TUTTOSCIENZE 29 giugno 94

INFORMATICA E per finire un po' di musica TRENTESIMA PUNTATA
Autore: MEO ANGELO RAFFAELE, PEIRETTI FEDERICO

ARGOMENTI: INFORMATICA, DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 095. (FINE)

RIPRENDIAMO l'esempio della rubrica telefonica, ricordando le due istruzioni OPEN e FIELD che in BASIC risultano: OPEN "A:TELEF.DAT" FOR RAN DOM AS =// 1 LEN = 150 FIELD =// 1, 30 AS BUFNOME$, 100 AS BUFIND$, 20 AS BUFNUM$ Si osservi che l'indicazione del buffer (in questo caso il n. 1) deve essere preceduto dal simbolo =//, simbolo che, nella scheda n. 28, per un errore tipografico, era saltato. Per completare la costruzione della rubrica telefonica, presentata nelle ultime schede, vediamo ancora qualche altro sottoprogramma. Quello che segue svuota il record NREC: 13000LSET BUFNOME$ = SPACE$ (30) 13010LSET BUFIND$ = SPACE$ (100) 13020LSET BUFNUM$ = SPACE$ (20) 13030PUT =//1, NREC 13040RETURN Questo sottoprogramma può essere usato per fare un altro sottoprogramma che crea un archivio vuoto di 1000 voci: 14000FOR NCELL = 1 TO 1000 14010GOSUB 13000 14020NEXT NREC 14030RETURN Quest'ultimo sottoprogramma verrà utilizzato in fase di «inizializzazione» dell'archivio, cioè subito dopo aver aperto la fila con OPEN e dopo aver diviso ogni record in campi con FIELD (scheda n. 28). Il seguente sottoprogramma cercherà il primo record vuoto dell'archivio. Se questo fosse già pieno, il sottoprogramma porrà AR CPIENO = 1, altrimenti porrà ARCPIENO = 0. In quest'ultimo caso, il numero del primo record della fila sarà posto nella scatola nera PRIMO VUO. 15000FOR NREC = 1 TO 1000 15010GET =//1, NREC 15020REM se il campo di nome è tutto vuoto il record è libero 15030IF BUFNOME$ = SPACE$(30) THEN GOTO 15100 15040NEXT NREC 15050REM se passa qui l'archivio è pieno 15060ARCPIENO = 1 15070RETURN 15100REM ha trovato il record vuoto 15110ARCPIENO = 0 15120PRIMOVUO = NREC 15130RETURN Il sottoprogramma per la ricerca del primo record vuoto può essere utilizzato per decidere dove collocare una nuova terna di dati, nome, indirizzo e numero telefonico. E' esattamente quanto fa il sottoprogramma seguente che archivia le tre stringhe contenute in NO ME$, IND$ e NUM$. 16000REM cerca il primo record vuoto 16010GOSUB 15000 16020IF ARCPIENO = 1 THEN RETURN 16030LSET BUFNOME$ = SPACE$ (30) 16040LSET BUFNOME$ = NOME$ 16050LSET BUFIND$ = SPACE$ (100) 16060LSET BUFIND$ = IND$ 16070LSET BUFNUM$ = SPACE$ (20) 16080LSET BUFNUM$ = NUM$ 16090PUT =//1 PRIMOVUO 16100RETURN Questo sottoprogramma opera il trasferimento sulla fila soltanto quando c'è almeno un record vuoto. In questo caso pone il valore 0 nella scatola nera ARCPIENO. Lasciamo al lettore il compito di scrivere un analogo sottoprogramma per cercare un nome nell'archivio e di legare insieme tutti i sottoprogrammi per realizzare un piccolo «data base management system», ossia un sistema per la gestione di basi di dati. Nella ricerca dei dati di un amico, ad esempio PIERO; si dovranno leggere tutti i record della fila, verificando poi se il contenuto di BUFNO ME$ coincide con " PIERO". Si ricordi che se BUFNOME$ ha lunghezza 30, conterrà prima il nome e poi tanti spazi che dovranno essere eliminati prima del confronto. Inoltre, per evitare di non trovare PIERO, perché è stato scritto come "Piero", converrà trasformare tutti i caratteri minuscoli delle due stringhe da confrontare nelle corrispondenti maiuscole, utilizzando il sottoprogramma della scheda n. 25. Chiudiamo in musica questo corso di programmazione. L'istruzione fondamentale, in BASIC, è PLAY seguita dalle note, tra virgolette, con l'annotazione anglosassone: A corrisponde a LA, B a SI, C a DO, D a RE, E a MI, F a FA e G a SOL. Se scriviamo, ad esempio, PLAY «D» , il calcolatore esegue la nota RE. Con PLAY «CDE FGAB» verrà eseguita la scala musicale, partendo dal DO al di sotto di quello centrale. Per i diesis, cioè per aumentare la nota di un semitono, si fa seguire alla nota stessa un «più», mentre per i bemolle, cioè per diminuire le note di un semitono, si fa seguire un "-". Ad esempio, Cpiù corrisponde al DO DIESIS, E- corrisponde al MI BEMOLLE e Dpiù al RE DIESIS. Il DO centrale appartiene all'ottava 3. Per cambiare ottava si usa il comando O, seguito dal numero dell'ottava che si intende scegliere. Si hanno a disposizione sette ottave: l'ottava 3, quella del DO centrale, tre al di sotto, numerate da 0 a 2, e tre al di sopra, da 4 a 6. La durata di una nota è specificata con un numero compreso fra 1 e 64, subito dopo il nome della nota stessa. Al numero 1 corrisponde una semibreve, a 2 la metà ossia una minima, a 3 un terzo di una semibreve, a 4 un quarto e così via. Si può anche usare il comando L, seguito da un numero fra 1 e 64, che fissa la durata delle note che vengono dopo il comando. Con il comando MS si suonano le note staccate, con ML le note legate, mentre MN imposta l'esecuzione normale delle note. Il comando T imposta il tempo di una composizione musicale in quarti di nota per minuto e può variare fra 32 e 255. Un punto messo dopo una nota ne accresce la durata della metà del suo valore. Vediamo un esempio, lasciando al lettore, come ultimo compito, lo sviluppo di altri motivi musicali. 10CLS 20REM *** canzoncina di W. A. Mozart *** 30PLAY "T130MNL4O3CCGGL8ABO4CO3AL2G" 40PLAY "L4FFEEL8DCDEL2D" 50PLAY «L4CCGGAAL2G" 60PLAY " L4FFEEL8DCDEL2C" 70PLAY "L4GGFFEEED" 80PLAY "GGFFL8EFGEL2D" 90PLAY "L4CCGGL8ABO4CO3AL2G" 100PLAY "L4FFEEL8DCDEL2C" 110END A conclusione di questa serie di schede, ringraziamo i molti lettori che ci hanno scritto, per il loro apprezzamento e i preziosi suggerimenti. Ci scusiamo per la concisione, che ha certo creato qualche difficoltà in più. Comunque, chi ci ha seguito sin qui non troverà più difficoltà nell'affrontare problemi di programmazione anche complessi e potrà usare in modo consapevole i raffinati programmi applicativi oggi offerti dal mercato. (Fine)


ALLARME ABBRONZATURA Al sole, con prudenza Ma lo scudo di ozono resiste
Autore: COLACINO MICHELE

LUOGHI: ITALIA
NOTE: 093

DOVE arriva il Sole, non arriva medico, dice un vecchio proverbio. La notizia che la Bbc inglese trasmette, con le informazioni meteorologiche, anche un bollettino della insolazione per prevenire i danni che possono derivare dalla esposizione alla radiazione solare, ha suscitato, quindi, una certa sorpresa. Cerchiamo allora di capire come stiano realmente le cose e quali siano attualmente i motivi di maggiore allarme. Il Sole emette energia elettromagnetica in uno spettro che, centrato sulle lunghezze d'onda del visibile, tra 40 e 700 nanometri (1 nanometro equivale a un miliardesimo di metro: d'ora in poi useremo il simbolo nm), copre, però, una più vasta regione dall'ultravioletto (100-400 mn) al vicino infrarosso (700-2000 nm). La radiazione ultravioletta è quella più energetica ed è, quindi, quella che interagendo con le forme viventi può causare guai. In particolare, possono essere modificati i meccanismi di reazione della fotosintesi con danni alla vegetazione e ai raccolti e la catena alimentare oceanica può essere alterata nello sviluppo del fitoplankton. Inoltre la radiazione solare Uv esercita anche un'azione diretta sull'uomo, in quanto può favorire l'insorgere delle cataratte e, quindi, in alcuni casi della cecità, può ridurre le difese del sistema immunitario rendendo così il corpo più debole nei confronti delle infezioni e, infine, può determinare malattie cutanee di vario tipo, dall'eritema all'invecchiamento precoce, o forme di cancro della pelle. Gli studi portano a definire per ogni lunghezza d'onda dello spettro un indice di pericolosità che varia, per ogni tipo di affezione, da una popolazione all'altra. A certe malattie della pelle dovute alla radiazione solare sono più esposti i popoli nordici, di carnagione più delicata dei popoli mediterranei; l'indice di pericolosità a parità di esposizione diminuisce man mano che si scende di latitudine, poiché cambia la capacità di risposta dell'organismo. Esiste, tuttavia, contro questi rischi, una difesa naturale a livello planetario rappresentata dall'ozono in stratosfera. L'ozono, che è un gas formato da molecole triatomiche di ossigeno, è uno dei componenti minori dell'atmosfera terrestre, la cui concentrazione non è uniforme nello spazio e nel tempo. Nello spazio, perché essa varia presentando i valori più elevati attorno ai 25 km di quota; nel tempo, perché essa varia con le stagioni raggiungendo il massimo in primavera. Va precisato che l'ozono è presente anche nei bassi strati atmosferici, come effetto delle reazioni che portano allo «smog fotochimico»: in questo caso, però, invece di essere un fattore di protezione, l'ozono è un inquinante altamente nocivo per il quale esistono limiti di esposizione ben determinati. L'ozono stratosferico, formandosi per azione della radiazione ultravioletta, la blocca a quote molto elevate e agisce da scudo protettivo della superficie terrestre schermandola dai raggi Uv, che solo in piccola percentuale arrivano al suolo. In conseguenza del «buco» di ozono registrato in Antartide, si sono intensificati gli studi e le ricerche in materia ed è stato siglato in ambito internazionale il Protocollo di Montreal che prevede la messa al bando di alcune sostanze: i Cfc che, liberando atomi di cloro, sembrano essere responsabili delle reazioni di deplezione dell'ozono stesso. Obiettivo dell'accordo è di evitare che, riducendosi lo schermo protettivo, possano aversi conseguenze indesiderate: in particolare l'UNep (Uni ted Nations environmental program), l'Agenzia dell'Onu per l'ambiente, ha studiato che dal 1990 al 2075 potrebbero aversi circa 3 milioni di morti per tumore della pelle alle condizioni attuali, mentre in caso di mancata osservanza del Protocollo di Montreal si potrebbe salire a ben 5 milioni. Sono cifre che impongono una seria attenzione al problema. Proprio per questo, data l'importanza che il protocollo dello strato di ozono riveste per l'ambiente e la biosfera, a livello internazionale è stato varato il programma di monitoraggio continuo della stratosfera attraverso una rete di stazioni Lidar disseminate su tutto il globo, il Network for detection of stratospheric changes. A questo progetto partecipano anche gruppi di ricerca italiani, che operano nell'ambito del Pro gramma nazionale di ricerche antartiche e sono particolarmente attivi in questo settore. Per quanto riguarda l'emisfero Nord, si sono fatte e si fanno campagne di misura per tenere sotto controllo il fenomeno: in effetti, nel periodo che va dall'inverno '91/'92 fino all'estate del '93, è stata registrata con sonde e con satelliti una sensibile riduzione delle concentrazioni con punte del 30 per cento alla fine della stagione invernale e all'inizio di quella primaverile del 1992. Va osservato, tuttavia, che molto probabilmente questa variazione così consistente non è il segno di una modifica permanente, ma può essere un effetto, limitato nel tempo, dell'eruzione vulcanica del Pinatubo, avvenuta nel 1991. Alle eruzioni vulcaniche è associata l'immissione nella stratosfera di grandi quantità di polveri le quali riflettono la radiazione solare provocando un minore riscaldamento della superficie terrestre. Viene quindi alterata la circolazione atmosferica e in effetti gli inverni '92 e '93 sono stati caratterizzati da situazioni in cui aria subtropicale, povera di ozono, è giunta sull'Europa Occidentale. Un altro effetto delle polveri è più diretto, poiché viene favorita la reazione dell'ozono con i composti di cloro e bromo presenti alle alte quote stratosferiche. In ogni caso la concentrazione delle polveri dovrebbe diminuire nel tempo e quindi potrà essere possibile valutare l'impatto che l'eruzione vulcanica può avere avuto sulla riduzione dell'ozono registrata in Europa occidentale nel periodo sopraccitato. Alla diminuzione della concentrazione di ozono ha fatto riscontro un aumento della radiazione solare ultravioletta al suolo, e questo ha messo in allarme le varie agenzie che si occupano di problemi ambientali e sanitari. Vorrei però chiudere con una nota di ottimismo: le registrazioni eseguite nell'anno in corso indicano il ritorno ai valori normali, con una variazione che si aggira attorno a qualche percento. E allora godiamoci le vacanze! Michele Colacino Cnr, Roma


HIGH TECH Eureka! Idee alleate
Autore: VERNA MARINA

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA, PROGETTO, MERCATO
ORGANIZZAZIONI: EUREKA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 093

IL suo nome - Eureka - è poco noto e comunque sempre vagamente associato con qualcos'altro. In realtà è un marchio di eccellenza che una rete di 23 Stati europei (tra i quali anche la Russia e, da pochi giorni, la Slovenia) appone a un certo numero di progetti di ricerca applicata nel campo dell'alta tecnologia, frutto dell'alleanza fra almeno due Paesi. L'esperienza ha dimostrato che questa etichetta è ottima sia per trovare nuovi soci sia per avere successo sul mercato. Di Eureka fa parte anche la Comunità europea, ma non è di lì che arrivano eventuali fondi: ciascun partecipante chiede un finanziamento pubblico al suo Paese, tramite i normali canali ministeriali. L'ombrello europeo dà accesso a una corsia preferenziale e aiuta nella ricerca di nuovi soci che portino al progetto quello che gli manca: particolari capacità, tecnologie affini, impianti produttivi, reti di vendita e marketing. L'idea di mettere in comune cervelli e capitali con questa formula venne nel 1985 al presidente francese Mitterrand, preoccupato che l'Europa non riuscisse a tenere il passo con lo strapotere tecnologico americano e giapponese e finisse per ridursi a una sorta di parco archeologico industriale. Da allora, sono stati approvati oltre 670 progetti, alcuni fondamentali per la tecnologia europea, come la Tv ad alta definizione e la centrale solare Phoebus. La struttura di Eureka è molto snella: l'unico ufficio centrale è il Segretariato di Bruxelles che, grazie alla sua aggiornatissima banca dati su tutti i progetti e i partecipanti, è in grado di fornire qualsiasi informazione. La presidenza di Eureka spetta ogni anno a un Paese diverso, che organizza una Conferenza dei ministri della Ricerca per la valutazione finale delle domande. Nel '94 è stato il turno della Norvegia, che nei giorni scorsi, a Lillehammer, ha ospitato i 23 ministri e annunciato i 144 nuovi progetti. L'Italia ha portato alcune decine di proposte medio-piccole (tra le più curiose: coltivazione di funghi da tavola, restauro di alcuni edifici veneziani, produzione di carte patinate di qualità a base di carte riciclate, una macchina lavapavimenti per supermercati) e finalmente ha sciolto alcuni nodi burocratici che le impedivano di avvalersi di Eureka quanto gli altri Paesi. Una clausola stabiliva infatti che il 30 per cento dei fondi per la ricerca destinati a progetti Eureka fosse riservato al Meridione. Se non arrivavano proposte, i fondi erano persi. Ora questa clausola è stata abolita e l'Italia, con una co-produzione tra Farmitalia Carlo Erba e Tech- sep francese, si è addirittura aggiudicata il Premio Lillehammer per il miglior progetto dell'anno: una membrana minerale che purifica i principi attivi farmaceutici senza ricorrere ai classici solventi organici. Marina Verna


ACCORDO SIP-IEN Questo venerdì durerà un secondo di più E ora il computer può essere collegato a un orologio atomico
Autore: PETTITI VALERIO

ARGOMENTI: METROLOGIA, ACCORDO, ELETTRONICA
ORGANIZZAZIONI: ISTITUTO ELETTROTECNICO NAZIONALE «GALILEO FERRARIS» (IEN), SIP
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 093

L'Istituto Elettrotecnico Nazionale «Galileo Ferraris» di Torino (Ien), che svolge da decenni attività di ricerca in diversi settori, è certamente più conosciuto come «quello del segnale orario». Infatti, dal 1942, è responsabile della generazione di un segnale di tempo che viene trasmesso in Italia dalle reti della Rai. Questo segnale ha consentito a due generazioni di italiani di regolarsi sull'ora legale in vigore: a proposito, all'una 59 m 59 s del 1 luglio, su disposizioni dell'Earth Rotation Service di Parigi, verrà aggiunto un secondo per compensare lo scarto tra il tempo astronomico della Terra (la cui rotazione rallenta) e la scala di tempo basata sugli orologi atomici. Quindi il prossimo venerdì durerà un po' di più... I campioni di frequenza a fascio di cesio sono i dispositivi sui quali è basata dal 1967 la definizione del secondo del Sistema Internazionale delle unità di misura (SI). Il campione nazionale di tempo, mantenuto presso i laboratori dello Ien in strada delle Cacce a Torino, riproduce il riferimento internazionale con una accuratezza migliore di due milionesimi di secondo. La dissemimazione del campione di tempo Ien in ambito nazionale è affidata principalmente al segnale orario Rai. Circa 15 anni fa al segnale venne aggiunta un'informazione al secondo 52 contenente in codice l'ora e la data, informazione che può essere decodificata automaticamente e utilizzata per aggiornare un orologio elettronico con un errore inferiore al millisecondo. Da qualche settimana lo Ien ha messo in servizio un nuovo sistema di distribuzione su linea telefonica di ora, data e informazioni relative al calendario. Questo servizio, denominato Codice Telefonico di Data (Ctd), è accessibile a tutti in qualunque momento purché si disponga di un telefono, di un modem telefonico e di un personal computer (Pc). Esso è destinato ad applicazioni professionali di tipo informatico, in cui si richieda l'accesso automatico all'informazione dell'ora e della data vigente, ma è anche destinato ad un pubblico di hobbisti che dispongano di un personal computer. Il Ctd è frutto di un progetto congiunto fra i laboratori nazionali di tempo e frequenza di Austria, Italia, Olanda e Svezia, accolto in un documento del Comitato consultivo internazionale per le radiocomunicazioni il quale ne raccomanda l'adozione a livello europeo. Il codice è costituito da un messaggio contenente 80 caratteri alfanumerici inviati una volta al secondo che forniscono l'ora, la data e ulteriori informazioni su datazione e operazioni che riguardano la scala di tempo legale. Il messaggio viene inviato a modem telefonici che servono più utenti contemporaneamente. Il modem telefonico è un dispositivo elettronico che consente di utilizzare una comune linea telefonica per trasmettere, anziché informazioni vocali fra due persone, messaggi o dati fra due apparecchiature elettroniche, ad esempio due Pc. I modem trasmettitori installati presso lo Ien, e quindi anche quelli degli utenti, sono del tipo comunemente utilizzato in Italia (Ccitt v 22), configurati per una velocità di trasmissione di 1200 bit/s, con parole di 8 bit, 1 bit di stop e nessuna parità. Secondo questi parametri, ogni carattere richiede 10 informazioni binarie elementari (bit) per la sua codifica e il tempo necessario per trasmetterlo è di 8,33 millisecondi: il tempo effettivo per inviare gli 80 caratteri del codice è di 667 millisecondi. Un primo gruppo di 37 caratteri contiene informazioni sull'ora in vigore in Italia. I primi 24, che riportano anno, mese, giorno, ora, minuto, secondo e la sigla Cet (oppure Cest), sono disposti in modo da facilitarne la lettura immediata. La sigla Cet (Central Europe Time) oppure Cest (Central Europe Summer Time) indica se è in vigore l'ora solare o quella estiva. Appare poi il giorno della settimana (1=lunedì, 7=domenica), il numero della settimana e del giorno dell'anno. La regola per la numerazione delle settimane prevede che se l'anno inizia di lunedì, martedì, mercoledì o giovedì quella è la prima dell'anno nuovo, diversamente è l'ultima di quello vecchio. Gli ultimi 6 caratteri di questo primo gruppo indicano mese, giorno e ora del prossimo passaggio da ora solare a ora estiva o viceversa. Un secondo gruppo di 22 caratteri fornisce informazioni sull'ora Utc (Universal Time Coordinated) che rappresenta in pratica l'ora del meridiano di riferimento, denominata in passato «ora di Greenwich». Quando in Italia è in vigore l'ora solare, Utc è in ritardo di un'ora rispetto a questa, quando vige l'ora estiva, Utc è in ritardo di due ore. Le informazioni in Utc riguardano anno, mese, giorno, ora, minuto e la Data giuliana modificata (Dgm). Segue poi l'entità dello scarto, in decimi di secondo, fra la scala rotazionale (posizione angolare della Terra) e la scala Utc, infine l'eventuale introduzione di un secondo intercalare: il segno indica se sarà sommato o sottratto, il numero, se diverso da zero, il mese al termine del quale avverrà tale operazione. La Dgm viene utilizzata internazionalmente in ambito scientifico e commerciale per calcolare agevolmente intervalli di tempo superiori al giorno, senza dover tener conto delle irregolarità del calendario civile dove mesi e anni non hanno tutti la stessa durata. L'origine della Dgm è fissata alle ore 00 Ut (Universal Time) del 17 novembre 1858. L'ultimo gruppo di 21 caratteri fornisce informazioni supplementari. Tre di essi indicano i millisecondi di anticipo con cui viene generato il codice, al fine di compensare parzialmente il ritardo di propagazione sulle linee telefoniche, mentre un campo di 15 caratteri permette di inviare particolari segnalazioni. Il codice generato presso lo Ien può essere mantenuto in accordo con la scala di tempo nazionale entro poche decine di milionesimi di secondo, ma modem e linee telefoniche causano inevitabilmente dei ritardi. Avendo valutato in una campagna di misure il ritardo medio globale di un collegamento tipo, si è deciso di generare il segnale con un anticipo pari a questo ritardo, cioè 70 millisecondi. Così un utente italiano dovrebbe ricevere il segnale con un ritardo o un anticipo contenuto entro 50 millisecondi. Il Ctd, disponibile sul numero Audiotel della Sip «144 11 46 15», è accessibile a tutti ed è sottoposto a una tariffa unica, per qualunque area geografica, legata solo al tempo di utilizzazione del servizio. Venti secondi sono un tempo più che sufficiente per prelevare le informazioni necessarie. L'utente deve avere un calcolatore, un modem telefonico e un programma di comunicazione in grado di gestirlo: potrà così ricevere e visualizzare il codice. Una scheda modem da inserire nel personal computer e relativo programma di comunicazione costano poche centinaia di migliaia di lire. Il Laboratorio Tempo e Frequenza dello Ien è a disposizione per eventuali chiarimenti (tel. 011-3919240, 011- 3919236, fax 011-3487046). Valerio Pettiti Istituto «Galileo Ferraris», Torino


POLITICA DELLA SCIENZA Ricerca pura o applicata? Un falso problema: i confini sono vaghi
Autore: REGGE TULLIO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, MINISTRI, POLITICA
NOMI: PODESTA' STEFANO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 094

IL nuovo ministro per la ricerca e l'università, Stefano Podestà, è rimasto un oggetto misterioso fino alla sua sortita a Firenze, dove ha illustrato la politica futura del suo ministero davanti ai rettori degli atenei toscani. Come è già accaduto in passato, le decisioni del governo italiano sono profondamente influenzate da quelle americane. Il presidente Clinton, chiudendo il cantiere di Ssc, il grande acceleratore progettato dai fisici americani, non ha soltanto gettato nello sconforto tutti i ricercatori che lavorano nella fisica delle alte energie ma ha anche ha stabilito un precedente di cui si sentono gli echi anche nell'intervento di Podestà. Ecco le sue parole: «Bisogna arrivare a un orientamento della ricerca universitaria. Quella senza sbocchi e senza ricadute è certo importante, ma non ce la possiamo permettere. Oggi più di ieri la ricerca va finalizzata alla società civile»; e più avanti: «Dubito che la ricerca che si fa oggi favorisca le piccole e medie imprese». Un nuovo orientamento della ricerca, non solo italiana ma a livello comunitario, è giudicato inevitabile pressoché da tutti, quale che sia il colore politico. Gli effetti nefasti dei finanziamenti a pioggia del Cnr sono evidenti. Ma anche il ruolo determinante e innovatore delle piccole e medie imprese nell'economia italiana è fatto assodato e non sarò di certo io a contestare la necessità di stringere legami profondi e strutturali tra il mondo della ricerca e quello della produzione. Mi preoccupa invece la distinzione manichea del ministro tra la ricerca di base, definita senza sbocchi e senza ricadute, e quella applicata; implicito in questa distinzione è lo scetticismo verso la prima e un vigoroso sostegno per la seconda. La mancanza di sbocchi può essere dovuta all'orientamento puramente conoscitivo e culturale, e nel caso peggiore al cattivo livello della ricerca, ma è più che altro sintomo di quella mancanza quasi totale di contatti tra il mondo della ricerca e quello produttivo che caratterizza non solo l'Italia ma anche tutta la Comunità europea. Per chi vive da anni nel mondo della ricerca risulta molto difficile tirare una linea divisoria netta tra ricerca pura e ricerca applicata, la mera esistenza di questa linea indica che si sono inceppati i meccanismi di trasmissione delle idee e della conoscenza. Cerchiamo piuttosto di distinguere tra ricerca buona e ricerca cattiva e di favorire il flusso delle idee. Al suo esordio nel 1916, la relatività generale di Einstein apparve a tutti come l'essenza stessa del pensiero astratto, oggi ha trovato applicazione nei sistemi di localizzazione tramite satelliti artificiali. L'Ape, un supercomputer parallelo ed incredibilmente veloce, costruito dall'Infn (Istituto nazionale di fisica nucleare) per simulare la fisica del microcosmo delle particelle elementari è servito da prototipo al Quadrix, una versione commerciale straordinariamente competitiva. Un gruppo di fisici teorici francesi si è lanciato nell'impresa di vendere il proprio know-how all'industria e pare ci riesca brillantemente e che ci campi sopra. Penso che queste iniziative vadano incoraggiate ma senza ricorrere a soluzioni di sapore cileno o a brutali diktat. Perno essenziale di una nuova politica della ricerca rimangono le università e su queste sarà necessario agire con una politica a lungo termine che tenga conto della particolare situazione italiana. Sin dai tempi della riforma Gentile la nostra università ha sofferto le distorsioni di una politica di centralizzazione burocratica senza pari in tutto il mondo industrializzato e stenta a recuperare quell'autonomia locale che è già permessa sotto le nuove leggi. Le chiamate dei professori mediante concorsi nazionali si sono ormai ridotte a una foglia di fico che copre un meccanismo valutativo marcio e inefficiente. Non solo. L'insana decisione di attribuire valore legale al diploma di laurea ha posto sullo stesso piano grandi maestri e docenti di infimo livello, e ha ridotto il diploma stesso a pezzo di carta ambito dai burocrati ma del tutto privo di valore morale o culturale. Occorre restituire alle università quella indipendenza ma anche quelle responsabilità che loro competono. Le difficoltà sono enormi, manca in Italia un meccanismo valutativo imparziale, manca il costume per imporlo; se si vuole tirare avanti con il sistema dei concorsi, siano almeno affidati a commissioni con maggioranza di stranieri. Un taglio improvviso e indiscriminato di fondi pubblici che non si accompagni a una profonda evoluzione strutturale avrebbe conseguenze devastanti in cui si farebbero avanti coloro che sono politicamente protetti e gli intrallazzatori di professione ma non certo chi è genuinamente interessato alla ricerca. Inoltre la marcia forzata degli atenei verso la privatizzazione produrrebbe un aumento immediato delle tasse universitarie con l'esclusione dei meno abbienti. A queste e ad altre obiezioni si risponderà che è ora di finirla con lo Stato assistenziale. Non penso affatto all'università come a una istituzione ispirata a principi di tipo assistenziale. Al contrario, nonostante le evidenti disfunzioni da cui è afflitta, essa continua ad avere un ruolo determinante per la produzione. D'altra parte la mancanza di laureati di livello adeguato è da tutti riconosciuta come un collo di bottiglia per l'economia italiana. Se si vorrà procedere a tagli nei finanziamenti si dia tempo per rendere più efficienti strutture fatiscenti e si pensi a un vasto programma di borse di studio per i più meritevoli a cui concorrano anche i privati. Si riformi infine il regime fiscale con deduzioni che incoraggino donazioni di privati alle università, in modo simile a quanto accade da tempo negli Usa. Le misure punitive contro la ricerca di base saranno inutili (o anche dannose) se non saranno accompagnate dalla creazione di legami stabili e produttivi tra industria e ricerca. Questi legami sono oggi praticamente inesistenti e ogni tentativo di stabilirli viene guardato con sospetto da ambedue le parti. La riduzione della scienza ad attività puramente mercantile può innescare un processo di decadenza culturale di cui faranno le spese tutti, anche coloro cui la cultura interessa ben poco. Tullio Regge Università di Torino


IN BREVE Telerilevamento E' nato Teleos
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: TELEOS
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 094

Telespazio ed Eosat hanno formato una nuova società internazionale per il telerilevamento, Teleos, con il compito di acquisire ed elaborare dati destinati ai gestori di risorse naturali di tutto il mondo. Le più varie informazioni relative alla superficie terrestre vengono raccolte attraverso numerosi satelliti per il monitoraggio ambientale, i cui sensori misurano l'entità e lo stato delle risorse naturali, delle attività agricole e dello sviluppo urbano.


IN BREVE Bambini cardiopatici Un'associazione
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 094

Un gruppo di medici e di volontari italiani, guidati dal dottor Alessandro Frigiola, dell'Ospedale San Donato Milanese, ha fondato l'Associazione Internazionale per le Cardiopatie infantili. Lo scopo è quello di sostenere le decine di interventi su bambini indigenti che ogni anno vengono effettuati da questo gruppo. Per informazioni, tel. 02.55.60.22.62.


IN BREVE Divulgare la scienza Una scuola europea
ARGOMENTI: DIDATTICA
ORGANIZZAZIONI: SCUOLA EUROPEA DI COMUNICAZIONE DELLA SCIENZA
LUOGHI: ITALIA, FIRENZE (FI)
NOTE: 094

E' nata a Firenze, in collaborazione con l'Università, una Scuola europea di Comunicazione della Scienza, alla quale si accede con un diploma di scuola media superiore. Il corso è biennale, le lezioni iniziano il 7 novembre 1994 e terminano il 9 giugno 1995. La quota di partecipazione al primo anno è di L. 2.800.000. Nel piano di studio, teoria dell'informazione ma anche chimica, fisica, biologia. La Scuola organizza anche corsi brevi della durata di un mese (80 ore di lezione) e seminari incentrati su specifici argomenti. Per informazioni, tel. 055.613.634.


IN BREVE Sedie troppo piccole Finalmente si rimedia
ARGOMENTI: METROLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 094

Se avete meno di cinquant'anni, è probabile che la sedia sulla quale vi sedete sia troppo piccola, il tavolo da lavoro troppo basso e l'automobile decisamente scomoda. Questo perché gli oggetti d'uso vengono costruiti in base a misure che non sempre rispecchiano le nostre reali dimensioni, ma si basano sui vecchi standard delle generazioni più piccole di quelle attuali. Ora un gruppo di ricercatori olandesi ha costruito un «antropometro» che sveltisce tutte le misurazioni. E' una sorta di sedia, dotata di sensori che misurano la lunghezza delle braccia, delle gambe e del busto e la distanza fra le articolazioni: in tutto, 25 dati-chiave che si raccolgono in dieci minuti.


PREMIO GAIRDNER Quei geni non mi servono, mettiamoli ko Con la tecnica di «gene targeting», successo del biologo Mario
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: GENETICA, PREMIO, BIOLOGIA
PERSONE: CAPECCHI MARIO
NOMI: CAPECCHI MARIO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 094

C'ERA già stato un italiano che aveva vinto un premio di grande prestigio in Usa per un ko: il pugile Primo Carnera. Oggi si festeggia un altro tipo di knockout: una tecnica che permette di mirare a un particolare gene per scoprirne le proprietà e le caratteristiche. Uno degli inventori di questo «gene targeting» è l'italiano Mario Capecchi, che lavora all'Università di Utah a Salt Lake City e ha appena ricevuto il prestigioso premio canadese Gairdner. Allievo dei Nobel Watson e Gilbert alla Harvard, dal 1973 Capecchi è professore di biologia all'Università di Utah. Grazie a questa nuova tecnica, gli scienziati possono inserire nel patrimonio genetico di una cellula particolare (cioè nel suo Dna) altro Dna non più funzionale, impedendo così la funzione normale del gene («knock out», appunto). Così è possibile indagare per differenza la funzione di una determinato gene. Il «gene targeting» è stato usato recentemente per studiare la funzione del gene collegato alla fibrosi cistica e quella, ancora sconosciuta, dei geni che governano lo sviluppo dell'embrione umano. Secondo Capecchi, la stessa tecnica potrebbe essere usata per sostituire un gene mutato «cattivo» con un gene funzionale «buono», offrendo così una nuova alternativa di terapia genica. Appena una decina di anni fa, per svelare i misteri della genetica e dei processi ereditari in genere, gli scienziati utilizzavano tecniche completamente diverse, come l'osservazione di ceppi di batteri o l'evoluzione di insetti come la drosofila. Oggi i biologi utilizzano animali transgenici i cui geni vengono direttamente sostituiti con geni umani «non sani» allo scopo di scoprirne le caratteristiche. La tecnica di Capecchi comprende la microiniezione di Dna direttamente nella cellula, la cui membrana è stata resa permeabile mediante un processo chiamato di elettroporazione con shock elettrico. Dopo l'iniezione, i pori formati si chiudono automaticamente permettendo al Dna iniettato di rimanere nella cellula. Con un'altra tecnica detta di ricombinazione omologa, anziché usare migliaia di geni sia materni che paterni è possibile ottenere diverse combinazioni di materiale genetico selezionato materno o paterno in combinazioni volute. Tale materiale può essere isolato da cellule di origine diversa (pelle, fegato, midollo eccetera). Tutte le cellule dell'organismo umano posseggono questo macchinario genetico (Dna). Gli scambi ottenuti dal biologo permettono di modificare quasi a piacere il programma genetico della cellula secondo modalità specifiche desiderate. Si possono quindi riattivare o sopprimere determinate funzioni. Le osservazioni fatte sulle culture di cellule o sugli animali transgenici indicano appunto che tipo di Dna occorre sostituire o sopprimere per massimizzare l'efficacia di futuri interventi terapeutici. L'enorme lavoro compiuto nei laboratori americani in collaborazione coi colleghi europei nel definire la sequenza completa del genoma umano, cioè di tutti i geni che possediamo, sarebbe fatica inutile se non si individuassero le funzioni di ciascun gene. Le tecniche di targeting e knockout servono appunto a questo scopo. Ezio Giacobini Università del Sud Illinois


LUPO. Silenzioso ritorno nel Parco di Mercantour
Autore: GRANDE CARLO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI, PROGETTO
NOMI: BOSCAGLI GIORGIO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 095

I lupi corrono sul confine italo-francese. Il mitico predatore è tornato Oltralpe dopo 60 anni, nel Parco del Mercantour: arriva forse dall'Italia, dal parco regionale dell'Argentera, che con l'area protetta francese divide ben 33 chilometri di confine. Le due aree, che sono gemellate e nel '93 hanno ricevuto l'ambito Diploma europeo dell'ambiente, sono le due metà (a Nord l'italiana, a Sud quella francese) dello stesso massiccio: le Alpi Marittime. Fino al trattato del 1860, che assegnò la Contea di Nizza alla Francia, costituivano l'antica riserva di caccia del re Vittorio Emanuele II. Vennero divise nel '47, ma al re della foresta, si sa, i confini politici non interessano. I lupi francesi sono gli eredi di «colleghi» che arrivano ancora da più lontano: in Italia la specie è protetta dal '72 e negli ultimi 20 anni, partendo dal Parco Nazionale d'Abruzzo, ha risalito l'Appennino umbro e tosco-marchigiano fino alle montagne liguri e piemontesi, all'entroterra di Genova. Per arrivare al Mercantour, il lupo si è inserito in un corridoio di almeno 150 km: forse è passato dal parco naturale Capanne di Mercarolo a quello dell'Alta Valle Pesio e Tanaro, e attraverso la riserva del bosco e laghi di Palanfrè è giunto all'Argentera. I branchi occupano il territorio solo con un numero di individui proporzionato alle risorse. Quelli eccedenti, di solito giovani o vecchi ex capibranco, se ne vanno, in cerca di altre zone di caccia. Quelli arrivati al Mercantour costituiscono dunque l'importantissimo anello di congiunzione per il ripopolamento dell'Europa settentrionale. Il lupo infatti è ormai da tempo scomparso in gran parte del Continente: esistono soltanto una piccolissima popolazione nella foresta bavarese e gruppi più consistenti in Spagna e Italia. I responsabili del parco hanno accolto «fratello lupo» come si conviene al re dei predatori, da millenni nelle fantasie e nella cultura dell'uomo. «Il nostro parco vive un momento favoloso - hanno detto -. Il lupo è ritornato senza essere costretto a battersi, alla sua maniera: timidamente, in silenzio. Un bel giorno abbiamo capito che era lì, abbiamo visto la sua silhouette grigia nel bosco». Il ministero per l'Ambiente francese ha stanziato finanziamenti e il Mercantour si è subito rivolto a specialisti italiani: dell'equipe franco-italiana che ha iniziato le ricerche (finalmente un'iniziativa internazionale, nello spirito della Cee), fanno parte il «Gruppo lupo Italia» (di cui sono segretario nazionale il biologo Giorgio Boscagli e responsabile in Piemonte Cristina Del Corso), l'Università di Torino, il Parco dell'Argentera la Regione Piemonte. Proprio alla Cee dovrebbe ora rivolgersi il nostro ministero dell'Ambiente, per sostenere il progetto dell'equipe italiana e ottenere un ulteriore finanziamento. Se così sarà, si potrà tentare un censimento degli animali con il metodo del «wolf howling» (letteralmente: «lupo ululante»), curare un piano di gestione delle foreste secondo le esigenze del grande predatore, istituire zone protette con prede «stimolanti», come cervi, caprioli, camosci e mufloni. Si potranno monitorare le discariche, spesso punto di riferimento per cani selvatici e lupi, e quindi procedere a piani di cattura per controllare le caratteristiche genetiche degli animali, il loro stato di salute, e per applicare loro radiocollari, utili a seguirne gli spostamenti. Ma soprattutto, nei due parchi verrebbero creati due piccoli musei, che presentino alla gente il vero volto del lupo, un animale schivo, che ha imparato a sue spese l'arte di stare alla larga dall'uomo. Leggendo una delle numerose e serie ricerche che gli hanno dedicato gli studiosi (quella di Luigi Boitani, ad esempio, edita da Giorgio Mondadori, il volume di Boscagli edito da Carlo Lorenzini o la bella videocassetta prodotta dalla Paneikon di Mario Visalberghi) si potrà capire quanto la sua aggressività nei confronti della nostra specie sia da confinare al mondo delle favole. Se ne devono convincere, in particolare, gli allevatori, «nemici» storici, che pur avendo pieno diritto a essere rimborsati quando le greggi vengono aggredite, mettono spesso sul conto del lupo anche i frequenti attacchi dei cani selvatici. Insomma, tutti devono capire che il «figlio della notte» è tornato e che è finita una lunga ingiustizia. Carlo Grande


IBIS CORONATO Dopo di noi, l'azoto liquido L'ultima coppia verrà ibernata
Autore: ANGELA ALBERTO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, GENETICA, ANIMALI, PROGETTO
LUOGHI: ESTERO, GIAPPONE
NOTE: 095

SARA' forse l'azoto liquido a salvare l'Ibis coronato dalla scomparsa definitiva. Di questo elegante uccello dal lungo becco ricurvo esistono solamente due esemplari ancora in vita, in una riserva naturale nell'isola di Sado, in Giappone. Sebbene si tratti di una coppia, ogni tentativo di farli riprodurre è stato vano, ed è ormai troppo tardi tentare di ricorrere alla fecondazione artificiale: il maschio e la femmina infatti sono troppo vecchi per la riproduzione. Per evitare la cancellazione definitiva dell'Ibis coronato, l'ente giapponese per la protezione ambientale ha avuto un'idea originale: salvare almeno il Dna di questi due uccelli, per poterli far «rinascere» in futuro con la tecnica della clonazione. Il principio della clonazione, com'è noto, consiste nel ricostruire un intero individuo a partire dal Dna di una cellula. E' come ricostruire un'automobile o un edificio partendo dai disegni del progetto o dai piani di costruzione. Nel caso dell'Ibis coronato si inserirà il suo Dna (conservato) nella cellula uovo di un suo parente stretto (magari un'altra varietà di Ibis), alla quale sarà stato tolto il nucleo. Le strutture biochimiche della cellula uovo dovrebbero seguire gli ordini del nuovo Dna e dal guscio dovrebbe emergere un Ibis coronato. E' la stessa tecnica utilizzata nel film «Jurassic Park» per far tornare in vita i dinosauri. Se nel film è l'ambra a permettere al Dna di dinosauro di conservarsi per milioni di anni, nel caso degli ibis sarà l'azoto liquido a consentirlo: si possono infatti raggiungere temperature bassissime (meno 196 C), ideali per mantenere integri per tempi lunghissimi i lembi di tessuto di questi uccelli. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, infatti, lo scopo del progetto non è quello di congelare per intero i due ibis, come in un'ibernazione, ma solamente alcuni campioni di tessuto, quasi fossero delle piccole «scialuppe di salvataggio» del loro patrimonio genetico. L'uso dell'azoto liquido, più che una scelta è stata una necessità. La tecnica della clonazione infatti, è purtroppo ancora molto lontana dal produrre gli effetti di «Jurassic Park», tuttavia il progresso delle conoscenze consente di essere abbastanza ottimisti per il futuro. L'azoto liquido insomma rappresenta l'unico modo per «spedire» ai ricercatori dei prossimi decenni il prezioso Dna. In fondo è come rinviare un'esecuzione già annunciata, sperando in una grazia futura. Sempre in Giappone, i ricercatori prevedono l'uso della stessa tecnica per altri animali in grave pericolo di estinzione, come la lontra o per creature ormai già scomparse come il Lupo giapponese, del quale si conservano pellicce ed esemplari imbalsamati con ancora del Dna utilizzabile. Secondo molti esperti, l'azoto liquido potrebbe rischiare di trasformarsi nell'unico sistema per «salvare» molte specie ormai condannate all'estinzione. Già si pensa infatti di creare delle vere e proprie «banche genetiche» contenenti embrioni, ovuli e spermatozoi delle creature più minacciate. Una sorta di «zoo del freddo» insomma. Queste strutture avrebbero molti vantaggi: innanzitutto consentirebbero di realizzare una riserva di Dna da usare in futuro per «ricreare» animali estinti. Inoltre potrebbero essere utilizzate anche oggi, per aiutare gli ultimi superstiti di molte forme in via di estinzione sparsi in una manciata di riserve naturali o in pochi zoo. Grazie a queste particolari banche, infatti, si potrebbero incrociare i Dna di due popolazioni distanti di una stessa specie per rinvigorire e fortificare il loro patrimonio genetico ed aumentare le possibilità di sopravvivenza. Naturalmente la tecnica presenta molti problemi: gli ovuli, per esempio, al contrario degli spermatozoi e degli embrioni, sono difficili da conservare. Inoltre ogni specie necessita di parametri di congelamento assai diversi, obbligando i tecnici a «regolare» gli strumenti ogni volta nel modo giusto. C'è infine un ultimo aspetto di questa tecnica che lascia perplessi molti studiosi; il pericolo di diffondere la consapevolezza che si possano salvare «artificialmente» gli animali minacciati di estinzione. In questo modo infatti verrebbe indirettamente incoraggiata la distruzione dei loro ambienti... Forse è proprio questo il vero problema della «conservazione fredda» ; a cosa servirebbe riportare in vita una tigre siberiana (ne rimangono ormai solo 200/250 esemplari) o un Ibis coronato se il loro habitat è perduto per sempre? Alberto Angela


ASTERACEE Che cattivo odore! Toglilo Crisantemi geneticamente modificati
Autore: ACCATI ELENA

ARGOMENTI: BOTANICA, GENETICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 095

LA margheritina e la grande margherita dei prati sono le più semplici rappresentanti di una vasta famiglia, quella delle Asteracee, che comprende ben 1000 generi e 14 mila specie, diffuse a tutte le latitudini. Sono piante di aspetto assai differente, ma prevalentemente di tipo erbaceo, i cui fiori sono riuniti in infiorescenze a capolino, costituite da un piccolo calice, ridotto a un esile collaretto, che talvolta può mancare del tutto, come nello Xanthium. Il fiordaliso ha soltanto fiori tubulosi, il tarassaco solo fiori ligulati. Le Mutisie, piante africane e asiatiche, hanno un solo tubo corollino (senza fiori ligulati e tubolosi), diviso in due labbra distinte, inferiori e superiori, che ricordano le labiate salvia e rosmarino. A volte la ligula può terminare con due-tre-cinque denti, come nella Lactuca virosa. Alla base della corolla si trovano, dopo la fecondazione, una serie di peli, pappi, indispensabili per il trasporto del seme, che si attacca al vello degli animali o vola leggero trasportato dal vento anche a qualche chilometro dalla pianta madre. A tutti è capitato di soffiare un capolino di tarassaco e di averne visto volare i semi lontano. Il pappo può essere formato da numerosi peli (da 60 a 200); il loro numero e struttura, di origine essenzialmente epidermica, costituiscono caratteri che facilitano la classificazione delle specie. L'androceo, l'organo maschile, consta di cinque stami uguali, concresciuti con le antere; in alcuni casi, l'antera porta come nelle calendule e nei cardi delle appendici di forma diversa che hanno il vantaggio di proteggere dall'acqua della pioggia il nettare posto inferiormente. Il gineceo è formato da due carpelli, l'ovario è infero, provvisto di un unico ovulo; lo stilo porta dei peli al di sotto dello stimma, bifido con papille. Gli stami si aprono prima che lo stimma sia maturo, così il polline esce prima che lo stimma possa raggiungerlo. A volte, ma non è la norma, può avvenire l'autofecondazione, cioè il polline di un fiore feconda il medesimo fiore. Il frutto, un achenio dotato alla sommità di un pappo, può avere forma varia, diritta e arcuata, liscia con costolature, o essere zigrinato. Tra le più comuni asteracee c'è il crisantemo, che possiede diversi tipi di infiorescenze: a fiore d'anemone, spider, con le ligule che ricordano un ragno; incurvate con le sole ligule che si sovrappongono le une alle altre come nei Turner, ricurvate con le sole ligule, ma disposte all'indietro; incurvate-ricurvate con le ligule disposte parte in avanti, parte all'indietro. Il crisantemo è un esempio di specie brevidiurna che, per fiorire, richiede la luce artificiale nei mesi invernali e l'oscuramento in quelli estivi; in questo modo viene prodotto tutto l'anno. Grazie al lavoro di miglioramento genetico ha inoltre perso l'odore sgradevole. Sono asteracee la camomilla romana (Matricaria chamomil la), la pianta usata fin dall'antichità per favorire il sonno: l'An themis nobilis, riconoscibile perché priva del capolino cavo e senza pagliette; la calendula, frequente nelle aiuole e nelle bordure, dai capolini arancioni, così chiamata perché i fiori si aprono il mattino verso le nove e si chiudono al tramonto (quindi costituirebbe una specie di calendario). In passato è stata usata a scopo medicinale per medicare ferite, contusioni, ulcere e lesioni, e in cucina per aromatizzare zuppe e stufati. L'agerato non invecchia, per la lunga durata dei suoi fiori azzurri usati come bordura nei giardini; l'Arctotis (arktos = orso e oris = orecchio), introdotta dal Sud Africa nel 1700 (sono stati ottenuti dai floricoltori inglesi molti ibridi), ha fiori gialli; l'Aster, come afferma Virgilio, «orna le are degli dei e viene posto presso le rive del Mella» e «serve per riempire canestri davanti alle porte degli alveari». Di Aster si conoscono l'elpinus, alto 15-20 centimetri, quelli perennanti a fioritura estivo-autunnale e quelli che sbocciano in primavera. Ci sono poi gli annuali: il Cal listephus chinensis, di cui si parla nell'atto IV del Don Giovanni «astri di brace, rossi e violetti nelle arcate da dove si guarda nella gola di Ronda». Il coreopsis, dal seme a forma di cimice, annuale, alto da 30 a 100 centimetri, pianta rustica e semplice da coltivare; il Cosmos, che significa ornamento, è di origine messicana, e ne esistono forme annuali e perennanti. Fra le Asteracee ci sono anche la dalia, proveniente dal Messico e dal Guatemala, che Goethe conobbe quando aveva già sessanta anni e che molto amò, tanto da abbellire il suo giardino con le specie più rare che collezionava personalmente, ricercandola presso i vari floricoltori; l'Echinops, che ricorda, con le sue infiorescenze azzurre, il riccio di mare, dalle foglie larghe, robuste e spinose; la Felicia, una pratolina azzurra dall'aspetto cespuglioso, così chiamata in onore di Herr Felix, consigliere di legazione a Regensburg; la Gaillardia, che deve il suo nome ad una danza saltata francese; la Gazania, un margheritone che viene dal Sud Africa, dedicato a Teofrasto di Gaza, umanista italiano traduttore delle opere di Aristotele e di Teofrasto (ha un colore giallo rosso tenebroso) e, infine, il girasole, Helianthuus annuus, amatissimo dalle api. Elena Accati Università di Torino




La Stampa Sommario Registrazioni Tornén Maldobrìe Lia I3LGP Scrivi Inizio