TUTTOSCIENZE 20 ottobre 93


CHI SA RISPONDERE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 064

Quali sono le zone più piovose della Terra? E quelle più aride? Come fa a muoversi il lombrico, dato che non ha zampe? Quando si demoliscono degli edifici alti, come si riesce a evitare che cadano su quelli vicini? Perché nella partenza delle gare di velocità si usano i blocchi? Risposte a: «La Stampa Tuttoscienze», via Marenco 32, 10126 Torino. Oppure al fax numero 011 65. 68. 688, indicando chiaramente «Tuttoscienze» sul primo foglio.


Levitazione magnetica Treni galleggianti Sospesi 15 millimetri sopra il binario, non hanno bisogno di ruote nè di freni. Non inquinano perché spinti da un motore elettrico a «induzione lineare»
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.
NOTE: 064

Un treno MAGLEV (a levitazione magnetica) non corre sui binari come accade di norma, bensì sopra i binari, quasi galleggiasse. Quindi non ha bisgno di ruote nè di assi, sospensioni o freni e questo gli consente una struttura leggera e compatta. Inoltre non inquina, perché non richede combustibile, ed è di manutenzione molto semplice. Il treno viene tenuto sospeso sopra i binari dalla trazione magnetica, una forza grazie alla quale due poli magnetici, opposti, si attraggono l' un l' altro. Il treno è spinto da un motore elettrico detto «motore d' induzione lineare». Bobine elttromagnetiche poste sul treno generano un campo magnetico, il quale induce corrente elettrica nel binario, che a sua volta genera un suo campo magnetico. I due campi magnetici, quello sul binario e quello sul treno, interagiscono tra di loro e così il treno «galleggiante» si muove lungo il binario.


IPOTESI SULL' EVOLUZIONE Umanità, cervello collettivo Siamo cellule di un super organismo?
Autore: CALISSANO PIETRO

ARGOMENTI: BIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 061. Nascita e evoluzione vita

COME ormai sa anche il cosiddetto uomo della strada, la nascita dell' universo sarebbe avvenuta con una grande esplosione che gli scienziati anglosassoni hanno denominato con il termine di Big Bang Riflettendo su questo evento grandioso alla luce delle nostre conoscenze attuali sulle origini della vita, sulla mente umana e sulla formazione delle moderne società cui essa ha dato origine, viene da pensare che ciascuno di questi eventi possa essere omologato al Big Bang primigenio. Naturalmente le dimensioni materiali del primo sono incommensurabili rispetto agli altri. Ma ognuno di questi eventi potrebbe costituire, almeno per la nostra galassia, un salto di portata imprevedibile. Non è necessario sottolineare la grandiosità, la bellezza e soprattutto l' originalità del fenomeno vita; senza dubbio la comparsa della vita negli spazi siderali è un avvenimento di portata paragonabile alla nascita stessa dell' universo. Per quanto riguarda il terzo Big Bang la comparsa del cervello dell' uomo vi è un aspetto che raramente è considerato. A mio avviso, le lancette dell' orologio che hanno scandito questo evento di portata cosmica non debbono essere collocate al momento della comparsa del nostro encefalo, ma al periodo della formazione degli eventi cellulari che ne condizionano l' attività, cioè i neuroni. Queste cellule stanno al cervello come ogni essere umano sta alla società in cui opera. Così come la società è la diretta espressione delle azioni degli uomini che in essa vivono, così le funzioni cerebrali sono l' espressione dei neuroni che formano il cervello. Ognuno dei circa cento miliardi di neuroni che formano il nostro encefalo, infatti, è in grado di effettuare, in scala miniaturizzata, tutte le funzioni dell' intero organo cervello: ricevere stimoli, elaborarli memorizzarli, ed emettere una risposta. Certo, il singolo neurone non è in grado, da solo, di coordinare il movimento di un arto, di percepire una gamma di suoni o di colori, nè tantomeno può presiedere a processi mentali come la consapevolezza, la volontà o il pensiero. Ma queste sono proprietà che sono scaturite nel corso dell' evoluzione con la formazione di cervelli sempre più dotati di elementi neuronali organizzati in reti, gangli, centri, aree, emisferi. Come il concetto di vita è stato portato dalla moderna biologia nel suo alveo naturale di espressione della funzione di un insieme di molecole, così i processi mentali che scaturiscono dal cervello dell' uomo dovrebbero essere considerati come proprietà emergenti dalle sempre più complesse strutture alle quali hanno dato luogo i neuroni, dopo la loro comparsa in organismi primitivi circa un miliardo di anni fa. Il fatto che non si conosca ancora con precisione con quali meccanismi cerebrali queste attività mentali scaturiscano dall' attività dei neuroni (si stanno compiendo passi da gigante in questi anni) non deve costituire alibi per sfuggire a queste conclusioni. Sforziamoci per un momento di accettare la proporzione che un neurone sta al cervello come un uomo sta alla società. In questo ragionamento, naturalmente, l' idea di libero arbitrio non è considerata nella sua accezione classica non perché sia negata ma perché dovrebbe essere ridiscussa alla luce del futuro che attende l' umanità. Perché potremmo definire un quarto Big Bang la formazione delle società moderne? Se estrapoliamo la velocità attuale di evoluzione dei sistemi di comunicazione al futuro prossimo, non è azzardato prevedere che in qualche decennio ogni essere umano potrebbe essere realmente collegato (o collegabile) in rete con tutti gli altri abitanti della Terra. A questo punto la sfera del nostro pianeta apparirebbe a un alieno come un unico grande cervello. Avvicinandosi al pianeta con la curiosità di un istologo che osservi al microscopio una sezione di encefalo, questo alieno noterebbe un intricatissimo intreccio di fili, cavi, sistemi di rice trasmissione (radio, televisione, telefono) complesse stazioni di elaborazione delle informazioni. Tramite quest' insieme di attrezzature ciascun essere umano apparirebbe, al nostro visitatore, collegato in tempo reale con numerosissimi altri uomini neuroni devoluti alla funzione di ricezione, elaborazione delle informazioni, ed emissione della risposta più appropriata. A una prima, superficiale osservazione, ogni uomo neurone gli apparirebbe sostanzialmente eguale; diverso per forma, colore, peso ma devoluto a funzioni simili e dotato di proprietà analoghe seppur differenziate in rapporto al compito specifico che deve svolgere. La singola cellula uomo apparirebbe desolatamente «banale», la società sofisticata di cui è parte integrante sarebbe certamente valutata con grande curiosità e attenzione. L' alieno comprenderebbe che quell' esercito di uomini sta costruendo un sistema che presto potrebbe essere esportato in altri mondi e di qui ad altri ancora per una colonizzazione a macchia d' olio. Certo l' omologazione di ciascuno di noi a una semplice cellula non ci può essere gradita e susciterà reazioni di scandalo in chi attribuisce agli esseri umani doti di libero arbitrio, intelligenza e creatività uniche per ogni essere e indipendenti dal mondo in cui operano. Ma se già oggi questo non è in parte più vero, non è difficile estrapolare il progressivo grado di inserimento in «ingranaggi elettronici» operanti dalla culla alla tomba in cui ci si troverà inseriti in futuro. In questa previsione non vi è nè catastrofismo nè trionfalismo ma una facile anticipazione di un futuro assai probabile. La domanda che si pone a questo punto è: quale potrebbe essere il quinto Big Bang? Se consideriamo i tempi possiamo affermare che quelli precedenti si sono verificati con velocità crescente: 15 20 miliardi per il primo, 3 4 per il secondo, 1 per il terzo, 5 mila anni per il quarto, se facciamo partire la nascita del pianeta cervello dall' invenzione del primo sistema di messa in rete dell' umanità, cioè la scrittura e gli altri mezzi di comunicazione non orali. Il quinto Big Bang, a mio avviso, si verificherà sempre nel campo della elaborazione dell' informazione. Ma non solo per quanto riguarda l' impiego di computer sempre più potenti e sofisticati da parte del pianeta cervello, quanto per quel che concerne le manipolazioni dell' informazione contenuta nei cromosomi degli organismi viventi. Non rientra nello scopo di queste considerazioni discutere il problema della liceità della manipolazione genetica, se non affermando che è certamente legittima quella sulle cellule somatiche e da bandirsi quella sulle cellule germinali degli esseri umani. Ma certamente si può battezzare come un nuovo Big Bang la scoperta da parte del pianeta cervello della possibilità, per la prima volta da quando è comparsa la vita sulla Terra, di poter programmare e guidare l' evoluzione delle specie; evoluzione che fino a ieri si verificava tramite il cieco meccanismo del caso. Riflettendo su questi cinque Big Bang viene da pensare a un filo conduttore che, iniziando con un primigenio, inerte universo «materiale», seguendo il percorso evolutivo vita neuroni cervello pianeta/cervello galassia/cervello e così via, divenga sempre più un universo «mentale». Sono conclusioni al limite della fantascienza, ma consideriamo i tempi di questa evoluzione. La parziale messa in rete dell' intera umanità si è verificata in questo secolo. Nel prossimo non è difficile prevedere la realizzazione vera e propria del pianeta cervello e l' inizio da parte delle sue reti neuronali della colonizzazione del nostro sistema solare. Estrapoliamo questo processo non più attraverso i secoli ma lungo i millenni e i milioni di anni. A questo punto la concezione di una «mente» nata sulla Terra e che si espande nel cosmo non è più fantascienza ma una probabile realtà. Che la comparsa di questa mente, massima espressione dell' ordine che caratterizza la vita, rappresenti l' inizio di una inversione di tendenza al disordine progressivo che caratterizza l' evoluzione della materia dell' universo? Pietro Calissano Università di Roma Tor Vergata


PROPOSTA IN USA Aiutateci a ribattezzare il Big Bang Il termine fu coniato da Hoyle per dileggio
Autore: TEMPESTI PIERO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, PROPOSTA
NOMI: DOWNS HUGH, FERRIS TIMOTHY, SEGAN CARL, BONDI HERMANN, GOLD THOMAS, HOYLE FRED
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 061

CONIATO quarant' anni fa, il termine Big Bang è divenuto popolarissimo. Più o meno tutti sanno che con questo termine inglese che significa grande scoppio (con riferimento al rumore) si indica l' inizio dell' universo. La teoria che l' universo abbia avuto inizio istantaneo da uno stato «puntiforme» risale a sessant' anni fa. In precedenza tutte le dottrine di «filosofia naturale» lo avevano considerato eterno e statico: tale era nell' antica cosmologia geocentrica di Tolomeo, nella moderna cosmologia newtoniana e perfino, inizialmente, nella cosmologia basata sulla teoria della relatività generale formulata da Einstein nel 1916. Recentemente la rivista astronomica americana Sky and Telescope ha posto il problema se sia il caso di ribattezzare il Big Bang, aprendo le proprie pagine a un dibattito. E ha indetto un concorso aperto a tutti per la scelta di un nuovo termine per indicare l' inizio dell' universo. Giudici delle proposte saranno Hugh Downs, presidente della National Space Society, Timothy Ferris, docente di giornalismo all' Università di California, e il ben noto Carl Sagan, professore di scienze planetarie alla Cornell University. Due scienziati e un professore di giornalismo: il nuovo termine deve infatti essere abbastanza appropriato per soddisfare gli scienziati e abbastanza conciso e accattivante per spodestare Big Bang dal linguaggio dei mezzi di comunicazione di massa. Ma perché ribattezzare il Big Bang? Il matematico russo Friedmann dimostrò, nel 1923, che le equazioni di Einstein che riassumono le proprietà matematiche dell' universo prevedevano anche la possibilità di un universo in espansione e quindi di uno stato iniziale «puntiforme» Questa soluzione non era stata tentata da Einstein perché impedito dall' ipotesi aprioristica della staticità dell' universo In quello stesso decennio l' astronomo americano Hubble, su spettri ottenuti col telescopio di Monte Wilson (allora il più grande del mondo), scoprì che le galassie si allontanano tutte con velocità tanto più grandi quanto maggiore ne è la distanza: fenomeno spiegabile con un' espansione generale dell' universo, dove tutte le distanze conseguentemente crescono col passare del tempo. L' espansione dell' universo non appariva più come una pura possibilità concettuale, ma come un fenomeno reale, osservabile e misurabile. Negli Anni 50 ebbe tuttavia molti sostenitori la teoria dello «stato stazionario», secondo cui l' universo pur espandendosi appare sempre uguale nel tempo, un universo infinito ed eterno. In questa teoria, proposta nel 1948 dagli astrofisici di Cambridge (Inghilterra) Hermann Bondi, Thomas Gold e Fred Hoyle, si supponeva una continua creazione di materia che compensasse l' aumento di spazio in conseguenza dell' espansione; in tal modo la densità dell' universo restava invariata. Materia dal niente, quindi? Nonostante le apparenze, questa ipotesi non comporta concessioni e concetti teologico fideistici. La fisica quantistica considera il vuoto sede non più passiva ma bensì attiva dei fenomeni fisici e l' esistenza di una «energia del vuoto» è alla base di numerose ricerche di frontiera della fisica odierna. A parte l' energia elettromagnetica (come la luce) che permea, il vuoto possiede un' energia enormemente maggiore dovuta al fatto che continuamente coppie di particelle e di antiparticelle (materia ed antimateria) si creano e reciprocamente si annientano: sono le «fluttuazioni del vuoto». Queste particelle sono «virtuali», in quanto appena formate si distruggono; non si ha perciò creazione di materia e l' energia del vuoto di per sè non soddisfa l' esigenza della teoria dello stato stazionario. Però può suggerire una possibile via fisica tutta da esplorare alla continua creazione di materia. La teoria di Bondi, Gold e Hoyle aveva quindi diritto a un crisma di scientificità. Il colpo mortale alla teoria dell' universo stazionario venne dalla scoperta, nel 1965, della radiazione cosmica di fondo, una radiazione elettromagnetica con la massima intensità nelle microonde, che permea l' universo e ci perviene con uguale intensità da tutte le direzioni del cielo. Questa radiazione venne subito interpretata come il residuo, enormemente affievolito, della «vampa» che aveva dato origine all' universo. Si trattava insomma dell' impronta fossile del Big Bang. L' esistenza di un «fondo» di microonde diffuso in tutto l' universo era stata prevista da Gamow già nel 1950 come conseguenza necessaria della «esplosione» cosmica iniziale. Nella teoria di Bondi, Gold e Hoyle la radiazione cosmica di fondo non poteva invece trovare una ragionevole spiegazione: nell' universo stazionario non c' è ragione perché lo spazio cosmico sia permeato da tali microonde. Numerose misure effettuate negli anni immediatamente successivi al ' 65 con radiotelescopi per onde millimetriche dettero sempre maggior credito all' interpretrazione suddetta. La conferma definitiva si è avuta infine tre anni fa, quando i risultati del satellite Cobe (da Cosmic Background Explorer), messo in orbita nel 1989 appositamente per studiare la radiazione cosmica di fondo, hanno mostrato che questa ha tutte le caratteristiche che la teoria del Big Bang richiede alla radiazione «fossile» dell' universo nascente. Nonostante qualche voce dissidente che di quando in quando si leva, si può dire che oggi la teoria del Big Bang non ha alternative in grado di dare altrettanto soddisfacente spiegazione di in immenso ventaglio di fenomeni. Proprio questo successo ha richiamato l' attenzione sul problema di trovare un nome più adeguato e degno per la teoria oggi canonica dell' evoluzione dell' universo. Il termine Big Bang fu coniato nel 1950 da Hoyle per mettere in ridicolo la teoria di cui era avversario. Ma oltre ad avere il carattere di un nomignolo ironico, Big Bang è anche fuorviante. In primo luogo perché bang è una parola onomatopeica che indica «botto», cioè un fenomeno acustico che richiede non solo un mezzo adeguato di propagazione ma anche la presenza di un orecchio che percepisca. Inoltre è fuorviante perché implica il concetto di un' esplosione in uno spazio preesistente, mentre l' universo non è nato nel tempo ma col tempo: non c' è un prima perché il tempo è cominciato allora, insieme con lo spazio cui, secondo la relatività generale, è strettamente legato. Piero Tempesti


METEOSAT & ENERGIA Elettricità dalle tegole solari Ultimi dati su riserve e costi energetici
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ENERGIA, AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: METEOSAT, ESA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 062

L' Agenzia spaziale europea (Esa) è pronta a lanciare, nel prossimo novembre, il suo sesto satellite della famiglia «Meteosat». Nel potenziare le nostre capacità di previsione del tempo i satelliti hanno ovviamente un ruolo importante. Secondo uno studio Esa, fatto uguale a 100 il valore delle fonti di migliori previsioni meteorologiche, i Meteosat e i satelliti in orbita polare si aggiudicano insieme il 44 per cento dei meriti, il 24 per cento va a modelli numerici più raffinati, il 13 a dati più precisi e il 12 a computer con maggiori capacità di elaborazione. Ma se tutti sanno che i satelliti meteorologici forniscono informazioni essenziali per i nostri fine settimana, per l' industria del turismo, per l' agricoltura, la navigazione aerea e marittima, pochi immaginano che possano dare un contributo anche a chi lavora sulle energie rinnovabili: per esempio l' eolica e la solare. L' ultimo numero della rivista HTE (Habitat, Terrirorio Energia), organo ufficiale della sezione italiana dell' Ises (International Solar Energy Society) riporta uno studio sulla radiazione solare globale ricevuta dalla Penisola italiana. La ricerca è stata possibile grazie ai dati trasmessi dai Meteosat trattati con uno speciale software che utilizza 23 immagini al giorno inviate dal satellite ogni mezz' ora ne elabora 12 e ne ricava una stima della radiazione solare che raggiunge il suolo. Non è il caso di sprecare parole per dire quanto questo sistema sia più pratico rispetto a disseminare migliaia di stazioni di rilevamento dalle Alpi alla Sicilia, stazioni che, peraltro, da un paio di anni hanno incominciato a diffondersi grazie all' Aeronautica Militare e al ministero dell' Agricoltura (sopresso dai referendum e prontamente resuscitato). I primi confronti tra dati al suolo e dati ottenuti via satellite sono incoraggianti. La correlazione è buona, e questo significa che il software raggiunge lo scopo per il quale è stato concepito. Se i «tetti fotovoltaici» si diffonderanno in modo razionale e con successo, si dovrà anche a questi dati. Un esperimento interessante si farà alla Cittadella della Carità di Taranto, un centro sociale fondato dalla diocesi tarantina: sostituendo le vecchie tegole, il «tetto fotovoltaico» dovrebbe raggiungere una potenza installata di 35 kilowatt, sufficiente per una dozzina di famiglie, e una produzione annua di 54 megawattora. Certo, si tratta di quantità marginali. Ma sempre preziose perché, per quanto modeste, significano meno importazione di combustibili fossili e meno inquinamento. A questo proposito, ecco le conclusioni di uno studio commissionato dall' Ises all' istituto Nomisma: il costo sociale dovuto all' inquinamento prodotto è quantificabile in 53 62 lire per una centrale a carbone, in 30 32 lire per una centrale policombustibile, in appena 2, 9 lire per una centrale eolica e addirittura si sfiora il costo zero per una centrale fotovoltaica. E' chiaro, comunque, che sui grandi numeri della domanda energetica solare ed eolico per ora possono fare poco. E che sono a lunga scadenza le speranze legate alla fusione nucleare (tecnica per la quale è stato appena assegnato al fisico Bruno Coppi il prestigioso Premio Italgas). Almeno nel medio termine i conti dobbiamo ancora farli con i combustibili fossili o con energie rinnovabili tradizionali, come quella idroelettrica. Una efficace sintesi della situazione mondiale e italiana è contenuta in un libretto che in questi giorni viene distribuito dalla Snam. Ne emerge che il pianeta va ancora essenzialmente a petrolio: 3100 milioni di tonnellate su un totale di 8050 milioni di tonnellate di petrolio equivalente. La parte non dovuta al greggio è fornita dal carbone (2200), dal metano (1740) e dall' energia idroelettrica primaria (1010). Quanto all' Italia, i 166 milioni di tonnellate equivalenti petrolio consumate in un anno si ripartiscono in 92 milioni da fonte propriamente petrolifera, 42 da metano (il più pulito tra i combustibili fossili), 18 da idroelettrico e 14 da carbone. In complesso, la nostra dipendenza dall' importazione continua a superare l' 80 per cento. Quanto alle riserve mondiali, il volumetto Snam ci dice che in base alle stime attuali c' è metano per altri 70 anni e petrolio per 45. Un margine discreto, ma non eccessivo, per far decollare le energie alternative. Piero Bianucci


TECNOLOGIA Un trucco chiamato Quizzy Spacciato come un telecomando interattivo, non è nè l' una nè l' altra cosa E' invece un computer modem che somiglia molto a un canone tv mascherato
Autore: VICO ANDREA

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, TELEVISIONE, PROGRAMMA
NOMI: BONGIORNO MIKE
ORGANIZZAZIONI: CANALE5
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 062

IL Quizzy passa per la principale novità dell' autunno televisivo. E' un aggeggio simile a un telecomando e dal 4 ottobre permette a chi lo acquista di partecipare in tempo reale, dal salotto di casa, ai giochi proposti durante alcune trasmissioni della Fininvest. Due mesi e più di pubblicità martellante hanno dipinto il Quizzy come «una vera e propria rivoluzione dopo l' invenzione del colore e delle antenne paraboliche», una «magia tecnologica» che inaugura una «nuova era televisiva, quella della tivù interattiva» (citiamo pari pari dal periodico «Tutto Quizzy» ). E' falso: il Quizzy non è un telecomando interattivo. E non è nemmeno un telecomando. Tecnicamente si tratta di un piccolo computer nella cui memoria sono stati stivati tutti i dati relativi ai quiz e ai giochi che Mike Bongiorno e compagnia propineranno ai telespettatori berlusconiani da oggi alla primavera del 1994. A ogni trasmissione è associato un numero di codice che il telegiocatore dovrà impostare con precisione sul proprio Quizzy prima di giocare. In questo modo la memoria dell' apparecchio si allinea con le domande che verranno via via proposte: per ogni domanda un pulsante da pigiare. Se il telespettatore, smanettando sui pulsanti del Quizzy, azzeccherà la giusta sequenza di risposte esatte, il suo apparecchio lo gratificherà pigolando «L' inno alla gioia». Ma come si fa a sapere chi ha vinto tra le migliaia di giocatori in gara? Il Quizzy ha al suo interno un orologio che registra l' ora esatta in cui vengono date le risposte. Terminata la trasmissione il telegiocatore dovrà collegarsi via telefono con un computer della Fininvest e accostare il Quizzy alla cornetta in modo da trasmettere i dati delle risposte e il proprio codice personale. L' elaboratore sancirà vincitore chi ha risposto esattamente nel minor tempo. Quizzy non è un telecomando, dicevamo, perché non comanda a distanza assolutamente nulla. E non si tratta di tivù interattiva perché non si interagisce con la trasmissione a cui si sta assistendo. La televisione interattiva, quella vera, dà la possibilità a ciascuno spettatore di modificare in tempo reale e secondo una serie di opzioni prestabilite il corso delle immagini trasmesse. Tecnicamente non è troppo complicata da realizzare (esistono già parecchi esperimenti), ma è complessa da gestire e costosa per gli utenti. Il Quizzy invece costa solo 38. 900 lire: un sistema assai originale di far pagare il canone per la Fininvest Inoltre ogni telegiocatore ha dovuto registrarsi sul computer centrale prima di entrare in gioco la prima volta: nome e cognome, indirizzo e via dicendo per poter essere prontamente contattato in caso di vittoria. I possessori di Quizzy sono già più di centomila. Cioè una formidabile banca dati ottenuta senza alzare il mignolo. Nella migliore delle ipotesi la buca delle lettere di questi signori verrà puntualmente inondata di pubblicità. Tornando alle obiezioni squisitamente tecniche, non è questione di pignoleria, ma chiamiamo le cose con il giusto nome. Oltretutto perché parlare di «magia elettronica» ? L' elettronica è scienza, è frutto dell' intelletto e dell' abilità dell' uomo; non ha nulla di magico o di miracoloso. La gente ha già idee abbastanza confuse in tema di tecnologia: è decisamente riprovevole aumentare tale confusione spacciando l' acqua fresca quale elisir portentoso. Nel passato lo facevano gli imbonitori da baraccone approfittando dell' ignoranza del volgo per guadagnare qualche moneta. Oggi per raggiungere i vertici della classifica Auditel. Andrea Vico


Pro e contro sulla didattica dell' informatica Computer sì, ma come?
AUTORE: GALLINO LUCIANO, PEIRETTI FEDERICO
ARGOMENTI: INFORMATICA, DIDATTICA, SCUOLA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 062

LA diffusione di strumenti informatici in tutte le attività lavorative, e nei processi formativi a ogni livello, procede a ritmo sempre più accelerato. Di qui l' urgenza di elaborare strategie efficaci nel campo della didattica informatica per tutti coloro che si troveranno prima o poi a utilizare tali strumenti, senza avere la minima intenzione di diventare informatici di mestiere. Si tratta d ' una popolazione cento volte più numerosa di quella che dell' informatica intende fare una professione. Poiché le esigenze dei diversi sottogruppi della popolazione di potenziali utenti sono molto diversificate, mi limiterò qui a considerare il vastissimo gruppo che comprende da un lato scolari e studenti, dall' altro insegnanti di tutti i tipi di scuola, dalle elementari all' università. Che cosa conviene insegnare loro per metterli in condizione di dominare gli strumenti dell' informatica, con un ragionevole investimento di tempo e di energia, quanto basta per migliorare tangibilmente la qualità dell' apprendimento e dell' insegnamento, le modalità dello studio e della ricerca? Di certo, non la programmazione. Su questo punto il mio dissenso rispetto alle posizioni espresse dal collega Meo e da Federico Peiretti su Tuttoscienze del 6 ottobre è radicale. L' iniziativa di spiegare i fondamenti della programmazione a chi può interessare di per sè è ottima; ma proporsi di avvicinare in tal modo i profani all' informatica, nella situazione attuale, equivale a dire che per formare un buon giornalista televisivo si deve cominciare con l' insegnargli tutti i misteri elettronici del tubo catodico. La situazione attuale è contrassegnata dalla disponibilità di programmi applicativi di eccezionale amichevolezza e potenza, che sono sì abbastanza complessi da richiedere, ciascuno, parecchie ore di formazione; ma che permettono subito dopo, anche ad un utente che fino alla settimana prima di informatica non sapeva nulla, di ottenere dal computer prestazioni tali da cambiare radicalmente in meglio il suo modo di studiare e di lavorare. Supponiamo che uno studente o un insegnante dispongano d' un centinaio di ore, nel corso dell' anno, da dedicare all' informatica. Se le dedicano allo studio di programmi applicativi, meglio se sotto la guida d' un esperto, esse sono sufficienti per giungere a padroneggiare almeno tre o quattro di essi: diciamo un elaboratore di testi, che permette oggi di conferire ai propri scritti una qualità paragonabile a quella d' un libro; un database, formidabile per costruire bibliografie, organizzare un archivio, strutturare note di ricerca e schemi di lezione; un foglio elettronico, che mostra immediatamente che cosa succede a certe variabili d' un sistema (dal bilancio di un' azienda al sistema economico nazionale) se si interviene su certe altre; infine un metodo per navigare con sicurezza ed efficacia nello sterminato mondo delle reti delle banche dati internazionali, tipo Internet. E se avanza qualche ora, può sempre impratichirsi su un ipertesto, capace di cambiare la faccia di qualsiasi tipo di didattica. Saper dominare questi strumenti informatici non solo cambia per sempre il modo di lavorare d' un individuo: lo introduce anche in un circuito di conoscenze tecnico scientifiche, di comunità reali e virtuali, di saperi universalmente memorizzati e utilizzati, che sono quanto di più innovativo e stimolante l' informatica possa offrire come elemento centrale della cultura moderna. Lo stesso centinaio di ore, investito nello studio della programmazione, non permette oggi forse lo permetteva vent' anni fa di arrivare nemmeno a sfiorare la superficie di tale nuovissimo universo di segni e di significati Rattrista il pensare che nella nostra scuola, anche sulla base di indicazioni ministeriali in ritardo cronico sui tempi, i ragazzi debbano ancora subire le conseguenze di questa seconda scelta. Luciano Gallino Presidente del Centro di informatica per le Facoltà umanistiche, Università di Torino Il professor Gallino e noi parliamo di due cose diverse, entrambe importanti e che non sono in contrasto fra loro: l' informatica e le applicazioni dell' informatica. La nostra scelta è stata suggerita dalle più avanzate esperienze didattiche di vari paesi, confermate dalla commissione Brocca per i programmi scolastici italiani. E' inoltre opinione comune che l' informatica sia al centro della nuova cultura scientifica. In base alla nostra diretta esperienza didattica, siamo certi che il ragazzo che ci seguirà potrà raggiungere notevoli risultati. Abbiamo visto ragazzi scrivere programmi per lo studio del latino, la verifica di teoremi o l' emulazione di esperienze di laboratorio. Più in generale, riteniamo che usare una tecnologia altrui senza conoscerla e senza poter quindi contribuire al suo sviluppo sarebbe rischioso: porterebbe verso il Terzo Mondo. Angelo Meo e Federico Peiretti.


CHIMICA & BIOINGEGNERIA Dai nuovi materiali tanti pezzi di ricambio per la macchina uomo
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: CHIMICA, MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Parti del corpo umano sostituibili con protesi fabbricati con il «composito X»
NOTE: 062

IL nome è ancora provvisorio, «composito X», perché ancora non sono state individuate tutte le sue caratteristiche. E' un materiale «intelligente», capace di dilatarsi e di contrarsi al variare della temperatura tra meno 30 e più 100 gradi centigradi e di ritornare alle dimensioni di partenza un' infinità di volte. Variando la temperatura di pochi gradi centigradi il «composito X» si dilata e si contrae con variazioni di volume «decine di migliaia di volte superiori a quelle di un gas, centinaia di migliaia di volte superiori a quelle di un liquido, molti milioni di volte superiori a quelle di un solido ordinario». Il «composito X» è solo uno tra i numerosi «nuovi materiali» di cui si fa l' inventario in un rapporto dedicato a «La chimica e la qualità della vita» che la Federchimica ha presentato l' altro ieri, lunedì, alla quinta Conferenza sulla chimica in Italia a Milano nel corso della quale è stata annunciata anche la costituzione di un «Centro per l' innovazione e la ricerca chimica». Difficile prevedere tutte le possibili applicazioni di un materiale con queste caratteristiche; come per un altro materiale scoperto di recente, il fullerene, terza forma del carbonio accanto a quelle già note della grafite e del diamante, anche per il «composito X» sarà questione di fantasie. Un campo interessante potrebbe essere quello dei «biomateriali», che hanno avviato negli ultimi anni una vera rivoluzione in campo sanitario e sociale. E ciò che è già avvenuto con le cosiddette plastiche intelligenti; si tratta di plastiche il cui «stato elettrico» varia quando sono sottoposte a una pressione meccanica, a un campo elettrico (plastiche piezoelettriche) o a variazioni di temperatura (plastiche piroelettriche). Il primo materiale plastico con queste caratteristiche, il polivinilidene fluoruro, fu prodotto nell' 81 dalla Solvay nei laboratori di Bruxelles ed oggi trova applicazione tra l' altro, per la costruzione di apparecchi acustici nei quali sostituisce il timpano. La bioingegneria è senza dubbio il settore che ha più largamente approfittato del boom dei cosiddetti nuovi materiali. Sono ormai una ventina gli interventi di sostituzione o di riparazione di arti o organi del corpo umano praticati ogni giorno in molti ospedali del mondo; solo negli Stati Uniti ogni anno vengono impiantate 30 mila valvole cardiache, 100 mila pacemakers, 110 mila protesi dell' anca, 65 mila del ginocchio, 50 mila di spalle, dita e altre parti; 100 mila donne ogni anno ricorrono a protesi mammarie per motivi puramente estetici (78 per cento) o dopo un intervento di mastectomia (22 per cento); 150 mila sono i bypass coronarici, circa 300 mila gli impianti oftalmici. Il sogno di sostituire parti del corpo umano danneggiate o perdute è antico, se già i medici dell' antico Egitto tentavano arditi innesti; ma per molti secoli i progressi furono lentissimi proprio per la mancanza dei materiali adatti; anche a partire dal diciassettesimo secolo, quando si cominciarono a costruire protesi sempre più complesse usando oro, argento e ferro, i problemi di biocompatibilità furono un ostacolo insuperabile. La svolta è cominciata alla fine dell' Ottocento da un lato con i progressi della chirurgia e della lotta alle setticemie e dall' altro con la chimica dei biomateriali che hanno reso possibile cominciare a ricostruire ossa e articolazioni con le materie plastiche, che specie negli ultimi decenni hanno consentito di «progettare» un certo numero di materiali con una serie di caratteristiche particolari, come quella di essere compatibili con i tessuti corporei, di essere dotati di inerzia chimica e quindi non influenzabili da agenti esterni, privi di effetti tossici e cancerogeni, con densità, resistenza, peso adeguati, facili da lavorare e, requisito non marginale, con costi sufficientemente contenuti da rendere gli impianti accessibili a chiunque. E' così diventato possibile ricostruire o sostituire parti dell' organismo sempre più complesse, come valvole cardiache e reni artificiali. E' difficile dire quali potranno essere gli sviluppi di queste tecnologie. I «nuovi materiali» biomedicali si moltiplicano; tra gli ultimi vi sono quelli ceramici; gli zaffiri artificiali, duri quasi quanto i diamanti, sono usati in odontoiatria, la Sorim Biomedica costruisce valvole cardiache usando carbonio pirolitico, la Esa Ote Biomedica di Genova costruisce ecotomografi basati sull' impiego della ceramica, la Irtec di Faenza usa la ceramica per le protesi ortopediche. Vittorio Ravizza


SCIMPANZE' Ti mangerei come una foglia Se il maschio mordicchia un rametto...
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ZOOLOGIA, ANIMALI
NOMI: GOODALL JANE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 063

NEL mondo umano cultura e tradizioni cambiano da Paese a Paese. Questa diversità culturale esiste anche tra gli scimpanzè. L' hanno accertato le ricerche condotte dagli studiosi sulle trentadue popolazioni di scimpanzè che ancora vivono allo stato selvatico in alcune regioni africane. Jane Goodall, che ha trascorso trent' anni nel Gombe National Park, in Tanzania, ha fatto conoscere al mondo una delle più interessanti forme di cultura esistente tra gli scimpanzè che abitano quella regione: la pesca delle termiti (e delle formiche). Lo scimpanzè sceglie accuratamente un ramo, valuta la sua flessibilità, lo stacca dall' albero, lo libera dalle foglie, lo accorcia coi denti alla giusta misura e lo trasporta anche da lontano (perfino da novanta metri di distanza) fino al termitaio o al formicaio. Un simile comportamento presume premeditazione e una precisa intenzionalità. Una volta giunto sul posto, lo scimpanzè introduce il ramo nei fori del nido, aspetta che si carichi di formiche o di termiti, con la stessa pazienza del pescatore che tende la lenza e attende che il pesce abbocchi all' amo. L' operazione dura una ventina di minuti, ma si può protrarre per un' ora e mezzo. In questo tempo il rametto viene estratto e reintrodotto decine di volte. Ogni volta che lo estrae, la scimmia se lo lecca coscienziosamente e, se si tratta di formiche, bada a masticarle subito per impedire che abbiano il tempo di spruzzare l' irritante acido formico. I giovani scimpanzè osservano con molta attenzione gli adulti che pescano e cercano di imitarli. Sono tentativi maldestri che dapprincipio non portano a nessun risultato Ci vuole del tempo prima che incomincino anche loro a pescare qualche insetto, ma alla fine imparano e, diventati adulti, insegneranno la tecnica ai figli. Così avviene la trasmissione culturale. Ma la pesca delle termiti sembra sia una prerogativa esclusiva degli scimpanzè che vivono nell' Africa orientale. Non la pratica nessun' altra popolazione di scimpanzè. Il primatologo giapponese Tetsuro Matsuzawa scopre ora che gli scimpanzè della zona di Bossu, in Guinea, ricorrono a un' altra tecnica per procurarsi il cibo. Prendono un grosso sasso ben levigato e sopra quest' incudine naturale collocano una noce di palma dal guscio durissimo, poi battono la noce con un altro sasso scelto della giusta misura e del giusto peso perché faccia da martello. E giù colpi bene assestati fino a che la noce non si spacca e lo scimpanzè riesce a mangiarne il dolce contenuto polposo. I giovani impiegano circa quattro anni per acquistare l' abilità degli adulti. Quest' usanza sembra sia monopolio delle popolazioni dell' Africa occidentale. Non la si riscontra in nessun' altra. Gli scimpanzè di Gombe usano anche schiacciare le foglie per farne una sorta di spugna con cui asciugano l' acqua negli incavi dei tronchi Nulla di simile è stato osservato nella popolazione che vive sulle montagne Mahale, centoventi miglia più a Sud, dove Toshiade Nishida e la sua equipe studiano gli scimpanzè da oltre venticinque anni. Altro comportamento singolare mai riscontrato in altri gruppi è quello degli scimpanzè maschi della foresta Kibale, in Uganda, i quali usano una particolare tattica per attirare le femmine in estro. Mentre le guardano con occhiate concupiscenti, masticano il margine di una foglia, come faremmo noi con il chewing gum. Sembra che questo atteggiamento sia un chiaro invito alla copula. Vi sono comportamenti diversi anche nella caccia. Mentre a Gombe e a Mahale soltanto i maschi cacciano le prede e se le spartiscono tra loro, nella foresta Tai della Costa d' Avorio le femmine prendono spesso parte alle battute di caccia e hanno un ruolo egualitario nella spartizione del bottino. Non è facile spiegare come si sia evoluta questa diversità culturale tra le varie popolazioni di scimpanzè Per alcuni si tratta di una diversità biologica di base, cioè di una differenza genetica. E' di questo parere la genetista di Harvard Maryellen Ruvello, che ha analizzato il DNA di varie sottospecie di scimpanzè. Per lei gli scimpanzè sono geneticamente più diversi tra loro di quanto non lo siano gli uomini delle attuali popolazioni umane. Le variazioni culturali sarebbero la conseguenza di questa diversità genetica. Ma non tutti gli studiosi sono dello stesso avviso. L' antropologo Richard Wrangham propende per l' ipotesi che le differenze di comportamento siano dovute a semplici ragioni di opportunità. Così egli ha notato che i maschi della foresta Kibale non entrano mai in competizione tra loro, come succede in altri gruppi. Per diversi anni la posizione al vertice di questa popolazione è stata tenuta da una coppia di maschi e nessun altro maschio ha tentato di usurpare la leadership. Segno che in questo modo si era raggiunta una notevole stabilità sociale. Ma c' è anche chi ritiene che alla base delle variazioni culturali ci siano fattori ecologici. Le noci di palma da olio, ad esempio, si trovano in tutte le aree abitate dagli scimpanzè, eppure vengono utilizzate come alimento soltanto da quelli dell' Ovest. Si direbbe che gli scimpanzè dell' Ovest abbiano bisogno di una simile sovralimentazione che fornisce loro 3800 calorie al giorno. Quelli dell' Est invece, che vivono in una zona particolarmente lussureggiante, ricchissima di risorse alimentari, non ne hanno bisogno. Un' altra differenza è la voce. Secondo John Mitani, un antropologo dell' Università del Michigan, si può parlare di veri e propri dialetti. E' affascinante scoprire che esista tra gli scimpanzè una cultura flessibile come la nostra. Ma forse siamo giunti troppo tardi a questa scoperta, perché con la scomparsa del loro habitat vanno scomparendo i nostri meravigliosi cugini che avrebbero ancora tanti segreti da svelarci sulle origini della nostra specie. Isabella Lattes Coifmann


JURASSIC PARK Lasciate a casa i bambini] Il film è troppo ansiogeno per loro
Autore: OLIVERIO FERRARIS ANNA

ARGOMENTI: PSICOLOGIA, CINEMA, FILM, BAMBINI
PERSONE: SPIELBERG STEVEN
NOMI: SPIELBERG STEVEN
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 063

IL mondo della preistoria e dei fantastici animali che lo abitavano ha sempre attratto la fantasia infantile, come indica lo stesso scrittore di fantascienza Ray Bradbury che sin dall' infanzia ha sviluppato una passione per i dinosauri. Le dimensioni colossali di questi animali contribuiscono a stimolare l' immaginario di bambini e ragazzi. In fin dei conti, questo mondo preistorico è un buon aggancio per stimolare la mente dei bambini nei riguardi della scienza e della natura. «Jurassic Park», l' ultimo film di Spielberg, immerge ancor più il pubblico giovanile in un mondo fantastico che, per i trucchi mirabolanti e la ricchezza delle immagini, ha una grande capacità di presa sulla mente di bambini e ragazzi. Ma in questo film non c' è soltanto il fantastico e l' avventura, c' è anche molta violenza: una violenza che se un adulto o un ragazzo possono considerare nell' ambito di una simulazione giocosa, un bambino può vivere in maniera del tutto diversa. In realtà sono parecchi i motivi per cui questo film può turbare i bambini che, non bisogna dimenticarlo, sono diversi gli uni dagli altri per esperienza e sensibilità. Il film è infatti costantemente dominato da una dimensione inquietante e ansiogena (sottolineata anche da una colonna sonora incalzante), quella legata alla persecutoria aggressività dei tirannosauri nei riguardi dell' uomo e in particolare dei due piccoli protagonisti. Dotati di una intelligenza lucida e di una astuzia quasi umana, i bestioni di «Jurassic Park» vanno con allarmante insistenza alla caccia degli esseri umani, li fanno a pezzi e se li divorano. Sono creature perverse che inseguono e perseguitano i protagonisti della storia sia all' esterno, nell' ambiente naturale, che all' interno della casa, ossia in quegli spazi domestici che i bambini, ma anche gli adulti, associano alla sicurezza, a un rifugio al di fuori delle minacce del mondo. Molti genitori si domandano quindi se questo spettacolo sia adatto ai bambini e ai ragazzini. Nella maggior parte dei casi la risposta è no. Per varie ragioni. Anzitutto l' assistere a scene di intensa violenza è ben diverso dal leggere dei racconti in quanto le immagini hanno una forza notevole e coinvolgono immediatamente l' emotività dello spettatore, soprattutto se questi è un bambino. Nella mente dei più piccoli queste scene restano impresse, come dei fotogrammi staccati, indipendentemente dall' insieme della storia che d' altro canto non è a lieto fine ma sembra preludere a ulteriori minacce. I protagonisti infatti riescono a fuggire dal mondo violento dei mostri ma non come vincitori e non si può escludere che un giorno gli stessi mostri non possano rifarsi vivi, magari in un Jurassic Park 2... Un altro motivo è legato al tipo di violenza a cui si assiste, una violenza estremamente primitiva e molto concreta qual è quella orale, la gran bocca che divora gli uomini: queste scene possono far sorridere gli adulti o comunque essere minimizzate sia perché noi adulti tendiamo a dare più valore ad altri tipi di violenza (più astratta o più concettuale) sia perché abbiamo maggiore coscienza dei bambini di trovarci in un mondo fantastico. Ma i bambini, che ragionano in termini concreti, possono ritenere che dei mostri e magari, generalizzando, anche degli animali domestici, possano attentare alla loro sicurezza e sopravvivenza inghiottendoli. Questa minaccia è particolarmente sentita, nell' infanzia, quando la sicurezza e l' identità individuale sono ancora fragili e i timori di essere annullati, di scomparire per sempre in un solo boccone e di essere privi di valore sono ancora forti. C' è quindi un rischio nell' esporre i bambini sia i più piccoli che i più grandicelli a spettacoli terrorizzanti che possono far temere le normali situazioni della vita quotidiana: ai bambini piace essere spaventati un po', ma se si esagera possono finire per avere paura delle proprie fantasie e sviluppare delle ansie o degli incubi che interferiscono con la costruzione del coraggio, che in quegli anni si struttura passo dopo passo. Se comunque i genitori sceglieranno di far vedere questo film ai loro figli più grandicelli, sarà bene che anticipino ai bambini che assisteranno ad alcune scene di violenza, spiegando loro che si tratta solo di trucchi cinematografici, di coloranti e falsi organi umani. Ed è bene che stiano loro vicini per confortarli con quel contatto fisico che con la sua calda concretezza può mitigare l' effetto delle scene più ansiogene... Anna Oliverio Ferraris Università «La Sapienza», Roma


SVILUPPO NERVOSO L' eterna giovinezza della mente La cresta neurale si rigenera: nuove ipotesi di lavoro
Autore: MARCHISIO PIER CARLO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, GENETICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.
NOTE: 063

E' caduto di recente un altro dogma scientifico. Ai neurologi cresciuti negli ultimi trent' anni è sempre sembrato ovvio che le cellule nervose perdano molto presto, durante la vita embrionale, la capacità di proliferare. Questa affermazione, che ora ci sembra dogmatica, è servita da base per negare qualsiasi possibilità di rigenerazione del tessuto nervoso e per affermare che l' assetto cellulare del cervello viene definito molto prima che stimoli derivati dall' ambiente esterno possano in qualche modo condizionare lo sviluppo nervoso. Come conseguenza, il dogma prevede che la funzione nervosa sia interamente indotta e guidata dall' esperienza di stimoli che agiscono su una base definita dal punto di vista genetico. Così concepito, il ragionamento fila e giustifica sia l ' importanza di fattori ereditari sia il ruolo fondamentale svolto da fattori ambientali sullo sviluppo globale della funzione nervosa Come si può immaginare, il dogma si è basato per anni sul concetto che non sopravvivano nel sistema nervoso adulto precursori in grado di mantenere una, sia pur limitata, capacità di proliferare e dare origine a nuovi neuroni. Una piccola crepa si è ora aperta nella costruzione del dogma, piccola da non creare preoccupazione nei dogmatici ma degna di essere attentamente valutata per le sue implicazioni teoriche. Due ricercatori americani hanno riportato, in un lucido e documentato articolo apparso su Cell, come una popolazione di cellule della cresta neurale, sito di origine precocissimo di neuroni, tra i quali quelli che rispondono all' NGF o nerve growth factor, rimanga indefinitivamente in grado di dare origine a nuove cellule capaci di differenziarsi in cellule nervose. Si viene così a suggerire un nuovo concetto: non più uno sviluppo bifasico delle cellule nervose, prima un' onda massiccia di proliferazione e poi la maturazione definitiva che prelude a un lento e inesorabile declino per invecchiamento, ma una potenziale capacità di sostituzione di cellule nervose con elementi freschi. Il sistema nervoso, se tutto fosse vero, verrebbe a comportarsi come il sangue, dove le cellule che muoiono sono regolarmente rimpiazzate dalla maturazione di precursori che proliferano senza posa. Tradotto in termini di funzione nervosa, si avvererebbe il mito di Faust, l' eterna giovinezza della mente. Niente entusiasmi, tuttavia. Se da un lato l' aver dimostrato la mantenuta capacità di generare costantemente cellule nervose suscita possibilità teoriche, ciò non vuole affatto dire che nuove cellule rimpiazzino le vecchie nel nostro cervello. Il dogma distrutto genera speranze, per ora solo oggetto di ipotesi applicative. Se è vero che esiste fisiologicamente una riserva di cellule capaci di diventare neuroni, è solo questione di trovare le condizioni adatte per risvegliare cellule dormienti, come nuovi fattori di crescita, per ottenere a volontà cellule che, dotate di nuovi geni attivi, possano rimpiazzare neuroni perduti. E' una frontiera che si apre all' ingegneria genetica del prossimo secolo e per la quale nessuno osa prevedere applicazioni pratiche. Non costa nulla sognare che molte malattie che implicano perdita fisica di cellule nervose, come il morbo di Parkinson, l' Alzheimer le conseguenze dell' ictus, possano venir curate trapiantando nuovi neuroni coltivati artificialmente. A coloro che possono preoccuparsi dalle conseguenze etiche di un trapianto di cellule nervose mi sento di dire che le caratteristiche biologiche del cervello come organo della mente non risiedono in una o l' altra delle sue cellule ma nel prodigioso strutturarsi delle loro connessioni. Questo non può avvenire in altro modo che attraverso l' interazione dell' individuo con l' ambiente e gli stimoli che da questo si originano. In altre parole, non esiste alcun rischio di cambiare un cervello aggiungendo poche cellule nuove ma solo la speranza di alleviare le conseguenze di un male. Pier Carlo Marchisio Università di Torino


INFORMATICA «Print» ] E i calcoli sono fatti
AUTORE: MEO ANGELO RAFFAELE, PEIRETTI FEDERICO
ARGOMENTI: INFORMATICA, DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 064. Terza puntata

IL comando PRINT, a cui abbiamo appena accennato nella scheda precedente, può essere seguito da qualunque espressione aritmetica scritta, più o meno, con le regole che abbiamo imparato studiando matematica. Vediamo alcune di queste regole, quelle principali, ampiamente sufficienti per risolvere la grande maggioranza dei problemi. a) La moltiplicazione si indica con il simbolo *; la divisione con /. Ad esempio, il comando PRINT 10 * 2 produce la visualizzazione di 20; PRINT 10/2 produce 5. b) Al posto della virgola decimale si deve scrivere il simbolo ". ", cioè il punto. Ad esempio, 32, 4 si scrive 32. 4 0, 34 si scrive 0. 34, oppure, sottintendendo lo zero iniziale,. 34 e PRINT 4. 5/3 più 1 produce la visualizzazione di 2. 5 PRINT 8/. 4 visualizza 20. c) Le parentesi quadre e le graffe devono essere sempre sostituite da parentesi tonde. Ad esempio, non si deve scrivere PRINT (2 più ( (3 più 2) / 5) ) ma PRINT (2 più ( (3 più 2) / 5) ) e PRINT 24 _ (4 * (7 più 14 _ (5* 6 _ 4 * 7) /2 _ 11) _ (4* 8 più 1) ) visualizza 21. d) Per l' elevazione a potenza si scrive la base seguita dal simbolo "", oppure da una freccia ""e poi dall' esponente: PRINT 3 3 produce 27 PRINT 4 2 produce 16. L' informatica è una disciplina molto giovane, ma le conquiste del femminismo sono ancora più recenti. Questo spiega forse la traccia di maschilismo che è rimasta nella nomenclatura italiana dell' informatica, secondo la quale la calcolatrice è cosa ben diversa, e inferiore, rispetto al calcolatore. La prima è il diffuso strumento di calcolo nel quale l' operatore introduce i dati numerici e ordina l' esecuzione delle operazioni, una alla volta. Il secondo è invece lo strumento di calcolo, ben più potente e complesso, che accetta in ingresso non soltanto i dati numerici da elaborare, ma anche il programma, ossia la descrizione della successione delle operazioni o istruzioni che devono essere eseguite. Il personal computer è ovviamente un calcolatore, non una calcolatrice. Ma l' istruzione PRINT ci permette di acquisire, a un costo di apprendimento ridottissimo unicamente la lettura di questa scheda una calcolatrice prodigiosa che è in grado di calcolare, una alla volta, espressioni aritmetiche anche molto complesse. Sia l' allievo della scuola elementare che il professore dell' università possono imparare ad usare questa meravigliosa calcolatrice in pochi minuti di divertenti esercizi. Basta scrivere il comando PRINT seguito da un' espressione aritmetica e il sistema calcola il valore dell' espressione presentandolo sul video. Attenti: nel calcolo dell' espressione aritmetica vengono rispettate quelle che si chiamano le priorità fra le diverse operazioni. Moltiplicazioni e divisioni vengono quindi eseguite prima di addizioni e sottrazioni. Ad esempio: PRINT 6 più 4 * 2 visualizza 14 e non 20. La moltiplicazione viene eseguita prima dell' addizione: 6 più 4 * 2 = 6 più 8 = 14 e non 6 più 4 * 2 = 10 * 2 = 20. Operazioni aventi pari priorità vengono eseguite da sinistra a destra. Ad esempio: PRINT 20/2 * 5 stampa 50 e non 2 perché la divisione in questo caso viene eseguita prima della moltiplicazione. La parola SQR ( «Square root» ossia «radice quadrata» ) seguita da un numero o da un' espressione aritmetica fra parentesi tonde indica la radice quadrata di quel numero o del valore di quell' espressione. Ad esempio, SQR (36) visualizza 6, SQR (3 * 3 più 4 * 4) è equivalente a 5. La forma SQR (... ) è un primo esempio del concetto importante di funzione. Gli allievi delle scuole medie superiori e dell' università hanno sovente bisogno di altre funzioni. Tra le più importanti ricordiamo le funzioni seno, coseno e tangente, chiamate rispettivamente SIN, COS e TAN. Ad esempio, per ottenere il seno di un angolo pari al terzo di un radiante si scrive: PRINT SIN (1/3). La funzione LOG (... ) infine restituisce il logaritmo naturale del numero o dell' espressione racchiusa fra parentesi. Ad esempio PRINT LOG (1) visualizza 0.


LE DATE DELLA SCIENZA La rivoluzione di Vesalio Grande anatomista rinascimentale, contestò le teorie di Ippocrate e Galeno I sette volumi del suo «De humani corporis fabrica» uscirono 450 anni fa
Autore: GABICI FRANCO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
PERSONE: VESALIO ANDREA
NOMI: VESALIO ANDREA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 064

QUATTRO secoli e mezzo fa uscirono due libri che fecero epoca: il De revolutionibus orbium coelestium di Copernico e il De humani corporis fabrica libri septem di Andrea Vesalio. Se il libro di Copernico è associato alla rivoluzione astronomica, l' opera di Vesalio determinò la rivoluzione anatomica, in quanto fece uscire definitivamente la medicina dalle nebbie dei pregiudizi medioevali. Capolavoro che riflette lo spirito rinascimentale, nei sette libri del De humani corporis fabrica Vesalio svela i segreti dell' anatomia non soltanto con i suoi testi ma anche e forse soprattutto grazie a splendide tavole illustrative, opera di Jan Stephan Calcar un allievo di Tiziano. Le tavole costituiscono un indispensabile supporto didattico, al punto che la Fabrica è stata un libro molto più guardato che letto. Vesalio contestava Ippocrate e Galeno, i quali, soprattutto il secondo, avevano impostato la loro dottrina senza mai dissezionare un corpo umano. Questo atteggiamento irriverente di un giovane verso la tradizione fu duramente criticato (quando uscì il libro Vesalio aveva 28 anni) e nel 1451 l' anziano maestro Jacobus Sylvius uscì con un libro dall' eloquente titolo Confutazione delle infami critiche di un pazzo agli scritti di Ippocrate e Galeno. Vesalio, invece, fu un grande anatomista e una volta, durante una lezione che evidentemente non lo soddisfaceva, sbalordì studenti e professore esibendosi in una estemporanea dissezione con la quale mostrava le parti del corpo umano con grande perizia. Convinto che l' anatomia fosse il presupposto indispensabile della medicina, Vesalio esercitò la professione di medico alla corte di Carlo V e del successore. Nato a Bruxelles nel 1514, Vesalio morì nell' isola greca di Zante mentre ritornava dalla Terra Santa. Il pellegrinaggio gli era stato imposto da Filippo II per commutargli la pena di morte dell' Inquisizione, che lo aveva accusato di aver dissezionato un uomo vivo. Un anonimo orafo veneziano scavò la tomba di Vesalio, della quale però non si ha nessuna traccia. Resta la sua opera, della quale il poeta statunitense Walt Whitman ebbe a dire: «Compagno, questo non è un libro. Chi lo tocca, tocca un uomo». Franco Gabici


STRIZZACERVELLO Tre numeri sorprendenti
Autore: PETROZZI ALAN

ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 064

Gli appassionati di matematica ricreativa avranno sicuramente incontrato molte volte i numeri cosiddetti «sorprendenti» ma, al pari degli altri comuni mortali che li scoprono oggi, non sapranno bene perché sono così famosi. Un problema, quindi, di memoria per alcuni e di divertente ricerca per gli altri. Il primo numero è il 15. 873, capace di singolari risultati se opportunamente moltiplicato per... Il secondo è 37. 037, anche questo in grado di sfornare curiosi esiti. Il terzo infine, scoperto per caso dal grande Lewis Carroll (l' autore di «Alice nel paese delle meraviglie» ) mentre eseguiva una divisione di prova, è il 142. 857. Cercate di scoprire i vari motivi della loro fama. Come sempre, troverete la soluzione domani, accanto alle previsioni del tempo. (A cura di Alan Petrozzi)


LA PAROLA AI LETTORI Se la Terra non è diventata un bel frigo...
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 064

Com' è che la Terra, dopo quattro miliardi e mezzo di anni, non si è ancora raffreddata? Questo quesito ha avuto una prima risposta secondo me inaccettabile, perché implica l' idea che l' energia possa crearsi dal nulla. Il lettore, a quanto ho capito, affermerebbe che la Terra è in grado di produrre continuamente calore in modo del tutto gratuito, il che è palesemente in netto contrasto con il Primo Principio della Termodinamica, o concetto della conservazione dell' energia. Le cose, invece, mi sembra stiano in questi termini: i vari vulcani della Terra, la dorsale atlantica le aree geotermiche più gli oceani e le terre emerse smaltiscono per irraggiamento verso lo spazio, una tale quantità di energia termica che, se non esistesse un preciso processo (simile a quello che si produce, ad esempio, nel Sole o in Giove) di trasformazione di materia in energia (che necessariamente si realizza nelle viscere della Terra), il nostro pianeta sarebbe da tempo diventato un gran bel frigorifero. Sicuramente molto illuminato, non eccessivamente freddo perché in una certa misura, dal Sole, viene anche riscaldato, ma sempre un frigorifero. L' energia raggiante in arrivo dal Sole non può assolutamente bastare, da sola, a garantire il livello medio di temperatura che la terra di fatto dimostra di possedere e da tempi ormai lunghi. Giampiero Godone, Ventimiglia Dove si credeva che fosse l' Eldorado? Quando Hernan Cortes, verso la fine del 1519, venne ospitato nella capitale azteca dal sovrano Moctezuma II (il Dio vivente), rimase fortemente impressionato dalle stanze ricolme di oggetti in oro e preziosi, dalle innumerevoli regge che il sovrano possedeva in vari angoli della città, dai giardini ornati con fiori composti da fili d' oro e con foglie tintinnanti fatte di giada. In una lettera al suo re, descrisse quella terra come un luogo in cui l' oro era al posto dei sassi, i preziosi al posto dell' erba e l' argento non era considerato neppure un metallo nobile. Nacque così, suffragata da racconti di questo genere, la leggenda dell' Eldorado, un immenso tesoro giacente sul fondo di un lago, gettato da un re che ogni anno veniva pesato e valutato a peso d' oro e preziosi. Tra i luoghi più noti in cui si ipotizzò questo Eldorado, ci sono il Rio delle Amazzoni e l' Orinoco. Generazioni di avventurieri e pirati europei cercarono vanamente questo tesoro un po' dovunque in tutta l' America Centrale. Gabriele Garabello, Torino Il mito dell' Eldorado trae origine probabilmente dal fatto che il cacicco di Guatavita (città della Colombia sul lago omonimo, dove furono ritrovati oggetti d' oro di straordinaria fattura) si bagnava una volta l' anno nella laguna unto di trementina e cosparso di polvere d' oro. Inoltre nel lago si trovano grotte micacee che per il loro splendore furono scambiate per grotte d' oro. Umberto Rigazzi, Brusasco (TO) Perché gli alimenti in scatola si conservano a lungo? La scoperta che un prodotto alimentare, chiuso in un contenitore ermetico e sottoposto a ebollizione prolungata, era in grado di conservarsi, è dovuta a Nicolas Appert (1795), dal quale deriva il termine «Appertizzazione». Quindici anni dopo, nel 1810, Peter Durand brevettò in Inghilterra il contenitore in banda stagnata al quale, almeno in parte, i prodotti appertizzati devono il loro successo e che, con successive modifiche, utilizziamo tuttora. In base alle loro caratteristiche e al trattamento subito per eliminare i microrganismi patogeni e tossinogeni (sterilizzazione o pastorizzazione) i prodotti alimentari si dividono in Conserve e Semiconserve. Accorgimenti tecnologici permettono l' ermeticità ai liquidi, ai gas e ai microrganismi. Se dalle scatole fuoriesce liquido, o esse si presentano arrugginite, bombate o implose, è bene scartarle. Michele Perinotti, Lignana (VC) Perché alcuni fiori hanno colori vistosi e altri no? La maggior parte dei fiori presenta una colorazione vistosa per favorire l' impollinazione entomofila, cioè dovuta agli insetti, i quali sono appunto attratti, oltre che dai profumi, anche dalle colorazioni sgargianti. Le piante il cui polline viene disperso dal vento o si autoimpollinano non devono fare opera di seduzione e quindi non hanno evoluto fiori vistosamente colorati. Giuliano Davisod, Torino




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