TUTTOSCIENZE 8 settembre 93


LO RIVELA IL TELESCOPIO SPAZIALE Questa galassia è cannibale Andromeda nascondeva un segreto crudele
Autore: FERRARI ATTILIO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
ORGANIZZAZIONI: TELESCOPIO SPAZIALE HUBBLE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 037

E' facile trovare la costellazione di Andromeda: in queste sere di fine estate è visibile per tutta la notte. Ci vuole invece una vista acuta per riconoscere nella costellazione un chiarore diffuso noto come «nebulosa di Andromeda». L' astronomo francese del ' 700 Charles Messier, famoso per il suo catalogo di oggetti non stellari la battezzò M31; non poteva immaginare che avrebbe giocato un ruolo fondamentale nell' evoluzione dell' astronomia. All' inizio del ' 900 il grande telescopio di Mount Wilson rivelò che la nebulosa di Andromeda non è una nuvola di gas diffuso ma un insieme di alcune centinaia di miliardi di stelle. E fu Edwin Hubble a misurarne la distanza: qualche milione di anni luce. La nostra galassia e Andromeda sono galassie a spirale: le stelle sono distribuite in un sottile disco con un rigonfiamento centrale da cui si dipartono bracci di spirale. Nei bracci, dove si trova il Sole, la densità stellare è molto bassa: le distanze tipiche tra le stelle sono di qualche anno luce. Nel nucleo la densità è invece molto alta, con distanze medie tra le stelle 1000 10. 000 volte inferiori. Le stelle nel nucleo delle galassie hanno non solo un' alta probabilità di aggregarsi, ma anche di collidere formando strutture stellari più massicce. Al termine di una rapida evoluzione, tali super stelle collasserebbero formando un buco nero che continuerebbe a inghiottire altre stelle vicine. Si stima che esse contengano al loro centro buchi neri con masse dell' ordine di 1 10 milioni di volte la massa del Sole: una possibilità comunemente accettata dagli astrofisici è che intorno al buco nero si formi un vortice di materia che precipita senza sosta verso la singolarità dello spazio che tutto inghiotte e nulla più emette. Le galassie a spirale come Andromeda sono la gran maggioranza tra quelle osservate, quasi l' 80 per cento. L' altro tipo principale sono le galassie ellittiche, con una distribuzione di stelle a forma di ellissoide più o meno schiacciato, ma senza bracci di spirale. Certe galassie ellittiche, dette galassie attive, hanno nuclei estremamente brillanti, che in alcuni casi emettono fortemente anche nel radio e nei raggi X. Questa violenta attività è secondo gli astrofisici uno degli elementi chiave per comprendere l' evoluzione delle galassie nel loro insieme. E' quindi importante raccogliere il maggior numero di informazioni sui loro nuclei. Non possiamo studiare bene il nucleo della nostra galassia, perché stelle e gas del disco ce ne nascondono la visione. Osservazioni nella banda radio e nell' infrarosso sono meno disturbate. Ma la miglior osservazione dei nuclei galattici può essere fatta su altre galassie, come Andromeda. Il telescopio spaziale Hubble (HST), che lavorando al di fuori dell' atmosfera può ottenere immagini ad altissima risoluzione, ha dedicato una buona parte del suo tempo di osservazione a ricavare immagini dei nuclei galattici. Due risultati sono particolarmente eccitanti. Nel caso della galassia ellittica NGC 4261 si è visto per la prima volta il vortice di materiale che sta cadendo verso il buco nero centrale. L' attività dei nuclei galattici è dovuta alla liberazione dell' energia gravitazionale nel vorticoso moto di caduta. La velocità del vortice in rotazione è vicinissima a quella della luce, per cui si possono raggiungere temperature altissime: anche decine di milioni di gradi. Il secondo, recentissimo risultato di HST riguarda la nostra gemella Andromeda e pone nuove domande. Gli astronomi Tod Lauer dell' Arizona e Sandra Faber di Santa Cruz hanno rivelato che il nucleo di Andromeda ha in realtà una struttura doppia, con due picchi di emissione ( «twin peaks» ). In realtà non si tratta di picchi gemelli perché hanno luminosità fortemente differenti. Quello più debole corrisponde al centro di simmetria della distribuzione di stelle e gas; quello più luminoso si trova a soli 5 anni luce di distanza ed è di fatto quello che si è sempre considerato il nucleo di Andromeda. Quali le possibili interpretazioni di una così sorprendente osservazione? Essenzialmente tre: 1) esiste una fascia di polvere che attraversa il nucleo di Andromeda e lo oscura per cui ne vediamo solo i bordi sporgenti; 2) il nucleo di Andromeda si è frantumato per instabilità dinamica; 3) il nucleo più brillante corrisponde a una piccola galassia catturata da Andromeda. La prima soluzione appare molto dubbia perché non esistono segni di diffusione o indebolimento della luce delle stelle se non nella zona che separa i due nuclei, mentre la polvere dovrebbe avere una distribuzione più diffusa. Si potrebbe pensare a un particolare tipo di polvere, con grani abbastanza grandi da assorbire la luce del nucleo, ma non diffondere quella delle stelle singole. Osservazioni spettroscopiche permetteranno di verificare i limiti di questa ipotesi. La seconda ipotesi, frazionamento del nucleo per instabilità dinamica, sarebbe ragionevole se Andromeda fosse una galassia giovane, quando i fenomeni di formazione del nucleo sono ancora irregolari. Non appena il nucleo raggiunge una buona massa, il buco nero centrale si stabilizza su tempi molto rapidi e impedisce la permanenza di perturbazioni. Andromeda è una galassia con stelle già relativamente vecchie ed è quindi ormai lontana dalle fasi dinamiche primordiali. La terza ipotesi è a prima vista la più fantastica, eppure ha le maggiori probabilità di essere quella buona. Negli ultimi anni sono stati raccolti vari esempi di galassie interagenti a brevi distanze, collegate da archi di gas, alcune con nuclei molto prossimi. Non si deve trattare di un fatto raro in linea di principio: mentre le stelle si trovano, almeno nelle regioni fuori dai nuclei centrali, a distanze che sono decine di milioni di volte maggiori delle loro dimensioni, le galassie praticamente si toccano. La distanza fra la Galassia e Andromeda è non più di 10 volte la loro dimensione: la probabilità di collisioni tra galassie è relativamente elevata. Il termine «collisione di galassie» richiede una precisazione. Non dobbiamo pensare a un urto tra le stelle di una galassia e quelle dell' altra, o dei loro nuclei. Piuttosto la dobbiamo immaginare come l' unione tra due nuvole di gas che si attirano gravitazionalmente e si mescolano, senza dare origine a veri e propri scontri diretti tra i loro elementi. In questa prospettiva alcuni astronomi hanno proposto addirittura l' idea che negli ammassi di galassie, dove elevata è la densità di oggetti, le galassie più grandi possano «cannibalizzare» quelle più piccole che le circondano. Così si formerebbero galassie sempre più grandi. L' iterazione può essere un elemento importante nell' evoluzione stessa delle galassie: le galassie ellittiche rappresenterebbero il risultato della fusione di galassie a spirale In effetti negli ammassi di galassie, troviamo solo galassie ellittiche nelle zone centrali, dove più elevata è la probabilità di collisione, mentre le galassie a spirale sopravvivono segregate nelle regioni esterne. Dunque HST sembrerebbe indicarci che Andromeda è una galassia cannibale. Un vicino pericoloso, ma non poi tanto: ci stiamo avvicinando alla velocità di 270 km al secondo e quindi ci vorranno ancora miliardi di anni prima che ci incontriamo. Eppoi, come già detto, l' interazione sarà molto dolce, più un mescolamento che un urto. L' idea che il nucleo più brillante di Andromeda sia quello di una galassia cannibalizzata non è però esente da incertezze. Infatti, essendo così vicino al nucleo di Andromeda, a soli 5 anni luce, dovrebbe risentire fortemente degli effetti mareali, che lo frammenterebbero dissolvendolo in poche centinaia di migliaia di anni, un tempo brevissimo su scala astrofisica. Vorrebbe dire che stiamo osservando Andromeda in un momento molto particolare del suo «pranzo cosmico» agli antipasti. A meno che lo stesso nucleo catturato fosse già stato compattato in un buco nero di grande massa; dovremmo presto, in tal caso, aspettarci che il nucleo stesso di Andromeda venga perturbato violentemente dall' interazione. Gli astronomi si preparano a proseguire con attenzione lo studio dei due picchi nel nucleo di Andromeda, con misurazioni spettroscopiche e con ulteriori rilevazioni di immagini ad alta risoluzione. La dinamica su scala così piccola dovrebbe tradursi in variazioni delle strutture entro pochi anni. Come già ai tempi di Hubble, Andromeda potrà dunque darci informazioni preziose sull' evoluzione galattica. Attilio Ferrari Università di Torino


MISTERIOSI PIANETINI «Galileo» all' appuntamento con l' asteroide La sonda americana alla fine di agosto ha fotografato Ida da vicino
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: NASA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Sonda Galileo
NOTE: 037

UN altro pianetino sta per svelare il suo volto. Dopo Gaspra, è il secondo che andiamo a vedere da vicino, si chiama Ida, porta il numero d' ordine 243, ha un diametro di 30 40 chilometri e fu scoperto poco più di un secolo fa. La sonda della Nasa «Galileo» lo ha abbordato nella notte di sabato 28 agosto, avvicinandosi fino ad appena 2400 chilometri e ne ha ripreso un centinaio di immagini. Per vederle però ci vuole pazienza. A parte qualche piccola anticipazione, la maggior parte le fotografie di Ida ci verrà trasmessa soltanto tra aprile e giugno del prossimo anno, quando la Terra si troverà in una posizione più favorevole. Il riversamento delle immagini, inoltre, avverrà a ritmo molto lento perché l' antenna principale della navicella è in avaria e bisognerà servirsi di quella piccola a basso guadagno, che rende il collegamento precario e inefficiente. Mentre «Galileo» si apprestava a svolgere la sua missione, Ida era oggetto di una grande campagna di osservazioni telescopiche, progettate con il fine di integrare nel miglior modo possibile i dati che la navicella della Nasa ci fornirà. A guidare la ricerca internazionale è l' Osservatorio di Parigi Meudon, dove lavorano anche due italiani specializzati negli studi sugli asteroidi, Antonietta Barucci e Marcello Fulchignoni. Ida appartiene alla famiglia di Koronis, un gruppo di pianetini della fascia esterna. Dallo spettro della luce che riflette, pare che sia un corpo roccioso molto meno ricco di metalli di Gaspra, che «Galileo» sfiorò il 29 ottobre 1991 regalandoci la prima immagine ravvicinata di un asteroide. La forma sembra quella di un parallelepipedo con due incavi ai bordi. La curiosità di vedere Ida da vicino è molto forte: potrebbero esserci sorprese interessanti. Gaspra ha rivelato un inatteso campo magnetico, una natura prevalentemente metallica e una «giovane» età della sua superficie: solo mezzo miliardo di anni, il che fa pensare che si tratti di un pezzo di un pianetino più grande frammentatosi in una collisione tra asteroidi. La sonda «Galileo» sta viaggiando verso Giove, la sua vera meta, che raggiungerà nel 1995 per divenirne un satellite artificiale e poi sganciare una sonda figlia che si calerà nell' atmosfera del pianeta gigante. Benché abbia già dato ottimi risultati scientifici, la sonda, come abbiamo accennato, soffre di un grave acciacco: la sua antenna ad alto guadagno, una parabola di 5 metri di diametro, non funziona perché si sono inceppate 3 delle 18 stecche che avrebbero dovuto aprirla come un ombrellone. I tecnici della Nasa hanno già fatto migliaia di tentativi per sbloccarla, ma invano. Si è provato a far raffreddare l' antenna grippata mettendola in ombra e poi a scaldarla bruscamente voltando quel lato della sonda verso il Sole, ma lo sbalzo termico non ha sortito nessun effetto. Si è poi passati a metodi più duri. Accendendo e spegnendo i piccoli motori di bordo per ben 11 mila volte, da gennaio a maggio sono stati impressi alla sonda forti scossoni. Niente da fare. Ricorrendo, in emergenza, alla piccola antenna a basso guadagno, il segnale risulta diecimila volte più debole e il ritmo di invio delle informazioni deve essere rallentato in proporzione per aver la possibilità di correggere gli errori. Piero Bianucci


DOMENICA «DISCOVERY» AL VIA Shuttle stop Che cosa succede quando all' ultimo istante si blocca il lancio della navetta spaziale
Autore: GUIDONI UMBERTO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 038

IL terzo tentativo di lanciare la missione STS 51 è stato interrotto, con tre motori dello Shuttle Discovery già accesi, a pochi secondi dall' accensione dei motori ausiliari a combustibile solido, i famosi booster che forniscono la spinta aggiuntiva per il balzo in orbita. Nella cabina, che cominciava a vibrare alle basse frequenze che caratterizzano la prima fase del «lift off», gli astronauti hanno visto accendersi la luce rossa accompagnata dal suono stridulo dell' allarme principale. E' bastato un istante, al comandante Culbertson e agli altri 4 membri dell' equipaggio, per capire che il computer dello Shuttle aveva spento i motori secondo la procedura di «shut down» che viene attuata non appena si registra qualche anomalia nel funzionamento di uno dei motori principali. A questo punto, essi hanno disinserito i sottosistemi di bordo per porre la navetta in una configurazione che garantisse la sicurezza. Fatto questo, non è restato che aspettare, seduti sulla schiena nella scomoda posizione di lancio, con indosso le pesanti tute arancione, introdotte dopo l' incidente del Challanger a tutela dell' equipaggio durante le fasi critiche del lancio e del rientro nell' atmosfera terrestre. Purtroppo le procedure per uscire dal veicolo, quando questo è in posizione verticale sulla rampa di lancio, sono abbastanza lunghe. Prima di rimettere in posizione la passerella, che collega la cabina dello Shuttle con la torre di lancio, ed aprire il portellone di ingresso, il personale di terra deve disinserire diversi meccanismi (fra questi il sistema pirotecnico di espulsione del portello in caso l' equipaggio debba abbandonare il veicolo in una situazione di emergenza). Le notizie ufficiali, dal Kennedy Space Center, riferiscono che il computer di bordo del Discovery ha iniziato lo spegnimento dei motori quando la centralina, che controllava il motore numero 2, ha registrato un flusso di carburante inferiore ai valori nominali. I test effettuati hanno dimostrato che si è trattato di una indicazione inesatta, fornita da uno dei sensori che misurano il combustibile che fluisce nei condotti. Per ridondanza ci sono due gruppi di sensori, ciascuno composto di due sonde; una di queste quattro sonde ha fornito l' indicazione di un blocco nel flusso di combustibile, mentre le rimanenti tre hanno continuato a indicare condizioni normali. Con i dati a disposizione, il software di bordo ha preso la decisione di abortire la partenza, iniziando lo spegnimento dei motori. La procedura di «shutdown» ha solo quattro precedenti nella storia del programma Shuttle. Quando i tre motori principali sono stati accesi c' è bisogno di una ispezione completa prima di rimetterli in linea per un nuovo volo. Perciò, anche se si è trattato soltanto di un guasto a un sensore, un nuovo tentativo di lancio non potrà avvenire prima di 4 5 settimane. La missione STS 51 è particolarmente sfortunata; oltre a quello più recente, ha già collezionato altri due rinvii. Il primo tentativo, il 17 luglio, abortì prima del «lift off», quando ci si rese conto che uno dei dispositivi che controllava il rilascio dello Shuttle dalla torre di lancio non stava funzionando a dovere. Al secondo tentativo, una settimana dopo, il Discovery fu bloccato da un guasto ad una delle unità che fornivano la potenza per l' accensione dei due «booster» In quell' occasione il computer di bordo interruppe il conto alla rovescia a 19 secondi dal lancio. Come se non bastassero i problemi tecnici, anche le configurazioni astrali hanno contribuito a ritardare la missione del Discovery. Nei giorni 11 e 12 di agosto, come ogni anno, la Terra attraversa l' orbita della cometa Swift Tuttle e, di conseguenza, il nostro pianeta è bombardato da un fitto sciame di meteoriti. Calcoli recenti avevano mostrato che, quest' anno, il fenomeno sarebbe stato particolarmente intenso e i responsabili della Nasa hanno deciso di rinviare il lancio per evitare che la navetta si trovasse in orbita proprio in quel periodo. Il lancio, originariamente previsto per il 4 agosto, è slittato così al 13 agosto ma, nonostante la data di buon augurio, le avarie non hanno risparmiato nemmeno quest' ultimo tentativo. Il rinvio della partenza dello Shuttle ha sempre diversi risvolti negativi, sia dal punto di vista tecnico, sia per l' equipaggio, che ogni volta deve riprendere l' addestramento e rientrare in quarantena una settimana prima del lancio. Ma la sicurezza viene prima di tutto e, sebbene in questo caso non ci fosse un vero problema di motori, le procedure di controllo sono volutamente progettate per evitare anche il più piccolo rischio. Non si parla, dunque, di un problema serio ma solo di una noia tecnica che non dovrebbe avere conseguenze troppo traumatiche sulla tabella di marcia delle tre missioni previste entro la fine dell' anno. Tra queste, solo la missione STS 60, che utilizza la stessa navetta Discovery, potrebbe subire un ritardo significativo che la porterebbe a volare dopo STS 61, la missione della navetta Endeavour che dovrà riparare in orbita il telescopio spaziale Hubble. Se non sorgono nuovi problemi, la missione STS 51 dovrebbe essere lanciata domenica 12 settembre; al Kennedy Space Center, la base di lancio della Nasa in Florida, si sta lavorando alacremente per completare la messa a punto del Discovery. Anche a Houston si continua a lavorare e l' equipaggio sta completando la fase addizionale di addestramento per arrivare in perfetta forma al prossimo appuntamento che, assicurano, sarà quello buono per andare in orbita. Umberto Guidoni Candidato astronauta Agenzia Spaziale Italiana


ARCHITETTURA Fuller, nuova gloria Il ritorno delle cupole geodetiche
Autore: FEMINO' FABIO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, EDILIZIA
NOMI: BUCKMINSTER FULLER RICHARD, HILL JIM
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 038

LA cupola geodetica, acclamata come una delle più grandi soluzioni architettoniche degli Anni 50, sembra sul punto di rifare la sua apparizione dopo un periodo di eclisse. La differenza tra una cupola geodetica e una cupola tradizionale è che la cupola geodetica, pari a tre ottavi o cinque ottavi di una sfera, è formata da una combinazione di elementi triangolari prefabbricati, e disposti in modo da permetterle di sorreggersi da sola senza bisogno di muri interni o pilastri di sostegno. Progettata dal celebre designer Richard Buckminster Fuller, la prima cupola geodetica della storia venne costruita nel 1948 e brevettata nel 1954. I primi modelli commerciali soprattutto per usi militari, come protezioni per impianti radar da installare nell' Artico entrarono in produzione all' inizio degli Anni 50. Nel 1957 ne venne costruita una per la Union Tank Car Company di Baton Rouge con un diametro di ben 115 metri, all' epoca la più grande del mondo. Il record venne battuto nel 1982 da una cupola di 125 metri costruita a Long Beach come hangar per aerei. Queste prime cupole ebbero però scarsa fortuna: due delle più grandi una costruita nel 1953 per la Ford, e una nel 1967 per l' Expo di Montreal, con un diametro di 75 metri, e che diede a Fuller l' onore della copertina di Time mostrarono infiltrazioni d' acqua, ed erano fatte con materiali altamente infiammabili. In entrambi i casi furono distrutte da incendi sviluppatisi durante i lavori di riparazione. Le cupole geodetiche di oggi sono invece di dimensioni più ridotte, e garantite in grado di resistere anche a terremoti e uragani. Fra i maggiori costruttori americani, vi sono la Geodesic Domes Inc., di Davison, Michigan e la Timberline Geodesics, di Berkeley, California. Esiste anche un periodico specializzato, intitolato Dome. La maggior parte delle cupole sono concentrate negli Stati del Sud est e del Nord ovest. L' ingegnere della Nasa Jim Hill se n' è fatta fabbricare una come casa di villeggiatura a Lake Nacimiento, California. «Avrei voluto costruire una capanna di tronchi» afferma «ma ho scoperto che le cupole erano molto efficienti dal punto di vista energetico, e mi piacciono i loro interni vasti e luminosi. Per chi ha un reddito fisso ed è interessato a una casa di campagna, suggerisco di orientarsi sulle cupole. Sono spaziose e alla portata di tutti». Oggi si costruiscono negli USA circa 1500 cupole l' anno, per gli usi più svariati: la Geodesic Domes Inc., ne vende ad esempio parecchie da usare come chiese. «A pensarci, le cupole sono santuari perfetti» dice Tom Ferguson, della Gdi. «Non ci sono muri o pilastri che impediscano la vista, e sono meno costose o almeno alla pari con altre opzioni». La Timberline Geodesics ha proposto di usarle anche come ripari per gli «homeless». Il principale vantaggio di una costruzione a forma di cupola è che, a parità di spazio interno, una cupola ha una superficie esterna inferiore del 38 per cento a quella di un comune edificio rettangolare. Per il suo riscaldamento o raffreddamento occorre quindi molta meno energia. Secondo uno studio del National Dome Council, il risparmio potrebbe essere nell ' ordine del 30 40 per cento. Ciò significa che, se tutte le case degli Stati Uniti venissero rimpiazzate da cupole geodetiche, sarebbe possibile risparmiare annualmente 350 milioni di barili di petrolio. Inoltre, più è grande la cupola, più aumenta la sua efficienza energetica in quanto raddoppiando il diametro il volume cresce di otto volte, mentre la superficie aumenta solo di quattro. Un altro grosso vantaggio, sul quale Fuller puntò molto fin dagli Anni 50, è la semplicità di costruzione. Gli elementi prefabbricati possono infatti essere montati in poche ore anche da manodopera non specializzata. Negli Anni 50 venne anche studiata la possibilità di sollevare intere cupole già assemblate con elicotteri, e di consegnarle «chiavi in mano» in qualsiasi parte del mondo. Alcuni tentativi furono compiuti con successo. Fabio Feminò


TAC Il computer e i raggi X si alleavano 20 anni fa per aiutare il medico
Autore: FURESI MARIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, INFORMATICA
NOMI: MACLEOD CORMACK ALLAN, NEWBOLD HOUNSFIELD GODFREY
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 038

GUARDARE dentro il corpo umano è il sogno più antico del medico. Ma la sua piena realizzazione risale ad appena venti anni fa e al fertile incontro del tubo a raggi X con il computer, realizzato nella Tac, la Tomografia assiale computerizzata. Per 23 secoli, da Ippocrate in poi, la diagnostica si era basata unicamente sull' occhio clinico del medico. Nel 1816 la tecnologia diede il suo primo apporto alla diagnostica medica, con lo stetoscopio, inventato da Renè T. Laennec per ascoltare la «voce» del cuore. Un successivo, balzo avanti fu compiuto ottant' anni dopo con la scoperta, da parte di Roentgen, dei raggi X e della possibilità, offerta da questa radiazione elettromagnetica a onde ultracorte, di ottenere immagini di organi interni con precise indicazioni sul loro stato di salute. Alla tecnica diagnostica della radiologia appartiene anche la Tac, inventata vent' anni fa da due medici, il sudafricano Allan MacLeod Cormack e l' inglese Godfrey Newbold Hounsfield, premiati nel 1979 con il Nobel. La Tac accoppia l' informatica con la radiologia. L' impianto della Tac è costituito essenzialmente da due complessi: uno radiologico e uno informatico; il primo è composto da un tubo a raggi X, da un sistema di collimazione dei raggi e da un loro rivelatore; il sistema informatico comprende invece un computer per la ricostruzione dell' immagine dell' organo in esame e un apparato per la elaborazione e la visualizzazione di detta immagine. Il rivelatore viene impressionato dai raggi X, che hanno attraversato la parte in esame, con maggiore o minore intensità a seconda della densità delle sezioni via via esplorate. Le immagini così ottenute dal rivelatore vengono successivamente elaborate per ottenere l' immagine dell' intero organo in questione; questa viene poi resa utilizzabile, ai fini della valutazione clinica, colorandola in grigio di diverse tonalità a seconda dell' attenuazione che avevano subito i raggi X. In questa operazione si fa riferimento ad una «scala dei grigi», ai cui estremi troviamo il nero, quando è stata attraversata l' aria, e il bianco in corrispondenza di un osso compatto. Alla Tac si deve il notevole progresso della radiologia diagnostica del sistema nervoso; essa ha inoltre reso possibile la visualizzazione di vari organi, tra cui il fegato e il pancreas, non osservabili con le tecniche tradizionali. La Tac, poi, ha aperto la via ad altre tecniche diagnostiche che, oltre a dare l' immagine degli organi interni, ne mostrano anche il funzionamento. Mario Furesi


PREMIO CORTINA ULISSE L' etica controlla anche la scienza Agazzi: «Non esistono verità proibite, ma azioni sì »
Autore: GATTO LETTERIO

ARGOMENTI: BIOETICA
NOMI: AGAZZI EVANDRO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 038

FACCIA attenzione lo scienziato a non fare i conti senza l' oste, perché se è vero che «non esistono verità moralmente proibite, non è lecito fare qualunque cosa, ed esistono azioni moralmente proibite». Ed è inutile cercare di liberare l' attività scientifico tecnologica dalle pastoie dell' etica, perché quest' ultima, buttata fuori dalla porta, rientrerebbe dalla finestra. Parola di Evandro Agazzi. Docente di Filosofia della scienza nelle università di Genova e di Friburgo, Agazzi con il saggio «Il bene, il male e la scienza» (Rusconi), si è aggiudicato il premio europeo Cortina Ulisse 1993 per la divulgazione scientifica, quale autore della migliore opera sul tema «Etica della scienzia, principi e criteri: responsabilità delle scelte dello scienziato». Esiste dunque una scienza buona e una cattiva? La risposta di Agazzi, che si è confrontata con quella offerta nelle altre 4 opere finaliste ( «Le bugie della scienza» di Di Trocchio, «Cernobil» di Chenousenko, «Lives in the balance» di Smith e Boyd, «Wonderwoman and Superman» di John Harris) è semplicemente l' «omnia munda mundis» di San Paolo. Tutto è puro per i puri. Purché, naturalmente, puri si sia. Se da un lato i progressi della chimica (per non fare che un esempio tra tanti) sono «buoni» se applicati in farmacologia, dall' altro sono «cattivi» se amplificano la pericolosità degli arsenali chimici. Ma la situazione è ancora più delicata quando la tecnologia, sforzandosi di migliorare alcuni aspetti delle condizioni della vita umana, finisce col peggiorarne altri. Di qui la necessità, per Agazzi, di distinguere tra conoscenza e pratica di essa. Perché se nulla vi è di male nel sapere come produrre energia elettrica dalla fissione del nucleo atomico, è davvero un bene costruire le centrali nucleari? Domanda non banale se si pensa a Cernobil, evocata dal libro di Chenousenko Il fatto è che «scienza e tecnologia sono discipline umane» e, quindi, argomenta Agazzi, «esigono regole». Non si tratta, però, di definire una volta per tutte un decalogo morale dello scienziato bensì di ridefinire dinamicamente l' etica scientifica quale «ricerca di un equilibrio tra la libertà di sviluppo del pensiero e i modi in cui questa può influire sulla vita dell' uomo». Etica che è irrinunciabile proprio per l' irrinunciabilità di scienza e tecnologia, la cui «radice inestirpabile poggia sul fatto», afferma Agazzi, «che essendo l' uomo, tra tutti gli esseri viventi, il meno adattabile all' ambiente che lo circonda, non può che cercare di adattare quest' ultimo a se stesso». Letterio Gatto


ETOLOGIA Abbracciami con mille piedi Scoperte sugli strani amori dei miriapodi
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ANIMALI
NOMI: BARNETT MANDY
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 039

I millepiedi li conosciamo tutti. Ma chi di noi ha il minimo interesse per questi artropodi che vivono nei luoghi umidi sotto i sassi o sotto i tronchi di legno marcio? Ci incuriosisce tutt' al più il fatto che abbiano tante zampe. Non certo mille, come vorrebbe il loro nome una vera esagerazione ma un massimo di 240 paia. E una delle specie più comuni, l' agilissima Scutigera, che si trova spesso nelle case e che ci affrettiamo a irrorare di insetticida non appena sbuca fuori dal suo nascondiglio, ha soltanto 15 paia di zampe. Eppure quei curiosoni degli etologi ne hanno scoperte delle belle sul conto di questi ospiti sgraditi delle nostre abitazioni. Diciamo subito che i millepiedi, che appartengono alla classe dei miriapodi e alla sottoclasse dei Diplopodi, vantano una straordinaria anzianità. Erano al mondo già nel lontano Paleozoico, 400 milioni di anni fa. Ne hanno avuto di tempo per evolversi! Ma, pur essendo così antichi, hanno una maniera piuttosto arzigogolata di accoppiarsi. I sessi sono separati. Individui maschi e individui femmine, con i loro bravi attributi sessuali. Gli uni e gli altri hanno gli organi riproduttivi sul secondo dei tanti segmenti in cui si divide il lungo corpo. Sul secondo dalla parte del capo, s' intende. Il maschio non possiede un vero e proprio pene. Però ha adibito a questa funzione due appendici, chiamate «gonopodi», che si trovano sul settimo segmento. I gonopodi altro non sono che un paio di zampe trasformate per la bisogna. La faccenda quindi si complica quando il maschio va in cerca di femmine da fecondare. Non appena ne trova una disposta al connubio, l' afferra saldamente, si attorciglia intorno al suo corpo e si muove rapidamente a cavaturacciolo verso la testa di lei. Una manovra complessa per trasferire lo sperma dall' organo genitale ai gonopodi e di qui al secondo segmento del corpo femminile, dove alloggiano i genitali di lei. A raccontarla, sembra un' operazione terribilmente difficile. Ma da 400 milioni di anni a questa parte i miriapodi si accoppiano e si riproducono a tutto spiano. Evidentemente hanno avuto il tempo di allenarsi a dovere. Ecco intanto quello che scopre Mandy Barnett, un giovane ricercatore dell' Università di Cape Town, che ha focalizzato la sua attenzione su una specie di miriapodi africani, l' Orphorporus pyrhocephalus. Si accorge infatti che i gonopodi del maschio di questo miriapodo sono fatti in maniera singolare, tutti attorcigliati su se stessi, con una struttura a cucchiaio e una regione spinosa. A che diavolo servirà questo marchingegno? si domanda incuriosito Barnett. E presto lo scopre in una serie di accurate osservazioni. Nella stagione secca il maschio trascorre buona parte delle sue ore di attività perlustrando il terreno della boscaglia alla ricerca delle femmine con cui accoppiarsi. Quando infine ne trova una, per essere sicuro di essere proprio lui a fecondare le uova della femmina, prima di introdurre il proprio sperma caccia fuori quello dei rivali che l' hanno preceduto. Le spine servono a grattare via lo sperma come una energica spazzolata e la struttura a cucchiaio serve a raccoglierlo e a buttarlo fuori. Qualcosa di simile avviene anche in una specie di libellula, la Calopteryx maculata. Per garantirsi la paternità della prole, il maschio acchiappa una femmina e se la porta in volo. Poi, usando la parte cornea e filiforme del suo organo copulatore, rimuove accuratamente lo sperma versato in precedenza dai rivali, per far posto al suo. Altrettanto fa un uccello, il maschio della passera scopaiola (Prunella modularis). Prima di accoppiarsi saltella per un po' dietro la compagna che si è accovacciata in segno di assenso, poi si mette a becchettarle ripetutamente la cloaca, un sistema quanto mai efficace per controllare la verginità della femmina. Infatti, ecco che a poco a poco, stimolata dai colpetti di becco, la cloaca si distende assumendo un delicato colorito rosato. Contemporaneamente ne schizzano fuori alcune goccioline di liquido. Sono le gocce di sperma del maschio che si è accoppiato in precedenza. Eliminati gli spermatozoi del rivale, l' uccello può tranquillamente fecondare la femmina, sicuro di perpetuare i suoi geni. E' la prima volta però che si scopre una simile strategia tra i miriapodi. Bisogna dire a questo punto che le femmine dell' Orphorporus pyrhocephalus non sono affatto di costumi castigati. Si accoppiano in continuazione con tutti i maschi che incontrano. E lo sperma lo accumulano in speciali contenitori interni chiamati spermateche. Lì lo sperma rimane vitale per tutto il tempo che dura la stagione riproduttiva, vale a dire per circa sei mesi. Il maschio della specie africana studiata, dopo essersi assicurato che tutto lo sperma contenuto nel contenitore femminile è stato gettato via, ci versa dentro il suo, ma per essere più tranquillo rimane accoppiato con la compagna per circa due ore di fila. Questo per impedire che lei passi a nuovi amori, vanificando i suoi sforzi. E' solo un' illusione. Barnett infatti ha potuto osservare più di una volta un secondo maschio che si avvicina ai due partner accoppiati e si apposta in attesa che il rivale ne abbia abbastanza Non appena la femmina rimane libera, si accoppia con lei. Isabella Lattes Coifmann


BOTANICA Parla il Dna Le impronte genetiche utilizzate per individuare perfettamente ogni specie di pianta da frutto
Autore: MALUSA' ELIGIO, MARCHESINI AUGUSTO

ARGOMENTI: BOTANICA, GENETICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 039

COME si fa ad essere certi che la varietà della pianta da frutto che si vuole acquistare corrisponda alla foto del frutto indicata sul cartellino? Il problema è irrilevante nel caso di un amatore che pone la pianta nel proprio giardino ma ha un grosso peso nella frutticoltura specializzata, dove la scelta delle varietà è importante per la resa della coltura. L' identificazione di una varietà è importante anche per chi crea nuove varietà, dati gli enormi costi e i tempi legati alla selezione. Non sono rari i casi in cui si sono avuti risvolti giudiziari per la commercializzazione con nomi e marchi diversi di varietà apparentemente simili, ad esempio di fiori o di fruttiferi. La ricerca di nuove metodologie di biologia molecolare utilizzabili negli studi di genetica ha fornito quale ricaduta applicativa la possibilità di identificare inequivocabilmente una determinata pianta. La tecnica impiegata è simile a quella utilizzata anche in famose indagini alla ricerca del fantomatico assassino: l' analisi del Dna. Si riesce infatti a fornire una «impronta genetica» della pianta analizzata che è univoca, proprio come le vere impronte digitali. Questo è possibile perché il Dna di ogni organismo è unico. Nello sviluppo di queste metodologie si è passati dall' uso di particolari sequenze nucleotidiche, chiamate microsatelliti, fino alla recentissima tecnica chiamata Pcr. I microsatelliti sono sequenze costituite da alcune decine di basi nucleotidiche, spesso formate da due o quattro basi ripetute più volte, che si ritrovano ripetutamente all' interno della molecola del Dna. Ogni singola pianta possiede nel proprio Dna un numero variabile e diverso di questi microsatelliti e quindi può essere individuata e distinta da tutte le altre. Evidenziando quindi questi microsatelliti mediante l' uso di particolari tecniche che impiegano isotopi radioattivi quali marcatori si riesce a caratterizzare visivamente la loro struttura. Con la tecnica della Pcr è sufficiente teoricamente possedere una sola molecola di Dna per rendere visibile, a seguito di successive amplificazioni, una determinata sequenza nucleotidica. Quindi è possibile analizzare una ridotta quantità di materiale vegetale (una foglia o una radichetta) per determinare a quale cultivar appartenga la pianta. Questo genere di studi è attuato ad esempio presso l' University of California in Davis dove si stanno caratterizzando le cultivar di varie specie fruttifere quali melo, susino e ciliegio con l' obiettivo di poter fornire con la descrizione della varietà, oltre alla forma delle foglie o al colore e forma dei frutti, anche la caratterizzazione dei microsatelliti o di sequenze peculiari del Dna. Eligio Malusà Augusto Marchesini


ALIMENTAZIONE Così mangiava l' uomo preistorico La dieta svelata da ossa e denti fossili
Autore: CALABRESE GIORGIO

ARGOMENTI: ALIMENTAZIONE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 039

COSI' come i cerchi concentrici di un tronco d' albero ci indicano quanti anni esso ha, le nostre ossa sono uno specchio fedele del tipo di alimentazione che abbiamo seguito. Grazie al lavoro del professor Mallegni, direttore del Centro di Paleopatologia dell' Università di Pisa, si è giunti persino alla diagnosi sicura delle malattie di origine alimentare nell' era paleolitica. Le informazioni fornite dalle ossa sono molto chiare perché lo scheletro umano non è un supporto passivo di altri organi, ma al contrario, interagendo con l' apparato emopoietico, che produce i globuli rossi, risponde a tutte le situazioni metaboliche e ormonali in cui l' organismo viene a trovarsi. I denti, poi, hanno dimostrato un' usura particolare dovuta all' uso di farine, macinate grossolanamente a pietra, che quindi comprendevano piccoli pezzi di quest' ultima e che causavano una smerigliatura dei denti, provocando la precoce caduta dello smalto. Anche l' evoluzione della carie ha un suo capitolo particolare. Essa era poco nota presso i popoli preistorici, che erano cacciatori e raccoglitori, mentre ebbe uno sviluppo a partire dal paleolitico superiore, cioè circa 20. 000 anni fa, e si è evoluta nel Neolitico a partire dal VI V millennio a. C., a causa dei meccanismi digestivi dei carboidrati, che entrarono da quell' epoca prepotentemente nella dieta di tutti i giorni. In Italia era la popolazione dell' epoca romana a soffrire molto di carie, mentre questa malattia era rara tra i Minoici e gli Egizi. Ciò perché i Romani disponevano di farine e cibi più raffinati, avendo raggiunto un grado di benessere alimentare e sociale molto superiore a quello degli altri popoli. Recentemente è stato perfezionato un sistema, detto «strie di Harris», che calcola il tasso di mortalità e soprattutto le carenze alimentari presso una determinata popolazione. Esso si basa sul fatto che, durante la crescita, le ossa lunghe, tipo femore, omero e tibia, di un soggetto malnutrito arrestano il proprio sviluppo. Ma quando si ritorna ad un' alimentazione normale e equilibrata, le ossa mostrano ai raggi X un' attiva proliferazione di tessuto osseo, con la formazione di una linea perpendicolare all' asse diafisario. Contando così il numero delle linee di Harris, si può risalire al quadro dell' alimentazione e delle carenze nutrizionali di un popolo. Ad esempio, i bambini di Caister on Sea si ammalavano due volte di più rispetto ai loro contemporanei di Burgh Castle, in Inghilterra, nei primi nove anni di vita. Ciò forse perché questi avevano a disposizione più latte e carne nella dieta. Tra maschi e femmine, queste ultime avevano un numero di strie di Harris superiore ai maschietti: ciò perché la tendenza sociale di quell' epoca si basava sulla maggiore attenzione culturale del maschio guerriero e si facevano saltare più pasti alle femmine che ai loro fratellini. Anche le anemie sideropeniche, dovute a carenza alimentare, possono fornirci notizie interessanti per la nutrizione dell' epoca. Se non si tratta di talassemia, la presenza di rugosità alle orbite degli occhi indica un deficit nutrizionale con particolare carenza di ferro. Ad esempio, i Cartaginesi del III sec a. C., studiati a Pisa, presentano un grado elevato di queste rugosità alle orbite oculari, intorno ai 10 anni di vita; in seguito la curva scende fino ad azzerarsi intorno ai 50 anni. Questo passaggio brusco da uno stato di grave carenza, causato forse da una guerra (la II Guerra Punica? ), a uno stato di relativo benessere dovuto alla fine dell' attività bellica, dimostra come l ' ambiente sociale condizionasse enormemente la salute di un popolo Con il metodo della ricerca degli elementi, mediante la spettroscopia, si rivelano la presenza di calcio, potassio, stronzio, magnesio, ferro, rame e zinco nelle ossa. Questo metodo consente di individuare casi di tossicità da elementi come il piombo. E' successo con il ritrovamento di resti di una comunità romana ad Alba, in Piemonte; in questo caso la tossicità non proveniva dalla dieta ma da una contaminazione dei cibi o dei liquidi. Varie le ipotesi: l' aggiunta di un conservante, come lo «zucchero di piombo» nel vino; i tubi di condotta dell' acqua, che erano di piombo; o le stoviglie, anch' esse fatte con questo metallo. Giorgio Calabrese


FOSSILI & GRAFFITI Nel Sahara, il giardino perduto Incredibili adattamenti biologici al deserto
Autore: KRACHMALNICOFF PATRIZIA

ARGOMENTI: PALEONTOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 039

DESERTO: una parola che evoca distese di sabbia a perdita d' occhio senza forme di vita animale o vegetale se non in qualche oasi. Il Sahara è questo, ma è anche uno straordinario laboratorio archeologico e paleontologico, perché tutto ciò che vi si trova oggi è il risultato di una metamorfosi iniziata migliaia d' anni fa, prima della desertificazione, quando il deserto viveva. Una testimonianza sono le famose incisioni e pitture rupestri: quelle notissime del Tassili e quelle meno note, ma non meno interessanti a pochi chilometri da Taghit, nel grande Erg Occidentale, che provano come nel periodo paleolitico e neolitico il Sahara fosse coperto di savane e, in qualche luogo, addirittura di foreste. I graffiti rappresentano una varietà enorme di animali, leoni, elefanti, antilopi, arieti, struzzi, cavalli, oltre, naturalmente, ad esseri umani in vari atteggiamenti. Ci sono scene erotiche, scene di caccia, perfino scene di gelosia. Negli stessi luoghi in cui si trovano i graffiti rupestri non è difficile trovare punte di freccia e frammenti di utensili preistorici. Nelle oasi si può studiare un altro tipo di archeologia, a testimonianza di un passato più recente: l' archeologia idraulica. I famosi pozzi a bilanciere si trovano in particolare nei pressi di Kerzaz, una città tunnel, dove basta rifugiarsi in una qualunque delle innumerevoli gallerie che sostituiscono le strade, per trovare refrigerio anche nelle ore più calde della giornata. Nella zona di Timinoun il palmeto è irrigato con il sistema delle foggaras e delle seguias, i cui flussi sono regolati da kesrias (pettini) in pietra scolpita che risalgono tutti al Grande Pettine, che gli indigeni nominano con riverenza, quasi come una divinità. E, ancora, l' esempio più banale di un' invenzione antichissima e tuttora valida: le borracce dei cammellieri, in cui l' acqua si mantiene fresca molto più a lungo che nelle nostre sofisticate borracce termiche. La sebkha di Timimoun è un terreno di ricerca interessantissimo. Si tratta di una depressione che costituiva il fondo di un lago esistito, si dice, fino ad alcuni secoli fa. La toponomastica testimonia la presenza di acqua: un villaggio si chiama El Mers (il porto), un altro El Hadj Guelman, arabizzazione del termine tamahaq aghelman (stagno, lago). Ci sono, naturalmente, i fossili: soprattutto lamellibranchi e alcuni celenterati. Sulla strada che va da Timimoun ad Adrar c' è un affioramento roccioso di particolare interesse, ricco di bellissime «ortocesas» del devoniano. Basta guardarsi intorno con attenzione e, con un po' di fortuna, si trova qualche pezzo interessante: per esempio rametti di legno fossile, presenti praticamente in tutto il Sahara. C' è anche una sorta di fossile sopravvissuto, chiamato pesce del deserto. E' un piccolo rettile, assolutamente innocuo e abbastanza socievole, che ha tutto l' aspetto di un pesce a cui siano spuntate le zampe. Del pesce ha la forma, il colore (bianco argenteo) e i movimenti: fa continuamente un piccolo cerchio con la bocca e si tuffa in profondità nella sabbia come se fosse acqua. E' l' immagine emblematica di un eccezionale adattamento all' ambiente. Patrizia Krachmalnicoff


TRA RISCHI E SPERANZE Psicologi al voto Il neonato Ordine professionale sta per darsi un assetto e degli obiettivi: quale sarà lo spazio per la ricerca?
Autore: BLANDINO GIORGIO

ARGOMENTI: PSICOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: ORDINE DEGLI PSICOLOGI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 040

IN tutta Italia sono in corso le prime elezioni per la costituzione dell' Ordine degli psicologi. Il fatto che un ruolo professionale così in crescita (solo a Torino, il corso di laurea in psicologia ha 9000 iscritti! ) approdi al suo assetto organizzativo dopo anni di battaglie e dopo l' istituzione dell' Albo nel 1989, è un fatto di grande rilievo nella comunità professionale, ma diventa anche di grande interesse per la comunità scientifica se non vogliamo pensare alla psicologia solo come a una scienza reclusa nella torre d' avorio dei laboratori (peraltro carenti), ma viva, come dovrebbe essere, e agganciata alla realtà lavorativa quotidiana. La costituzione dell' Ordine degli psicologi, se ben attuata, è un momento che avrà a medio termine anche ricadute scientifiche. Professionisti e operatori allo sbando o disorganizzati non favoriscono certo lo sviluppo di una scienza psicologica autorevole e rispettata, e non c' è dubbio che la psicologia italiana avrebbe potuto fornire contributi scientifici in numero ben maggiore se non avesse dovuto fare i conti con una professione sempre alle prese con problemi di riconoscimento pubblico. Anzi, proprio la mancanza di regolamentazione professionale è una delle maggiori cause di quella infelice frattura tra Università e professione che ha caratterizzato questa disciplina e che si spera l' Ordine possa contribuire a eliminare. Inoltre la costituzione e la messa a regime di un Ordine di psicologi funzionante è una novità di cui va data ampia notizia perché il pubblico e le istituzioni sappiano che finalmente hanno un interlocutore preciso e ufficiale per tutto ciò che concerne le faccende psicologiche. Un interlocutore che prevedibilmente sarà disponibile ed entusiasta, ma anche fermo nel non tollerare più certi arbitrii e nel farsi riconoscere i propri legittimi diritti e non accettare più le manipolazioni di cui purtroppo, quando si ha a che fare con la psicologia, sembra che molti non possano fare a meno. L' Ordine degli psicologi, essendo nuovo, si configura quasi come una Costituente e per questo sarà importante il senso di responsabilità di chi lo guida, perché la futura leadership può dare un indirizzo alla psicologia italiana in un senso o in un altro: può diventare l' occasione per dare «ordine» (con la minuscola) e autorevolezza alla pratica psicologica o può essere utilizzato solo come una occasione per rivendicazioni assortite che finirebbero per portare la professione nelle paludi di un sindacalismo particolaristico, buono forse a produrre qualche aumento sulla busta paga di qualcuno (indipendente delle capacità e dalla preparazione) o qualche posto in più nelle Usl, ma non certo a far crescere il consenso sociale attorno agli psicologi e a dare un respiro interdisciplinare e moderno alla psicologia. Purtroppo per certi gruppi di psicologi la legittima tutela della professione è intesa più come difesa corporativa (di quale corporazione poi? ) che come ricerca di una propria qualificazione professionale. In concreto l' Ordine ha due funzioni principali: tutelare l' utenza e tutelare gli psicologi. Per quanto riguarda la tutela degli psicologi, questo Ordine che prende cittadinanza a fianco degli altri in primo luogo quello dei medici vorrà sicuramente porsi con un atteggiamento di collaborazione e incontro e non certo con un atteggiamento arrogante, anche se non bisogna nascondersi che l' entrata in scena degli psicologi non sempre è ben vista e spesso viene osteggiata con motivazioni non si sa se più ridicole o ignoranti. Per quanto riguarda la tutela dell' utenza, questa concerne, tra i molti, due aspetti soprattutto: un codice deontologico da rendere pubblico e la compilazione dell' elenco degli psicoterapeuti: e così si ripropone, a un ulteriore livello, l' annoso problema della psicoterapia e di chi sia autorizzato a farla, problema che, detto per inciso, è il vero responsabile di anni di conflitti con i medici e del ritardo con cui fu approvata la legge dell' Albo. Il compito primario che i futuri consigli regionali dell' Ordine degli psicologi devono subito affrontare (e che è di immediato interesse pubblico) riguarda il riconoscimento di chi potrà dirsi psicoterapeuta e di conseguenza esercitare la professione. Nel mondo degli psicologi c' è fermento al riguardo e sovente, anche paure ingiustificate come se i futuri consigli dell' Ordine fossero giudici severi e implacabili (con che diritto? ) della professionalità altrui, quando il compito di un Ordine è solo quello di fare rispettare regole che la comunità professionale, attraverso i rappresentanti più significativi delle varie scuole psicoterapeutiche, provvederà e emanare. E' pur vero che tra gli psicologi ci sono alcuni che pensano a sanatorie generali senza nessun controllo di qualità, così come non bisogna nascondersi che altri nutrono l' idea di distribuire patenti psicoterapeutiche sulla base di criteri puramente soggettivi fondati su arroganti fantasie autoritarie. Ma il vero compito dell' Ordine, una volta stilato l' elenco degli psicoterapeuti sulla base di un intelligente equilibrio tra rigore scientifico e realismo pratico, sarà quello di divulgare e dare la massima pubblicità possibile ai criteri di formazione psicoterapeutica delle varie scuole di modo che il futuro paziente, quando decide di andare dallo psicologo scelga chi gli pare e piace ma sapendo a quale scuola appartiene, che formazione ha costui e che cosa comporta operativamente l' appartenenza a una determinata scuola. Si dice tanto, oggi in Italia, che ci vuole un nuovo modo di fare politica. Sarebbe bello che il nascente Ordine degli psicologi proprio perché è nuovo, sapesse dare, nel suo ambito, un esempio in merito. Sarebbe un bel biglietto di presentazione e un esempio di maturità emotiva e di salute mentale proprio da parte di coloro che dovrebbero occuparsene. Giorgio Blandino Università di Torino


SCOPERTA INGLESE Scritto nella mano Gli ipertesi dal medico chiromante
Autore: PORTA MASSIMO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 040. Medicina e chiromanzia

QUANDO scrisse che il progresso tecnologico non fa che darci mezzi sempre più efficienti per retrocedere, Aldous Huxley aveva certo in mente altri scenari; tuttavia una pubblicazione recentemente comparsa sul British Medical Journal non può non configurarsi come una decisa avanzata verso il passato. Secondo i ricercatori del Medical Research Council di Southampton, coadiuvati nientemeno che dal reparto scientifico di Scotland Yard, i segni di una ridotta crescita fetale e della conseguente predisposizione a sviluppare un ' elevata pressione arteriosa nella vita adulta sarebbero marchiati indelebilmente nelle impronte digitali e nelle pieghe del palmo della mano. Poiché la pressione alta, o ipertensione, se non curata, rappresenta un importante fattore di rischio per la mortalità da infarto o ictus, di nient' altro si tratterebbe che di una rivalutazione scientifica della ben nota «linea della vita». Le impronte digitali, benché riscontrabili in un numero praticamente illimitato di varianti personali, hanno una forma classificabile in tre grandi gruppi a seconda che formino un sistema di linee arcuate, oppure ad ansa semplice oppure ancora un andamento a vortice. Queste forme non sono ereditarie ma verrebbero determinate già in età embrionale e sarebbero ormai complete, e non più modificabili, alla 19^ settimana di gravidanza. Le linee del palmo, chiamate tecnicamente dermatoglife, si formerebbero un po' più tardi nel corso della vita fetale; quelle che percorrono la mano in senso longitudinale tendono a formare un angolo in prossimità del polso. Secondo i ricercatori inglesi, condizioni sfavorevoli di sviluppo intrauterino determinerebbero alterazioni circolatorie che a loro volta, nella mano, provocherebbero la formazione di impronte digitali a vortice e di un angolo palmare più stretto fra le dermatoglife; in qualche modo i disturbi circolatori persisterebbero fino all' età adulta, manifestandosi poi come ipertensione. A sostegno della loro ipotesi, i ricercatori di Southampton citano i risultati di un' indagine condotta su 139 uomini e donne nati a termine fra il 1935 e il 1943 a Preston, nella contea del Lancashire: quelli che avevano il peso alla nascita inferiore e la placenta più piccola, entrambi segni di sviluppo fetale deficitario, non solo avevano un maggior numero di polpastrelli con impronte a vortice ed angoli palmari più stretti ma anche una pressione arteriosa sistolica più alta. Il rapporto fra impronte digitali e pressione era particolarmente stretto per quanto riguardava la mano destra (la cui irrorazione arteriosa è, all' origine, differente da quella sinistra), tale da permettere di stabilire che per ogni polpastrello con impronta a vortice la pressione aumentava di 2, 2 millimetri di mercurio. Per ogni grado di riduzione dell' angolo palmare, a partire da 42 e sempre nella mano destra, l' aumento pressorio era di mezzo millimetro di mercurio. Se confermati, questi dati potrebbero fornirci un metodo tanto inaspettato quanto semplice per il riconoscimento precoce dei soggetti a rischio per l' ipertensione e le complicanze che ne derivano. Si profila una possibile collaborazione fra i cultori di due arti antiche come l' uomo, la medicina e la chiromanzia, che in fondo non si sono separate che da pochi secoli. Se non fossero tempi duri, potremmo perfino prefigurarci chiromanti convenzionate con le Usl. Massimo Porta Università di Torino


SALUTE Estate, stagione nera per l' asma Spore e viaggi tra i fattori che aggravano i disturbi
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 040

UN' INDAGINE epidemiologica durata dodici anni e recentemente pubblicata sul British Medical Journal ha dimostrato che l' asma può aggravarsi in estate. Questo smentisce la comune opinione che l' asma, come altre malattie respiratorie, sia in rapporto con le nebbie e le tristezze invernali. L' estate, che sembra rendere l' aria più pura e impalpabile, dovrebbe essere una garanzia di sicurezza per i bronchi. Non è così, la natura è subdola, la fluidità dell' aria ingannevole. Il periodo estivo in senso lato, da maggio a ottobre, è il peggiore dell' anno. La spiegazione di questo fatto non è chiara. La supposizione più semplice riguarda la densità degli allergeni e la loro estesa diffusione. Molte ricerche hanno messo in evidenza che la quantità dei pollini è particolarmente elevata d' estate, con il rischio di stimolare di continuo i bronchi degli asmatici aumentando l' infiammazione e provocando crisi gravi. Un recente articolo della più importante rivista medica statunitense, il New England Journal of Medicine, pone in particolare rilievo il ruolo d' una spora specifica, Alternaria alternata. Un' altra ipotesi riguarda i mutamenti di abitudini dovuti alle movimentate vacanze. Il cambiamento di domicilio porta gli asmatici a trascurare o a non poter mantenere le abituali precauzioni contro gli allergeni presenti nella polvere della casa, gli acari, che richiedono pulizia, aerazione e uso degli acaricidi. Ne deriva un' aggressione spesso violenta. Il cambiamento di domicilio influisce anche sovente sui controlli medici. Gli asmatici, nel caso di crisi, tendono a non rivolgersi a sanitari che non conoscono ma piuttosto ad aumentare le dosi dei farmaci, il che non sempre è opportuno o sufficiente. Infine per molti la vacanza si associa alla speranza, conscia o inconscia, di una remissione della malattia, che andrebbe anch' essa in vacanza, sì da poter ridurre, o addirittura sospendere, il trattamento farmacologico di fondo. Bisogna invece ricordare che l' asma non soltanto non si arresta con le belle giornate ma al contrario può aggravarsi. Ciò impone di comportarsi con particolare attenzione e di seguire sempre con scrupolo le cure, tenendo conto degli sforzi fisici sovente richiesti dall' estate. Nell' asma i bronchi si restringono per uno spasmo, ma soprattutto sono infiammati, e l' infiammazione è la causa più importante dell' ostruzione respiratoria. Nell' infiammazione si formano sostanze con effetto restrittivo diretto sui bronchi, come l' istamina, i leucotrieni, le prostaglandine. Tale produzione è influenzata a sua volta da fattori le cui numerose sigle, Paf, Eaf, Gh Csf, Ecl, danno un' idea di quanto complesso sia il panorama biochimico dell' asma. Bisogna aggiungere poi l' eventuale formazione di particolari anticorpi IgE (immunoglobuline E), sotto il controllo dei linfociti T e dei loro prodotti fra i quali soprattutto l' interleuchina 4 (IL4). E' ormai acquisito che la fisiopatologia dell' asma risulta da una complessa rete di interazioni fra vari tipi di cellule e di loro «mediatori» Ulrico di Aichelburg




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