TUTTOSCIENZE 26 gennaio 94


DURRELL SCRITTORE Per chi vuol saperne di più
PERSONE: DURRELL GERALD
NOMI: DURRELL GERALD
LUOGHI: ESTERO, GRAN BRETAGNA, ISOLA DI JERSEY
NOTE: 013

Gerald Durrell, fratello del più famoso Lawrence, anche lui scrittore, ha raccontato in una serie di libri la sua carriera di etologo, da quando - bambino di pochi anni - sognava di avere uno zoo tutto suo, fino alla fondazione del Trust ed alle spedizioni in tutto il mondo alla ricerca di animali in pericolo di estinzione. Di questi libri - una ventina in tutto - i seguenti sono tradotti in italiano: La mia famiglia e altri animali (Adelphi), Luoghi sotto spirito (Adelphi), L'uccello bizzarro (Garzanti), Coccodrilli, danze e tamburi (Garzanti), L'aye aye ed io (Garzanti). L'indirizzo per informazioni, adozioni di animali, offerte di volontariato e richieste di ammissione al Trust e al Dodo Club è: The Trust Secretary, Jersey Wildlife Preservation Trust, Les Augres Manor, Trinity, Jersey, British Channel Islands.


JERSEY Più che un'isola, un'arca di Noè
Autore: KRACHMALNICOFF PATRIZIA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ETOLOGIA
NOMI: DURRELL GERALD
ORGANIZZAZIONI: WILDLIFE PRESERVATION TRUST
LUOGHI: ESTERO, GRAN BRETAGNA, ISOLA DI JERSEY
TABELLE: C.
NOTE: 013

L'ISOLA di Jersey appartiene a un piccolo arcipelago di 5 isole che gli inglesi chiamano Channel Islands e i francesi Iles Normandes, in quanto si trovano non propriamente nella Manica ma nella baia di Saint-Malo, a poche miglia dalla costa francese. Jersey è nota soprattutto per la sua razza di mucche pregiate, per i tessuti e i pullover che ne hanno assunto il nome e per essere un paradiso fiscale sede di innumerevoli società. Ma quest'isoletta (116 chilometri quadrati) ha ancora un'altra attrazione: ospita il famoso Wildlife Preservation Trust fondato da Gerald Durrell, con il suo zoo unico al mondo. Il quartier generale del Trust, nato nel 1963 e situato a Les Augres Manor, è oggi il centro di un'organizzazione mondiale il cui scopo è la conservazione delle specie in pericolo di estinzione, attraverso programmi di riproduzione ben controllati e ricerche approfondite sulle esigenze degli animali nel loro habitat naturale, oltre a discussioni e negoziati con i vari governi affinché queste specie siano protette e salvate. In parole povere, l'equipe del Trust si reca nei Paesi dove è più probabile trovare animali in pericolo di estinzione, vuoi per la caccia, vuoi per la distruzione delle foreste, ne cattura alcune coppie e le porta a Jersey, dove cerca di farle riprodurre, offrendo loro condizioni quanto più possibile simili a quelle naturali, oltre naturalmente all'assoluta mancanza di pericoli. A riproduzione avvenuta, di solito alla seconda generazione, alcune coppie vengono riportate in patria e aiutate a reinserirsi nel loro ambiente naturale. Sembra facile? Non lo è, e chiunque visiti quel posto incredibile che è lo zoo di Durrell non mancherà di rendersene conto. Il nome «zoo» è usato per comodità e per la mancanza di un termine più adatto; in realtà questo enorme, splendido territorio non ha nulla in comune con gli squallidi e tristissimi giardini zoologici cui siamo abituati fin dall'infanzia. E' vero che gli animali sono - per forza di cose - prigionieri, ma la prigione è resa quanto più possibile confortevole e simile alla natura. Quando è possibile, non ci sono sbarre nè gabbie, ma solo ostacoli naturali come fossati o ruscelli, che servono da deterrenti alla fuga; ad ogni animale sono fornite le piante di cui è circondato nel suo habitat, oltre a qualche altra con cui può fare interessanti esperimenti: i gorilla, per esempio, hanno nel loro territorio magnifici cespugli di more, da cui piluccano con entusiasmo. Affinché gli animali non perdano la memoria storica di come procurarsi il cibo, questo viene spesso nascosto in posti dove l'animale deve andarlo a cercare e tirarlo fuori con qualche sforzo, mantenendo così in esercizio le sue facoltà più essenziali. Niente acrobazie e spettacoli da circo: allo zoo di Jersey vige il rispetto assoluto della dignità di ogni animale, e il visitatore si accorge subito che questo è un sentimento profondamente sentito da tutto lo staff. Anche il pubblico, ovviamente, deve adeguarsi. E' rigorosamente proibito dar da mangiare agli animali, così come è proibito toccarli; a questa proibizione è più difficile obbedire, e quando i sorveglianti voltano le spalle non è raro vedere un tenerissimo lemure del Madagascar che si fa grattare la pancia con aria voluttuosa. Ritornando ai gorilla, che sono tra gli animali più interessanti, si può assistere in questo periodo a un affascinante processo di inserimento: un nuovo, giovane gorilla, arrivato da uno zoo americano, deve prendere il posto, in mezzo alle femmine ed ai piccoli, del vecchio Jumbo, morto qualche mese fa. Come molti sanno, l'ingresso di un animale in un territorio è alquanto difficile, spesso violento e sempre regolato da leggi ben precise. In questo caso, il gorilla «nuovo» è stato tenuto per un certo periodo a distanza dal territorio delle femmine, in modo che queste potessero sentirne l'odore senza vederlo, e cominciare ad abituarsi; poi è stato spostato in modo che potesse essere visto, ma non avvicinato, e suscitare così qualche curiosità, e dopo vari gradi di avvicinamento è stato finalmente messo nella valletta che ospita le femmine. Dopo l'inevitabile ostilità iniziale, è stato «adottato» ed ora c'è una gorillina che sembra particolarmente interessata. Lieto fine? Si spera, perché l'atteggiamento di tenerezza di mamma gorilla con i suoi piccoli è uno spettacolo che tutti dovrebbero vedere almeno una volta. Gli animali, così ben tenuti e curati, rispondono nel migliore dei modi: sono belli, sani e poco nevrotici. Siamo distanti anni luce, per fortuna, dal triste spettacolo del povero leone vecchio e tarlato che misura nervosamente i tre metri per due di gabbia in cui è imprigionato. Ma chi sono gli ospiti di questo zoo così anomalo? Ci sono gli animali più inaspettati: chi penserebbe di trovare in uno zoo cavalli e piccioni? Eppure sono entrambi presenti; i cavalli sono i cavalli della Mongolia, gli unici cavalli allo stato brado ancora esistenti e dotati, pare, di un pessimo carattere, mentre il piccione è il piccione rosa dell'isola Mauritius, di cui restano meno di 20 esemplari in natura. Altri animali presenti sono il pipistrello di Rodrigues, il rospo-levatrice di Maiorca, il brutto e simpatico babirussa, il leopardo delle nevi, l'iguana giamaicano e la tartaruga dal piede rosso, il boa di Round Island e la gru coronata e tanti, tanti altri, uniti da un unico denominatore comune: l'imminente pericolo di estinzione. Le star dello zoo sono i lemuri del Madagascar, animali antichissimi e miti, presenti solo nell'isola africana, dove rischiano l'estinzione in parte a causa della rapidissima distruzione delle foreste, in parte per i massacri perpetrati in nome di antiche superstizioni. Viene da domandarsi come possano questi animali provenienti da tutto il mondo ambientarsi in un clima che nella maggior parte dei casi è diversissimo da quello cui sino abituati: la risposta è che nelle isole della Manica c'è un sorta di microclima che ricorda il clima tropicale, e la grande varietà di piante e fiori lussureggianti che vi crescono ne è una testimonianza. Anche molti esemplari di flora in via d'estinzione sono ospitati nel parco del Trust, con il doppio scopo della conservazione e di fornire agli animali il tipo di vegetazione più simile a quello d'origine. Il Trust, oltre a un nutrito staff per la manutenzione del parco e la cura degli animali, comprende centri di ricerca e un centro di addestramento per gli inviati dei Paesi da cui provengono gli animali minacciati di estinzione: giovani di tutto il mondo che, tornati in patria, cercheranno di mettere in pratica quello che hanno imparato a Jersey, in modo che un giorno - si spera - non sia più necessario andare a prendere animali e portarli via per impedirne l'estinzione. Oltre a questi lavoratori ufficiali, ogni anno centinaia di giovani fanno domanda per prestare opera di volontariato, e in questo modo si è creata a Jersey una stranissima comunità non solo internazionale ma interrazziale, di uomini, animali e piante. La bella videocassetta in vendita nel negozio del Trust si intitola «Prima che un altro canto finisca» e illustra gli scopi e le attività del Trust partendo dal triste avvenimento del 14 luglio 1987: l'estinzione del Dusky Sparrow, un passerotto di pochi grammi di peso, originario della Florida. Un altro animale estinto è diventato il simbolo del Trust: il Dodo, un uccello originario dell'isola Mauritius, estinto verso la fine del diciassettesimo secolo, meno di cento anni dopo essere stato visto per la prima volta. Il dodo è presente in immagine in tutte le attività del Trust: perfino le colonne e le cancellate del parco sono ornate di motivi «dodo», un bombardamento di immagini, una ripetizione volutamente ossessiva, il richiamo a un pericolo incombente che non si può e non si deve dimenticare. Patrizia Krachmalnicoff


DA OGGI IN VOLO Ritorno alla Luna con Clementine E in agosto la sonda Nasa incontrerà un pianetino
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: NASA, CLEMENTINE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 013

IL 1994 segna un ritorno alla Luna. E non soltanto con la memoria, perché il 20 luglio si celebrerà il quarto di secolo dal primo sbarco sul nostro satellite. Torneremo a esplorare la Luna anche direttamente, con una navicella spaziale della Nasa che porta un nome gentile e demodè: «Clementine». Questa sonda a basso costo, partita ieri dalla base di Vandenberg con un razzo «Titan II», si inserirà su un'orbita polare intorno alla Luna e tra marzo e aprile, per due lunazioni, farà accurate riprese del suolo da una distanza minima di 400 chilometri. A metà missione è previsto un cambio di orbita (da 30 gradi di inclinazione Sud a 30 gradi Nord) per ottenere immagini da diverse prospettive di quelle regioni intorno ai poli che rimangono ancora in parte sconosciute. Le immagini saranno interessanti anche perché non si tratta di semplici fotografie in luce bianca, ma di fotografie riprese su lunghezze d'onda particolari, per poter risalire alla natura geologica del suolo lunare. Quattro gli strumenti a bordo di «Clementine», finanziati, oltre che dalla Nasa, dal dipartimento della Difesa americano. Tre di essi ci daranno immagini in luce violetta, nell'ultravioletto vicino (a cui l'occhio non è sensibile), nell'infrarosso vicino e nell'infrarosso lontano. Il quarto strumento è un radar a luce laser (Lidar) che misurerà con estrema precisione i rilievi montuosi e le depressioni del suolo lunare. Una serie di filtri intercambiabili farà sì che le telecamere possano isolare vari settori dello spettro elettromagnetico tra il vicino ultravioletto e il lontano infrarosso. I dati del Lidar permetteranno anche di rilevare piccole perturbazioni dell'orbita della navicella (che circumnavigherà la Luna in 5 ore). Di qui si risalirà alla densità del sottosuolo lunare, che varia notevolmente là dove sono avvenuti impatti con grandi meteoriti. Ma quello con la Luna è solo il primo appuntamento di «Clementine». Il secondo, molto più interessante, è con il pianetino «Geographos», che incontrerà alla fine di agosto, quando questo asteroide verrà a trovarsi ad appena 5 milioni di chilometri dalla Terra. Riceveremo allora le prime immagini dirette di uno degli asteroidi che percorrono orbite minacciosamente vicine a quella del nostro pianeta, e che potrebbero un giorno «caderci addosso». Finora, grazie alla navicella «Galileo», abbiamo avuto immagini dirette solo degli asteroidi Gaspra e Ida, che appartengono alla fascia principale, posta tra Marte e Giove. Di Castalia e Toutatis, che sfiorano la Terra, abbiamo immagini radar, quindi inevitabilmente di qualità modesta. «Geographos», pianetino che porta il numero d'ordine 1620, fu scoperto il 14 settembre 1951 da Wilson e Minkowski all'Osservatorio di Monte Palomar durante la realizzazione del grande atlante fotografico del cielo boreale con il telescopio Schmidt da 120 centimetri di obiettivo. Fu chiamato così in onore della National Geographic Society, e anche perché con la sua orbita eccezionalmente allungata esplora una vasta regione del Sistema Solare. «Geographos» ruota su se stesso in 5 ore e mezzo, probabilmente è di natura rocciosa e dovrebbe avere un diametro di circa due chilometri. Si è anche pensato che sia il nucleo di una cometa estinta perché pare imparentato con lo sciame di meteore delle Virginidi, visibili in marzo. La sonda «Clementine» grazie ai suoi strumenti potrà stabilire le caratteristiche geologiche della sua superficie e raccontarci, in base ai crateri eventualmente presenti, la sua storia più remota. La rotta di «Clementine» sarà un capolavoro di meccanica celeste. Dopo aver girato un po' intorno alla Terra, entrerà in orbita lunare il 21 febbraio. Ci rimarrà fino al 3 maggio, quando tornerà verso di noi per essere spedita all'appuntamento con «Geographos» dal campo gravitazionale terrestre. Piero Bianucci


UN BUCO DI 10 CHILOMETRI California, una sonda nel cuore dei terremoti
Autore: TIBALDI ALESSANDRO

ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA, TERREMOTI
LUOGHI: ESTERO, USA, CALIFORNIA, LOS ANGELES
NOTE: 014

CON il terremoto di Los Angeles abbiamo ancora una volta avuto la prova che la scienza rimane lontana dal poter fare una previsione adeguata di queste catastrofi naturali. Il sisma che ha sconvolto la città californiana è stato prodotto dallo scaricarsi di un accumulo di forze in profondità, lungo una linea trasversale alla celebre faglia di San Andreas. A rigore, quindi, la faglia non è direttamente implicata nel recente terremoto, anche se ci troviamo pur sempre di fronte a un fenomeno connesso: è una resistenza allo scorrimento in profondità delle placche del Nordamerica e del Pacifico quella che ha accumulato l'energia scaricata nel sisma. Ci sono, tuttavia, nuove speranze di imparare a prevenire i terremoti. Un gruppo internazionale di scienziati ha ricevuto l'appoggio della statunitense «National Science Foundation» per perforare la crosta terrestre fino a una profondità di almeno 10 chilometri nei pressi della temibile faglia californiana. Il pozzo sembra ricalcare il vecchio progetto internazionale Mohole degli Anni 60 che si prefiggeva di raggiungere la base della crosta terrestre, cioè la discontinuità di Mohorovicic, posta ad alcune decine di chilometri di profondità. Il progetto era stato abbandonato per varie difficoltà, soprattutto economiche, e ora viene in un certo senso ripreso, seppure con finalità e profondità massima da raggiungere diverse. Gli unici al mondo che hanno continuato a investire fondi in perforazioni così grandiose sono i russi, che di recente nel pozzo di Kola - nell'omonima penisola vicino alla Finlandia - sono riusciti a raggiungere una profondità di 11 chilometri. Lo scopo principale della perforazione proposta lungo la faglia di San Andreas è di raggiungere una maggiore conoscenza dei processi che avvengono in profondità in una zona dove si scatenano alcuni dei terremoti più forti del mondo. In pratica si tratta innanzitutto di raccogliere campioni di rocce attraversate dalla faglia, in modo da studiarne il tipo, il grado di fratturazione, ecc., e di fluidi, fino alle profondità tipiche in cui si generano i terremoti. Queste profondità, dette ipocentrali, sono infatti già conosciute attraverso metodi di ricerca geofisica che utilizzano le registrazioni degli arrivi delle onde sismiche liberate durante ogni terremoto. Una seconda parte del progetto consiste nell'immissione nel foro di sofisticate apparecchiature collegate a computer fissi in laboratorio o trasportati su laboratori viaggianti montati su automezzi. Tra le misurazioni che verranno fatte da questi apparecchi ricordiamo la quantificazione dei fluidi presenti nelle rocce e degli sforzi a cui tali rocce sono sottoposte, il calcolo della direzione secondo cui questi sforzi agiscono, e la temperatura. Tutte le misure verranno ripetute alle varie profondità, in modo da quantificare le variazioni di questi parametri negli orizzonti di innesco dei terremoti rispetto a quelli asismici. Infine nel pozzo verranno calati strumenti fissi sempre collegati a delle centraline in superficie funzionanti 24 ore su 24 che serviranno a monitorare la faglia nel tempo, e quindi a vedere come variano i vari parametri prima, durante, e dopo un terremoto. L'investimento per questo progetto sarà molto grande, ma la comunità scientifica si aspetta preziosi risultati per la valutazione del rischio sismico lungo gli Stati Uniti sud-occidentali, dove appunto si trova la maggior parte della faglia di San Andreas. Ma la rilevanza di questo progetto risiede non solo nei contributi che possono derivare per la prevenzione del rischio, ma anche e soprattutto nel potenziale di previsione del momento di arrivo di un futuro forte terremoto. Acquisendo una sufficiente banca dati sulle variazioni dei parametri registrati dagli strumenti calati nel pozzo in occasione di più terremoti, sarà forse possibile in futuro dare un preavviso ragionevole sull'imminenza di arrivo di un evento sismico. Se tale sistema funzionerà, si potrà esportare ed estendere ad altri paesi ad alto rischio sismico, come l'Italia. Alessandro Tibaldi Università di Milano


GIA' SPERIMENTATO C'è un paracadute anche per l'aereo
Autore: RIOLFO GIANCARLO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: GARD
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 014

IMMAGINATE di essere su un piccolo aereo e che il motore vi pianti in asso. Succede raramente, ma può accadere. Se siete fortunati, il pilota riuscirà a trovare un campo sul quale compiere un atterraggio d'emergenza. Altrimenti viene in mente quella battuta: «Se non avete un paracadute, non vi capiterà di averne bisogno un'altra volta». E anche la reale utilità del paracadute è dubbia: ci vuole del tempo per uscire dall'aeroplano, una quota sufficiente e la preparazione necessaria a usarlo. Ma torniamo sul nostro aereo. Ecco che il pilota tira una maniglia e - dopo pochi istanti - è l'intero velivolo che scende dolcemente, appeso a un grande paracadute. Questo sistema di salvataggio è stato recentemente certificato dalla Federal Aviation Administration (Faa), l'ente americano che detta legge in materia aeronautica, dopo un ciclo di collaudi con un «Cessna 150», il monomotore impiegato per l'addestramento dei piloti dagli aeroclub di tutto il mondo. Il dispositivo si chiama Gard, acronimo di General Aviation Recovery Device, ed è stato realizzato dalla Ballistic Recovery Systems di South St. Paul, nel Minnesota, dopo sette anni di studi e con un investimento di 1,5 milioni di dollari. E' composto da un paracadute alloggiato nel dorso della fusoliera e di un sistema a razzo capace di estrarlo in mezzo secondo da quando si aziona la maniglia. In 5 secondi la calotta del paracadute (che ha la caratteristica di aprirsi in modo diverso a seconda della velocità) è completamente spiegata e l'aereo scende verso terra a 7,5 metri al secondo. La rapidità d'intervento consente di ricorrere al sistema d'emergenza anche a bassa quota: meno di 90 metri d'altezza. L'impatto con il terreno è paragonabile alla caduta da un muretto di due metri e viene smorzato dal carrello. Sistemi analoghi di salvataggio sono impiegati da alcuni anni su deltaplani a motore e ultraleggeri. La stessa Ballistic Recovery Systems vanta una notevole esperienza: 10 mila paracadute balistici prodotti a partire dal 1986 e 73 piloti salvati. E' la prima volta, però, che un sistema di questo tipo viene progettato e applicato su un aereo vero: non soltanto più pesante e veloce di un deltaplano a motore, ma soggetto a una normativa molto più severa. Per la certificazione, la Faa ha richiesto ben 19 prove di apertura del paracadute nelle più diverse condizioni: velocità di crociera, stallo, velocità massima in picchiata, virata a destra e a sinistra, vite. I test sono stati condotti a una quota di tremila metri. Dopo la discesa con il paracadute, l'aereo veniva sganciato a meno di mille metri, in modo da compiere un atterraggio convenzionale. Per il momento, il dispositivo è certificato per i monomotori Cessna 150 e 152 (ne volano circa 20 mila esemplari), ma sono 170 mila gli aerei da turismo che potranno impiegare il Gard a mano a mano che verranno realizzate e certificate versioni specifiche per i diversi modelli. Il costo del dispositivo è inferiore ai seimila dollari, compresa l'installazione. Il Gard può essere impiegato per uscire da numerose situazioni, come collisioni in volo, stallo a bassa quota, cedimento strutturale, perdita di controllo del velivolo, malore del pilota (può essere azionato anche da un passeggero) e quando per guasto al motore o per altri motivi (aereo fuori rotta, carburante esaurito) sia inevitabile prendere terra in una zona impervia. Inoltre, si può utilizzare il paracadute per ridurre la corsa di atterraggio su piste molto corte, in caso di guasto ai freni, oppure per arrestare l'aereo che abbia interrotto il decollo. Secondo la Ballistic Recovery Systems, in futuro sistemi analoghi potranno essere impiegati a bordo di velivoli molto più grandi, anche sui jet di linea. «Con la tecnologia attuale - dice il presidente della società, Boris Popov - non è possibile, ma lo sarà con il progresso dei materiali e dei propellenti». Dopo tutto, già oggi i booster dello Space Shuttle scendono frenati da paracadute. E pesano 29 tonnellate. Giancarlo Riolfo


AMBIENTE Una cultura tra la scienza e la politica
Autore: BOLOGNA GIANFRANCO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, CULTURA, SCIENZA, POLITICA, INQUINAMENTO
ORGANIZZAZIONI: WWF
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 014

AVEVA ragioni da vendere Aurelio Peccei, il carismatico fondatore e presidente del Club di Roma, quando alla metà degli Anni 70 ritenne cruciale far convergere indagini e riflessioni sui limiti «interni» delle nostre capacità di comprendere e pilotare il caotico mondo artificiale (tecnologico, economico, sociale) da noi stessi creato. Dopo aver scatenato il grande dibattito sui limiti «esterni» alla nostra crescita quantitativa e materiale, il Club di Roma iniziò appunto a indagare sui limiti interni. Limiti di percezione, selezione, attenzione, innovazione, anticipazione, e via dicendo. L'ultimo rapporto prodotto dagli studiosi del Club, «Imparare il futuro», si concentrava sulla grande tematica dell'apprendimento, dimostrando l'inadeguatezza dei meccanismi correnti, che seguono uno schema definibile come «apprendimento conservativo o adattativo» per proporre l'urgente necessità di avviare processi di apprendimento continuativo, definito «apprendimento innovativo», capaci di attrezzarci per affrontare il nuovo. Da tempo neurofisiologi, psicologi, psicobiologi, etologi umani, esperti di scienze cognitive studiano questi meccanismi di percezione e apprendimento. La comprensione delle relazioni esistenti tra il mondo artificiale da noi stessi creato e il mondo della natura è oggi fondamentale per la nostra stessa sopravvivenza. La cultura ambientalista ha fatto molti passi in avanti in questa direzione. Eppure negli ultimi tempi si parla di una sua crisi. Per vent'anni è stata fatta una diffusa opera di sensibilizzazione sulle problematiche ambientali, e oggi i temi e il vocabolario sono entrati nella cultura comune e in quella politica ed economica. Proprio per questo, mentre vent'anni fa il ruolo degli ambientalisti era ben definito contro politici e imprenditori, oggi non è più così. Quando un politico parla di «compatibilità ambientale dello sviluppo», di «sviluppo sostenibile» e via dicendo, è difficile capire dove siano i punti di contrasto con gli ambientalisti. Nella realtà quotidiana poi queste argomentazioni teoriche difficilmente sono tradotte in pratica e la situazione ambientale resta, amaramente, quella di prima. Eppure l'ambientalismo non è in crisi. Se consideriamo l'ambientalismo come il corpus di proposte serie, scientificamente fondate, che negli ultimi anni i migliori studiosi e ambientalisti hanno prodotto in tutti i campi, dall'economia dell'ambiente all'etica ambientale, dalle tecnologie compatibili alle innovazioni energetiche dobbiamo onestamente dire che su questi fronti non vi è crisi. Anzi, si registrano avanzamenti significativi anche se restano aperte molte questioni sull'applicazione pratica della sostenibilità, sugli indicatori e sui target della sostenibilità. E' invece in crisi la capacità comunicativa dei messaggi ambientali, la loro assimilazione da parte del pubblico e la trasformazione dei comportamenti che questi dovrebbero indurre. I messaggi vengono acquisiti a un livello epidermico, non si traducono in consapevolezza vera e, quindi, in azioni responsabili. La crisi è perciò di comunicazione, non di contenuti. Non è forse un caso che questa crisi coincida con una strategia della comunicazione sempre più mirata sull'«effetto superficiale». La cultura ambientale come tutte le culture non può limitarsi alla superficie e ai puri «effetti speciali» della comunicazione. La cultura ambientale è una cultura interdisciplinare, ai confini tra le varie conoscenze, è una cultura fatta di contaminazioni di tante discipline, una cultura sistemica e olistica. Non è facile ragionare in termini sistemici. Non è facile comprendere bene i messaggi ambientali. La visione ambientalista ci sprona a un approccio completamente nuovo alla conoscenza che non segue più la logica lineare di causa ed effetto cui siamo, oserei dire quasi genericamente, strutturati. E' veramente necessaria una «rivoluzione» nella comunicazione ambientale. Gianfranco Bologna Segretario WWF Italia


ESPERIMENTO SHUTTLE Un vuoto che più vuoto non si può Nello spazio per fare «chip» ultraperfetti
Autore: GUIDONI UMBERTO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, ELETTRONICA
ORGANIZZAZIONI: NASA, WAKE SHIELD FACILITY
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 014

DOPO la riparazione in orbita del telescopio spaziale «Hubble», la Nasa è pronta per un altro volo dello shuttle, previsto per il 3 febbraio. Questa volta la missione sarà meno sensazionale, ma non per questo meno ricca di novità. Si tenterà un interessante esperimento che utilizza una piccola piattaforma (Wake Shield Facility), dotata di apparecchi relativamente semplici. L'interesse del progetto si basa sul «fattore vuoto», che sembrerebbe facilmente ottenibile fuori dell'atmosfera. Eppure, persino il vuoto spaziale, da sempre considerato ultraspinto, è sembrato troppo pieno di materia per questo esperimento, al punto che è stato necessario escogitare una nuova soluzione tecnica per ridurre la densità che si incontra alle quote orbitali dello shuttle. La Wake Shield Facility è stata progettata per fungere da vero e proprio «spazzaneve». La piattaforma, nel proprio moto orbitale rispetto alle particelle della ionosfera terrestre, genererà una scia svuotata di atomi, che si estenderà per circa 30 metri dietro il disco - disco di oltre 3,5 metri di diametro - che costituisce la parte frontale della navicella. In questa ristretta zona a forma di cono, dove si dovrebbe raggiungere una densità 10.000 volte inferiore a quella ottenibile nei laboratori più avanzati, si potrà fare l'esperimento nelle condizioni di vuoto richieste dai responsabili del progetto. La Wake Shield Facility produrrà materiali ultra-puri utilizzando il metodo di crescita epitassiale. Si tratta di una tecnica che permette di costruire, in condizioni di alto vuoto, sottili film cristallini mediante deposizione - atomo per atomo - su un substrato atomico preesistente. La purezza che si può ottenere con questa tecnologia dipende dal grado di vuoto che si riesce a raggiungere. Nei laboratori terrestri, i semiconduttori che si possono realizzare, pur se molto più puri di quelli realizzati con tecnologie tradizionali, presentano ancora troppi difetti, su scala atomica, per le applicazioni del futuro. I ricercatori dell'Università di Houston hanno dunque pensato di sfruttare le particolarissime condizioni ambientali dello spazio, per tentare di migliorare in modo significativo la qualità dei film epitassiali prodotti. Dopo cinque anni di lavoro questo gruppo ha messo a punto sofisticate tecniche di manipolazione robotizzata, che permetteranno di fabbricare wafers di arseniuro di gallio 4 o 5 volte più perfetti di quelli ottenuti finora sulla Terra. Il vantaggio dei chip di arseniuro di gallio comincia a livello del reticolo atomico. La velocità degli elettroni nei cristalli di arseniuro di gallio è maggiore di quella ottenibile nel silicio e per questa ragione è possibile realizzare microcircuiti 8-10 volte più veloci di quelli tradizionali. Inoltre, la possibilità di creare strutture cristalline senza difetti permetterà di aumentare ulteriormente la densità dei componenti integrati e di guadagnare così un altro fattore otto in termini di velocità. Non sfugge l'interesse economico che queste ricerche rivestono per la produzione di componenti super-veloci per computer o laser a stato solido. Dato l'altissimo valore aggiunto di un singolo wafer di arseniuro di gallio, il trasporto in orbita e il ritorno sulla Terra diventano una parte accettabile del costo di produzione. Per questa missione esplorativa lo scenario sarà relativamente semplice. Una volta in orbita la piattaforma verrà estratta dal vano di carico dello shuttle e rilasciata nello spazio utilizzando il braccio manipolatore. Con l'ausilio di piccoli propellenti a gas freddo, la Wake Shield Facility si allontanerà fino a 60 chilometri dal «Discovery», dove rimarrà per 50 ore. Alla fine di questo periodo, che possiamo identificare con il tempo di produzione di questa fabbrica robotizzata, la piattaforma verrà recuperata per riportare a Terra il prezioso carico di arseniuro di gallio. Per la prima volta a bordo dello shuttle ci sarà un cosmonauta russo, Krikalev, che ha passato più di un anno presso il centro di Houston per familiarizzarsi con il funzionamento della navetta spaziale americana. Nel nuovo clima di distensione che contraddistingue le relazioni fra Usa e Russia, si sono create le condizioni per una sempre più stretta cooperazione fra le due maggiori agenzie spaziali. Una fitta serie di missioni comuni è stata pianificata in vista della collaborazione per costruire la Stazione Spaziale Internazionale, il progetto che ha sostituito, dopo anni di discussioni fra Nasa e Congresso americano, il programma «Freedom». Umberto Guidoni Candidato astronauta dell'Agenzia spaziale italiana


CONVEGNO FORMIT Tecnologia italiana tra storia e futuro
Autore: T_S

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, STORIA DELLA SCIENZA, CONGRESSO, LIBRI
ORGANIZZAZIONI: FORMIT
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 014. «Storia dell'innovazione tecnologica in Italia»

IL titolo è «Storia dell'innovazione tecnologica in Italia». Con questo libro la Formit - Fondazione per la ricerca sulla migrazione e sulla integrazione delle tecnologie - inaugura una sua collana di saggi. La presentazione del volume si svolgerà domani a Roma (Palazzo de Carolis, via del Corso 307, ore 17) nel quadro di una tavola rotonda sul tema «Il ruolo storico e le prospettive dell'innovazione tecnologica nello sviluppo economico del Paese». All'incontro parteciperanno l'on. Silvia Costa, sottosegretario al ministero dell'Università e della ricerca scientifica, Ugo Apollonio, vicepresidente dell'Unione giornalisti scientifici, Mario Belati, dirigente generale del ministero della Ricerca, Alessandro Ovi, direttore centrale dell'Iri e Alberto Tripi in rappresentanza della Confindustria. Moderatore, Giovanni Bisogni, fondatore e presidente della Formit. Nel corso della manifestazione verrà consegnato a Piero Bianucci il Premio Formit per il ruolo da lui svolto, attraverso «Tuttoscienze», nella divulgazione presso il grande pubblico della ricerca e delle innovazioni tecnologiche. Il riconoscimento è stato attribuito dal comitato scientifico della Formit presieduto dal professor Daniel P. Bovet, professore ordinario di Tecnica della programmazione all'Università di Roma «La Sapienza», autore di numerose pubblicazioni e attualmente coordinatore del dottorato di ricerca in informatica. La fondazione Formit è nata nel 1986 per iniziativa di Paolo Bisogni - fisico e specialista in ingegneria dei sistemi - con l'obiettivo di contribuire al trasferimento delle innovazioni tecnologiche e di promuovere attività di ricerca nel campo della formazione tecnico-professionale. Divenuta «ente morale» nel 1991, la Formit si propone come un punto di snodo tra l'attività dello Stato e quella delle imprese. La razionalizzazione delle amministrazioni pubbliche e la cooperazione con i Paesi in via di sviluppo sono due delle sue finalità principali. Tra le attività della Formit nell'ambito della Comunità Europea ci sono attualmente ricerche sull'innovazione tecnologica e l'elaborazione - per il Programma Value - di sistemi per la diffusione di nuove acquisizioni tecnico- scientifiche. In campo nazionale la Formit ha collaborato con il Cnr per il Progetto finalizzato Trasporti Due e ha svolto per il ministero della Pubblica istruzione uno studio sulle nuove professionalità emergenti. Sono in corso, per la formazione di tecnici e ricercatori, attività nei campi delle biomasse, della prevenzione sismica, dei materiali biodegradabili, delle biotecnologie.


EVOLUZIONE L'Eden, 600 milioni di anni fa Quando in Australia non c'erano nè prede nè predatori
Autore: ZULLINI ALDO

ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 015

LA violenza e la sopraffazione riempiono le pagine dei giornali e fanno parte della vita quotidiana. Questo offende il nostro senso etico e civile e, per reazione, tendiamo a pensare: «Una volta non era così». Ma non è vero. Anche chi conosce poco la storia sa che da millenni le vicende umane si sono svolte tra sangue e tragedie. E sempre abbiamo cercato nel lontano passato un'oasi di pace e di armonia su cui fondare un'immagine accettabile dell'umanità. L'idea di una mitica oasi, chiamata Età dell'oro, Eden o in altro modo, ha consolato nei secoli molte generazioni. L'ipotesi di una condizione di felicità primigenia non appartiene solo all'antico pensiero religioso. Per esempio, il laico Rousseau comincia una delle sue opere più importanti con queste parole: «Uscendo dalle mani dell'autore delle cose tutto è bene, ma tutto degenera tra le mani dell'uomo». E' il mito della bontà originaria della natura e del buon selvaggio guastato dalla tecnologia e dalla civiltà. Mito oggi ripreso da certe correnti di pensiero «verde» e animalista. Uno stato di vera pace primordiale implica la mancanza di ogni tipo di violenza, anche di quella legata ai bisogni alimentari. Un vero paradiso terrestre, insomma, deve essere abitato da vegetariani. E così è, difatti, il biblico giardino di Eden: «E Dio disse: ecco, io vi dò ogni erba della terra che produce seme e ogni albero da frutto e con semi: saranno il vostro cibo». Caccia, pesca, allevamento non sono previsti. Il regime vegetariano si estende all'intera fauna: «A tutti gli animali terrestri, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano e nei quali è alito di vita, io dò in cibo erba verde» (Genesi, 1, 29-30). Secondo la scienza moderna, invece, l'esistenza stessa dell'uomo è resa possibile dal fatto che per milioni d'anni gli organismi si sono diversificati grazie a catene alimentari che prevedono la predazione. La sequenza alimentare è infatti: piante, animali erbivori, animali carnivori. Il fenomeno della predazione e della lotta non segue, ma precede l'uomo (e ne costituisce il presupposto). Da qualche anno, però, l'ipotesi del Paradiso terrestre è stata riabilitata da alcuni scienziati. Non lo si chiama più Giardino di Eden, ma Giardino di Ediacara; non lo si colloca ai primordi dell'umanità, ma a quasi 600 milioni di anni prima (cioè poco prima dell'Era Primaria). Ediacara è il nome di una zona collinosa del deserto australiano dove, già nel primo dopoguerra, si rinvennero i resti di una fauna antichissima, la più antica che si conosca. Fossili simili furono ritrovati anche negli altri continenti, ma gli animali cui si riferiscono continuano a chiamarsi «fauna di Ediacara». Ne sono state descritte più di cento specie. Abitavano i bassi fondali marini e non somigliano a nessun altro gruppo animale se non, forse, a certe meduse. Il corpo era un disco molto appiattito, molle e trasparente, oppure allungato come una foglia. Le dimensioni erano solitamente di uno o pochi centimetri, ma certi individui arrivavano addirittura a un metro. Questa fauna fece la sua prima comparsa dopo un lungo periodo di intenso freddo e di enormi ghiacciai. Si ritiene che a quei tempi i mari offrissero poco nutrimento, eppure la fauna di Ediacara divenne abbondante e di grandi dimensioni. Come poteva sostentarsi? Questi strani animali erano privi di denti e di uncini: dunque non predavano. Erano anche privi di gusci e di corazze: dunque non venivano predati. Confrontando la loro struttura con quella di certe specie della scogliera corallina, alcuni scienziati sono giunti a concludere che gli animali di Ediacara contenevano nel proprio corpo (trasparente) numerose alghe microscopiche che, facendo fotosintesi, riuscivano a nutrire anche chi le ospitava. Così l'animale non doveva cercare il cibo e le alghe, da parte loro, erano protette e in grado di sfruttare le sostanze di rifiuto emesse dall'ospite. (Secondo altri studiosi la simbiosi avrebbe coinvolto batteri, non alghe, ma il risultato non cambia). Quasi 600 milioni di anni fa, insomma, il mondo era abitato solo da animali gelatinosi, piatti e delicati che prosperavano in santa pace in un Paradiso terrestre senza predatori. Questo stato di cose durò per alcune decine di milioni d'anni fino a quando «improvvisamente» comparve la violenza: molti animali presero a vivere a spese di altri. I fossili lo documentano in modo impressionante: da un certo punto in poi quasi tutti gli animali si munirono di spine, uncini, denti, gusci o corazze. Non sappiamo come e perché questo sia avvenuto. Si pensa che i mari si siano arricchiti di sali e che ciò abbia favorito la crescita algale. Qualche animale cominciò allora a catturare le alghe, visto che abbondavano sui bassi fondali, e col tempo si perfezionarono strutture quali bocca e cavità digerente. Il passo successivo, cioè predare gli animali, è stato relativamente breve. Tutto questo aprì, in senso letterale, un nuova era, e precisamente la prima tra quelle ben documentate della storia della Terra: l'Era Primaria. Il suo inizio fu tumultuoso: in pochi milioni di anni la natura elaborò tutti i piani anatomici di base degli animali giunti fino a noi. Aumentò la biodiversità, la complessità ecologica: piante, erbivori, carnivori, predatori di carnivori, parassiti, organismi acquatici e terrestri di tutte le forme e dimensioni. Fu così che, a un certo punto, comparve anche l'uomo. Ma il paradiso terrestre era già finito da un pezzo. Aldo Zullini Università di Milano


RIABILITAZIONE Svegliarsi dal coma
Autore: RAGO ROBERTO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, BIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 015

BASTANO pochi attimi: un trauma al capo, talvolta neppure violento, poi il buio e una vera e propria sospensione della vita: il coma. Ogni anno in Italia 50 mila persone subiscono un trauma cranico grave. Molte sopravvivono grazie ai progressi fatti dalla medicina d'urgenza e dalla rianimazione. Chi ha sfiorato la morte, però, inizia un viaggio nella riabilitazione che presenta aspetti spesso imprevisti e sconcertanti. Alcuni torneranno al precedente stile di vita; altri saranno costretti a sottoporsi ad un lungo periodo di cura; altri ancora dovranno adattarsi a cambiamenti che modificheranno in modo permanente la loro vita sociale. A seconda della gravità e della zona del danno cerebrale, delle possibili complicazioni, dell'età della persona, delle caratteristiche intellettive e personali preesistenti, gli esiti del trauma saranno diversi. In alcuni pazienti lo stato di incoscienza durerà da pochi minuti a qualche ora, altri resteranno in coma per settimane. Il coma post-traumatico può essere definito la conseguenza di forze inerziali lineari e rotatorie che si scatenano all'interno della scatola cranica al momento dell'impatto. Il contatto osso-encefalo e l'insufficiente resistenza elastica del tessuto cerebrale producono danni sia locali sia diffusi per fenomeni di contusione, lacerazione e strappamento di cellule e fibre nervose. Questo fatto, chiamato «danno assonale diffuso» è responsabile del rigonfiamento del cervello e, se raggiunge le parti profonde del tronco encefalico, determina la perdita di coscienza dopo il trauma. In certi casi il risveglio richiede qualche giorno e sarà graduale. In altri la vigilanza torna in modo repentino. A volte un velo di confusione dura settimane o mesi. Per definizione medica, il coma termina con l'apertura degli occhi e la ripresa autonoma delle funzioni vitali (respiro, pressione arteriosa, frequenza cardiaca) e metaboliche. Ma il paziente può talvolta rimanere distaccato dall'ambiente e non essere in grado di comunicare o di eseguire azioni semplici su richiesta verbale, anche per periodi molto prolungati. Questa situazione è definita dai neurologi «stato vegetativo» in quanto si suppone che il soggetto non sia consapevole di quanto accade intorno a lui, pur reagendo con attività riflessa e non finalizzata ad alcuni stimoli ambientali. Se questa condizione dura oltre i sei mesi, potrà essere definita «stato vegetativo persistente» e diminuiranno enormemente le speranze di un futuro risveglio. Si raccontano aneddoti di alcuni soggetti che, durante la fase di stato vegetativo, erano in grado di capire quanto avveniva intorno a loro, ma non erano capaci di parlare o comunicare. Questa è clinicamente definita «Sindrome Locked-In» o sindrome da imprigionamento, ma nella gran parte delle persone che si risvegliano dal coma non è rilevabile oppure è brevissima. Il problema principale è quello della stimolazione sensoriale, della possibilità cioè di utilizzare i canali sensoriali (udito, tatto, olfatto) per entrare in contatto col soggetto in coma ed evocarne risposte coscienti. Pur non esistendo prove scientifiche dell'efficacia di questi metodi, essi vengono spesso applicati soprattutto nell'illusione che possano contribuire ad una più rapida ripresa di contatto con la vita. Un'altra ragione che spinge a questi comportamenti è data dal desiderio di superare l'impotenza dei sanitari e dei familiari davanti a questi malati. Chi si sveglia dallo stato di coma trova nei reparti di rianimazione un ambiente poco idoneo al recupero e altamente angosciante. La perdita di memoria non consente di ricucire il filo della propria esistenza; non vi sono cioè chiari ricordi di ciò che è avvenuto, nè spiegazioni per il grave stato di dolore e limitazione fisica. E' indispensabile non solo sotto il profilo medico, ma anche psicologico, che al risveglio queste persone vengano trasferite in reparti di riabilitazione ad alta specializzazione. In Italia si stanno creando alcune strutture con requisiti specifici per curare queste persone, sul modello di quelle già esistenti in molti Paesi europei. Rimane fondamentale la necessità di prevenire i traumi o di ridurne i danni tramite sistemi di sicurezza e una campagna di sensibilizzazione sociale e di educazione scolastica. Roberto Rago


PREVISIONI DIFFICILI Così funziona il servizio che valuta sulle Alpi il pericolo delle valanghe
Autore: MINETTI GIORGIO

ARGOMENTI: METEOROLOGIA, VALANGHE
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. Scala unificata del pericolo da valanghe
NOTE: 015

SIAMO alle soglie del Duemila ma nessuno è ancora in grado di prevedere con certezza la caduta delle valanghe. Come scrisse il celebre nivologo svizzero Colin-Fraser, questo fenomeno rimane un enigma. Sono bastate le poche settimane innevate di quest'inverno perché le valanghe facessero numerose vittime, le ultime tre domenica scorsa in val Brembana. Come è possibile almeno limitare gli incidenti a sci-alpinisti, sci-escursionisti e sciatori fuori pista? In Italia e negli altri Paesi dell'arco alpino esistono servizi appropriati che diramano informazioni circa la sicurezza del movimento in montagna. Gli Alpini, dal canto loro, mentre durante il conflitto 1915-18 usavano le valanghe come mezzo difensivo o offensivo provocandone con tiri d'artiglieria il distacco e la caduta su colonne di rifornimenti e baraccamenti avversari, ora si occupano di valanghe a garanzia delle loro esercitazioni in quota. Il servizio, creato nell'inverno 1973- 75 anche a supporto della Protezione civile per coloro che per lavoro o tempo libero frequentano la montagna invernale, s'identifica nella sigla «Meteomont». Finalità simili ha l'«Aineva» del Servizio Geologico Regionale dell'Assessorato alla pianificazione territoriale. In questo servizio la componente umana gioca un ruolo perfettamente sincronizzante con sofisticati e modernissimi apparati di ricerca, rilevamento e trasmissione dati. Specialisti dell'Esercito e dell'Aeronautica Militare (fisici, geologi, analisti, meteorologi) sono impegnati ogni giorno nell'elaborazione di bollettini molto attendibili sulla situazione meteonivometrica in atto e sulla possibile evoluzione del manto nevoso. Da novembre ad aprile ogni mattina entro le 8 confluiscono alla sala operativa (Torino per il Piemonte, nel caso della Brigata Alpina Taurinense) tutti i parametri meteonivometrici raccolti dalle stazioni automatiche o manuali della rete di settore (qualità, altezza, temperatura della neve, osservazioni meteorologiche). La successiva raccolta di questi dati presso il Centro Meteo dell'Aeronautica militare di Milano Linate consente una prima elaborazione generalmente valida 24 ore, per ciascuno dei cinque settori in cui è stato suddiviso l'arco alpino, secondo le particolari caratteristiche geofisiche e di influenza dei fattori meteorologici favorevoli al distacco delle valanghe. Nei vari settori, anche con i dati forniti a titolo di collaborazione dall'«Aineva» regionale, viene compilato il bollettino definitivo riferito a zone dove in particolare vengono indicati l'indice di rischio e le relative avvertenze. Nelle prime ore del pomeriggio il bollettino è operante e viene diramato ai reparti con i mezzi più veloci. L'aggiornamento del bollettino è quotidiano anche durante i giorni prefestivi e festivi. I turisti e le popolazioni montane possono conoscere questo bollettino componendo un numero di segreteria telefonica, mentre per informazioni più dettagliate avranno un altro numero telefonico a disposizione durante le ore di servizio. I numeri telefonici del primo settore alpino (Piemonte per la Brigata Alpina Taurinense) sono: Segreteria: 011-3199756, ufficio 3199395. Per la segreteria del Servizio Geologico Regionale del Piemonte si può chiamare il numero 011-3185.555. Giorgio Minetti


INVECCHIAMENTO Il gene di Matusalemme E' stato scoperto in un minuscolo verme, che alterna fasi di vita latente e fertile Se il cibo scarseggia, l'animale entra in un letargo perfettamente reversibile
Autore: MARCHISIO PIER CARLO

ARGOMENTI: BIOLOGIA, GENETICA, RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 015

LA paura di invecchiare e il desiderio di eterna giovinezza dominano l'immaginazione dell'uomo al punto da diventare mitologia e sogno letterario. La dura realtà è tuttavia segnata dall'ineluttabile progredire della senescenza. I biologi si chiedono da tempo che cosa regoli la durata della vita di ciascun animale e cercano di capire che cosa sia l'invecchiamento e quali i fattori che lo determinano. La risposta è ancora lontana ma sempre più urgente si fa la necessità, anche pratica, di scoprire le ragioni biologiche di questi fenomeni. Una prima, parziale risposta viene dalla ricerca biologica di base con la scoperta, riportata recentemente su Nature, di un gene che controlla la durata della vita. Niente entusiasmi per ora! L'essere vivente interessato da questa scoperta è un minuscolo verme non più lungo di un millimetro chiamato Caenorha bditis elegans che da molto tempo è un formidabile strumento nelle mani dei genetisti e dei biologi dello sviluppo per la sua semplicità strutturale e frugalità di costumi. Il nostro vermetto, che vive normalmente nel terriccio e si nutre di microrganismi, è dotato di un'eccezionale capacità di adattamento. Se l'ambiente è favorevole, cresce e si riproduce vigorosamente fino a concludere il suo ciclo vitale in circa diciotto giorni; se le condizioni ambientali sono cattive, per mancanza di cibo o per scarsa umidità, entra in uno stato di vita latente durante il quale non si riproduce. Questo stato di vita latente può essere lunghissimo ed è reversibile: se migliora l'ambiente, il vermetto torna a riprodursi e a morire. L'alternanza tra vita latente e vita fertile di C. elegans è controllata da una serie di geni che a loro volta modificano alcune funzioni vitali delle cellule. Ora si è trovato che la manipolazione sperimentale di uno di questi geni di controllo produce vermetti mutati che vivono e si riproducono per più di quaranta giorni. In altre parole, si è introdotto e reso operante anche in condizioni favorevoli quel gene che permette la lunga sopravvivenza in condizioni ambientali sfavorevoli. Tradotto in termini umani, questo fenomeno significa una longevità anche riproduttiva estesa a duecento anni: quasi il mito biblico di Matusalemme! Qual è il significato di questo dato sperimentale? Per prima cosa, l'aver dimostrato che la lunghezza della vita può essere controllata geneticamente e che teoricamente può essere modificata, intervenendo sui geni preposti a questa funzione. Siamo ancora lontani dal postulare l'esistenza di una gerarchia di controllo sul meccanismo dell'invecchiamento. Non ci sentiamo di affermare che esiste un singolo gene che fa da controllore di un fenomeno così complesso e dai multipli aspetti qual è la senescenza. Tuttavia siamo pronti a considerare questa ipotesi affascinante che metterebbe sotto il controllo di un unico evento concatenato sviluppo, riproduzione, invecchiamento e morte di ogni singolo individuo. Il sogno di Faust potrebbe annidarsi in una sequenza ancora ignota del nostro Dna. Pier Carlo Marchisio Università di Torino


LE DATE DELLA SCIENZA La fisica di Helmholtz e Hertz allievo e maestro un secolo dopo
Autore: SPAGNOLO RENATO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
PERSONE: HELMHOLTZ HERMANN, HERTZ HEINRICH
NOMI: HELMHOLTZ HERMANN, HERTZ HEINRICH
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 016

CENT'ANNI fa, rispettivamente nei mesi di gennaio e settembre del 1894, morivano due tra i più grandi protagonisti della fisica del secolo scorso: Heinrich Hertz (nato nel 1857) e Hermann von Helmholtz (nato nel 1821). Il primo a soli 36 anni, nel pieno della sua produttività scientifica, il secondo a 73 anni, al culmine di una esperienza intellettuale che lo aveva portato dalla fisiologia alla fisica, attraverso la filosofia e la critica dei fondamenti della geometria. Ma non è tanto la quasi contemporanea scomparsa a unire i due scienziati tedeschi, quanto un legame umano e scientifico importante per la fisica. Helmholtz aveva iniziato come medico militare nel 1843 a Potsdam, città in cui era nato, per poi essere chiamato nel 1848 a insegnare anatomia nell'Accademia berlinese di Belle Arti, e l'anno successivo a Koenigsberg come professore di fisiologia umana. Nel 1855 si trasferiva a Bonn per occupare la cattedra di anatomia e fisiologia. Intanto aveva ottenuto importanti risultati nella misura della velocità di propagazione degli impulsi nervosi e inventato l'oftalmoscopio, strumento per osservare la retina in vivo. Nel 1858 veniva chiamato all'Università di Heidelberg, dove svolgerà studi sulla fisiologia degli organi sensoriali, che si tradurranno in due opere fondamentali, il «Manuale di ottica fisiologica» del 1867 e la «Teoria delle sensazioni sonore» del 1863. Fu soprattutto questa seconda opera a esercitare una forte influenza nella fisiologia della percezione offrendo il primo buon modello fisico dei meccanismi di funzionamento dell'udito. Nel 1879, ormai famoso e celebrato (secondo un suo allievo «dopo Bismark e il vecchio imperatore, Helmholtz era a quell'epoca l'uomo più illustre dell'impero germanico»), fu chiamato alla cattedra di fisica a Berlino e nel 1876 divenne rettore dell'Università. Qui si dedicò a studi teorici sui fenomeni dell'elettromagnetismo. Hertz entrò nel 1878 all'Istituto di fisica di Berlino diretto da Helmholtz, di cui due anni dopo divenne assistente. Nel 1886 era nominato professore di fisica al Politecnico di Karlsruhe, e lì produsse i suoi lavori più importanti, che lo portarono a dimostrare la teoria del campo elettromagnetico di Maxwell (1831-1879). Generando e rivelando oscillazioni ad alta frequenza, Hertz dimostrò sperimentalmente l'esistenza delle onde elettromagnetiche. Riprodusse inoltre importanti esperimenti di ottica, dimostrando che le onde elettromagnetiche si propagano alla stessa velocità della luce, premessa per capire la natura elettromagnetica della luce. Nel 1889 fu chiamato a Bonn, dove si dedicò all'elettrodinamica dei corpi in movimento e al tentativo di riformulare la meccanica classica superando il concetto di forza. Un fatto singolare nell'agosto 1893 accomunò Helmholtz all'italiano Galileo Ferraris (1847- 97). Al Congresso internazionale di elettrologia, svoltosi in America, Helmholtz fu acclamato presidente onorario, mentre Galileo Ferraris, già famoso per la scoperta del campo magnetico rotante, fu eletto vicepresidente. Il contributo di entrambi fu determinante per consolidare il sistema assoluto delle unità di misura elettromagnetiche introdotto nel Congresso di Parigi del 1881. Renato Spagnolo Istituto elettrotenico nazionale Galileo Ferraris


STRIZZACERVELLO Grappa ai mirtilli
Autore: PETROZZI ALAN

ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 016

Grappa ai mirtilli. Nella distilleria è arrivato il momento di preparare la famosa grappa ai mirtilli, che si ottiene miscelando dell'ottima grappa con del buono sciroppo di mirtilli. La grappa sta in una botticella da 36 litri, dalla quale ne vengono prelevati 12, sostituiti da altrettanti litri di sciroppo. L'assaggiatore dice però che non va bene e allora dai 36 litri della miscela ottenuta ne vengono prelevati altri 12, nuovamente sostituiti da altro sciroppo puro. A questo punto il nuovo liquore risulta buono e pronto per la vendita. Ora, essendo il distillatore persona onesta, si tratta di fare il prezzo di vendita. La grappa costa 18.000 lire al litro e lo sciroppo 12.000: in base alle percentuali presenti nei 36 litri ottenuti, quale dovrà essere il prezzo finale al litro? La soluzione domani, accanto alle previsioni del tempo. (A cura di Alan Petrozzi)


LA PAROLA AI LETTORI CHI SA RISPONDERE? Perché Moser vuole imitare la goccia d'acqua
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 016

MOLTI lettori hanno rilevato che la soluzione del gioco della scorsa settimana, «Uno due tre, sempre più in alto» era sbagliata. Il più alto numero che si possa esprimere con le sole tre cifre 1, 2 e 3 non era 21 elevato alla 3 potenza (cioè 9261), bensì 3 elevato alla 21 potenza, cioè 10.460.353.203. L'autore si scusa con i lettori. Noi vorremmo sottolineare che il numero 1/0 proposto come soluzione del secondo quesito (esprimere un numero ancora superiore utilizzando sempre le cifre 1, 2, 2), non è esatto, poiché in qualunque campo numerico è un'operazione impossibile la divisione per lo zero. Questa espressione non vale infinito, ma si dice che tenda a infinito. Di conseguenza la soluzione del quesito sarebbe 2 alla 21 = 2.097.152. Andrea Camposeo Tommaso Calvelli, Brindisi Qual è la forma aerodinami ca per eccellenza? La palla, la goccia d'acqua o il missile? La forma aerodinamica per eccellenza è quella che offre minore resistenza al moto del corpo nel mezzo fluido (aeriforme). Questa resistenza dipende dalla quantità di fluido spostato nell'unità di tempo, dall'attrito che gli strati a contatto esercitano sul corpo e dalle turbolenze originate dal suo passaggio. Velocità, forma e superficie sono quindi strettamente legate e in modo tanto complesso che sarebbe troppo riduttivo rispondere in senso assoluto alla domanda. La natura ci indica la forma della goccia d'acqua, che Moser cerca di imitare per velocità di poco superiori ai 50 km/h. Pier Giorgio Fedeli, Piacenza La forma aerodinamica per eccellenza è la goccia d'acqua. Infatti l'acqua, mentre cade sulla terra, prende la forma che le permette la migliore penetrazione nell'aria. La palla invece, quando viene investita da un fluido, divide l'aria in filetti fluidi, che hanno la stessa velocità, avendo la palla una forma simmetrica. Quando questi filetti si staccano dalla palla, non si ricongiungono subito, come prevede il paradosso di D'Alembert, ma creano dei vortici, con una conseguente depressione e un rallentamento dati dalla viscosità del fluido che, aderendo alle superficie della palla, la rallentano. La stessa cosa vale anche per i missili, che in più hanno una coda tronca che incrementa i vortici e crea depressioni maggiori. La goccia d'acqua, invece, assume una forma che le permette di non creare vortici alla sua coda. Anche il profilo alare (il disegno in sezione di un'ala) ha una forma molto simile a quella della goccia, per avere appunto una migliore penetrazione nell'aria e una minore quantità di vortici. Claudio Giovenale, Torino Perché il legno brucia e il fer ro no? Anche il ferro brucia, ma ha bisogno di alta temperatura e alta pressione di aria (o meglio, di ossigeno). La formazione di una patina di ossido sulla sua superficie, poi, ostacola l'ulteriore combustione (cioè un rapida ossidazione). Giovanni Pasini Burago di Molgora (MI) Qualsiasi sostanza, per bruciare, ha bisogno dell'ossigeno. Il legno, scaldandosi, si combina con l'ossigeno dell'aria e brucia, producendo calore, ceneri e gas. Nel ferro invece le molecole non si separano così facilmente, qualunque sia la temperatura alla quale viene portato. Così, non potendosi combinare con l'ossigeno, non brucia. Anna Tolmino, Alessandria I ventriloqui parlano davvero con il ventre? Ventriloquo è chi modifica la voce naturale e la soffoca alla sua nascita dalla laringe durante un'espirazione graduata, in maniera che la voce sembri venire da lontano, dal ventre o da un'altra persona. Umberto Rigazzi Brusasco (AL) I ventriloqui non parlano con il ventre. Parlano normalmente, solo che non muovono le labbra e hanno l'accortezza di espirare molto lentamente e smorzare i suoni serrando la gola. Devono anche socchiudere la bocca e tenere la punta della lingua e le labbra immobili. Piero Longo, Milano


CHI SA RISPONDERE?
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 016

Perché, all'interno di una stessa regione, alcuni animali vanno in letargo e altri no? Che cosa sono i «fronti» in meteorologia? Perché dopo il lampo viene sempre il tuono? E' vero che il cane si accorge della presenza di adrenalina nell'uomo che, in sua presenza, si agita, e allora lo assale? E se è vero, come fa ad accorgersene? Stefano Moro Risposte a: «La Stampa-Tuttoscienze», via Marenco 32, 10126 Torino. Oppure al fax numero 011-65.68.688


Pacemaker Ritmo! Una batteria nel cuore
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.
NOTE: 016

Uno dei più comuni problemi di cuore è il cosiddetto blocco cardiaco, un disturbo per cui il tessuto di conduzione del cuore non conduce più regolarmente gli impulsi elettrici dagli atri ai ventricoli. Il pacemaker (letteralmente «segnapassi», cioè regolatore del ritmo cardiaco) rimedia a questo disturbo «mimando» la normale attività del cuore. «Sente» infatti il livello dell'attività elettrica nell'atrio e conduce l'impulso elettrico al ventricolo, mantenendo lo stesso ritmo. In questo modo il pacemaker rallenta o accellera i battiti cardiaci seguendo le normali attività dell'organismo.


INFORMATICA Scelte ragionate Quando? DODICESIMA PUNTATA
Autore: MEO ANGELO RAFFAELE, PEIRETTI FEDERICO

ARGOMENTI: INFORMATICA, DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 016

LE condizioni di scelta che possiamo imporre al calcolatore possono essere anche più complesse di quelle che abbiamo visto nella scheda precedente. Ad esempio, si può decidere che un determinato lavoro venga svolto soltanto nel caso in cui siano soddisfatte contemporaneamente diverse condizioni, legate fra loro da quello che si definisce l'operatore logico AND e che corrisponde al concetto "e inoltre". Un esempio: "SE (IF) c'è il sole E INOLTRE (AND) ho voglia di camminare ALLORA (THEN) vado a fare una passeggiata". Un consiglio: 10CLS 20PRINT "PIOVE (S/N)"; 30INPUT RISP1$ 40PRINT "HAI SOLDI (S/N)"; 50INPUT RISP2$ 60IF RISP1$ = "S" AND RISP2$ = "S" THEN PRINT "PRENDI IL TAXI" 70END In altri casi per svolgere un determinato lavoro è sufficiente che fra due o più condizioni ne sia verificata solo una. Le condizioni sono allora collegate dall'operatore logico OR che corrisponde al concetto "oppure". Ad esempio: SE (IF) una persona è miope OPPURE (OR) è presbite ALLORA (THEN) deve mettere gli occhiali. IF A = 0 OR B = 0 THEN GOTO 1000: "Se A è uguale a zero oppure B è uguale a zero allora vai all'istruzione 1000". Vediamo un programma a domanda e risposta: 10CLS 20PRINT "SCRIVI UNO DEI DUE ELEMENTI CHE COMPONGONO L'ACQUA"; 30INPUT ELEMENTO$ 40IF ELEMENTO$="IDROGENO" OR ELE MENTO$="OSSIGENO" THEN GOTO 70 50PRINT "LA RISPOSTA E' SBAGLIATA. .. RIPROVA" 60GOTO 20 70PRINT "LA RISPOSTA E' ESATTA" 80END Scriviamo un programma che controlla se un numero è divisibile per 5, cioè SE (IF) un numero intero termina con 0 OPPURE (OR) con 5 ALLORA (THEN) il numero è divisibile per 5. 10REM CONTROLLO DELLA DIVISIBILITA' DI UN NUMERO PER 5 20PRINT "INTRODUCI L'ULTIMA CIFRA A DESTRA DEL NUMERO" 30INPUT CIFRA 40IF CIFRA = 0 OR CIFRA = 5 THEN GOTO 70 50PRINT "IL NUMERO NON E' DIVISIBILE PER 5" 60GOTO 20 70PRINT "IL NUMERO E' DIVISIBILE PER 5" 80GOTO 20 Un ulteriore tipo di operazione si ottiene inserendo NOT, che corrisponde al concetto " non". Ad esempio SE NON (IF NOT) mangi la minestra ALLORA (THEN) salti dalla finestra. IF NOT A = 0 THEN GOTO 120: SE A NON è uguale a zero, ALLORA salta all'istruzione 120. Scriviamo un programma che controlla, in una divisione, che il divisore non sia uguale a zero: SE NON (IF NOT) è uguale a zero il divisore ALLORA (THEN) la divisione è possibile. 10REM DIVISIONE FRA DUE NUMERI 20PRINT "INTRODUCI IL DIVIDENDO" 30INPUT DENDO 40PRINT "INTRODUCI IL DIVISORE" 50INPUT SORE 60IF NOT SORE = 0 THEN PRINT "IL QUO ZIENTE VALE"; DENDO/SORE 70IF SORE = 0 THEN PRINT "DIVISIONE IMPOSSIBILE" 80END Vediamo ancora un programma che, in base al tempo (piove, nevica, fa freddo), consiglia il vestiario adatto. 10REM I CONSIGLI PER I VESTITI 20PRINT "PIOVE (S/N)?" 30INPUT P$ 40PRINT "NEVICA (S/N)?" 50INPUT N$ 60PRINT "FA FREDDO (S/N)?" 70INPUT F$ 80IF P$ = " S" OR N$ = "S" THEN PRINT "PRENDI L'OMBRELLO" 90IF F$ = "S" THEN PRINT "METTI IL CAPPOTTO" 100IF P$ = "S" AND NOT F$ = "S" THEN PRINT "METTI L'IMPERMEABILE" 110IF NOT P$ = "S" AND NOT N$ = "S" AND NOT F$ = "S" THEN PRINT "VESTITI LEGGERO" Dopo IF... THEN... si può anche scrivere ELSE... che significa "altrimenti" e che specifica un lavoro da eseguire nel caso in cui non sia verificata la condizione indicata. Ad esempio, se (IF) hai fatto il pieno di benzina ALLORA (THEN) puoi metterti in viaggio ALTRIMENTI (ELSE) fermati al distributore. Vediamo, ad esempio, un programma che permette di controllare se sappiamo calcolare il quadrato di un numero, dandoci anche un voto finale. Si parte con due scatole vuote, una per le risposte giuste, l'altra per quelle sbagliate (linee 20 e 30). Ogni volta che si risponde esattamente, viene incrementato di un'unità il contenuto della scatola GIUSTE, altrimenti viene incrementato il contenuto della SBAGLIATE (linea 80). Dopo venti risposte viene assegnato il voto in decimi (linea 120). 10CLS 20GIUSTE = 0 30SBAGLIATE = 0 40PRINT "SCRIVI UN NUMERO" 50INPUT N 60PRINT "SCRIVI IL QUADRATO DI "; N 70INPUT M 80IF N * N = M THEN GIUSTE = GIUSTE più 1 ELSE SBAGLIATE = SBAGLIATE più 1 90IF N * N = M THEN PRINT "BRAVO]" EL SE PRINT "HAI SBAGLIATO..." 100PRINT "RISPOSTE GIUSTE:"; GIUSTE 110PRINT "RISPOSTE SBAGLIATE: "; SBA GLIATE 120IF GIUSTE più SBAGLIATE = 20 THEN PRINT "VOTO: "; GIUSTE / (GIUSTE più SBA GLIATE) * 10 130IF GIUSTE più SBAGLIATE = 20 THEN GOTO 150 140GOTO 40 150END (continua) $




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