TUTTOSCIENZE 20 aprile 94


EXPLOIT IN FRANCIA Il libro della vita Letto per intero il Dna umano
Autore: RIVA STEFANO

ARGOMENTI: GENETICA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: COHEN DANIEL
LUOGHI: ESTERO, FRANCIA, EVRY
TABELLE: T. Elenco malattie con possibili cause genetiche
NOTE: 053

PRENDETE dieci copie della Recherche di Proust in lingua originale. Strappate tutte le pagine e cancellatene il numero. Tagliate ogni pagina in tante strisce orizzontali che contengano una trentina di parole, in modo da ottenerne, per ciascuna copia, qualche decina di migliaia. In ogni copia tagliate il testo sempre in punti diversi, a caso. Mischiate tutti i pezzi e... ricostruite il libro originale. L'handicap è una conoscenza solo approssimativa del francese. Mentre il trucco è osservare bene ciascun pezzo, confrontarlo con un altro simile, fino a che non trovate, come nel gioco del domino, delle sovrapposizioni che vi consentano di ordinare una frase dietro l'altra. Questo è il gioco di pazienza che Daniel Cohen ha lanciato per il 1994. Lui, francese di origini tunisine, scienziato e appassionato musicista, insieme ai suoi colleghi dell'Istituto di Ricerca Genethon e del Centro di studi del polimorfismo umano di Evry, ci è riuscito poco prima che il 1993 finisse. Il libro che ha ricostruito non è il capolavoro di Proust, ma quello straordinario dizionario biologico che contiene il destino dell'uomo: il genoma umano. Ciò che Daniel Cohen è riuscito a fare è, in termini tecnici, la costruzione di una mappa fisi ca del patrimonio genetico dell'uomo. E' un sogno che gli scienziati di tutto il mondo inseguono alacremente dal 1986, data in cui è stato ufficialmente varato negli Stati Uniti il Progetto Genoma. «Il genoma - dice lo studioso francese - è, dal punto di vista funzionale, l'insieme delle informazioni contenute nel nucleo delle cellule. Un'informazione che viene trasmessa di cellula in cellula durante la duplicazione, e di generazione in generazione durante la riproduzione degli esseri viventi. Dal punto di vista strutturale è costituito da 23 coppie di cromosomi contenute nel nucleo di ogni cellula vivente». In ciascuna coppia, un cromosoma è ereditato dalla madre, l'altro dal padre. Al microscopio assomigliano a una matassa di lana che se srotolata raggiungerebbe la lunghezza di quasi due metri. Ogni matassa è costituita dal Dna, l'acido desossiribonucleico: una lunga catena formata dalla ripetizione di sole quattro diverse molecole, dette basi nucleotidiche (adenina, citosina, guanina e timina, che i biologi molecolari sono abituati a chiamare con le loro iniziali: A, C, G, T, si tratta di un vero e proprio alfabeto genetico). L'ordine con cui queste basi si susseguono ha un significato preciso. Esse formano il codice genetico: da esso dipendono la struttura e la funzione di ogni cellula dell'organismo. Sulla lunga catena del Dna si susseguono sequenze di basi che contengono informazioni specifiche, i geni, ad altre che, almeno per il momento, non hanno alcun significato. Conoscere l'intera sequenza (tre miliardi e mezzo di basi) equivarrebbe a conoscere l'intero progetto della macchina uomo, con enormi ricadute sia dal punto di vista teorico sia da quello pratico, a cominciare da quelle terapeutiche. La conoscenza completa del genoma umano non solo faciliterebbe la ricerca dei geni responsabili delle quasi quattromila malattie ereditarie oggi note, ma rappresenterebbe anche un fondamentale passo in avanti nella conoscenza e nella prevenzione di malattie, come di quelle cardiovascolari o di alcuni tumori, per le quali esiste una predisposizione genetica. Fino a ieri si conosceva poco più del 2 per cento dell'intera sequenza del Dna umano. Di qui l'idea del Progetto Genoma statunitense che, sotto la guida del premio Nobel James Wat son (lo scopritore della doppia elica del Dna), aveva l'obiettivo di scoprire la sequenza con cui le 4 lettere dell'alfabeto genetico si susseguono lungo i cromosomi umani. Ma l'equipe di Daniel Cohen ha battuto sul tempo i colleghi americani, anche grazie agli ingenti fondi messi a disposizione dalla maratona televisiva Telethon organizzata dall'Associazione francese contro le miopatie. «Un anno fa - dice orgoglioso il genetista francese - abbiamo messo a punto quella che si può definire una carta genetica; abbiamo cioè localizzato sul genoma più di duemila punti, utili per rintracciare zone di mutazioni o di variabilità. Il risultato ricorda certe mappe del Medio Evo; si sa la posizione relativa che due città hanno fra loro, ma non si conosce la distanza effettiva che le separa. In una parola non si conosce la situazione geografica vera». Cohen, invece, è riuscito a completare la mappa precisando anche la distanza, cioè la sequenza di milioni di basi, tra una tappa e l'altra, ottenendo così una carta, questa volta fisica, del genoma dell'uomo. Per farlo ha riprodotto artificialmente i cromosomi dell'uomo all'interno di una cellula di lievito; poi li ha spezzettati a caso, così come consiglia di fare per gioco con le pagine del libro di Marcel Proust. Continua Cohen: «Abbiamo utilizzato e mischiato dieci genomi differenti ottenendo 33 mila frammenti. Per riordinarli nella giusta sequenza, in base al principio delle somiglianze e delle sovrapposizioni, ci siamo fatti aiutare da una serie di robot analizzatori del Dna unici nel loro genere. In meno di tre anni abbiamo ricostruito la sequenza di basi che costituiscono quasi il 90 per cento dell'intero genoma». Per adesso è una carta rudimentale, che può essere paragonata a quella della Terra al tempo di Cristoforo Colombo. Ma presto, assicurano i ricercatori francesi, saranno disponibili carte di seconda e di terza generazione che riprodurranno perfettamente il genoma. Nel frattempo Daniel Cohen offre a tutti gli scienziati del mondo la sua scoperta: il genoma umano è patrimonio dell'intera umanità e nessuno ha il diritto di brevettarne la paternità. Stefania Riva


IN GERMANIA I microbi si mangiano l'esplosivo
Autore: PREDAZZI FRANCESCA

ARGOMENTI: ECOLOGIA, BIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA, RIFIUTI
NOMI: LIETZ PETER, WEISSENBACH FRANZ, DAHN ANDRE', KOEHLER PETER, MITTMAIER MARTIN, KURKA MANFRED
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 053

QUALCHE anno fa in Germania avevano fatto furore i «trabicilli», quei batteri che nel giro di tre settimane riuscivano a divorare i 650 chili di materiale plastico di cui era composta la «Trabant», la piccola vettura stile Anni Cinquanta, simbolo della scomparsa Repubblica democratica tedesca (Ddr). Con l'avvento delle più moderne macchine occidentali, migliaia di «Trabant» (tutte in pura plastica) erano finite nei depositi rottami, creando un problema non indifferente di smaltimento rifiuti che si era risolto grazie a due scienziati di Treptow, Peter Lietz e Franz Weissenbach. Dopo l'attacco batterico, di una «Trabant» rimangono solamente dieci chilogrammi di massa biologica! L'aiuto dei batteri adesso promette di rivelarsi prezioso per un'altra opera di risanamento ecologico di grandi proporzioni: la decontaminazione dei terreni usati per le esercitazioni militari, il più delle volte impregnati di pericolose concentrazioni di esplosivi come il TNT (tritolo) o DNT. Parallelamente, due gruppi di ricercatori a Berlino e a Braunschweig stanno allevando dei batteri «mangia-esplosivo», per decontaminare biologicamente suoli altamente danneggiati. I terreni militari ricchi di TNT e DNT in Germania abbondano. Da una parte le fabbriche di esplosivi, ma sopprattutto le numerosissime basi militari (in particolare quelle sovietiche) hanno lasciato una pesante eredità ecologica. Il primo terreno dove verranno messi all'opera i batteri mangia-esplosivo sarà Hall schlag nella Eifel (le colline vicino a Bonn) per molti anni sede di una fabbrica di esplosivi. Si calcola che 50 mila metri cubi di terreno siano contaminati: in alcuni punti la concentrazione di nitrotoluolo è talmente alta che basta trivellare il terreno per provocare un'esplosione. Più precisamente, i simpatici organismi che prediligono il TNT o DNT sono batteri schizomiceti, in particolare le azotobatteriacee e le pseudomonacee, entrambi abitanti naturali del suolo. Questi batteri hanno la caratteristica di organicare l'azoto atmosferico e attaccano le sostanze esplosive come fonte di azoto, che sintetizzano per il proprio sviluppo. Unico neo: alcuni prodotti di decomposizione potrebbero a loro volta non essere del tutto innocui. I ricercatori di Berlino, Andrè Dahn della Consult GmbH e Peter Koehler della Forgenta, hanno presentato i risultati delle loro ricerche a Offenbach, nel corso di un convegno dedicato proprio al risanamento dei terreni utilizzati per scopi militari. Hanno utilizzato colture miste di batteri, aerobici e anaerobici, in modo da creare una comunità stabile che non abbia bisogno di ulteriore nutrimento. Dopo la prima fase (anaerobica), i ricercatori hanno ottenuto una eliminazione del 70 per cento delle sostanze tossiche. Analogo il procedimento del ricercatore Martin Mittmaier, microbiologo dell'Università tecnica di Braunschweig, che usa i batteri per eliminare biologicamente concentrazioni tossiche di idrocarburi aromatici, come benzolo, toluolo o xilene. La tecnica dei ricercatori di Braunschweig consiste nell'ottimizzare le naturali doti rigenerative del suolo. Per mezzo di tubi infilati verticalmente nel terreno si inietta nutrimento ai batteri che moltiplicandosi aumentano la loro forza purificatrice. Con questo sistema si ottengono risultati fino al 99 per cento. E' necessario però avere pazienza: a seconda del grado di contaminazione i batteri possono avere bisogno da alcuni mesi a qualche anno per completare l'opera. In ogni caso gli esperti dell'Ente federale tedesco per l'ambiente (Umwelt bundesamt) a Berlino sono ottimisti e pensano presto di applicare su vasta scala il procedimento. Il numero delle aree contaminate in Germania è altissimo e costituisce un grave problema per la nuova Germania unita. Manfred Kurka, un responsabile dell'Ente federale per l'ambiente, parla di oltre quattromila «terreni sospetti». In particolare, nelle 1026 basi militari sovietiche i danni ambientali sono quasi sempre molto pesanti. Francesca Predazzi


I geni? Pezzi di ricambio Progetti e successi delle nuove terapie
Autore: M_VER

ARGOMENTI: GENETICA, RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 053. Alterazione codice genetico

PER rassicurare chi non si sente per niente tranquillo all'idea che il codice della vita possa essere corretto, i genetisti adottano linguaggi e metafore distensive: intervenire su di un gene che non si è sviluppato bene, dicono, correggerlo in modo da ripristinarne la funzione originaria, non è contro natura. Anzi, è un processo di guarigione molto più vicino alla natura di quello che si concentra sui sintomi. E comunque, la grande macchina è ormai partita, già un centinaio di protocolli sono stati approvati e i risultati, se non convincono gli irriducibili, comunque fanno sperare i malati. Inizialmente, la terapia genica era stata sviluppata per il trattamento di malattie a carattere ereditario. Un intervento molto sofisticato nella pratica, ma semplice nella teoria: identificare il gene la cui alterazione è alla base della malattia, moltiplicarlo e sostituirlo, nelle cellule alterate, con un suo omologo funzionante. Il primo tentativo è stato fatto con una immunodeficienza congentita rarissima, l'ADA, che presentava però il vantaggio di dipendere da un unico gene. Gli interventi (un paio anche in Italia, all'Ospedale San Raffaele di Milano) si sono rivelati un successo e ora si pensa di applicare la stessa tecnica alla fibrosi cistica. Il Centro Clinico dell'Università di Pittsburgh va ancora più lontano e sta lavorando sulla distrofia muscolare, la talassemia, l'ipercolesterolemia congenita e le malattie da accumulo che colpiscono il sistema nervoso centrale (come il Morbo di Gaucher). L'idea originaria di terapia genica si è sviluppata in direzioni spesso assai diverse da quelle ipotizzate inizialmente. Oltre alle malattie ereditarie, ad esempio, oggi si pensa anche ai tumori e all'Aids, con un approccio, ovviamente, del tutto diverso. Non si tratterà infatti di sostituire un gene malfunzionante con un suo omologo funzionante. Benché siano noti diversi oncogeni, un approccio terapeutico diretto non ha grandi probabilità di successo - anche solo perché, con le tecniche attuali, non sarebbe possibile «correggere» tutte le cellule malate, e quindi l'intervento non sarebbe risolutorio. L'attacco al tumore viene sferrato quindi su un altro fronte, quello del rafforzamento del sistema immunitario, in modo che sia lui a vedersela con il «nemico». Il principio teorico è questo: inserire il gene corretto direttamente nelle cellule del tumore: esso dovrebbe modificarne la natura facendole finalmente riconoscere come estranee dal sistema immunitario, che così si attiva contro di esse. I primi tentativi sembrano confermare che effettivamente le cellule tumorali ingegnerizzate sono in grado di stimolare il sistema immunitario in modo assai più vigoroso di quanto non avvenga naturalmente nei pazienti. I ricercatori di Pittsburgh applicano i loro protocolli a forme avanzate di tumori della mammella, dell'intestino, dei reni e della pelle. La prossima frontiera saranno gli interventi sul cervello, con il Morbo di Parkinson e la demenza senile. (m. ver.)


RICERCHE IN AFRICA I dardi del dio Sole Uno studio sul rischio ultravioletti
Autore: CABIATI IRENE

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: LEONE GIOVANNI, SANTERCOLE CARMELO, PONTI ALESSANDRO, FREZZA ALDO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 054. Effetti dei raggi del sole sulla pelle

GLI adoratori del Sole lo sanno: la tintarella, soprattutto se conquistata con esposizioni intense e occasionali, può riservare brutte sorprese. Molti si premuniscono con creme protettive, doposole e cosmetici appositi. Ma ignorano quale tipo di crema usare in relazione al proprio fototipo. Il fototipo è un insieme di caratteristiche somatiche (colore degli occhi, dei capelli...) e di risposte biologiche (capacità di ottenere l'abbronzatura) che permette di definire la sensibilità alla luce solare. Chi va in montagna sa anche che il problema dell'esposizione al sole si aggrava per l'intensità dei raggi ultravioletti, che aumenta del 10 per cento ogni 1000 metri di altitudine (il filtro atmosferico va via via assottigliandosi) e viene potenziato dalla minore umidità, dal vento, dalla riflessione dei raggi sulla neve e sul ghiaccio. Le radiazioni ultraviolette sono tra le cause di alcuni tumori alla pelle. Come proteggersi? Le prove di laboratorio, dicono gli esperti, si sono rivelate non del tutto attendibili. C'è chi ha esaminato gli effetti di 30 prodotti in laboratorio e all'aperto e ha notato sensibili discrepanze. Inoltre i criteri per la determinazione del fattore di protezione non vengono specificati (la legge non lo prevede) e non sono universali. Ecco perché si tende, oggi, a completare i test di laboratorio con prove all'aperto: per questo un gruppo di specialisti e appassionati di montagna ha organizzato la spedizione scientifica «Kilimangiaro 94», sotto l'egida del Cai romano in collaborazione con l'istituto dermatologico di Santa Maria e San Gallicano di Roma. Perché in Africa? Per dare valore alla ricerca occorreva svolgerla ad alta quota in condizioni estreme. Le montagne equatoriali africane rispondono ai requisiti necessari: altitudine, intensità raggi Uv, ventilazione, elevata albedo, cioè alta riflessione di luce da parte dell'ambiente circostante. La spedizione ha scelto come primo campo di lavoro il Kilimangiaro (5895 metri) e il monte Kenya (5100). A luglio si proseguiranno le ricerche sul Monte Rosa. Il gruppo era composto da Giovanni Leone, dermatologo del S. Gallicano, Carmelo Santercole dell'Istituto di Medicina tropicale dell'Università La Sapienza e alcuni soci del Cai fra cui Alessandro Ponti e Aldo Frezza. Il corredo scientifico comprendeva mascherine di gomma telata con finestrelle di 2,5 centimetri di lato che si possono coprire con apposite strisce per fare esposizioni controllate della cute al sole. Si sono usati filtri solari e prodotti per la detersione cutanea e doposole. E vari strumenti di misurazione: igrometro, termometro, altimetro, fotometro, radiometro spettrometro, Uva meter. Come «cavie» sono stati scelti soggetti con fototipo 2 e 3 con esperienza alpinistica. Per ciascuno è stato predeterminato lo spettro della pigmentazione cutanea e la Med (minima dose eritemigena, cioè la dose di raggi Uva che produce un eritema appena percettibile all'occhio). «Il nostro scopo - precisano i protagonisti della ricerca - era di dimostrare, con strumenti adatti, che in alta montagna una Med (minima dose eritemigena) può essere raggiunta in tempi relativamente brevi. Si trattava di fare uno studio sulla valutazione di riposte biologiche». Il metodo adottato è semplice: ogni soggetto doveva esporre al sole il dorso su cui era stata messa la maschera con le finestrelle: sono stati dosati i tempi di esposizione a varie altitudini e misurate le variabili ambientali. Altri test sono stati riservati a prodotti con differenti indici di protezione. Di questi è stata anche valutata la qualità cosmetica in rapporto alle condizioni fisiche del soggetto e dell'ambiente. Il risultato più importante è che i due prodotti solari usati hanno dimostrato di possedere un indice di protezione inferiore, in media del 20 per cento, a quello calcolato in laboratorio in condizioni standard. Si è poi notato che a due ore dall'applicazione si riduce ulteriormente il fattore di protezione: il prodotto viene eliminato a causa delle condizioni climatiche e della sudorazione. In sostanza, una crema solare con fattore di protezione 10 può garantire, nella migliore delle ipotesi, un fattore pari a 8. E questo valore si riduce con il passare del tempo soprattutto se l'individuo svolge attività fisica o se si immerge in acqua. In condizioni particolari si possono applicare prodotti resistenti all'acqua, ma anche in questo campo gli accertamenti da fare sono ancora molti. E' bene, inoltre, che ognuno di noi consulti uno specialista per conoscere il proprio fototipo. Irene Cabiati


PRO & CONTRO Povere teorie senza esperimenti
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 054

L'ARTICOLO di Pietro Frè apparso su Tuttoscienze il 24 marzo mi ha subito incuriosito per il suo titolo, nel quale non mi spiace affatto identificarmi. Tuttavia non mi sento di condividere completamente la «filosofia» con cui il ruolo del fisico teorico viene interpretato. Certo le metodologie oggi sviluppate sono troppo sofisticate per consentirci di emulare i grandi del passato, come Fermi: fisici «integrali», capaci di progettare e realizzare un esperimento, e di darne poi l'interpretazione teorica. Oggi la crescente (e necessaria) specializzazione ha creato una netta scissione tra questi due ruoli, ma i maggiori successi della fisica fondamentale nascono ancora dalla stretta collaborazione tra teorici e sperimentali, com'è avvenuto per la conferma, al Cern, della teoria che unifica le interazioni elettromagnetiche e deboli: per quanto elegante e convincente, questo modello sarebbe rimasto soltanto un esercizio intellettuale senza la scoperta della radiazione debole, cioè delle particelle W e Z. Come ci ha insegnato Galileo quando ha gettato le basi della moderna ricerca scientifica. Al contrario di quanto sta accadendo per alcune delle «superteorie» di cui molti fisici teorici si sono occupati nel corso degli ultimi decenni. Mi preoccupa un po' la «ricchissima logica interna» della moderna filosofia naturale, che «non necessita di continue comparazioni con gli esperimenti». I progressi più significativi della fisica sono nati, sì, dalla capacità di astrazione e di generalizzazione dei fenomeni osservati, ma senza mai dimenticare completamente l'obiettivo di voler spiegare quanto, della natura, è a nostra conoscenza. E dalla capacità di utilizzare nuovi strumenti matematici per ricercare la semplicità di fenomeni complessi. E, d'altronde, nel passato la ricchezza innovativa della natura ha quasi sempre sopravanzato la capacità di generalizzazione degli scienziati. Se la soppressione dell'acceleratore americano Ssc sia stata un bene o un male per la fisica fondamentale potranno dirlo soltanto gli sviluppi futuri: consolarsene pensando che essa favorisce il progetto europeo, Lhc, può essere una visione miope delle cose, che non riconosce un fatto innegabile: i finanziamenti per la ricerca fondamentale sono stati ridotti (e non sembra probabile che vengano dedicati ad altri progetti, magari più interessanti) anche perché i fisici che se ne occupano non sono stati abbastanza convincenti nel mostrare che la loro non è pura curiosità intellettuale. Mi sembra rischioso proporre un'equiparazione dei fisici «fondamentali» ai letterati e agli artisti. Questa non è certo stata la visione scientifica del passato, formalizzata a partire dalla lezione galileiana e riconosciuta da chiunque si applicasse alla natura, in opposizione alle procedure della tarda scolastica; facciamo pure i filosofi, ma allora si sappia che rinunciamo alla visione galileiana. Può darsi sia un bene: ma quale «pensatore» avrebbe costruito la meccanica quantistica, sulla cui consistenza logica si discute ancora oggi? Non vorrei si dimenticasse che la fisica teorica attende risposte concrete e nuovi quesiti non soltanto dai grandi acceleratori, ma anche da tutte le osservazioni di carattere astrofisico. E quale maggiore laboratorio dell'universo che ci circonda? Ma per conoscerlo occorre anche qui uno sforzo finanziario per la creazione di strumenti adeguati, e il costante interesse dei fisici teorici nel suggerire le domande alle quali l'esperimento «può» effettivamente dare una risposta. In conclusione ancora un commento sul titolo: credo che non sarebbe un male per la fisica teorica se ci si ricordasse ogni tanto che la «fisica», oltre allo studio delle interazioni fondamentali, comprende una gamma assai più ampia di interessi, dalla fisica degli stati condensati a quella dei plasmi, e che le complessità dei sistemi macroscopici hanno spesso stimolato il fisico alla ricerca di simmetrie, poi utilizzate anche a livello fondamentale. Wanda Alberico Università di Torino


IN BREVE Settimana della Scienza
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 054

E' in corso la Settimana della cultura scientifica: 700 iniziative divulgative in tutt'Italia. A Torino partecipano, tra gli altri, il Museo del Cinema, la Rai, gli istituti del Cnr, il Politecnico e vari istituti universitari. Altre iniziative a Cuneo, Saluggia, Asti, Novara, Biella, Bra, Pino.


IN BREVE Automedicazione (ma responsabile)
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 054

Da lunedì nelle 16 mila farmacie italiane è stato distribuito un poster per diffondere tra il pubblico le informazioni essenziali per una automedicazione responsabile dei piccoli disturbi della salute attraverso i farmaci da banco, un mercato, nel 1993, di oltre 1300 miliardi, con un prezzo medio di 7000 lire a confezione. L'iniziativa è di Assosalute (Federchimica).


IN BREVE Tra natura e architettura
ARGOMENTI: ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 054

Si inaugura domani alla Mole Antonelliana di Torino «Architectura e Natura», prima mostra su progetti architettonici e design visti nella prospettiva ecologica solennemente affermata dagli accordi internazionali sottoscritti alla Conferenza di Rio. Rimarrà aperta fino al 3 luglio: ne parleremo presto.


IN BREVE Un po' di Luna a Torino
ARGOMENTI: TRASPORTI, MOSTRE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 054

Dal 22 aprile al 1 maggio, al Lingotto, in occasione del Salone dell'auto di Torino, saranno esposti il fuoristrada lunare e numerosi cimeli dello sbarco sulla Luna, a 25 anni dalla storica impresa. La mostra, «Our Time in Space», ha come sponsor la Omega, che fornì gli orologi usati dagli astronauti.


IN BREVE Paul Watzlawick venerdì a Milano
ARGOMENTI: PSICOLOGIA, INCONTRO
NOMI: WATZLAWICK PAUL
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 054

Paul Watzlawick, scrittore e docente di psichiatria all'Università di Stanford e fondatore del'Istituto per la ricerca sulla mente di Palo Alto, sarà venerdì a Milano per illustrare, presso il Circolo della Stampa (corso Venezia 16, ore 11,30) gli ultimi sviluppi dell'approccio sistemico alla psicoterapia.


IN BREVE Musei scientifici Quale futuro?
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 054

Nella sede centrale del Cnr, a Roma, piazzale Aldo Moro, sabato si terrà una giornata di studio sul tema «Percorsi del sapere: quale museo della scienza per il futuro». Intervengono il ministro Colombo, Antonio Ruberti, Giulio Giorello, Vittorio Silvestrini.


MULTIMEDIALITA' L'anatomia sta tutta su un dischetto Dilagano anche in Italia i Cd-Rom di argomento scientifico
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, INFORMATICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 054

E'scienza ed è videogioco, è studio ed è divertimento. Del resto gli psicologi ci hanno insegnato che non c'è niente di più serio che giocare. Immagine, suono e parola scritta: tre mezzi di comunicazione alleati per portare un solo messaggio istruttivo e divertente. Stiamo parlando dei Cd-Rom, i dischetti ottici in tutto simili a quei Cd audio ai quali è affidata, ormai quasi in esclusiva, la nostra discoteca. L'anno scorso, tra i primi in Italia, abbiamo rotto noi il ghiaccio producendo due Cd- Rom che contengono 12 annate di «Tuttoscienze», qualcosa come quindicimila articoli tra i quali il lettore può navigare con la bussola della parola- chiave che gli interessa: atomo, ozono, gazzella o qualsiasi altro tema che abbia che vedere con la scienza. Si trattava, in fondo, di un buon ibrido tra il libro e il nuovo strumento che la tecnologia informatica mette a disposizione. Ma ora è una valanga di Cd-Rom scientifici, a colori e con varie possibilità di interazione, che spaziano dall'anatomia alla natura, dall'astrofi sica alla biologia. Li distribui sce, o li produce in proprio, la Mge Communications di Roma, che pubblica anche, dirette da Santo Strati, tre riviste mensili dedicate al nuovo universo dei computer e della multimedialità: una per il sistema Macintosh, una per il sistema Windows e una, «Cd-Rom Magazine», interamente mirata ai dischi ottici. Qualche esempio di ciò che offre il mercato dei Cd-Rom scientifici. Un atlante del corpo umano è l'ultima novità arrivata in Italia dal Regno Unito: 849 immagini di anatomia umana, 228 di anatomia neonatale, 60 di embriologia, 288 di istologia, 800 di istopatologia, 800 pagine di testo, 7500 termini accessibili dal computer. Per gli studenti, un modo nuovo e gradevole di prepararsi agli esami; per i medici, un prezioso strumento di consultazione. Cambiamo settore. «Life Map» tratta l'evoluzione biologica in tre compact multimediali per sistema Macintosh: il modo più simpatico per fare conoscenza con Darwin. «Bird of Europe» scheda tutte le specie di uccelli europei e ha parti filmate e sonore che propongono quiz. «Ocean Life» vi offre una immersione tra pesci esotici. Dalla natura al cosmo: «Space: a visual history» è un Cd- Rom che riassume la storia dell'astronautica, dai primi voli suborbitali alla stazione spaziale ora in progetto. Per vedere meglio ciò che le sonde spaziali hanno scoperto, eccovi tre Cd- Rom della Mge Communications che raccolgono le immagini dei pianeti riprese da sonde spaziali della Nasa: Giove, Saturno e Urano nel primo volume, Nettuno e i suoi satelliti nel secondo e Marte nel terzo. Se poi volete anche distrarvi, su tutt'altro fronte, magari ancora anatomico ma non esattamente scientifico, vi consiglio «Click! Il gioco», primo libro su Cd-Rom del celebre disegnatore erotico Milo Manara. Scherzi e scienza a parte, i titoli disponibili sono ormai decine di migliaia, per ora quasi tutti con testo in inglese, cosa facilmente spiegabile se si ricorda che negli Stati Uniti ci sono ormai 7 milioni di lettori di Cd-Rom mentre in Italia siamo a poco più di 50 mila. Olivetti e altre aziende incominciano però a produrre personal computer che incorporano lettori di Cd-Rom e Cd audio nonché altoparlanti Hi Fi: ciò modificherà presto la situazione. Entro qualche anno anche da noi i Cd-Rom saranno oggetti comuni. Almeno quanto i libri. E forse di più. A proposito del rapporto tra libri e Cd-Rom, un'ultima osservazione. Multimedialità oggi è una parola magica: piace agli intellettuali, che vi riconoscono un nuovo strumento di espressione, piace all'industria elettronica, che guarda a un mercato, e piace a chi si occupa di didattica, perché gli strumenti multimediali sono ciò che più assomiglia a un maestro in carne e ossa. Ma non c'è una reale competizione tra libro e multimedialità. Sono due modi diversi di leggere. Il Cd- Rom ci dà immagini in movimento, suoni, testi. Ma vincola all'uso di una macchina ingombrante. Il libro richiede soltanto una macchinetta che ognuno porta già con sè: il cervello. Piero Bianucci


A MILANO Un centro per la ricerca chimica Consegnati lunedì i premi «Un futuro intelligente»
Autore: T_S

ARGOMENTI: CHIMICA
ORGANIZZAZIONI: CIRC
LUOGHI: ITALIA, MILANO (MI)
NOTE: 054

SI chiama Centro per l'innovazione e la ricerca chimica (in sigla, Circ) ed è una creatura appena nata dal seno della Federchimica. Tre gli obiettivi: orientare la ricerca pubblica e universitaria, agevolare il trasferimento di tecnologie tra ricerca pubblica e privata, assistere le imprese, soprattutto quelle di minori dimensioni, offrendo loro un supporto che dia accesso alle ultime acquisizioni della ricerca. Ha dato l'annuncio lunedì a Milano, al Museo della Scienza, Benito Benedini, presidente di Federchimica, aprendo la cerimonia per la consegna dei premi «Un futuro intelligente», giunti alla sesta edizione. Quasi contemporaneamente, Umberto Colombo, ministro dell'Università del dimissionario governo Ciampi, varava un Programma nazionale di ricerca che partirà nel 1995 e per il quale è già stanziata la somma di 270 miliardi: una eredità senza dubbio preziosa per il governo che verrà. Come sta la chimica italiana, dopo gli anni d'oro legati al premio Nobel Natta, il padre di polimeri plastici che hanno cambiato lo stile di vita in tutto il mondo? Abbastanza bene, se si guarda all'esito del premio «Un futuro intelligente», al quale sono affluiti 200 lavori di altrettanti concorrenti. Il premio della Federchimica si divide in varie sezioni. Le più significative per valutare la competitività della chimica italiana sono quella riservata ai ricercatori e quella riservata ai laureandi e laureati in chimica. Qualche segnalazione per la sezione ricerca: Gabriele Centi (Università di Bologna) è stato premiato per aver ideato catalizzatori che depurano emissioni gassose inquinate, Carlo Dossi (Università di Milano) per il suo approccio molecolare ai catalizzatori metallici in zeoliti (un settore oggi molto di moda), Claudio Luchinat (Università di Bologna) per i suoi studi teorici, Gian Domenico Sorarù (Università di Trento) per la realizzazione di nuovi film ceramici, Federico Arcamone per aver creato un nuovo tipo di farmaci antitumorali. Passando ai giovani chimici, si segnalano, tra gli altri, Laura Cermenati di Torino, autrice di una tesi sull'azione chimica dei raggi ultravioletti in particolari reazioni tra chetoni aromatici e composti organometallici, Silvia Contadini di Roma, Guglielmo Condorelli di Palermo, Filippo Minutolo di Pisa. Nella sezione giornalistica sono stati premiati Piero Bianucci per aver promosso la divulgazione chimica su Tutto scienze, Giuliano Papalini dell'Agenzia Italia, Alessandra Lombardi de Il Salvagente e Alberto Girelli. (t. s.)


FARFALLE ELICONINE Occhio, che t'avveleno Colori bellissimi e una gran testa
Autore: STELLA ENRICO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI
NOMI: MORETTO ENZO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 055

TRASFERIRSI nelle foreste del Brasile o in Costa Rica per osservare a tempo pieno le Heliconiinae è un'esperienza entusiasmante. Sono una settantina le specie di farfalle neotropicali che compongono questa sottofamiglia di ninfalidi, cugine lontane delle nostre vanesse, le cui caratteristiche biologiche e comportamentali sono esclusive. Dato il loro facile adattamento agli ambienti chiusi, certe indagini possono svolgersi anche in serre climatizzate, come nella «Butterfly Arc» di Montegrotto Terme (Padova) dove il direttore, l'entomologo Enzo Moretto, ne sta studiando gli assembramenti notturni e i possibili rapporti sociali. Chi ha esaminato anche un solo esemplare non lo dimentica più. Le ali strette e lunghe hanno un'apertura che oscilla fra i sei e i dieci centimetri. Le dimensioni del capo, in risalto sul corpo sottile (associate a buona memoria e capacità di apprendimento) inducono a pensare a un sistema nervoso più evoluto mentre i grandi occhi composti assicurano un'eccellente vista. La colorazione vivace, rossa, arancione o gialla, su fondo nero, e il volo lento e tranquillo rivelano in modo inequivocabile che le eliconine non temono gli uccelli predatori, anzi li sfidano con l'esibizione della tavolozza alare. Molti di questi lepidotteri hanno sapore ripugnante e sono velenosi: negli Heliconius, per esempio, si è scoperta la presenza di glicosidi cianogeni, forse assimilati con la dieta larvale a base di passifloracee. Ma anche le specie gradevoli al palato e prive di sostanze tossiche possono sfoggiare livree identiche a quelle delle parenti disgustose; gli uccelli che hanno già fatto uno spiacevole assaggio, eviteranno per sempre quei colori. Allo stato adulto la maggior parte delle farfalle diurne vive poche settimane, tanto che le femmine, dopo l'accoppiamento, non tardano a liberarsi delle uova. Invece il genere Helico nius comprende lepidotteri longevi, ed è questa una sorpresa per i ricercatori che, dopo avere registrato sopravvivenze di oltre sei mesi, con attività riproduttiva costante fino alla vecchiaia, si sono messi in moto per carpirne il segreto. Ebbene, sembra ormai certo che l'elisir di lunga vita sia il polline, alimento proteico ricco di aminoacidi essenziali, che queste ninfalidi riescono a ingerire. Le altre farfalle che frequentano i fiori si nutrono quasi tutte esclusivamente di nettare, cioè di una soluzione zuccherina; infatti la loro proboscide, o spiritromba, che funziona come una cannuccia per bibita, è incapace di assumere cibi che non siano liquidi. Lawrence E. Gilbert, del Dipartimento di Zoologia dell'Università del Texas, ha seguito per anni gli Heliconius nelle originarie foreste pluviali dell'America centro-meridionale, integrando le osservazioni nelle serre allestite presso i laboratori di Austin. Quando un'eliconina visita un singolo fiore di lantana, per succhiarne il nettare impiega appena tre secondi, ma se decide di raccoglierne anche il polline, vi si sofferma per una decina di minuti. Per conseguire lo scopo la farfalla sfrega, con piccoli colpi a scosse, l'apice della proboscide sulle antere, cioè sulle parti maschili del fiore, cariche di polline; questo alimento, costituito da minuscoli granelli, si ammassa a poco a poco sulla faccia ventrale della spiritromba, vicino alla testa. Poi viene inumidito e mescolato lentamente con una gocciolina di nettare; l'operazione si completerà entro alcune ore ed è caratterizzata dal ripetuto avvolgersi e svolgersi della proboscide, simile a una molla di orologio. Ne risulta una spuma giallastra, pronta finalmente per essere ingerita. In questo genere di farfalle l'apice della spiritromba è ricco di papille che funzionano non soltanto come organelli sensoriali, ma anche da spazzolino per la raccolta dei granuli pollinici. Per riprodursi, gli insetti hanno bisogno di proteine; le femmine non potrebbero portare a maturazione le uova senza un adeguato introito di composti azotati con la dieta. I lepidotteri, che assumono soltanto nettare, riescono ugualmente a generare figli grazie alle riserve proteiche accumulate nell'organismo dai voracissimi bruchi. Tali scorte però si esauriscono presto dopo la metamorfosi; ecco perché molte specie devono affrettarsi a scaricare l'intero prodotto degli ovari, nel corso dei primi giorni. Quando le uova di una femmina sono raggruppate insieme, il rischio di un incidente, come l'attacco predatorio o parassitario, le coinvolge tutte. Se invece a una farfalla è concesso di distribuirle nel tempo e nello spazio, aumentano le probabilità che almeno una parte dei piccoli, non coetanei e sparpagliati su piante diverse, riescano a sopravvivere. Questa chance è riservata proprio agli Heliconius che si procurano continuamente gli aminoacidi necessari per prolungare la funzione riproduttiva. Gilbert ha osservato che la loro deposizione quotidiana di uova è modesta (da uno a quattro), ma si mantiene costante fino a un tempo massimo di 182 giorni, con il risultato complessivo di una prolificità maggiore rispetto ad altre specie. La ricerca dell'alimento proteico impegna molto queste farfalle, soprattutto le femmine, che cominciano a raccoglierlo di buon mattino. Nel loro ambiente ne esistono fonti cospicue, ma sparse: si tratta di cucurbitacee parenti dei nostri cocomeri, che fioriscono ininterrottamente per periodi che vanno da sei mesi a tre anni. Queste piante rampicanti sono dioiche, cioè a sessi separati: alcune portano soltanto fiori maschili; altre, più rare, fiori femminili. Perciò l'intervento di un animale pronubo, capace di portare lontano l'elemento fecondatore, è indispensabile. E' facile immaginare come tra angurie e farfalle si sia stabilito, nel corso dell'evoluzione, uno stretto rapporto da cui pianta e insetto traggono mutuo vantaggio. Le infiorescenze maschili sono straordinariamente ricche e i singoli componenti si aprono in regolare successione, assicurando una continua disponibilità del prodotto. Nell'erbario del «Chicago Field Museum of Natural History» è conservata un'infiorescenza di Anguria grandiflora in cui si contano i resti di 410 fiori e almeno 35 boccioli: una fabbrica alimentare in grado di fornire polline e nettare per un anno intero! Enrico Stella Università di Roma


BIOTECNOLOGIE In quattro anni una pianta nuova Pomodori, il marcatore dice se l'incrocio è buono
Autore: MALUSA' ELIGIO, MARCHESINI AUGUSTO

ARGOMENTI: GENETICA, BOTANICA, AGRICOLTURA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 055

IL miglioramento genetico delle piante punta alla produzione di nuove varietà coltivate ed è un importante settore della ricerca in agricoltura. Obiettivo di questi studi sono una miglior qualità e un aumento delle produzioni agricole. Il lavoro è però rallentato dalla lunghezza del ciclo vegetativo delle piante, specialmente di quelle arboree; bisogna attendere anche decine di anni prima di ottenere una nuova varietà migliorata, perché il metodo classico utilizzato è l'incrocio. Un valido aiuto è offerto dalla biologia molecolare con lo studio del Dna. La ricerca dei geni ha permesso, per numerose piante di grande importanza economica come riso, mais e pomodoro, di identificare la loro posizione fisica sui cromosomi. Sono state quindi create «mappe» dei cromosomi dove sono localizzate sia le sequenze dei geni, sia le sequenze dei marcatori genetici. Questi ultimi sono costituiti da sequenze nucleotidiche che precedono o seguono i geni e di cui non si conosce la funzione, o sono porzioni del Dna che non codificano alcun carattere. Essendo più semplice individuare un frammento di Dna o marcatore genetico piuttosto che un gene intero, lo studio di questi marcatori è estremamente importante per l'analisi genetica. Di tali sequenze conosciamo la struttura o alcune peculiarità: ad esempio, la presenza di un certo numero di siti detti di «restrizione». Dal punto di vista molecolare, i primi marcatori sono derivati dalla ricerca dei Rflp (polimorfismi della lunghezza dei frammenti di restrizione). Con questo metodo si procede a tagliare il Dna con enzimi specifici, che riconoscono una precisa sequenza. La presenza di siti di restrizione fa sì che il Dna venga tagliato in vari frammenti che sono quindi evidenziati mediante l'uso di isotopi radioattivi. Comparando il numero e il tipo di frammenti ottenuti dall'analisi di individui diversi, si riesce a evidenziare differenze, cioè polimorfismi, tra le piante. Questi polimorfismi costituiscono i marcatori e vengono localizzati sulla mappa dei cromosomi applicando le normali elaborazioni della genetica classica. Un'altra classe di marcatori genetici è derivata dall'applicazione di un metodo recentissimo detto Pcr (reazione di polimerizzazione a catena). Tale tecnica permette di produrre una quantità misurabile di Dna, partendo da una sequenza nota anche di soli dieci nucleotidi e da una singola molecola di Dna. E' evidente l'importanza che queste metodologie hanno per il miglioramento genetico. Infatti è possibile, già nei primissimi stadi di sviluppo delle piante ottenute da incrocio, valutare quelle che contengono il gene miglioratore che si intende introdurre per produrre la nuova varietà cercando il marcatore ad esso associato. Così si possono subito eliminare gli individui che non servono perché privi del gene miglioratore, risparmiando sullo spazio necessario per l'analisi delle nuove piante e sui tempi. Per migliorare nel pomodoro un determinato carattere sono bastati quattro anni anziché i dieci-dodici necessari con i metodi classici. Eligio Malusà Augusto Marchesini Istituto sperimentale per la nutrizione delle piante, Torino


STUDI SULLA NICOTINA Se le sigarette fossero un farmaco...
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 055

Ese negli Stati Uniti le sigarette venissero classificate come medicine e come tali sottoposte alla regolamentazione dell'ente preposto che è la Fda, Food and Drug Administration? Finora la Fda ha concesso che le sigarette siano in vendita per procurare un piacere e non per soddisfare una tossicodipendenza. Se si dimostrasse che la nicotina procura una vera dipendenza fisica e psicologica, allora si cadrebbe nella definizione di droga o per lo meno di prodotto farmaceutico. Secondo una recente accusa fatta all'industria del tabacco, le sigarette verrebbero confezionate in modo da somministrare la dose di nicotina necessaria per mantenere il desiderio del fumatore e renderlo come tale «drogato». L'industria del tabacco ha fatto causa alla Abc e chiesto milioni di dollari di risarcimento. La Fda si è però detta pronta a rivedere la classificazione delle sigarette se venisse dimostrato che producono una vera assuefazione con dipendenza. Intanto il New England Jour nal of Medicine pubblica i risultati di un'indagine clinica eseguita in Gran Bretagna da otto diversi laboratori e ospedali sull'effetto della nicotina in malati di colite ulcerosa. La notizia che la somministrazione di nicotina, per via transcutanea con un cerotto, migliora le condizioni di tali ammalati non è così sorprendente. Si sa da tempo che la maggior parte dei pazienti affetti da colite ulcerosa non sono fumatori e che nei fumatori questa insorge qualche anno dopo che hanno smesso di fumare. Tra i pazienti che continuano a fumare si avverte una diminuzione dei sintomi. Finora si trattava solo di osservazioni individuali, non dimostrate in uno studio rigoroso. I clinici inglesi hanno scelto 72 individui affetti da colite ulcerosa e li hanno divisi in un gruppo di controllo (cerotti senza nicotina) e in un gruppo trattato con cerotti di nicotina. Diciassette pazienti trattati con nicotina tra i 35 dimostrano un chiaro miglioramento sintomatico e 9 dei 37 del gruppo placebo un miglioramento modesto. La colite ulcerosa è una malattia cronica caratterizzata da ulcere ed emorragie del colon. La terapia attuale non è molto soddisfacente, basata com'è essenzialmente su due farmaci, i corticosteroidi e la mesalamina, non bene tollerati da molti pazienti e con risultati relativamente brevi. E' quindi possibile che, se lo studio inglese verrà confermato, si pensi seriamente a considerare la nicotina o un suo derivato come una nuova possibilità terapeutica. Un'altra notizia importante sull'effetto benefico della nicotina è stata riportata in diversi studi di carattere epidemiologico sulla malattia di Alzheimer, i quali dimostrano una percentuale minore di malati di Alzheimer tra i fumatori. Una recente statistica europea definisce più precisamente la differenza tra fumatori e non fumatori. Si tratta di un effetto ritardante sulla malattia fino a 4 anni. Sull'esordio dei sintomi clinici in chi ha fumato per almeno dieci anni un determinato numero di sigarette al giorno. Purtroppo l'effetto è proporzionale entro certi limiti al numero di sigarette con effetti chiaramente evidenti solo ai consumi più alti (20-40 sigarette al giorno). Si tratta quindi dei limiti entro i quali è stata documentata una chiara attività cancerogena polmonare da parte del fumo. L'effetto benefico sarebbe dovuto alla stimolazione dei ricettori nicotinici cerebrali da parte della nicotina. Una ditta farmaceutica americana presenterà tra poco dati sui farmaci ad azione nicotinica sulla memoria e sull'Alzheimer. questi dati, interessanti per eventuali usi terapeutici della nicotina, non diminuiscono affatto la pericolosità del fumo. Ezio Giacobini Università del Sud Illinois


UNO STRANO COLLASSO E' mal di testa oppure infarto? Sindrome da estinzione rapida della crisi emicranica: sintomi insoliti
Autore: DEL PONTE EZIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 055

NON sempre esiste un rapporto diretto fra gravità dei sintomi ed entità del danno (anatomico). Un esempio tipico è l'emicrania, nella quale, anche dopo le più violente crisi di mal di testa, è pressoché costante il ripristino dell'efficienza abituale. Previsioni ampiamente favorevoli, dunque, non solo per il dolore ma anche per i disturbi che lo accompagnano e che, in altre circostanze, farebbero prospettare un'evoluzione non altrettanto benigna. E' il caso della «Sindrome da estinzione rapida della crisi emicranica», così detta perché si manifesta in alcune forme di emicrania senz'aura (la forma più comune di mal di testa), di solito all'inizio della fase di estinzione del dolore alla testa. Esordisce con irrequietezza e agitazione improvvise e immotivate, che si accrescono a poco a poco fino a indurre vero e proprio panico, e sfociano in una morsa dolorosa al petto, con sensazione di morte imminente e certa: un quadro clinico che crea nel paziente un giustificato allarme e molti dubbi sulla possibilità di un completo recupero psico-fisico. Tuttavia, a oltre vent'anni dal primo episodio, alcuni pazienti conducono una vita perfettamente normale (emicrania permettendo), senza mostrare segni di danno cardiaco, pur praticando attività sportive di un certo impegno. La sindrome è stata osservata più frequentemente in seguito all'assunzione di medicamenti antiemicranici ad azione rapida e intensa, ma può comparire anche con analgesici da banco. Più che con il tipo di farmaco, sembra in rapporto con la rapidità di estinzione dell'emicrania. L'angoscia e la sensazione di mancamento si protrae per 15/40 minuti, dopodiché in pochi minuti la crisi si estingue lasciando il paziente spossato. Si differenzia dall'insufficienza coronarica acuta organica (cioè l'infarto miocardico o l'angina di petto) in base all'estremo coinvolgimento emotivo in confronto alla mancanza di segni oggettivi a carico dell'apparato cardiovascolare e alla negatività dell'elettrocardiogramma (è dunque necessario che la diagnosi sia confermata dal medico) e nel fatto che il paziente sembra trovare sollievo più nel movimento che nella quiete. Naturalmente è indispensabile la presenza della crisi emicranica immediatamente prima o all'inizio dei disturbi. Un'altra caratteristica interessante, notata in queste forme e assente nelle forme coronariche organiche, è il moderato senso di euforia che manifesta il paziente in uscita dalla crisi. L'interpretazione più immediata è che essa dipenda dalla constatazione dello scampato pericolo e dal recupero del proprio equilibrio sensoriale. Tuttavia nei casi in cui la sintomatologia ha interessato le donne, è stata colta una certa analogia con i primi momenti dopo il parto. Il fatto non poteva non evocare implicazioni sulla possibilità di un meccanismo patogenico comune, che è stato individuato nella persistenza nell'uno e nell'altro caso degli effetti di un'attivazione di meccanismi biochimici a funzione antidolorifica e riequilibrante. E' un quadro che richiede l'intervento medico, sia per la diagnosi sia per la cura. Tuttavia, nell'attesa, un'azione rassicurante da parte di chi assiste e la somministrazione di un blando ansiolitico non possono provocare danni. In mancanza d'altro, due dita di whisky sono un rimedio antico e in complesso valido. Ezio Del Ponte




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