TUTTOSCIENZE 6 ottobre 93


PALEONTOLOGIA Grazie dei fior... Un «dono» dei dinosauri
Autore: BOZZI MARIA LUISA

ARGOMENTI: PALEONTOLOGIA, ZOOLOGIA, BOTANICA, ANIMALI
NOMI: OSTROM JOHN, BAKKER ROBERT
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 053

SE i dinosauri non fossero mai esistiti, sarebbe diverso il nostro mondo? Ebbene, in questo caso probabilmente oggi non saremmo perseguitati dal film Jurassic Park, ma non saremmo neppure allietati dagli uccelli e dai fiori. A questo punto un po' di sano scetticismo è d' obbligo. Però ormai tutti i paleontologi lo ammettono: gli uccelli sono gli unici dinosauri sopravvissuti all' estinzione di massa della fine del Cretacico. L' ipotesi fu avanzata per la prima volta già nel secolo scorso da Thomas Huxley, quando nel 1861 venne alla luce nelle cave di argille marine di Solnhofen il fossile di Archaeopteryx, che sostanzialmente aveva lo scheletro di un dinosauro ed era coperto di penne come un uccello. L' ipotesi allora era troppo azzardata, perché presupponeva di accettare i meccanismi dell' evoluzione secondo la teoria di Charles Darwin, un ' idea troppo rivoluzionaria per qualsiasi benpensante del tempo, anche uomo di scienza. Però, dopo il 1861 altri cinque fossili di Archaeopteryx vennero alla luce, a diversi stadi di conservazione (con e senza le penne, con e senza la testa) e ogni tentativo di minare l' importanza di questo fossile fallì. Compreso l' ultimo, che risale a una decina di anni fa e porta la firma del famoso astrofisico inglese Fred Hoyle, il quale sosteneva Archaeopteryx essere un falso. Per rispondere all' accusa, al British Museum (Natural History) si attivarono ricerche e studi e qui il paleontologo americano John Ostrom, attraverso l' analisi comparata fra Archaeopteryx e alcuni dinosauri carnivori (Compsognathus, Ornitholestes e Deinonychus), dimostrò una volta per tutte che gli uccelli sono i discendenti diretti dei dinosauri. Lo conferma l' ultimo «anello mancante» scoperto e descritto nel 1992, Sinornis, che visse 30 milioni di anni dopo Archaeopteryx. Accanto ad alcune strutture ancora rettiliane Sinornis ha già lo scheletro delle ali della coda e lo sterno degli uccelli. Se dunque siamo debitori dei dinosauri per la presenza degli uccelli, secondo il paleontologo americano Robert Bakker dobbiamo essere loro ugualmente grati per quella dei fiori. Come si sa, piante ed erbivori evolvono insieme (coevolvono, in termini scientifici) uniti dal legame preda predatore. Le piante con fiore coabitarono per più di 40 milioni di anni con i dinosauri erbivori: secondo Bakker, non è possibile che non siano state influenzate da tale convivenza. Le piante con fiori, le Angiosperme, sono i vegetali dominanti del nostro mondo. Presenti in migliaia di specie, vanno dall' erba alle querce, dalle palme ai meli, dalle fragole alla lattuga e discendono tutte da un comune progenitore comparso più di 100 milioni di anni fa, in pieno regno dei dinosauri. Fino ad allora le piante dominanti erano state le conifere e le cicadee, vegetali che per la riproduzione si affidano al vento. A crescita lenta, possono raggiungere notevoli altezze e alcune, le sequoie, vivere migliaia di anni. Comparse all' inizio del Triassico, prima ancora dei dinosauri, conobbero il loro massimo fulgore nel successivo Giurassico, quando gli erbivori più diffusi delle terre emerse erano i sauropodi, i dinosauri erbivori di dimensioni gigantesche e dai lunghi colli. Diplodoco, Brachiosauro, Apatosauro furono i loro predatori, insieme al più piccolo Stegosauro. In piedi sulle zampe posteriori, seduti sulla possente coda, brucavano le cime delle sequoie e delle altre conifere poste al di sopra dei 12 metri. Anche Stegosauro, secondo Bakker, banchettava in questa posizione, mentre Brachiosauro rimaneva solido sulle quattro zampe, ma con il lungo collo accedeva alle stesse altezze dei compagni. Alla fine del Giurassico questa squadra di brucatori delle cime si estinse, lasciando il posto a un nuovo modello di erbivoro, basso, tarchiato, con la nuca piegata verso il terreno. I dinosauri a becco d' anatra, i ceratopsidi armati di corna, i nodosauri e perfino gli iguanodonti, brucavano i vegetali a livello del terreno scombinando l' equilibrio fino allora vigente nell' ecosistema. D' ora in poi saranno privilegiate le piante a crescita veloce, con impollinazione selettiva come quella fornita dagli insetti, con una grande produzione di semi e una notevole efficienza nel diffonderli. In una parola, le Angiosperme le piante con fiore. Crescendo velocemente superavano in fretta la zona pericolosa del piano terreno, dove invece le piantine di conifere soccombevano. I dinosauri erbivori, dedicandosi soprattutto a queste ultime, fecero spazio alle angiosperme, che crebbero rigogliose differenziandosi in centinaia di specie. Quando alla fine del Cretacico i dinosauri scomparvero, le cicadee li seguirono nell ' infausto destino, mentre il numero di specie delle conifere si era notevolmente assottigliato. Libere dai competitori, le angiosperme illuminarono le foreste del colore dei loro fiori. Conclusione: senza i dinosauri, oggi il mondo sarebbe di un unico, monotono, verde. Maria Luisa Bozzi


SCOPERTA Abitavano anche in Istria
Autore: MARCO ELENA

ARGOMENTI: PALEONTOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 053. Dinosauri

AD annunciarli sono state tre impronte scoperte nel 1925 a Brioni, l' isola di Tito, nel ' 60 a Fenolega e nel ' 92 vicino a Parenzo. Ma soltanto oggi l' ipotesi della presenza di resti di dinosauri nella penisola istriana trova conferma. Dorsali, cervicali, code e ossa lunghe oltre un metro sono state trovate sui fondali marini (tra i 6 e gli 8 metri di profondità ) nello specchio d' acqua di Valle d' Istria. Altre sono ancora in fondo al mare in attesa che uno scavo sistematico le porti alla luce. Tra queste vi potrebbero essere anche denti e crani, pezzi preziosissimi per la ricostruzione della storia di questi esemplari mediterranei. Secondo i primi rilievi queste ossa appartengono a dinosauri del Cretaceo, provenienti molto probabilmente dal Medio Oriente e morti in queste terre 108 milioni di anni fa. La scoperta dei resti ossei fossilizzati in calcarei cretacici di piattaforma, ben stratificati si deve a Dario Boscarolli, un subacqueo appassionato di antropologia appartenente al gruppo speleologico del Fante di Monfalcone. Da quel primo ritrovamento ad oggi sono trascorsi oltre dieci anni. Il tempo necessario per staccare le ossa dalla matrice calcarea, sottoporle all' esame dei paleontologi e divulgare, senza riserve, l' eccezionale scoperta. La notizia viene resa pubblica nel marzo di quest' anno ma, per motivi di sicurezza tenere lontani i mercanti di orme e ossa continua ad essere ancora patrimonio di pochi. La giurassic mania è ancora di là da venire e la neonata Croazia, cui appartiene la penisola istriana, ex provincia di Trieste, ex territorio jugoslavo, deve impegnare gran parte delle proprie risorse per far fronte alle conseguenze della dissoluzione della Jugoslavia e ai danni della guerra tuttora in corso. A intervenire per primi sono alcuni studiosi italiani guidati dal professor Giorgio Tunis, geologo (sedimentologo) all' Università di Trieste e, al di là del confine, il professor Ivo Velic dell' Università di Zagabria, geologo di fama europea. Dai due gruppi nasce una collaborazione che nei prossimi mesi dovrebbe portare alla realizzazione di un museo di paleontologia a Castel Bembo, dove verranno trasferiti tutti i resti già conservati nel museo di Monfalcone. In attesa che la Croazia promuova Valle d' Istria e altre due località limitrofe «aree protette» e in attesa dell' avvio di scavi sistematici in loco per i quali il veneziano Giancarlo Ligabue ha già dato la propria disponibilità a collaborare con i croati a Cervera, in un' area di 60 metri quadrati, sarebbero state trovate 900 orme di specie diverse di dinosauri. Un «giacimento» che fin d' ora si annuncia di grande interesse e senza dubbio in grado di scalzare il primato del Trentino (con le sue orme sul monte Pelmo) e il primato, tutto ipotetico, di altre regioni italiane nelle quali potrebbero trovarsi altri resti di dinosauri. Prime tra tutte il Friuli e la Puglia. Elena Marco


LO SCRIVE «NATURE» L' ambra, sarcofago del codice genetico Lo spunto del film «Jurassic Park» non è privo di scientificità
Autore: PAVAN DAVIDE

ARGOMENTI: PALEONTOLOGIA, CHIMICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 053. Dinosauri

FORSE l' avventura raccontata da Steven Spielberg nel film «Jurassic Park» potrebbe tramutarsi in realtà: la rivista inglese Nature riferisce, in uno dei suoi ultimi numeri, che alcuni scienziati sono riusciti a estrarre frammenti di Dna dal corpo di un coleottero vissuto nel Mesozoico e rimasto perfettamente integro per 120 milioni di anni. Come è possibile che parti così delicate si siano conservate per tanto tempo? Lo si deve soprattutto alle proprietà della sostanza che le ha tenute inglobate come in un sarcofago proteggendole dagli agenti esterni in un ambiente totalmente asettico: l' ambra. Fin dagli albori della civiltà questa sostanza ha esercitato sull' uomo un forte fascino. Secondo la mitologia greca, i pezzetti di ambra sono le lacrime delle Eliadi, sorelle di Fetonte e figlie di Elio, dio del Sole, addolorate per la morte del fratello abbattuto con una folgore da Zeus per aver portato il cocchio del Sole troppo vicino alla Terra. I popoli di lingua tedesca chiamano l' ambra «bernstein», pietra che brucia: è infatti una sostanza facilmente infiammabile, un tempo usata come incenso per via del gradevole profumo, simile all' essenza di pino, che emette a contatto del fuoco. Gli antichi greci la conoscevano come è lektron: furono loro a osservare che l' ambra strofinata ha la capacità di attrarre altre sostanze o, come diremmo oggi, di caricarsi di elettricità statica. I romani la chiamavano «succinum » a indicare una sostanza che cola, perché avevano capito la sua origine come resina vegetale. In effetti l' ambra è una resina, ma un po' particolare: è fossile, risale cioè ad epoche assai lontane. Le più antiche ambre che si conoscono risalgono al Carbonifero (345 280 milioni di anni fa) e provengono da primitive piante gimnosperme, le estinte cordaiti alte fino a 30 40 metri con foglie lunghe fino ad un metro. Nella composizione chimica l' ambra risente della sua origine organica: contiene acidi resinosi come l' acido succinico, vari idrocarburi, acqua e impurità solide. Da un secolo l' ambra riveste anche un forte interesse scientifico in paleontologia. Tra le sue maglie dorate sono spesso visibili i resti di antichi animali: insetti soprattutto, ma anche ragni, piccoli rettili e anfibi. E resti di vegetali: foglie, fiori, pezzetti di corteccia. L' antica resina, infatti, colando dai tronchi, avvolse gli animaletti attirati forse nella trappola mortale dal suo profumo, dall' aspetto o dalla presenza di altri animali già imprigionati. Con un' attenta osservazione si possono ricostruire alcuni aspetti comportamentali degli organismi inclusi: non è raro trovare le tracce della lotta disperata di questi organismi per sottrarsi all' insidia, sotto forma di ondulazioni della sostanza interna provocate dall' agitarsi dell' animale e di minuscole bollicine d' aria ai lati della trachea, probabile testimonianza dell' ultimo respiro dell' animale. Sorprendenti sono gli insetti in posizione di copula inglobati prima che siano stati capaci di liberarsi; le formiche con in bocca uova o frammenti di cibo; ragni e mosche impigliate nella ragnatela in un rapporto di predatore e preda. Le ambre più celebri, sia per bellezza, sia per contenuto fossile, sono quelle baltiche, residuo delle foreste che ricoprivano durante l' Oligocene (37 22, 5 milioni di anni fa) l' area del Mar Baltico e prodotte principalmente da conifere come pini, abeti e larici, ma anche da sequoie e cipressi. L' ambra baltica è ricercata fin dal Neolitico per la fabbricazione di monili e amuleti per via delle sue presunte virtù magiche o medicinali. Fino al XVII secolo veniva ricavata dal mare: le onde, specialmente durante le tempeste invernali, strappavano blocchi d' ambra dal fondo costituito dagli antichi sedimenti. Per la sua leggerezza (il peso specifico varia da 1, 03 a 1, 1) l' ambra galleggiava e veniva sospinta verso riva. Spesso però si fermava sulle barre di sabbia al largo della costa. Si formavano allora catene di uomini, legati tra loro per non farsi travolgere dalle onde, che raggiungevano le lingue di sabbia per pescarvi i blocchi d' ambra con l' aiuto di enormi reti. In anni più recenti ha avuto un notevole successo commerciale, oltreché scientifico, l' ambra di Santo Domingo, che risale al Miocene (8 15 milioni di anni fa) ed è stata prodotta da una leguminosa del genere Hymenea. Anche in Italia si rinvengono ambre: pregiate sono quelle note come «simetite», di colore giallo rosso o rosso con riflessi blu, che provengono dalla valle del fiume Simeto, in Sicilia, e che sono di età miocenica. Rare e per di più prive di fossili sono invece quelle terziarie dell' Appennino emiliano da Parma a Bologna. Davide Pavan


LO PSICOLOGO AL LUNA PARK Largo ai masochisti Assaggiare e godere la paura non è un piacere per tutti La velocità mette a dura prova la circolazione del sangue
Autore: VERNA MARINA

ARGOMENTI: PSICOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 055. Paura, ottovolante, velocità

E' il divertimento preferito di chi ama il brivido e non teme i precipizi, la droga di chi si esalta e si sente vivo soltanto se ha il mondo capovolto sulla testa e il corpo che improvvisamente pesa quattrocento chili. L' ottovolante è uno dei grandi luoghi del masochismo, la ricerca di una paura che solletica i nervi facendoli vibrare come raramente accade nella vita quotidiana. Gli psicologi hanno studiato il fenomeno, arrivando alla conclusione che l' ottovolante rappresenta il più puro piacere della paura, una salutare combinazione tra una forte esperienza di sè, il superamento di timori sotterranei e la realizzazione di desideri di morte latenti. L' ottovolante è un' esperienza solipsistica, un percorso che si fa alla cieca, senza vedere nè sentire nulla, soli con lo stomaco in bocca e il corpo inchiodato da una forza di gravità sconosciuta perfino agli astronauti dello Shuttle. Tutti gli organi preposti all' equilibrio sono concentrati nella ricerca spasmodica di un orizzonte che sfugge in continuazione. Non sta scritto da nessuna parte, ma è meglio essere sani come pesci se si vuole uscire indenni da questo circuito infernale, che mette a dura prova la spina dorsale, i dischi intervertebrali e la circolazione del sangue. La pressione sul corpo, quando si va giù in picchiata è tale che anche il più spericolato si chiude su se stesso e probabilmente non si rende conto delle sue urla spaventose. I veri intenditori storcono il naso: loro affrontano anche le costruzioni più spericolate con un sorriso di superiorità e la bocca cucita Assaggiare e godere la paura non è da tutti. Il piacere incomincia quando i vagoncini si arrampicano sferragliando su per il fianco della montagna metallica e quella prima paura, superata nel momento della decisione di andare, ritorna più intensa e centellinata. Il cuore si ferma, il busto si insacca. Il primo precipizio è sempre il più terribilmente bello, due secondi per passare dall' immobilità a una velocità da schianto, il corpo attirato nel vuoto tra urla assordanti. Prima che lo stomaco sappia che cosa gli sta capitando, il vagoncino risale dal precipizio ed entra nel loooping mentre la pelle del viso viene tirata verso le orecchie e le mani cercano conforto nella stretta dei braccioli. Studi recenti, di cui riferisce la Frankfurter Allgemeine Zeitung, descrivono le incredibili forze che vanno a creare vuoti di sangue nel cervello, portando all' euforia o al black out. La paura, in senso tecnico, non avrebbe ragione di esistere, dato che i moderni ottovolanti hanno un sistema di guida che garantisce la massima sicurezza: se un vagoncino dovesse mai finire a ridosso di quello che lo precede, si inserirebbe automaticamente un sistema di frenaggio che lo inchioda al suo posto. L' aspetto affascinante di questa paura è dunque che non si sa bene di che cosa si debba avere paura. Ed è con grande delusione che si constata come ogni precipizio sia irrimediabilmente più breve di quello che lo ha preceduto. I primi vagoncini, alla fine dell' 800, raggiungevano al massimo i 10 chilmetri l' ora. I passeggeri dovevano scendere e spingerli a mano in cima alla montagna: un piccolo divertimento affatto pericoloso, mentre negli anni 70 si sono ripetuti un po' troppo spesso traumi da «centrifuga » . Non per niente, a terra, era obbligatoria la presenza di un medico. Oggi ai carichi per il corpo sono stati messi dei limiti al massimo, cinque volte la forza di gravità. Ma si continuano a costruire vagoncini singoli con una sbarra particolare, che permette al passeggero di spenzolarsi verso l' esterno a ogni curva. Una prodezza che non si può ripetere all' infinito: se anche il portafoglio lo consentisse, ci penserebbe lo stomaco a dare l' alt. Marina Verna


Brivido da gravità Sette «looping» per spericolati
Autore: PAPULI GINO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA
NOMI: PREEDY ROBERT
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 055. Paura, ottovolante, velocità

ALLA base della popolarità delle «montagne russe» (la denominazione trae origine dalle discese libere sul ghiaccio, di moda in Russia già nel 1750) vi sono motivazioni complesse che, secondo Robert E. Preedy un inglese che all' argomento ha dedicato un libro comprendono il piacere della velocità, il gusto della sfida, i timori primordiali, la reazione contro la banalità della vita. Con il nome di «montagnes russes» entrò in funzione a Parigi, nel 1804 il primo semplice impianto di discesa libera con carrelli: questi venivano sollevati mediante una cremagliera sino a una certa altezza per far loro assumere «energia potenziale» e lasciati, poi, scendere per gravità lungo un binario inclinato. Il successo ottenuto tra i parigini dette origine a una lunga e nutrita serie di realizzazioni sempre più complesse, molte delle quali videro la luce negli Stati Uniti. Oggi, queste macchine, chiamate anche «ottovolanti», ma per le quali useremo il più appropriato termine di «treni a energia gravitazionale» (Teg), costituiscono la grande attrazione dei parchi di divertimento (in Italia è molto noto il «Sierra Tonante» di Mirabilandia, presso Ravenna) e sono installazioni meccaniche a elevato contenuto progettuale e tecnologico. Nella generalità dei casi, però, l' aspetto ingegneristico sfugge al pubblico se non in occasione dei pochi e talvolta gravi incidenti dovuti al cedimento di qualche elemento strutturale del complesso. Il successo dei Teg ha portato alla costruzione di impianti sempre più spinti in termini di velocità accelerazioni, percorsi, numero di persone per convoglio. Di conseguenza, gli ingegneri specializzati nel settore hanno dovuto anzitutto affinare i loro metodi di calcolo, date le elevatissime sollecitazioni che si generano negli elementi portanti delle vie di corsa e dei carrelli. Le strutture sono quasi sempre di tipo reticolare e, nella loro progettazione, si tiene conto, oggi, del concetto «fail safe» preso dalle costruzioni aeronautiche in base al quale il collasso di un singolo elemento non compromette la stabilità dell' insieme. Nei Teg più moderni si impiegano sensori accelerometri e «scatole nere» per il monitoraggio continuo dei punti critici. Al tempo stesso, si fa ricorso all' impiego di materiali metallici di elevata qualità in sostituzione del legno che, tuttavia, trova ancora larga applicazione per le sue spiccate caratteristiche di resilienza e di durata. Dopo avere sperimentato acciai speciali contenenti nichel, cromo e molibdeno, la tendenza attuale è quella di utilizzare acciaio «dolce», per la sua buona saldabilità e tenacità. I pericoli di corrosione, particolarmente presenti in zone vicine al mare, vanno evitati con la zincatura e la periodica riverniciatura. Ai fenomeni di invecchiamento e di criccatura si fa fronte, invece, mediante esami con ultrasuoni e altre prove non distruttive. Questa necessità di controlli fa comprendere l' importanza essenziale della manutenzione e dei collaudi periodici. Ciò vale sia per i Teg fissi (i più grandi e complicati) sia per quelli itineranti: questi ultimi hanno, sui primi, il vantaggio di consentire, in occasione di ogni trasferimento, l' esame dei singoli componenti smontati, compresi i bulloni. Il problema della sicurezza è molto delicato: lo dimostra il fatto che la principale causa di incidenti è imputabile alla carenza di ispezioni e alla scarsa professionalità degli operatori La legislazione in proposito è lacunosa, e ciò vale in particolare per il nostro Paese, dove manca una normativa specifica Inoltre, non sono ancora prescritte «certificazioni» per i tecnici di condotta e di manutenzione. E' quasi come se un aereo venisse dato in mano a piloti senza brevetto. Un altro aspetto da considerare è quello della resistenza fisica del passeggero: la domanda di corse sempre più spericolate e mozzafiato ha portato alla realizzazione di Teg con traiettorie curve, verticali e rovesciate che sottopongono il passeggero a svariati «g». Com' è noto, «g» è l' accelerazione cui è soggetto qualsiasi corpo massiccio in caduta libera nel campo di gravità terrestre, e può provocare gravi danni all' organismo umano, tanto che i piloti di aerei da caccia devono indossare delle tute anti «g». Alcuni costruttori si sono imposti di rispettare il limite di 3 «g» per pochi secondi, ma non tutti si attengono a questa regola. Resta da vedere, anche, quante volte si raggiungano tali accelerazioni: il Teg «Viper» della California, ad esempio, ha un percorso che comprende ben sette «looping». E' come fare acrobazia aerea. Non ha torto, perciò, chi afferma che i Teg sono una sfida tra la macchina e l' utente. In effetti, la tecnica è in grado di fare macchine ultra resistenti e ultra sicure: ma sino a che punto l' uomo potrà e vorrà spingere il suo «divertimento» ? Gino Papuli


UCCELLI Seta di ragno per architetti del nido Serve per dare stabilità o rendersi invisibili ai predatori
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ZOOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 055

I L filo di seta fabbricato dal ragno ha qualità straordinarie che ne fanno un materiale più resistente dell' acciaio, più elastico di qualunque fibra tessile, più sottile dei più sottili fili di nylon. C' è veramente da meravigliarsi che per tanti secoli l' uomo non abbia cercato di sfruttare a proprio vantaggio una così eccezionale materia prima. Qualche tentativo è stato fatto in passato, ma senza grande successo. Un gilet di seta di ragno fu offerto in dono a Luigi XIV e nel Madagascar, all' inizio del secolo, fu tentata la fabbricazione di una stoffa leggera per rivestire i dirigibili. L' unico campo in cui la seta di ragno ha trovato impiego è quello dei reticoli per gli strumenti ottici di precisione e per le armi da fuoco. Ma c' è chi, assai prima di noi, ha capito al volo la bontà di un materiale che, tra l' altro, è abbondantissimo in natura. Mi riferisco agli uccelli. E' incredibile il numero delle specie che utilizzano la seta di ragno come materiale edilizio per la costruzione del nido. Un materiale di seconda mano, che però non ha perduto nessuna delle sue proprietà fondamentali. L' entomologo Michael Hansell, che si è sempre interessato di architettura animale, ha dedicato una particolare ricerca all' impiego della seta da parte degli uccelli. E ha fatto straordinarie scoperte in questo campo sinora inesplorato. La maggior parte degli uccelli che utilizzano la seta di ragno come materiale da costruzione vive nei boschi e nelle foreste tropicali e subtropicali. Ve n' è però qualcuno anche nella zona temperata. Uno di questi è il fringuello. Il 92 per cento dei nidi di fringuello esaminati dallo studioso e dai suoi collaboratori contiene seta di ragno e, dopo il muschio, è questo il materiale edilizio più usato. La seta viene impiegata in vari modi. Il nido del fringuello ha una parete di muschio. Piume, peli e vegetali vari ne tappezzano l' interno. Una parte della seta viene usata per rinforzare la parete di muschio, un' altra per attaccare uno strato di licheni alla parete esterna, un' altra per ancorare saldamente il nido. I nidi dei fringuelli sono generalmente sostenuti alla base e ai lati da piccoli rami, ma la seta fa egregiamente da rinforzo. I fili di seta fabbricati dai ragni non sono tutti uguali. Ad esempio nella meravigliosa tela circolare fabbricata dal comune ragno dei giardini (Araneus diadematus) se ne distinguono tre tipi diversi: fili più robusti ed elastici che formano l' impalcatura della ragnatela, fili più sottili tessuti molto fitti che riempiono gli spazi vuoti e fili rivestiti di sostanze agglutinanti che servono a invischiare le prede. Varia inoltre la grossezza del filo che va da 0, 05 micron (il micron è un millesimo di millimetro) a una cinquantina di micron. All' incirca la differenza che passa tra lo spessore di un capello e quello della fune che si usa per l' attracco delle navi. Gli uccelli ricorrono all' uno o all' altro tipo di filo secondo le esigenze della costruzione. L' utilizzazione che fanno della seta di ragno i nostri fringuelli non ha nulla a che vedere con l' impiego in grande stile che ne fanno gli uccelli tropicali. Va detto innanzitutto che per sfuggire all' attacco dei numerosi predatori, scimmie e serpenti specialmente, questi uccelli tendono a costruirsi il nido quanto più in alto possibile sui rami degli alberi. E per poter dare stabilità ai loro nidi, debbono risolvere non facili problemi di ingegneria. Quando il ramo è piuttosto stretto, bisogna impedire che il nido caschi giù Allo scopo serve una buona quantità di ragnatela avvolta attorno alla sua base. Ma quando dalle uova nascono i piccoli, che sono piuttosto irrequieti e fanno pressione sulle pareti del nido, la prudenza consiglia all' uccello di irrobustire le medesime, avvolgendovi intorno parecchi cerchi di ragnatela. Ci sono poi uccelli, come i pigliamosche del Nuovo Mondo, i vireo e i dronghi orientali e australiani, che si costruiscono nidi pensili. Il più delle volte questi nidi pendono dalla biforcazione di un ramo e vengono tenuti sospesi da una treccia di materiale vegetale rinforzata da seta di ragno. Qualche volta il nido è sospeso solo a un fascio di fili di seta. Gli uccelli sarto dell' India sono veri maestri del cucito. Piegano più foglie verdi in modo da formare un cartoccio, poi, servendosi del becco appuntito, praticano una serie di forellini lungo il bordo e vi passano ragnatele e fili di seta di ragno per cucirle insieme. Ma la ragnatela può avere anche un' altra funzione: camuffare il nido e nasconderlo alla vista dei predatori. Michael Hansen ha avuto infatti occasione di osservare il nido di un pigliamosche africano del Paradiso fatto a coppa e ricoperto da morbidi strati di licheni cosparsi di bozzoli di ragnatela. Un camuffamento perfetto. C' è poi un uccello europeo, la cincia a coda lunga, che usa addirittura centinaia di bozzoli di ragno per tenere assieme i suoi nidi sferici di muschio, poi ricopre accuratamente il nido con centinaia di pezzetti di lichene e dozzine di bianchi bozzoli di ragno. Un sofisticato trucco per renderli quasi invisibili, reso ancor più efficace dal fatto che l' uccello piazza il suo nido su piccoli rami non rivestiti di licheni. Alcuni Monarca australiani usano una tecnica diversa. Anziché ricoprire il nido con uno strato riflettente di licheni e seta, lo decorano con irregolari chiazze bianche. I raggi del sole passano attraverso il nido, facendolo apparire come un ammasso di vegetazione non compatta. Michael Hansell ha notato infine che esiste uno stretto rapporto tra le dimensioni degli uccelli e l' uso della seta di ragno. La usano soltanto gli uccelli più piccoli. Isabella Lattes Coifmann


INFORMATICA Così vi insegneremo ad avere un computer per amico
Autore: MEO ANGELO RAFFAELE, PEIRETTI FEDERICO

ARGOMENTI: INFORMATICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 056. Prima puntata. Corso

TUTTI ormai riconoscono che l' informatica è la tecnologia che più ha cambiato il mondo negli ultimi trent' anni. Ciò che invece non sempre è stato compreso, è l' importanza culturale di tale tecnologia. Questo è il primo articolo di una serie con cui la pagina di Tuttoscienze dedicata alla scuola si propone di creare un minimo di alfabetizzazione in un campo strategico per il futuro. L ' informatica è relativamente semplice, ma il prodotto informatico è difficile da comprendere e da valutare. Un bambino distingue facilmente una Panda da una Thema; un informatico professionista talvolta stenta a distinguere un Supercomputer da dieci miliardi da un «mini» da 50 milioni. Inoltre, le nozioni di spazio, tempo, massa, energia si apprendono facilmente sui banchi di scuola o nelle esperienze quotidiane. La cultura del petrolio, del cemento, dell' acciaio, si acquisisce senza fatica dai mass media o dal mondo dello studio e del lavoro. Invece la cultura informatica, e in particolare i concetti di informazione, comunicazione, elaborazione, che hanno pochi anni di vita e non alcuni millenni come la matematica o la fisica, non si insegnano a scuola. La tecnologia informatica, molto più di altre, ha una componente culturale che è indispensabile per le sue applicazioni. Non basta comprare un calcolatore o una linea robotizzata per realizzare un processo produttivo; bisogna anche disporre di uomini che conoscano il calcolatore o il robot, sappiano farlo funzionare e riparare, modifichino i programmi al variare delle esigenze. Senza un minimo di cultura informatica, oggi non si può far bene l' imprenditore, il dirigente, il professionista, il commerciante. La dimensione culturale dell' informatica è stata correttamente valutata in molti Paesi, ma non nel nostro. Dichiarazioni roboanti e proposte interessanti sono rimaste nei salotti e nelle tavole rotonde senza varcare la soglia della scuola Il calcolatore è ormai entrato in quasi tutti gli istituti scolastici, sia direttamente, con la creazione di «laboratori informatici» più o meno attrezzati, sia indirettamente, attraverso la diffusione dei calcolatori, a livello personale, fra gli allievi Tuttavia molti insegnanti continuano a rifiutare la nuova macchina, appellandosi, ad esempio, alla necessità di dover svolgere il programma tradizionale. La scarsità di corsi d' aggiornamento e le carenze dei vari progetti informatici ministeriali, hanno portato a una grande confusione, in cui ogni insegnante praticamente è libero di fare ciò che vuole: ignorare il calcolatore, oppure usarlo nelle situazioni e nei modi più disparati, con un gran dispendio di risorse e di energie. Ci sono insegnanti che usano il calcolatore semplicemente come macchina da scrivere, per impostare in modo «più elegante» i lavori della classe, altri invece che hanno adottato programmi che li aiutano a risolvere specifiche esigenze didattiche, come l' insegnamento di una lingua straniera, ma ci sono anche molti insegnanti che, con gran fatica, hanno elaborato originali progetti didattici per l' introduzione dell' informatica nelle loro classi. Sono esperienze che meriterebbero più attenzione e che una scuola efficiente dovrebbe diffondere e rendere patrimonio comune di tutti i docenti. A tutti gli insegnanti, ai loro allievi, compresi quelli delle elementari, ed anche ai loro genitori, ci rivolgiamo con queste nostre schede didattiche. Al centro del programma formativo collocheremo l' insegnamento della programmazione. Alcuni colleghi sostengono che, poiché la maggioranza di quanti operano su un calcolatore usa programmi applicativi «preconfezionati», come i programmi di videoscrittura, non sia necessario insegnare la programmazione, ma sia preferibile far acquisire all' allievo la dimestichezza con l' uso della tastiera e dei programmi già pronti Non siamo d' accordo. Imparare a usare un programma applicativo già fatto serve, a fini culturali, poco più che imparare un videogioco, ossia nulla. Invece misurarsi con la programmazione costituisce il modo più rapido e divertente per intuire come funziona un calcolatore, e per comprendere cosa può fare e cosa non può fare. Soprattutto, la programmazione è una stupenda scuola di matematica, logica, filosofia ed una divertente palestra per gonfiare i muscoli della mentaità scientifica. La scuola italiana privilegia la cultura umanistica rispetto a quella scientifica, lo sviluppo della capacità induttiva e della fantasia rispetto alla capacità deduttiva e alla razionalità. E' probabilmente giusto che sia così, ma può essere molto utile anche una microcorrezione di rotta: un' esperienza diversa, il confronto con un soggetto che rifiuta fiumi di parole e vuole invece soltanto pochissimi concetti ma rigorosi e formulati nell' ordine corretto. Come linguaggio di programmazione abbiamo scelto il Basic. Certamente qualche collega non sarà d' accordo; ma siamo peraltro consapevoli che una qualsiasi scelta diversa avrebbe sempre scontentato qualcuno. Il Basic è il più diffuso tra i linguaggi di programmazione nel mondo dei personal computer. I vecchi economici Commodore, da collegare al televisore, così come i primi personal computer Ibm, avevano il Basic incorporato. Le ultime versioni del sistema operativo Dos per personal computer incorporano il Quick Basic, una versione recente del Basic compatibile con le vecchie versioni, ma arricchita di nuove opzioni concettualmente importanti. Imparare un linguaggio non significa imparare la programmazione. Dal punto di vista concettuale le differenze fra un linguaggio e un altro sono sempre molto piccole, così piccole da non giustificare i lunghi dibattiti in cui gli accademici spesso amano tuffarsi. Lo spazio di cui disporremo non sarà sufficiente per presentare il Basic nella sua globalità. Tuttavia il sottoinsieme che selezioneremo sarà sufficientemente ampio per risolvere qualunque problema di programmazione, senza perdite sostanziali nè di efficacia nè di chiarezza. Nutriamo la speranza di riuscire a insegnarvi a programmare la soluzione di qualche problema, compresa l' archiviazione su dischetto della vostra rubrica telefonica, la creazione di un disegno animato sul video, la produzione di una musichetta. Certamente qualche collega o qualche genitore che non dispone di un personal computer si domanderà quale macchina acquistare. La risposta è molto semplice: quella che costa meno. Ai fini del nostro corso, un vecchio rottame finito in soffitta perché considerato ormai troppo lento, andrà bene come l' ultimo modello di computer. Ricordate l' osservazione iniziale: il calcolatore non è che uno strumento; nel mondo dell' informatica l' intelligenza e la conoscenza valgono molto più degli strumenti. A mercoledì prossimo]


STRIZZACERVELLO Quattro cifre alla quarta
Autore: PETROZZI ALAN

ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 056

Quattro cifre alla quarta CHE cos' hanno di particolare questi quattro numeri di tre cifre: 153, 370, 371 e 407? Sono gli unici che rappresentano il risultato della somma dei cubi delle cifre che li compongono. Esempio: 153 è uguale a 1 più 5 più 3 cioè 1 più 125 più 27. Ora vi invito a trovare gli unici tre composti da quattro cifre che rappresentano la somma delle quarte potenze dei numeri che li compongono. Piccoli aiuti: solo uno dei tre ha quattro cifre differenti, mentre gli altri due presentano una coppia di cifre uguali; tra tutti e tre la sola cifra non presente è il 5 La soluzione domani, accanto alle previsioni del tempo. (A cura di Alan Petrozzi)


LE DATE DELLA SCIENZA Trecento anni fa il primo barometro a mercurio Lo costruì il fisico galileiano Viviani, sotto la guida di Torricelli
Autore: FURESI MARIO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 056

L' involucro gassoso che avvolge la Terra ha un peso enorme: 5 mila trilioni di tonnellate, ossia 5 seguito da 27 zeri. Ma per quasi duemila anni la scienza, seguendo ciecamente Aristotele, ritenne l' aria priva di peso. Il primo a constatare l' errore aristotelico fu Galileo, che ne trovò conferma in un semplice esperimento, facendo comprimere l' aria di un recipiente dall' acqua, di peso noto, che poteva contenere. Poco tempo dopo, l' 8 gennaio 1642, Galileo moriva, lasciando al suo discepolo Evangelista Torricelli il compito di proseguire gli esperimenti. Torricelli trovò ben presto la risposta a un interrogativo che da molti anni impegnava gli scienziati e che riguardava la causa per cui l' acqua, immessa nel cilindro delle pompe meccaniche da vuoto, raggiungeva sempre lo stesso livello di circa dieci metri. Con felice intuizione egli ne individuò la causa nella pressione atmosferica, ideando inoltre, per la conferma, un esperimento basato sul mercurio, il quale essendo molto più pesante dell' acqua, avrebbe certamente raggiunto un livello di molto inferiore: 76 centimetri. L' esperimento fu condotto da Torricelli servendosi di una canna di vetro e di una bacinella, entrambe contenenti mercurio e il risultato fu esattamente quello previsto. Sempre nel 1643 un altro fisico galileiano, Vincenzo Viviani, costruiva sotto la guida del Torricelli il primo barometro, ovviamente a mercurio. Un nuovo esperimento a conferma della pressione atmosferica fu condotto 11 anni dopo da Ottone von Guericke con i suoi celebri «emisferi di Magdeburgo». Appena realizzato il barometro, fu definito il sistema di misura della pressione atmosferica, basato sul peso della colonnina di mercurio e avente come unità di misura l' atmosfera, indicata con la sigla «atm». L' «atmosfera» corrisponde a una colonnina di mercurio di un centimetro quadrato di base e 760 millimetri di altezza, generata dalla pressione atmosferica esistente al livello del mare, a 45 gradi di latitudine, alla temperatura di zero gradi centigradi e in medie condizioni di umidità. Poiché un centimetro di mercurio pesa 13, 6 grammi, la colonnina alta 76 centimetri pesa 1033, 60 grammi ed è questo anche il peso della colonnina d' aria che, avendo un centimetro quadrato di base, si estende per tutto lo spessore della coltre atmosferica. La pressione dell' aria è anche il dato fondamentale per le operazioni di meteorologia. Oggi però i meteorologi usano indicare la pressione in «millibar», unità di misura equivalente a circa 0 75 millimetri di mercurio. Il barometro torricelliano nell' uso quotidiano è stato sostituito dal barometro metallico, molto più pratico nell' uso e nel trasporto. Il primo esemplare fu realizzato in Francia nel 1843 e, attraverso vari perfezionamenti, è diventato l' odierno «barometro aneroide», costituito da una scatola piatta nella quale è stato praticato il vuoto e il cui coperchio flessibile è collegato all' indice della pressione. Il primo barometro dotato anche di un impianto di registrazione automatica fu inventato dal fisico italiano Fontana alla fine del Settecento. Le carte meteorologiche mostrano una serie di linee curve chiamate isobare in quanto uniscono tutti i punti aventi la stessa pressione atmosferica. Esse offrono ai meteorologi indicazioni preziose sulla direzione dei venti e sulla formazione dei cicloni, coincidenti con le aree di bassa pressione, dove il tempo tende al brutto, mentre gli anticicloni sono zone di alta pressione generalmente associate al bel tempo. Mario Furesi


CHI SA RISPONDERE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 056

In base a quale criterio si è stabilita la disposizione delle lettere sulle tastiere delle macchine per scrivere e dei computer? Giorgio Giambuzzi Perché sulle lampadine si indicano i watt e non le candele? Roberto Griandi Com' è possibile che la Terra, dopo quattro miliardi e mezzo di anni, non si sia ancora raffreddata al suo interno? Che differenza c' è fra le diverse onde radio che il nostro apparecchio capta? Che cos' è la modulazione di frequenza? Umberto Brentegani Risposte a: «La Stampa Tuttoscienze», via Marenco 32, 10126 Torino. Oppure al fax numero 011 65. 68. 688, indicando chiaramente «Tuttoscienze» sul primo foglio.


PREMI ITALGAS Energia per domani Tra i vincitori il padre di Ignitor
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: ENERGIA
NOMI: COPPI BRUNO, CARDONA MANUEL
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 054

I Premi Italgas per la ricerca e l'innovazione tecnologica saranno consegnati la sera dell'8 ottobre nel corso di una manifestazione al Teatro Regio di Torino (vi si svolgerà un concerto di Ute Lemper) a Giorgio Parisi per la fisica, a Bruno Coppi per le scienze energetiche e a Manuel Cardona per le tecnologie e le scienze dei materiali. La cerimonia di consegna sarà preceduta, nella mattinata, da una conferenza che i tre premiati terranno alla comunità scientifica all'Accademia delle Scienze. I Premi Italgas sono ormai alla settima edizione e hanno il merito di aver già segnalato 21 personalità europee di grande prestigio scientifico (dall'inglese Peter Wadhams, studioso dell'evoluzione dei ghiacci polari e delle variazioni climatiche, a Harold Kroto, scopritore del fullerene, la terza forma del carbonio, dotata di straordinarie proprietà) e aver guadagnato una posizione di rilievo nel sostenere la ricerca in settori- chiave come la chimica, le scienze ambientali ed energetiche, le comunicazioni, l'informatica, le tecnologie e le scienze dei materiali. Chi sono i vincitori del '93? Giorgio Parisi è nato a Roma nel '48 e insegna fisica teorica all'università di Roma Tor Vergata. I suoi studi sui «vetri di spin», materiali non magnetici come ad esempio l'oro in cui viene immessa una piccola quantità di impurezze magnetiche, per esempio ferro, lo hanno portato alla creazione di un modello matematico che si adatta allo studio di un gran numero di fenomeni complessi, dalle reti neuronali alla struttura delle proteine, dall'evoluzione della vita sulla Terra ai meccanismi degli ecosistemi, alla biologia cellulare. «Tendo a studiare questi problemi per la soddisfazione personale di risolverli - dice Parisi - come quelli che fanno i rompicapo e le parole crociate, o i puzzle. In qualche modo fare scienza è risolvere un puzzle». Bruno Coppi, nato a Gonzaga 58 anni fa, laureato in ingegneria nucleare al Politecnico di Milano, da oltre trent'anni pendolare fra la cattedra al Politecnico di Torino e quella al Massachusetts Institute of Technology di Boston, è oggi tra i maggiori esperti del mondo nel campo della fusione nucleare. Partito dallo studio dei fenomeni che avvengono nelle stelle, è approdato a quelli per la produzione di energia «pulita». Il suo obiettivo, analogo a quello degli altri scienziati che in Europa, in America, in Russia si dedicano a queste ricerche: «accendere una stella» in laboratorio ripetendone il comportamento, cioè fondendo insieme atomi leggeri (di idrogeno) per ottenere atomi più pesanti (di elio) con il procedimento opposto alla fissione utilizzata oggi nelle centrali nucleari, che non lascia scorie radioattive e potrebbe dare energia in quantità praticamente illimitata. «Nel '75 - ricorda Coppi - ho proposto Ignitor, la macchina in cui si potrebbe per la prima volta accendere il plasma. Le difficoltà non sono scientifiche; in realtà esistono incomprensioni tra chi fa ricerca, chi informa l'opinione pubblica e chi prende le decisioni politiche». Manuel Cardona è nato a Barcellona nel '34, si è laureato in fisica, ha fatto ricerca in Svizzera e un Usa, dal '71 è direttore del Max Planck Institut di Stoccarda per la ricerca sullo stato solido. Il suo campo di ricerca sono le proprietà fisiche fondamentali dei solidi esplorate mediante tecniche di spettroscopia ottica. «L'interazione della luce con i solidi, con la materia - spiega lo scienziato spagnolo - produce molti fenomeni interessanti; soprattutto la luce che scaturisce da questa interazione può fornirci informazioni sulle proprietà della materia». Cardona si è occupato di materiali importanti dal punto di vista tecnologico, come i semiconduttori e i superconduttori. Su questi ultimi, in particolare, sta attualmente lavorando; da «essi - dice - ci si attende moltissimo: enormi risparmi energetici, calcolatori dalle prestazioni elevatissime, treni a levitazioni magnetica». Vittorio Ravizza


ENERGIE RINNOVABILI Sole e vento in progresso
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 054

Quali sono i costi sociali connessi alla produzione di energia elettrica dalle varie fonti energetiche primarie (carbone, petrolio, nucleare, solare...), se si tiene conto anche dei loro effetti sull'ambiente? Per rispondere a questa domanda la sezione italiana dell'Ises, International Solar Energy Society, ha commissionato una ricerca alla società di studi economici Nomisma. I risultati verranno presentati a Torino l'11 ottobre alla Camera di Commercio nel corso di una tavola rotonda sul tema «Politica delle energie rinnovabili in Italia. Aspetti sociali, economici, legislativi». Tra gli interventi previsti, quelli di Corrado Corvi, presidente dell'Ises, Giuseppe Gatti (ministero dell'Industria), Cesare Boffa (Enea), Antonio Ariemma (Enel). Sarà anche l'occasione per consegnare il Premio Ises di giornalismo scientifico e per fare il punto sulle fonti rinnovabili che stanno rapidamente diventando competitive (solare ed eolico) e per la cui promozione da sempre l'Ises si batte.


SCAFFALE Rissone Daniela: «Luce e co lore»; «I dinosauri»; ed. Le Scienze-Mondadori Video; Carlini Franco: «Tornano i DNAsauri», Manifesto Libri
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: FISICA, PALEONTOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 054

LA neve non è bianca in sè. Appare bianca semplicemente perché i suoi microcristalli diffondono uniformemente tutti i colori dello spettro solare. Il cielo non è azzurro (quando, sempre più raramente, è azzurro). Appare azzurro perché le molecole di ozono della stratosfera diffondono in modo specifico la luce a breve lunghezza d'onda, e cioè quella azzurra e violetta. Un oggetto verniciato di rosso, invece, ci appare rosso perché assorbe tutte le lunghezze d'onda degli altri colori e riflette invece la lunghezza d'onda (un po' maggiore) che corrisponde al rosso. Insomma, la meraviglia dei colori è frutto di una complicata ma affascinante interazione tra la luce - tecnicamente, la banda visibile delle onde elettromagnetiche - e le molecole o gli atomi che compongono la materia. Tutto questo non è argomento di un libro ma di una videocassetta progettata e realizzata da Daniela Rissone. Trenta minuti di immagini belle ma senza alcuna tentazione di «effetti speciali», accompagnate da un testo altrettanto spartano, introducono meglio di un testo di fisica a nozioni così sottili che non a caso, per essere comprese, hanno richiesto due secoli di ricerche, impegnando geni come Newton e Huygens, Einstein e Planck. Ancora di Daniela Rissone, nella stessa collana Le Scienze- Mondadori Video, è da segnalare «I dinosauri». Un buon complemento a questa videocassetta ugualmente caratterizzata da chiarezza e sobrietà può essere il libro di Franco Carlini «Tornano i DNAsauri», un modo serio e insieme divertente per andare a vedere che cosa di realmente scientifico c'è nell'idea del romanzo di Crichton «Jurassic Park» secondo cui i giganteschi rettili potrebbero essere ricreati a partire dal loro codice genetico recuperato in ambra fossile. Donde anche il film di Spielberg e i miliardi che stanno scorrendo nei botteghini dei cinema. Ah, se quei lucertoloni fossero stati iscritti alla Siae e potessero percepire i diritti d'autore...


SCAFFALE Bologna Gianfranco: «Nelle nostre mani», Ed. Giorgio Mondadori
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ECOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 054

Questo è probabilmente il primo libro dopo la Conferenza mondiale di Rio nel quale siano ripresi tutti i temi ecologici globali con l'intento di accostare alla loro analisi scientifica gli interventi pratici necessari per evitare il collasso del pianeta. Il titolo è un segnale importante: riporta il problema ambientale alla nostra responsabilità individuale, ci dice che non è più consentito cercarsi un alibi spostando il discorso su un piano collettivo. Vicedirettore generale WWF, Gianfranco Bologna è tra i pochiambientalisti italiani che abbiano realmente un visione sistemica e che siano consapevoli dei limiti che ancora abbiamo nella comprensione del «sistema natura». Per questo il suo libro è sottilmente inquietante e tanto più convincente in quanto ispirato da un acuto senso critico e non contaminato dal fondamentalismo ecologico.


SCAFFALE Asimov Isaac: «Razzi, satelliti e sonde spaziali», Editoriale Scienza; Ardley Neil: «Dal suono alla musica», Editoriale Scienza
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 054

Il pubblico ideale per il divulgatore è quello dei ragazzi: è in quell'età che l'atteggiamento di disinteressata esplorazione del mondo si manifesta in modo dominante. Un intelligente editore di Trieste ci ha pensato e sta sfornando libri esemplari con la consulenza del fisico Piero Budinich e del Laboratorio dell'Immaginario Scientifico. Ne segnaliamo due esempi. Il primo porta la firma celebre di Asimov e in appena 32 pagine, con poche parole scelte bene e molte immagini racconta cent'anni di conquista dello spazio. Il secondo, sempre in 32 pagine, introduce con affabile rigore all'universo dei suoni e della musica: fisica, biologia, tecnologia della riproduzione sonora.


IL CAMPANELLO ELETTRICO Driiin] Driiin] Un esempio di elettromagnetismo
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Come funziona
NOTE: 056

QUANDO la corrente elettrica passa attraverso un filo, si produce un campo magnetico, che scompare appena il flusso viene interrotto. Questo magnetismo può essere rafforzato avvolgendo il filo elettrico intorno a una bobina o, ancora meglio, intorno a un nucleo di ferro. Un campanello elettrico consiste di una o più bobine e di un pezzo di ferro detto «armatura», che viene attratto dalle bobine quando queste si magnetizzano. A un'estremità dell'armatura c'è un martelletto, mentre l'altra è fissata alla base da un pezzo di metallo piatto ed elastico. Quando si preme il bottone, dalla batteria (o dal trasformatore) parte un flusso di corrente diretto alle bobine, che simagnetizzano e attirano l'armatura, che a sua volta percuote il gong. Ma l'armatura, muovendo verso le bobine, interrompe il circuito elettrico: le bobine si smagnetizzano, la molla riporta l'armatura alla sua posizione originaria e il circuito elettrico viene ripristinato. Il ciclo si ripete diverse volte al secondo, finché si tiene premuto il bottone.


ALLA SCOPERTA DI INTERNET Amicizie nate sulla rete delle reti Nel mondo virtuale dei giovani informatici
Autore: MEZZACAPPA LUIGI

ARGOMENTI: INFORMATICA, ELETTRONICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 054

I pionieri del Ciberspazio stanno costruendo i primi avamposti del Villaggio Globale. L' evoluzione tecnologica e il dilagare del personal computer stanno conducendo a una trasformazione, probabilmente inarrestabile, dei confini del pianeta. Grazie a Internet, la rete mondiale che mette in comunicazione migliaia di altre reti di computer, è possibile entrare in contatto con un affollatissimo «mondo virtuale» abitato da 15 milioni di persone. Così, tanto per fare un esempio, attraverso i linguaggi di comunicazione che consentono instradamenti automatici, un utente di Sydney può facilmente comunicare con un utente di Milano e commentare le informazioni lette su una banca dati di New York. Internet, fino a qualche tempo fa dominio esclusivo di scienziati e studiosi, è diventata una comunità molto articolata e diversificata e non potrebbe essere altrimenti, visto che negli ultimi tempi ha registrato un incremento del numero di utenti di centinaia di migliaia il mese. Una popolazione vastissima, con tutti i requisiti di un mercato di massa al quale il mondo degli affari sta ora rivolgendo la sua attenzione. Al fianco dei nodi che da sempre costituiscono il punto d' incontro delle comunità scientifiche, stanno proliferando servizi commerciali (pubblicità consultazione di cataloghi, prenotazioni) e un' infinita serie di esperimenti legati all' editoria. L' acquisizione di Delphi Internet Services, la quinta Compagnia americana di servizi «on line», da parte della News Corporation di Murdoch ne è certamente l' esempio più recente e significativo. Sebbene gli scienziati e i ricercatori siano pronti a scommettere sulle reti di computer come medium universale del futuro, il mondo degli affari nutre ancora forte perplessità, costretto com' è, da quella angolazione, a un irriducibile pragmatismo. Murdoch non è però l' unico editore a credere alla potenzialità di questo nuovo mezzo. Nessuno può ancora dire come sarà il giornale del futuro, ma molti piccoli editori stanno già cercando di immaginarlo proponendo pubblicazioni digitali in alternativa a quelle su carta. Ad oggi, però, nessun editore, nemmeno il più forte ed esperto, sarebbe pronto a scommettere sul successo commerciale di queste iniziative. La natura sostanzialmente diversa dell' utente del network rispetto al lettore convenzionale, l' assenza di un sufficiente feed back commerciale e le difficoltà tecniche sulla scelta delle interfacce più idonee sono problemi ancora tutti da sviscerare. La crescita di Internet sta sollecitando le compagnie dei telefoni a elaborare nuove formule commerciali per la fruizione dei servizi. In genere i servizi telematici hanno un costo strettamente connesso al volume delle informazioni trattate, mentre Internet prevede contratti in abbonamento, meno cari. Questo è un punto di forza che ne incoraggia la diffusione. L' interesse suscitato da Internet non è solo di tipo commerciale. La sua diffusione presso gli strati giovanili della popolazione informatizzata d' America la sta imponendo all' attenzione anche sotto l' aspetto sociale. Non è possibile valutare con precisione quanti dei 15 milioni di utenti di Internet siano ragazzi, ma gli esperti parlano di decine o forse centinaia di migliaia. Un numero destinato a crescere grazie alla diminuzione del costo dei personal computer e al proliferare dei servizi di informazione, dei bullettin board per il «chatting» (le chiacchiere) e dei giochi. Questi giovani, non tutti maschi, non rientrano necessariamente nello stereotipo dell' adolescente foruncoloso, introverso e problematico. Girovagando sul network, i ragazzi si incontrano, si conoscono e creano sincere amicizie. Nè sono tutti benestanti. E' facile che un ragazzo diventi utente del network se riesce a sottrarre il computer al monopolio di mamma e papà, ma è soprattutto attraverso la scuola e l' università che i ragazzi approdano alla rete. Gli esperti di educazione cercano di afferrare gli aspetti positivi di questo fenomeno e sottolineano come il contatto telematico, sebbene appaia spersonalizzato, possa condurre a una ricongiunzione degli strati sociali, alla cancellazione delle differenze di ceto, di razza e cultura. Probabilmente il network appare agli occhi dei ragazzi come un rifugio sicuro, da esplorare senza i pericoli della vita «là fuori » , fatta di violenza, di inganni e di errori fatali. A dispetto di quanto si potrebbe pensare, questi giovani, per fortuna, restano i giovani di sempre. Un ragazzino dell' Ohio sostiene di dovere molto alle reti per le amicizie che lì ha potuto incontrare: «Sulla rete posso fare il filo a una ragazza che vive a migliaia di chilometri di distanza dice ma non c' è modo di uscire con lei la sera. E' a quel punto che mi accorgo che le reti non sono "ancora" in grado di sostituire il mondo reale». Luigi Mezzacappa


FISICA A Catania un modernissimo ciclotrone a ioni pesanti dimostra che piccolo è bello
Autore: PRESTINENZA LUIGI

ARGOMENTI: FISICA
NOMI: DE MARTINIS CARLO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 054

NON sono più di quattro o cinque al mondo i ciclotroni di moderna concezione che si possono paragonare a quello che sta nascendo al Laboratorio del Sud dell' Istituto nazionale di Fisica nucleare, gigantesco parallelepipedo posato sui prati della nuova città universitaria di Catania. Sarà pronto per fine anno, coronamento di uno sforzo ultradecennale che ha impegnato a lungo un gruppo di lavoro dell' Università di Milano; dall' inizio di quest' anno la responsabilità della costruzione è passata all' Università di Catania, ma un gruppo di lavoro milanese continua a dare la sua opera fra le 25 26 persone che si occupano della macchina. Tre metri e 90 di diametro esterno per 200 tonnellate di peso: una miniatura in confronto ai ciclotroni tradizionali come quello francese di Orsay, che misura dodici metri e pesa 1200 tonnellate. Ma è il nostro quello che più innova. «Ci lavoro dal 1981», dice Carlo de Martinis, docente di Elettronica nucleare all' università di Milano, che ci ha fatto da guida insieme con Luciano Calabretta, vicedirettore del progetto (del quale ha assunto la guida lo stesso direttore del laboratorio, Emilio Migneco). «Gli studi erano cominciati cinque anni prima, Francesco Resmini mise assieme il primo staff per affrontare l'impresa. Perché realmente di un' impresa si è trattato: queste sono realizzazioni di punta, in cui c' è tutto da inventare, non c' è un solo pezzo che si possa prendere già fatto. Occorre progettarlo e trovare chi te lo fa». «In sostanza la macchina è un grande magnete; un ciclotrone superconduttore perché le bobine che creano il campo magnetico sono superconduttrici, lavorano a una temperatura di soli quattro gradi assoluti in un bagno di elio liquido. Per cui v' è un problema preliminare di raffreddamento, si parte dall' azoto liquido per ulteriormente raffreddarlo; e un problema di vuoto da creare all' interno, quattro diversi livelli di vuoto». Il ciclotrone si colloca sulla linea di sviluppo aperta con l' acceleratore «Tandem» che da anni opera già a Catania, ma sarà molto più potente, circa venti volte tanto, da 180 milioni di elettronvolt a 4 GeV, ossia 4 miliardi di elettronvolt. Si tratta di bombardare degli atomi accelerando dei «proiettili» entro l' intenso campo magnetico creato fra due superfici emisferiche di ferro dolce, che vengono avvicinate a 24 millimetri l' una dall' altra: in mezzo passa il flusso magnetico, creato da bobine al niobio e al titanio, e così forte da potere usare ioni pesanti come proiettili, fino all' uranio. Il nuovo ciclotrone sarà destinato a ricerche d' avanguardia: a parte qualche possibile applicazione nel campo medico, non sono previste per il momento ricadute applicative. Sono comunque molto importanti in sè le soluzioni tecniche che va proponendo e stimolando. In questo senso, alcune «firme» industriali italiane hanno dato importanti apporti al progetto: si possono citare la LMI per il cavo, la Zanon per il criostato e l' Ansaldo per l' avvolgimento, preparato anche per il ciclotrone franco olandese. Luigi Prestinenza




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