunare dell'ex Urss, ma gli studi per inviare cosmonauti sulla Luna entro il 1978 proseguirono. Le infrastrutture di terra non vennero buttate via, ma vennero usate per il grande razzo Enetghjia, di concezione totalmente diversa dagli N-1, ma pur sempre capace di lanciare in orbita 100 tonnellate, come dimostrato negli unici due lanci del 1987 e 1988. Come avrebbe dovuto svolgersi una missione lunare russa? Le più recenti rivelazioni hanno fornito molti particolari. A cominciare dai nomi del primo equipaggio prescelto per l'allunaggio. A differenza dell'Apollo, che partiva con tre astronauti, il programma russo ne prevedeva solo due: Alexeij Leonov doveva scendere sulla superficie selenica, mentre Oleg Makarov doveva attenderlo in orbita lunare. Il modulo lunare russo era grande poco più della metà rispetto a quello americano, e per questo poteva trasportare un solo pilota. I primi tre stadi del gigantesco N-1 dovevano portare in orbita terrestre il modulo lunare e una capsula Sojuz con i due cosmonauti, mentre un quarto stadio li avrebbe sospinti sulla traiettoria trans-lunare. Un altro motore avrebbe inserito le due navicelle in orbita lunare e una volta riacceso avrebbe portato il piccolo modulo verso la superficie. Questo motore si sarebbe dovuto staccare a una certa quota, e Leonov avrebbe poi effettuato l'allunaggio con i piccoli motori secondari del modulo, che aveva tre zampe d'appoggio. Poiché la Sojuz con il modulo lunare attraccato a «prua» non era dotata di un tunnel interno di passaggio come per l'Apollo- Lem americano, Leonov sarebbe dovuto uscire in attività extraveicolare dalla Sojuz, arrampicandosi fino a raggiungere «il ragno» lunare, aprendone il portello ed entrandovi con manovre assai rischiose. Non a caso per tentare questa operazione fu scelto Alexeij Leonov, che è stato il primo uomo a compiere una passeggiata spaziale. Le fasi del decollo dalla Luna, dell'aggancio in orbita e del ritorno verso la Terra erano molto simili a quelle dell'Apollo. Ma anche in questo caso la sicurezza non era totale: la capsula Sojuz doveva rientrare, a seconda della direzione ottenuta verso il nostro pianeta, o in un punto del territorio sovietico o con un ammaraggio nell'Oceano Indiano. Antonio Lo Campo


De Meis Salvo e Meeus Jean: «Almanacco astronomico 1966», Hoepli, Milano
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA

Tutti i fenomeni del cielo che ci riserva il 1996: uno strumento indispensabile per gli appassionati di astronomia «pratica». Piero Bianucci


Rigutti Mario: «Cento miliardi di stelle», Giunti, Firenze
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA

Ritorna in edizione aggiornata un testo ormai classico della divulgazione astronomica, che traccia con penna agile e rigorosa un panorama completo delle conoscenze attuali, dal Sole alla Galassia ai problemi dell'evoluzione stellare. Nella stessa collana si segnalano «Lo sguardo delle macchine» di Donald Norman su ergonomia e tecnologia dal volto umano, e «I volti della menzogna» dello psicologo Paul Ekman.


Anati Emmanuel: «Il museo immaginario della preistoria», Jaka Book
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Chi sente il fascino dell'arte rupestre passerà ore sulle splendide immagini e sugli ottimi testi di questo libro: un panorama di 40 mila anni di storia dell'arte tribale dai primordi alle popolazioni recenti, come i beduini, i boscimani, gli aborigeni australiani. Dopo la lettura, l'aggettivo «primitivo» acquista un nuovo significato.


Laureano Pietro: «La piramide rovesciata», Bollati Boringhieri
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

L'oasi è anche una categoria culturale. Pietro Laureano, profondo conoscitore dell'ambiente sahariano, in questo saggio splendido anche quanto a iconografia, adotta l'accezione più ampia: oasi del deserto, ma anche il giardino come oasi, la nicchia archeologica, i trulli pugliesi e i Sassi di Matera, le oasi marine. Ed ecco che, come dice il sottotitolo del volume, l'oasi diventa un modello per il pianeta Terra.


Frova Andrea: «Perché accade ciò che accade», Rizzoli
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA

Centinaia di perché nei campi più diversi della scienza, con le loro risposte. Dalla fisica alla zoologia, dallo sport alla musica. Professore di fisica all'Università La Sapienza di Roma, Frova da sempre si dedica alla divulgazione scientifica dimostrando grande abilità nell'«accendere i cervelli» dei lettori (l'espressione è di Piero Angela, autore della Presentazione). Da non perdersi la nota introduttiva, dove Frova mette in guardia dalla pseudoscienza che dilaga dagli schermi televisivi.


Prattico Franco: «La tribù di Caino», Raffaello Cortina Editore
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: GENETICA, ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Per milioni di anni e milioni di specie l'evoluzione è andata avanti per tentativi ed errori di tipo genetico. La trasmissione di informazioni in questo modo non può che essere piuttosto lenta. Con l'uomo c'è stato un salto di qualità. La trasmissione di informazioni è diventata essenzialmente un fatto culturale. Così ogni uomo, senza incertezze, senza tentativi ed errori, può partire dal punto di arrivo della generazione precedente. Il risultato è sotto i nostri occhi: un progresso esponenziale. Nel bene e nel male. Franco Prattico, con il suo solito stile accattivante, traccia la storia dell'avventura dell'Homo sapiens dalle origini a oggi. Dando risposte, ma anche ponendo saggi interrogativi.


SCAFFALE Caroselli Guido: «Il tempo per tutti», Mursia
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: METEOROLOGIA
LUOGHI: ITALIA

GLI italiani hanno scoperto la meteorologia attraverso le previsioni del tempo televisive. Merito della Rai è stato quello di consentire ai suoi meteorologi non soltanto di dare il risultato della previsione, ma anche di spiegare come ci si arriva. Nonostante ciò manca ancora nel pubblico la percezione di quanto la meteorologia applicata alla vita quotidiana possa essere utile: basti pensare alla prevenzione di disastri naturali, all'agricoltura, ai trasporti, allo sport, alla difesa dell'ambiente. Guido Caroselli, dal 1980 curatore della rubrica «Che tempo fa» di Rai 1, con questo libro fa compiere alla meteorologia un altro passo nella considerazione del pubblico.


L'ITALIA MEDIATRICE
ARGOMENTI: FISICA, CONGRESSO, FIRMA, ACCORDO, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: FUBINI SERGIO, VIRASORO MIGUEL, AMATI DANIELE, BONAUDI FRANCO, DEVOTO ALBERTO, MOHAMED EL FIKI, AHMED EL IBIARY, HALLAK HANNA, HUMAM GHASSIB, RABINOVICI ELIEZER
LUOGHI: ESTERO, EGITTO, DAHAB

UN accordo di collaborazione scientifica in fisica tra i Paesi del Vicino Oriente è il primo frutto concreto del convegno organizzato a Dahab, nella penisola del Sinai, per iniziativa di Sergio Fubini (Università di Torino e Cern) con il sostegno del ministero della Ricerca italiano. Firmatari dell'intesa sono Miguel Virasoro (direttore del Centro internazionale di fisica teorica di Trieste), gli italiani Daniele Amati, Franco Bonaudi, Sergio Fubini e Alberto Devoto, Mohamed El Fiki e Ahmed El Ibiary per l'Egitto, Hanna Hallak per la Palestina, Humam Ghassib per la Giordania ed Eliezer Rabinovici per Israele. Il «Sinai Meeting» è stato possibile anche per la decisiva collaborazione del ministero della Ricerca egiziano, dell'Accademia delle scienze di Israele, delle Università di Gerusalemme e di Betlemme. I partecipanti, provenienti da tutto il mondo, sono stati circa 150. Al di là del significato scientifico, è evidente la portata storica di un incontro che per la prima volta ha visto collaborare fisici palestinesi e fisici israeliani.


Stella di Poinsett La pianta natalizia dalle foglie rosse
Autore: STELLA ENRICO

ARGOMENTI: BOTANICA
NOMI: BUIST ROBERT, ECKE ALBERT
LUOGHI: ITALIA

IL suo nome specifico, consacrato dalla scienza internazionale, è pulcherrima, cioè «bellissima», e se lo merita davvero. Ogni anno, a dicembre, come a un segnale convenuto, compare simultaneamente sulle strade delle città, sui banchi dei mercati rionali, nelle vetrine addobbate a festa e soprattutto nei negozi dei fioristi. Se questo dono della natura è giunto fino a noi, ne siamo in parte debitori al botanico Poinsett che, nel lontano 1825, trovandosi in Messico come ambasciatore degli Stati Unti, vide per la prima volta una collina ricoperta di «stelle» in fiore. Non è difficile immaginare lo stupore e l'emozione provati davanti a quel mare di porpora, ondeggiante sotto la carezza del vento: l'americano ne fu così entusiasta che, tornando in patria, portò con sè alcune piantine per affidarle a Robert Buist, maestro di floricoltura a Filadelfia. Questi battezzò la nuova specie «Poinsettia», in omaggio all'ambasciatore naturalista, e riuscì a farla riprodurre e a curarne la diffusione locale. Ma ci volle quasi un secolo prima che la stella scarlatta facesse il suo ingresso in altri continenti. Agli inizi del Novecento un intraprendente europeo, Albert Ecke, si stabilì nei pressi di Hollywood per dar vita a una grande azienda specializzata nella coltivazione e nel commercio della poinsettia. Da allora la pianta messicana ha cominciato a conquistare nuovi mercati e a subire trasformazioni ad opera degli ibridatori, che ne hanno creato innumerevoli varietà, sempre più belle e resistenti, adatte a condizioni ambientali diverse da quelle di origine. In Messico, allo stato selvatico, la poinsettia, che appartiene alla famiglia delle euforbiacee (genere Euphorbia), è un arbusto perenne, alto fino a tre metri, e poiché fiorisce a dicembre è divenuta il simbolo del Natale. Ma, attenzione: la grande «stella» che costituisce la parte più appariscente della pianta non è affatto un fiore! La «stella» è composta da un certo numero di foglie apicali trasformate (bratee), vivacemente dipinte in rosso e disposte a raggiera attorno ai veri fiorellini che sono gialli, riuniti in mazzetti, e passerebbero inosservati se non fossero messi in risalto dalla sgargiante aureola. In natura la colorazione vistosa ha lo scopo di adescare gli insetti ai quali è affidato il compito di trasferire il polline dai fiori maschili a quelli femminili per fecondarli. I floricoltori sono giunti a ridurre in modo drastico l'altezza originaria delle piante, ottenendo anche esemplari nani, mediante la somministrazione di ormoni o di altri composti chimici, regolatori della crescita («brachizzanti»). Spesso questi prodotti offrono un ulteriore vantaggio: rendono le piante più resistenti a certe malattie provocate da microscopici funghi parassiti e prolungano la vita delle foglie e delle brattee; ci danno insomma la possibilità di godere più a lungo della loro fioritura. Tra gli obiettivi raggiunti dagli ibridatori, la selezione di ceppi con il maggior numero possibile di steli fiorali e la creazione di nuovi colori: così dalla gamma dei rossi si passa a un delicatissimo rosa e perfino al giallo e al bianco. In Italia la coltivazione della stella di Natale su basi scientifiche sembra destinata a grande successo. Ma mentre in alcuni centri della Sicilia, come a Catania e a Palermo, la pianta può vivere all'aperto anche d'inverno, altrove dev'essere necessariamente protetta in serra. E' di fondamentale importanza conoscerne il comportamento in relazione al fotoperiodo, cioè alla durata delle ore di illuminazione quotidiana. Durante l'estate, quando il sole tramonta tardi, la poinsettia continua a svilupparsi in altezza, producendo esclusivamente foglie. Finché le ore di luce sono tante quante quelle di oscurità, non accade nulla di nuovo, ma la loro diminuzione in autunno rappresenta per la stella messicana un preciso segnale che fa scattare un meccanismo biologico: è giunto il momento della fase riproduttiva ed essa si prepara a fiorire. La situazione ottimale è rappresentata da un massimo di 10 ore di luce, alternate con 14 ore di buio. La conoscenza di questo piccolo segreto permette ai floricoltori di creare a volontà le condizioni per ottenere che la completa colorazione delle brattee coincida con il periodo natalizio, in qualsiasi parte del mondo. Infatti, aumentando o diminuendo la durata dell'illuminazione giornaliera, si provoca rispettivamente il ritardo o l'anticipo della fioritura. Così si fa ricorso a lampade adatte, da spegnere all'ora giusta, o all'oscuramento delle serre con tende nere, per esser certi di poter esaudire le richieste di mercato nei mesi di dicembre e gennaio. E' importante regolare anche l'intensità della luce e la temperatura. Le piante esotiche, affidate a mani inesperte tra le mura domestiche, hanno spesso un destino infelice: a nulla valgono le buone intenzioni di chi li ospita, quando se ne ignorano le esigenze vitali. E' un vero peccato lasciare che molte stelle di Natale, ormai sfiorite, finiscano nella spazzatura, soltanto perché uno scarso apporto di fertilizzante, o annaffiature troppo generose, ne ha fatto ingiallire le foglie. Enrico Stella Università di Roma


PROPOSTA La ricerca a misura di Europa
Autore: MARCHISIO PIER CARLO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: ROYAL SOCIETY, NATURE
LUOGHI: ITALIA

L'IDEA di una guida unitaria per la ricerca europea gira da un po' tra gli scienziati. E' naturale che sia proprio il mondo scientifico, sovrannazionale per natura e tradizione, a dare una spinta a scelte culturali omogenee e a fornire alla comunutà dei Paesi membri una forza propulsiva di tipo conoscitivo e tecnologico che ora solo Stati Uniti e Giappone possono vantare. L'unificazione europea della direzione della ricerca scientifica potrebbe favorire scelte politiche ed economiche unitarie ora frenate dalle grandi disparità esistenti tra le culture europee. Non a caso questa tesi avanzata dalla Royal Society è stata ripresa da un editoriale di Natu re destinato a essere discusso a lungo, così come non è un caso che lo studio di questa possibilità sia stato chiesto dalla Fondazione Europea per la Scienza proprio a una prestigiosa istituzione come la Royal Society, custode di una grande tradizione culturale e scientifica. Come è guidata oggi la ricerca scientifica europea? Essenzialmente attraverso un sistema di infrastrutture dedicate prevalentemente alla ricerca di tipo applicativo che si susseguono in programmi quadriennali. L'organizzazione di questi progetti di ricerca è molto complicata dal punto di vista burocratico e richiede la formazione di gruppi di ricerca composti di scienziati di diverse nazionalità. In questo meccanismo è molto penalizzata la ricerca di base, tanto che una delle preoccupazioni della Royal Society è quella di riservare a questa il 10 per cento dei fondi già nell'ambito dell'infrastruttura che guiderà la scienza europea tra il 1997 e il 2001. Ma non è questo il punto principale. Bisogna arrivare, forse già prima dell'inizio del terzo millenio, a un Consiglio Europeo delle Ricerche in grado di distribuire fondi solo sulla base del merito e guidato a rotazione stretta da scienziati veri e non da politici travestiti da scienziati. Questo progetto pone alcuni problemi, il maggiore dei quali è ridistribuire con equità i fondi provenienti dalle singole nazioni. E' inutile negare che la ricerca di un onorevole equilibrio richiederà alcuni anni di aggiustamenti per indurre nazioni come l'Italia che poco investono nella scienza a cambiare la propria politica. Il risultato sarà, nei prossimi anni, un'Europa scientificamente più omogenea e dotata, al pari degli Stati Uniti, di un potente motore scientifico. Scienza, applicata o di base, vuol dire progresso conoscitivo che si traduce in progresso tecnologico e industriale. Quale ruolo si troverà ad avere il nostro Consiglio Nazionale delle ricerche (Cnr) in questa nuova cornice scientifica europea? Le persone che fanno ricerca, non solo italiane, vedono negli enti nazionali un ruolo propositivo e propulsivo in grado di indurre l'ente europeo a premiare scelte di qualità. Il premio in gioco è attirare fondi nei laboratori delle singole strutture nazionali. Gli scienziati italiani di qualità e immaginazione ne hanno ma lo dimostrano troppo spesso altrove, perché da noi non sono le teste ma è l'organizzazione della ricerca a essere molto carente. Sono convinto che il Cnr potrebbe migliorare di riflesso le proprie scelte e la sua complessa struttura burocratica se venisse a confrontarsi con un ente europeo agile e guidato da scienziati imparziali e autorevoli. Fa male a chi si occupa di scienza in Italia parlare con uomini politici investiti di alte responsabilità e sentire da questi grande sfiducia nella cultura scientifica italiana. L'Italia per noi ricercatori non è solo moda e turismo ma anche cultura, ricerca di base e tecnologia, armi che dobbiamo affilare se vogliamo rimanere tra le sette nazioni che contano. Arrivare a pensare in termini europei nell'organizzazione della scienza può produrre grandi vantaggi. Pier Carlo Marchisio Dibit, San Raffaele, Milano


PERCHE' VIVA ANNI, NON UNA SETTIMANA
ARGOMENTI: BOTANICA
LUOGHI: ITALIA

PER molti anni l'albero di Natale è stato sinonimo di strage di conifere e distruzione della natura. Oggi non dovrebbe più succedere: gli alberi di Natale devono provenire da appositi vivai ed essere autenticati dal sigillo del Corpo forestale dello Stato. Accertatevi dunque che il vostro albero sia in regola con la legge. Oltre all'abete bianco e rosso numerose altre conifere possono diventare alberi di Natale, ma occorre vigilare perché nessuno se li procuri tagliando brutalmente la punta di un albero. E poi, se acquistate un albero vivo, conviene conservarlo per gli anni seguenti. Non è difficile. Prima di tutto bisogna accertarsi che il vaso sia ben proporzionato alla dimensione della pianta. In casa occorre che l'albero venga irrigato ogni giorno e anche nebulizzato, in quanto l'aria con un basso livello di umidità relativa come quella degli appartamenti favorisce il distacco degli aghi. Appena trascorse le festività l'albero va posto all'aperto, avendo cura di irrigarlo in media una volta alla settimana. A primavera lo si concimerà; non conviene anticipare questa operazione in quanto solitamente le piante in vaso hanno già ricevuto un concime a lento rilascio. A maggio, e non prima in quanto la pianta sta crescendo, si procederà al reinvaso in un contenitore di dimensioni maggiori. Così potrà svilupparsi e il prossimo anno avrete già pronto il vostro albero di Natale. A norma di legge.


BOTANICA IN CASA L'abete di Natale Una festa in armonia con la natura
Autore: ACCATI ELENA

ARGOMENTI: BOTANICA
LUOGHI: ITALIA

PRESEPIO o albero di Natale? In questi giorni si rinnova la sfida fra due tradizioni, la prima più antica e tutta italiana, la seconda più recente e importata dal Nord Europa, ma ormai vincente. Ma la vittoria della tradzione nordica può avere conseguenze piuttosto gravi per la conservazione del patrimonio forestale se non si rispettano le norme. D'altra parte anche l'albero di Natale può diventare un momento di riscoperta e di protezione della natura. Nel riquadro in alto spieghiamo come. Qui, intanto, è bene incominciare con una corretta classificazione botanica. Molto spesso si tende a confondere gli abeti con i pini, forse perché entrambi sono conifere (alberi recanti organi conici in cui stanno i semi), ed entrambi appartengono alla famiglia delle Pinacee. In realtà le due piante sono facilmente distinguibili per il fatto che i pini sono alberi che portano aghi singoli mentre gli abeti li hanno raggruppati in fascetti di due, tre, o cinque, a seconda della specie. L'abete è l'albero di Natale per eccellenza: sembra che il primo utilizzato a questo scopo sia stato eretto nel borgo di Schlettstadt in Alsazia intorno al 1600. Secondo altri però questa usanza sarebbe assai più antica, legata al nome di Odino, risalirebbe al Mille e avrebbe avuto la sua patria in Norvegia. D'altra parte, un famoso canto che i bambini tedeschi intonano a Natale danzando intorno a un albero maestoso ricoperto di luci, di fiocchi di neve e di doni dice proprio: «O abete, o abete, come sono verdi le tue foglie, non solo d'estate, ma anche d'inverno, quando nevica, o abete tu ci insegni la speranza, la costanza, la fiducia e la forza...». Dalla Germania questa usanza varcò i confini giungendo in Gran Bretagna, sembra intorno alla metà dell'Ottocento, quando il principe Alberto ne portò uno al castello di Windsor dando inizio alla tradizione dell'albero di Natale. Molto più tardi questa usanza giunse in Italia. Nel nostro Paese si utilizzano l'abete rosso e l'abete bianco. Il primo, chiamato anche Peccio (Picea abies), ha la corteccia di colore rosso, è presente sulle Alpi, e in aree ristrette dell'Appennino settentrionale. E' la conifera forestale più importante della selvicoltura europea fino alla Scandinavia e alla Siberia, tanto che negli Stati Uniti ove è stata importata è conosciuta con il nome di Norway spruce o abete rosso di Norvegia, per alludere alla grandissima diffusione che possiede in quel Paese. Poiché il legno è composto da lunghe fibre è assai adatto alla produzione di carta e alla fabbricazione di strumenti musicali, in particolare la cassa di risonanza e l'anima del violino, la sua funzione consiste nel trasmettere vibrazioni dalle corde al duro legno di acero dei lati e del dorso. Il legno migliore per ottenere una buona risonanza si ricava dalle parti più esterne di alberi di ben 200-300 anni di età, cresciuti lentamente in modo da possedere anelli fitti e regolari. L'abete rosso produce molta resina (Picea infatti deriva da pix, cioè resina) che un tempo soprattutto serviva per fare la pece e la trementina, mentre dai rametti in alcuni Paesi si ottiene un tipo particolare di birra. La forma di questo albero è molto pregiata essendo conica e regolare con i rami più alti ascendenti e quelli inferiori orizzontali e pendenti. L'abete bianco, Abies alba, il cui nome del genere deriva dalla parola abire che significa allontanarsi, per alludere a quanto queste piante si distacchino dal terreno, cioè crescano in altezza, è assai diverso dal rosso anche ad una osservazione superficiale. Infatti la corteccia del bianco è di colore grigio chiara, i coni sono eretti come candelabri e non penduli, non cadono come tali ma si sgretolano squama per squama, lasciando in posto l'asse finalmente nudo. Inoltre i rami sono rivestiti da peli corti e radi, le gemme sono prive di resina, gli aghi hanno la superficie inferiore percorsa da due larghe strisce argentee (da qui il nome di bianco). E' meno resistente al freddo del rosso; abita l'Europa Centromeridionale spingendosi ad Occidente verso i confini della Penisola Iberica. In Italia un tempo aveva una diffusione assai maggiore rispetto all'attuale, infatti Virgilio nelle Ecloghe parla di distese di abeti «in montibus altis». Le belle abetine di Camaldoli e dell'Abetone si devono all'opera di rimboschimento, succeduta ad uno sfruttamento risultato eccessivo. Attualmente la tendenza della moderna selvicoltura è quella di reintrodurre l'abete nelle faggete appenniniche per ricostituire il manto forestale. Elena Accati Università di Torino


TRA GLI SCIENZIATI E' GIA' PACE Arabi e israeliani uniti dalla fisica
Autore: DEVOTO ALBERTO

ARGOMENTI: FISICA, CONGRESSO
LUOGHI: ESTERO, EGITTO, DAHAB

NELL'ULTIMA settimana di novembre fisici di estrazione e origini geografiche diverse si sono riuniti a convegno nel piccolo villaggio di Dahab, che, dalla penisola del Sinai egiziano, si affaccia sul Golfo di Aqaba. Un forte terremoto (che ha raggiunto il grado 7,2 della scala Richter, per fortuna senza grandi danni) ha ricordato a tutti i partecipanti la potenza dei fenomeni naturali e, metaforicamente, «l'instabilità» della regione, ma non ha impedito che i lavori del convegno venissero portati regolarmente a termine. Tema dell'incontro era «La fisica delle alte energie, della materia condensata e dell'ambiente». Durante il convegno sono state presentate relazioni su argomenti come la superconduttività, la rottura spontanea delle simmetrie, i monopoli magnetici, la dinamica delle correnti marine nel Mediterraneo orientale. In un'epoca di crescente specializzazione della conoscenza, un incontro che spazia su argomenti così diversi può suscitare qualche perplessità. La fisica ha visto da decenni due tendenze principali: una riduzionistica e una olistica. La prima ha cercato di determinare gli elementi fondamentali, i mattoni dell'universo. La fisica, nel percorrere questa strada, ha raccolto numerosi successi in una gara continua tra conferme sperimentali e analisi teoriche. Una delle quantità determinate con maggiore precisione e in cui l'accordo tra risultati sperimentali e teorici ha raggiunto livelli altissimi è il momento magnetico di due dei costituenti fondamentali della materia: l'elettrone e il muone. La fisica delle alte energie è il ramo di questa scienza in cui la tendenza riduzionistica si è manifestata con maggior vigore. Nello stesso tempo, da sempre la fisica si è cimentata nello studio di fenomeni nei quali, vuoi per la presenza di un grande numero di costituenti, vuoi per la complessità delle interazioni, un approccio riduzionistico non era praticabile. Tuttavia anche in questo caso, si sono formulate leggi «semplici» e si sono raggiunti risultati di altissima precisione: per esempio, nello studio della superconduttività e di fenomeni come l'effetto Hall, nonostante la notevole complessità dei sistemi e della loro dinamica, l'accuratezza dei risultati sperimentali e la loro comprensione a livello teorico ne offrono un'ampia conferma. Queste differenze di approccio si manifestano anche in altro modo. Nella ricerca degli elementi ultimi della materia, la fisica delle alte energie si è, almeno in apparenza, allontanata dalla «vita di tutti i giorni»: quark e gluoni sembrano non avere alcun ruolo nell'ambiente in cui viviamo. La fisica della materia condensata, invece, con le sue scoperte fondamentali, ha fornito strumenti che hanno riempito le nostre case e sembra riservare ulteriori sorprese in un futuro vicino. Comunque, il tema dei lavori non è stato l'unica «anomalia» del convegno di Dahab. Ad esso hanno partecipato fisici americani, egiziani, israeliani, italiani, giordani, marocchini e palestinesi. In un'area in cui le distanze non sono solo quelle geografiche, in cui la possibilità di studiare e di seguire le lezioni non dipende solo dalla disponibilità di docenti e di aule, avere sotto un unico tetto fisici di diverse bandiere può costituire o sembrare un'anomalia. In realtà la collaborazione scientifica rappresenta da sempre una strategia ben collaudata per superare differenze politiche o nazionali. I primi esempi che vengono alla mente di un fisico sono il Centro Internazionale di Fisica Teorica (Ictp) di Trieste ed il laboratorio del Cern di Ginevra. Nel primo, da più di trent'anni fisici di oltre 80 nazioni fanno ricerca ad altissimo livello in tutti i campi della fisica teorica. All'Ictp, fisici di nazioni ostili sul campo politico hanno lavorato insieme. Al Cern, fondato in un'Europa appena uscita dal più tremendo conflitto della storia, fisici di tutto il mondo collaborano attivamente da più di quarant'anni dando vita non soltanto a uno dei gioielli della ricerca ma a profondi e duraturi rapporti transnazionali. E proprio come i fisici nella loro disciplina superano confini geografici e politici, anche la fisica rifiuta inutili e arbitrarie divisioni e metodi di approccio. L'importanza del convegno di Dahab sta anche in questo tentativo di porre fisici delle due diverse tendenze a confronto: dallo scambio di tecniche e di metodologie tra fisici delle alte energie e fisici della materia condensata può sorgere una maggiore comprensione di quei fenomeni che ancora restano irrisolti o incompresi. L'augurio di tutti i partecipanti affinché incontri di questo genere possano ripetersi nell'immediato futuro, ci induce ad essere fiduciosi che tutte le barriere politiche e mentali potranno essere superate. E chiudiamo con una frase tratta dal messaggio inviato dal ministro della Ricerca, Salvini: «Cerchiamo di essere promotori di pace e di affrontare con modestia il nostro lavoro, restando consci che, come ha detto Claude Levi-Strauss, lo scienziato non può essere soltanto colui che dà risposte esatte: egli è soprattutto colui che si pone domande giuste». Alberto Devoto Università di Cagliari


IL PARTO E' il bambino a decidere: «Ora nasco»
Autore: BOZZI MARIA LUISA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, BIOLOGIA, LIBRI
NOMI: NATHANIELSZ PETER W.
ORGANIZZAZIONI: BOLLATI BORINGHIERI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «Un tempo per nascere»

FORSE non è un caso che Gesù Bambino sia venuto al mondo proprio la notte di Natale. Pare che il momento della nascita sia un appuntamento combinato con settimane di anticipo fra madre e figlio: lui decide il giorno e lei l'ora. E la donna tende a partorire di notte. Perché segue una memoria biologica che la accomuna a tutte le madri del mondo animale, le quali di preferenza pongono questo evento così delicato in un momento che garantisca loro sicurezza dai predatori. L'ipotesi, frutto di trent'anni di lavoro di diversi scienziati, è spiegata nei minimi particolari nel recentissimo «Un tempo per nascere» (Bollati Boringhieri) di Peter W. Nathanielsz, dove si fa la sintesi di quanto oggi è noto sul lungo viaggio che un figlio compie dal concepimento alla nascita. Il libro tratta soprattutto la parte finale del viaggio, gli ultimi tre mesi: così scopriamo che il bambino si esercita nei movimenti respiratori per sviluppare polmoni e muscoli, segue ritmi biologici scanditi dalle 24 ore, dorme e sogna, mette a punto la funzionalità di intestino, reni e organi di senso, e potenzia lo sviluppo del cervello. Finché quel rassicurante microcosmo nel quale passa i suoi primi nove mesi non è più in grado di mantenerlo. Ma nascere vuol dire instaurare una respirazione aerea, cambiare percorso alla circolazione sanguigna e riorganizzare il cervello. Un'impresa per la quale il corpo del feto deve essere maturo. Nascere troppo presto comporta rischi altissimi: negli Stati Uniti i neonati prematuri (10 per cento) sono in un caso su due a rischio di handicap permanente e costituiscono il 75 per cento delle morti nella prima infanzia. Sulla nascita prematura può influire la donna con il suo stile di vita, però è il bambino, sempre, a decidere quando nascere. Indipendentemente dalla volontà di sua madre e a dispetto dei conti di ginecologi e ostetriche. Del resto conosce la situazione meglio di qualsiasi altro. Alcune settimane prima della nascita il figlio comunica alla madre di essere pronto e la invita a predisporre le cose per farlo uscire. Il tutto avviene attraverso un fittissimo dialogo, utilizzando un canale chimico, sotto la direzione del cervello del feto. Il segnale di partenza è dato dall'ipotalamo (la parte basale del cervello) del feto: passato all'ipofisi, poi alle ghiandole surrenali, arriva alla fine attraverso il cordone ombelicale alla placenta, ordinando di cessare ogni azione atta a inibire le contrazioni della muscolatura uterina. Più in dettaglio, l'ipotalamo del feto invia l'ormone CRH all'ipofisi (quella piccola ghiandola situata nella parte inferiore del cervello che dirige tutta una serie di altre ghiandole del corpo) stimolandola a produrre una maggior quantità di ormone corticotropo (ACTH) diretto alle ghiandole surrenali. Sotto l'azione dell'ACTH, la corteccia surrenale cresce e inizia a secernere l'ormone cortisolo, che, trasportato attraverso il cordone ombelicale alla placenta, dà il via al processo destinato a preparare la muscolatura uterina all'espulsione del feto. Sotto l'azione del cortisolo, infatti, viene distrutto il progesterone, fino allora inibitore delle contrazioni della muscolatura uterina, trasformandolo in estrogeni, che invece le stimolano attraverso la sintesi di prostaglandine. Oltre a stimolare la muscolatura uterina, le prostaglandine bloccano la produzione di progesterone e agiscono sul collo dell'utero predisponendolo alla dilatazione. All'avvicinarsi della data fatidica la muscolatura dell'utero periodicamente subisce contrazioni simili a quelle del parto. Come alcune donne possono testimoniare (non tutte le avvertono) per molte notti le contrazioni si succedono per tempi via via più lunghi, finché determinano l'ingresso attivo della madre nel processo. A questo punto è lei che decide quando è pronta per il parto. Allora, stimolata per riflesso dalle contrazioni uterine, l'ipofisi materna risponde producendo l'ossitocina, che determina contrazioni uterine molto vigorose; così il collo dell'utero si dilata e, in un cortocircuito in cui ossitocina e contrazioni della muscolatura uterina si potenziano, avviene la nascita. Maria Luisa Bozzi


ARRIVEDERCI A tutti buone vacanze, con sorpresa
NOTE: Tuttoscienze scuola

CON questo numero di «Tuttoscienze» la pagina dedicata alla scuola va in vacanza, augurando ai suoi lettori un buon Natale e un felice 1996. Naturalmente ci rivedremo alla riapertura della scuola. E poiché il nuovo anno invita al cambiamento, abbiamo alcuni progetti in cantiere. La rubrica delle domande curiose, dopo quasi cinque anni, ha sviscerato tutti i temi possibili. La mettiamo quindi da parte, almeno per un po': ecco perché su questo numero non trovate nuove domande. A tutti gli amici che hanno alimentato la rubrica, grazie di cuore. Intanto stiamo pensando a un nuovo gioco, una palestra di allenamento per le Olimpiadi Matematiche. Con tanto di premi. Quanto alla collaborazione dei lettori, la riprenderemo sotto altre forme. Le sorprese non mancheranno.


LA PAROLA AI LETTORI Moto assoluto: già un'idea di Aristotele
LUOGHI: ITALIA

A proposito della domanda sulla possibilità di stabilire in assoluto se un corpo è fermo o in movimento, l'ingegner Roberto Colombo replica alle risposte di Gildo Castellini e Lucio Odicino: Il moto assoluto, nei confronti di qualcosa in quiete rispetto a tutto il resto, era un'idea di Aristotele e già Newton ne aveva dimostrato l'inconsistenza senza scomodare la teoria della relatività. Restava però che Roemer aveva misurato una velocità finita della luce, e Maxwell ne aveva ipotizzato una natura ondulatoria, sicché si suppose che le onde luminose (e quelle elettromagnetiche), si propagassero all'interno di una sostanza impercettibile e immobile detta etere, che riempiva tutto lo spazio, anche quel che oggi chiamiamo vuoto. Michelson e Morley dimostrarono poi che la velocità della luce, comunque misurata, era indipendente dal moto della sorgente, ed Einstein e Poincarè spiegarono che, a patto di rinunziare al concetto di tempo assoluto, si poteva tranquillamente fare a meno della stessa idea di etere. Un enunciato della teoria della relatività potrebbe essere che le leggi della fisica (e non soltanto quelle della meccanica), hanno la stessa validità per tutti gli osservatori in quiete o in movimento, quale che sia la loro velocità relativa. Il resto è un po' più complicato. Roberto L. Colombo Politecnico di Torino Si usa ancora oggi offrire un bicchier d'acqua a chi è stato colpito da forte emozione. E' un gesto di compartecipazio ne senza alcuna finalità, oppu re quel sorso d'acqua svolge la funzione di ristabilire, sia pu re in minima parte, un equili brio? Innanzitutto bisogna chiarire se si tratta di una semplice emozione oppure di un vero e proprio stato di shock, determinato a volte anche da una forte emozione. In caso di shock l'infortunato ha spesso sete, ma non si deve mai somministrare nulla per bocca: impedirebbe o ritarderebbe l'assunzione di un eventuale anestetico. Se proprio reclama acqua, umettargli solo le labbra, aspettando il medico. Se invece si tratta di una semplice emozione o spavento, il gesto di bere può essere d'aiuto per ritrovare la calma purché si beva a piccoli sorsi. Marzia Canetta Ivrea (To) Qual è la vera causa della neb bia? Si chiama nebbia in senso lato ogni dispersione di piccole goccioline di liquidi in aria. Ed è così anche in meteorologia: la nebbia è un ammasso di minute gocce d'acqua (con diametro che va da pochi micron a qualche centesimo di millimetro), che si forma per condensazione di vapore acqueo. Si forma quindi quando l'aria vicino al suolo raggiunge la saturazione del vapor d'acqua in essa contenuto. Le cause di formazione della nebbia sono varie: può essere la pioggia che, a contatto del terreno caldo, evapora aumentando l'umidità relativa dell'aria sovrastante, che può così raggiungere la saturazione. La nebbia da irraggiamento si forma invece in condizioni di alta pressione, per cui l'aria vicina al suolo si arricchisce di vapor d'acqua per evaporazione dal suolo o dalle acque sottostanti. O ancora può essere dovuta al raffreddamento di uno strato atmosferico presso il terreno. Gilberto Palmieri Torino Perché gli oggetti porosi ap paiono più scuri quando sono bagnati? Un materiale poroso è costituito da un corpo solido nel quale sono presenti delle zone vuote (pori) occupate, in condizioni di secchezza, da aria. Quando questo corpo viene bagnato, esso si viene a trovare «immerso» in una sostanza, l'acqua, più densa dell'aria: questo aumento di densità lo renderà più opaco, perché minore sarà la radiazione luminosa riflessa. Cristina Ladetto Saluggia (Vc)




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