TUTTOSCIENZE 30 agosto 95


IL NUOVO SISTEMA OPERATIVO Finestre sul mondo virtuale «Windows 95» tra tifosi entusiasti e nemici giurati
Autore: VALERIO GIOVANNI

ARGOMENTI: INFORMATICA, ELETTRONICA
NOMI: GATES BILL
ORGANIZZAZIONI: MICROSOFT, WINDOWS 95
LUOGHI: ITALIA

HABEMUS Windows 95! Finalmente, dopo tre fumate nere, guerre a colpi di pagine pubblicitarie con Ibm e Apple al contrattacco e un conto alla rovescia che sembrava non dovesse finire mai, dal 4 settembre anche in Italia arriva il nuovo sistema operativo della Microsoft. L'onda lunga di «Windows 95» è già partita il 24 agosto dagli Stati Uniti, sulle note di una vecchia canzone dei Rolling Stones, «Start me up», «Accendimi». Bill Gates, il boss della Microsoft, si è preparato a una sfida non tecnologica, ma di business, che si vince più con gli spot che con i bit. E non ha lasciato nulla al caso, allestendo una campagna pubblicitaria senza precedenti, con un budget complessivo di 400 milioni di dollari. Così, lo strombazzato «Win 95» è diventato un mito prima ancora di venire alla luce, quasi una terra promessa per gli 80 milioni di utenti Windows sparsi nel mondo. L'attesa ha generato un mare di curiosità, di bugie e di speranze. Ma il nuovo sistema operativo non è rimasto un oscuro oggetto del desiderio. Solo negli Stati Uniti sono usciti 70 volumi, 12 mila recensioni e un migliaio di articoli sui quotidiani nel mese di agosto. Tutti per spiegare vita, funzionamento e miracoli di «Windows 95». Tre sono le grandi innovazioni dell'ultima creatura di Bill Gates: facilità d'uso, velocità e multimedialità. Il sistema operativo traduce gli ordini dell'utente nel linguaggio della macchina. E con «Win 95» la traduzione diventa un gioco da ragazzi. E' il trionfo delle icone, cioè dei disegnini, dei simboli, delle cartelle che rappresentano file, programmi, configurazioni. Poi, in un mondo sempre più dominato dalla fretta, Microsoft offre doppia velocità, usando 32 bit invece dei soliti 16. Infine, da «Windows 95» saranno accessibili direttamente il nuovo servizio telematico Microsoft, e, ovviamente, Internet. Secondo i sogni di Bill Gates, il computer passa quindi da semplice terminale a mezzo di comunicazione. Ma cosa è cambiato davvero? L'ambiente grafico è più piacevole. E più semplice da usare. Con una sola icona, è possibile accedere ai drive (e a tutti i file contenuti), alle stampanti e alle periferiche, o ai collegamenti in rete. C'è (finalmente!) il cestino per cancellare i file, come da tempo su Macintosh. Per copiare, basta trascinare l'icona da una finestra all'altra. Scompaiono i vecchi «File Manager» e «Program Manager» di Windows, sostituiti da un unico, funzionale, «Gestione risorse». Il comando «Trova» è molto più potente del vecchio «Cerca». E non è solo un gioco di parole. «Trova» scandaglia il computer con la forza di una trivella e il fiuto di un segugio, alla ricerca di file con caratteristiche particolari, nomi o dimensioni, comprese parole o frasi al loro interno. E funziona anche su altri computer collegati in rete. Si possono poi dare nomi ai file usando 255 caratteri invece dei soliti 8. Ma queste sono sciocchezze, se paragonate al multitasking, prelazionale e protetto, la caratteristica che - dicono alla Microsoft - fa la differenza rispetto ad altri sistemi operativi. Ora potete scrivere un documento, elaborare una immagine o ascoltare un Cd, mentre il computer vi calcola il bilancio familiare dell'ultimo mese. Senza bloccarsi, come spesso succede ora, quando si usano più applicazioni contemporaneamente. «Windows 95» può infatti controllare simultaneamente più programmi (operazione detta multitasking), ripartendo una quota fissa delle memorie a ciascun programma in esecuzione (caratteristica prelazionale). Inoltre, è protetto, cioè impedisce che una applicazione difettosa danneggi le altre. E il computer non si blocca più. Il nuovo sistema operativo della Microsoft si vanta anche di essere «Plug and Play». E' un po' la parola d'ordine delle nuove tecnologie, che devono essere pronte da «connettere e usare», facili da installare come aggiungere un nuovo componente allo stereo di casa. E non «Plug and pray», come capita di solito. «Windows 95» può quindi installare modem, Cd-Rom o altre periferiche in modo automatico. Inserita la nuova scheda, si è pronti a lavorare, senza modificare il file CONFIG.SYS o caricare nuovi driver. Ma la spettacolarità del lancio non deve ingannare. Non siamo davanti a una rivoluzione copernicana dei sistemi operativi. Mac (Apple) e OS/2 (Ibm) fanno cose simili. L'aggiornamento '95 è la logica evoluzione di Windows: un compromesso tra il nuovo e la compatibilità con le applicazioni già esistenti. Intanto, tutti i grandi del software stanno aggiornando i loro programmi più importanti per farli girare anche su «Windows 95». Chi resta fuori (dal mercato) è perduto. Sarà proprio l'enorme disponibilità di programmi a convincere gli utenti a installare il nuovo sistema operativo. «Windows 95» (prezzo intorno a 190 mila lire più Iva per chi ha già la versione precedente, il doppio per gli altri) in teoria richiede come minimo un processore 386DX con 4 MByte di Ram, ma praticamente è indispensabile un 486 con il doppio di Ram. Per chi ha Macintosh, è necessaria la scheda di compatibilità Dos. Anche se il gioco non vale la candela, perché «Win 95» è molto simile al Mac, almeno dal punto di vista grafico. Le cartelle e le icone, diventate ormai gli elementi di un futuro esperanto dei sistemi operativi, risalgono già ai primi lavori della Xerox una ventina d'anni fa. E sono alla base del sistema operativo Macintosh ormai da un decennio. Infatti, i tifosi della Apple, scatenati anche su Internet, ripetono che «Windows 95 uguale Macintosh 84». E aspettano il «loro» Copland, il nuovo sistema operativo della Apple, annunciato per l'estate '96. Giovanni Valerio


CALCIO Matematica per smontare il campionato
Autore: ODIFREDDI PIERGIORGIO

ARGOMENTI: MATEMATICA
LUOGHI: ITALIA

CON l'inizio del campionato di calcio le vacanze finiscono ufficialmente, e gli italiani tornano alla loro (pre)occupazione principale: le esegesi delle partite passate, le previsioni su quelle future, e le recriminazioni su ciò che non è andato come avrebbe potuto o dovuto. Poiché fino alla prossima estate difficilmente l'attenzione del pubblico potrà essere distolta dagli stadi, vestiamo i panni del contrabbandiere e, per illustrare un teorema di teoria dei grafi spieghiamo perché un tifoso, alla fine del campionato, può dimostrare che la sua squadra del cuore è la vera vincitrice, a meno che essa sia stata surclassata dalle altre (in un senso che preciseremo fra poco). La base della dimostrazione è che se una squadra S1 ne batte un'altra S2, allora S1 si può considerare più forte sia di S2 che delle squadre che questa batte a sua volta. Analogamente, se S1 pareggia con S2 allora si può considerare almeno forte quanto questa. Naturalmente, se una squadra perde tutte le partite non può pretendere di essere considerata la più forte: essa viene infatti surclassata dalle altre. Analogamente, se una squadra vince o pareggia con un'altra, ma entrambe perdono tutte le partite con le rimanenti: in questo caso sono le due squadre insieme ad essere surclassate, come gruppo, dalle altre. Diciamo allora che un gruppo di squadre è surclassato dalle rimanenti se ciascuna squadra nel gruppo perde tutte le partite con le rimanenti squadre. Se una squadra appartiene a un gruppo surclassato, la decenza dovrebbe suggerire ai suoi tifosi un ripudio dei loro affetti sportivi. Mostriamo ora che se invece una squadra S1 non appartiene a un gruppo surclassato, essa può essere considerata la più forte del campionato (eventualmente a pari merito con altre). Poiché S1 non appartiene a un gruppo surclassato, essa non perde tutte le partite, ed esiste allora una squadra S2 tale che S1 o batte S2, o pareggia con essa: S1 si può dunque considerare almeno forte quanto S2. Poiché S1 non appartiene a un gruppo surclassato, S1 ed S2 non perdono tutte le partite contro le altre squadre, ed esiste allora una squadra S3 tale che almeno una fra S1 ed S2 vince o pareggia contro S3. Se è S1 a vincere o pareggiare contro S3, allora S1 è almeno forte quanto S3. Se invece è S2 a vincere o pareggiare contro S3, allora S2 è almeno forte quanto S3, e quindi tale è S1, che era già almeno forte quanto S2. L'argomento precedente si può ripetere fino a esaurire tutte le squadre del campionato, mostrando così che S1 è almeno forte quanto tutte le altre, e quindi è la vera vincitrice. Istighiamo, per amor di pace sportiva da un lato, e come antidoto per la paralisi mentale dall'altro, i tifosi a rivedere i risultati delle partite dello scorso campionato, e determinare quale gruppo di squadre sia stato surclassato dalle altre: di ciascuna delle rimanenti, si potrà dire che era almeno forte quanto tutte le altre. I tifosi storceranno il naso di fronte a quest'uso della matematica, sulla base dell'argomentazione che le regole del campionato sono diverse da quelle che abbiamo adottato noi. Ma era proprio questo che volevamo dimostrare: che il risultato del campionato è determinato non dalla forza delle squadre, ma dalle regole del gioco! Inoltre, gli stessi tifosi sembrano esaltarsi in maniera non minore in occasione delle Coppe europee o mondiali basate sull'eliminazione diretta, che usano appunto il metodo di paragone delle squadre da noi adottato. E il ragionamento precedente mostra che il risultato di queste Coppe è determinato quasi unicamente dal sorteggio, nel senso che con opportuni sorteggi qualunque squadra non surclassabile può vincere (il che spiega le sorprese che le Coppe a volte riservano ai tifosi). La scoperta di una tale arbitrarietà dovrebbe essere sufficiente, in presenza di un barlume di razionalità, a far cessare sia gli omicidi all'arma bianca presso gli stadi sia le martellanti meditazioni dei giornali sportivi. Ma, ovviamente, sarebbe ingenuo sperarlo. Piergiorgio Odifreddi Università di Torino


Nei bit, uova di Pasqua Vi sveliamo le sorprese informatiche
Autore: G_V

ARGOMENTI: INFORMATICA, ELETTRONICA
ORGANIZZAZIONI: MICROSOFT, WINDOWS 95
LUOGHI: ITALIA

ACCENDETE il computer e fate partire «Windows» vecchia versione. Premete insieme il tasto delle maiuscole e Ctrl. Senza rilasciarli, con la freccina del mouse selezionate l'help («?») e poi Inform. su Program Manager. Si apre la finestra delle informazioni. Date un doppio click su uno dei quattro colori della bandierina di Windows. Confermate l'ok e tornate sullo schermo iniziale. Mantenendo sempre maiuscole e Ctrl premuti, ripetete le identiche operazioni con il doppio click sullo stesso colore della bandiera. Sorpresa: sullo schermo compaiono una bandierina svolazzante e una dedica. Questa non è che una delle tante «uova di Pasqua» informatiche, cioè determinate sequenze di tasti che vi svelano schermi nascosti noti solo a quei mattacchioni dei programmatori. Quelli della Microsoft si sono ritagliati anche il loro quarto d'ora di celebrità. Ecco come. Ripetete la sequenza di prima per tre volte consecutive e sullo schermo vi compariranno, come per magia, i titoli di coda di «Windows». Presentati da un orsetto in abito da sera, sfilano tutti i nomi dei programmatori, da chi ha ideato la grafica a chi ha collaudato le prime versioni. Ma non è finita. Se riprovate a farlo, invece dell'orso potrebbe esserci un uomo con barba e cravattino, oppure un giovane occhialuto (Bill Gates, boss della Microsoft?). Il software applicativo è zeppo di uova di Pasqua. E, come tutte le uova di Pasqua che si rispettino, anche quelle informatiche contengono diverse sorprese. Di solito sono schermate innocenti, che fanno sfilare i nomi dei programmatori. Ma ci sono pure intere sequenze che mostrano un marchio per annientare gli avversari. C'è anche in Windows, e la combinazione è un po' più complicata della precedente. Fate partire «Word per Windows» (versione 2.0), il programma di scrittura della Microsoft. Selezionate, tra gli «strumenti», l'opzione «Macro» e costruite una macro (cioè una specie di comando ridotto) interamente vuota. La chiamerete «Spiff», che significa «carino» e si usa per quei programmi che hanno un'interfaccia particolarmente azzeccata. Ora selezionate l'help («?» ) e poi «Informazioni su...». Date un click sul simbolo di Winword e lo vedrete sconfiggere un demone minaccioso, nell'acclamazione generale di sei piccoli omini. Alla fine, tra il bagliore dei fuochi artificiali, scorrono sullo schermo i nomi dei programmatori. L'ideatore di «Doom 2», il violento «adventure» spara-ammazza-e-fuggi, si è ritagliato addirittura una schermata nascosta, alla fine del gioco. Davanti al faccione del mostro, scrivete «Idclip» e oltre la parete si aprirà una stanza segreta con il vero volto del programmatore. Le sequenze di tasti top-secret sono nate proprio con i videogiochi, zeppi di trucchi per barare. Eccone uno per vincere sempre a «Doom». Appena comincia il gioco, scrivete le lettere «Iddqd». Ora potete muovervi tranquillamente nel labirinto infernale. Siete diventati immortali.[g. v.]


SCIENZA & FILOSOFIA I limiti del vero Che cosa rimarrà di Popper
Autore: REGGE TULLIO

ARGOMENTI: EPISTEMOLOGIA
NOMI: POPPER KARL, VARGAS LLOSA MARIO
LUOGHI: ITALIA

KARL Popper è scomparso da poco lasciando contributi di alto livello sia per la storia e la politica sia per la filosofia della scienza. Conservo un articolo dello scrittore Vargas Llosa apparso sul Mer curio, il più diffuso giornale cileno, il 19 ottobre 1994. Llosa osanna Popper come «scienziato e pensatore... difensore della libertà su tutti i fronti» e continua lamentandosi per gli attacchi subiti dal filosofo da parte della sinistra totalitaria, del cristianesimo intransigente e dei conservatori. Peccato che, con poca coerenza, abbia scritto queste cose sul Mercurio, un giornale che ha sempre sostenuto il generale Pinochet, il dittatore delle sanguinose repressioni e delle fosse comuni da lui apprezzate perché «fatte in economia». Lasciamo la politica e torniamo alla scienza. La «Logica della scoperta scientifica» (recentemente ripresentata dall'editore Einaudi nella traduzione di Trinchero e con prefazione di Giorello) contiene la sua visione della scienza. La parte più interessante è quella introduttiva, dove Popper presenta il concetto di «falsificazione» di una teoria, concetto che lo ha reso celebre. Popper è molto critico verso i positivisti che, a suo dire, attaccano la metafisica con invettive senza costrutto e non si rendono conto di cosa sia veramente la scienza. Ma anche gli altri filosofi sono accusati di aver «fatto una virtù del parlar con se stessi, forse perché erano convinti che non ci fosse nessuno con cui parlare». Per Popper non esiste il «metodo scientifico» nè esiste un principio di induzione che partendo dai dati empirici conduca senza ambiguità a una teoria e ne determini la verità. Per Popper il principio di induzione è o superfluo o una chimera. I dati empirici conducono invece a un insieme di teorie spesso in contrasto tra loro e la costruzione di queste teorie somiglia alla creazione di un'opera d'arte e non può essere ricondotta all'applicazione di regole ben definite. Da una teoria si ricavano predizioni sperimentali specifiche che possono invalidarla (falsificarla). Rimane alla fine quella teoria che è sopravvissuta al tiro a segno. Popper vede il procedere della scienza come una lotta darwiniana in cui alla fine rimane «The fittest», il più adatto. Nelle scienze empiriche non esiste quindi la «verifica» della teoria bensì la «falsificazione», non possiamo verificare la legge di Newton perché questo implicherebbe un controllo della sua validità su tutto il suo dominio di applicazione e questo richiede una infinità di controlli. La legge di Newton può essere invece falsificata, e infatti lo fu quando si osservarono le lievi modificazioni introdotte nella teoria newtoniana dagli effetti relativistici. Tutte le speculazioni filosofiche tentano di inquadrare in pochi principi fenomeni vastissimi che raramente si prestano ad analisi di alta generalità e Popper non fa eccezione, le parti finali del suo libro perdono interesse e in particolare le sue critiche al principio di indeterminazione di Heisenberg sono state superate da sviluppi successivi. Ci sono ipotesi nell'ambito scientifico che possono essere solamente verificate e non falsificate. Ad esempio la fusione fredda sarebbe stata verificata se Fleischmann e Pons avessero avuto successo ma non è possibile eseguire alcun esperimento che la falsifichi. Discorsi simili valgono per l'ipotesi della vita extraterrestre. Infine, il concetto di falsificabilità deve essere riveduto per la matematica. Nonostante questi contributi Popper non può essere considerato uno scienziato, come sostiene ingenuamente Llosa; il suo messaggio non è diretto al mondo scientifico ma piuttosto ai colleghi filosofi. Di grande utilità e importanza dialettica è il principio di demarcazione: per Popper una asserzione è scientifica se e solamente se è in linea di principio falsificabile; se non lo è l'asserzione appartiene alla metafisica. Ad esempio il principio antropico è pura metafisica in quanto non può essere falsificato: infatti se non valesse noi non esisteremmo. La non falsificabilità è la regola in tutte le manifestazioni del paranormale. L'applicazione sistematica del criterio popperiano ripulisce il dialogo dalle scorie e pone la scienza al sicuro dalle irruzioni del paranormale. Popper prosegue con un tentativo di costruzione della «Teoria delle teorie» (metateoria) e con una serie di critiche sia al concetto corrente di probabilità sia alla meccanica dei quanti. Nessuna di queste disquisizioni mi ha convinto; volendo essere generoso, posso dire che mi hanno annoiato. La costruzione di una metateoria riproporrebbe sotto mentite spoglie quel principio di induzione aborrito dallo stesso Popper. Grazie a Popper la parola «falsificare» è oggi di moda, sia pure con un significato molto diverso da quello ordinario, con una connotazione negativa. Rendiamoci conto, tuttavia, che falsificare una teoria non vuol dire necessariamente distruggerla, ma più semplicemente eseguire una potatura che la rinvigorisce. La falsificazione della gravitazione universale ha condotto alla creazione della relatività generale, di portata ben più ampia, che contiene nel suo interno come approssimazione valida nella maggioranza dei casi la teoria di Newton. Ho incontrato personalmente Popper una sola volta in occasione di un congresso dedicato alla cultura scientifica svoltosi a Lugano alcuni anni or sono ed ho conversato con lui durante un volo aereo Milano-Napoli. Popper era un ometto gentile e cordiale che amava moltissimo il cioccolato e detestava il fumo: divorò quindi senza sforzo una corposa barra di cioccolato durante l'attesa nell'aeroporto ma si innervosì quando il personale di bordo cominciò a fumare senza ritegno e, credo, in barba al regolamento. Per evitare una scenata dissi agli incalliti fumatori che Popper, poveretto, soffriva di una grave forma d'asma e poteva morire da un momento all'altro se inalava fumo; in questo modo riuscii a farli smettere. A complicare le cose giunse uno sciopero improvviso del personale di terra che costrinse l'aereo a una lunga attesa in volo. Durante il viaggio mi raccontò l'avventurosa fuga del Nobel austriaco Schroedinger da Vienna in Italia al tempo dell'Anschluss hitleriano. Schroedinger era un oppositore del nazismo e correva gravi pericoli a rimanere in patria; fuggito in Italia, dove nessuno sapeva chi fosse ad eccezione di pochissimi fisici, riuscì infine a contattare il premier irlandese De Valera, a entrare in Svizzera e a rifugiarsi a Dublino. Fortunatamente, o forse volutamente, non toccammo argomenti di filosofia. Tullio Regge Isi, Istituto Interscambio Scientifico


INTERNET Il virtuale rientra nel normale
Autore: MERCIAI SILVIO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI
ORGANIZZAZIONI: INTERNET
LUOGHI: ITALIA

LE sei del pomeriggio di un venerdì, a San Francisco, all'Icon Byte Bar & Grill, al 299 della 9^ Strada: probabilmente il primo Cybercafè della storia di Internet. Qualcuno mangia l'immancabile hamburger e beve Coca-Cola; ragazzi negri chiacchierano e ridono. Fuori il traffico della Folsom, a Sud della Market, si è assopito, dopo aver vomitato migliaia di macchine sulla 101, un'autostrada che porta verso la Silicon Valley. Nel bar c'è un solo computer, un Macintosh, collegato alla rete, desolatamente abbandonato. Non è che l'ennesima conferma di un dato totalmente evidente di questo mio viaggio negli Stati Uniti: qui Internet è ormai un fatto talmente diffuso e ovvio che praticamente non se ne parla. L'anno scorso, a New York, entrato in un negozio di informatica, ero stato accolto da una quantità di sollecitazioni: soft ware, libri, riviste, offerte di lancio. Internet era la moda... Quest'anno, in California (dove Internet - e non solo Internet - è in qualche modo nata), in edicola fatico a trovare un magazine su Internet. La rete non fa più notizia. La si usa (io stesso, per questo mio viaggio, me ne sono servito per prenotare la macchina e l'albergo o per documentarmi sull'itinerario con gli indirizzi che vi avevo indicato), la si pratica, la si discute: ma non fa più notizia. Del resto, avete mai visto dal giornalaio un magazine che parli del telefono o delle meravigliose possibilità che lo strumento offre o delle persone a cui telefonare (con relativo numero di telefono!)? Ovviamente no, e Internet negli Usa (e in Canada, l'impressione nella British Columbia appare identica) è ormai entrata nella mentalità e nella cultura come un dato di fatto. Quello che mi sembra di capire è che Internet non è certo un gioco o un fatto per dilettanti alla ricerca di brividi o emozioni: la rete viene usata - fin dall'inizio e sempre più - per ragioni molto serie (la comunicazione e il dibattito scientifico) o strettamente commerciali (le imprese, piccole e grandi, tutte, cercano di avere un site sul WWW e Net scape è diventato un grande successo di mercato). A lato di questo sopravvive e si è intensificato il senso della rete come risposta ai grandi problemi di isolamento e ai conseguenti bisogni di comunicazione della società americana e di quella canadese: distanze per noi inimmaginabili separano piccole comunità e piccoli paesi, specialmente qui all'Ovest, dove Internet - dopo il telefono e meglio della televisione - finisce con l'essere l'unico vero strumento di comunicazione: così si spiega per esempio il successo estremo di aspetti di Internet che da noi faticano a trovare spazi di consenso, come i programmi di chat, o il telefono sulla rete o le videoconferenze. Il dibattito su Internet, qui, non è se usarla o no, se scoprirla o no, se diffonderla o no: ma semmai su come amministrarla (censure, limitazioni, controlli o totale ed anarchica libertà?) e su come pagarla (la paga chi la usa e nella proporzione in cui la usa, secondo la piatta legge del mercato, o è un servizio sociale, come il telefono, che deve quindi essere al minimo livello garantito a tutti attraverso l'uso di tariffe particolari per le fasce svantaggiate?). Esco dall'Icon Byte Bar & Grill e, di nuovo in giro, ripenso a questa storia del virtuale e del reale. Qui, credo, non ci sono dubbi che Internet sia un fatto assolutamente reale. Una lettrice mi ha mandato (grazie, Maria) una citazione classica: «Non è necessario vivere. Navigare è necessario!» e mi ha scritto «Che ne dici? E' così?». Non so. Ma paradossalmente, qui, in giro per gli Stati Uniti come in giro per la rete, mi torna in mente il mito di Odisseo, il suo lungo viaggio da Nausicaa ai Proci e la perenne ansia di ricerca e conoscenza che, se abbiamo abbastanza coraggio, parla dentro di noi. Silvio A. Merciai


ASTRONAUTICA Le cavie dello spazio Poliakhov, 14 mesi in orbita
Autore: LO CAMPO ANTONIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
NOMI: POLIAKHOV VALERJI, KONDAKOVA ELENA, VIKTORENKO ALEXANDRE, RIUMIN VALERJI
LUOGHI: ITALIA

RICORDATE l'epoca in cui i primi uomini di ritorno dalla Luna venivano rinchiusi in quarantena? I tempi sono cambiati. Per i cosmonauti russi reduci da lunghe permanenze sulla stazione orbitante «Mir», non esistono rischi di contrarre eventuali batteri extraterrestri, e neanche di contagiarci. Piuttosto il pericolo è di subire gravi deterioramenti a ossa e muscoli a causa dell'assenza di peso e di insufficienti movimenti nel corso di lunghe missioni. Nel programma di riabilitazione fisica dei cosmonauti russi, da alcuni anni è compreso un periodo di 2-3 settimane in Italia: alle Terme Euganee di Abano (Padova), si è appena ritemprato il penultimo equipaggio, rientrato dalla Mir il 22 marzo. Sono gli attuali primatisti del cosmo: il medico-cosmonauta Valerji Poliakhov, 53 anni, rimasto per 14 mesi in orbita, e Elena Kondakova, che detiene il record femminile, con quasi 6 mesi sulla Mir. Presenti anche Alexandre Viktorenko, che pilotò la «Soyuz» per riportare a terra i record-men, e Valerji Riumin, marito della Kondakova, ex cosmonauta e oggi vicecostruttore generale di Npo Energhjia e direttore dei voli Shuttle-Mir. Riumin aveva preso parte agli addestramenti per la navetta russa «Buran». «Il progetto è stato cancellato - spiega l'ex cosmonauta - sia per mancanza di fondi sia per la sua inutilità. Per i nostri progetti uno shuttle non serve, costa solo un mucchio di soldi. In futuro, se sarà necessario potremo riutilizzarlo, ma per adesso è importante avere razzi potenti e affidabili». Come il grande «Energhjia»? «Anche. Però in questo caso un lancio e le manutenzioni costano molto - dice Riumin - e quindi abbiamo ridotto la potenzialità dell'Energhjia dalle 100 tonnellate in orbita bassa come nel progetto originario, a 35-40 tonnellate di carico». Nel corso della missione, una radio russa aveva parlato di una presunta «relazione» tra la Kondakova e Poliakhov. L'illazione era basata su una domanda riguardante la possibilità di accoppiamento nello spazio e mai confermata. «Niente di ciò che è stato raccontato da certi organi di informazione corrisponde a realtà», dice Poliakhov. «Per fare l'amore bisogna restare a terra e non andare in orbita - aggiunge la Kondakova - e comunque se in futuro ci saranno missioni di lunghissima durata si pensa di inviare coppie sposate, non coppie di colleghi di lavoro». Chiediamo ad Elena se ricorda l'impresa di Valentina Tereskhova. «Sì, ero bambina e il suo volo mi colpì: dimostrava che anche una donna poteva svolgere un ottimo lavoro su una capsula spaziale. All'epoca c'era un certo scetticismo in materia. Sono cresciuta a Kaliningrad, e dopo l'Università, quando ho fiutato la possibilità di entrare nel gruppo dei cosmonauti ci ho provato ed è andata bene. Anche perché vi erano pochissime donne in addestramento». «Quando si farà il volo su Marte sarò troppo vecchio per andarci - dice invece Poliakhov, primatista assoluto con 14 mesi in orbita -, resterà comunque la soddisfazione di avere contribuito, con le nostre ricerche mediche, a questa futura grande impresa. Noi vogliamo tentare tra non molto una permanenza orbitale di 18 mesi, un tempo vicino ai due anni per la missione a Marte». Però quando si rientra a Terra sono dolori. «All'inizio è terribile - dice Valerji -, già quando si rientra nell'atmosfera senti i primi effetti di una grande pesantezza del corpo e i movimenti sono difficili. Nei primi giorni testa, mani e gambe pesano quanto un macigno. Poi si torna gradualmente alla normalità: dopo 4 giorni tutto si alleggerisce. Cominci a camminare, non hai più il forte mal di testa, non hai più vertigini quando chiudi gli occhi, e se sei particolarmente in forma puoi già iniziare a correre». Lassù com'era la vita? Monotona? «Mica tanto. Con il lavoro scientifico da svolgere e la ginnastica per tenerci in forma le giornate passavano in fretta. Ci si svegliava e poi via alla ginnastica sulla cyclette. Dall'una alle due c'era il pranzo, e poi si riprendeva il lavoro. Naturalmente anche per noi c'erano i giorni festivi, stabiliti da Mosca». Antonio Lo Campo


SENSI & MECCANISMI CEREBRALI Così potete vedere due Lune Una illusione ottica che deve farci riflettere
Autore: MANZELLI PAOLO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

LA fisica ci ha abituati a considerare oggettivo ciò che vediamo. Nei libri di fisica troviamo spesso la figurina di un occhio che osserva immobile gli esperimenti. La situazione percettiva cambia se invece di un occhio ne usiamo due. Un semplice esperimento riportato in «Sky and Telescope» nel maggio 1985 sta suscitando oggi un ampio dibattito sul modello riduttivo della percezione che è alla base della visione del mondo nella fisica. Se utilizziamo un tubo per osservare la luna tenendo chiuso l'altro occhio, eliminato lo sfondo, notiamo quanto piccola appaia la Luna. Dopo apriamo l'altro occhio. L'occhio che non ha davanti il tubo vede una luna molto più grande, e si fa una strana esperienza: quella di vedere contemporaneamente due lune di differente grandezza. Questa osservazione è possibile ripeterla appoggiando al tubo, indifferentemente, l'uno o l'altro occhio. Dallo stupore iniziale, provocato da questa semplice osservazione, si passa poi alla riflessione, che solleva seri dubbi sui limiti delle modalità di percezione a cui tradizionalmente fa riferimento la fisica. Infatti non è l'occhio a vedere, ma il cervello. Sappiamo anche, dagli studi sulla scissione del corpo calloso effettuati da Roger Sperry e collaboratori, che nel cervello i due emisferi cerebrali elaborano immagini indipendentemente. I processi di integrazione fra i due emisferi avvengono successivamente e permettono una sincronizzazione spazio-temporale della elaborazione cerebrale di segnali che rende possibile una visione unica dalla percezione bioculare. Se per l'applicazione del tubo a un occhio viene a mancare lo sfondo, il processo di sincronizzazione, spazio- temporale delle immagini realizzate dai due emisferi cerebrali risulta impossibile e l'illusione ottica di una Luna a due dimensioni ci lascia davvero sorpresi. La visione del mondo acquisita dai modelli scientifici entra in crisi tutte le volte che la separazione «cartesiana» tra soggetto e oggetto della osservazione presenta i suoi limiti concettuali, come ben sappiamo dai paradossi della «meccanica quantistica». Fin dai tempi in cui ancora si riteneva che il Sole girasse attorno alla Terra, semplicemente perché appariva così, ogni qual volta il cervello non si può più considerare una «scatola nera» che riproduce le immagini così come ci appaiono, sorge una profonda questione problematica nella scienza. Per tale ragione l'istituto Eco-Crea ha da tempo aperto un ampio dibattito nell'ambito dei programmi sul «Decennio del Cervello 1990- 2000» sulla costruzione di un nuovo paradigma della scienza che includa il cervello come elaboratore di informazione. Paolo Manzelli Università di Firenze


SCIMMIE EUROPEE Bertuccia, che birba Un'innata confidenza con l'uomo
Autore: BENEDETTI GIUSTO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ETOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA

E' nostra abitudine considerare le scimmie come tipici abitatori di Paesi lontani e associarle a lussureggianti foreste, frutti tropicali, temperature torride. Chi la pensa così, tutto sommato non ha torto: la maggior parte dei Primati attualmente esistenti (uomo escluso) è concentrata in una fascia geografica compresa fra il Tropico del Cancro e il Tropico del Capricorno; ma, come sempre, esistono le eccezioni, che nel nostro caso sono due: il Macaco giapponese (Macaca fuscata) e la Bertuccia (Macaca sylvana). La bertuccia, in particolare, è l'unica specie di scimmia che viva nel continente europeo, sia pure in una zona estremamente limitata: lo scoglio di Gibilterra. Come sia arrivata lì, nessuno lo sa: una leggenda berbera vuole che Gibilterra sia collegata al Nord Africa da un tunnel sottomarino di cui solo le bertucce conoscerebbero l'esistenza, ma una ragionevole perplessità di fronte a quest'ipotesi mi pare doverosa. Mancando evidenze fossili di una loro preesistenza nella zona (non dimentichiamo comunque che i primati presero origine, più o meno 60 milioni di anni fa, proprio in Europa), appare più probabile che vi siano giunte a seguito dei Fenici, dei Cartaginesi o addirittura delle legioni romane di ritorno dalle campagne d'Africa. Fin dall'antichità, infatti, la bertuccia ebbe una grande popolarità come animale da compagnia e da spettacolo: merito della sua vivacità, della facilità con cui apprende giochi ed esercizi, della sua innata confidenza con l'uomo, e soprattutto del fatto di non avere praticamente coda. Che c'entra la coda, direte voi: c'entra, perché la mancanza di tale ingombrante appendice consentiva ai girovaghi e ai saltimbanchi di vestire agevolmente animali con i calzoni, facendone quella caricatura dell'uomo che da sempre le scimmie hanno impersonato nel mondo dello spettacolo. Tornando alle nostre amate bertucce, l'unico dato storico attendibile circa la loro presenza a Gibilterra risale al 711 d.C.: sappiamo per certo che erano già lì quando le armate di Tariq ibn Ziyad il Conquistatore sbarcarono sullo scoglio per invadere l'Europa. E le bertucce erano ancora lì mille anni più tardi quando, nel 1704, l'ammiraglio Rooke conquistò Gibilterra a maggior gloria dell'Impero Britannico. Non si sa bene perché, ma negli anni successivi iniziò a diffondersi la credenza scaramantica che, finché le bertucce fossero rimaste a Gibilterra, ci sarebbero rimasti anche gli inglesi. La cosa venne presa molto sul serio: nel 1856, il Governatore di Gibilterra promulgò un editto che metteva sotto protezione le circa 130 scimmie che popolavano la zona; e quando alcuni anni più tardi scoppiò un'epidemia che lasciò in vita soltanto tre esemplari, fu organizzata in tutta fretta una spedizione in Marocco per catturare bertucce selvatiche e rinfoltire la colonia. L'opera di ripopolamento ebbe fin troppo successo: nel giro di pochi anni, l'intero promontorio di Gibilterra pullulava di bertucce che scorrazzavano per le strade, entravano per le case e combinavano guai di ogni sorta. Ma gli abitanti di Gibilterra erano tolleranti: la proverbiale flemma inglese e l'ancor più proverbiale attaccamento alle tradizioni facevano sopportare le molestie delle scimmie. Ma c'è una cosa che per gli inglesi è ancora più sacra (o almeno lo era in epoca vittoriana): il rispetto per la Corona e per i suoi rappresentanti. E così quando, durante una cerimonia ufficiale, una bertuccia rubò la feluca del Governatore, se la mise in capo e iniziò a scimmiottare il medesimo dal tetto di una casa, la misura raggiunse il colmo: le bertucce vennero bandite dalla città e ci fu chi ne chiese addirittura la totale eliminazione. Si andò avanti a discutere per parecchi anni, si crearono schieramenti contrapposti, ci furono addirittura interrogazioni parlamentari. Alla fine si stabilì di ridurre il numero di bertucce a soli 40 esemplari, regolarmente inquadrati nell'esercito di Sua Maestà. Le bertucce prescelte vennero iscritte nei registri del Ministero della Difesa e venne nominato un ufficiale addetto al loro mantenimento, per il quale venne assegnata una diaria di 4 penny a ciascun animale. E siamo giunti alla seconda guerra mondiale: nel '42, quando le cose non andavano particolarmente bene per gli Alleati, anche il numero di bertucce a Gibilterra si era paurosamente assottigliato. Se fossero sparite del tutto, sarebbe stato un duro colpo per il morale delle truppe inglesi e Churchill in persona inviò al generale Auchinlek, comandante delle operazioni in Nord Africa, un perentorio telegramma in cui ordinava di catturare immediatamente bertucce per Gibilterra. L'ordine fu eseguito e... sappiamo tutti come è finita la guerra. Oggi, a Gibilterra vivono due distinti gruppi di bertucce: un gruppo selvatico che abita le zone rocciose più inaccessibili e un gruppo «per turisti» che staziona prevalentemente lungo la Queen's Road. Quest'ultimo è costituito da animali abbastanza pacifici, che si limitano al più a cercare cibo nelle tasche dei passanti o a compiere innocenti scippi: ombrelli, borsette e macchine fotografiche. Tutti oggetti che vengono minuziosamente ispezionati, smontati e condotti alla totale distruzione. Un modico prezzo, in fondo, per la sicurezza dell'Impero Britannico. Giusto Benedetti


SCAFFALE Pollack Robert: «I segni della vita», Bollati Boringhieri
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: GENETICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

CHI vuole capire la rivoluzione della genetica molecolare, deve leggere «I segni della vita» di Robert Pollack, un biologo che ha avuto la sorte di collaborare per anni con uno degli scopritori della struttura a doppia elica della molecola di Dna (James Wat son) e che si è conquistato uno spazio nella divulgazione di alto livello con una scrittura agile ed elegante. La sua metafora non è nuova: il patrimonio genetico come una biblioteca nei cui libri è scritto il progetto della nostra vita, tre miliardi di caratteri, pari a seimila libri. Ma Pollack non si ferma a questo primo paragone, lo sviluppa in tutte le sue conseguenze didattiche. Riesce così a spiegare con grande chiarezza i processi di copiatura del Dna, la struttura dei cromosomi e dei geni, le conseguenze degli «errori di stampa», le prospettive della manipolazione transgenica, fino a far risaltare la potenza del nuovo paradigma scientifico sorto quarant'anni fa con la genetica molecolare. Sorprendenti sono le informazioni che Pollack riesce a portare alla percezione del lettore comune. Prendiamo gli ordini di grandezza. Invece di parlarci di micron, Pollack ci spiega che, ingrandite un milione di volte, le «lettere» del Dna avrebbero le stesse dimensioni dei caratteri di un libro, ma con la differenza che si tratta di «lettere» tridimensionali, quindi paragonabili con più precisione ai caratteri in Braille usati per i ciechi. Altro dato d'effetto: il Dna di una nostra cellula, se srotolato, è lungo un metro; ma poiché è un milione di volte più lungo che largo, i patrimoni genetici di tutti i sei miliardi di uomini viventi potrebbero stare in un cavetto telefonico. Così, suscitando sensata meraviglia, Pollack ci accompagna per i sentieri di una scienza che sarebbe altrimenti così ostile da restar confinata ai suoi specifici cultori.


SCAFFALE Ceruti Mauro: «Evoluzione senza fondamenti», Laterza
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: BIOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Con la scienza moderna il concetto di evoluzione, e quindi, in senso lato, di «storia», è entrato in molte discipline: ha incominciato Darwin a introdurlo nella biologia, poi è toccato alla geofisica (con la tettonica a zolle), alla cosmologia (con il Big Bang) e alla stessa fisica atomica, in quanto gli atomi più pesanti si formano solo nelle stelle. In quattro brevi saggi Mauro Ceruti (Università di Palermo) svolge questo discorso, con particolare attenzione alla biologia e alla cosmologia. Ma evoluzione non comporta nè fondamenti nè finalismo. Contro certe tendenze neoantropocentriche Ceruti ricorda come le più recenti cosmologie presuppongano una pluralità di universi balzati fuori dal nulla di una fluttuazione quantistica.


SCAFFALE Autori vari: «Oltre il multimedia», Franco Angeli
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ELETTRONICA, INFORMATICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Nel mondo i lettori di Cd-Rom sono già 25 milioni e i nuovi computer nascono ormai con il lettore incorporato. Il Cd-Rom, d'altra parte, non è soltanto una memoria ottica di grande capacità, che può contenere il testo di centinaia di libri, ma è di per sè un nuovo strumento di comunicazione multimediale. La possibilità di avere insieme testo, suoni e immagini fa del Cd-Rom un potente strumento didattico. Il suo successo però dipende da come gli autori impareranno a «scriverlo» e gli utenti a «leggerlo». Questo libro curato da Patrizia Ghislandi mette insieme contributi di 29 esperti di vari Paesi, indicando come il nuovo mezzo di comunicazione possa dare il meglio di sè in campo pedagogico.


SCAFFALE Autori vari: «Dizionario dell'ambiente», Isedi
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ECOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Dalla A di «Abbattimento degli inquinanti» alla Z di «Zootecnia», il più completo dizionario dell'ambiente in 300 voci scritte da un centinaio di specialisti. Un'amplissima bibliografia e l'indice analitico, che mette in evidenza altre innumerevoli voci trattate all'interno dei lemmi principali, completano il volume. A cura di Giuseppe Gamba e Giuliano Martignetti. Piero Bianucci


RISCHIO AMBIENTALE Mururoa, una sfida alle forze geologiche Nuove esplosioni nucleari potrebbero far franare l'isola
Autore: TIBALDI ALESSANDRO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, GEOGRAFIA E GEOFISICA, ESPLOSIONI, NUCLEARI, AMBIENTE
NOMI: VINCENT PIERRE
LUOGHI: ITALIA

L'atollo corallino di Mururoa, dove i francesi effettuano esplosioni nucleari sotterranee dal 1975, è la punta di un vulcano estinto che si estende sotto il livello del mare fino a una profondità di tremila metri. Il lento sprofondamento del vulcano, al ritmo di un millimetro all'anno, ha permesso la graduale crescita dei coralli nella zona di acque poco profonde, mentre la cima emersa del vulcano veniva erosa. Sotto l'atollo, e quindi all'interno del vulcano, sono state prodotte 138 esplosioni nucleari a una profondità compresa tra 500 e 110 metri, creando in pratica 138 serbatoi di scorie radioattive. La domanda che ci si pone è se questo gigantesco deposito di materiali radioattivi, uno dei più grandi del mondo, sia realmente privo di scambi con l'ambiente esterno. Le autorità francesi hanno sempre sostenuto che il sito è sicuro e privo di scambi sia con l'atmosfera che con l'acqua del mare. Queste affermazioni sono principalmente basate sulle misurazioni del livello di radioattività effettuate negli ultimi vent'anni a Mururoa. I risultati indicano dei livelli molto bassi, ma il problema piuttosto risiede nella reale possibilità che questi livelli si mantengano anche in futuro. Numerosi geologi, tra cui il professore emerito Pierre Vincent, esponente del Centro di Ricerche Vulcanologiche di Francia, stanno cercando di porre all'attenzione del presidente Chirac lo scenario possibile di crollo del vulcano Mururoa in caso di un'altra forte esplosione nucleare. Il franamento del vulcano porterebbe la zona interna radioattiva in contatto con l'acqua e quindi «aprirebbe» il sistema. La comunità scientifica è arrivata solo di recente all'individuazione di questo scenario, alla luce di scoperte degli ultimi anni non conosciute, quindi, ai tempi dell'individuazione di Mururoa come sito adatto agli esperimenti nucleari. Le numerose ricerche scientifiche svolte sui vulcani di tutto il mondo hanno infatti dimostrato che questi edifici possono subire frane di grandi dimensioni. La fratturazione e l'alterazione della roccia, e la forte pendenza dei fianchi di un vulcano sono tutti fattori che contribuiscono alla sua instabilità. Il vulcano Mururoa possiede numerose fratture dovute alla passata attività geologica propria, ed una quantità di fratture, imprecisata dalle autorità francesi, create dalle esplosioni nucleari. Ognuno dei 138 esperimenti nucleari già effettuati ha creato una camera di esplosione in cui la roccia è stata fusa o vaporizzata, circondata da una zona di fratturazione circa cinque volte più larga della camera. E' stato calcolato che ogni esplosione ha creato una sfera di roccia fratturata da 200 a 500 metri di diametro a seconda dell'energia della bomba. La potenza accumulata dal 1975 a Mururoa corrisponde a duecento bombe del tipo di Hiroshima. A questo fattore destabilizzante bisogna sommare la forte alterazione della roccia che si presenta trasformata in argilla, come dimostrato dai sondaggi, a causa dell'età di nove milioni di anni del vulcano. I fianchi del vulcano, infine, hanno una pendenza molto forte, di circa quaranta gradi, fino ad essere localmente verticali. Le frane gigantesche che si sono prodotte nel vulcano Mururoa quando era attivo dovrebbero essere state innescate dalle eruzioni. E' stato calcolato che l'energia meccanica liberata durante le eruzioni tipiche del Mururoa è nettamente inferiore a quella liberata nelle esplosioni nucleari più importanti. Essendo quindi presenti tutti i fattori a rischio di instabilità nel vulcano Mururoa, è possibile che l'onda d'urto di un'altra esplosione nucleare contribuisca a innescare il franamento dell'edificio. Le conseguenze immediate sarebbero la trasmissione di una gran parte dei materiali radioattivi e la formazione di un maremoto - o tsunami - le cui onde gigantesche minaccerebbero la popolazione dei vicini arcipelaghi, oltre ai tremila residenti a Mururoa. Alessandro Tibaldi Università di Milano


PROPULSIONE ECOLOGICA E la barca va... a idrogeno Il nuovo motore sperimentato anche con autobus e auto
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: TRASPORTI, TECNOLOGIA, ECOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: SOCIETA' NAVIGAZIONE LAGO MAGGIORE, UE UNIONE EUROPEA, ANSALDO RICERCHE
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.
NOTE: Progetto «Gabbiano»

UN battello molto speciale comincerà presto a solcare le acque del Lago Maggiore sotto le insegne della Società Navigazione Lago Maggiore: sarà assolutamente silenzioso e non inquinante perché il «Gabbiano» sarà alimentato a idrogeno mediante celle a combustibile, primo battello passeggeri al mondo di questo tipo. All'adattamento dello scafo (lungo 21 metri, capace di trasportare 90 passeggeri con un'autonomia di 300 chilometri) sta lavorando la società proprietaria nel suo cantiere di Arona; il propulsore è in fase di messa a punto negli stabilimenti dell'Ansaldo Ricerche. Il «Gabbiano» fa parte di un progetto dell'Unione Europea che prevede anche la sperimentazione di un autobus e di una vettura (Renault) con lo stesso tipo di propulsione ecologica. «Il generatore - spiegano all'Ansaldo Ricerche - è costituito da celle a combustibile (fuel cells), un convertitore elettrochimico che, con reazioni analoghe a quelle che avvengono in una normale batteria, è in grado di convertire l'energia chimica di un combustibile (idrogeno) e di un comburente (aria) direttamente in energia elettrica senza combustione. A differenza delle batterie, le celle a combustibile non hanno bisogno di ricarica in quanto i reagenti vengono forniti con continuità al generatore. L'unico prodotto della reazione è acqua distillata». L'idrogeno, immagazzinato a bassa pressione e a -253 gradi centigradi, al momento dell'uso viene semplicemente portato a temperatura ambiente ed è pronto per essere inviato al generatore; questo produce energia elettrica in corrente continua, che viene dapprima inviata alle batterie quindi trasformata in corrente alternata e inviata al motore vero e proprio. Durante le fermate l'energia che continua a essere prodotta ma non utilizzata immediatamente viene immagazzinata dalle batterie, dalle quali il motore potrà richiederla nei momenti di massimo sforzo, come la partenza, l'accelerazione e, nel caso di veicoli terrestri, nei tratti in salita. Battello, autobus e auto a idrogeno rientrano in un unico progetto internazionale denominato Eqhhpp (Euro Quebec Hydro Hydrogen Pilot Project), che coinvolge la Cee e il governo del Quebec. Il progetto prevede che la regione canadese metta a disposizione 100 MW di energia idroelettrica (quindi non inquinante neppure alla produzione) per la produzione di idrogeno per via elettrolitica da trasportare via mare in Europa, dove sarà utilizzato in campo industriale e in quello di trasporti. Il battello dovrebbe cominciare le prove in acqua dal prossimo anno, sugli stessi percorsi dei battelli in servizio normale, per verificarne consumi, potenza, tecniche di impiego, e continuarle per i due anni successivi. Durante tutto questo tempo non potrà portare passeggeri a bordo, e questo non perché vi siano rischi per l'incolumità delle persone (non c'è combustione e l'idrogeno immagazzinato a bassa pressione non presenta pericoli di esplosione) ma perché non esiste ancora una normativa, europea e italiana, per l'impiego di un natante di questo nuovo tipo. Solo quando il Registro navale italiano, che partecipa alla sperimentazione, avrà messo a punto questa regolamentazione, il battello, costruito in serie, potrà eventualmente passare al servizio passeggeri sulle acque interne, dai laghi alla Laguna di Venezia. Il progetto dell'autobus a combustibile, lanciato nel '92, dovrebbe a sua volta affrontare la fase delle prove su strada dapprima su circuito e quindi nelle vie di Brescia, entro l'estate; il veicolo, lungo 12 metri, velocità massima 60 chilometri l'ora, capacità 100 persone, è per ora un dimostratore tecnologico nel quale il posto dei passeggeri è interamente occupato dalle apparecchiature di controllo e sperimentazione. Vittorio Ravizza




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